Ecologia o delirio ?_di Davide Gionco

Ecologia o delirio ?
Le politiche ambientali dell’Unione Europea, l’idealità totalmente slegata dalla realtà.

di Davide Gionco

L’UE e gli ecologisti monotematici
L’Unione Europea è governata da ecologisti. Almeno in teoria.
Nulla fanno per evitare la diffusione delle microplastiche nell’ambiente e di altri composti chimici che portano effetti avversi gravi sulla salute umana: glifosato, PFAS, grafene, sostanze nanotecnologiche, radioattività, ecc..
Nulla fanno per evitare la diffusione di armi che uccidono molto più dell’effetto serra, anzi, fanno di tutto per aumentarne la produzione, così come per diffondere la mentalità di guerra.
Ma ci difendono dall’unico grave pericolo preso in considerazione dalla narrativa dei mass media: le emissioni di CO2 che portano al cambiamento climatico.
Da questa ideologia scaturiscono le proposte del piano “Fit for 55”.

Naturalmente non si propongono limitazioni all’importazione di prodotti commerciali contenenti energia fossile consumata in altri continenti, che causano emissioni di CO2 esattamente come se lo facessimo in Europa. Le limitazioni al consumo di energia vengono imposte unicamente in Europa, così che il risultato, alla fine, sarà comunque insufficiente rispetto all’obiettivo prefissato, dato che gli altri, fuori dall’Europa, avranno continuato ad inquinare, anche grazie agli acquisti di merci estere da parte dei paesi dell’UE.

In realtà l’unico motivo sicuro per cui l’UE dovrebbe affrancarsi dalle energie fossili è che si libererebbe dai condizionamenti da parte dei paesi fornitori di gas e di petrolio. L’autosufficienza energetica è qualcosa che può offrire ad un governo molti margini di azione nella politica internazionale e garantire una maggiore stabilità dei prezzi per famiglie ed imprese.

Chiudiamo qui la discussione sulla opportunità o meno di perseguire l’obiettivo primario di perseguire la riduzione delle emissioni di CO2. Assumiamo che si tratti dell’obiettivo giusto da perseguire e valutiamo la razionalità e l’efficacia delle soluzioni proposte.
La sensazione è che da parte della Commissione Europea e dei mezzi di informazione (che sanno solo fungere da amplificatore) è che vi sia una idealità totalmente slegata dalla realtà.
Un conto è che una singola persona, una singola famiglia, una singola impresa passi dall’auto a benzina all’auto elettrica o che installi una pompa di calore o che metta l’isolamento termico ad un edificio. Un altro conto è che a farlo siano centinaia di milioni di persone in tutta Europa o 60 milioni di persone in tutta Italia.

Ci sono dei problemi di fattore scala, come si dice fra noi ingegneri. Infatti è prima necessario verificare che filiere produttive dispongano di quanto necessario (materie prime, manodopera, capitali) per fare fronte all’aumento della domanda del mercato.

 

Il caso delle auto elettriche
Se un cliente si presenta da un autorivenditore per acquistare un’auto elettrica, questi non avrà problemi a vendergli una singola auto elettrica. Né la rete elettrica avrà, successivamente, problemi a rendere disponibile la necessaria energia elettrica per il funzionamento di una singola auto elettrica. Né ci saranno problemi, quando sarà ora di smaltire la batteria dell’auto, a trovare un modo sostenibile per farlo,
Ma ben diverso è che si presentino da tutti gli autorivenditori in Italia 20 milioni di italiani, ciascuno ordinando un’auto elettrica. In quel caso per rispondere all’ordinativo sarà necessario fare i conti con la capacità del sistema di produrre nel tempo richiesto tempi brevi una tale quantità di automobili. E’ evidente che i produttori non sarebbero pronti per passare da 100 mila auto vendute elettriche vendute in Italia nel 2022 a 1,3 milioni l’anno (totale delle auto vendute in Italia nel 2022), 13 volte tanto.
Per fare fronte a questa nuova domanda, infatti, sarà necessario reperire in sufficiente quantità le materie prime per i nuovi motori elettrici e per le batterie, le quali non sono prodotte scrivendo numeri sul computer, come si fa quando si scrive una norma, ma sono estratte dal pianeta terra, con implicazioni ambientali, sociali, geopolitiche, con il rischio di guerre per il controllo delle risorse.
Oltre a questo sarà anche necessario organizzarsi per smaltire, in modo ecologicamente sostenibile, le batterie elettriche esauste, per quantitativi 13 volte superiori a quelli attuali.

E si dovrebbe anche fare i conti con la disponibilità di energia elettrica, che dovrebbe aumentare considerevolmente rispetto all’attuale produzione.
Dove la prendiamo? Che cosa significa aumentare a tali livelli di disponibilità di energia elettrica?
Nel 2020 l’Italia aveva un consumo di energia elettrica di 319 TWh, di cui solo 273 TWh prodotti in Italia (e 46 TWh importati) e di cui 182 TWh provenienti da fonti non rinnovabili e solo 91 TWh da fonti rinnovabili.
A questo si andrebbero aggiungere altri 65 TWh l’anno per sostituire l’energia fossile delle auto termiche con energia elettrica da fonti rinnovabili.
L’Unione Europea ha proposto che dal 2035 vi sia il divieto di produrre auto termiche in Europa, per evitare di emettere CO2 con i motori termici. Ma questo significherà anche organizzarsi per aumentare la produzione elettrica da fonti rinnovabili di 182 + 65 = 247 TWh/anno rispetto ai 91 TWh/anno attuali, con un incremento pari a 2,7 volte. Oltre al fatto che dovremmo assicurarci che anche i 46 TWh/anno che importiamo provengano da fonti rinnovabili-
A chi parla di costruire nuove centrali nucleari risponderei che, dal momento della decisione, ci vogliono 14-15 anni prima di mettere in servizio una centrale nucleare (quindi saremmo già in ritardo per il 2035). E, anche in questo caso, dovremmo fare i conti con la disponibilità di ingegneri e di personale tecnico per progettarle e realizzarle, considerando che questo avverrebbe simultaneamente in tutta Europa.

In sostanza stiamo parlando di ideologia pura, di cifre teoriche scritte sulla carta, senza tenere conto della fattibilità concreta di quanto proposto.

Non a caso lo scorso mese di dicembre 2022 il CEO della Toyota, primo produttore al mondo di automobili (qualcosa ne sanno) ha detto chiaramente che al momento non siamo ancora pronti, sia per il fatto di non disporre di sufficiente energia elettrica per tutte queste auto. Se, infatti, l’energia elettrica necessaria fosse prodotta da fonti fossili, i rendimenti sarebbero peggiori di quelli attuali e inquineremmo ancora di più.

Oltre alla sostanziale impossibilità e non convenienza tecnica è anche necessario affrontare il discorso economico: quante famiglie sono in grado di permettersi di acquistare un’auto elettrica nuova da 30-40 mila euro nei prossimi anni a venire? Dove trovare tutti questi soldi, se non sommergendo di debiti le famiglie, a solo vantaggio degli istituti di credito finanziario?

Il caso delle case ecologiche
Il discorso si fa ancora più insostenibile nel caso dell’obbligo imposto dalla UE di portare tutti gli edifici almeno in classe energetica E entro il 01.01.2030 ed entro la classe D entro il 01.01.2033.
Sarebbe certamente una cosa utile. Anche per chi non fosse convinto dell’utilità ambientale, sarebbe certamente utile per il portafoglio che abitassimo tutti in case energeticamente efficienti, perché questo ci consentirebbe di ridurre il peso delle bollette per il riscaldamento e la nostra dipendenza estera da fonti energetiche fossili.

Quello che pare una emerita assurdità è pretendere che tutti i proprietari (compreso lo Stato) di edifici di classe energetica inferiore alla E riescano a realizzare i necessari interventi di ristrutturazione edilizia da qui al 31.12.2029. E poi, in soli 2 anni, fare lo stesso per gli edifici in classe E, a portare almeno in classe D.

Secondo i dati forniti dall’ENEA, i lavori di ristrutturazione energetica degli edifici trainati dal Superbonus 110% hanno portato in 3 anni di lavori a ristrutturare 360’000 edifici, saturando di lavoro il settore dell’edilizia.
Quindi, lavorando a pieno regime, il settore è in grado di ristrutturare al massimo 120’000 edifici ogni anno.
Considerando che gli edifici in Italia di classe energetica inferiore alla E sono 8,8 milioni, questo significa che, disponendo dell’attuale forza lavoro, servirebbero 73 anni per completare i lavori richiesti (entro fine 2029, meno di 7 anni) dalla UE. Oppure, in alternativa, servirebbe moltiplicare almeno di 10 volte la forza lavoro nel settore delle ristrutturazioni energetiche. Considerando che oggi l’edilizia occupa 2 milioni di persone, dovremmo istantaneamente passare a 20 milioni di lavoratori nel settore (ovviamente da formare e a cui fornire le necessarie attrezzature), sapendo che attualmente in Italia siamo in tutto 18-19 milioni di lavoratori.
Ovvero dovrebbe tutti lavorare nell’edilizia (compresi i disoccupati), tralasciando tutte le altre attività lavorative.

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che, addirittura, sarebbero previsto, per chi non si adegua, il divieto di affittare o di vendere tali immobili.
Se anche il governo non avesse affossato il Superbonus 110%, non tanto riducendo la quota di detrazioni all’80%, ma soprattutto vietando la cedibilità dei crediti fiscali, il che taglierà fuori dal beneficio la grande maggioranza dei proprietari, fiscalmente incapienti, con l’attuale forza lavoro si potrebbero mettere a norma solo 840’000 edifici nei tempi imposti dalla UE, lasciando quasi 8 milioni di edifici fuori norma, sui 12 milioni esistenti in tutta Italia. Ovvero 2 edifici su 3 non sarebbero più né affittabili, né vendibili.
Si tratta, quindi, non solo di una disposizione impossibile, ma delirante.
E’ solo il caso di far notare che nessuno dei geni che ci governano, né dei geni che fanno finta di fare opposizione, se ne sia accorto. Quantomeno non si è sentito nessuno che abbia denunciato l’impossibilità delle richieste della UE, con la proposta di rispedirle al mittente.

Conclusioni
La prima conclusione da tratte è che in Europa e in Italia non siamo governati da ecologisti, ma da persone in preda ad un delirio ideologico.
Infatti concentrano tutte le attenzioni ad un solo aspetto, forse neppure il più urgente, delle questioni ambientali, senza occuparsi di tutti gli altri aspetti.
In secondo luogo vogliono imporre ai cittadini europei ed al mondo produttivo delle misure fattivamente impossibili da realizzare e con conseguenze catastrofiche certe sull’economia.
Se dobbiamo impegnarsi a salvaguardare il pianeta, lo dobbiamo fare per il nostro benessere e dei nostri discendenti.
Se le misure proposte portano inevitabilmente a sommergere di debiti cittadini e imprese, a devastare l’ambiente in altre zone del pianeta, a bloccare il mercato immobiliare, impedendo alla gente di cambiare casa o di vendere un immobile, a doversi privare dei mezzi di trasporto…
E tutto questo senza incidere più di tanto sull’effetto serra, dato che il resto del mondo continuerà ad inquinare come e più di oggi.

Nel frattempo gli stessi che ci governano trascurano, per ossequio alle varie lobbies industriali, tante altre questioni che riguardano la qualità di vita della gente, come la diffusione di altre sostanze inquinanti nell’ambiente, nei cibi, nei farmaci. Come la crescita della produzione e vendita di armi, che porta inevitabilmente all’aumento di morti ed al maggior potere dei produttori di armi nei confronti dei decisori politici. Ricordiamoci che “L’Italia ripudia la guerra”. Non lo abbiamo scritto a caso nella Costituzione.

Vorrei chiedere ai nostri politici ed ai giornalisti che fanno informazione di liberarsi da questi folli condizionamenti ideologici, perché la storia ci insegna quanti morti sono arrivati dalle derive ideologiche nei decisori politici.
Chiediamoci se l’attuale modello economico, che punta a trasformare tutto in business, incurante degli “effetti collaterali” (sulle persone, sull’ambiente), sia davvero un modello economico adeguato pert gli obiettivi che ci prefissiamo.
Va bene usare le ideologie per pensare ad un mondo migliore, ma impariamo a fare sempre i conti con la realtà. Diversamente rischiamo di raggiungere risultati molto diversi da quelli sognati.

