Analisi sull’andamento della guerra in Ucraina: scenari tattico-strategici e considerazioni generali (prima parte), di Andrea Gaspardo
Analisi sull’andamento della guerra in Ucraina: scenari tattico-strategici e considerazioni generali (prima parte)
Dopo aver parlato abbondantemente nelle ultime analisi delle operazioni aeree, navali e terrestri avvenute sino ad ora nella Guerra Russo-Ucraina, chiudiamo la nostra serie riguardante questo aggiornamento sulla guerra in corso a oltre due mesi dal suo inizio parlando di alcune considerazioni di carattere tattico-strategico cercando inoltre di formulare degli scenari relativi a come la situazione potrebbe evolvere nel futuro per i due contendenti.
Alla luce degli eventi e delle rilevazioni fatte sul campo dall’inizio della guerra sino ad ora, possiamo dire che il piano originale di Putin, e quanto meno di una parte del suo establishment, fosse quello di ottenere una facile e rapida vittoria. Le direttive operative conseguentemente trasmesse alle Forze Armate Russe per la pianificazione dell’invasione presentavano degli scenari ottimistici che si sono rivelati assolutamente non corretti.
Globalmente, la strategia russa nella prima fase della guerra (grosso modo i primi 11 giorni di conflitto) che io avevo battezzato in maniera arbitraria “Sciame di Fuoco” prevedeva una sorta di riedizione in stile ancora maggiore della campagna “Shock and Awe” (traducibile come “Colpisci e Terrorizza”) con la quale gli Stati Uniti piegarono l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003.
Il risultato di questa prima fase del conflitto è stato decisamente in chiaroscuro. Se, da un lato, la Russia ha raggiunto un dominio totale sul fronte navale (al netto della perdita della nave da sbarco anfibio BDK-65 Saratov e dell’incrociatore Moskva che, al netto del danno d’immagine ed operativo, comunque non cambiano l’equilibrio di potere raggiunto nel Mar Nero) e la completa superiorità aerea, dall’altro le colonne corazzate e meccanizzate delle sue forze di terra non sono riuscite ad avere la meglio sui difensori ucraini che, nella maggior parte dei fronti, sono riusciti a contenere i russi applicando in maniera intelligente i dettami della dottrina militare sovietica denominata “lo scudo e la spada” che prevede di ingaggiare il nemico in battaglie d’arresto (possibilmente canalizzandone la spinta offensiva verso posizioni difensive già preparate) accompagnate da veloci contrattacchi da parte delle unità di manovra posizionate in riserva in modo da infliggere il maggiore danno possibile agli attaccanti.
Se la nozione che le Forze Armate Ucraine stiano applicando tattiche di guerra prese dai manuali ereditati dall’Unione Sovietica può sembrare strana di primo acchito, non bisogna dimenticare che oltre il 90% degli arsenali dell’Ucraina sono in effetti ereditati proprio dal periodo sovietico e la quasi totalità degli ufficiali che prestano servizio nelle Forze Armate ha iniziato la propria carriera nel corso del suddetto periodo sovietico o nei primi 22 anni di vita indipendente del paese, quando le dottrine militari sovietiche e russe erano le uniche ad essere insegnate ed assimilate.
Ciò che differenzia le Forze Armate Ucraine del 2022 da quelle del 2014 (che dimostrarono una resa operativa molto modesta) non è quindi né il materiale bellico né le dottrine militari impiegate, bensì il recupero della disciplina, dello spirito di corpo e dell’addestramento (in poche parole: “le basi” su cui si fonda qualsiasi istituzione militare!), tutti elementi che nel periodo tra il 1991 ed il 2014 erano stati lasciati letteralmente deperire.
Non è chiaro se questo processo di “trasformazione”, o per meglio dire di “recupero delle basi fondamentali”, sia passato inosservato agli occhi dell’intelligence russa. Di sicuro lo è stato agli occhi delle agenzie di intelligence e delle forze armate dei paesi occidentali i quali hanno continuato a produrre report molto critici sullo stato dello strumento militare di Kiev. Il tenore di alcuni di questi era giustificato, ma altri sono stati decisamente ingenerosi.
Dall’altro lato della barricata, la precisione con la quale la Russia ha condotto la sua campagna aerea e soprattutto missilistica, in particolare mettendo a segno una serie di colpi micidiali contro installazioni ucraine che, al momento di essere colpite, erano piene di soldati o di volontari stranieri, denota una eccellente presenza sul terreno di asset delle varie agenzie di spionaggio russe (SVR, FSB, GRU/GU) le quali hanno continuato a rifornire costantemente il Quartier Generale con un “fiume” di informazioni utili a continuare gli attacchi aerei e missilistici in maniera sostenuta.
