I manifesti nemici, di Roberto Buffagni

replica ad Alessandro Visalli, prima parte http://italiaeilmondo.com/2017/10/31/lo-scontro-tra-le-diverse-europe-due-dichiarazioni-di-alessandro-visalli/

Continua il dibattito a proposito di “quale Europa” http://italiaeilmondo.com/2017/10/24/quale-europa-a-cura-di-giuseppe-germinario/

Di nuovo ringraziando Alessandro Visalli per la sua analisi approfondita e ricca di spunti di riflessione, gli replico per punti.

1) Conservatorismo/Progressismo, Destra/Sinistra. Scrive Visalli che i due manifesti nemici appartengono entrambi al “campo conservatore”. La definizione è interessante proprio perché si presta ad essere equivocata. Se per definire “campo conservatore” e “campo progressista” ci si riferisce allo spettro delle forze politiche rappresentate nei parlamenti europei, e si fa dunque coincidere conservatori e destra, progressisti e sinistra, la definizione è precisa; non al millimetro, ma sostanzialmente esatta. I firmatari di entrambi i manifesti nemici appartengono allo stesso insieme politico, grosso modo identificabile con il centro/centrodestra parlamentare.

Se invece la definizione di conservatori e progressisti si concentra sulla cultura politica, diventa impossibile attribuire entrambi i manifesti nemici al campo conservatore, e tanto l’inimicizia tra i manifesti quanto le sue ragioni si fanno subito chiarissime (come illustra bene Visalli più oltre).

In termini di cultura politica, progressismo comporta l’assenso a: universalismo politico (sottolineo politico) e relativismo spirituale, egualitarismo omologante, individualismo astratto, telos e senso della storia identificati con la distruzione creatrice capitalistica e il progresso che meccanicamente ne consegue, in vista dell’obiettivo strategico/utopico del governo mondiale; a garanzia della scelta di fondo, l’interpretazione della modernità come cesura epocale irreversibile e decollo prometeico-utopico, la potenza dispiegata dalle tecnoscienze, e l’applicazione a tutti i domini dell’essere del metodo proprio alle scienze dei fenomeni (scientismo).

In termini di cultura politica, conservatorismo comporta l’assenso a: endiadi di universalismo spirituale e relativismo politico, primato ontologico della comunità sull’individuo e della gerarchia sull’eguaglianza tanto nella personalità dell’uomo quanto nella strutturazione della società, telos e senso della storia identificati con la trasmissione dell’eredità del passato e la perenne ricerca – sempre contrastata e sempre rinnovata, mai conclusiva – dell’ordine, in vista del bene comune; a garanzia della scelta di fondo, l’interpretazione della modernità come crisi epocale ed enigma faustiano, che insieme a uno splendido incremento di potenza e conoscenza porta con sé nel mondo hybris, sradicamento, disordine e malattia dello spirito.

E’ sintomatico il fatto che di recente, le alleanze politiche tra forze organizzate e rappresentate nei parlamenti europei tendano ad abbandonare il consueto discrimine destra/sinistra per ricomporsi, invece, lungo il clivage tra conservatorismo e progressismo in quanto culture politiche. Il caso più esemplare di questo spostamento dall’inimicizia politica all’inimicizia culturale è l’alleanza che ha portato alla presidenza della Repubblica francese Emmanuel Macron: un’alleanza che ha spaccato sinistra e destra politiche francesi, per ricomporle in un’alleanza che rivendica il suo progressismo militante sin dal nome, “En marche!” (in marcia verso dove non è indicato, ma si presume in avanti, “verso il progresso”). Catalizzatore di questo spostamento è, ovviamente, l’Unione Europea, e i giudizi che ne danno le forze politiche: sì/no, riformabile/irriformabile, amico/avversario, avversario/nemico.

