Il tech-enigma cinese di Washington By: Phillip Orchard

tratto da https://geopoliticalfutures.com/

Il tech-enigma cinese di Washington

By: Phillip Orchard

Ai primi di novembre, l’incipiente  “ guerra fredda tecnologica ” USA-Cina ha preso una piega piuttosto surreale. Il governo degli Stati Uniti ha annunciato una revisione della legge di sicurezza nazionale sulla minaccia rappresentata non da giganti delle telecomunicazioni cinesi come Huawei o aziende intelligenza artificiale cinese in via di sviluppo applicazioni campali per l’Esercito di Liberazione del Popolo, ma piuttosto da TikTok, una piattaforma di social media cinesi popolarissima meglio conosciuta per il 15- secondi di clip di Gen Zers (i nati tra il 1996 e il 2010) facendo molto cose Gen Z . La scorsa settimana, al Senato degli Stati Uniti il ​​leader della minoranza Chuck Schumer ha pressato il Segretario dell’Esercito di astenersi dall’utilizzare TikTok come strumento di reclutamento.

La presunta minaccia ha a che fare con i dati. Con circa 500 milioni di utenti, tra cui 80 milioni negli Stati Uniti, TikTok sta raccogliendo una tonnellata di dati. TikTok è di proprietà di ByteDance, una società privata cinese, e non è nemmeno disponibile all’interno della Cina. Ma dal momento che anche le imprese private in Cina non hanno altra scelta che cooperare con il Partito Comunista di richieste della Cina, Pechino potrebbe apparentemente utilizzare l’applicazione, per esempio, per monitorare i movimenti di obiettivi di intelligence. Tali preoccupazioni non sono interamente infondate. Dopo tutto, anche i giganti tecnologici basati negli US sono sotto esame per il montaggio degli oceani di dati utili che possono accumulare.

Questo illustra una caratteristica fondamentale della concorrenza degli Stati Uniti-Cina: Date le linee di sfocatura tra tecnologie commerciali e militari o di intelligence, non è difficile trovare motivi per cui quasi ogni tecnologia cinese emergente potrebbe minacciare gli interessi degli Stati Uniti . Infrastrutture cinese 5G, per esempio, potrebbe apparentemente essere un’arma per deviare i dati sensibili a Pechino o devastare la logistica militare degli Stati Uniti e le linee di comunicazione come il PLA fa la sua mossa su Taiwan . Convogli del treno di fabbricazione cinese potrebbero essere truccati per paralizzare le principali città degli Stati Uniti. Frigoriferi intelligenti di fabbricazione cinese potrebbero essere programmati per diventare senziente in massa e mettere in scena un ammutinamento di ghiaccio. (In teoria, almeno.)

Di conseguenza, Washington sta rimescolando per sviluppare un approccio coerente alla gestione di una serie di minacce che è estremamente chiaro sia in portata e per la gravità. Proprio come un problema, la capacità di Washington di ridurre tali minacce senza fare più male che bene per gli interessi degli Stati Uniti è oscura. Linea di fondo: Gli Stati Uniti lottare per un equilibrio ideale, ma la competizione geopolitica più ampia spingerà gli Stati Uniti a sbagliare sul lato di mitigare gli scenari peggiori – tuttavia reale o immaginario.

tre incertezze

Nel corso dei prossimi mesi, con nuovi poteri concessi dalla legge di riforma Export di controllo del 2018 , il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti è prevista per chiarire quali “ tecnologie di base e emergenti” cinesi si considerano veramente problematiche. Essa continuerà inoltre porre le basi per misure concrete per farvi fronte, tra cui i controlli sulle esportazioni, divieti di importazione, restrizioni sugli investimenti e collaborazione nella ricerca e sviluppo, e così via. Questo compito è complicato da tre fonti di incertezza.

La prima domanda, naturalmente, è solo quanto una particolare tecnologia cinese – o anche tecnologie di fabbricati in Cina – può realisticamente danneggiare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Alcuni sono abbastanza ovvio; gli Stati Uniti hanno un ampio interesse a mantenere i cittadini cinesi lontani dalla sequenza di ricerca dei laboratori biotech degli Stati Uniti, per esempio, o di privare i responsabili di sistemi di arma dei semiconduttori all’avanguardia degli Stati Uniti e del software. Innegabilmente, i progressi cinesi in computazione quantistica, di intelligenza artificiale, la robotica, aeronautica, spazio e così via hanno il potenziale di diminuire il gap convenzionale del militare degli Stati Uniti nel corso del PLA.

Ma con la maggior parte delle altre aziende tecnologiche e di produzione avanzata cinesi nel mirino degli Stati Uniti, la minaccia è in larga misura teorica a questo punto. Anche le preoccupazioni circa 5G cerniera in gran parte su una serie di ipotesi su come rapidamente e ampiamente verrà adottato la tecnologia, quali tipi di applicazioni si depositeranno, e la difficoltà a sviluppare misure di sicurezza informatica sufficienti come la crittografia. C’è anche una tendenza a sopravvalutare la capacità innovativa della Cina. Pechino sta aiutando le imprese cinesi a ridurre il divario con gli Stati Uniti nel campo della R & S di spesa, certo, ma il record di innovazione delle imprese cinesi (in particolare le mastodontiche imprese di proprietà statale) è stato misto, nel migliore dei casi. Gli alleati ad alta tecnologia in Asia nordorientale e in Europa degli Stati Uniti hanno un vantaggio di decenni nella maggior parte dei settori, e la Cina non può chiudere il gap attraverso trasferimenti forzati di tecnologia o cyberespionage da soli.

Made in China 2015: Obiettivi Industry

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La seconda questione è se gli Stati Uniti hanno in realtà gli strumenti per minacce potenziali in indirizzo. Gli strumenti possono essere raggruppati in due categorie: difensivi e offensivi. Attuare la maggior parte delle misure di difesa sarebbe relativamente semplice. Gli Stati Uniti potrebbero, ad esempio, vietare ai membri del suo esercito, servizi segreti, e gli altri reparti sensibili utilizzando i dati-accaparramento applicazioni cinesi come TikTok – o semplicemente vietare tali applicazioni da noi nel complesso. Già è efficacemente vietato l’uso di apparecchiature di telecomunicazione cinese alle reti degli Stati Uniti. E ‘anche probabile che fare di più per incoraggiare lo sviluppo (e l’adozione diffusa) di più sofisticate pratiche di crittografia e sicurezza informatica.

Ma le misure difensive non copriranno tutto. Tutte le reti di telecomunicazione, con o senza tecnologia cinese, saranno intrinsecamente vulnerabili alle operazioni informatiche cinesi. Inoltre, gli interessi degli Stati Uniti non si limitano a coste degli Stati Uniti. Così, gli Stati Uniti stanno anche giocando con misure offensive efficacemente volte a smontare le imprese cinesi potenzialmente problematiche o del tutto. Questo è il punto della on-ancora una volta, fuori di nuovo i controlli sulle esportazioni di componenti degli Stati Uniti e software per Huawei, che si basa prevalentemente su semiconduttori statunitensi, software e progettazione di chip – così come l’offensiva diplomatica volti a mantenere la macchina Huawei lontano dai posti che gli Stati Uniti contano per la logistica militare. Quando il breve colpo US di un divieto di esportazione sul rivale di proprietà statale di Huawei, ZTE, nel maggio del 2018, ha quasi portato l’azienda in ginocchio.

Tuttavia, ci sono diversi motivi per dubitare della efficacia delle misure offensive come i controlli sulle esportazioni. Per uno, funziona davvero solo se una ditta cinese è veramente dipendente dalla tecnologia degli Stati Uniti, l’accesso al mercato o di finanziamento. E gli Stati Uniti hanno il dominio quasi totale su solo un piccolo numero di settori, come i semiconduttori. Per un altro, come dimostrato questa estate quando diversi fornitori statunitensi hanno annunciato di aver sfruttato scappatoie nel divieto morbido sulle vendite a Huawei, imprese private multinazionali avrebbero schiaccianti incentivi per trovare il modo di continuare a vendere in Cina – anche se richiede operazioni di intermediazione all’estero. Infine, non è chiaro per quanto tempo la dipendenza cinese da imprese statunitensi sarà effettivamente in corso. Una ragione principale per cui le aziende cinesi come Huawei e ZTE hanno lottato per fare il salto in settori come i semiconduttori è che appena sempre avuto più senso continuare a comprare dagli Stati Uniti e concentrare le proprie risorse su ciò che sono in realtà buoni a fare(o sul servizio Pechino di politica e gli obiettivi diplomatici). Tagliato fuori da fornitori critici, tali imprese sarebbe venuto sotto pressione enorme per sviluppare sostituti adeguati – mentre Pechino garantisce di non appassire e morire nel frattempo. Può sembrare banale, ma la necessità è davvero la madre di innovazione.

Più male che bene?

Ciò evidenzia la terza fonte di incertezza: Gli Stati Uniti possono andare dopo le imprese cinesi senza fare più male che bene agli interessi degli Stati Uniti nel processo? La realtà è: La maggior parte delle misure proposte dagli Stati Uniti  porterebbero grandi rischi potenziali e dei costi – per i consumatori degli Stati Uniti, per le relazioni diplomatiche degli Stati Uniti, o alla capacità di salute e innovativa delle imprese statunitensi che Washington starebbe apparentemente cercando di proteggere. Si stima, per esempio, che tra il 10 per cento e 30 per cento dei ricavi delle principali aziende americane come Intel, Advanced Micro Devices e Qualcomm provengono dalla Cina. Ogni semiconduttore che non possono vendere a Huawei corrisponde a meno entrate per loro da dedicare nella R & S. Come detto, c’è anche il fatto spinoso che gli Stati Uniti hanno il monopolio solo di una manciata di tecnologie. Quindi, non ci sarebbe poco senso vietare le vendite verso la Cina nei settori in cui Tech è già ampiamente disponibile. In effetti, i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti sulle tecnologie satellitari disponibili a livello globale nel 1990 sono stati ritenuti controproducenti.

Nel frattempo, start-up della Silicon Valley soffrirebbero dalla perdita di investimenti cinesi. Una forza di base degli Stati Uniti, del resto, è la sua capacità di attrarre i migliori e più brillanti di altri paesi, in modo da un giro di vite degli Stati Uniti sugli immigrati cinesi, gli studenti e la collaborazione di ricerca non sarebbe a costo zero. Già, la minaccia delle tariffe supplementari degli Stati Uniti, insieme con i potenziali divieti in materia di appalti federale di apparati telematici con componenti fabbricati in Cina, ha costretto i produttori di elettronica degli Stati Uniti con operazioni di produzione in Cina per spendere miliardi per il reinstradamento delle catene di fornitura complicate altrove. La rappresaglia Cinese sarebbe inevitabile, sia sotto forma di sanzioni reciproche, boicottaggi dei consumatori nazionalisti, vessazioni delle imprese statunitensi in Cina o il divieto di sempre incombente su esportazioni di terre rare .

Infine, ci potrebbero essere i costi per la struttura diplomatica e l’alleanza degli Stati Uniti. Con 5G, ad esempio, gli Stati Uniti hanno effettivamente minacciato le relazioni di intelligence e cooperazione militare con i paesi che utilizzano apparecchiature di telecomunicazione Huawei. Per la maggior parte dei paesi, la speleologia per gli Stati Uniti sarebbe incredibilmente costoso e ritardare la loro implementazione 5G da diversi anni. (Molti usano Huawei per 4G, nel senso che avresti bisogno di strappare vecchia infrastruttura oltre a prendere sul vasto buildout necessaria per 5G -. E farlo con i fornitori più costosi)

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Il problema di fondo per gli Stati Uniti è l’incertezza che la preparazione per potenziali minacce tecnologia con mezzi di stima della potenza delle applicazioni tecnologiche che spesso  nemmeno esistono ancora – e l’innovazione tecnologica si muove velocemente. Di fronte a una minaccia emergente poco chiara, gli Stati Uniti tendono ad ignorare il problema prima  di travolgere con il potere ottuso. Idealmente, la soluzione per gli Stati Uniti sarebbe un “piccolo cortile, recinzione alta”, approccio che conserva la sicurezza nazionale senza compromettere la propria capacità di innovare e competere nei mercati globali – e senza ribaltamento la sua preziosa struttura di alleanza globale. Ma la minaccia ambientale è semplicemente troppo torbida, troppo dinamico e troppo carico di potenziale di conseguenze impreviste per gli Stati Uniti per realisticamente essere in grado di trovare un equilibrio in qualsiasi momento ottimale presto.