Questa presenza massiccia delle agenzie di intelligence russe in terra ucraina cozza fragorosamente con la nozione secondo la quale gli “apparati” non fossero informati e non avessero il polso della reale situazione esistente all’interno del paese. Ecco perché l’autore della presente analisi ritiene (ma è una opinione personale al momento non supportata da alcuna evidenza “forte”) che i gravi errori commessi dalle Forze di Terra nella pianificazione e nella condotta delle operazioni iniziali siano da attribuire primariamente ad un fallimento nella capacità di analisi della leadership politica (Putin ed il suo circolo di più stretti collaboratori) che non alla negligenza degli altri “apparati”. Fatto sta che, a partire dal 1 di marzo, e mentre la fase “Sciame di Fuoco” della guerra era ancora in corso, le Forze Armate Russe avevano già iniziato il lungo e doloroso processo di svolta verso la seconda e la terza fase del conflitto.
La seconda fase della Guerra Russo-Ucraina, che qui battezzeremo “Operazione Pitone”, iniziata pressappoco all’indomani della prima settimana di marzo, e in realtà tutt’ora in corso, è stata ed è caratterizzata da una progressiva e crescente opera di “strangolamento” e distruzione della capacità dello stato ucraino sia di resistere a livello militare che di continuare a funzionale a livello economico-sociale.
L’entità dei danni provocati e la decisione da parte della leadership politica e militare di continuare la campagna in maniera protratta nel tempo spingono l’autore della presente analisi ad affermare che l’obiettivo iniziale della campagna di Putin, sostanzialmente quello di sottomettere l’intera Ucraina, non sia in realtà cambiato e la decisione di ritirare le truppe da alcune aree per concentrare l’azione offensiva nel Donbass e nell’area meridionale dell’Ucraina sia solo di natura “tattica e temporanea” ma che non sia per niente rivelatrice di un cambiamento negli orientamenti strategici di fondo da parte di Mosca.
A questo punto, dopo oltre sessanta giorni di guerra è necessario chiederci esattamente: che cosa è rimasto dell’Ucraina? Perché proprio a partire dalla risposta a tale domanda possiamo poi capire quali eventuali possibilità di resistenza sono rimaste al paese azzurro-giallo al di là del successo della strategia difensiva portata avanti sino ad ora e che, a modesto avviso dello scrivente, a questo ritmo non è sostenibile nel lungo periodo.
Secondo i dati ufficiali diffusi quasi tre settimane fa del Ministro delle Finanze della Repubblica d’Ucraina, Sergey Mikhailovich Marchenko, e a me comunicati dal mio collega Paolo Silvagni:
– il deficit dello stato ucraino per il mese di marzo è stato di 2,7 miliardi di dollari;
– il deficit stimato per i mesi di aprile e maggio dovrebbe aggirarsi tra i 5 ed i 7 miliardi di dollari;
– il 30% delle aziende ucraine ha completamente cessato qualsiasi attività;
– i danni fino ad ora accertati alle infrastrutture civili e militari ammontano a 270 miliardi di dollari;
– le perdite totali accertate sofferte dall’economia ucraina dall’inizio del conflitto assommano a 600 miliardi di dollari (una cifra superiore al valore del PIL a parità di potere d’acquisto dell’Ucraina per l’anno 2021 come da me segnalato nella mia passata “Analisi della delicatissima situazione economico-sociale dell’Ucraina”!);
– i danni al patrimonio edilizio viaggiano ormai verso quota 1 trilione di dollari;
– è stato fino ad ora distrutto il 27% di tutto il sistema viario del paese (strade, autostrade, ferrovie);
– dall’inizio del conflitto le importazioni sono calate di 2/3 mentre le esportazioni si sono dimezzate;
– il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Unione Europea hanno approvato prestiti eccezionali per 5,6 miliardi di dollari sufficienti solamente a prolungare l’agonia.