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7], di Daniele Lanza

Vista la gravità dell’episodio di questi giorni a Berlino (più ci si pensa più ne diventa nitida la gravità estrema), ripubblico una vecchia serie di riflessioni in merito all’identità dello stato tedesco nell’ultimo secolo, che scrissi svariati anni fa in coincidenza dei festeggiamenti per la fine del conflitto mondiale :”IL CICLO DEI VINTI” in 7 parti.
Dato che la crisi dell’ultimo anno ha costituito una prova del 9, gettando luce sulle identità e sulle fedeltà di ognuno di noi e di ogni stato (i periodi di crisi hanno questo effetto) e in generale sull’ASSENZA di una comunità europea realmente indipendente ed efficace……..suggerisco di ripassarne i fondamentali iniziando proprio dal suo tassello più importante che è la GERMANIA contemporanea.
Buona (ri)lettura.
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco. Da leggere ma senza impegno)
Antichissimo buon senso orientale ci ricorda che ad ogni evento che determini un guadagno da una parte, sempre ed inevitabilmente corrisponde una perdita di analoga entità da un’altra : quest’ultima, la perdente, può essere più vicina a noi e quindi immediatamente percepibile, oppure – al contrario – meno prossima o addirittura remota, tanto da sfuggirci e darci l’illusoria impressione che il nostro successo si sia verificato senza danno, senza vittime. Di pia illusione si tratta naturalmente…..poichè per legge empirica (diciamo), ad un surplus aritmeticamente quantificabile in un determinato luogo, DEVE corrispondere un deficit altrove : possiamo infischiarcene di questo “altrove” certamente, concludere sulla base dei nostri valori e priorità che non ci riguardi (è a tutti gli effetti un diritto), ma decidere che non esista e far finta di nulla…..è una comodità che qualsiasi rigore intellettuale non consente (per dire : un governante può anche lavarsi le mani del fatto che milioni di suoi sudditi siano scalzi o soffrano carestie, ma NON può difendersi affermando di ignorare la situazione. Nel caso che veramente la ignori, mal gliene incolga – ogni riferimento all’ultimo tsar non è casuale).
La letteratura moderna ribadisce il concetto con la “teoria della somma zero” di Marx.
Mi duole prendere le cose troppo alla lontana, ma quanto avete appena letto costituisce la premessa filosofica, il senso di fondo, di quanto cercherò di esprimere in quanti capitoli sgorgheranno dalla mia tastiera da qui in avanti…….è a questo incipit che mi riallaccerò al momento dell’epilogo, chiudendo il cerchio.
Dunque…la storia – nella sua totalità – non si ferma mai, nel senso che laddove una storyline finisce, ipso facto ne nasce un’altra che prosegue (semplicemente si sostituiscono gli attori) : è la dinamica convenzionale considerando che tutto è correlato e che molto spesso una vicenda nasce dalle ceneri o dall’esaurimento di una ad essa anteriore. Orbene, questo perenne passaggio di testimone dalle alterne fortune genera naturalmente memorie differenti : tutto ciò che simboleggia gaudio e stimolo per la parte vincente in entrata -una data ad esempio – corrisponde, all’inverso, a triste epilogo per quella che soccombe, in uscita (elementare questione di prospettiva). Nel nostro caso si parla della GERMANIA, intesa come stato nazionale tanto per andare al punto senza tirarla avanti con altri fronzoli.
Il 9 maggio tutti cannoni – virtuali – di Russia (mio secondo paese), nonché di un’altra mezza dozzina di paesi del suo “commonwealth” culturale post-sovietico, sparano in commemorazione delle 75 estati trascorse dal momento in cui le forze armate germaniche firmano la capitolazione davanti al comando sovietico, concludendo il conflitto mondiale in Europa.
Il 9 maggio NESSUN cannone spara in Germania e mai lo farà. Indifferenza, un giorno come qualsiasi altro….anche in questo la tragedia del vinto : a prescindere dal tributo di sangue versato o dal valore dimostrato, lo attende l’oblio. In quanto sconfitto, diventa “male” secondo il metro di giustizia del nuovo contesto plasmato dai suoi vincitori, al punto che l’opzione più conveniente è la dimenticanza per l’appunto.
Da generazioni ogni 9 maggio milioni di adolescenti di Mosca, Leningrado, Ekaterinburg dilagano per le strade e i corsi principali contribuendo all’oceanico pubblico che segue la parata in un turbine variopinto di drappi, bandiere, striscioni, nastri, fiocchi medaglie, e qualsiasi cosa possa luccicare sotto il sole della tarda primavera, in ricordo di nonni e bisnonni.
Nel medesimo giorno i loro coetanei di Francoforte, Berlino e Amburgo sono a casa dopo un normale giorno di lezioni tra i banchi : loro nemmeno SANNO (non tutti) cosa sia stato o cosa abbia fatto il nonno o il bisnonno. E’ quasi come se non li avessero o almeno non li hanno per quanto concerne quella capsula temporale che segue l’anno 1933 e precede il 1945…pazienza per quanti di questi nonni e bis. sopravvissero e si costruirono un’esistenza nella generazione a venire, ma per coloro che ebbero sventura di cadere sul campo di battaglia la faccenda si fa problematica dato che la finestra temporale 33-45 come si è detto è zona morta.
Ecco, siamo di fronte a un triangolo delle Bermuda della memoria collettiva tedesca (come ben si sa), un buco nero che inghiotte e dissolve visi e voci, dissolvendoli riducendoli a un nebbioso e remoto mare di sagome che emette un lamento confuso : zona morta anche per i morti – scusate il gioco di parole – dove non muoiono esattamente, ma piuttosto vengono discretamente rimossi dalla linea temporale. Sì perché una morte eroica fa frastuono, attira l’attenzione pubblica…. è problematica ! L’autorità tedesca post-bellica NON poteva parlar bene dei propri uomini in uniforme, ma nemmeno male (perché aldilà del bene o del male, l’atto stesso del parlare, tiene in vita la cosa) ragion per cui si opta per la soluzione meno compromettente ed efficace : miniaturizzazione, compressione, vaporizzazione (passatemi qualche verbo originale) del soggetto tabù.
E allora ?? Quel golia chiamato “Wehrmacht” ha ancora da lamentarsi ?! Un conflitto convenzionale non demolisce demograficamente mezza dozzina di nazionalità diverse al passare di un singolo esercito ! Dire che si è passato il segno è limitativo, imbarazzante. Una dirigenza politica come quella del reich e coloro che maggiormente la sostennero (tra cui le forze armate) lanciatasi in un progetto di ambizione e incognite fuori scala, deve accettare le leggi dell’azzardo il che prevede ritrovarsi obliterati dal tavolo da gioco se qualcosa va male, le scuse non esistono nemmeno se si vede il gioco dal loro stesso punto di vista (…).
Il nodo – alla base del dibattito sull’identità tedesca dal dopoguerra in avanti – è questo, la posta in gioco : ci si è giocati integralmente il proprio paese come in una partita e quando questo accade, non soltanto la frazione più direttamente responsabile, ma tutto e tutti ne subiranno il peso…sarà la patria nella sua totalità – il concetto di essa – a pagare un tributo. La Germania non è solo nel novero dei paesi sconfitti dalla guerra, ma in quello dei paesi SCOMPARSI a seguito della guerra dal momento che le statualità post-conflitto non saranno la continuazione del paese “tradizionale” nato nel XIX° secolo : in questo senso è proprio la Germania tradizionale ad essere la prima vittima del nazionalsocialismo.
Il 9 maggio si aprono le porte al sorgere della “patria – superpotenza” diretta da Mosca, mentre conversamente, il medesimo giorno muore la “vecchia patria” in Germania.
(CONTINUA…)

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Proposte di pace, propositi di guerra_con Antonio de Martini

Il mondo occidentale, patrocinato dagli Stati Uniti, continua a offrire la propria rappresentazione come quella del mondo intero. Il conflitto in Ucraina non fa eccezione. La novità consiste proprio nel fatto che la verità che ci viene offerta in Europa e negli Stati Uniti questa volta è radicalmente diversa da quella accettata nel resto del mondo. L’amministrazione statunitense rivendica a buon diritto la compatezza conseguita, al momento, nel blocco di alleanze costruito nei decenni pur con qualche crepa; glissa nervosamente sulla neutralità e sulla aperta opposizione di un gran numero di stati nazionali e della gran parte della popolazione nel mondo al suo avventurismo. Dopo la Turchia, iniziano ad emergere nuovi attori di primo piano pronti ad esercitare una azione di mediazione. Lo stesso conflitto ucraino da essere l’oggetto univoco delle attenzioni si sta trasformando con il tempo nella leva per ridefinire le relazioni geopolitiche. La proposta impropria di mediazione della Cina assume questo significato. Nelle more, ancora una volta, i soggetti che vedranno restringere il proprio campo di azione saranno i centri politici europei. La direzione obbligata sarà quella dell’Africa. Ma in una condizione di estrema debolezza e con un retaggio coloniale e neocoloniale pesante come un fardello. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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CRONACHE DEL MONDO MULTIPOLARE, di Pierluigi Fagan

CRONACHE DEL MONDO MULTIPOLARE. Negli ultimi giorni abbiamo avuto un ennesimo voto di condanna delle UN verso l’invasione russa, con l’auspicio di una pace completa, giusta e duratura ed i risultati di una ricerca di opinione condotta dall’European Council for Foreign Relation (ECFR) in Occidente più Russia, Cina, India, Turchia effettuata attraverso tre grandi istituti internazionali. Il tutto ad un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina.
In breve, il voto UN è esattamente identico a quello di un anno fa, nulla si è spostato. Quanto alla ricerca la sintesi più precisa è del Direttore dell’ECFR, Mark Leonard: “Il paradosso della guerra in Ucraina è che l’Occidente è tanto unito quanto ininfluente nel mondo”.
L’opinione di Leonard combacia con quella di altri due partner nell’indagine. Ivan Krastev (Center for Liberal Strategy) ha detto: “Lo studio rivela che mentre la maggior parte degli europei e degli americani vive nel mondo pre-Guerra Fredda, caratterizzato dal confronto tra democrazia e autoritarismo, molti al di fuori dell’Occidente vivono in un mondo postcoloniale incentrato sull’idea della sovranità nazionale”.
Timothy Garton Ash (Oxford, Hoover, Stanford) invece ha detto: “I risultati sono estremamente deludenti: l’’occidente transatlantico, incentrato su Europa e Stati Uniti, è oggi più unito, ma non è riuscito a convincere le restanti potenze principali come Cina, India e Turchia. La lezione per l’Europa e l’Occidente è chiara: abbiamo urgentemente bisogno di una nuova narrativa che risulti convincente per Paesi come l’India, la più grande democrazia del mondo”.
Forse a seguire l’idea espressa da Garton-Ash, Biden ha proposto Banga come direttore della Banca Mondiale, un indo-americano ex Mastercard ed ora Exor (Agnelli), membro associato all’élite statunitense ma anche a capo di molte istituzioni miste USA-India per lo sviluppo commerciale. Banca Mondiale fa parte dell’originario pacchetto Bretton Woods 1945 e dalla sua fondazione ad oggi, il direttore è stato sempre e solo americano. Il corteggiamento americano all’India per portarla nell’alveo occidentalista va avanti da tempo. Oltre a Banga, oggi abbiamo la capo economista del FMI ed addirittura il primo Ministro britannico di origine indiana, oltre molti CEO influenti. Curiosa anche l’espressione usata da TGA ovvero “… abbiamo urgentemente bisogno di una nuova narrativa” che denota una deriva di mentalità in corso in Occidente ormai da un po’ di tempo. TGA non crede che gli indiani siano in grado di ragionare razionalmente sul proprio interesse strategico, hanno solo bisogno noi gli si racconti la storiella giusta. La realtà non esiste, esistono solo interpretazioni, narrative appunto.
Forse è per questo che come invece fotografa Leonard, dopo un anno di guerra l’Occidente si è condensato ed estremizzato sotto la costante pressione narrativa USA-NATO mentre una buona parte del resto del mondo va da un’altra parte. Quale parte?
Il Resto del Mondo pensa che presente ed immediato futuro c’è e ci sarà un mondo condominiale, rifiuta l’idea dei due blocchi contrapposti. Astenuti, assenti, contrari alla risoluzione UN, nonostante i numeri dei voti a favore la risoluzione (141) che comprendono molti stati ininfluenti, sommano comunque più della maggioranza del mondo. Ma molti votanti a favore della risoluzione che contiene comunque auspici ecumenici, ad esempio molti soggetti centro-sudamericani (Argentina, Brasile, Messico), africani, asiatici, non per questo si possono annoverare schierati così convintamente con l’Occidente nel nuovo bipolarismo armato auspicato dagli americani. Questi voti servono solo a fare titoli sui giornali, narrative appunto.
Corretta la sintesi che viene fatta nel Rapporto ECFR: “Uno dei risultati più sorprendenti del sondaggio riguarda le idee divergenti sul futuro ordine mondiale. La maggior parte delle persone sia all’interno che all’esterno dell’Occidente crede che l’ordine liberale guidato dagli Stati Uniti stia morendo”. E questo lo diamo come condiviso. Poi però “In Europa e in America, l’opinione prevalente è che il bipolarismo stia tornando. Un numero significativo di persone si aspetta un mondo dominato da due blocchi guidati da Stati Uniti e Cina.”. Nel resto del Mondo, invece: “… al di fuori dell’Occidente, i cittadini credono che la frammentazione piuttosto che la polarizzazione segnerà il prossimo ordine internazionale. La maggior parte delle persone nei principali paesi non occidentali … prevede che l’Occidente sarà presto solo un polo globale tra i tanti. L’Occidente potrebbe essere ancora il partito più forte, ma non sarà egemonico”. Differenze tra chi è soggetto a bombardamento narrativo e chi no.
Emerge così la strategia realista americana per quanto qui da noi impacchettata da narrative idealistiche. La Russia dovrà indebolirsi in modo da non esser più un pericoloso competitor militare. Mai più un’altra Siria, ci rivediamo nell’Artico. In vista del condominio planetario, all’Europa va tolta ogni autonomia strategica in modo da permettere a gli USA di sedersi al tavolo delle varie partite in cui si giocheranno i nuovi equilibri mondiali in nome e per conto dell’Occidente Unito. Un anno fa, definimmo questa una “cattura egemonica”, mi pare si sia perfettamente compiuta, obiettivo perfettamente raggiunto. Anche per evitare che l’Europa dia in toto a parte sponda a questo nuovo gioco con tanti giocatori, va imposto il format “crociata democrazie vs autocrazie”. Gli strateghi degli Stati Uniti sanno benissimo che il gioco sarà plurale e vogliono riservarsi quanta più forza per giocarlo da posizione di primato, per quanto sempre meno esclusivo.
Quindi non solo il voto UN è esattamente uguale a quello di un anno fa, anche le mie considerazioni lo sono, un anno fa circa scrivevo le stesse, identiche cose a conflitto appena iniziato.
Una ultima considerazione andrebbe fatta sulla convenienza europea. In prospettiva multipolare, l’Europa avrebbe ben potuto appartenere al fronte non allineato, quello che gli stessi ricercatori ECFR chiamano “Stati oscillanti” (ad esempio Turchia, India etc.), ma questo non era semplicemente possibile. Europa non è, né può essere, un soggetto geopolitico semplicemente perché non è uno Stato, non avrà mai una sola logica di interesse nazionale e non si può fare una strategia a più logiche. Ma neanche nei sogni più sfrenati può auspicare di diventare uno Stato per quanto federale poiché non ha alcun grado di potenziale omogeneità per esserlo. Non ne ha neanche la volontà. Al di là delle polemiche teatrali tra europeisti e sovranisti i leader europei ed i relativi popoli sono tutti cripto-nazionalisti, nessuno pensa di sciogliere il proprio Stato in un comune con altri. Infatti “europeismo” è una nuvola di sfocati pseudo-concetti ciancicati a coprire una realtà di confederazione economica con rilievi giuridici, così è e mai potrà esser altro.
Semplicemente, popoli, intellettuali, élite degli Stati europei, arrivano ad una svolta storica nel Grande Gioco del mondo, impossibilitati a giocarlo. Gli strateghi americani questo lo sapevano e lo sanno, per questo hanno forzato la mano e con successo, perché non c’era alcuna realistica alternativa viabile. Alternative c’erano ovviamente nel mondo delle chiacchiere, non in quello del crudo realismo ed è proprio la mancanza di realismo a far sì che noi si viva e si possa vivere solo nel mondo delle chiacchiere.