Il problema per la Cina, nel frattempo, è che può fare ben poco per placare i timori degli Stati Uniti di scenari peggiori. Le imprese cinesi possono promettono di rifiutare le richieste di stato per la cooperazione, ma sarebbe ingenuo riservare molta fiducia in questo. Possono aprire il proprio codice sorgente per gli ispettori stranieri, ma il codice sorgente possono cambiare rapidamente. La Cina non può certo abbandonare il suo tentativo di corsa la catena del valore di fabbricazione o di trasformare il PLA in una forza di combattimento ad alta tecnologia . Quindi, la questione non può essere separata dai sospetti più ampi e gli interessi in collisione che definiranno le relazioni USA-Cina per decenni a venire. Per gli Stati Uniti, in altre parole, è perfettamente razionale di considerare la privazione a un potenziale avversario di funzionalità che potrebbero rivelarsi pericolosi – tuttavia smussato e potenzialmente distruttiva. E data la traiettoria delle imprese cinesi e la possibilità che la leva degli Stati Uniti potrebbe presto evaporare, Washington sarà tentato di colpire veloce e poi porre domande.

VITTORIA!!!!, a cura di Giuseppe Germinario

Siamo all’apoteosi!

Lo spegnimento degli altiforni dell’ILVA procede inesorabilmente. Pochi sanno che il loro raffreddamento definitivo può compromettere l’integrità stessa dell’impianto. A giudicare dalla sicumera con la quale Mittal sta procedendo nell’azione legale e alla chiusura dello stabilimento, nel contratto di affitto non sarà stata inserita nemmeno una clausola che obblighi l’affittuario a restituire il bene nella sua piena funzionalità in caso di rinuncia. La ciliegina sulla torta di una serie di atti culminati con la sottoscrizione del contratto di affitto da parte di Renzi, Gentiloni e compagni e completata con la parodia grillina che ha generosamente offerto su un piatto d’argento il miglior pretesto per liquidare definitivamente il problema. Una mistura di connivenze e incompetenze letale. Rimane da chiedersi quale sia stato il supporto professionale dei grand commis di stato a questa tragicommedia. Gli unici ad affermare con spregiudicata sicumera le proprie prerogative sono stati i magistrati i quali, oltre ad attribuire le responsabilità penali e civili sugli antefatti, riescono a dettare dietro le quinte tempi e modi della conduzione futura degli impianti, salvo esporre per le conseguenze al pubblico ludibrio i politici più o meno inetti e consapevoli. Per rimediare parzialmente il danno dovranno andare a Canossa.

Si è cominciato con la liquidazione delle partecipazioni statali, si è proseguito con le cessioni e l’esodo del controllo della grande industria privata (chimica, auto, cavi e pneumatici, elettrodomestici), si sta rinunciando da tempo al prodotto finito; adesso è la volta della migrazione all’estero (Polonia, Repubblica Ceca e ormai anche Francia) della componentistica. Dopo aver addestrato per un paio di anni in Italia tecnici ed operai polacchi e cechi, adesso stanno migrando gli impianti e i macchinari. Cornuti e mazziati. Intanto l’avveniristica FCA (per gli anziani FIAT), la famiglia patriota degli Agnelli di essa proprietaria, hanno già ceduto la Magneti Marelli (batterie) e si accingono a cedere COMAU (automazione industriale). Debora Serracchiani (Partito Democratico)  intanto al di là del tempo continua  a recitare il mantra della “politica che deve assecondare il mercato” Quale? Quello le cui regole e modalità sono stabilite altrove e da altri centri politici?

Il generale Stano, ex comandante appena nominato della base di Nassirya ai tempi dell’attentato, è stato condannato dalla Giustizia Civile a risarcire le famiglie delle vittime dell’attentato. In altri tempi lo Stato avrebbe dovuto risarcire, salvo eventualmente rivalersi nel confronto del proprio funzionario; e in effetti lo ha già fatto. In una situazione di decisione politica, quella di guerra è la più classica delle situazioni discrezionali, il criterio di responsabilità civile diretta del funzionario porta direttamente all’inazione e alla paralisi dell’azione politica. Non è ovviamente un giudizio di merito anche se sono convinto che il generale Stano sia la vittima sacrificale del comportamento poco sportivo dei suoi superiori e dei decisori politici di allora.

Oggettività del mercato e riduzione del politico al diritto sono il binomio che sta portando all’inettitudine e alla paralisi dell’attuale classe dirigente e ceto politico e all’impossibilità di crearne una nuova  ed efficiente sul campo. Crollate le gerarchie e la divisione di competenze rimane lo stillicidio delle contrapposizioni fratricide e delle lotte di potere fini a se stesse.

Tangentopoli da una parte e le dismissioni come salvacondotto nell’Unione Europea in ossequio al mercato sono stati gli strumenti di questo scempio irreparabile e senza fine. E’ l’agonia senza fine di una nazione. Giuseppe Germinario

Qui sotto un articolo di analisi e difesa che tratteggia bene alcuni aspetti

https://www.analisidifesa.it/2019/09/nassirya-se-il-generale-stano-diventa-il-capro-espiatorio-per-i-caduti/?fbclid=IwAR3WR4X9-BJ_RHm4tDVfk7u2oRQ9imVQXSgm8CPy0fPaBkrrjrakJOe1EyQ

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino, di George Soros

Qui sotto un articolo particolarmente significativo apparso su https://www.project-syndicate.org/commentary/open-societies-new-enemies-by-george-soros-2019-11?fbclid=IwAR1u2gIpvkQs4x1TJxdAaGYAVMlgqNB6E3xh0a5daGuvLpHkklSPE8oS-jw Un segnale che la sua battaglia ha incontrato numerosi ed imprevedibili ostacoli, lungi però da scoraggiarlo. Il filantropo appare però un po’ distratto. Segnala i pericoli di manipolazione, di totalitarismo e di controllo sociale. Li vede però esclusivamente nei suoi avversari; tra di essi, con sua somma delusione, la Cina. L’azione di richiamo all’ordine dei GAFA, da lui largamente preannunciata circa tre anni fa, le cui pesanti attività censorie sono ormai talmente evidenti, rientrerebbero invece in una bonaria campagna di rieducazione. Il destino paradossale dei filantropi passa appunto per l’imposizione del bene anche a coloro che non lo vogliono. Gli manca l’ultima fase di questa maturazione psicologica: quella del vittimismo da incompreso. Lo strumento di imposizione del bene comune, il monocratismo imperiale americano, si sta rivelando inadeguato, annaspa e qualcuno, purtroppo, negli stessi Stati Uniti comincia a prenderne atto saggiamente. La veneranda età potrebbe risparmiare a Soros quest’ultima frustrazione. Per l’umanità sarebbe un enorme sollievo._Giuseppe Germinario

 

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino

BERLINO – La caduta del muro di Berlino nella notte dell’8 novembre 1989 ha improvvisamente e drammaticamente accelerato il crollo del comunismo in Europa. La fine delle restrizioni sugli spostamenti tra la Germania dell’est e la Germania dell’ovest ha dato il colpo di grazia alla società chiusa dell’Unione Sovietica. Allo stesso tempo, la caduta del muro ha segnato un punto fondamentale per la crescita delle società aperte.

Dieci anni prima della caduta del muro, fui coinvolto in quella che io definisco la mia filantropía política. Diventai un sostenitore del concetto di società aperta che mi conferì Karl Popper, il mio mentore alla London School of Economics. Popper mi insegnò che la conoscenza perfetta non è realizzabile e che le ideologie totalitarie, che affermano di possedere la verità assoluta, possono prevalere solo attraverso misure repressive. Negli anni ’80, sostenni i dissidenti contro l’impero sovietico e nel 1984 riuscii a creare una Fondazione nella mia nativa Ungheria che garantiva fondi ad attività promosse non da stati monopartitici. L’idea di fondo era che incoraggiando le attività esterne alle formazioni partitiche, i cittadini avrebbero avuto maggiore consapevolezza delle falsità dei dogmi ufficiali e in effetti questo sistema ha funzionato alla meraviglia. Con un budget annuale di 3 milioni di dollari, la Fondazione è diventata più forte del Ministero della Cultura. Da parte mia io sono rimasto affascinato dalla filantropia politica e, con il crollo dell’impero sovietico, ho creato diverse fondazioni in vari paesi. Il mio budget annuale è passato da 3 milioni a 300 milioni di dollari in pochi anni. Era un periodo esaltante in quanto le società aperte erano in ascesa e la cooperazione internazionale era il credo dominante. A trent’anni di distanza la situazione è ben diversa. La cooperazione internazionale ha trovato diversi ostacoli sul suo cammino e il nazionalismo è diventato il nuovo credo dominante. Inoltre, finora il nazionalismo si è rivelato essere ben più potente e distruttivo dell’internazionalismo. Non era tuttavia un risultato prevedibile. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, gli Stati Uniti erano diventati l’unica superpotenza che non è tuttavia riuscita a essere all’altezza delle responsabilità che la sua posizione le aveva conferito. Gli Stati Uniti erano infatti più interessati a godersi i frutti della vittoria della Guerra Fredda e non hanno quindi pensato a dare una mano ai paesi dell’ex blocco sovietico che si trovavano in gravi difficoltà. Pertanto, il paese ha aderito alle prescrizioni delle politiche neoliberali denominate “Washington Consensus”.

    Nello stesso periodo, la Cina si è imbarcata nel suo incredibile viaggio verso la crescita economica facilitato dalla sua adesione all’Organizzazione Mondiale per il Commercio e alle istituzioni finanziarie anche grazie al sostegno degli Stati Uniti. Con il tempo, la Cina ha finito per rimpiazzare l’Unione Sovietica quale potenza rivale degli Stati Uniti.

    In questo contesto, il “Washington Consensus” ha dato per scontato che i mercati finanziari sarebbero stati in grado di correggere i propri eccessi e, in caso contrario, le banche centrali avrebbero gestito eventuali crisi delle istituzioni fondendole per creare delle istituzioni più grandi. Tuttavia queste erano evidentemente false convinzioni come ha poi dimostrato la crisi finanziaria del 2007-08.Il crollo del 2008 ha messo fine alla indiscussa predominanza globale degli Stati Uniti e ha dato una grande spinta al nazionalismo cambiando inoltre in negativo l’atteggiamento nei confronti delle società aperte. La protezione che le società aperte avevano ricevuto dagli Stati Uniti è sempre stata indiretta e a volte insufficiente, ma l’assenza totale del sostegno le ha evidentemente lasciate vulnerabili alla minaccia del nazionalismo.

    Mi ci è voluto del tempo per realizzarlo, ma le prove sono inconfutabili ed è evidente che le società aperte sono state spinte a mettersi sulla difensiva a livello mondiale. Credo che il picco negativo sia stato raggiunto nel 2016 con il referendum sulla Brexit nel Regno Unito e l’elezione del Presidente statunitense Donald Trump, ma il verdetto è ancora incerto.

    La prospettiva delle società aperte è infatti aggravata dallo sviluppo incredibilmente rapido dell’intelligenza artificiale che può produrre strumenti di controllo sociale in grado di sostenere i regimi repressivi e di rappresentare un pericolo letale per le società aperte. Ad esempio, il Presidente cinese Xi Jinping ha iniziato a creare il cosiddetto sistema di credito sociale. Se dovesse riuscire a completarlo, lo stato avrebbe il controllo totale sui suoi cittadini. E’ preoccupante che i cittadini cinesi siano affascinati da questo sistema di credito sociale che, d’altra parte, garantisce loro dei servizi che prima non avevano, promette di perseguire i criminali e offre loro una guida su come stare lontano dai guai. Cosa ancor più preoccupante, la Cina potrebbe vendere il sistema di credito sociale ad aspiranti dittatori a livello mondiale che diventerebbero a loro volta politicamente dipendenti dalla Cina.