Questi agghiaccianti dati economici vanno letti in contemporanea ai dati socio-demografici forniti tanto dal governo ucraino quanto dalle principali organizzazioni internazionali come l’UNICEF:
– fino ad ora la guerra ha provocato oltre 13 milioni di sfollati sia all’interno che all’esterno del paese;
– quasi 5,5 milioni di ucraini (per la quasi totalità donne e bambini al di sotto dei 18 anni) sono già profughi all’estero ed il numero cresce costantemente di 100.000 unità ogni singolo giorno;
– circa 4,8 milioni di bambini ucraini (2/3 del totale) sono sfollati dalle loro case e 1,8 milioni hanno già dovuto abbandonare il paese;
– secondo le proiezioni più realistiche, entro i primi di giugno il numero di profughi ucraini all’estero rischia di raggiungere gli 10 milioni;
– alcune proiezioni per il momento definibili come “catastrofiste”, ma niente affatto da sottovalutare, parlano della possibilità che, qualora il conflitto si protragga per altri 6/7 mesi, esso possa causare la morte di fino a 3 milioni di ucraini (per la stragrande maggioranza uomini) e la fuga di altri 20 milioni o più.
Questi dati, agghiaccianti tanto quanto quelli economici, devono essere valutati in rapporto alla popolazione dell’Ucraina la quale (con l’esclusione della Crimea e del Donbass, ma senza considerare i dati della diaspora) alla vigilia delle ostilità era stimata in 37,5 milioni di abitanti. Si capisce quindi che, anche nell’ipotesi (a mio avviso remota) di una “vittoria militare”, c’è il pericolo reale che l’Ucraina diventi in ogni caso un “not viable state”, cioè uno “stato non sostenibile” (o per meglio dire: uno stato non in grado di sostenersi da solo).
Questi dati economico-finanziari e socio-demografici devono essere tenuti ben presenti dalla leadership di Kiev, e dal presidente Zelensky in particolare in quanto comandante in capo, quando si tratta di prendere decisioni fondamentali per il futuro e la sopravvivenza non solamente “politica” ma financo “fisica” del popolo e dello stato ucraino. Dopo aver presentato questi dati nudi e crudi che fotografano, per così dire, il “termometro” del precipitare della situazione del paese cerchiamo ora di valutare le capacità di resistenza dell’Ucraina. Come descritto già in passato in altre analisi, alla vigilia dell’esplosione del conflitto, le capacità di mobilitazione di tutte le forze militari e paramilitari dell’Ucraina erano di circa 1.610.000 uomini così divisi:
– Forze Armate: 250.000 soldati più 900.000 riservisti;
– Guardia Nazionale: 50.000 uomini;
– Guardia di Frontiera: 50.000 uomini;
– Servizio di Emergenza dello Stato: 60.000 uomini;
– forze paramilitari del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina, SBU: 30.000 uomini;
– Polizia Nazionale: 130.000 poliziotti;
– Forze di Difesa Territoriali: 10.000 uomini in servizio attivo più 130.000 volontari.
Nonostante tale apparentemente mastodontica cifra, pare che gli ucraini abbiano già superato (per bocca dello stesso presidente Zelensky e del ministro della difesa Reznikov) la soglia di mobilitazione sopra riportata, e che sia proprio questa la ragione per la quale, in base alle normative della “direttiva sulla mobilitazione generale e la legge marziale”, a tutti gli uomini di età compresa tra i 18 ed i 60 anni (con alcune limitate eccezioni) è in questo momento vietato lasciare il paese. Dobbiamo però capire una cosa; anche se l’Ucraina riuscisse a mobilitare ulteriori risorse umane oltre a quelle menzionate di sopra, ciò non vuole dire che esse possano avere un impatto reale sulla situazione a livello tattico, pur conservando una certa valenza a livello strategico.
Che cosa significa questo pensiero? Molto semplicemente che, al di là dei numeri sulla carta, la capacità da parte di un paese di utilizzare al meglio le sue riserve sia umane che materiali nel corso di un conflitto dipende dal fatto che esse siano state o meno organizzate in unità coerenti già in tempo di pace, in modo che tali unità possano poi essere tempestivamente attivate in tempo di guerra per far sentire da subito la propria presenza già dai primi “scambi convenzionali” sul terreno.
Nel caso ucraino, l’insieme delle forze sopra elencate rappresenta il totale di truppe sia di prima linea che di riserva organizzate in modo tale da poter essere schierate da subito o in tempi ragionevolmente contenuti sulla linea del fronte. Tuttavia, per mobilitare ogni ulteriore scaglione di riserve oltre a quelle già menzionate, l’Ucraina si troverebbe in difficoltà perché dovrebbe innanzi tutto organizzare i nuovi combattenti in unità funzionali al tipo di operazioni alle quali verranno destinati. Secondariamente, tali unità dovrebbero poi essere sottoposte ad un soddisfacente processo di addestramento e familiarizzazione con i nuovi sistemi d’arma e le procedure operative. Solo dopo aver superato questo iter (che può richiedere settimane o addirittura mesi) le nuove unità militari possono essere dispiegate sulla linea del fronte. Purtroppo per gli ucraini, tale orizzonte temporale rappresenta letteralmente “un lusso” che non si possono permettere, e la cosa triste è che l’opposto non costituisce un’opzione dato che, come la Storia insegna, mandare al fronte in fretta e furia delle unità raffazzonate all’uopo (anche quando siano ben equipaggiate!) senza un addestramento e un’organizzazione coerente significa letteralmente utilizzare le proprie risorse umane come carne da macello.