Perché il giudizio sull’Unione Europea è, per forza di cose e vorrei dire per antonomasia, un giudizio sull’Europa, e dicendo “Europa” non si designa soltanto una realtà geografica, politica, storica: si designa la tradizione culturale, egemonica nel mondo, dalla quale nascono entrambe le culture politiche, conservatrice e progressista, che nei due manifesti nemici vediamo prendere le armi l’una contro l’altra. Assistiamo dunque, e anzi volenti o nolenti partecipiamo, alla ripresa in forma trasfigurata delle guerre di religione che hanno scosso l’Europa cinque secoli fa. Scrivo “guerre di religione” perché il conflitto in corso non si svolge soltanto, e credo neanche soprattutto, sul terreno della potenza; si svolge sul terreno dello spirito, là dove si pongono domande quali “che cos’è uomo, storia, comunità, destino, mondo, vero, falso, bene, male?” Quando forze politicamente organizzate entrano nel Kampfplatz filosofico e vi si schierano, si inaugura una guerra di religione. Per la precisione, oggi come cinque secoli fa, si tratta di una guerra civile di religione. Lo illustra con solare chiarezza la “Dichiarazione di Parigi”, che designa la Unione Europea come falsa Europa, il progressismo come superstizione, cioè falsa religione. E’ la dinamica, a parti e rapporti di forza rovesciati, che inaugurò la guerra di religione in seno alla Cristianità europea: la reciproca accusa di eresia. Il manifesto di Parigi è l’analogo delle 95 tesi luterane; oggi come allora, l’ortodossia ufficiale stenta a registrare la radicalità della sfida, perché il suo sguardo di potenza dominante è anzitutto sguardo politico, che si concentra su ciò che si manifesta nel campo dei rapporti di forza.

Alla radice della civiltà europea, sin dalla sua infanzia greca, c’è un tema, sempre di nuovo riproposto e interrogato: la tensione insolubile tra potenza e spirito. Dalla critica socratica e platonica della democrazia imperiale periclea, alla dialettica Impero/Chiesa simboleggiati dai “due soli” del De Monarchia dantesco, alle utopie politiche del Novecento, è l’interrogazione su questo enigma che istituisce l’identità profonda dell’Europa, per così dire il compito metastorico che la definisce.

2) Dove si schiera la sinistra. Scrive Visalli: “La sinistra…è secondo lui [secondo me] indisponibile a produrre una riflessione critica, e tanto meno un’azione politica contro la UE, e dunque si estromette automaticamente dal campo dello scontro ordinato da questa dualità. Cioè non entra nella battaglia.” Perché “ancora troppo legata alla mossa inaugurale della modernità, ed al mito della rivoluzione (in primis francese) per riconoscere il lato oscuro della ragione illuminista, la sua hybris di potere.

La mia era una semplice constatazione politica di fatto, ma Visalli la sviluppa correttamente. Aggiungo una precisazione e azzardo una previsione. La linea di frattura lungo la quale la sinistra si spaccherà, dividendosi nei due campi della guerra civile di religione che si prepara, è quella che corre fra la sinistra umanista-marxista e quella post-strutturalista: perché qualsiasi umanismo deve fare appello (magari con qualche incoerenza, nel caso dell’umanismo di derivazione marxista) a un’idea di dignità e natura umana e a una visione sostantiva del bene, una mossa che i critici della modernità e del capitalismo di famiglia foucaultiana non possono e non vogliono compiere. La parola chiave è: visione sostantiva del bene e dell’uomo; “sostantiva” nel senso forte che la parola “sostanza” prende nella tradizione filosofica greco-romana e cristiana.