    Per fortuna la Cina di Xi ha un tallone di Achille, ovvero dipende dagli Stati Uniti per i microprocessori di cui le aziende 5G, come Huawei e ZTE, hanno bisogno. Purtroppo però, Trump ha dimostrato di voler mettere i suoi interessi personali prima degli interessi nazionali e il 5G non fa eccezione. Sia lui che Xi sono in difficoltà a livello nazionale e, nelle negoziazioni commerciali con Xi, Trump ha messo sul tavolo anche Huawei convertendo i microchip in merce di scambio. Il risultato è imprevedibile in quanto dipende da una serie di decisioni che non sono ancora state prese. Viviamo in tempi rivoluzionari in cui la gamma delle possibilità è ben più ampia del solito e il risultato è ancora più incerto rispetto ai tempi normali. Possiamo solo dipendere dalle nostre convinzioni. Personalmente mi sono impegnato a raggiungere gli obiettivi perseguiti dalle società aperte. Questa è la differenza tra lavorare per una fondazione e cercare di fare soldi in borsa. Traduzione di Marzia Pecorari

    Gli incendi del 4GW stanno bruciando il Messico, di Larry Kummer

    Gli incendi del 4GW stanno bruciando il Messico

    Riepilogo: ho scritto per dieci anni sul deterioramento dello stato messicano e le sue terribili implicazioni per l’America. Mi sono fermato perché troppo poco curato. Quest’anno il declino del Messico ha subito un’accelerazione. La sua gente sta fissando un futuro sanguinoso. Qualunque cosa accada, gli effetti su di noi saranno immensi. Dobbiamo prestare attenzione.

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    ID 43125507 © Agsandrew | Tempo di sognare.

    Messico: una grande vittoria per 4GW

    Di William S. Lind a Traditional Right, 8 novembre 2019.
    Inserito con il suo generoso permesso.

    Un recente evento a Culiacan, in Messico, avrebbe dovuto attirare molta attenzione ma non lo ha fatto: un’entità di quarta generazione, il cartello Sinaloa, ha preso lo stato messicano e lo ha battuto, non solo strategicamente ma tatticamente. Lo ha fatto dimostrando un ciclo OODA notevolmente rapido, molto più veloce di quello dello stato. Questo è un segno di cose a venire, non solo in Messico ma in molti luoghi.

    Il pezzo più percettivo che ho visto in questi eventi è stato nel 20 ottobre Cleveland Plain Dealer , ” La battaglia con le armi che coinvolge il figlio di El Chapo evidenzia le sfide al governo ” di Mary Beth Sheridan del Washington Post. Si afferma …

    “Quello che è successo la scorsa settimana è stato senza precedenti. Quando le autorità messicane hanno cercato di trattenere uno dei figli di El Chapo, centinaia di uomini armati con armi automatiche hanno spazzato la città, sigillando le sue uscite, prendendo in ostaggio i funzionari della sicurezza e combattendo le autorità. Dopo diverse ore, le forze governative assediate rilasciarono Ovidio Guzman, ricercato con l’accusa di traffico di droga da parte della Confederazione americana.

    “L’offensiva a Culiacan. … esponeva uno dei principali problemi del paese: il controllo del governo che scivolava su parti del territorio. Vi è un numero crescente di aree “in cui si ha effettivamente una presenza statale, ma a condizioni negoziate con chi gestisce lo spettacolo localmente”, ha affermato Falko Ernst, analista senior del Messico per l’International Crisis Group.

    “L’attacco di giovedì pomeriggio è arrivato a seguito di numerosi incidenti che hanno messo in luce la capacità dei gruppi criminali organizzati di sfidare il governo. Lunedì, alcuni uomini armati hanno teso un’imboscata a un convoglio della polizia di stato nello stato occidentale di Michoacan, uccidendo 14. Il mese scorso, il cartello nord-est ha ordinato alle stazioni di servizio nella città di confine di Nuevo Laredo di negare il servizio alla polizia o ai veicoli militari, lasciandoli alla disperata ricerca di carburante “.

    Tutto ciò non sta accadendo nel Hindu Kush ma sul nostro confine meridionale immediato. Solo questo avrebbe dovuto attirare una maggiore attenzione da un istituto di difesa fissato sulle non minacce della Russia e della Cina. Ma qui c’è più di quello che sembra.

    Normalmente, quando gli stati combattono forze non statali nella guerra di quarta generazione, lo stato perde strategicamente ma vince tatticamente. Qui, anche le forze non statali hanno vinto tatticamente e hanno vinto alla grande. Erano equipaggiati almeno quanto le forze statali messicane. Ma ciò che è stato davvero impressionante è stata la loro velocità nel Loop OODA. Apparentemente colti di sorpresa dal sequestro statale di uno dei loro leader, furono in grado di rispondere in modo massiccio entro poche ore. Assunsero il controllo completo di una città di circa un milione di persone, isolando e circondando l’unità che aveva catturato Ovidio Guzman. Il presidente del Messico è stato costretto a ordinare il suo rilascio.

    La capacità del cartello di osservare, orientare, decidere e agire molto più rapidamente di quanto lo stato non sia una sorpresa. Anni fa, quando John Boyd era ancora vivo, un mio amico che era un ufficiale della Marina era in Bolivia in missione contro la droga. Gli ho chiesto in che modo l’OODA Loop dello stato boliviano ha confrontato con i trafficanti. Ha detto: “Lo attraversano sei volte nel tempo che ci serve per attraversarlo una volta”. Quando ho detto a Boyd che, ha detto: “Allora non sei nemmeno nel gioco.”

    La velocità superiore delle forze 4GW attraverso l’OODA Loop, a sua volta, ha diverse cause. Stanno combattendo i militari di seconda generazione, in cui il processo decisionale è centralizzato e quindi lento. Gli stati sono entità burocratiche e i burocrati evitano di prendere decisioni e agire perché possono mettere in pericolo la loro carriera. La motivazione delle forze statali è spesso scarsa perché hanno poca lealtà verso gli stati corrotti e incompetenti che servono; soprattutto, per loro è un lavoro che offre uno stipendio. Al contrario, la maggior parte delle forze 4GW non ha burocrazia, decentralizza il processo decisionale perché deve farlo e ha combattenti con vera lealtà a ciò che rappresentano. Perché? Denaro, oltre a ciò che le donne locali citate nell’articolo del PD hanno spiegato …

    “Ha riconosciuto che i membri del cartello facevano parte del tessuto sociale, a volte più efficace nel risolvere i problemi rispetto alle autorità. Ad esempio, se la tua auto viene rubata, è più probabile che la riavresti contattando i membri del cartello tramite un conoscente piuttosto che aspettando che la polizia risolva il caso, ha detto. “

    I cartelli della droga rappresentano il futuro sotto molti aspetti. Non cercano di sostituire lo stato o catturarlo apertamente, il che li renderebbe vulnerabili ad altri stati; piuttosto, si nascondono all’interno delle sue strutture scavate e sono protetti dalla sua sovranità formale. Guadagnano un sacco di soldi mentre gli stati chiedono l’elemosina. Forniscono servizi sociali che lo stato dovrebbe offrire, ma non lo è. Le loro forze altamente motivate con strutture di comando piatte hanno un OODA Loop più veloce di quello dello stato. E a livello locale, spesso appaiono più legittimi dello stato.

    Ancora una volta, tutto ciò sta accadendo proprio accanto. Perché il nostro istituto di sicurezza nazionale non può leggere le parole già scritte sul muro di frontiera di cui abbiamo così disperatamente bisogno? Quelle parole sono “Guerra di quarta generazione”.

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    Postfazione del redattore

    Sono d’accordo con tutto ciò, tranne per un aspetto della conclusione di Lind. Gli obiettivi di individui e organizzazioni contano poco. Gli eventi ci spingono verso futuri inaspettati. La natura detesta i vuoti di ogni tipo, compresi i vuoti del potere politico. I cartelli potrebbero essere felici come criminali di successo, ma la debolezza dello Stato potrebbe costringerli ad espandere il loro potere. Ciò costringerà inevitabilmente un incontro in gabbia con il governo messicano. In tal caso, solo uno può sopravvivere. I leader dei cartelli sanno che è bello essere re.

    Qualunque cosa accada, gli effetti sugli Stati Uniti saranno immensi. La nostra influenza su questi eventi in Messico sarà lieve.

    Domanda: .. “Quale nazione rappresenta la più grande minaccia alla sovranità degli Stati Uniti?”
    Risposta: … “Messico”.
    – Briefing intorno al 1994 di un esperto geopolitico presso la CIA. Erano increduli allora; oggi probabilmente capiscono.

    Circa l’autore

    William S. Lind è direttore dell’American Conservative Center for Public Transportation . Ha conseguito un Master in Storia presso la Princeton University nel 1971. Ha lavorato come assistente legislativo per i servizi armati per il senatore Robert Taft, Jr., dell’Ohio dal 1973 al 1976 e ha ricoperto una posizione simile con il senatore Gary Hart del Colorado dal 1977 al 1986. Guarda la sua biografia su Wikipedia .

    William Lind

    Lind è l’autore del Maneuver Warfare Handbook (1985), coautore con Gary Hart of America Can Win: The Case for Military Reform (1986), e coautore con William H. Marshner di Cultural Conservatism: Toward a New National Agenda (1987). Ancora più importante, è uno dei co-autori di ” Into the Fourth Generation “, l’articolo dell’ottobre 1989 nella rivista Marine Corps Gazette che descrive la guerra di quarta generazione.

    È forse più noto per i suoi articoli sulla lunga guerra, ora pubblicati come On War: The Collected Columns di William S. Lind 2003-2009 . Guarda i suoi altri articoli su una vasta gamma di argomenti …

    1. I suoi post su TraditionalRight .
    2. I suoi articoli sulla geopolitica al The American Conservative .
    3. I suoi articoli sui trasporti al The American Conservative .

    Per maggiori informazioni

    Idee! Per alcune idee di shopping, consulta i miei libri e film consigliati su Amazon .

    Ti preghiamo di noi su Facebook e seguici su Twitter . Vedi anche altri post sul Messico , sulla guerra di quarta generazione (in particolare sulla teoria del 4GW ), e in particolare su questi post …

    1. STRATFOR offre un nuovo modo di pensare al crimine organizzato messicano.
    2. Stratfor esamina l’insurrezione del cartello della droga contro il Messico.
    3. Stratfor: gli imprenditori messicani forniscono il fentanil che l’America vuole!
    4. Trump vuole difendere i nostri confini. Protesta dei democratici.

    Due libri sui cartelli del Messico

    Libri di Ioan Grillo, giornalista di base a Città del Messico. Ha coperto l’America Latina dal 2001 per i principali media. Era affascinato da queste figure che guadagnavano $ 30 miliardi all’anno, erano idolatrate in canzoni popolari e sfuggivano all’esercito messicano e alla DEA. Ha visitato infinite scene di omicidio in strade piene di proiettili, montagne in cui le droghe nascono come bei fiori e criminali sfregiati in celle di prigione e condomini di lusso. Vedi il suo sito web . Vedi le sue colonne sul New York Times .

    derive in pot pourri, a cura di Antonio de Martini

    E SI CHE CE N AVOCATO DE FAMA
    Una specificazione molto precisa. Dettagliata. Arcelor Mittal può recedere dal contratto di affitto – preliminare alla vendita – in tutta una serie di ipotesi. Già il contratto d’affitto con obbligo di acquisto di rami d’azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza nitido. Ma l’accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.

    Il Sole 24 Ore ha avuto modo di leggere entrambi i documenti. E, a meno che non siano intervenute successive modifiche, dalla loro consultazione evapora ogni ambiguità. L’accordo che modifica il contratto dedica a ogni plausibile declinazione l’articolo 27. Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d’azienda”. Quattro pagine fitte di fattispecie, sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi.

    «Nel caso in cui – si legge nel documento – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non de o finitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto».

    Il linguaggio contrattuale dà forma verbale alla sostanza della questione: cambia il quadro giuridico generale, che rappresenta lo sfondo regolamentare su cui si è svolta l’asta internazionale che ha visto ArcelorMittal prevalere su Jindal, Arvedi, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti? Viene cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell’arrivo del nuovo proprietario a Taranto? Arcelor Mittal restituisce le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa.

    Ma c’è dell’altro. Sempre nell’addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: «L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale».

