Pagliuzze e… travi, di Piero Visani

Pubblichiamo l’interessante articolo di “Cesare Baronio”, pseudonimo di un Autore cattolico tradizionalista, probabilmente un prelato, che da qualche anno cura il blog https://opportuneimportune.blogspot.com/. Il Cesare Baronio[1] a cui rinvia lo pseudonimo fu uno storico italiano, membro dell’ordine degli Oratoriani, poi nominato cardinale di S. Romana Chiesa, morto nel 1607 a 68 anni.
Come è noto ai nostri lettori, Italiaeilmondo.com non si occupa specificamente di teologia o delle vicende della Chiesa, né sono cattolici la maggior parte dei suoi collaboratori. L’articolo di Baronio riveste però un notevole interesse per chiunque sia consapevole della profonda crisi, ancor prima culturale che politica, in cui versano l’Italia, l’Europa e in genere le nazioni che si richiamano alla civiltà europea.
L’immagine scelta da Baronio per illustrare il suo articolo raffigura “La predicazione dell’Anticristo” di Luca Signorelli, parte del ciclo a tema apocalittico affrescato nella cappella di S. Brizio del duomo di Orvieto (1499-1504). Colpisce subito lo sguardo la figura dell’Anticristo, che è un sosia del Cristo a cui Satana suggerisce che cosa predicare, sussurrandogli all’orecchio. Questa interpretazione teologica della figura dell’Anticristo come falso Cristo sviluppa la definizione patristica di Satana come simia Dei, “scimmia di Dio”; e nel recente passato ha ispirato il Racconto dell’Anticristo contenuto nei Tre dialoghi e racconto dell’Anticristo del grande pensatore religioso russo ortodosso Vladimir Solov’ev[2].
L’analogia proposta da Baronio tra crisi religiosa della Chiesa e crisi politica che attraversa la civiltà europea si fonda proprio sull’idea che in entrambi i casi, si tratti di crisi dissolutiva proveniente dall’interno, e non di crisi conseguente a conflitto con un nemico esterno; e che questa crisi si manifesti come dilagare dell’ impostura. Un’impostura sistematica che ha origine ai livelli più elevati della civiltà, là dove le massime Autorità spirituali e temporali elaborano le norme culturali, etiche e politiche fondamentali, in ordine alle quali si definisce il perimetro dei valori condivisi, e si stabiliscono i fini a cui vogliono e devono tendere sia la civiltà nel suo insieme, sia le persone che concretamente la costituiscono. Fondamenti normativi, valori e fini che gli impostori autorevoli sovvertono dall’interno, gradualmente, senza mai apertamente proclamarli decaduti o errati, senza mai proporre esplicitamente norme, valori e fini ad essi contrapposti; ma distorcendone progressivamente il senso e l’effetto, trasmutandoli nel contrario di se stessi con un’operazione alchemica dissolutiva (“l’opera al nero”) che in linguaggio contemporaneo si chiama “operazione di influenza”, una modalità della guerra psicologica.
Chi segua anche distrattamente il modus operandi della Unione Europea, ad esempio, non può fare a meno di notare che il processo di dissoluzione delle sovranità statuali degli Stati più deboli da parte degli Stati più forti, grazie all’intermediario-impostore della UE, la quale di per sé non ha personalità statuale o legittimità propria, segue proprio questa procedura clandestina; che parole come “riforma” o “democrazia” hanno gradualmente assunto, in questo contesto di impostura e dissoluzione, un significato persino opposto a quello registrato nei dizionari; e ovviamente, che le forze di sinistra sono i principali rappresentanti culturali e politici delle forme più predatorie di capitalismo.
L’analogia illustrata nell’articolo di “Cesare Baronio”, dunque, ci pare interessante e fruttuosa. Buona lettura._Roberto Buffagni
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Baronio
[2] https://www.vitaepensiero.it/scheda-libro/vladimir-solovev/i-tre-dialoghi-e-il-racconto-dellanticristo-9788834339220-140729.html
Qui sotto in calce, il testo di un appello ostile al Trattato ESM e alle modifiche che dovranno essere apposte entro il prossimo marzo 2020. Lo hanno sottoscritto trentadue economisti, accademici di varie università italiane.
L’importanza dell’iniziativa non risiede nell’originalità degli argomenti. Sono gli stessi, benché formulati più organicamente, sostenuti da tempo da singoli intellettuali e da particolari ambiti politici, ben circoscritti ma sempre più rilevanti.