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L’AFRICA RIFIUTA I “VALORI” DELL’OCCIDENTE!_di (Bernard Lugan)

Su questo sito abbiamo più volte sottolineato il ruolo inconsistente e nefasto svolto dai paesi europei in Africa, specie nella area costiera mediterranea e subsahariana. Il deprimente allineamento dei paesi europei alla linea russofobica e di aperta ostilità alla Russia, tra le enormi implicazioni di postura geopolitica, di politica estera e di natura socio-economica, ne avrà una ancora del tutto sottovalutata dalle classi dirigenti europee, in particolare di Francia e Italia: l’obbligo di attenzione verso l’unico spazio geopolitico in qualche maniera rimasto agibile, l’Africa appunto. Una strada obbligata da percorrere, però, nelle condizioni peggiori. Nessuno dei paesi europei, allo stato, dispone di sufficienti strumenti diplomatici, politici, economici e militari sufficienti a perseguire politiche più autonome; gran parte delle classi dirigenti africane hanno assunto ormai una consapevolezza dell’interesse nazionale tale da consentire l’assunzione di un proprio ruolo autonomo e di agire tra le contraddizioni e gli spazi di un contesto multipolare ben visibile in Africa; le grandi dinamiche geopolitiche di quel continente sono ormai in mano ad altri protagonisti, nella fattispecie Stati Uniti, Cina, Russia, India e Turchia in particolare. Ai paesi europei non resta alla fine che il ruolo di meri ausiliari. Un contesto che rischia pesantemente di vellicare tentazioni ed avventure neocoloniali che puntino ad agire sulle diversità etniche e tribali rese presentabili nella veste della salvaguardia dei diritti umani e della tutela di una democrazia formale che in realtà non fa che sancire il predominio di gruppi etnici. Tentazioni coltivabili, come ovvio, nella condizione di ausiliari nella competizione geopolitica in corso. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Bernard Lugan è un noto storico specializzato in Africa. In un momento in cui i riflettori dei media sono puntati sul conflitto russo-ucraino, ci è sembrato utile pubblicare questa intervista che getta nuova luce sulle relazioni molto deteriorate tra Francia e Africa. Ciò che è in gioco in questo continente in piena espansione demografica è di grande importanza per comprendere meglio la ricomposizione in corso delle relazioni internazionali e la perdita di influenza della Francia nonostante (o a causa di) i suoi (maldestri) interventi politici e militari.

(Questa intervista è apparsa originariamente sul sito web di Boulevard Voltaire)

 

 

 

Gabrielle Cluzel

Bernard Lugan, il 9 febbraio pubblicherai una Storia del Sahel, dalle origini ai giorni nostri (Éditions du Rocher), essenziale per comprendere le minacce del mondo di oggi. Per te, è importante conoscere questa storia. Pensi che questo fattore sia sottovalutato?

Bernard Lugan

I decisori francesi non hanno visto che gli attuali conflitti saheliani sono prima di tutto risorgenze “modernizzate” di quelle di ieri, che inscritte in una lunga catena di eventi, spiegano quelli di oggi.

Prima della colonizzazione, i meridionali sedentari venivano catturati nella tenaglia predatoria dei nomadi. Un fatto comune a tutto il Sahel, dal Senegal al Ciad dove troviamo lo stesso problema. Alla fine del XIXe In un secolo, la colonizzazione ha bloccato l’espansione di entità predatorie nomadi il cui crollo è stato fatto nella gioia dei sedentari che hanno sfruttato, i cui uomini hanno massacrato e venduto donne e bambini agli schiavisti del mondo arabo-musulmano.

Ma, così facendo, la colonizzazione ha invertito l’equilibrio di potere locale offrendo vendetta alle vittime della lunga storia dell’Africa, mentre riuniva predoni e predoni entro i limiti amministrativi dell’AOF (Africa occidentale francese). Tuttavia, con l’indipendenza, i confini amministrativi all’interno di questo vasto insieme divennero confini di stati all’interno dei quali, essendo i più numerosi, i sedentari prevalevano politicamente sui nomadi, secondo le leggi immutabili dell’etno-matematica elettorale. Gli ex governanti non accettarono di diventare sudditi dei loro ex vassalli, quindi fu posto il problema conflittuale saheliano. Le prime guerre tuareg scoppiarono nel 1960 in Mali, poi in Niger e Ciad dove i Toubou si sollevarono.

G.C.

Nel tuo libro, seguiamo costantemente l’interazione tra la geografia e ciò che definisci etno-storia. Perché i decisori francesi non l’hanno visto?

B

Questo è davvero il cuore della cascata di errori commessi dai decisori politici francesi mentre i militari avevano capito la realtà sul terreno, ma non sono stati ascoltati. In Mali siamo stati al cospetto di due guerre, quella dei Tuareg a nord, quella dei Fulani a sud, e poi, più tardi, si è aggiunta quella dello Stato Islamico nella regione dei tre confini.

Nel nord, e come ho più volte detto nei miei articoli su Real Africa, la chiave del problema era detenuta oggi dai Tuareg riuniti di nuovo attorno alla “leadership” di Iyad Ag Ghali, leader storico delle precedenti ribellioni tuareg. Politicamente, avremmo dovuto raggiungere un accordo con questo leader di Ifora con il quale inizialmente avevamo contatti, interessi comuni e la cui lotta è prima di tutto identitaria prima di essere islamisti. Tuttavia, per ideologia, per rifiuto di tener conto delle costanti etniche secolari, coloro che fanno politica africana francese consideravano al contrario che fosse lui l’uomo da massacrare… Anche il secondo conflitto, quello del sud (Macina, Liptako, Burkina Faso settentrionale e regione dei tre confini), ha radici etno-storiche e la loro forza trainante è costituita da alcuni gruppi Fulani.

G.C.

Lei scrive che il jihadismo è “il più delle volte lo schermo del traffico di droga”. Quindi i due mali sono strettamente intrecciati?

B

Un altro errore di Parigi è stato quello di aver “essenzializzato” la questione chiamando sistematicamente come jihadista qualsiasi bandito armato o anche qualsiasi portatore di armi. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, abbiamo avuto a che fare con trafficanti che affermavano di essere jihadisti per coprire le loro tracce. Perché è più gratificante pretendere di combattere per la maggior gloria del profeta che per le stecche di sigarette, le spedizioni di cocaina o per il controllo delle rotte migratorie verso l’Europa. Da qui la giunzione tra traffico e religione, la prima nella bolla assicurata dall’islamismo. L’errore della Francia è stato quello di aver rifiutato di vedere che ci trovavamo di fronte alla spazzatura delle rivendicazioni etniche, sociali, mafiose e politiche, opportunamente vestite con il velo religioso, con diversi gradi di importanza di ogni punto a seconda dei momenti.

G.C.

Lei spiega che un altro errore francese è stato quello di aver globalizzato la questione quando era imperativo regionalizzarla.

B.L

Proprio perché Parigi non voleva vedere che ISGS (Stato Islamico nel Grande Sahara) e AQIM (Al-Qaeda per il Maghreb Islamico) hanno obiettivi diversi. L’ISGS, che è collegato a Daesh, mira a creare un vasto califfato transetnico in tutta la striscia sahelo-sahariana per sostituire e comprendere gli stati attuali. Da parte sua, essendo AQIM l’emanazione locale di ampie frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, vale a dire i Tuareg nel nord e i Fulani nel sud, i suoi leader locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Fulani Ahmadou Koufa, hanno obiettivi principalmente locali e non sostengono la distruzione degli Stati del Sahel. Parigi non ha visto che c’era un’opportunità sia politica che militare da cogliere, che non ho mai smesso di dire e scrivere, ma in Francia non ascoltiamo le opinioni degli “eretici”… Di conseguenza, i decisori parigini hanno categoricamente rifiutato qualsiasi dialogo con Iyad ag Ghali. Al contrario, il presidente Macron ha persino dichiarato di aver dato a Barkhane l’obiettivo di liquidarlo… Contro quanto sostenuto dai capi militari di Barkhane, Parigi ha quindi persistito in una strategia “all’americana”, “digitando” indiscriminatamente tutti i GAT (gruppi terroristici armati) perentoriamente descritti come “jihadisti”, rifiutando così qualsiasi approccio “raffinato”. “à la française”…

G.C.

Qual è il ruolo di Wagner nella regione del Sahel?

B

Permettetemi di essere molto chiaro: rifiuto questa mania di attribuire agli altri le cause dei nostri fallimenti. Se Wagner ha preso il nostro posto nella Repubblica Centrafricana, è perché Sarkozy ci ha fatto evacuare Birao, chiusa di tutta questa parte dell’Africa che i russi, che sanno leggere una mappa, hanno naturalmente occupato. Poi perché Hollande aveva i pannolini distribuiti dai nostri eserciti quando era necessario colpire e molto duramente la Seleka. Abbiamo perso la fiducia dei nostri alleati locali e tutto il nostro prestigio. I russi dovevano solo raccogliere il frutto maturo che avevamo lasciato sull’albero. . . In Mali era la stessa cosa e l’ho spiegato a lungo all’inizio di questa intervista.

Ma, più in generale, attraverso il rifiuto della Francia, sono i “valori” dell’Occidente che l’Africa rifiuta. Il continente, che, nel suo insieme, si riconosce nei valori naturali della famiglia vede con repulsione il “matrimonio per tutti”, i deliri LGBT o il femminismo castrante di ogni virilità proposta come “valori universali” dall’Occidente. Per gli africani, questa è una prova di decadenza. Questo è il motivo per cui la Russia appare, al contrario, come un contrappeso di civiltà al frantoio morale-politico occidentale.

Per quanto riguarda la democrazia “alla francese”, è vista come una forma di neocolonialismo. Tanto più che proporre agli africani come soluzione ai loro problemi l’eterno processo elettorale, il miraggio dello sviluppo o la ricerca del buon governo è ciarlataneria politica… Gli eventi dimostrano costantemente che in Africa, democrazia = etno-matematica, il che si traduce in gruppi etnici più grandi che vincono automaticamente le elezioni. Ecco perché, invece di spegnere le fonti primarie di incendio, le elezioni le rianimano. Per quanto riguarda lo sviluppo, tutto è già stato provato in questo settore dall’indipendenza. Invano. Inoltre, come possiamo ancora osare parlare di sviluppo quando è stato dimostrato che la demografia suicida africana vieta ogni possibilità?

G.C.

Quindi, quale futuro?