    UN’INCHIESTA A ROMA PER PRESUNTE INTERCETTAZIONI ABUSIVE.
    IL COINVOLGIMENTO RUSSIAGATE
    DI TRUMP. IL CASO BIJA. LA GUERRA
    AI VERTICI PER LE NOMINE. SONO GLI SCANDALI CHE FANNO TREMARE I NOSTRI 007
    DI EMILIANO FITTIPALDI
    Il grande caos all’italiana di fine 2019 sembra non risparmiare niente e nessuno. Fa traballare il neonato governo giallorosso di Giuseppe Conte, senza ossigeno a soli due mesi dalla nascita. Mo- stra le crepe profonde dell’economia nazionale, caratterizzata da crescita asfittica e crisi industriali che si trascinano insolute verso il burrone. Il disordine investe la maggioranza, i partiti, istituzioni e corpi intermedi e – secondo i pessimisti – rischia di risolversi in un solo modo: elezioni anticipate e vittoria della destra estrema di Matteo Salvini.
    Dallo scompiglio non si salva nemmeno uno dei settori più delicati della Repubblica. Quello, cioè, dei nostri servizi segreti e delle autorità preposte alla sicurezza nazionale. Dal Russiagate di Trump alla vicenda dei trafficanti libici in visita nei ministeri, passando per le furiose guerre interne sulle nomine sino al coinvolgimento di pezzi da novanta dei nostri 007 nell’inchiesta su Antonello Montante, agenzie come Dis, Aisi e Aise (le ultime due monitorano rispettivamente la sicurezza interna e le minacce che arrivano dall’esterno) sembrano vivere uno dei momenti più delicati degli ultimi tempi.
    «Il nostro core business, sia chiaro, resta solido: vantiamo ancora capacità ed eccellenze invidiate in mezzo mondo», spiega un’accreditata fonte interna. «Il problema è
    che una crisi di sistema come quella che stiamo vivendo non può non avere rilessi anche su di noi. È come in uno specchio: siamo organismi che rispondono all’autorità politica. La debolezza dell’amministrazione, l’incapacità di comando e la selezione discutibile della nostra classe dirigente ha generato tensioni e trambusto».
    MISTERO EXODUS
    La situazione, ora, rischia di deteriorarsi ancora. A causa di alcune inchieste della magistratura. Su tutte, quella della procura di Roma sulla vicenda Exodus, un sistema spyware che una ditta di Catanzaro, la E. Surv, ha venduto anni fa a procure di mezza Italia per efettuare intercettazioni telefoniche attraverso l’inoculazione dei trojan nei cellulari degli indagati. Non solo: Exodus è stato acquistato anche dall’Aisi e dall’Aise.
    Lo scorso maggio i pm di Napoli in un’inchiesta parallela hanno arrestato il proprietario della srl calabrese e il creatore della piattaforma informatica. Le accuse sono gravi: aver efettuato intercettazioni illecite su soggetti estranei a qualsiasi indagine penale e aver compiuto una frode in pubbliche forniture. Tutti i dati sensibili captati da Exodus sarebbero infatti finiti non all’interno di server protetti ubicati sul territorio nazionale – come previsto dai contratti con le procure e le authority – ma in un archivio segreto su un cloud Amazon in Oregon,
    Prima Pagina
    10 novembre 2019 25

    Governo / Scontro tra apparati
    Usa. Anche Vito Tignanelli e Maria Aquino, titolari della società STM che commer- cializzava Exodus per conto della E.Surv, sono stati indagati.
    L’inchiesta dei colleghi di Roma sta invece cercando di capire chi e perché – nelle nostre agenzie di intelligence – ha voluto comprare il malware, e soprattutto se Exodus sia stato usato in modo illecito dai nostri 007 per spiare di nascosto obiettivi sensibili.
    L’aggiunto Angelantonio Racanelli, presente il capo dell’ufficio “facente funzioni” Michele Prestipino, qualche settimana fa ha così deciso di sentire Luciano Carta, il generale della Finanza oggi numero uno dell’Aise. Sei mesi fa il capo dell’agenzia aveva già risposto con una lettera ad alcuni quesiti rivoltigli dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone andato poi in pensione, chiarendo che – almeno secondo quanto evidenziato dai documenti interni – il software-spia all’Aise non era mai stato utilizzato da nessuno.
    Carta, per stilare la lettera, ha dovuto chiedere informazioni agli uomini che si erano occupati del dossier. Exodus, infatti, è stato acquistato tra fine del 2016 e l’inizio del 2017, quando il generale della Finanza era semplice numero due di Alberto Manenti. Le deleghe sui sistemi di sorveglianza interni e sulle intercettazioni preventive erano però in mano a Giuseppe Caputo, allora capo di gabinetto di Manenti e oggi attuale vicedirettore dell’Aise. Fu lui, d’accordo con l’allora direttore, a decidere di comprare Exodus. Anche perché la piattaforma, comprata per circa 350 mila euro con un versamento in contanti, era stata consigliata da Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, che in quel periodo aveva lasciato i Carabinieri per approdare all’Aise.
    All’uomo che catturò Totò Riina Manenti e Caputo avevano subito affidato compiti importanti, dalla sicurezza degli accessi della sede romana al tentativo (fortemente sponsorizzato da Marco Minniti, allora sottosegretario a Palazzo Chigi con delega
    Gennaro Vecchione, direttore del Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi.
    Nell’altra pagina: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
    ai servizi) di pacificare le tribù del Fezzan per provare a chiudere le rotte subsahariane dei trafficanti di migranti. Ma la mansione primaria di De Caprio e dei suoi uomini (quasi tutti appartenenti al reparto dei carabinieri del Noe) era vigilare sulla sicurezza interna. Dunque guidare il reparto che deve investigare anche sulle possibili talpe che si nascondono tra le nostre barbe finte: Exodus fu preso anche perché i vecchi software forniti da Hacking Team non erano più utilizzabili.
    Ora qualcuno in procura – nessuno è stato ancora iscritto nel registro degli indagati – teme che qualcuno dentro l’Aise possa aver efettuato intercettazioni abusive: le domande rivolte da Racanelli a Carta hanno riguardato proprio Exodus, e alla luce di quanto richiesto presto il direttore potrebbe fornire nuova documentazione sull’affaire.
    Se le ipotesi investigative fossero fondate, il caso sarebbe ovviamente clamoroso. Fonti dell’intelligence e altre vicinissime all’inchiesta, però, evidenziano non solo che lo spyware Exodus non sarebbe mai stato usato dall’agenzia per la sicurezza esterna. Ma soprattutto che tutte le intercettazioni effettuate (con altri metodi e/o software senza bug) avrebbero tutte le autorizzazioni necessarie. In primis quella della procura generale della Corte d’Appello di Roma, guidata da Giovanni Salvi.
    Ma come mai l’agenzia non avrebbe mai utilizzato Exodus per mesi nonostante i denari spesi? «L’Aise non ha mai usato Exodus per una ragione molto semplice: mancavano i prerequisiti tecnici», spiegano fonti qualiicate. Per dirla semplice, nel 2017 gli agenti degli affari interni e quelli dell’E. Surv che da contratto dovevano inoculare il trojan nei telefoni degli obiettivi (una volta innestato il trojan, gli uomini di Ultimo avrebbero dovuto remotizzare le informazioni in server sicuri), dopo aver avuto i decreti autorizzativi non sarebbero riusciti a iniettare Exodus nei dispositivi.
    Un’operazione in efetti non semplicissima
    IL PM CHE INDAGA SUL SOFTWARE EXODUS È RACANELLI. REGISTRATO DALLA GUARDIA DI FINANZA MENTRE PARLA CON PALAMARA SULL’AFFAIRE CSM
    26 10 novembre 2019

    ma, come dimostrato anche dall’ultima inchiesta sullo scandalo del Csm: il Gico della Guardia di Finanza riuscì ad infettare solo il cellulare di Luca Palamara, mentre gli altri indagati non aprirono l’Sms che nascondeva il virus, restando così immuni dalle intercettazioni ordinate della procura di Perugia.
    Se gli accertamenti della procura dovessero confermare quanto già spiegato a suo tempo da Carta, generale stimato da tutto l’arco parlamentare, l’inchiesta sull’uso di Exodus in Aise potrebbe chiudersi presto. In caso contrario, Racanelli potrebbe presto chiamare in procura nuovi testimoni.
    La questione resta delicata, e sono molti ad essere interessati allo sviluppo delle investigazioni. Nei servizi, al governo, ma anche dentro l’ufficio giudiziario di Roma, che aspetta ancora il successore di Pignatone. Anche perché il pm Racanelli – secondo qualcuno – rischia di essere in conlitto di interessi, perché suo fratello Paolo, nei mesi in cui Ultimo tentò di usare Exodus per incastrare presunte talpe interne all’agenzia, lavorava proprio nell’Aise.
    Si racconta che i rapporti tra il fratello del pm e i suoi superiori, coloro dunque che sembrano essere al centro dell’indagine giudiziaria del congiunto, non fossero eccellenti. Non abbiamo certezze in merito. Ma è un fatto che lo 007 lasciò improvvisamente Forte Braschi nel 2017, per trasferirsi alla sede dell’Aisi di Bari. In Puglia è rimasto quasi due anni: oggi Paolo è tornato a Roma, in una sede del controspionaggio guidato da Mario Parente.
    Anche quest’ultimo potrebbe presto es- sere chiamato a dare informazioni utili per chiarire se e come Exodus sia stato usato dai suoi agenti segreti: l’Aisi avrebbe infatti usato il software in dosi massicce. È necessario capire se dati sensibili siano finiti nel cloud in Oregon, e se informazioni chiave per la nostra sicurezza nazionale non siano state bucate da soggetti esterni senza autorizzazioni.
    Vedremo. Di sicuro il pm Racanelli da qualche settimana è coadiuvato nell’inchiesta anche dall’aggiunto Paolo Ielo, che Prestipino ha voluto affiancare al titolare dell’indagine per rafforzare il pool. Una scelta non banale: grazie alla lettura di carte inedite risulta all’Espresso che proprio Racanelli a maggio fu ascoltato mentre discuteva con il collega Luca Palamara in merito a un esposto del pm Stefano Fava, che i magistrati di Perugia considerano essere stato scritto per danneggiare proprio Ielo. «Bisogna insistere per avere le carte, e incominciare a muovere le carte», dice Angelantonio a Palamara, furioso con Ielo perché aveva mandato gli atti su una sua presunta corruzione alla procura umbra. «La tua cosa in Prima Commissione (la sezione disci- plinare del Csm, ndr) rimarrà in stand by
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    Foto: L. Mistrulli – Ag. Fotogramma, O. Douliery – Getty Images