Nemmeno risiede nel fondamento etico degli stessi giacché la forza degli argomenti sul merito del trattato poggia ancora sul binomio giusto/sbagliato oppure razionale/irrazionale. Una convinzione che punta a confidare fideisticamente sulla possibilità, addirittura sulla ineluttabilità di un riconoscimento dell’errore e dell’irrazionalità delle condotte politiche, in particolare politico-economiche, perseguite dalla Unione Europea e dai paesi e dalle classi dirigenti che ne determinano gli indirizzi complessivi. Da qui l’illusione che l’azione politica debba piegarsi prima o poi alla razionalità delle leggi economiche e che i propugnatori nella fattispecie di questi particolari indirizzi, in particolare la Germania, debbano alla fine rinunciare ad essi sino a determinare, di loro volontà, l’implosione o la rottura di questi meccanismi. Coltivare una illusione del genere implica il disconoscimento non solo della forza delle dinamiche geopolitiche e delle inerzie che contraddistinguono l’azione dei sistemi imperiali e/o imperialistici, quale è quello a trazione statunitente, ma anche paradossalmente del ruolo destrutturante e positivo che possono avere forze politiche e classi dirigenti in formazione alternative in azione nel centro politico.
L’aspetto significativo e positivo riguarda invece il carattere organizzato e concordato dell’appello in un ambiente, quello accademico, sino ad ora quasi integralmente allineato, almeno ufficialmente, ai canoni e agli indirizzi politico-economici più ortodossi al credo europeista e alla classe dirigente e politica italiana. E’ il segno che la crisi di consenso inizia ad intaccare la stessa solidità e monoliticità di quel blocco di potere e istituzionale imperante da decenni che ha consentito, tra i capricci e le fibrillazioni dello scenario politico, una sostanziale continuità di azione. E’ l’indizio che questa classe dirigente è sempre meno capace di rappresentare gli stessi interessi forti residui del paese e di partire da essi per trattare la propria posizione e condizione, sia pure subordinata, almeno nel contesto dell’Unione Europea. I mercimoni che hanno portato a scambiare i decimali di deficit con la gestione dei flussi migratori e la spoliazione economica del paese sono solo gli esempi più appariscenti di una débacle ben più drammatica. La forza politica sempre più rilevante espressa dagli ambienti del terzo settore ed i malumori sempre più espliciti ormai manifestatisi tardivamente negli ambienti bancari ed industriali, specie sulla questione del MES e dell’Unione Bancaria e dell’ILVA, sono il segnale di questa dissociazione. Una classe dirigente e politica ormai arroccata e sempre più esposta ai capricci e ai voleri di forze esterne. Una condizione pericolosissima per un paese prostrato, incapace di esprimere alternative solide, ancora inconsapevole della condizione nella quale si sta cacciando in maniera pressoché irreversibile. Uno stato che rischia di esporlo alla suggestione di nuovi profeti altrettanto pericolosi quanto i vecchi sacerdoti arroccati sugli altari_Giuseppe Germinario
Dopo essere stata presa in giro sui social per mesi la definizione di “sovranismo psichico” ha l’onore di essere ospitata come voce dalla Treccani online.
Forse è il caso di smettere di ridere e di chiederci se ci siano ancora limiti che i poteri mediaticamente ed economicamente più influenti (l’establishment) considerano non sorpassabili, o se oramai siamo arrivati al punto in cui si ritiene che valga tutto, assolutamente tutto, pur di abbattere l’avversario.
Già, perché ospitare come voce accreditata una formula che è dimostrabilmente un’idiozia con finalità di lotta politica spicciola ricalca esattamente una delle dinamiche descritte da George Orwell, di confisca concettuale e assoggettamento culturale.
Da un lato le istanze del ‘politicamente corretto’ mettono fuori legge tutte le espressioni che suonano come critiche dell’opinionismo mainstream, e dall’altro vengono accreditate unità concettuali farlocche e strumentali come se fossero descrittori di natura scientifica.
Non basta dunque aver distorto pervicacemente la nozione di ‘sovranismo’, applicata originariamente in contesto francofono per le istanze di rivendicazione autonomiste su base nazionale (Quebec, Irlanda, Palestina, ecc.), trasformandola in un sinonimo di ‘nazifascismo’.
Ora si passa alla fase della patologizzazione del dissenso, che viene ridotto a categoria psichiatrica, a deviazione mentale.
Esaminiamo innanzitutto la definizione che ne viene data:
“Atteggiamento mentale caratterizzato dalla difesa identitaria del proprio presunto spazio vitale.”