E’ su questo “sostanzialismo”, (che Visalli chiama “essenzialismo”) che possono incontrarsi, ed effettivamente già si incontrano nell’opera di Michéa e di altri, la cultura politica del conservatorismo e quella della sinistra umanista. Nella Dichiarazione di Parigi, l’uso della terminologia “essenzialista” e di giudizi assiologici quali buono/cattivo, vero/falso, è obbligata e, naturalmente, consapevole della propria inattualità scandalosa. Perché alla base della cultura politica conservatrice sta il concetto di natura umana, fondato religiosamente e/o metafisicamente, come lo definiscono tanto la filosofia greco-romana, quanto il cristianesimo che (parzialmente) la integra e la sviluppa. Si tratta di “un assolutismo”, come sostiene Visalli? Sì e no. Lo definirei piuttosto un universalismo spirituale che implica un relativismo politico. Universalismo, perché la “scienza delle sostanze” cerca che cosa sono le cose e che cos’è l’uomo, non come funzionano le cose e l’uomo, e dunque non può e non vuole rinunciare all’affermazione assoluta e universale della verità. Ma come correttamente rileva Visalli, “una comunità universale è, quasi per definizione, impossibile”: e dunque, dalla ricerca e dall’affermazione universale delle essenze e del vero non consegue affatto che sia possibile e necessaria la realizzazione effettuale della comunità politica universale, che nella prassi si traduce in governo (imperiale) mondiale; il quale è anzi una contraffazione della vera comunità universale, che si realizza solo nello spirito, e il cui modello europeo è la Chiesa cattolica cioè universale. Su questo tema rimando sia all’elaborazione agostiniana (le due Città) sia soprattutto alla riflessione di Nicola Cusano, nel De docta ignorantia e nel De pace fidei. In sintesi: all’universalismo spirituale corrisponde il relativismo politico, cioè l’accettazione delle differenze e delle divergenze in merito al vero come dato storico permanente, che tale rimane finché la storia è storia e l’eschaton non la solvet in favilla.

Questo è un punto di grande rilievo, perché tocca immediatamente l’evento storico e simbolico in rapporto al quale oggi si dividono i campi conservatore e progressista, la Rivoluzione francese.

Le parole d’ordine della rivoluzione francese, “libertà eguaglianza fraternità”, sono problematiche sin dal primo giorno in cui qualcuno le propose come programma politico. Sono problematiche perché sono parole e valori cristiani, ma sono rescissi dal cristianesimo: sia dal cristianesimo come religione, sia dal cristianesimo come cultura che reinterpreta e almeno in parte assorbe il legato greco-romano. Rescissi dal cristianesimo come religione perché due dei dogmi fondamentali del cristianesimo sono a) il peccato originale (= l’uomo da solo non è capace di piena libertà, e anzi ne fa uso per realizzare il suo più profondo desiderio, diventare Dio, così esponendosi a conseguenze destrutturanti (perdizione) che richiedono l’Incarnazione, il sacrificio della Croce, la Redenzione b) il fine ultimo dell’uomo e della storia umana non è situato in questo mondo ma nell’Altro, cioè nell’eschaton.

Rescissi dal legato greco-cristiano perché per esso a) l’uomo è libero solo quando è capace di agire in conformità a ragione, ed è chiaro a chiunque che non tutti gli uomini ne sono capaci, anzi ne è capace solo una piccola minoranza, se per ragione non si intende la capacità di scegliere mezzi atti a un fine qualsiasi, ma la capacità di individuare e perseguire il fine reale della vita umana, capacità che richiede, per esempio e tra l’altro, il dominio delle facoltà superiori sulle facoltà inferiori della persona, cosa per niente facile come sa chi sia stato aggredito da qualcuno intenzionato farlo fuori o abbia anche solo provato a smettere di fumare. b) L ’eguaglianza tra gli uomini è solo virtuale o potenziale. L’incipit della Metafisica di Aristotele dice: “Tutti gli uomini per natura tendono al sapere”, il che è certamente vero sul piano della potenzialità, certamente falso se lo si intende come constatazione empirica di un dato di fatto, come è facilissimo rilevare facendo due chiacchiere con i conoscenti c) La fraternità è possibile solo in due casi: 1. possono essere e sentirsi fratelli gli appartenenti a una comunità culturale e politica realmente esistente, necessariamente limitata e singolare, non universale 2. possono essere e sentirsi fratelli i figli di uno stesso Padre, necessariamente Celeste, che diano origine a una comunità spirituale potenzialmente universale e realmente esistente anche sul piano storico (la Chiesa) che però in quanto tale non può coincidere con nessuna comunità storica, empirica, singolare.

Il tentativo di realizzare le parole d’ordine della rivoluzione francese in una visione del mondo e dell’uomo secolarizzata e antimetafisica come quella illuminista e progressista provoca l’ enantiodromia, cioè a dire che parti per fare A e invece fai Z. La dialettica dell’universalismo politico è questa, e la situazione che ne consegue il presupposto della guerra civile di religione che si annuncia.

Fine della prima parte.