    Governo / Scontro tra apparati
    finché non si chiude il processo… questo è pacifico perché là non ci sono elementi… quindi secondo me la commissione non fa niente sulla pratica tua» spiega Racanelli (dimessosi a luglio da segretario di Magistratura indipendente subito dopo lo scoppio dello scandalo) all’amico. «Su quell’altra bisogna insistere… incominciare a convocare… perché così segnali…».
    PATTO SCELLERATO
    L’inchiesta sul malware Exodus non è l’unica che coinvolge i vertici dei nostri servizi. Divorati da guerre intestine per il potere e le nomine, da settimane le nostre barbe finte leggono e rileggono le motivazioni della sentenza con cui i giudici di Caltanissetta hanno condannato a 14 anni di carcere Antonello Montante, l’ex numero uno di Confindustria Sicilia che aveva – secondo il gup Graziella Luparello, «occupato, mediante corruzione sistematica e raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali». La sentenza cita anche due pezzi grossi dell’Aise, Mario Parente e Valerio Blengini, oggi numero uno e due dell’Aisi, che – interrogati dal gup in merito ad alcune fughe di notizie e un presunto tentativo di preservare un colonnello dei servizi (Giuseppe D’Agata considerato vici- nissimo a Montante) dall’inchiesta giudiziaria – avrebbero entrambi detto bugie ai giudici. «Blengini e Parente mentono sapendo di mentire
    la carica riunisce quelle di ministro della Giustizia e Procuratore Generale
    pendo di mentire», dice la Luparello. Per preservare «un patto scellerato, al quale potrebbe aver aderito, lo si afferma con grande desolazione, anche l’attuale direttore generale Mario Parente». Il gup è talmente convinta che i vertici del servizio interno non le hanno raccontato la verità che ordina, nei confronti di Blengini e il suo capo, la trasmissione degli atti alla procura nissena. Per valutare se i due abbiano compiuto o meno reati.
    Il premier Conte, che ha mantenuto le deleghe sui servizi, segue i dossier che arrivano dalla magistratura con grande attenzione. Ma le sue preoccupazioni maggiori riguardano, in questi giorni, i possibili sviluppi del Russiagate americano. O meglio, del côté tricolore della vicenda, che rischia di tenere a lungo sulle spine sia Palazzo Chigi sia Gennaro Vecchione, che l’avvocato di Volturara Appula ha voluto fortemente a capo del Dis, il dipartimento che coordina i nostri servizi.
    È noto che Conte ha chiesto al suo fedelissimo (e a Carta e Parente che si sono adeguati obtorto collo) di incontrare ad agosto e settembre il ministro della Giustizia William Barr. L’uomo che insieme al procuratore John Durham sta indagando sull’ipotesi che Donald Trump, accusato di essere stato aiutato dai russi nella campagna elettorale del 2016, sia al contrario vittima di un complotto ai suoi danni ordito da pezzi dell’Fbi e dai democratici, con l’aiuto di governi e servizi di alcuni paesi alleati.
    Due incontri segreti di cui Conte non informò nessuno, nemmeno il Quirinale. Riunioni che alcuni giudicano fatto gravissimo («il premier ha venduto i nostri servizi a un governo straniero per ottenere il sostegno da Trump», attaccano le opposizioni), e che molti valutano quantomeno inopportuni, dal momento che Barr è un’autorità politica, e che i servizi possono scambiare informazioni solo con i loro omologhi.
    Il presidente del Consiglio e Vecchione, interrogati davanti al Copasir, hanno minimizzato gli eventi, negando con forza che i nostri 007 abbiano girato a Barr informazioni sensibili sul presunto complotto. Sarà però fondamentale leggere il rapporto finale del Dipartimento di giustizia sui presunti abusi compiuti dal deep state Usa per azzoppare la campagna di Trump: se dovessero esserci particolari rilevanti sull’Italia che non collimassero con le dichiarazioni di Conte e Vecchione, le polemiche potrebbero tornare in prima pagina con efetti devastanti. E l’ipotesi già raccontata dal nostro settimanale di uno spostamento del generale a Palazzo Chigi come consigliere militare, con lo spostamento di Carta al Dis e la promozione di un interno come nuovo capo dei servizi esterni (Giovanni Caravelli è in pole position, Caputo pagherebbe la vicenda Exodus) prenderebbe di nuovo corpo.
    «L’indagine di Durham (che ha cercato prove in Italia, Australia, Ucraina e Gran Bretagna, ndr) è molto importante, sento che è una delle indagini più importanti nella storia del nostro Paese», ha ribadito il presidente americano in settimana. Nel palazzo romano di Piazza Dante, nuova sede dei nostri servizi, si augurano che Trump e Barr, essendo alle prese con la procedura di impeachment per le presunte pressioni fatte al governo ucraino per danneggiare il rivale Joe Biden, bluffino. O che, quantomeno, il lavoro di Durham e dell’ispettore generale del Dipartimento di Stato Michael Horowitz alla fine non citi espressamente l’Italia. «Se fossimo coinvolti davvero nel rapporto sarebbe un disastro», spiegano dal Dis. «Anche perché oggi non possiamo permetterci distrazioni. Le nostre agenzie devono concentrarsi pancia a terra su fronti caldi, in primis sulla Libia e sui tentativi di riportare a casa i nostri concittadini rapiti all’estero», come Silvia Romano.
    In questi giorni, inoltre, a creare ansia è pure il rinnovo automatico degli accordi con l’esecutivo di Al Serraj, firmati da Paolo Gentiloni e Minniti nel 2017. Mentre molti addetti ai lavori, tra cui il prefetto Mario Morcone, non si capacitano ancora di come abbiano fatto i nostri servizi a permettere che un guardacoste e trafficante di rango come Abdulrahman Al Milad detto “Bija”, potesse due anni fa arrivare in Italia per discutere di politiche migratorie con nostri funzionari. Tanto da essere immortalato con tutti gli onori in alcune fototografie pubblicate su “Avvenire” che hanno dato il via al caso.
    A Palazzo Chigi sottolineano che le eventuali responsabilità politiche e quelle inerenti al “mancato controllo” siano da addebitare a chi c’era prima, e che Conte e i nuovi vertici da poco insediatesi nulla potevano sapere. Nessuno fa nomi a chi scrive, ma è facile immaginare che ad Alberto Manenti, ex capo dell’Aise, possano fischiare le orecchie. Per trent’anni nell’agenzia, di cui conosce a menadito strutture e segreti, Manenti – grande conoscitore dello scenario libico, vanta buoni rapporti sia con Al Sarraj sia con il rivale Khalifa Haftar – è tornato a sorpresa sulla scena pochi giorni fa. Quando ha prima incontrato il capo della Cia Gina Haspel in un albergo della Capitale vicino l’ambasciata di Via Veneto (di che hanno parlato? Dello spygate?), poi ha “portato” l’ambasciatore libico a Roma dal neo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. A che titolo, resta un mistero.
    Gli amici sostengono che Manenti sia così intraprendente solo per provare a dare qualche buon consiglio «dall’alto della sua grande esperienza», eppure nei servizi segreti e a Palazzo Chigi le mosse dell’ex numero uno non sono affatto piaciute. Non solo per l’eccessiva autonomia di un semplice pensionato: gli si rinfaccia pure un rapporto ancora troppo stretto con Caputo e legami con Leonardo Bellodi, ex capo delle relazioni istituzionali di Eni che lo scorso febbraio ha fondato il “Marco Polo Council”. Un think tank specializzato in intelligence che ha ottime entrature in Usa, Israele e Medio Oriente.
    Il problema di fondo, però, resta uno sol- tanto: quando il caos indebolisce l’autorità politica, la confusione si riverbera automaticamente sulle istituzioni controllate. Dunque: o Conte riprende rapidamente il controllo saldo della barra del timone, o altri scandali porteranno la barca della no- stra intelligence verso scogli ancora più perigliosi. Q
    IL PREMIER CONTE E IL DIRETTORE DEL DIS VECCHIONE ASPETTANO CON ANSIA LA PUBBLICAZIONE
    DEL RAPPORTO BARR. CHE POTREBBE SMENTIRLI
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    10 novembre 2019 29
    Foto: E. Ferrari – Ansa, S. Georges – The Washington Post via Getty Images

    Riflessioni di George Friedman: determinismo geopolitico

    Riflessioni di George Friedman: determinismo geopolitico

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    Dopo aver scritto molto sullo spazio e sull’incanto, è tempo di scendere sulla terra. Voglio tornare alla tesi centrale della geopolitica mentre la pratico: l’idea del determinismo geopolitico. Differisco dalle altre persone che scrivono sulla geopolitica in due sensi. Mentre considero la geografia come determinante fondamentale nel comportamento umano, non la considero l’unica determinante.

    Per me, la filosofia greca è fondamentale nel definire cosa significa essere umani. Non sono sicuro che Platone o Aristotele avrebbero potuto scrivere in qualsiasi luogo tranne la Grecia, o in qualsiasi altro momento diverso da loro. Ma indipendentemente da quella domanda, siamo tutti, nella civiltà globale che è emersa, modellati in una certa misura da loro come dai momenti più alti di tutta la civiltà. Ma ciò non sarebbe potuto accadere senza l’imposizione europea di un sistema globale al mondo, quindi torniamo alla geopolitica. Il mio punto qui è che la geopolitica è molto più complessa e sottile della semplice realtà fisica del globo, ma anche che la sottigliezza del mondo circonda costantemente su quella realtà fisica.

    Più controverso è che sono un determinista. Non credo che siamo modellati semplicemente da montagne e deserti, ma è evidente per me che ognuno di noi è modellato da entrambi i luoghi e dalle forze che emanano da un luogo. Nell’esempio più semplice, la vita di un indiano nato nei bassifondi di Mumbai è profondamente diversa dalla vita di un americano nato in un ricco sobborgo di Dallas come Highland Park. Entrambi sono vincolati. È improbabile che l’indiano diventi partner di un fondo di private equity. È improbabile che Highland Parker diventi un piccolo ladro. Il primo deve ricorrere al suo o ad altri modi di vivere correlati e tutto ciò che conosce, inclusa la cultura del suo quartiere povero, lo conduce lì. Allo stesso modo, Highland Parker vivrà una vita molto diversa. (Certo, dato che il furto fa parte della condizione umana,

    L’esistenza dei bassifondi di Mumbai è modellata dalla terra, dal clima, dal surplus di persone e dall’esistenza minima di risorse. Tutto ciò pone dei limiti alla vita di qualcuno nato lì. L’esistenza di Highland Park è modellata dalla vastità e dalla relativa sottopopolazione del Texas, dal generoso flusso di petrolio e dagli investimenti effettuati nelle infrastrutture del Texas e nell’istruzione superiore a seguito di tale petrolio. Metti quelle condizioni e la ricchezza a Mumbai piuttosto che in Texas, e mentre le due persone potrebbero non cambiare posto, ognuna probabilmente avrebbe una vita diversa. Ai più ricchi piace dire che sei ciò che ti fai. Anche questo non è vero, dal momento che sei circondato non solo dalla ricchezza ma dalle aspettative culturali che ne derivano. Un individuo potrebbe sfuggire al suo destino, ma la probabilità statistica di divergenza è limitata.

    Il luogo in cui sei nato ti permette di scappare. Mentre scrivo, sono a Dubai e sono circondato da una sottoclasse indiana composta da persone che puliscono le camere d’albergo e guidano i visitatori da e per l’aeroporto. Se qualcuno di Highland Park è qui, allora è probabilmente il destinatario dei servizi di questi indiani, come lo sono io. Non so da dove vengano, ma se non proviene dai bassifondi, probabilmente è vicino a loro. Il punto è che anche quando cambi il tuo posto nel mondo, lo cambi nei limiti di chi sei.

    Andre Malraux, lo scrittore francese (e perdonami se mi ripeto, ma lo apprezzo molto), ha detto che gli uomini lasciano i loro paesi in modi molto nazionali. L’espatriato americano che ha imparato il bulgaro perfetto è ancora un espatriato americano che vive in Bulgaria. Puoi riconoscere uno studente americano nel suo ultimo anno all’estero, con la Columbia University blasonata nelle loro anime. Sono nato in Ungheria e quando torno in Ungheria, sciocco mia moglie per la rapidità con cui sono diventato ungherese anche se sono partito da bambino. Gli ungheresi, d’altra parte, sanno con ogni senso che sono americano, e quindi che dovrei essere venduto un diamante falso.

    Il grado in cui le nostre vite e le nostre anime sono modellate da dove siamo nati e dove viviamo è sorprendente. Ho vissuto in un quartiere del Bronx e ho continuato a ottenere un dottorato. I portoricani con i quali vivevo e combattevo per la maggior parte non avevano idea del valore di un dottorato e non desideravano averne uno. Mi mancava la loro comprensione della strada ma avevano altri bisogni, che non riuscivo a capire. Non è ovvio quale fosse più importante. Ma i miei genitori furono modellati dalla prima metà del 20 ° secolo, dalla seconda guerra mondiale e dall’Olocausto. I portoricani furono modellati dai retroscena delle loro famiglie, spesso impoveriti, su un’isola tropicale. La loro immaginazione e appetito erano diversi dal momento della nascita, e così sono andato in un modo e in un altro, e non potevo immaginare nessun altro percorso – con importanti eccezioni da tutte le parti.

    L’idea che il luogo non crei vincoli e imperativi che pochi possono superare è, penso, ingenuo. Questo è il fondamento del determinismo e non abbiamo problemi a immaginarlo nei mercati. In economia, si presume che tu preveda l’appetito o la repulsione di azioni buone o cattive. Ricevo infinite e-mail da consulenti che promettono di rendermi ricco (nota a margine: se qualcuno può accumulare una vasta ricchezza, perché mi sta spingendo per pochi soldi?). L’ipotesi è che i mercati abbiano un certo grado di prevedibilità. Ciò vale anche per l’interruzione del mercato. Il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha capito cosa avrebbe fatto Internet e si è allineato con l’inevitabile.

    Le nostre vite sono piene di previsioni. Quando scendi dal marciapiede con una luce “a piedi”, stai prevedendo che l’auto in avvicinamento si fermerà. Quando scegli la tua professione, stai prevedendo che soddisferà le tue esigenze. Quando sposate il coniuge, lo fate in base alle aspettative di felicità. Il fatto che ciò non si verifichi non cambia il fatto che la previsione è indissolubilmente legata all’esistenza umana.

    L’argomento che sto formulando è duplice. Innanzitutto, è impossibile evitare le previsioni, ma maggiore è il rischio e la ricompensa, più le previsioni devono essere perfezionate. In secondo luogo, dal momento che il comportamento degli stati-nazione può darti la più grande ricompensa o rischio, è indispensabile prevedere il comportamento delle nazioni e perfezionare la previsione in una guida affidabile è indispensabile.

