ESONOMIA, di Pierluigi Fagan

ESONOMIA. [Post rilevante] Incontro il termine-concetto in un libricino di Pierre Clastres, etno-antropologo di propensione politica, allievo prediletto di C. Levy-Strauss, anarchico, prematuramente scomparso per incidente a poco più di quaranta anni. Se digitate il termine su Google, almeno a me (saprete che gli algoritmi personalizzano i risultati di ricerca, Google è un dispositivo relativistico ovvero relativo alla tua immagine di mondo) viene fuori, come avessi commesso un errore di digitazione: “economia”. Poi Google si sforza di trovare qualcosa e mi propone “isonomia” dal vocabolario Treccani. Cerchi sul vocabolario Treccani e viene fuori nulla. Ah! Un concetto nuovo, penso. Poiché però avevo capito al volo cosa intendeva il Clastres, mi sorprendo che il concetto venga ritenuto inesistente, cioè nuovo. Perché ciò avviene e perché merita un post? Ora provo a spiegarlo.
Di per sé il termine si compone di “eso” che vuol dire esterno e “nomia” da nomos che significa legge, quindi “legge che proviene dall’esterno”. Il suo opposto sarebbe endonomia, da “endo” ovvero interno, ma siccome il termine-concetto non esiste, non esiste neanche il suo contrario.
Relativamente alle questioni sociali (ma il discorso vale anche per gli individui), politiche e culturali, la nostra cultura prevede per principio solo approcci endonomici. Il “motore della storia” sarà interno alle forme sociali, le forme politiche dipendono chi pensa dai modi economici, chi altro pensa da preferenze ideologiche, così le culture, poi come “unità metodologica” c’è chi pone solo gli individui, chi invece i gruppi magari chiamandoli comunità o classi o società etc. etc. Ovvero, data un società x, cercheremo le ragioni del perché è così e non cosà, analizzando il suo interno nello statico o nel dinamico del tempo storico. Comunque, partendo dall’assunto dato, ma non giustificato, che tutte le cause dei vari modi in cui la società è e si struttura, dipendono da forze interne, condizioni che impongono la legge “nomia” partendo da fatti interni “endo”.
Esonomia, invece, dice il contrario, pone ciò l’attenzione all’esterno della società, ciò in cui è posta la società. Può esser l’esterno ambientale, quello geo-storico, il tempo caratteristico della civiltà di appartenenza, la complessa rete sistemica in cui ogni società è iscritta di natura e cultura. Esonomia segnala quando la legge, intesa qui come pressione adattiva, proviene non dall’interno ma dall’esterno. Il che ci porta al concetto di adattamento. Infatti, se ti devi adattare, vorrà dire che c’è un esterno a te con il quale devi andare d’accordo.
Il concetto di adattamento, diversamente da esonomia, esiste nella nostra immagine di mondo ma non è molto sviluppato. Darwin, a suo tempo, ha proposto una teoria dell’adattamento, ma gli interpreti della sua opera del 1859, hanno preferito apporgli concetto di “evoluzione”, termine che non esiste nella prima edizione dell’Origine delle specie. Quindi Darwin scrive l’opera fondativa della teoria dell’evoluzione, ma senza mai usare il termine, così come Marx scrive le opere fondative il concetto di capitalismo usando il termine, pare, solo due volte nella corrispondenza privata. Fu un sociologo, Sombart, a chiamare capital-“ismo” il sistema a lungo analizzato da Marx e fu un altro sociologo Spencer a chiamare evoluzione la teoria di Darwin, potenza degli interpreti!
Glielo appose Spencer che, in quanto anche filosofo, era legittimato poiché artigiano nella “fabbrica dei concetti” (questa è la funzione della filosofia o almeno “una delle funzioni”) e poiché era anche il produttore principale del concetto di “progresso” (siamo nella seconda metà del XIX secolo in quel della Gran Bretagna), gli veniva bene appaiare il concetto di progresso con quello di evoluzione.