La prima cosa da osservare è che se togliamo l’aggettivo ‘presunto’, che insinua la natura illusoria, erronea del giudizio (per il loro ‘presunto’ punto di vista obiettivo), il resto della definizione rappresenta una descrizione che si attaglia a tutte le specie viventi, a tutte le unità culturali, istituzionali e statali di cui abbiamo contezza. Infatti la “difesa identitaria del proprio spazio vitale” è qualcosa che può valere per l’identità di un organismo rispetto a fattori esogeni che ne destabilizzano l’identità, così come per ogni unità politica nota. Anche la multiculturale e multinazionale Svizzera opera in forme che tendono a preservare la difesa identitaria del proprio spazio vitale: ha una Costituzione, dei confini, leggi comuni, regole che ne definiscono l’indipendenza da altre unità politiche entro uno spazio in cui vivono i suoi cittadini.
Salvo che per colonie, protettorati o entità politiche fittizie (come alcuni paradisi fiscali), nel mondo non esistono che unità politiche per cui è ovvio che la propria identità entro uno spazio vitale vada difeso.
Tutto il peso dello stigma nella definizione sta nel carattere di illusorietà (‘presunto’), che farebbe dell’ “atteggiamento mentale” una forma di delirio, di allucinazione malata.
Le citazioni che forniscono la campionatura d’uso dell’espressione sono in questo senso eloquenti.
La prima fa riferimento ad un atteggiamento ‘paranoico’, cioè appunto ad una categoria delirante; niente viene aggiunto al quadro, salvo il giudizio insindacabile del giudicante: si tratta di patologia mentale.
La seconda addirittura, secondo il canone retorico dello ‘strawman’, inventa di sana pianta una tesi che nessuno, neanche qualche ultras neonazi etilista, ha mai sostenuto (“vogliamo metterci alla guida dell’altro 99% affermando che devono fare quello che riteniamo giusto noi?”), per poter procedere alla liquidazione forfettaria di ogni richiesta di sovranità.
Ora, ciò che è particolarmente preoccupante in questo episodio di malcostume culturale è vedere l’abisso di malafede, arroganza e ignoranza in cui sguazzano soddisfatti precisamente quelli che sparacchiano accuse ad alzo zero di malafede, arroganza e ignoranza sui dissenzienti.
Siamo di fronte ad operazioni spudorate, prive di scrupoli, in cui vengono avvelenati i pozzi del dibattito pubblico da coloro i quali sono stati posti a guardia degli stessi.
E’ qualcosa che eravamo abituati a leggere nelle descrizioni sull’atmosfera di falsificazione culturale nella Controriforma tridentina o nella Restaurazione napoleonica, pensando che eravamo fortunati a vivere in un’epoca che li aveva superati. E ci ritroviamo oggi con i sedicenti portatori sani di ‘illuminismo’ a fare le stesse cose, ma con meno scuse.
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replica:
Speriamo di aver chiarito l’equivoco e restiamo a disposizione per ulteriori chiarimenti.
Esauritasi la fase delle rivoluzioni colorate, inizia la ribellione dei pesci in barile.
Quel che appare senza fine è la corsa al ribasso delle aspettative e delle ambizioni politiche ridotte sempre più ad una meccanica elaborata a tavolino e generatrice di moti “spontanei” spinti da aneliti primordiali e prepolitici.
Il prodotto migliore, frutto di menti geniali, è stato il Movimento Cinque Stelle. Ha fondato le proprie fortune su due principi fondanti: l’onestà e l’ ”acompetenza” senza gerarchia. Troppo poco e troppo fuorviante. Quanto basta, però, per trascinare rapidamente quel movimento verso un trasformismo più o meno consapevole che sta letteralmente sgretolando le sue basi di consenso ed esponendo il suo gruppo dirigente alla tentazione e alle lusinghe dei “poteri forti” così aborriti. Ho detto rapidamente; in realtà ci son voluti circa dieci anni e la parabola non si è ancora del tutto esaurita. Un’era biblica con i tempi e la crisi che precipita ormai velocemente nel nostro paese. Il M5S però, tutto sommato, rientra in un alveo ben presente nella storia politica del dopoguerra iniziato con l’Uomo Qualunque e proseguito sino ai girotondini, espressione di un sentimento ben preciso: l’indignazione. La sua crisi ormai manifesta, unite in parte ai limiti e alle scelte improvvide della Lega in versione balneare, ha aperto voragini entro le quali si stanno inserendo vari nuovi attori tra di loro disparati, dai sovranisti di sinistra e impronta socialista e comunitaria alle recentissime “sardine”.