Osservando il modus operandi delle Forze Armate Ucraine dall’inizio della guerra fino ad ora, ponendo particolare attenzione alle rotazioni alle quali sono sottoposte le brigate (41 in totale) che costituiscono i veri elementi di manovra delle Forze di Terra di Kiev, si capisce che gli ucraini hanno adottato la tattica di mantenere quanto più a lungo possibile tali unità sulla linea del fronte in modo da poter ottenere la maggiore resa operativa possibile pena l’inevitabile logoramento e la crescita delle perdite. Quando il logoramento di tali unità raggiunge la soglia del 70%, al punto da diventare tatticamente inservibili, esse vengono ritirate dal campo di battaglia e l’ossatura costituita dai veterani dei precedenti scontri viene rimpolpata dai “riservisti addizionali” i quali vengono molto rapidamente istruiti ed “acclimatati” alla loro nuova missione dai veterani superstiti che in tal modo li preparano. Quando questo processo viene ritenuto completato (e nell’Ucraina odierna questo significa letteralmente in una manciata di giorni!) le unità vengono nuovamente inviate al fronte, e la giostra continua. Ecco dunque che gli uomini appartenenti alle grandi riserve addizionali non raggruppati in unità pre-organizzate finiscono semplicemente per fungere da serbatoio di reclutamento per le unità già esistenti garantendo ad esse di continuare a combattere indefinitamente (o per lo meno, finché ci sono riserve da gettare in battaglia!), ma questo sacrifica la possibilità che tutti questi riservisti possano creare delle nuove unità ex-novo. Ecco dunque che le, sulla carta, vaste riserve di uomini delle quali Kiev dispone hanno una valenza più che altro strategica e non tattica.
Lo stesso discorso lo si può fare per quanto riguarda gli armamenti, in particolare le forniture provenienti dai paesi occidentali. Nonostante una propaganda occidentale che a tratti potremmo definire “martellante” (per usare un eufemismo), l’Ucraina ha fino ad ora combattuto la guerra ed ottenuto i risultati sul campo largamente grazie ai “mezzi propri”. Gli arsenali a disposizione di Kiev si dividono essenzialmente in 3 tipologie:
– quelli ereditati dal periodo sovietico (90%);
– quelli acquistati all’estero o prodotti dalle industrie nazionali negli ultimi 8 anni di crisi (9%);
– le nuove forniture ottenute soprattutto dall’Occidente subito prima e nel corso del presente conflitto (1%).
Nonostante da subito i russi abbiano pesantemente bombardato le basi militari ed i siti di stoccaggio ucraini con i missili balistici, i missili da crociera e con le loro Forze Aeree, gli ucraini sono stati comunque in grado di salvare una parte dei loro arsenali ed imbastire una campagna difensiva molto efficace (al netto dei macroscopici errori commessi dai loro nemici). Tuttavia le scorte di armi non sono infinite e già oggi siamo in possesso di ampio materiale fotografico che testimonia come le autorità kieviane stiano distribuendo ai riservisti anche grandi quantità di materiale risalente addirittura alla Seconda Guerra Mondiale, soprattutto nel campo delle armi leggere per la fanteria.
Particolarmente delicata è poi la questione dei mezzi pesanti, come i carri armati. Ufficialmente le Forze Armate Ucraine hanno iniziato il conflitto avendo circa 4000 carri armati a loro disposizione, ma i numeri effettivi in servizio erano assai più bassi tanto da far dire alla maggior parte degli analisti che essi si aggirassero attorno ai 1000.
Da quando la campagna di bombardamento aereo da parte dei velivoli di Mosca ha cominciato ad assumere i contorni di una vera e propria “guerra d’annientamento”, gli ucraini hanno progressivamente visto demolite le loro industrie del comparto della Difesa una dietro l’altra e questo (unito alla distruzione dei depositi di carburante, sui quali si sono concentrate le attenzioni russe nelle ultime settimane) sta già avendo gravi effetti sulle capacità di manutenzione e riparazione dei mezzi danneggiati così come sulla mobilità in generale delle principali unità di manovra ucraine.