Ma l’opera di Darwin non è del tutto sull’evoluzione, è più sull’adattamento. Però, la cultura occidentale, poiché ha coartato per secoli natura ed altri popoli per favorirsi l’adattamento, non ha ritenuto utile problematizzare il fatto adattivo, lo ha fatto e basta, passando poi il resto del tempo della sua auto-riflessione a domandarsi quali forze interne (endonomiche) hanno fatto sì essa abbia sviluppato i suoi modi che siano la società di classe, il capitalismo, la democrazia liberale, la tecnoscienza e molto altro della nostra storia culturale di famiglia. Colpa o merito di individui o classi sociali o specifiche ideologie o teorie, tutte però nate come Atena dal nulla, gratuitamente, per genio (o perversione) umano endogeno o forse per caso. Nessuno pare si sia mai domandato quali fossero le pressioni esterne che hanno mosso individui o classi o teorie ed ideologie a fare quel che hanno fatto o pensato.
Tant’è che oggi, che il modo sta cambiando radicalmente, pare che nessuno capisca bene il perché visto che cercando all’interno non si trovano poi questi complessi forti di cause agenti. Il fatto che sia il mondo fuori di noi ad esser cambiato, quello umano (altri popoli e civiltà) o naturale (ecologia e clima), pare interessi dal nulla al poco. Non si comprende ciò la carica esonomica che ci imporrebbe di cambiare molte cose per il semplice fatto che dovremmo adattarci ad un mondo nuovo. A noi piace il concetto di Nuovo Mondo ovvero la scoperta dell’America, ma abbiamo difficoltà insormontabili con il Mondo Nuovo, perché non siamo abituati a domandarci del “fuori di noi”. In particolare quelli del Nuovo Mondo hanno difficoltà col Mondo Nuovo, poverini, si capisce …
Ne verrebbe fuori a seguire un lungo e bellissimo discorso anche sulla nascita delle gerarchie, anche perché il Clastres usa il concetto proprio nella sua ricerca sulla nascita dello Stato e la rottura dei regimi egalitari sociali dei selvaggi che si potrebbero, con giudizio, retroproiettare al passaggio tra Mesolitico e Neolitico ovvero nascita delle società complesse e delle gerarchie sociali ab origine. Ma qui non c’è spazio e tempo, quindi andiamo a chiudere.
Volevo solo segnalarvi che, in prima istanza, le perturbazioni profonde, continuate ed incrementali che vanno ad affliggere i nostri ordini sociali, provengono proprio da questo “fuori di noi” che fatichiamo a considerare nel suo continuo proporci nuovi dilemmi adattivi. La nostra, oltreché complessa, è una era potentemente esonomica. Forse pari per intensità solo al passaggio tra Mesolitico e Neolitico. Specifico che il “noi” qui usato non si riferisce come solitamente intendiamo senza curarci della nostra ipertrofia egotica occidentale, nel senso di “umanità”. Noi non siamo l’umanità siamo solo una parte, pure piccola (intorno un sesto, circa). Alla nostra civiltà o civilizzazione si voglia intendere, l’era propone potenti ed inediti, specifici dilemmi adattivi, per questo la diciamo esonomica. Familiarizzare col concetto è un buon primo passo per sviluppare nuove strategie adattative, necessarie ed urgenti. Su questa riformulazione strutturale della nostra immagine di mondo siamo molto in ritardo e ciò non va bene.
Per involontaria saggezza implicita la logica delle immagini di mondo, sia il concetto di “economia”, che quello di “isonomia” che era il nome originario di quella che poi si chiamerà “democrazia”, hanno in realtà molto a che vedere con l’esonomia. L’equazione adattiva del nostro futuro ha infatti questi tre poli: data una certa esonomia, come si mette a quadro funzionale ed adattivo l’economia con la democrazia nelle società della civiltà occidentale?