REALTA’ E MALINCONIA, di Pierluigi Fagan
REALTA’ E MALINCONIA. Prenderemo in esame le due fotografie su “lo stato d’animo del Paese” fatte dal 56° Rapporto CENSIS uscito ai primi dello scorso dicembre, i cui temi confermerebbe l’IPSOS con una indagine uscita sul Corsera. Chi scrive ha lavorato in passato con queste ricerche ed istituti, si possono criticare poiché in statistica nulla è esente da critiche, ma nella sostanza le ritiene affidabili o quantomeno indicative. Vediamo i temi principali che emergono da questa doppia fotografia.
Il primo e più importante sembra essere quello che CENSIS chiama “malinconia”. Da una parte emerge forte disagio nella somma degli effetti delle quattro crisi (economica, geopolitica, ambientale, sanitaria), dall’altra se tutto ciò infrange irreparabilmente il sogno-promessa della tarda modernità (in attesa ci si metta d’accordo a dar la modernità per terminata trovando nome alla nuova epoca in cui siamo capitati), tutto ciò non ha rappresentazione e forse valida interpretazione. Ne consegue un senso di privata e passiva tristezza.
Tra i tanti dati di cui poi accenneremo, quelli microsociologici mi sembrano i più interessanti. Dice CENSIS “Complessivamente, 8 italiani su 10 affermano di non avere voglia di fare sacrifici per cambiare, diventare altro da sé”. Si tratta della rottura della macchina delle promesse desideranti che traina ogni società dei consumi ovvero società basate sull’ordinatore economico. Nei dettagli: “Prevale piuttosto la voglia di essere sé stessi, con i propri limiti. Gli italiani non sono più disposti a fare sacrifici: per mettere in pratica le indicazioni di qualche influencer, per vestirsi secondo i canoni della moda, per acquistare prodotti di prestigio, per sembrare più giovani, per sentirsi più belli. E (per molti ed in crescita) non si è più disposti a sacrificarsi per fare carriera nel lavoro e guadagnare di più”. Questa macchina è in doppia crisi. Sia perché non più in grado di mantenere anche al minimo la sua promessa di avanzamento sociale, sia perché a fronte della gravità delle crisi reali non è di questo tipo di presunto “avanzamento sociale” che si sente il bisogno. Ogni “gioco sociale” è una convenzione, questo che ha innervato e strutturato le nostre società così a lungo, sembra a corto di convinzione ed una convenzione senza convinzione, implode lasciando dietro di sé il vuoto. Il vuoto si riempie di malinconia.
Poiché altrove nel Rapporto si conferma che le persone hanno tutte capito alla perfezione di esser capitate in una transizione ovvero un passaggio trasformativo profondo, storico e non occasionale, ne consegue che il crollo di una convenzione di cui quasi nessuno è più convinto, lascia il vuoto ed il vuoto si riempie di malinconia.
Sui dati sociologici più duri, le due ricerche confermano esserci un picco di problematicità acuta sull’aspetto economico-sociale. Questo è dato dai temi “economici, occupazionali, welfare ed assistenza”. Società basate sull’ordinatore economico soffrono particolarmente il non funzionamento del gioco economico, il crollo delle prospettive, l’esasperata precarietà (che non ha più neanche il traino dell’ipotetica promessa al potersi risolvere in prospettiva diventando così “sacrificio senza speranza”), l’inflazione, le forti diseguaglianze, dicono che stiamo giocando un gioco che non funziona, truccato, di falsa promessa. La distanza tra questi item ed altri quali la sicurezza, gli immigrati, l’ambiente, il controllo sociale, dice anche quanto alcune forze politiche o culturali parlino di cose che in realtà non corrispondono affatto allo stato d’animo diffuso. Questa mancanza di rappresentazione pubblica del sentimento personale crea una dissociazione, ognuno si ritira nel suo preoccupato sentimento privato, il che aumenta depressione e malinconia.
Chissà poi perché non solo l’area politica che è ovvio che in questa fase storica sia del tutto inadeguata, ma anche e soprattutto quella intellettuale non si sintonizzi su questo sentimento. Evidentemente, sfugge all’auto-analisi. O molti di questi “intellettuali” essendo pensionati o professori, non vivono appieno il problema o sono catturati in un mondo parallelo in cui la battaglia delle idee segue tutt’altra partizione, una forma esasperata di “scolastica critica” in cui ormai si gioca tutto all’interno di un mondo concettuale che ha perso ogni riferimento al reale. Un po’ come nella pandemia in cui pochi hanno notato lo stato pietoso ed inadeguato della sanità pubblica nel Paese con più anziani al mondo (assieme altri due o tre), librandosi ariosi dalle vette e dai picchi dell’analisi biopolitica, un po’ come ormai più di un decennio di retorica anti-neolibersita, anti-globalista, anti-eurista che non è mai atterrata lì dove i nodi che da ideologici diventano pratici, producono malessere individuale e sociale (le famose “contraddizioni”).
Eppure, queste stesse ricerche rilevano l’ovvio in una società sempre più anziana: severe preoccupazioni per il rischio di non autosufficienza e invalidità, di non poter contare su redditi sufficienti in vecchiaia, di perdere il lavoro e quindi di andare incontro a difficoltà economiche, di incorrere in incidenti o infortuni sul lavoro, di dover pagare di tasca propria prestazioni sanitarie impreviste. Così per i più giovani che sappiamo ormai dimenticati e per lo più esclusi dalla coesione sociale. Sarà il caso di notare che gli anziani statistici (+64 ed in costante aumento) sono quasi il 25% della popolazione, aggiungendo giovani in stato di lunga precarietà ed attesa di futuro siamo ad una massa importante della società, quasi il 40%.
Ma nulla di tutto ciò sempre preoccupare molti dei nostri intellettuali critici che, negli ultimi giorni, si sono abbandonati a profluvi di analisi sulla grandezza mal compresa di Joseph Ratzinger. Molti sembrano presi da questa grande macchina di intrattenimento dei concetti e delle critiche che sembra voler evitare a tutti i costi i fondamentali reali. Chi parla più di lavoro, reddito, ridistribuzione, diseguaglianza concreta, protezione pubblica? Chi sente ed interpreta la malinconia e la depressione diffusa? Meglio l’euro, l’UE matrigna, il popolo, i vaccini, il non c’è più destra né sinistra. Ognuno felice di partecipare alla costruzione di questa nuova area neo-con dal confuso sapore libertariano, visto che non c’è più sinistra e siamo tutti di destra meglio cercare la propria interpretazione di cinquanta sfumature di destra. Poi magari si scrive un articolo sulla minaccia anestetizzante della virtualità senza accorgersi quanto si partecipa attivamente a costruire questa virtualità distraente, ognuno col suo commento del giorno dopo in cerca di pubblico riconoscimento secondo un indice dei temi e degli argomenti che è poi quello del fatidico mainstream.
Poi magari si fonda un partitino tre mesi prima delle elezioni, si fa una figuraccia ma non c’è problema, arriva sempre un nuovo tema su cui esibire pensiero critico e mettersi in mostra in nome di un “cambiamento” che in realtà nessuno sembra davvero volere mentre si cerca di sfuggire, ognun per sé, all’attrazione appiccicosa di questa vasta malinconia che non trova più il suo inchiostro per esser raccontata.