    Sembra impossibile Ma per la maggior parte, l’auto in arrivo si ferma alla luce. La tua lettura della situazione è corretta. Allo stesso modo, sosterrò che è possibile prevedere come si comporteranno le nazioni, se si inizia con una comprensione di come le forze di quella nazione definiranno il comportamento degli individui. Il determinismo geografico può essere una forma di volgarità superficiale. Ma se fa parte di una comprensione generale del modo in cui gli umani vedono il mondo e le loro stesse anime, allora è possibile prevedere il movimento di 330 milioni di persone. Nel prevedere cosa faranno gli Stati Uniti, devi iniziare con il fatto che gli americani sono umani, che differiscono dagli altri umani in base a dove si trovano e che, come tutti gli umani, vivono imperativi e vincoli allo stesso modo.

    Questa è la base del futuro geopolitico e quello che sto facendo. È imperfetto, ma lo sono tutte le cose. Non è una modellazione semplicistica basata sulla geografia. È un tentativo di considerare come la geografia della Grecia abbia forgiato i Greci, come i Greci abbiano creato un momento straordinario nel pensiero umano e come abbiano lasciato il posto a Roma.

    Puoi prevedere, nel complesso e con eccezioni, la traiettoria della vita di qualcuno da dove è nato e da chi è nato. Puoi descrivere ciò in cui crederà, chi amerà e chi odierà. E mettendoli insieme, puoi vederli rompersi sotto pressione o stare a cavalcioni dei loro nemici. Potrebbe non essere perfetto, ma la vita è tutt’altro che casuale.

    Vado da Dubai a Calgary a New York e Istanbul. Sono sicuro che esiste un filo conduttore che lo rende necessario e risale alle tribù Magyar a est dei Carpazi. Lo troverò.

    A.A.V.V. (a cura di Chantal Mouffe) La sfida di Carl Schmitt, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

    A.A.V.V. (a cura di Chantal Mouffe) La sfida di Carl Schmitt, Novaeuropa, € 23,00, pp. 346.

    Questo libro è stato pubblicato nel 1999 e tradotto ed edito in Italia solo due mesi fa. Preme sottolinearlo per due ragioni.

    La prima, che l’attualità del pensiero di Schmitt, morto nel 1985, è stata confermata proprio dagli eventi succedutisi al collasso del comunismo e del (conseguente) mondo bipolare; e in particolare da quelli del secolo corrente.

    La seconda che i vent’anni trascorsi tra l’edizione inglese e quella italiana del libro confortano anche le (polifoniche) interpretazioni di aspetti delle concezioni politico-giuridiche di Schmitt raccolte nel volume: da quello filosofico (Dotti e Zizek) a quello politico-istituzionale (Mouffe, Dyzenhaus, Ananiadis) giuridico (Carrino e Preuss), solo per citare parte dei contributi raccolti nel volume.

    Ricordiamo a titolo d’esempio il contributo di Chantal Mouffe, sul confronto di Schmitt con la democrazia liberale. Parte dell’esigenza del confronto: “i teorici politici, in modo da portare avanti un concetto di società liberal-democratica capace di ottenere l’attivo supporto dei propri cittadini, devono essere disponibili a  confrontarsi con le tesi di coloro i quali hanno sfidato le dottrine fondamentali del liberalismo… La mia intenzione… è quella di contribuire ad un simile progetto attraverso l’esame della critica schmittiana alla democrazia liberale. Infatti, sono convinta che un confronto con il suo pensiero ci permetterà di riconoscere – e, pertanto, essere in una migliore posizione per cercare una negoziazione – un importante paradosso inscritto nella reale natura della democrazia liberale”. Analizzando in specie l’esigenza di omogeneità nella cittadinanza, sostenuta da Schmitt, la politologa belga scrive “la sua teoria è che la democrazia richiede una concezione di uguaglianza come sostanza , e che non può soddisfare se stessa con concetti astratti come quello liberale. Dato che l’uguaglianza è politicamente interessante ed inestimabile solo fintanto che ha sostanza, egli pone la questione del rischio e la possibilità dell’ineguaglianza. In modo da essere trattati come uguali, i cittadini devono, così dice, essere parte di una sostanza comune”.

    Di conseguenza l’idea di uguaglianza (in primo luogo) politica di tutti gli uomini non fornisce alcun criterio per stabilire delle istituzioni politiche. “Nella sua prospettiva, quando parliamo di uguaglianza, dobbiamo distinguere tra due idee differenti: quella liberale e quella democratica. La concezione liberale postula che ogni persona è, in quanto persona, automaticamente uguale ad ogni altra persona. La concezione democratica, però, richiede la possibilità di distinguere chi appartiene al demos e chi gli è estraneo; per questa ragione, essa non può esistere senza il necessario correlativo dell’ineguaglianza”. Si è uguali (politicamente) se si appartiene allo stesso demos, che fonda anche la differenza rispetto a coloro che non ne fanno parte. Il concetto democratico di uguaglianza si fonda su tale distinzione. “Ecco perché dichiara che il concetto centrale di democrazia non è «umanità» ma il concetto di «popolo», e che non ci potrà mai essere una democrazia del genere umano. La democrazia può esistere solo per un popolo”. Prosegue confrontando il pensiero di Schmitt con quella della “democrazia deliberativa” (in particolare di Habernas).

    Tanto per ricordare un evento che (clamorosamente) conferma la tesi “sostanzialista” di Schmitt, decisiva nelle democrazie politiche, questo fu proprio il collasso del comunismo e il fallimento del “Trattato dell’Unione” proposto da Gorbaciov per l’URSS, nel quale si prevedevano istituzioni democratiche al posto del centralismo oligarchico comunista. Dato che i tanti popoli dell’URSS erano poco o punto omogenei come un baltico protestante può esserlo con uno slavo ortodosso o un turco ottomano, conciliarli  in una democrazia politica era impresa mai riuscita (e neppure – che ci risulti – tentata). Di guisa che, più realisticamente, Eltsin con la CSI dette il “rompete le righe” alle repubbliche ex-sovietiche.

    Passiamo ad un altro saggio: quello di Carrino che riguarda la concezione giuridica di Schmitt. Carrino parte dal saggio Dic Lage der europaischen Rechtswissenschaft: “il saggio mostra la fondamentale importanza della struttura giuridica del pensiero schmittiano – vale a dire, il ruolo centrale dello jus nella struttura dei lavori di Schmitt che non sono basati su una dottrina giuridica ma, piuttosto, sulla realtà concreta”. Per molti anni, non solo in Italia, lo studio di Schmitt è stato lasciato a politologi, filosofi e storici, mentre Schmitt, ancora poco prima di morire, diceva “sarò un giurista finché morirò”. Scrive Carrino “Proprio per questo motivo il suo saggio sulla scienza giuridica europea dovrebbe essere letto en juriste, nella consapevolezza del fatto che egli fu un grande giurista, e che non fu interessato meramente alle meccaniche del diritto; ma, al contrario, era anche aperto ad una prospettiva più ampia della cultura giuridica e della civiltà legale”. Carrino nota che la critica alla modernità del giurista di Plettemberg comincia con l’opposizione alla metodologia cartesiana “Schmitt è un realista, un uomo per il quale le cose hanno una loro durevole realtà” onde “Il decisionismo schmittiano (che in questo senso mai fallisce) è il suo proprio realismo perché è la realtà che decide in favore o contro il soggetto, a volte frantumandolo o superandolo…Il diritto è parte di questa realtà – o, piuttosto, è identificato con la realtà, che lo stesso Schmitt ha definito come «l’ordine giuridico concreto» o jus (successivamente conosciuto come nomos), che è, a sua volta, il diritto separato dalla legge positivista. Schmitt concepisce il diritto non come un obbligo, puro Sollen, ma come un modo di essere. Il Sein nel pensiero di Schmitt non è in contrasto con l’obbligo (Sollen), come nel caso del pensiero di Kelsen; ma è, tuttavia, in contrasto con il Nicht-Sein”.

    L’esistenza della comunità politica e la necessità (assoluta e prevalente) di proteggerla è la suprema lex, e non il positivismo di norme, scivolato poi nel positivismo di valori, che ha connotato la dottrina costituzionalista italiana (e non solo) del secondo dopoguerra, e in parte continua ancora.

    Anche qui, se la decisione concreta diventa quella di Machiavelli tra serbare gli ordini e rovinare, o per non rovinare, romperli, normativismi, codici, commi e così via devono essere (almeno) sospesi – al fine di conservare l’esistenza – e il modo di esistenza della comunità. Ne abbiamo avuto conferme anche recenti. E si potrebbe continuare così per gli altri contributi, alcuni dei quali relativi ad aspetti dell’opera di Schmitt poco frequentati, almeno in Italia (come i saggi di Ananiadis e Colliot-Thélène.). Al lettore, cui si consiglia, il compito (e il piacere) di scoprirli.

    Teodoro Klitsche de la Grange

    Dati digitali: quali rischi democratici? Un’intervista con Amaël Cattaruzza

    Dati digitali: quali rischi democratici?
    Un’intervista con Amaël Cattaruzza

    Di  Amaël CATTARUZZA , Estelle MENARD

    Amaël Cattaruzza è Senior Lecturer (HDR) presso le scuole Saint-Cyr Coëtquidan, presidente della Commissione per la geografia politica e la geopolitica del CNFG e membro del Centro di ricerca geopolitica e di formazione geopolitica di Geode. Estelle Ménard si è laureata in Relazioni internazionali (MRIAE) a Parigi I Panthéon-Sorbonne (Parigi I) e in Geopolitica all’Institut Français de Géopolitique (Parigi VIII).

    Il nostro ingresso nell’era digitale è spesso visto come una svolta, almeno da un punto di vista tecnologico. Ma i cittadini sono ancora sovrani se i loro dati sono controllati e sfruttati da altri? In altre parole, i dati digitali possono ripristinare la democrazia? Estelle Ménard ha parlato con Amaël Cattaruzza. 

    Estelle Ménard (EM): Cos’è un dato digitale?

    Amaël Cattaruzza (AC): Un dato numerico è un’osservazione fatta su una popolazione o un fenomeno. Può assumere la forma di un numero o di informazioni qualitative. In questo senso, i dati non sono nuovi: esistono sin dai tempi antichi. Ciò che sta cambiando è questa digitalizzazione dei dati e la produzione esponenziale che ne è composta. Oggi tutto diventa oggetto di impostazione dei dati (“datafication”, nel gergo tecnologico).

    EM: I cittadini stanno diventando sempre più dipendenti da Internet. Pensiamo ai primi social network, ma anche ai servizi pubblici e ai consumi, anche tramite il sito di Amazon. Questo è spesso visto come un vantaggio, se pensiamo ad esempio alla dematerializzazione delle procedure amministrative, o anche alle applicazioni per contare i suoi passi o per ispezionare il suo sonno … In cambio, diamo a queste piattaforme una quantità enorme di dati personali. In che modo i dati sono una materia prima per l’industria tecnologica?

    AC: Dobbiamo prima capire quali sono i dati in termini di potenza. Un dato in quanto tale, per un industriale, se fosse unico, avrebbe poco valore. Ciò che rende valore per un giocatore industriale è la quantità di dati. Più dati abbiamo, più correlazioni possiamo fare tra i dati, il che crea opportunità di profilazione e potere. Nel caso di Amazon, a seconda di come navighi nel sito, l’azienda sarà in grado di raccogliere diversi dati e creare profili di pubblico, al fine di personalizzare la propria offerta in relazione a un pubblico di destinazione. Quindi, più dati hai, più potere hai .

    In realtà, gli attori che hanno l’opportunità di raccogliere molti dati avranno, sulla scena internazionale, un potere sempre più importante, con un effetto esponenziale. Nel caso di GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), questi attori che sono stati i primi ad accumulare i dati, c’è stato un effetto valanga che li rende oggi quasi impossibile competere. In effetti, continuano a generare nuovi dati basati sulle correlazioni fatte dalle scorte che hanno avuto per anni. Grazie a questa “materia prima”, questi attori hanno oggi un vantaggio sulla scena internazionale che potrebbe offrire altri tipi di materia prima. Se gli idrocarburi daranno potere alla Russia sulla scena internazionale, i giocatori GAFAM avranno il potere attraverso i dati perché saranno in grado di generare profili di popolazione da loro, colpire gli individui piuttosto che altri per scopi commerciali, ma a volte per scopi politici ed elettorali.