Dei primi si tratterà in un prossimo articolo; i secondi meritano appena qualche considerazione
Ormai è la lotta tra il bene e il male, tra i colti e gli incolti. Ogni mezzo è consentito. Quale significato può avere l’affermazione “Perché grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare”. E’ riconducibile all’azione di censura all’opera sui social network e che trova folte schiere di gruppi organizzati pronti e solerti a segnalare i profanatori della verità e del politicamente corretto? Manie complottistiche, forse.
Fare il pesce in barile e consentire a qualche sardina di saltare, salvo asfissiare anch’essa, è il prezzo che questa classe dirigente decadente e marcia è costretta e ha deciso di pagare pur di restare ancora per qualche tempo a galla. Pare che riesca a trovare sempre nuovi profeti o, con i tempi che corrono, nuovi conigli dal cappello abili ad incantare. Una trappola capace di attrarre anche il “fomentatore” o eletto tale dai pesci in barile. I nostri capisardine non chiedono altro che di tornare alla normalità, alla famiglia, al lavoro, alla beneficenza, allo studio scossa dall’invasore di turno. Segno di un appagamento della propria condizione, non proprio comune a gran parte dei mortali. Segno anche di una sottile intelligenza che sta cogliendo abilmente i limiti e gli errori di una politica e di una campagna elettorale in particolare della Lega.
Il paradosso dei cosmopoliti che riscoprono il valore dell’identità, ad usum delphini, ma nascondendo accuratamente la propria. Segno che sta sfuggendo loro il controllo della situazione.
LA LOTTA CONTRO L’EVASIONE FISCALE
Dai telegiornali di stasera, si apprende che, tra i più significativi titolari di conti “off-shore” alle Isole Cayman, vi sono la Regina Elisabetta II d’Inghilterra, la regina Rania di Giordania, George Soros, e illustri rappresentanti della lotta per la riduzione delle disuguaglianze e l’incremento del “buonismo” nel mondo come Bono Vox degli U2, Madonna e altri.
Nella mia ingenuità, pensavo che tra questi “evasori” vi fossero soprattutto operai della FCA, titolari di piccole e medie imprese vessati da un fisco di rapina, pensionati e chissà chi altri. Del resto è semplice, specie se si è a basso o bassissimo reddito (o anche a medio): uno dice in famiglia che deve fare un piccolo prelievo e il giorno dopo è alle Cayman, poi rientra rapidamente, ovviamente con non più di diecimila euro…
Ogni volta che incappo in qualche coglione (perdonate il francesismo, ma talvolta è necessario) che mi parla di lotta all’evasione, amerei farlo riflettere su questi piccoli particolari, ma – lo so – è del tutto inutile. E’ come chiedergli che se la prenda con quei banchieri che hanno rovinato centinaia di risparmiatori che si erano fidati di loro.
Ecco, fiducia è la parola chiave: non fidatevi mai dei moralisti, da qualunque parte provengano. Lasciate spazio al peccato, quello è umano, troppo umano, ma come tale funziona egregiamente…
PAOLO DI REMIGIO
Interessante l’articolo di Erri De Luca «Il razzismo spiegato a Salvini». Esso dipende da un errore di base. Il signor De Luca considera il razzismo il male assoluto, non tiene conto che c’è invece di molto peggio. Peggio del razzismo è lo schiavismo. Il razzismo è considerare inferiori certi gruppi in base al loro aspetto fisico, lo schiavismo è considerare un uomo cosa. Mentre superiorità e inferiorità sono relazioni quantitative e non escludono quindi che agli inferiori siano riconosciuti diritti, allo schiavo non è riconosciuto alcun diritto: può essere sfruttato, stuprato, torturato, ucciso. Schiavismo e razzismo non sono affatto la stessa cosa: nel mondo antico si poteva diventare schiavi in quanto prigionieri di guerra o rapiti, poteva cioè capitare a chiunque, anche ai re (un celebre esempio: Platone fu fatto schiavo nell’isola di Egina e si salvò da un destino terribile solo perché Anniceride, un suo ammiratore di Cirene che per caso lo aveva trovato esposto in vendita al mercato, lo comprò e lo liberò). Nel mondo moderno, invece, il razzismo si accompagna al colonialismo; in particolare nel nazismo i due atteggiamenti coincidono.