B

Decine dei migliori bambini in Francia sono caduti o tornati mutilati per aver difeso un Mali i cui uomini emigrano in Francia piuttosto che combattere per il loro paese. Ma, richiesto dagli attuali leader maliani in seguito ai numerosi errori di Parigi, il ritiro francese ha lasciato campo libero al GAT, offrendo loro anche una base d’azione per destabilizzare Niger, Burkina Faso e paesi vicini. Il bilancio politico di un decennio di coinvolgimento francese è quindi catastrofico.

La Francia sta ora affrontando un rifiuto globale. Se il Niger, un paese più che fragile in cui abbiamo appena ritirato le nostre forze, dovesse subire un colpo di Stato, la situazione diventerebbe problematica e il ritiro verso le coste un’emergenza. Ma con quali mezzi di ritiro? Gli uomini possono ancora essere evacuati per via aerea, ma per quanto riguarda i veicoli e le attrezzature, dal momento che non abbiamo jumbo jet?

La priorità urgente è quindi sapere cosa stiamo facendo nella striscia sahelo-sahariana dove non abbiamo interessi, compreso l’uranio trovato altrove. Dobbiamo quindi definire finalmente e molto rapidamente i nostri interessi strategici attuali e a lungo termine per sapere se dobbiamo o meno disimpegnarci, a quale livello e, soprattutto, senza perdere la faccia.

Occorre trarre diversi insegnamenti da un colossale fallimento di cui, va ripetuto, i responsabili politici sono gli unici responsabili. In futuro, dovremo dare priorità agli interventi indiretti o alle azioni rapide e ad hoc delle navi, che eliminerebbero lo svantaggio dei diritti territoriali percepiti localmente come una presenza neocoloniale insopportabile. Sarebbe quindi necessaria una ridefinizione e un aumento del potere delle nostre risorse marittime e delle nostre forze di proiezione.

Ultimo ma non meno importante, dovremo lasciare che l’ordine naturale africano si sviluppi. Ciò implica che i nostri intellettuali finalmente capiscono che i vecchi governanti non accetteranno mai che, attraverso il gioco dell’etno-matematica elettorale, e solo perché sono più numerosi di loro, i loro ex sudditi o affluenti sono ora i loro padroni. Questo sconvolge le concezioni eteree della filosofia politica occidentale, ma questa è la realtà africana. Più che mai, è quindi importante riflettere su questa profonda riflessione che il Governatore Generale dell’AOF fece nel 1953: “Meno elezioni e più etnografia, e tutti ne trarranno beneficio… In una parola, il ritorno alla realtà, la rinuncia alle “nuvole”, che passa attraverso la conoscenza della geografia e della storia, ed è questo lo scopo del mio libro e delle sue numerose mappe.

21 febbraio 2023

(Questa intervista è apparsa originariamente sul sito web di Boulevard Voltaire)

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L’Occidente non ha più tempo, di Irina Alksnis

Importante. Se questo report dell’agenzia Bloomberg rilanciato da Ria Novosti risponde al vero, gli Stati Uniti stanno preparando il quadro giuridico e politico per l’intervento in Ucraina della “coalition of the willing” proposta dal gen. (a riposo) David Petraeus nel settembre 2022. Sintesi: l’Ucraina non è più in grado di fornire le truppe sufficienti a resistere alla pressione russa. Dunque, intervento nella guerra ucraina di truppe di paesi membri della NATO, sotto la propria bandiera ma senza coinvolgere l’Alleanza atlantica, in seguito a richiesta di aiuto militare del governo ucraino. Truppe polacche, rumene, baltiche, etc., che entrano in conflitto con la Russia in Ucraina. Viene messo a rischio il territorio europeo, ma non il territorio statunitense. Ovviamente, questa decisione obbliga i russi a decidere se rispondere soltanto sul territorio ucraino, oppure anche sul territorio dei paesi che mostreranno la propria bandiera sul campo di battaglia ucraino. Dal pdv militare, è vantaggioso per la Russia colpire anche fuori dal territorio ucraino, per esempio i centri logistici polacchi, rumeni, etc. Dal pdv politico, è estremamente pericoloso farlo, perché sarebbe altrettanto difficile limitare il conflitto a interventi chirurgici: a colpi russi sul territorio polacco seguirebbero, incoraggiate dagli USA, ritorsioni polacche sul territorio russo, e così via in una serie di azioni e reazioni che potrebbero dar luogo a una escalation difficilissima da controllare. Roberto Buffagni

 

“L’Occidente non ha più tempo”. La NATO prepara l’Europa per l’invio in guerra

di Irina Alksnis*

L’agenzia Bloomberg, citando proprie fonti, ha riferito che uno di questi giorni i ministri della Difesa dei Paesi membri della NATO firmeranno un documento segreto che illustrerà le azioni dell’alleanza in condizioni di coinvolgimento simultaneo in un conflitto ad alta intensità ai sensi del quinto articolo della statuto dell’organizzazione, e anche – cosa più interessante – in eventi non coperti da questo paragrafo.

L’articolo 5 della Carta della NATO è il famosissimo paragrafo sulla difesa collettiva, quando l’aggressione contro uno dei membri dell’alleanza è considerata come un attacco all’organizzazione nel suo insieme, che comporta una risposta congiunta all’aggressione.

Il fatto che in realtà questo articolo sia una lettera fragile e che la NATO, se lo si desidera, avrà sempre l’opportunità di eludere l’intervento in qualsiasi conflitto, è stato detto a lungo e da molti. Ma l’insider di Bloomberg indica che Bruxelles sta attivamente gettando le basi proprio per un tale sviluppo di eventi – quando alcuni membri dell’alleanza saranno coinvolti in alcune ostilità in relazione alle quali la NATO non utilizzerà il quinto articolo.

Non ci vuole molto per cercare la causa di questi movimenti, si trova in superficie. Tanto più è chiaro che l’Occidente è caduto in una trappola lì: ha puntato tutto su una vittoria militare sulla Russia , ma chiaramente non torna. Nelle ultime settimane, le risorse mondiali più influenti e mainstream hanno scritto sempre più apertamente che e forze armate ucraine sono destinate alla sconfitta e nessuna fornitura di equipaggiamento occidentale le salverà.

La scommessa degli Stati Uniti e dell’Europa sulla vittoria sulla Russia per mano degli ucraini è già stata effettivamente vinta, il che significa che la questione di cosa fare dopo è all’ordine del giorno in modo più netto.

Se i fatti fossero accaduti qualche anno fa, l’Occidente avrebbe preso fiato, si sarebbe ritirato per un riordino militare e politico, per riprovarci qualche tempo dopo. È questa tattica che osserviamo da parecchi anni, quando dopo ogni duro, ma inefficace attacco al nostro Paese, seguiva un periodo di relativa calma e persino tentativi di normalizzare le relazioni tra i Paesi.

Il problema è che questa volta l’Occidente non ha tempo: il sistema globale mondiale, di cui è leader e principale beneficiario, si sta sgretolando, e sempre più velocemente. Non può permettersi di fermarsi e non può permettersi di ritirarsi. L’unica via d’uscita è andare avanti. E alla luce della diminuzione della riserva di mobilitazione ucraina, è necessario cercare nuova carne da cannone, e la sua fonte è ovvia: i paesi della NATO.

Ma qui entrano in gioco le sottigliezze interne delle relazioni nell’alleanza del Nord Atlantico. Il leader e l’attuale proprietario dell’organizzazione sono gli Stati Uniti. Hanno un interesse diretto, che non nascondono più, è gettare l’Europa nella fornace della guerra con la Russia (avendo ricevuto gravi vantaggi economici per questo), ma allo stesso tempo evitare uno scontro militare diretto con Mosca, poiché questo sarà inevitabilmente seguito da una catastrofe nucleare globale .

I piani della NATO annunciati da Bloomberg mirano a risolvere questo particolare problema. Da un lato, c’è un’attiva preparazione di procedure per ignorare il quinto articolo in caso di ostilità che coinvolga i paesi membri dell’organizzazione. D’altra parte, lo stesso documento segreto, secondo l’agenzia di informazione, è in gran parte dedicato al “raggiungimento degli obiettivi di spesa per la difesa”, cioè all’espropriazione dei membri più ricchi dei kulak, che per molti anni si sono ostinatamente sottratti allo stanziamento del famigerato due per cento del PIL per esigenze militari.

È chiaro che i polacchi e altri europei dell’Est sono i primi in fila per il sacrificio. Ma non c’è dubbio che gli Stati Uniti abbiano piani di vasta portata anche per l’Europa occidentale. E tenendo conto del successo di Washington nel soggiogare le élite locali e dirigere questi paesi lungo un percorso apertamente suicida, i piani degli americani di mandare il Vecchio Mondo al tritacarne sul fronte orientale, ancora una volta nella storia, potrebbero diventare realtà.

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24946-irina-alksnis-l-occidente-non-ha-piu-tempo-la-nato-prepara-l-europa-per-l-invio-in-guerra.html?fbclid=IwAR2CTJtO9InPFIE-7JHNHrFZ9YoNjNTkgPSgdDeIm0JnBX6jvf47qoNTsa8

Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream, di Seymour Hersh (a cura di Roberto Buffagni e segnalazione di Antonio de Martini)

La firma “Seymour Hersch” vi ricorda qualcosa o qualcuno? Queste due foto vi aiuteranno a scavare nella vostra memoria ad oltre cinquanta anni fa. Quella inchiesta gli è valso il

premio Pulitzer nel 1970, quando quel riconoscimento aveva una sua autorevolezza. Dopo quella, seguirono altre inchieste clamorose: il coinvolgimento statunitense nel golpe di Pinochet in Cile nel 1973, lo scandalo delle sevizie nella prigione di Abu Ghraib in Iraq, l’attacco chimico a Ghuta in Siria nel 2013, attribuito ad Assad e in realtà orchestrato dalla Turchia e dai ribelli integralisti siriani. Sono solo una parte dei suoi scoop esplosivi. Con questo articolo, appena tradotto, Hersch, a 85 anni, non ha perso lo smalto e la sua azione dissacrante. Speriamo che riesca a provocare lo stesso effetto. Gli indizi non mancano. Intanto fissiamo alcuni punti fermi:

  • L’attentato è stato pianificato ben prima dell’attacco russo all’Ucraina
  • L’amministrazione americana sapeva del successo della sua politica di istigazione all’intervento russo
  • l’attentato si sarebbe probabilmente comunque compiuto a prescindere dal conflitto ucraino perché l’obbiettivo principale è colpire la Germania nel suo ruolo di leadership europea e nelle sue tentazioni di politica autonoma
  • il totale asservimento delle leadership europee e tedesca in particolare e la cointeressenza economica di alcuni paesi implicati nell’azione terroristica, in particolare la Norvegia e quella più ampia di uno stuolo di paesi europei.  

Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream

Il New York Times l’ha definita un “mistero”, ma gli Stati Uniti hanno eseguito un’operazione marittima segreta, fino ad oggi.

Seymour Hersh

5 ore fa

Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, in quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, una città di villeggiatura ora in piena espansione nel panhandle sud-occidentale della Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama. Il complesso del centro non è descrittivo come la sua ubicazione: una struttura in cemento scialbo del secondo dopoguerra che ha l’aspetto di una scuola superiore professionale nella zona ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che ora è una strada a quattro corsie.

Il centro ha addestrato per decenni sommozzatori altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene – utilizzando esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – e il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, sporcare le valvole di aspirazione delle centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse di canali di navigazione cruciali. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare i migliori, e più taciturni, diplomati della scuola di immersione che l’estate scorsa hanno fatto con successo ciò che erano stati autorizzati a fare a 260 piedi sotto la superficie del Mar Baltico.

Lo scorso giugno, i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di metà estate ampiamente pubblicizzata, nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi innescati a distanza che, tre mesi dopo, hanno distrutto tre dei quattro gasdotti Nord Stream, secondo una fonte con conoscenza diretta della pianificazione operativa.

Due dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, hanno fornito alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a basso costo per oltre un decennio. Una seconda coppia di gasdotti, denominata Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa. Ora, con le truppe russe che si ammassano al confine con l’Ucraina e con l’incombere della più sanguinosa guerra in Europa dal 1945, il presidente Joseph Biden vedeva i gasdotti come un veicolo per Vladimir Putin per armare il gas naturale per le sue ambizioni politiche e territoriali.

Alla richiesta di un commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha risposto in un’e-mail: “Questa affermazione è falsa e completamente inventata”. Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto: “Questa affermazione è completamente e totalmente falsa”.

La decisione di Biden di sabotare gli oleodotti è arrivata dopo oltre nove mesi di discussioni segretissime all’interno della comunità di sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio l’obiettivo. Per gran parte del tempo, il problema non è stato se compiere o meno la missione, ma come portarla a termine senza alcun indizio evidente su chi fosse il responsabile.

C’era una ragione burocratica vitale per affidarsi ai diplomati della scuola di immersione del centro a Panama City. I sommozzatori erano solo della Marina e non membri del Comando per le operazioni speciali americano, le cui operazioni segrete devono essere comunicate al Congresso e informate in anticipo alla leadership del Senato e della Camera, la cosiddetta Gang of Eight. L’amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie mentre la pianificazione si svolgeva tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022.