    Radio Diploweb.  Dati digitali: quali rischi democratici?
    Amaël Cattaruzza
    Tra le altre cose, Amaël Cattaruzza ha co-diretto con Stéphane Taillat e Didier Danet il libro La Cyberdefense. Digital Space Policy pubblicato da Armand Colin nel 2018. È autore del libro Geopolitics of Digital Data. Potere e conflitti ai tempi dei Big Data pubblicati nell’aprile 2019 da Le Cavalier Bleu. Il suo libro più recente, Introduzione alla geopolitica , che è stato coautore di Kevin Limonier, è stato pubblicato nel 2019 da Armand Colin.

    EM: con l’intelligenza artificiale, i dati vengono utilizzati da società private per prevedere il comportamento. Ciò che può essere visto come un modo per semplificarci la vita, ad esempio con app che ci parlano di ristoranti o hotel nelle vicinanze, ha anche avuto l’effetto di colpire le persone per influenzare il loro comportamento elettorale. È questo che è successo con Cambridge Analytica nel 2018?

    AC:Cambridge Analytica era una società privata che utilizzava i dati lasciati aperti dagli utenti su Facebook. Molto rapidamente, questa società si è specializzata nell’uso di questi dati per scopi politici. In particolare, ha lavorato negli Stati Uniti con il Partito Repubblicano nel 2015-2016 e, anche se alcuni dei suoi contratti erano all’estero, sono state le elezioni di Donald Trump a mettere questa società in prima fila scena. Abbiamo visto che i dati su Facebook consentivano di profilare il pubblico target per il discorso dei repubblicani, indicando i temi da attivare per catturare diversi tipi di elettori. C’era la reale consapevolezza che questi dati potevano essere utilizzati per scopi politici. Ciò ha avuto un impatto sulle democrazie occidentali,

    EM: Nel settembre 2019, diverse associazioni, tra cui la League of Human Rights, hanno lanciato la campagna Technopolis. Al centro di questa campagna c’è una piattaforma online per documentare i dispositivi di sorveglianza in diverse città della Francia. L’obiettivo di Technopolis è combattere gli eccessi dello Stato nella sua raccolta e utilizzo dei dati dei cittadini. Avremmo la tendenza a credere che in una democrazia la sorveglianza non sia una minaccia per il cittadino quando non ha nulla per cui rimproverarsi, che è al sicuro e che, alla fine, ci protegge. È un ragionamento fallace, e non toccheremmo proprio qui un limite di democrazia?

    AC: Prima di parlare di sorveglianza, devi esaminare la questione della sicurezza. Gli attori della sicurezza svolgono un ruolo non trascurabile nella società, non dobbiamo dimenticare. L’uso dei dati, ad esempio in attività antiterroristiche, avrebbe uno scopo “benefico” per la società. La domanda diventa più complessa quando questi dati vengono raccolti per scopi utilitaristici ma giustificati da argomenti di sicurezza, vale a dire quando un uso dei dati è diverso dalle ragioni per cui sono stati acquisiti. Nel caso delle città, stiamo ora parlando di ” città intelligenti ”  “(Città intelligenti), in cui la digitalizzazione consente di gestire la città nel modo più fluido possibile. È possibile gestire, ad esempio, il dispendio energetico: l’energia viene prodotta in base al consumo, rispetto ai picchi energetici noti. Questi sono dati raccolti per scopi a priori.

    Tuttavia, stiamo iniziando a parlare oggi del software che potrebbe utilizzare questi dati per motivi di sicurezza. Il modo in cui trasformeremo gli usi avrà un impatto sulla democrazia. Il vero problema per la democrazia è meno il fatto che i dati sono utilizzati per gestire le società rispetto al fatto che gli individui non sono né consapevoli né informati dell’uso dei loro dati. Non potevano dare il loro consenso per usi che non sarebbero stati pianificati dall’inizio. Il problema con questi dati è che rimangono disponibili: una volta che i dati sono stati acquisiti, non possono essere cancellati o posseduti. La proprietà dei dati non ci appartiene più e l’uso derivato che saremo in grado di farne sarà fuori dal controllo delle società.

    EM: Ci sono cose semplici che i cittadini possono fare per proteggere i propri dati?

    AC: In realtà, la domanda sorge a tre livelli: a livello di cittadino, certamente, ma anche a livello di Stato e a livello di attori privati. La prima protezione del cittadino dovrà essere posta in termini di distribuzione di poteri e diritti. Abbiamo già iniziato a cercare di generare diritti per proteggere i cittadini, come il diritto di dimenticare Google in Europa, che cancella una serie di dati da Internet nel caso in cui essi potrebbe danneggiare i cittadini. Inoltre, come cittadino, sarà necessario prendere coscienza di tutti i possibili usi dei dati.. Ora stiamo cominciando a renderci conto che questi dati possono avere un impatto negativo sugli individui perché alcuni usi possono essere fatti contro di loro, ma questa educazione è abbastanza recente. Ancora oggi non abbiamo una visione completa delle conseguenze di questa “società dei dati”. Quindi c’è anche un gesto da fare nella produzione di conoscenza sulle questioni legali, etiche e geopolitiche poste da questa generazione di dati, perché non sappiamo ancora quali saranno le insidie ​​democratiche di domani.

    Copyright ottobre 2019- Cattaruzza-Menard / Diploweb.com

    SOVRANITÁ E DIRITTO GLOBALE, di Teodoro Klitsche de la Grange

    SOVRANITÁ E DIRITTO GLOBALE

    Tra le novità che il pensiero unico anti-sovranista ci dispensa per esorcizzare l’avversario in crescita ce n’è una poco trattata nei mass-media. Ovvero che il sovranismo (meglio la sovranità) degli Stati sarebbe uno strumento superato perché il “diritto globale” (e globalizzato) avrebbe escogitato un sistema più raffinato per diminuire i conflitti: istituire dei Tribunali internazionali. I quali, in effetti, nel secolo passato sono aumentati. Non tanto e non solo quelli penali, quanto le Corti che giudicano su particolari materie (dalla pesca, all’ambiente, dalla concorrenza alle scorie radioattive).

    Va da se che a questo si associa il consueto disprezzo/deprecazione per il sovranista che non avrebbe compreso (o non vuole comprendere) come non vi sia bisogno di attizzare conflitti e deciderli autonomamente: basta istituire (o, se c’è, adire) un Tribunale internazionale che giudichi delle pretese delle parti. Qualsiasi tipo di ostilità (e al limite, di guerra) e controversia, o almeno gran parte, sarebbe così justiciable, cioè conoscibile e decidibile da un giudice (si spera anche “terzo”). Il vantaggio di tale “sistema” consisterebbe nell’eliminazione/riduzione dei conflitti e, in certi casi, delle guerre. La decisione del Tribunale sarebbe così alternativa a quella della guerra.

    Tale tesi è per lo più esposta da giuristi di sinistra, i quali non sembrano imbarazzati dal ripetere così quel che scriveva De Maistre “Partout où il n’y a pas sentence, il y a combat[1]. Tesi che esprimeva nel libro II° del Du Pape, una delle più razionali (ed appassionate) trattazioni della ineluttabilità (e degli inconvenienti) della sovranità[2].

    Gli argomenti che si adducono a favore della tesi in esame hanno però più di un limite, che li rende contraddittori. Vediamo quali.

    In primo luogo si adduce l’argomento il quale coniuga la competenza agli interessi..

    Come a livello locale gli interessi locali sono attribuiti al Comune (alla Provincia, Regione ecc.) laddove vi siano interessi a livello planetario o almeno sovrastatale devono, proprio perché eccedenti  l’ambito nazionale, essere regolati a livello sovrastatale.

    Se si può essere d’accordo che una regolazione statale d’interessi eccedenti il territorio dello stato corre il rischio di essere poco efficace e al limite inutile, altro è farne conseguire che per avere quelle regole occorra un ente (organo, ufficio) internazionale che le detti e giudichi le relative controversie. In effetti la regola può essere posta o consensualmente (tramite un accordo) o unilateralmente (con un comando dell’uno all’altro soggetto).

    Quanto al primo – normale nel diritto internazionale (e, ovviamente, non solo in questo) – si realizza con trattati, il fondamento dei quali è proprio che a negoziarli, deciderli, applicarli sono degli Stati sovrani. I quali se non fossero sovrani, non potrebbero né obbligarsi né essere responsabili dell’esecuzione. O quanto meno avere una capacità internazionale limitata, corrispondente alla propria sovranità.

    Come scriveva Santi Romano “effetto della mancanza di sovranità è la limitazione della capacità internazionale degli Stati protetti o tutelati”[3].

    E il tutto si ripercuote non soltanto sulla capacità internazionale ma anche sulla responsabilità per eventuali illeciti. Lo Stato dipendente (protetto, federato) il quale non gode di (piena) sovranità risponde, soltanto nei limiti delle attività che può svolgere, nei confronti (anche) degli altri soggetti internazionali; ma per i rapporti di competenza dello Stato protettore, a seconda dei casi può (o deve) rispondere quest’ultimo.

    Contrariamente a quanto pensano certi globalisti è proprio la sovranità a fondare la capacità di obbligarsi e il dovere di responsabilità. È ad essa quindi che dobbiamo la possibilità di esistenza (ed applicazione) di norme giuridiche pattizie.

    In secondo luogo, e strettamente connesso al precedente, le regole possono emanarsi sia con accordi liberamente assunti dai soggetti che con comandi che un soggetto da agli altri. Per cui se una dimensione d’interessi è di competenza di più Stati la relativa regolazione può essere data con accordi tra gli Stati coinvolti, proprio in forza di quella – tanto disprezzata e deprecata – sovranità. In alternativa uno Stato (o un’altra istituzione) che si trova a esercitare poteri di comando sugli altri, può ordinare che valga la regolazione da esso imposta; non è vero quindi che la sovranità ostacoli la regolamentazione; ma è verissimo che impedisce che sia imposta una normativa non pattizia.

    In terzo luogo, si ritiene che i globalizzatori sono coloro che sostengono gli interessi dell’umanità, mentre i sovranisti quelli particolari degli Stati.

    Tale affermazione è assai discutibile in fatto, perché presuppone che chi afferma di sostenere quelli dell’umanità, abbia il potere di comandare a coloro che dicono di sostenere quelli dei popoli. Ma questo a sua volta presuppone che gli uni e gli altri siano in buona fede. Il che, a quasi cinque secoli dalla pubblicazione del “Principe” appare un atto di fiducia (e credulità) foriero di molte delusioni. Avete mai sentito parlare di propaganda?

    E sostenere che un soggetto concreto debba essere sottoposto alla decisione di un altro soggetto concreto – nella specie un organismo internazionale ovvero (forse) una coalizione di Stati – perché questo tutela (interessi, valori o quant’altro) di carattere superiore ripete, mutatis mutandis la controversia tra Hobbes e i teologi cattolici della controriforma sul rapporto tra autorità spirituale (il Papa) e temporale. Come scrive Schmitt, il filosofo inglese “mette in discussione la pretesa che il potere statale debba essere soggetto al potere spirituale, poiché quest’ultimo costituisce un ordinamento superiore”[4].

    La tesi di Hobbes era in polemica con quella di S. Roberto Bellarmino, il quale difendeva la concezione della potestas indirecta in temporalibus del Pontefice. Il filosofo di Malmesbury la contestava con pluralità di argomenti: che manca il consenso dei governati[5], ma solo la pretesa di aver avuto tale potere da Dio[6] ed il potere, a parte il fondamento, è sempre lo stesso[7]. Quando poi controbatte l’argomento del Bellarmino sulla gerarchia dei poteri (che si riflette in gerarchia delle persone), applica in un certo senso il rasoio di Ockam: il rapporto di potere – ossia di comando/obbedienza è relazione tra persone concrete e non entità astratta[8].

    Se si fanno discendere dal cielo alla terra le argomentazioni del teologo e del filosofo, la somiglianza tra la concezione del primo con quella dei globalisti è evidente.

    Entrambe sono volte a provare il diritto di chi detiene (o sostiene di possedere) un potere superiore a comandare coloro che ne esercitano uno inferiore. Là per volontà divina e per il bene delle anime, qua per coinvolgimento di un numero maggiore di esseri umani – fino all’intera umanità ed al suo territorio, il pianeta – e per la bontà delle intenzioni. La novità di questa concezione, rispetto a quella, oggigiorno enormemente più invocata, dei “diritti umani” è di argomentare più dagli interessi che dai valori.