Che razzismo e schiavismo coincidano è una possibilità, non una necessità. Occorre dunque stare molto attenti al pericolo che, finita l’epoca coloniale, lo schiavismo possa aver assunto una forma non razzista e che nel giusto fervore antirazzista non si insinui un’apologia dello schiavismo. Erri De Luca mi sembra per lo meno imprudente su questo punto. Scrive infatti: «In economia la rinuncia all’impiego di manodopera immigrata a basso costo è atto di autolesionismo», senza porsi il problema se lavorare per tre euro l’ora dall’alba al tramonto non sia una forma di schiavismo, se dunque l’economia di cui sta parlando sia un’economia neo schiavista.
Tipico della condizione dello schiavo è l’isolamento dai legami sociali; la sua estraneità ne fa una merce. A questo proposito occorre chiedersi se il fenomeno della migrazione, su cui Erri De Luca, al pari della signora Boldrini, non ha alcuna riserva, non sia un modo per privare i lavoratori della libertà nel senso classico (dei loro legami umani), per farne delle pure merci.
GIUSEPPE MASALA
Incredibile articolo di Erri De Luca su #LaRepubblica dove spiega il razzismo a Salvini.
Sottolineo questo passaggio memorabile: “In economia la rinuncia all’impiego di manodopera immigrata a basso costo è atto di autolesionismo”. Dunque per questo signore è assolutamente giusto sfruttare nei campi i richiedenti asilo a 3 euro l’ora (con il pizzo da pagare ai caporali peraltro), farli vivere nelle baraccopoli e magari anche accettare il fatto che ogni tanto qualcuno muoia bruciato vivo a causa di qualche incendio divampato a causa dei fornellini a gas che utilizzano per scaldarsi. Tutto questo è giusto, e chi non lo fa è autolesionista. Questa è la sinistra oggi: schiavista e fascista. Poi in un incredibile transfert freudiano accusano gli altri di quello che appartiene loro. Qui ormai non capisco dove finisca la cattiveria e l’ipocrisia e dove inizi il disturbo psichiatrico.
“NON DICA SCIOCCHEZZE!”
Ieri, dialogando a “Otto e mezzo” con Lilli Gruber, Giorgia Meloni si è vista apostrofare con un elegantissimo “Non dica sciocchezze!”, non propriamente abituale nei rapporti tra la conduttrice e i suoi ospiti. A mio parere, invece che parlare di altre cose, sarebbe stato utile che la leader di “Fratelli d’Italia” ricacciasse durissimamente in gola a chi l’aveva apostrofata così inurbanamente non tanto la malagrazia – quella è abituale nei riguardi di tutti noi figli di un dio minore – ma l’ostentato ricorso all’accusa di stupidità (anticamera di quella di pazzia…) per tutti coloro che non condividono il pensiero dominante.
Personalmente, ne avrei tratto lo spunto per una lezioncina sulla reale natura del pensiero democratico. Peccato, è andata perduta un’ottima occasione di colpire a fondo utilizzando una frase assolutamente incauta e totalitaria, relativamente alla quale occorreva tra l’altro pretendere – subito – delle scuse formali. Perché, se il pensiero si divide fra quelli che dicono sciocchezze e quelli che no, inutile andare a votare, perché si accetta, fin dall’inizio, la discriminante “manicomiale” (da manicomio sovietico…).
I livelli complessivi della comunicazione del centrodestra sono assolutamente da migliorare, perché così sono da gente che gioca costantemente “fuori casa” e abbastanza convinta di perdere, mentre occorrerebbe essere preparatissimi, perché su quel terreno continuano a giocarsi alcune partite fondamentali e, se l’avversario rinuncia al “fair play”, fare le gentildonne non ha senso.
PICCOLA PRECISAZIONE
Nel campo della guerra ibrida, e della sua componente tecnica meglio nota come “guerra mediatica”, l’importanza delle sciocchezze è pari a zero, chiunque le pronunci. E comunque un’intervistatrice che accusa la propria interlocutrice di dire “sciocchezze”, viene totalmente meno al proprio ruolo.
Tuttavia, permane una questione fondamentale: CHE COSA SONO LE SCIOCCHEZZE E CHI LE DICE?
Personalmente, ne sento e ne leggo a milioni, MA TALI PAIONO a ME. Dunque le considero tali nel mio animo, MA NON ACCUSO ALCUNO DI DIRLE, altrimenti quale credibilità democratica avrei (non che me ne importi alcunché, anzi, ma io non rivendico ciò che altri rivendicano mattina, pomeriggio e sera)?
Ecco perché, quando i corifei della democrazia totalitaria si fanno cogliere – come totalitari – con le mani nel sacco, passerei duramente al contrattacco, ma NON SUL MERITO, SUL LORO ABOMINEVOLE METODO, e avrei di fronte a me un’autostrada spianata (senza ponti Morandi…).