Il presidente Biden e la sua squadra di politica estera – il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per la politica – hanno manifestato in modo esplicito e coerente la loro ostilità ai due oleodotti, che si snodano uno accanto all’altro per 750 miglia sotto il Mar Baltico, partendo da due porti diversi nel nord-est della Russia, vicino al confine con l’Estonia, passando vicino all’isola danese di Bornholm prima di terminare nella Germania settentrionale.

La via diretta, che evita il transito in Ucraina, è stata una manna per l’economia tedesca, che ha goduto di un’abbondanza di gas naturale russo a basso costo, sufficiente per far funzionare le fabbriche e riscaldare le case, consentendo ai distributori tedeschi di vendere il gas in eccesso, con profitto, in tutta l’Europa occidentale. Un’azione che potesse essere ricondotta all’amministrazione avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale.

Fin dai primi giorni, Nord Stream 1 è stato visto da Washington e dai suoi partner anti-russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale. La holding che ne è alla base, la Nord Stream AG, è stata costituita in Svizzera nel 2005 in partnership con Gazprom, una società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per gli azionisti ed è dominata da oligarchi noti per essere al soldo di Putin. Gazprom controllava il 51% della società, mentre quattro aziende energetiche europee, una francese, una olandese e due tedesche, condividevano il restante 49% delle azioni e avevano il diritto di controllare le vendite a valle del gas naturale a basso costo ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom sono stati condivisi con il governo russo e, secondo le stime, in alcuni anni le entrate statali di gas e petrolio sono state pari al 45% del bilancio annuale della Russia.

I timori politici dell’America erano reali: Putin avrebbe avuto un’ulteriore e necessaria fonte di reddito, e la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero diventati dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, diminuendo la dipendenza europea dall’America. In realtà, questo è esattamente ciò che è accaduto. Molti tedeschi hanno visto il Nord Stream 1 come parte della realizzazione della famosa teoria dell’Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt. Ostpolitikteoria della che avrebbe permesso alla Germania del dopoguerra di riabilitare se stessa e altre nazioni europee distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale utilizzando, tra le altre iniziative, il gas russo a basso costo per alimentare un mercato e un’economia commerciale prospera nell’Europa occidentale.

Il Nord Stream 1 era già abbastanza pericoloso, secondo la NATO e Washington, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione è stata completata nel settembre del 2021, se approvato dalle autorità di regolamentazione tedesche, raddoppierebbe la quantità di gas a basso costo disponibile per la Germania e l’Europa occidentale. Il secondo gasdotto fornirebbe inoltre gas sufficiente per oltre il 50% del consumo annuale della Germania. Le tensioni tra la Russia e la NATO, sostenute dall’aggressiva politica estera dell’amministrazione Biden, erano in costante aumento.

L’opposizione al Nord Stream 2 è esplosa alla vigilia dell’insediamento di Biden nel gennaio 2021, quando i repubblicani del Senato, guidati da Ted Cruz del Texas, hanno ripetutamente sollevato la minaccia politica del gas naturale russo a basso costo durante l’udienza di conferma di Blinken come Segretario di Stato. A quel punto un Senato unificato aveva approvato con successo una legge che, come disse Cruz a Blinken, “ha fermato [il gasdotto] sul nascere”. Il governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, avrebbe esercitato enormi pressioni politiche ed economiche per mettere in funzione il secondo gasdotto.

Biden si opporrebbe ai tedeschi? Blinken ha risposto di sì, ma ha aggiunto di non aver discusso i dettagli delle opinioni del Presidente entrante. “So che è fermamente convinto che questa sia una cattiva idea, il Nord Stream 2”, ha detto. “So che vorrebbe che usassimo tutti gli strumenti di persuasione di cui disponiamo per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti”.

Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al completamento, Biden ha battuto ciglio. Nel maggio dello stesso anno, con un sorprendente dietrofront, l’amministrazione rinunciò alle sanzioni contro Nord Stream AG, mentre un funzionario del Dipartimento di Stato ammise che cercare di fermare il gasdotto attraverso le sanzioni e la diplomazia era “sempre stato un azzardo”. Dietro le quinte, i funzionari dell’amministrazione avrebbero esortato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che a quel punto stava affrontando la minaccia di un’invasione russa, a non criticare la mossa.

Le conseguenze sono state immediate. I repubblicani del Senato, guidati da Cruz, hanno annunciato un blocco immediato di tutte le nomine di Biden in politica estera e hanno ritardato l’approvazione della legge annuale sulla difesa per mesi, fino all’autunno. In seguito Politico ha descritto il dietrofront di Biden sul secondo gasdotto russo come “l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo in pericolo l’agenda di Biden”.

L’amministrazione era in difficoltà, nonostante avesse ottenuto una tregua dalla crisi a metà novembre, quando le autorità tedesche di regolamentazione dell’energia hanno sospeso l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale hanno subito un’impennata dell’8% nel giro di pochi giorni, tra i crescenti timori in Germania e in Europa che la sospensione del gasdotto e la crescente possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina avrebbero portato a un inverno freddo molto indesiderato. A Washington non era chiaro quale fosse la posizione di Olaf Scholz, il cancelliere tedesco appena nominato. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, Scholtz aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma in un discorso a Praga, suggerendo chiaramente una minore dipendenza da Washington e dalle sue azioni mercuriali.

In tutto questo, le truppe russe si sono costantemente e minacciosamente accumulate ai confini dell’Ucraina e alla fine di dicembre più di 100.000 soldati erano in grado di colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. A Washington cresceva l’allarme, compresa una valutazione di Blinken secondo cui il numero delle truppe avrebbe potuto essere “raddoppiato in breve tempo”.

L’attenzione dell’amministrazione si è nuovamente concentrata su Nord Stream. Finché l’Europa continuerà a dipendere dal gasdotto per ottenere gas naturale a basso costo, Washington temeva che Paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi necessarie per sconfiggere la Russia.

È stato in questo momento di incertezza che Biden ha autorizzato Jake Sullivan a riunire un gruppo interagenzie per elaborare un piano.

Tutte le opzioni dovevano essere prese in considerazione. Ma solo una sarebbe emersa.

PIANIFICAZIONE

Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una task force appena costituita – uomini e donne dello Stato Maggiore, della CIA, dei Dipartimenti di Stato e del Tesoro – e chiese raccomandazioni su come rispondere all’imminente invasione di Putin.

Sarebbe stato il primo di una serie di incontri top-secret, in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building, adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). Ci furono i soliti botta e risposta che alla fine portarono a una domanda preliminare cruciale: La raccomandazione trasmessa dal gruppo al Presidente sarebbe stata reversibile – come un altro strato di sanzioni e restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni cinetiche, che non potevano essere annullate?

Secondo la fonte con conoscenza diretta del processo, ciò che è apparso chiaro ai partecipanti è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.

I GIOCATORI Da sinistra a destra: Victoria Nuland, Anthony Blinken e Jake Sullivan.

Nel corso delle successive riunioni, i partecipanti discussero le opzioni per un attacco. La Marina propose di utilizzare un sottomarino di recente costruzione per attaccare direttamente l’oleodotto. L’aeronautica discuteva di sganciare bombe con spolette ritardate che potessero essere innescate a distanza. La CIA sosteneva che qualsiasi cosa si facesse, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i partecipanti capirono la posta in gioco. “Non si tratta di roba da bambini”, ha detto la fonte. Se l’attacco fosse riconducibile agli Stati Uniti, “sarebbe un atto di guerra”.

All’epoca, la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore in Russia che era stato vice segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò rapidamente un gruppo di lavoro dell’Agenzia i cui membri ad hoc includevano, guarda caso, qualcuno che aveva familiarità con le capacità dei sommozzatori della Marina a Panama City. Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato i sommozzatori per innescare un’esplosione lungo l’oleodotto.

Qualcosa di simile era già stato fatto in passato. Nel 1971, la comunità dei servizi segreti americani apprese da fonti ancora non rivelate che due importanti unità della Marina russa comunicavano attraverso un cavo sottomarino interrato nel Mare di Okhotsk, sulla costa dell’Estremo Oriente russo. Il cavo collegava un comando regionale della Marina al quartier generale continentale di Vladivostok.

Una squadra selezionata di agenti della Central Intelligence Agency e della National Security Agency è stata riunita da qualche parte nell’area di Washington, sotto copertura, e ha elaborato un piano, utilizzando sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio sottomarino, che è riuscito, dopo molti tentativi ed errori, a localizzare il cavo russo. I sommozzatori hanno piazzato sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto che ha intercettato con successo il traffico russo e lo ha registrato su un sistema di registrazione.

L’NSA venne a sapere che gli alti ufficiali della marina russa, convinti della sicurezza del loro collegamento, chiacchieravano con i loro colleghi senza crittografia. Il dispositivo di registrazione e il nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti allegramente per un decennio, finché non fu compromesso da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni, Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo. Pelton fu tradito da un disertore russo nel 1985 e condannato alla prigione. I russi gli pagarono solo 5.000 dollari per le sue rivelazioni sull’operazione, oltre a 35.000 dollari per altri dati operativi russi da lui forniti che non furono mai resi pubblici.

Quel successo subacqueo, chiamato in codice Ivy Bells, fu innovativo e rischioso, e produsse informazioni preziose sulle intenzioni e i piani della Marina russa.

Tuttavia, il gruppo interagenzie era inizialmente scettico sull’entusiasmo della CIA per un attacco segreto in mare aperto. C’erano troppe domande senza risposta. Le acque del Mar Baltico erano pesantemente pattugliate dalla marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere che potessero essere usate come copertura per un’operazione subacquea. I sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, proprio al di là del confine con le banchine di carico del gas naturale della Russia, per addestrarsi alla missione? “Sarebbe una scopata da capre”, è stato detto all’Agenzia.

Nel corso di “tutti questi piani”, ha raccontato la fonte, “alcuni funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e sarà un incubo politico se verrà fuori”.

Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo interagenzie di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare gli oleodotti”.

Quello che è successo dopo è stato sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden si è incontrato nel suo ufficio alla Casa Bianca con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che, dopo qualche tentennamento, era ora saldamente nella squadra americana. Durante il briefing con la stampa che ne è seguito, Biden ha affermato con tono di sfida: “Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo“.

Venti giorni prima, il Sottosegretario Nuland aveva trasmesso essenzialmente lo stesso messaggio durante un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con voi oggi”, ha detto in risposta a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti“.

Molti di coloro che hanno partecipato alla pianificazione della missione dell’oleodotto sono rimasti sconcertati da quelli che hanno considerato come riferimenti indiretti all’attacco.

“È stato come mettere una bomba atomica a Tokyo e dire ai giapponesi che la faremo esplodere”, ha detto la fonte. “Il piano prevedeva che le opzioni fossero eseguite dopo l’invasione e non pubblicizzate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato”.

L’indiscrezione di Biden e della Nuland, se di questo si è trattato, potrebbe aver frustrato alcuni dei pianificatori. Ma ha anche creato un’opportunità. Secondo la fonte, alcuni alti funzionari della CIA hanno stabilito che far saltare l’oleodotto “non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il Presidente aveva appena annunciato che sapevamo come farlo”.

Il piano per far saltare in aria Nord Stream 1 e 2 è stato improvvisamente declassato da un’operazione segreta che richiedeva l’informazione del Congresso a un’operazione di intelligence altamente classificata con il supporto militare degli Stati Uniti. Secondo la legge, ha spiegato la fonte, “non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto ciò che dovevano fare ora era farlo e basta, ma doveva essere ancora segreto. I russi hanno una sorveglianza superlativa del Mar Baltico”.

I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca e non vedevano l’ora di scoprire se il Presidente intendeva dire quello che aveva detto, cioè se la missione era ormai avviata. La fonte ha ricordato: “Bill Burns torna e dice: “Fatelo””.

“La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde a poche miglia dall’isola danese di Bornholm…”.

L’OPERAZIONE

La Norvegia era il luogo perfetto per la missione.

Negli ultimi anni di crisi Est-Ovest, le forze armate statunitensi hanno ampliato notevolmente la loro presenza in Norvegia, il cui confine occidentale corre per 1.400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e si fonde sopra il Circolo Polare Artico con la Russia. Il Pentagono ha creato posti di lavoro e contratti altamente remunerativi, tra qualche polemica locale, investendo centinaia di milioni di dollari per aggiornare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americane in Norvegia. Le nuove opere comprendevano, soprattutto, un radar avanzato ad apertura sintetica, in grado di penetrare in profondità in Russia, entrato in funzione proprio quando la comunità di intelligence americana ha perso l’accesso a una serie di siti di ascolto a lungo raggio all’interno della Cina.

Una base sottomarina americana recentemente ristrutturata, in costruzione da anni, è diventata operativa e più sottomarini americani sono ora in grado di lavorare a stretto contatto con i loro colleghi norvegesi per monitorare e spiare un’importante ridotta nucleare russa a 250 miglia a est, nella penisola di Kola. L’America ha anche ampliato notevolmente una base aerea norvegese nel nord e ha consegnato alle forze aeree norvegesi una flotta di aerei da pattugliamento P8 Poseidon, costruiti dalla Boeing, per rafforzare lo spionaggio a lungo raggio di tutto ciò che riguarda la Russia.