    Ma le fallacie in cui incorre solo le stesse: la non necessità di istituzioni apposite (sia che si tratti di Stato che di enti, Tribunali ed altro) per regolare ciò che è comune a più popoli, e la ineluttabile necessità, di converso, se si vuole imporre la decisione (maggioritaria?) ai dissenzienti. Il problema poi sotteso è di  come imporre ai recalcitranti sia le istituzioni globali sia le di esse decisioni. Si fa loro la guerra? E giacché col farlo si viola il buonismo/irenismo imperante – oltre che essere gravemente contraddittorio con lo stesso -, le si deve cambiare nome.

    Escamotage già usato con le operazioni di polizia internazionale -, ossia le guerre promosse e condotte da coalizioni di Stati benintenzionati contro Stati canaglia dissenzienti e malintenzionati. Così violando i principi del diritto internazionale Westphaliano, in primo luogo che par in parem non habet jurisdictionem. Che invece in nome di un interesse superiore si pretende di avere. Meglio allora un sistema  che, con tutta le sue crepe, si basa ancora sulla sovranità. E, di conseguenza, sul diritto dei popoli a scegliere il proprio destino.

    Teodoro Klitsche de la Grange

     

    [1] Du Pape II, 1

    [2] Il popolo è fatto per il sovrano, come il sovrano per il popolo; e l’uno e l’altro esistono (son faits) perché ci sia una sovranità … Nessun sovrano senza nazione, come nessuna nazione senza sovrano”. Op. loc. cit..

     

    [3] Corso di diritto internazionale, Padova 1933, p. 117 e prosegue “limitazione che si ha non solo verso lo Stato protettore o la Società delle nazioni, ma anche verso i terzi, il che conferma che non si tratta di semplici obbligazioni, ma di una posizione personale… data la grande varietà che il protettorato può assumere, è difficile formulare principii generali, ma si può affermare che essi implicano sempre una limitazione della capacità di diritto e inoltre la perdita in taluni casi, o la diminuzione in altri, della capacità di agire”

    [4] Teologia politica in Le categorie del politico, Bologna 1972, p. 57; e prosegue “Ad una argomentazione del genere egli risponde: se un «potere» (power, potestas) dev’essere sottoposto all’altro, ciò significa soltanto che colui che ha il primo potere dev’essere sottoposto a colui che ha l’altro potere… Ciò che gli è incomprensibile («we cannot understand») è che si parli di sopra-ordinato e di sub-ordinato, preoccupandosi però nello stesso tempo di rimanere sul piano astratto. «Infatti soggezione, comando, diritto e potere riguardano non poteri ma persone»”. Cosa che invece i globalisti ritengono opportuno fare.

    [5] v. Leviathan parte III, c. XLII “Quando si dice che il Papa non ha – nel territorio degli altri Stati – il supremo potere civile direttamente, noi dobbiamo intendere che egli non pretende ad esso – come gli altri sovrani civili – in virtù della originale sottomissione di coloro, che debbono essere governati, poiché è evidente, ed è stato già sufficientemente dimostrato in questo trattato, che il diritto di ogni sovrano deriva originariamente dal consenso di ognuno di quelli, che debbono essere governati, sia che lo scelgano per comune difesa contro un nemico, come quando si accordano tra di loro, per eleggere un uomo od un’assemblea di uomini, affinché li proteggano; sia che lo facciano per salvare la propria vita, sottomettendosi ad un nemico conquistatore”.

    [6] “ma non cessa tuttavia dall’invocare il suo diritto da un’altra parte, cioè – senza il consentimento di quelli, che debbono essere governati – per un dritto datogli da Dio” op. loc. cit.

    [7] “Ma da qualunque parte egli lo pretenda, il potere è lo stesso, e – se fosse accolto come un diritto – egli potrebbe deporre principi e governi, sempre che ciò fosse per la salvazione delle anime, cioè sempre che gli piacesse, poiché egli pretende per sé anche l’assoluto potere di giudicare se ciò sia per la salvazione delle anime umane o no” e prosegue “Questa distinzione tra potere temporale e spirituale non è infatti che di parole; ed il potere vien realmente diviso, ed in modo altrettanto dannoso per tutti i riguardi, tanto col far partecipe altrui di un potere indiretto, quanto di un potere diretto” op. loc. cit.

    [8] “Non vi sono che due modi, per i quali queste parole possano dare un senso; poiché, quando noi diciamo che un potere è soggetto ad un altro potere, il senso è o che colui, che ha l’uno, è soggetto a colui, che ha l’altro, o che l’un potere sta all’altro, come i mezzi al fine. Infatti noi non possiamo intendere che un potere abbia il potere sopra un altro potere, o che un potere possa avere il diritto di comandare sopra un altro, poiché la soggezione, il comando, il diritto ed il potere sono accidenti non dei poteri, ma delle persone…Quando il Bellarmino dice che il potere civile è soggetto allo spirituale, egli intende dire che il sovrano civile è soggetto al sovrano spirituale” op. loc. cit..

    LO STATO DI INCERTEZZA, di Pierluigi Fagan

    LO STATO DI INCERTEZZA. (Post domenicale) Esso è proprio del futuro o meglio, dello sguardo presente che tenta di catturare lo stato futuro. Ma nel secolo scorso, in fisica, si è arrivati a scoprire che esso è al fondamento della stessa realtà fisica, apparentemente, la più concreta e definita vi sia, per lo meno a livello particellare. Tale fatto è stato compendiato nel “principio di indeterminazione” a base di quella fisica che si chiama meccanica quantistica. Del principio, un fisico austriaco, volle dare un esempio che voleva popolarizzare la questione o meglio dare evidenza paradossale della interpretazione dominante che non condivideva, al pari di Einstein. Ne nacque il “gatto di Schroedinger”, metafora assai popolare, abusata, quasi sempre usata a sproposito. La metafora voleva esemplificare, in forma di paradosso e non di fatto, il fatto che i tanti futuri possibili propri della realtà micro-fisica, uno solo diventerà realtà di fatto, solo laddove c’è una presenza umana. La presenza umana, la semplice osservazione della realtà fatta da un umano, collassa l’ampio ventaglio delle molteplici possibilità nell’unica possibilità che diventa attualità. Dei futuri possibili uno solo diventerà attuale per noi.

    In questo giorni, per ragioni di studio, sto studiando un campo prima frequentato a-sistematicamente: lo studio dei futuri. Dalle sibille, àuguri, indovini, pizie, profeti e divinatori, si è passati ai produttori di utopie, distopie, retropie, estropie, ucronie. Poi a tentativi di previsione, lungimiranza, prospettive, prognostica, anticipazioni nel mentre si sviluppava la fanta-scienza, genere letterario nato poco dopo la Rivoluzione industriale ed i piani quinquennali. Oggi, gli anglosassoni hanno compendiato gli sforzi previsionali applicati al mondo, l’economia, la geopolitica, la politica, la tecnologia, la condizione ambientale, in una vera e propria disciplina i “futures studies”.

    Non sapevo, ma vi sono cattedre universitarie sparse in giro per il mondo di tali futures studies, da Seul a Teheran, da Sidney a gli USA, passando per la Cina e l’Europa, una anche in Italia, a Trento (Corso di “Previsione sociale” e ricordo che Sociologia, a Trento, è storicamente una facoltà di punta. Vi si laureò Renato Curcio e Mara Cagol, tra gli altri). La versione anglosassone, trae spunto dall’idea di sviluppare tale disciplina in forma più seria, diciamo tendenzialmente anche se non precisamente “scientifica”, avuta da un tedesco Ossip K. Flechtheim, inventore del termine “futurologia” nel 1943. Flechtheim aveva anche ambizioni di filosofia politica e propugnava una terza via tra capitalismo e comunismo che ridotta all’osso era un socialismo democratico rinforzato, per come si esprimeva il tedesco “ecologico, frugale, femminista, umanistico”.

    Ma il grosso dei futures studies è nei think tank che abbondano in America, ma cominciano a svilupparsi in ogni Paese dotato di ambizioni. Come già vi riferii, sono molti i Paesi che hanno prodotto la propria “Vision”, di solito traguardata al 2030 o 2050 (mi sa che anche Renzi ne ha annunciata una alla Leopolda per il 2029). Ve ne sono anche di dimensione parlamentare come in Finlandia o mondiale. Delle previsioni discusse ogni anno a Davos al World Economic Forum vi diedi già precedentemente conto ma vi è un altro rapporto giunto oggi alla 19° edizione, lo State of the Future del The Millenium Project. Siamo sulla scia di molti altri rapporti quali quelli del Club of Rome o il Sierra Club o il russo Club Valdai. La pre-visione, è qui classicamente rivolta all’individuazione di rischi e possibilità, più rischi che possibilità invero. Colpa del pessimismo della ragione o di una reale ragione anticipante o dell’unione tra la grande mole di dati e conoscenze che oggi abbiamo e l’oggettivo moltiplicarsi di contraddizioni e rischi nel mondo complesso, tali rapporti sono una non allegra e sempre meno terminabile elencazione di vere e proprie disgrazie. Negli anni ’90, il Dipartimento della Difesa USA,a proposito del futuro aspettato, coniò l’acronimo VUCA – Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous, nel tentativo di acchiappare i sfuggenti contorni.

    A solo titolo esemplificativo, un primo elenco di disgrazie è questo: cambiamento e riscaldamento climatico, eventi fuori scala e disastri naturali, fallimento nella mitigazione climatica, aumento livelli mare, isole e coste sommerse, migranti ambientali, carenze e crisi alimentari e di acqua, siccità, inondazioni, salinizzazione, perdita di biodiversità e di specie cruciali (ape), colassi ambientai locali (eutrofizzazione), volatilità costante, terrorismo, rivolte, moltiplicazione delle richieste di sovranità, stati falliti, crisi debitorie (mondiali, locali, bancarie), crisi fiscali, bolle e scoppio di bolle a ripetizione, Inflazioni – deflazioni, diseguaglianze economiche-sociali –tecnologiche, epidemie globali, pandemie, salute mentale (ansia biologica, tecnologica, sociologica, ambientale + depressione “seconda causa di disabilità al mondo”), resistenza antibiotici, transumanesimo, problemi energetici, condizione delle donne, fallimenti nella pianificazione urbana, crimine organizzato, rivolta delle macchine (Hawking, Bostrom, Musk), codice etico delle macchine, perdita di lavoro, armi nano-bio-tecnologiche, cyberattacchi, frode o rapina di dati, guerre locali – Interstatali – d’area – mondiali – elettromagnetiche – biologiche – climatiche, nucleari a vari livelli. In più: Rischi sistemici (sistema e sotto-sistemi – mondo) non lineari, Eccesso di complessità (tra totalitarismi e caos), Effetti farfalla a gò-gò. I poco avveduti, quando vengono citati questi rischi, pensano siano una invenzione delle élite per perpetrare il loro dominio. E’ invece il fatto che le élite li prevedono a farle preparare alla gestione. Non si confonda l’interpretazione col fatto, i fatti -anche se in ipotesi- prescindono per molti versi le interpretazioni.

    In 1984, Orwell sosteneva che “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato” una chiave concatenata che va letta come dominio delle narrazioni. Il potere in carica oggi, domina il racconto storico, sia quello della cose avvenute, sia quello delle cose che debbono avvenire. Ma quelle che debbono avvenire sono anche una finestra aperta sull’oggettivo stato di incertezza dello sguardo rivolto al futuro. Ed è in vista di questo previsionato futuro che poi si fanno molte scelte, introiettando il “poi”, di modo da condizionare l’”adesso”. I futuri sono possibili, probabili o desiderati. Se i poteri disegnano i loro, i contro – poteri dovrebbero parimenti disegnare i loro, siamo tutti gatti di Schrodinger che debbono pianificare la rivincita. Il pensiero critico più che levarsi sul far della sera come la nottola di Minerva (o civetta di Atena), ultimamente si sveglia con qualche decennio di ritardo, c’è un ritardo di attenzione, visione e pre-visione, la critica è schiacciata sul presente.

    I futuri possibili, collasseranno nel presente che sarà, solo quando la presenza umana lo abiterà determinandone gli esiti. Il futuro non è scritto e politica è la lotta per possedere la penna che lo scriverà. Ma il futuro si scrive nel presente perché per l’essere umano è la previsione ad animare l’intenzione.

    tratto da facebook

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