Spero di aver chiarito il mio pensiero: se uno si dice democratico, non può accusare gli altri di dire sciocchezze. Può pensarlo (eccome), ma non dirlo. Se lo dice, rivela la sua reale natura totalitaria (chi lo autorizza infatti a fare il distributore di patenti di saggezza?), e allora colpirei senza pietà.
Sarei lieto se – per una volta – si parlasse su Facebook di strutture e non di epifenomeni. Così, citando Marx, mi dimostro già un perfetto democratico.
SECONDA PICCOLA PRECISAZIONE
I demototalitari dovrebbero cortesemente smetterla di considerare chi non la pensa come loro alla stregua di “terrapiattisti”. So che farebbe loro molto piacere che fosse così, ma ci vorrà ancora qualche anno prima che questo totalitarismo definitivo si affermi: il pensiero unico, da una parte, e le “sciocchezze” dall’altra…
Siamo al livello de “Il duce [democratico] ha sempre ragione!”. Chapeau! Lunga (e tortuosa…) è la strada verso la democrazia. A volte comporta contorsioni impreviste e imprevedibili…
Molte persone hanno notevole difficoltà a comprendere che i frutti velenosi sono appunto solo dei frutti , ossia che una certa pianta non può che produrre dei frutti velenosi. Il caso di Bibbiano non fa eccezione. Benché sia più che comprensibile che si voglia fare chiarezza su questa vicenda, impegnarsi in questo senso servirà a ben poco se non si capisce che il “sistema Bibbiano” (definiamolo così) e altri simili – come il “sistema Forteto” – non nascono per caso. Non si tratta cioè di semplici “aberrazioni” di un organismo sociale sostanzialmente sano, bensì di manifestazioni di un organismo sociale malato.
In particolare, sotto questo aspetto, è illuminante il “caso Epstein” (e molti altri esempi si potrebbero fare).
Eppure anche il “caso Epstein” non dovrebbe sorprendere. Certo, difficilmente può meravigliare chi, ad esempio, ha letto “Men di Zero” o “American Psycho” di Bret Easton Ellis.
Difatti, anche se ormai il romanzo raramente può essere in grado di farci comprendere il nostro essere-nel-mondo (dacché la forma romanzo nel mondo moderno è legata a doppio filo con l’ascesa e il declino della borghesia, e oggi quella che si definisce borghesia in realtà è postborghesia, ossia la classe sociale dominante – a sua volta divisa in varie sottoclassi – della postmodernità), non si deve generalizzare.
In questo senso, i due romanzi sopraccitati di Ellis sono davvero significativi.
Certo, Ellis non disdegna nemmeno di criticare duramente e apertamente l’industria culturale e in specie il mondo dei media ovverosia il mondo liberal/neoliberal (in pratica, la “sinistra”), che egli accusa di diffondere una ideologia totalitaria che include chiunque tranne chi “fa domande”, chi non “si adegua” ossia chi non è liberal/neoliberale. Si tratta di un ottuso e pernicioso conformismo culturale, politico e morale che si presenta con la veste di una assoluta superiorità morale e che uccide l’arte, l’intelligenza critica e creatrice. Così chi non è liberal/neoliberale è subito accusato di essere un “hater” o un “barbaro” che tutt’al più si può cercare di “salvare” ma a cui si deve togliere “diritto di parola”, ovviamente per il bene dell’umanità (peraltro, Ellis, che pure è omosessuale, non esita nemmeno a parlare di fascismo gay, soprattutto a causa dei cosiddetti “movimenti Lgbtq”).
Più che la sua critica del mondo liberal/neoliberale sono però i personaggi dei suoi romanzi che rivelano alcuni tratti distintivi della attuale società postborghese (che da un lato è figlia di quella borghese, dall’altro ne è, per così dire, l’“immagine speculare”). Difatti, anche Epstein poteva benissimo essere un personaggio di un romanzo di Ellis. Epstein cioè non è un “mostro”, ma il “frutto naturale” della società postborghese. La sua vera colpa è stata quella di esseri spinto “troppo avanti” e di essersi fatto “scoprire”. Non tutto si può rivelare, almeno per ora.
Ma al di là di quel che può pensare Ellis e dei suoi stessi romanzi, si dovrebbe tener presente che se il borghese era sessuofobo, morigerato, tutto lavoro e famiglia, per il postborghese sono proprio i vizi privati del borghese che devono diventare “pubbliche virtù” (benché questa trasformazione – come prova lo stesso “caso Epstein” – richieda del tempo per realizzarsi compiutamente).