In cambio, lo scorso novembre il governo norvegese ha fatto arrabbiare i liberali e alcuni moderati del suo parlamento approvando l’Accordo supplementare di cooperazione per la difesa (SDCA). In base al nuovo accordo, in alcune “aree concordate” del Nord, il sistema giuridico statunitense avrà giurisdizione sui soldati americani accusati di crimini fuori dalla base, così come sui cittadini norvegesi accusati o sospettati di interferire con il lavoro della base.

La Norvegia è stata uno dei primi firmatari del Trattato NATO nel 1949, agli inizi della Guerra Fredda. Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che è stato primo ministro norvegese per otto anni prima di passare alla sua alta carica alla NATO, con il sostegno americano, nel 2014. Si trattava di un duro su tutto ciò che riguardava Putin e la Russia, che aveva collaborato con la comunità di intelligence americana fin dai tempi della guerra del Vietnam. Da allora si è fidato completamente di lui. “È il guanto che si adatta alla mano americana”, ha detto la fonte.

A Washington i pianificatori sapevano che dovevano andare in Norvegia. “Odiavano i russi e la marina norvegese era piena di marinai e sommozzatori eccellenti, con generazioni di esperienza nell’esplorazione di petrolio e gas in acque profonde altamente redditizie”, ha detto la fonte. Inoltre ci si poteva fidare di loro per mantenere la missione segreta. (I norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi. La distruzione di Nord Stream, se gli americani riuscissero a portarla a termine, consentirebbe alla Norvegia di vendere una quantità molto maggiore del proprio gas naturale all’Europa).

A marzo, alcuni membri del team si recarono in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la marina norvegese. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due serie di condotte, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio, mentre si dirigevano verso il porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania.

La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza l’una dall’altra, su un fondale profondo solo 260 piedi. Si trattava di un’area ben raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese della classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio che usciva dalle loro bombole e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture con coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti di marea, che avrebbero reso il compito di immergersi molto più difficile.

Dopo un po’ di ricerche, gli americani erano tutti d’accordo.

A questo punto, entrò di nuovo in gioco l’oscuro gruppo di immersione profonda della Marina a Panama City. Le scuole d’altura di Panama City, i cui allievi hanno partecipato alle Ivy Bells, sono viste come un’indesiderata zona d’ombra dall’élite dei diplomati dell’Accademia Navale di Annapolis, che di solito cercano la gloria di essere assegnati come Seal, piloti di caccia o sommergibilisti. Se uno deve diventare una “scarpa nera”, cioè un membro del meno desiderabile comando di navi di superficie, c’è sempre almeno un incarico su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. La meno affascinante di tutte è la guerra di mine. I suoi sommozzatori non appaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.

“I migliori sommozzatori con qualifiche per immersioni profonde sono una comunità ristretta e solo i migliori vengono reclutati per l’operazione e viene detto loro di prepararsi a essere convocati dalla CIA a Washington”, ha detto la fonte.

I norvegesi e gli americani avevano il luogo e gli operatori, ma c’era un’altra preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione della marina svedese o danese, che avrebbe potuto segnalarla.

Anche la Danimarca era stata uno dei primi firmatari della NATO ed era nota nella comunità dei servizi segreti per i suoi legami speciali con il Regno Unito. La Svezia aveva presentato domanda di adesione alla NATO e aveva dimostrato una grande abilità nella gestione dei suoi sistemi di sensori sonori e magnetici sottomarini, che riuscivano a rintracciare con successo i sottomarini russi che di tanto in tanto comparivano nelle acque remote dell’arcipelago svedese e venivano costretti a salire in superficie.

I norvegesi si unirono agli americani insistendo sul fatto che alcuni alti funzionari in Danimarca e Svezia dovevano essere informati in termini generali sulle possibili attività subacquee nell’area. In questo modo, qualcuno più in alto poteva intervenire e tenere un rapporto fuori dalla catena di comando, isolando così l’operazione dell’oleodotto. “Quello che veniva detto loro e quello che sapevano erano volutamente diversi”, mi ha detto la fonte (l’ambasciata norvegese, interpellata per commentare questa storia, non ha risposto).

I norvegesi sono stati fondamentali per risolvere altri ostacoli. È noto che la marina russa possiede una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e attivare le mine sottomarine. I dispositivi esplosivi americani dovevano essere camuffati in modo da apparire al sistema russo come parte dello sfondo naturale, cosa che richiedeva un adattamento alla salinità specifica dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.

I norvegesi avevano anche una soluzione alla questione cruciale di quando l’operazione avrebbe dovuto avere luogo. Ogni giugno, negli ultimi 21 anni, la Sesta Flotta americana, la cui nave ammiraglia è basata a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, ha sponsorizzato una grande esercitazione della NATO nel Mar Baltico che coinvolge decine di navi alleate in tutta la regione. L’attuale esercitazione, che si terrà a giugno, sarà nota come Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi hanno proposto che questa fosse la copertura ideale per piazzare le mine.

Gli americani fornirono un elemento fondamentale: convinsero i pianificatori della Sesta Flotta ad aggiungere al programma un’esercitazione di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, come reso noto dalla Marina, coinvolgeva la Sesta Flotta in collaborazione con i “centri di ricerca e di guerra” della Marina. L’evento in mare si sarebbe svolto al largo delle coste dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre di sommozzatori della NATO che avrebbero piazzato mine, mentre le squadre concorrenti avrebbero utilizzato le più recenti tecnologie subacquee per trovarle e distruggerle.

Si trattava di un esercizio utile e di una copertura ingegnosa. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto il loro dovere e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore. Tutti gli americani e i norvegesi sarebbero spariti prima della prima esplosione.

I giorni erano contati. “Il tempo scorreva e ci stavamo avvicinando alla missione compiuta”, ha detto la fonte.

E poi: Washington ci ripensò. Le bombe sarebbero state comunque piazzate durante il BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che una finestra di due giorni per la loro detonazione sarebbe stata troppo vicina alla fine dell’esercitazione e che sarebbe stato evidente il coinvolgimento dell’America.

La Casa Bianca ha invece avanzato una nuova richiesta: “I ragazzi sul campo possono escogitare un modo per far saltare gli oleodotti in seguito al comando?”.

Alcuni membri del team di pianificazione erano arrabbiati e frustrati per l’apparente indecisione del Presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piazzare il C4 sulle condutture, come avrebbero fatto durante BALTOPS, ma ora la squadra in Norvegia doveva trovare un modo per dare a Biden quello che voleva: la possibilità di emettere un ordine di esecuzione di successo in un momento a sua scelta.

Essere incaricati di un cambiamento arbitrario e dell’ultimo minuto era qualcosa che la CIA era abituata a gestire. Ma ha anche rinnovato le preoccupazioni di alcuni sulla necessità e la legalità dell’intera operazione.

Gli ordini segreti del Presidente evocavano anche il dilemma della CIA ai tempi della guerra del Vietnam, quando il Presidente Johnson, di fronte al crescente sentimento contrario alla guerra del Vietnam, ordinò all’Agenzia di violare il suo statuto – che le impediva specificamente di operare all’interno dell’America – spiando i leader contrari alla guerra per determinare se fossero controllati dalla Russia comunista.

Alla fine l’Agenzia acconsentì, e nel corso degli anni Settanta divenne chiaro fino a che punto fosse disposta a spingersi. In seguito agli scandali Watergate, i giornali rivelarono che l’Agenzia spiava i cittadini americani, era coinvolta nell’assassinio di leader stranieri e aveva minato il governo socialista di Salvador Allende.

Queste rivelazioni portarono a una drammatica serie di audizioni a metà degli anni ’70 al Senato, guidate da Frank Church dell’Idaho, che chiarirono che Richard Helms, l’allora direttore dell’Agenzia, accettava l’obbligo di fare ciò che il Presidente voleva, anche se ciò significava violare la legge.

In una testimonianza inedita e a porte chiuse, Helms ha spiegato con amarezza che “si ha quasi un’Immacolata Concezione quando si fa qualcosa” su ordine segreto di un Presidente. “Che sia giusto che sia così o che sia sbagliato che sia così, [la CIA] lavora con regole diverse e regole di base rispetto a qualsiasi altra parte del governo”. In sostanza, stava dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, aveva capito di lavorare per la Corona e non per la Costituzione.

Gli americani al lavoro in Norvegia operavano secondo la stessa dinamica e iniziarono doverosamente a lavorare sul nuovo problema: come far esplodere a distanza l’esplosivo C4 su ordine di Biden. Si trattava di un compito molto più impegnativo di quanto non avessero capito a Washington. La squadra in Norvegia non aveva modo di sapere quando il Presidente avrebbe premuto il pulsante. Sarebbe stato tra poche settimane, tra molti mesi o tra mezzo anno o più?

Il C4 collegato alle condutture sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura richiedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione dei segnali. Una volta posizionati, i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro oleodotti potrebbero essere accidentalmente innescati dalla complessa miscela di rumori di fondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico, molto trafficato, provenienti da navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino creature marine. Per evitare ciò, la boa sonar, una volta posizionata, emetterebbe una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza – simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte – che verrebbero riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e, dopo un ritardo di ore prestabilito, innescherebbero gli esplosivi. (“Si vuole un segnale abbastanza robusto, in modo che nessun altro segnale possa accidentalmente inviare un impulso che faccia esplodere gli esplosivi”, mi ha detto il dottor Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che è stato consulente scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha detto che il problema che il gruppo in Norvegia deve affrontare a causa del ritardo di Biden è una questione di probabilità: “Più a lungo gli esplosivi rimangono in acqua, maggiore è il rischio che un segnale casuale possa lanciare le bombe”).

Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese ha effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente verso Nord Stream 2 e poi verso Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti, è stato possibile vedere le pozze di gas metano rimaste nelle condutture chiuse diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo ha capito che era avvenuto qualcosa di irreversibile.

FALLIMENTO

All’indomani dell’attentato all’oleodotto, i media americani l’hanno trattato come un mistero irrisolto. La Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, spinta da calcolate fughe di notizie dalla Casa Bianca, ma senza mai stabilire un chiaro motivo per un tale atto di autosabotaggio, al di là della semplice vendetta. Qualche mese dopo, quando è emerso che le autorità russe si erano procurate in sordina i preventivi di spesa per la riparazione degli oleodotti, il New York Times ha descritto la notizia come “complicante le teorie su chi ci fosse dietro” l’attacco. Nessun grande giornale americano ha approfondito le precedenti minacce agli oleodotti avanzate da Biden e dal Sottosegretario di Stato Nuland.

Sebbene non sia mai stato chiaro il motivo per cui la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio lucroso oleodotto, una motivazione più eloquente per l’azione del Presidente è arrivata dal Segretario di Stato Blinken.

In una conferenza stampa dello scorso settembre, Blinken ha parlato delle conseguenze dell’aggravarsi della crisi energetica in Europa occidentale, Blinken ha descritto il momento come potenzialmente positivo:

“È un’opportunità straordinaria per eliminare una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi per togliere a Vladimir Putin la possibilità di armare l’energia come mezzo per portare avanti i suoi progetti imperiali. Questo è molto significativo e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto questo non siano sopportate dai cittadini dei nostri Paesi o, se è per questo, di tutto il mondo”.

Più recentemente, Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la scomparsa del più recente dei gasdotti. Alla fine di gennaio, in occasione di un’audizione del Comitato per le Relazioni Estere del Senato, ha dichiarato al senatore Ted Cruz: “Come lei, sono molto soddisfatta, e credo che lo sia anche l’Amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è ora, come lei ama dire, un pezzo di metallo in fondo al mare”.

La fonte ha avuto una visione molto più spicciola della decisione di Biden di sabotare più di 1500 miglia di gasdotto Gazprom all’approssimarsi dell’inverno. “Beh”, ha detto parlando del Presidente, “devo ammettere che il ragazzo ha un paio di palle.  Ha detto che l’avrebbe fatto e l’ha fatto”.

Alla domanda sul perché pensasse che i russi non avessero risposto, ha risposto cinicamente: “Forse vogliono avere la capacità di fare le stesse cose che hanno fatto gli Stati Uniti”.

“Era una bella storia di copertura”, ha proseguito. “Dietro c’era un’operazione segreta che prevedeva la presenza di esperti sul campo e di apparecchiature che funzionavano con un segnale segreto.

“L’unica pecca è stata la decisione di farlo”.

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Il New York Times ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento, di Andrew Korybko

Né il New York Times, né gli esperti occidentali citati dalla scrittrice Ana Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così la osservazione che questa dimensione della campagna di guerra dell’informazione anti-russa del Golden Billion è decisamente cambiata.

La “narrativa ufficiale” che circonda il conflitto ucraino è passata nelle ultime settimane dal celebrare prematuramente la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev all’odierno serio avvertimento della sua probabile sconfitta. Ci si aspettava quindi, col senno di poi, che sarebbero cambiate anche altre dimensioni della campagna di guerra dell’informazione condotta dal Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti contro la Russia. Proprio a riprova di ciò, il New York Times (NYT) ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento.

“Nell’articolo di Ana Swanson su come ” La Russia elude le punizioni occidentali, con l’aiuto degli amici ”,  cita esperti occidentali che hanno concluso che “le importazioni della Russia potrebbero essere già tornate ai livelli prebellici, o lo faranno presto, a seconda dei loro modelli”. Ancora più convincente, fa riferimento all’ultima valutazione del FMI di lunedì, che “ora prevedeva che l’economia russa crescesse dello 0,3% quest’anno, un netto miglioramento rispetto alla precedente stima di una contrazione del 2,3%.