Gli ucraini hanno dato prova di caparbietà ed ingenuità e, spinti dalla contingenza, hanno preso di petto il problema decidendo saggiamente di rimettere in servizio quanti più mezzi possibili tra quelli catturati ai russi, ma come è facile capire, questo è un palliativo buono per il breve periodo (e comunque i russi ed i donbassiani stanno facendo la stessa identica cosa!).
Non molto tempo fa la Ministra degli Affari Esteri della Repubblica Federale di Germania, Annalena Baerbock, aveva annunciato che la Germania era pronta a fornire a Kiev l’equivalente di 500 milioni di dollari di aiuti. Ebbene, ad un’attenta analisi della situazione sul terreno si nota che 500 milioni di dollari ammonta al totale che Kiev deve spendere ogni giorno solamente per soddisfare le necessità relative al munizionamento.
È stato calcolato che per ottenere risultati decisivi sul terreno l’Ucraina dovrebbe ricevere seduta stante oltre 100 miliardi di dollari di armamenti, soprattutto pesanti, per riuscire ad infliggere ai russi perdite debilitati, ma è facile capire che tale programma di aiuti è semplicemente insostenibile.
La scelta da parte degli Stati Uniti e di molti loro alleati occidentali di fornire agli ucraini numeri importanti di armi appartenenti a particolari categorie come i missili anticarro FGM-148 Javelin e NLAW ed i missili antiaerei spalleggiati FIM-92 Stinger e Piorun, più altre armi destinate generalmente alla fanteria, avrebbe senso nel caso ci trovassimo in una situazione di conflitto a bassa intensità di durata decennale come fu la Guerra Sovietica in Afghanistan, ma la fattispecie in questione è completamente diversa dato che la Guerra Russo-Ucraina è in realtà un grande conflitto convenzionale tra paesi stile Seconda Guerra Mondiale ed ogni raffronto con i conflitti avvenuti dal 1945 ad oggi ha poco o niente senso.
In questo scenario ciò che bisogna fare è valutare la potenza di fuoco complessiva, le capacità dei contendenti di rigenerare riserve sia tattiche che strategiche di uomini e materiali, la resilienza dei sistemi economico-finanziari, la determinazione delle opposte popolazioni e leadership di combattere fino in fondo per raggiungere i propri obiettivi irrinunciabili.
Per quanto riguarda l’Ucraina, la leadership politica del paese, rappresentata dal presidente Zelensky pare si sia decisamente orientata verso la soluzione militare del conflitto ed in questo è sostenuta da praticamente tutto lo spettro politico e da una larga fetta della popolazione (a quanto però ammonti questa percentuale, non è dato saperlo con precisione assoluta dato che esistono segnali contrastanti provenienti dall’interno dell’Ucraina così come dalle comunità della diaspora). Tuttavia il fervore nazionalista dimostrato dagli ucraini fino a questo momento rischia di ritorcersi contro gli ucraini stessi nel caso essi trascinino la Russia in una guerra di logoramento che essi non hanno alcuna possibilità di vincere sacrificando al contempo la possibilità di negoziare una pace, o quanto meno un armistizio, che gli consentirebbe di conservare delle leve spendibili per il futuro.
Come raccontano i dati esposti sopra in maniera inequivocabile, sotto la pressione armata russa, l’Ucraina sta andando rapidamente incontro ad un processo di violenta destrutturazione tanto dell’economia quanto della società tutta. Le Forze Armate e le varie altre istituzioni preposte alla difesa del paese che io ho menzionato di sopra possono anche decidere di combattere ad oltranza ma, ad un certo punto, la loro resistenza diventerà insostenibile se il paese nella sua complessità non è più in grado di sostenere i costi della guerra).
Anche in tempo di guerra l’economia deve poter continuare ad operare (seppure a “scartamento ridotto”) ma se ciò diventa materialmente impossibile allora ad un certo punto tutto ciò che sarà rimasto da fare alla popolazione civile ucraina sarà di fare tutto ciò che è possibile per sfamarsi. Quello sarà precisamente il momento nel quale l’Ucraina vedrà seriamente compromessa la sua capacità di resistere.
Probabilmente a Washington si sono accorti di tutti ciò, ed è per questo che il presidente Biden sta ora facendo pressione sul Congresso affinchè venga approvato un piano di aiuti sia militari che economici all’Ucraina pari a 33,1 miliardi di dollari. È assai probabile che, infine, tale piano verrà approvato, tuttavia anche questa apparente “ondata di vita” non riuscirà affatto a cambiare il trend che, ogni giorno che passa, fa intravvedere all’orizzonte scenari cupi per il futuro dell’Ucraina.