L’ arroganza, l’intolleranza, la prepotenza, la miseria esistenziale e in definitiva anche culturale e intellettuale del postborghese, sono allora “mascherate” da una ideologia che rappresenta il postborghese come antropologicamente superiore sotto tutti punti vista, di modo che la stessa illimitata bramosia di possesso e potere che caratterizza la classe sociale cui egli appartiene sia “percepita” dalle masse come ciò che favorisce il progresso dell’umanità ovverosia un imprescindibile fattore di civilizzazione cui solo un “barbaro” può opporsi.
Il nuovo Tribunale dell’Inquisizione può e deve dunque operare per punire i “peccatori” e far trionfare il “bene” nel mondo.
TRENTA E I CARCIOFI, di Augusto Sinagra
La signorina Elisabetta Trenta è stata defenestrata. Molti esultano, pochissimi la rimpiangono.
Sono stato testimone di un suo ultimo patetico tentativo di “recupero” quando l’ho vista presente nella Chiesa dell’Ospedale Militare Celio ai funerali dell’ultimo Leone di El Alamein Santo Pelliccia. Non le è servito a niente però devo dire che nella circostanza non era in bermuda e infradito.
Ora la gentildonna in questione non si sa cosa tornerà a fare alla Link University dove non si è mai capito cosa faceva. Non penso proprio attività di docenza se non con qualche contrattino.
La ormai ex Ministro è molto contrariata della cosa e per rimarcare l’orrenda ingiustizia da lei subita pare che si sia prodotta in dichiarazioni della cui gravità evidentemente non si è resa conto: “Ho lottato contro Salvini più di ogni altro, non lo meritavo”.
Dunque, questa specie di ex Ministro ha inteso il suo ruolo non nel senso di garantire e coordinare la difesa del territorio e degli interessi nazionali, ma nel senso di contrastare un membro del Governo e proprio in pregiudizio degli interessi nazionali. Il tutto con l’ovvio assenso del manichino pugliese.
Non è tutto: ispirandosi a metodi e logiche di pretto stampo tardo-siciliano pare che abbia anche dichiarato: “Voglio stare zitta perché in questo momento potrei dire di tutto e contro tutti”!
Dunque, codesta dama è anche omertosa e lancia minacce oblique. Come intendere in altro modo quel che ha detto e comunque non ha smentito?
Se ha qualcosa da dire ha il dovere morale e civile prima ancora che politico di dirlo. La verità è che questo soggetto non ha il minimo senso dello Stato e della “cosa pubblica” e viceversa vive secondo oscure logiche e implicite minacce ovviamente finalizzate a suoi non commendevoli e non confessabili interessi personali.
Rivolgo alla Elisabetta Trenta un consiglio finalizzato ad attività forse più corrispondenti alle sue competenze: essendo di Velletri potrebbe utilmente contribuire alla organizzazione della Sagra del Carciofo.
LA “MINISTRA” BELLANOVA E IL BISPENSIERO ORWELLIANO di Gianni Candotto
Leggo che tantissimi intellettuali radical chic si “indignano” per le critiche di incompetenza alla ministra Bellanova.
Scrivono infervorati che una bracciante con la terza media che si è “spezzata la schiena tutta la vita a lavorare nei campi e a battersi per i diritti dei braccianti” vale di più chi ha lauree e dottorati.
Loro: i radical chic, quelli che da anni ci smazzolano le balle sul popolino ignorante contrapposto ai laureati delle ZTL che capiscono.
Loro: quelli che sono anni che ci smazzolano le balle sul fatto che il suffragio universale è sbagliato perchè il voto di un laureato vale come quello di un contadino ignorante.
Sì adesso c’è il “contrordine compagni”: adesso il sudore sparso vale più delle lauree.
Questo è un tipico esempio di bispensiero orwelliano. Ovvero della capacità di sostenere una tesi credendoci e immediatamente dopo sostenere l’esatto contrario, sempre credendoci. D’altra parte viviamo in un mondo simile a 1984 di Orwell, dove Obama che ha fomentato guerre in mezzo mondo prende il premio Nobel per la pace, mentre Trump che fino adesso le sta evitando tutte è guerrafondaio (Orwell 1984: la guerra è pace), dove il prodotto dei poteri forti Greta è una che combatte i poteri forti, dove le botte e i proiettili di gomma (con annessi la decina di morti e le migliaia di feriti) ai gilet gialli sono democrazia, dove Assange è un traditore che merita il carcere, mentre i condannati per evasione fiscale in Russia sono “dissidenti colpiti dalla dittatura di Putin”, dove il M5s ieri era il male assoluto e oggi è un progetto di avanguardia popolare.