Né il NYT, né gli esperti occidentali citati da Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così l’osservazione che questa dimensione Anche la guerra informatica del Golden Billion è decisamente cambiata. Il nocciolo della questione è che le sanzioni anti-russe dell’Occidente non sono riuscite a catalizzare il crollo dell’economia di quella grande potenza multipolare mirata, che continua a rimanere straordinariamente resistente.

La tempistica in cui questa narrazione è cambiata è importante anche perché dà credito alla nuova narrativa più ampiamente conosciuta che oggi mette seriamente in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella NATO’s proxy war on Russiaguerra per procura della NATO contro la Russia .  Dopotutto, se le sanzioni raggiungessero l’obiettivo che avrebbero dovuto raggiungere e che i Mainstream Media (MSM) occidentali guidati dagli Stati Uniti fino ad allora avevano mentito, allora ne consegue naturalmente che Kiev avrebbe “inevitabilmente” vinto esattamente come sostenevano che sarebbe successo fino a metà gennaio.

Con questo in mente, il modo più efficace per “riprogrammare” l’occidentale medio dopo avergli fatto il lavaggio del cervello negli ultimi 11 mesi per aspettarsi la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev è anche cambiare in modo decisivo le narrazioni supplementari che hanno prodotto artificialmente quella suddetta falsa conclusione. A tal fine, è stato dato l’ordine di iniziare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fallimento delle sanzioni anti-russe del Golden Billion, ergo l’ultimo pezzo del NYT e la tempistica specifica.

Ciò che non viene detto in quell’articolo è l’osservazione “politicamente scorretta”, ma comunque fortemente implicita, secondo cui il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICSBRICS – & e SCOSCO , di cui la Russia fa parte, ha sfidato le richieste del Golden Billion di “isolare” quella Grande Potenza multipolare. Nessun media MSM lo ammetterà mai, almeno non ancora, ma il loro blocco de facto della Nuova Guerra Fredda ha un’influenza limitata al di fuori della “sfera di influenza” recentemente restaurata degli Stati Uniti in Europa, i cui paesi sono gli unici a subire queste sanzioni.

L’ultimo pezzo del NYT potrebbe inavvertitamente rendere consapevoli molti membri del loro pubblico di ciò, tuttavia, e potrebbero quindi obiettare sempre più ai loro governi che aumentano il loro impegno nella guerra per procura della NATO contro la Russia sotto la pressione americana. Il presidente croato Zoran Milanovic si è recentemente unito al primo ministro ungherese Viktor Orban nel condannare questa campagna e aumentare la consapevolezza di quanto sia stata controproducente per gli interessi oggettivi dell’Europa.

Quando gli europei si renderanno conto di essere gli unici a soffrire delle sanzioni anti-russe che il loro signore americano li ha costretti a imporre e che i loro sacrifici non hanno influito negativamente sull’operazione speciale mirata della Grande Potenza multipolare ,  potrebbero seguire massicci disordini. È improbabile che induca i loro leader controllati dagli Stati Uniti a invertire la rotta, ricordando che il ministro degli Esteri tedesco ha promesso alla fine dell’anno scorso di non farlo mai, ma potrebbe invece catalizzare una violenta repressione della polizia.

La ragione dietro questa previsione pessimistica è che un’inversione o per lo meno una diminuzione dell’attuale rigido regime di sanzioni anti-russe rappresenterebbe una mossa indipendente senza precedenti da parte di qualunque stato europeo lo faccia/lo faccia. Visto che ciò non è nemmeno accaduto negli otto anni prima della riuscita riaffermazione da parte degli Stati Uniti della loro egemonia unipolare per tutto il 2022, la probabilità che ciò accada oggigiorno in quelle condizioni molto più difficili è praticamente nulla.

“Il subordinato degli Stati Uniti ” per la “gestione” degli affari europei come parte della sua nuova cosiddetta strategia di “condivisione degli oneri”, la Germania ,  ha più che sufficienti leve di influenza economica, istituzionale e politica per punire chiunque di quei vassalli americani di livello inferiore che escono fuori posto. È quindi irrealistico aspettarsi che ogni singolo membro dell’UE sfidi unilateralmente le sanzioni anti-russe del blocco che il proprio governo ha precedentemente accettato.

Considerando questa realtà, quei leader che vogliono rimanere al potere o almeno non rischiare l’ ira della guerra ibrida guidata dai tedeschi degli Stati Uniti contro le loro economie sono restii a ripristinare una parvenza della loro sovranità in gran parte perduta in un modo così drammatico. Invece, la loro linea d’azione più pragmatica è quella di non partecipare all’aspetto militare di questa guerra per procura rifiutandosi di inviare armi a Kiev esattamente come hanno fatto il blocco pragmatico emergente dell’Europa centrale di Austria , Croazia e Ungheria. È quindi improbabile che la popolazione di quei paesi protesti contro le sanzioni anche dopo essere stata messa a conoscenza dei fatti contenuti nell’ultimo pezzo del NYT e giungendo naturalmente alla conclusione che le sanzioni anti-russe hanno danneggiato solo le proprie economie e non quella mirata alla Grande Di potere. Le persone in Francia, Germania e Italia, tuttavia, potrebbero benissimo reagire in modo diverso, soprattutto considerando la loro tradizione di organizzare massicce proteste.

In uno scenario del genere, i loro governi dovrebbero ordinare un violento giro di vite della polizia con qualsiasi pretesto escogitino, accusando falsamente i manifestanti di usare prima la violenza o accusandoli tutti di essere i cosiddetti “agenti russi”. Indipendentemente da come accadrà, il risultato sarà lo stesso per cui i paesi dell’Europa occidentale scivoleranno sempre più in una dittatura liberal-totalitaria, che a sua volta contribuirà a radicalizzare ulteriormente la loro popolazione verso fini incerti.

Tornando al pezzo del NYT, esso rappresenta un notevole capovolgimento della “narrativa ufficiale” ammettendo francamente che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento. Ciò coincide con il cambiamento decisivo della narrazione più ampia guidata dai leader americani e polacchi nell’ultimo mese, per cui oggi stanno seriamente mettendo in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella guerra per procura della NATO contro la Russia. Resta da vedere quali altre narrazioni cambieranno, ma si prevede che altre di queste lo faranno inevitabilmente.

https://korybko.substack.com/p/the-new-york-times-just-admitted

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Unione Europea e Germania! Controfigure e protagonisti_con Antonio de Martini

Da quaranta anni la costruzione e la designazione del nemico seguono lo stesso canovaccio. Dalle stelle alle stalle, personaggi come Saddam Husseyn, Milosevic, Gheddafi, per un pelo anche Assad, forse in un prossimo futuro Zelenski, hanno conosciuto una fine tragica, illudendosi per un attimo della benevolenza e delle grazie concesse dalla potenza aggrappata alle sue ambizioni egemoniche. Non sono altro che singoli punti di un cerchio che sta stringendo in una morsa ferrea ancora una volta l’Europa ed in particolare la Germania. Piuttosto che reagire, le vittime designate hanno scelto di divincolarsi il meno possibile. Così facendo pensano di guadagnare tempo; i più illusi ritengono di potersi ritagliare i resti di qualche pietanza. Saranno essi stessi la pietanza; il tacchino farcito da spolpare, senza nemmeno il ringraziamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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LA DECOSTRUZIONE DELLA POTENZA GERMANICA PRESENTATA COME CRISI DELLA UNIONE EUROPEA ENTRA NELLA FASE ACUTA ed altro_di Antonio de Martini

DALL’ULTIMO DECENNIO DEL 900 E PER TUTTO QUESTO QUARTO DEL NUOVO SECOLO OGNI SILURO ALL’UNIONE EUROPEA E’ STATO UN ATTACCO ALLA GERMANIA PER SCOMPAGINARNE LE ALLEANZE, LA CONSISTENZA POLITICA, ECONOMICA E FINANZIARIA E SMANTELLARNE O SVIARNE OGNI TENDENZA UNITARIA E IMPULSI DI SVILUPPO DEL NOSTRO CONTINENTE VERSO L’ASIA.

La costruzione dell’”American Century” e del ” Nuovo Ordine Mondiale“, fin dal 1991 – quando George Bush gettò la maschera della democrazia per annunziare al mondo che si apriva una nuova era – Il governo degli Stati Uniti si é premurato di trasformare ogni organizzazione internazionale in coalizione militare indicando come nemico N1 del mondo civile, progressivamente personaggi e paesi satelliti, resi prima sospetti poi impopolari agli occhi della opinione mondiale fino a renderli odiati, prima di annunziare punizioni esemplari, per ordine della ” Comunità internazionale“da loro rappresentata, ed eseguita dai più zelanti tra gli alleati ” volenterosi”nel caso di dissensi in sede ONU.

La prima coalizione militare seria (l’Irak) raccolse trentun paesi, l’ultima, quest’anno, cinquantuno.

Ognuna di queste coalizioni ha indicato – in un crescendo rossiniano- un “nemico pubblico” diverso, ma il risultato dell’azione é stato sempre a favore del governo degli Stati Uniti e il costo sopportato da altri, in particolare dall’Unione Europea o alcuni dei suoi componenti.

La sequenza delle “ punizioni” esemplari iniziata – a mò di manovra a fioco realistica- con l’isoletta caraibica di Granada, é giunta al confronto col primo avversario veramente pericoloso dato l’armamento nucleare di cui dispone e il fatalismo patriottico dei suoi abitanti. La Russia.

Per raggiungere questo obbiettivo mirante all’affermazione egemonica, il governo USA non ha esitato, dopo 75 anni di pace, a portare il conflitto nel cuore dell’Europa, dopo aver promosso la “secessione” dell’Inghilterra dalla UE, incoraggiato atteggiamenti di insofferenza verso la confederazione da parte di paesi europei tradizionalmente filo britannici come la Polonia e sta correndo un rischio calcolato di una overreaction russa, ma il suo vero obbiettivo sembra essere la destrutturazione dell’impalcatura della Unione Europea a guida germanica, con l’intento di sostituirla con un’espressione geografica in grado di ospitare amichevolmente basi militari e centri di influenza economica statunitense.

A ben vedere, in effetti la Russia con un PIL di poco superiore a quello italiano, con una demografia deficitaria e permeata di una mentalità mai veramente aperta al mondo – tipica di paesi non marinari – pur disponendo di un pericoloso arsenale nucleare, rappresenta più un “ brillante secondo” degli USA ( come l’Austria-Ungheria Asburgica con la Germania guglielmina) che un competitore capace di offrire al pianeta un modello di sviluppo civile. Il primo a notare la complementarietà tra USA e URSS fu Alberto Ronchey nel 1960 in un pamphlet “ L’Orso e la Balena”.

Il continente europeo, invece é culturalmente cattolico, dispone ( con l’Euro) di una potenza finanziaria, industriale ( con brevetti e colossi tedeschi) e demografica ( 500 milioni contro 300 scarsi e disomogenei) meglio strutturata di quella statunitense ( protestante con crescente minoranza cattolica e ortodossa, col dollaro fragilizzato da crisi in successione e politicamente semi isolata con due soli partner a fedeltà inossidabile: Israele e UK).

Il vecchio continente mantiene una influenza importante sull’Africa occidentale ( tramite i residui coloniali della Francia), sta acquisendo influenza in paesi chiave come l’Egitto, la Russia o la Cina ( prevalentemente tramite l’attivismo economico tedesco) mentre l’influenza culturale e linguistica dello spagnolo, supera già nel mondo – di oltre cinquanta milioni- la diffusione della lingua inglese, tallonata dalla francofonia (300 milioni).

La rinascita economica e industriale cinese pur realizzata con capitali anglosassoni e per altri fini non si é limitata a fungere da “fabbrica dell’occidente”, ma si é lanciata in autonomia sui mercati mondiali ridando centralità globale al Mediterraneo a scapito delle rotte atlantiche e dei porti protestanti come Anversa, Rotterdam, Londra, Amburgo (insomma la vecchia lega anseatica).

Il travaso migratorio dal Messico verso gli USA – altro indotto della strategia americana di utilizzo di mano d’opera a basso costo per massimizzare il profitto- minaccia di trasformare stati decisivi dell’Unione come la California e il Texas in stati di lingua spagnola (già oggi é la seconda lingua e la segnaletica stradale si é adeguata).

Nessuna meraviglia se gli Stati Uniti minacciati di perdere l’egemonia mondiale per mano del principale alleato, invidiati e imitati dall’Asia in crescita e sfruttati dagli alleati minori, abbiano sentito la necessità di articolare una strategia di blocco per gli europei, di sottomissione dei russi e di intimidazione dei cinesi: accerchiando la Cina e minacciando ( con basi, alleanze e pirateria) le sue rotte commerciali autonome, disarticolando la UE e avviando la sottomissione dei russi mediante la vecchia “ Strategia Schulenburg”( 1941-44) di muovere guerra alla Russia utilizzando altri russi.

Nei tre documenti qui illustrati, tutti ordinati alla Rand Corporation dallo Stato Maggiore USA nel 2019, si esaminano rispettivamente i punti suscettibili di provocare “la Russia di Putin” ( in 27 pagine), la strategia russa ( chiamata Russian subversion9 , in 31 pagine ed infine il documento strategico ” Extending Russia” di 325 pagine che illustra la strategia per far dilatare le spese del governo russo costretto ad aumentare a dismisura il budget della Difesa ed ogni altra uscita per far fronte alla competizione con l’Occidente. Chi volesse leggerli per intero può accedere coi link che seguono.

https://www.rand.org/pubs/perspectives/PE338.html

https://www.rand.org/pubs/perspectives/PE331.html

https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR3063.html

La unica differenza, in una politica estera sostanzialmente impersonale e costante, tra Biden e Trump consiste nell’approccio soft verso la Russia e hard verso la Cina di quest’ultimo, mentre Biden ha scelto l’inverso.

LA POSIZIONE ITALIANA

L’Italia si trova a dover scegliere tra questi due corni del dilemma assistendo impotente alla disarticolazione della costruzione europea di Schuman, Adenauer e De Gasperi, sovente tradita da tutti i successori e in particolare quelli che si sono succeduti in questo ultimo decennio che, per salvare il predominio dei paesi del nord nelle sedi brussellesi, hanno recentemente allargato i cordoni della borsa ai paesi latini e Mediterranei – in primis Italia e Spagna- rovesciando ogni loro dogma economico e finanziario, visto che l’esperimento greco di soffocamento non fu conclusivo. La soluzione per i paesi latini ( Francia, Italia e Spagna) e non solo per l’Italia, é a mio avviso solo la ricostruzione paziente dell’edificio europeo con baricentro mediterraneo, riducendo l’influenza dei paesi del nord – segnatamente quella germanica nel suo stesso interesse- alcuni dei quali succubi dell’influenza statunitense per via della paura della Russia contro la quale vengono sistematicamente aizzati.

I fondi utilizzati per acquisire il consenso dei paesi mediterranei e la lunga lotta per ottenerli non devono ingannarci: la dimensione moderna dell’azione politica globale é una dimensione continentale e la conduzione dell’Europa da parte dei paesi del nord – anche se si é trattato di uno stile di guida gradito agli anglosassoni – si é rivelato fallimentare sul piano della coesione, velleitario sul piano delle ambizioni e servile sul piano del rapporto con USA e Gran Bretagna.

Un deciso aumento della influenza dei paesi latini mediterranei sarebbe nell’interesse di tutti i paesi appartenenti alla odierna UE a condizione che l’Unione futura integri i suoi rapporti storici, politici ed economici con l’Egitto e il Maghreb (indispensabile piedistallo della futura Unione che aggiungerebbe alla comunità 250 milioni di abitanti come promesso a Barcellona 2000, anno in cui ci impegnammo ad abbattere le barriere doganali col nord Africa e non ne facemmo nulla.

LA POSIZIONE FRANCESE

Appesantita da un passato coloniale che avvelena i suoi rapporti in particolare con l’Algeria che ebbe a combattere una guerra di indipendenza di otto anni col solo aiuto di Enrico Mattei, la Francia solo ieri é stata invitata dal Burkina Faso a ritirare la sue truppe ( impegnate nella operazione ” sabre“) dal paese entro trenta giorni ed a cambiare l’ambasciatore dichiarato persona non grata.

Lo scorso anno la Francia é stata ricusata anche dal Mali e posto fine alla operazione ” Barkane” e “Serval” per gestire la quale aveva chiesto anche l’aiuto italiano e tedesco. Anche i rapporti con la Costa d’Avorio hanno conosciuto momenti migliori. Anche per la Francia, l’avvenire é rappresentato dall’Europa mediterranea , ma incontra dalla fine del mandato di Jacques Chirac un terzetto di presidenti devoti alla causa atlantica ( Sarkozy, Hollande, Macron) che hanno sabotato, l’uno il processo di integrazione appoggiando l’impresa cinica USA contro il parere italiano e tedesco ( e turco), l’altro ha smembrato la costituzione della brigata franco tedesca intesa come embrione delle nuove forze armate d’Europa e quest’ultimo la stessa coesione nazionale, anche se intuisce la necessità di una intesa con Italia e Spagna ogni volta che nota segni di disinteresse americano verso la politica e le iniziative francesi.

LA POSIZIONE TEDESCA

Sconfitta a due riprese da coalizioni euro russe e frustrata nelle sue ambizioni, la Germania ha seguito, in questo dopoguerra, la via della crescita economica sfruttando come vantaggio di non aver avuto spese militari significative fino a ieri. Gli Stati Uniti, resisi conto della peculiarità hanno cercato di ridurre la loro presenza militare schierata a protezione del territorio tedesco. Ma, Non potendo rifiutare la riunificazione e la competizione o il processo di unificazione del Continente, hanno accentuato la sorveglianza giungendo fino a intercettare la cancelliera Merkel che flirtava con la Russia e con la Cina, contrastare l’egemonia francese ( e la penetrazione dei missionari cattolici) in Africa e assestare una stangata anche all’Italia con la svalutazione nel 1992 della lira al 27% stimolata da un finanziere USA, agente americano per poi proseguire, senza riguardi per l’alleato, la distruzione dei mercati libico, siriano e iraniano di cui il nostro paese era il primo fornitore.

La Germania é stata dissuasa dall’investire in Algeria 500 miliardi per creare un hub energetico europeo di energia solare poco dopo l’accordo con gli algerini; dall’accentuare i rapporti economici e gli investimenti in Russia ( seguendo l’insegnamento di Bismarck) e il fatto che in un cellulare made in China il numero di brevetti utilizzati sia al 40% paritariamente tedesco e americano, non ha migliorato i rapporti, così come il suo rifiuto ufficiale a partecipare all’avventura libica (che ha impedito una partecipazione ufficiale NATO) non hanno migliorato la situazione che é definitivamente peggiorata alla notizia della plusvalenza di 500 miliardi ottenuta in un solo anno nell’interscambio coi cinesi.

La prospettiva di una intesa russo tedesca che relegherebbe gli Stati Uniti in una posizione di subordinazione insopportabile, ha deciso gli USA a iniziare una proxy war in Europa contro la Russia, per costringere gli alleati a decidere da che parte stare. Mai avevano gli USA avuto tanti alleati, ma mai tanto svogliati. Irrilevante il fatto che sia stata la Russia a prendere l’iniziativa (e il doc N1 pubblicato sopra “what provokes Putin’s Russia” del gennaio 2020 lo dimostra). Il conflitto ucraino ottiene di innescare la crisi russa, obbliga all’inimicizia euro russa, spinge i cinesi alla cautela per non perdere gli ingentissimi investimenti americani, rilancia le forniture militari a paesi fino ad oggi virtualmente armati ( Italia, Germania e Giappone) e crea una ennesima frattura tra i fautori europei di un riarmo offensivo degli ucraini e gli scettici.

La Germania non ha detto che non voleva fornire i carri armati LEOPARD2 agli ucraini: ha detto che lo vuol fare ” un giorno dopo che gli USA avranno fornito i ben più adatti ABRAMS ( questo i media non lo hanno riferito) statunitensi: sono cioè maturi per una associazione con gli altri europei su base paritaria piuttosto che continuare a subire l’hubris yankee.

Non approfittarne sarebbe un peccato.

LA SERBIA E IL KOSOVO SI PIEGANO ALLA UNIONE EUROPEA ” PER NECESSITA’ FAMILIARI”.

IL PRESIDENTE SERBO VUCIC CAPISCE E SPIEGA LA ESIGENZA DI AVERE DIMENSIONI CONTINENTALI O PERIRE DI INEDIA

Il presidente serbo Alecsander Vucic, dopo aver vinto le elezioni sull’onda di un elettorato in stragrande maggioranza filo russo, ha operato una svolta improvvisa, spiegando ai suoi concittadini le ragioni per cui il paese deve piegarsi alle richieste della UE incluse le sanzioni alla Russia e ha chiesto alla Wagner di non accettare volontari serbi per l’Ucraina.

Durante il ventennio fascista, quanti in Italia aderirono tardivamente – in difesa del posto di lavoro- al regime prendendo la tessera del PNF ( partito nazionale fascista), videro scherzosamente ribattezzato l’acronimo in ” Per Necessità Familiari”.

L’aneddoto mi é tornato in mente quando ho letto la notizia Bloomberg che il Presidente serbo Aleksander Vucic ha annunziato un grande dibattito pubblico sul tema della proposta franco-tedesca di sistemazione del contenzioso tra Serbia e Kosovo.

L’antefatto é noto e assomiglia come una goccia d’acqua alla secessione del Donbass dall’Ucraina: il Kosovo, culla della nazionalità serba e teatro della grande battaglia di Kosovo contro i turchi – cantata da D’Annunzio – protetto dai bombardamenti USA proclamò la sua indipendenza e decise di ospitare una grande base logistica militare americana. Da allora non corre buon sangue e truppe UE, anche italiane, presidiano il nord del Kosovo – prevalentemente abitato da serbi di religione ortodossa contro le soperchierie dei kossovari, mussulmani che insidiano i santuari cristiani che furono la culla dell’identità serba.

Il pubblico dibattito annunziato lo scorso 24 gennaio, é stato spiegato dal presidente – fino al giorno prima filo russo e decorato personalmente da Putin dell’ordine cavalleresco di Aleksander Newsky– con parole piene di realismo che spiegavano, in caso di rifiuto, il paese avrebbe “ subìto una interruzione del processo di integrazione europea, uno stop e il ritiro degli investimenti e misure politiche ed economiche tali da causare grandi danni alla repubblica serba.”

Stesso discorso per la dirigenza Kosovara che osteggia ogni intesa temendo che il nord del paese diventi, per poco che si renda autonoma, una enclave serba data la maggioranza della popolazione e la sua resilienza, al punto che a venticinque e passa anni dalla creazione del nuovo stato, il governo di Pristina non é ancora riuscito a far adottare agli automobilisti le targhe nuove e tutti girano con le targhe d’anteguerra.

Poiché sia gli uni che gli altri sanno che l‘Unione Europea é il principale sovventore e investitore di entrambi i paesi ed entrambi mirano ad essere accolti nella UE, francesi e tedeschi congiunti ( cui si é aggiunta l’italiana Giorgia Meloni) auspicano di riuscire a comporre la vertenza almeno in parte o – come minimo- fermare l’escalation.

Il piano della Unione Europea prevede che Belgrado cessi di fare pressioni per impedire il riconoscimento del Kosovo in sede internazionale ( attualmente é riconosciuto solo dagli USA e un paio di intimi) e il Kosovo dovrebbe concedere una qualche forma di autonomia – già promessa e mai concessa – alla regione settentrionale abitata da una schiacciante maggioranza di serbi pronti allo scontro. In pratica la situazione é identica a quella dell’Ucraina del 2014 mutatis mutandis con l’UE al posto degli USA e i fieri serbi nel ruolo degli ucraini che lottano per l’indipendenza.

CRISI IN BULGARIA: PER LA QUINTA VOLTA IN DUE ANNI ELEZIONI POLITICHE GENERALI

Rumen Radev annunzia che il 3 febbraio scioglierà il Parlamento

Tempi duri per il partito socialista bulgaro ostile a rifornire l’Ucraina di munizioni d’epoca sovietica e carburanti diesel per i mezzi corazzati. Si piazza primo alle elezioni, ma non riesce a formare un governo. Le elezioni hanno avuto luogo a aprile, luglio e settembre 2021 e a ottobre 2022. la prossima tornata é prevista per il 2 aprile 2023.

Nella foto: Rumen Radev, Presidente della Repubblica di Bulgaria, ha annunziato che scioglierà il Parlamento il prossimo 3 febbraio, per la quinta volta in due anni.

In questo lasso di tempo, il paese é stato gestito da governi interinali che hanno rifornito l’Ucraina del 40% delle munizioni ( di epoca sovietica quindi introvabili per UE e USA) impiegate in questo primo anno di guerra. Ora che l’allargamento del conflitto é una delle opzioni in ballo, si cerca di ottenere un viatico democratico per una formula di governo in grado di vantare un pedigree democratico.

La Bulgaria é – oltre all’Ucraina– anche uno dei collegamenti politici americani con la guerra di Siria, alla quale ha fornito tutto l’armamento necessario, dato che il paese dispone di una fabbrica licenziataria dei mitragliatori Khalashnikov, l’arma più diffusa del pianeta – in particolare nei paesi arabi e del terzo mondo, per la sua semplicità di impiego e manutenzione.

La manovra va letta nel quadro dell’unrest dei Balcani che si cerca di placare con operazioni “democratiche” ( anche in Romania dove sono stati licenziati i tre importanti dirigenti dei servizi segreti senza spiegazioni) e nel Balcani occidentali con le recenti dichiarazioni della premier italiana Giorgia Meloni invocante l’integrazione di Sloveni, Bosniaci, Serbi, Croati e Montenegrini nella Unione Europea.

In realtà la Serbia, considerata la pecora russa dell’area, non la vuole nessuno, anche per via della Unione doganale con la Russia che aprirebbe una via all’interscambio senza controlli tra UE e Russia.

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