Capiamoci: non sono un feticista dei titoli di studio. Conosco tante persone che non hanno studiato molto più competenti di professori universitari, ma questo non è proprio il caso.
Essersi battuta, come dicono gli agiografi della ministra Bellanova, per i diritti dei braccianti, non c’entra niente col ministero dell’Agricoltura. Casomai, al limite, ma molto al limite, c’entrerebbe con il ministero del Lavoro. Ma il ministero dell’Agricoltura, vista la crisi del settore è un ministero chiave oggi, e avere un ministro così è un dramma per il settore.
ERRARE HUMANUM EST, PERSEVERARE DIABOLICUM, di Piero Visani
Un tempo, se uno non era totalmente sprovveduto di natura, rifletteva sulle proprie sconfitte, le analizzava, cercava di capire dove avesse sbagliato, come e perché. Da quel punto di vista, le sconfitte potevano rivelarsi addirittura più proficue delle vittorie, poiché inducevano i perdenti alla riflessione, all’analisi, all’autocritica. Tutte possibili premesse di future vittorie.
Il governo Conte 2 deve ancora insediarsi ufficialmente in carica, eppure – nella “Destra più bestia del mondo”, per riprendere una celebre espressione dei tempi della “Nouvelle Droite” francese – non solo non è iniziata alcuna autocritica (temo che molti, al suo interno, neppure sappiano di che si tratti e tanto meno a che serva…), ma è iniziata una sorta di attesa taumaturgica per il prossimo appuntamento elettorale che, a livello nazionale, potrebbe essere anche tra quattro anni.
In una fase storica segnata da accelerazioni continue, quattro anni potrebbero essere tantissimi, ma si notano già alcuni preoccupanti indizi:
1) NESSUNA ANALISI SERIA di quel che è accaduto e perché. E’ vero che le analisi serie fanno fumare i cervelli, e che quelli vuoti ovviamente fumare non possono, perché non ci sono meningi da spremere, tuttavia…
2) LA RICERCA DEL BADOGLIO DI TURNO: Quella non può mancare mai. Poco importa che una guerra sia stata condotta da schifo, come non poche altre, con armamenti penosi e dirigenti incapaci. L’importante è trovare un capro (con la “erre”, grazie…) espiatorio, al quale imputare tutte le responsabilità e i presunti tradimenti. Da trascinare in processo a Verona (o dintorni), in modo da evitare di trascinare se stessi…
3) L’EVIDENTE INTENTO DI CONTINUARE A COMBATTERE come si è fatto fino a oggi, il che costituisce una solida garanzia di future sconfitte.
Facciamo un piccolo esempio pratico: i nani e le ballerine che guidano il centrodestra italico mostrano di attendere come un’epifania le prossime elezioni. Fermi, fissi, immobili. Ora chi garantisce che, in un’epoca di guerra ibrida, la strategia statica sarà migliore e più proficua di una guerra di movimento? Chi garantisce che a vincere la prossima competizione elettorale saranno sufficienti i “social”, che già in questa occasione si sono dimostrati utili al più a spostare un po’ di voti, non a RADICARE OPINIONI nel lungo periodo?
Che senso ha minacciare continuamente “Ci rivedremo a Filippi?” (per chi sa che cosa si voglia intendere…), se poi all’appuntamento epocale nella storica città macedone ci si intende arrivare come al solito nel peggiore dei modi? Infine, che garantisce che – tra un certo numero di anni e proprio a seguito della perdurante linea di assenza da ogni inserimento organico nei gangli della società italiana – non si arriverà votando su qualche nuova “piattaforma Rousseau”, approvata da qualche solida e compatta maggioranza parlamentare, utile a far conoscere all’Italia e al mondo le “meraviglie” del voto elettronico eterodiretto? Prendere per le terga i fessi, quelli che quando sono al governo riescono al massimo a fare “il poliziotto cattivo” con il resto del mondo, convinti per di più di riuscire a vincere, non è poi così difficile…
MIRACOLO!, di Piero Visani
Mi sono divertito un mondo, oggi, a vedere la sfilata dei “miracolati” da Salvini. Sarei stato tentato di scrivere “la giornata dei morti viventi”, ma poi – guardando meglio, io lo faccio, certi altri no… – ho dovuto esclamare: “Essi vivono!!”.
Come in tutte le cose, “uno NON vale uno”, ma in Italia, Paese dove l’unica ambizione collettiva è la corsa all’appiattimento verso il basso, in modo che i milioni di mediocri possano sguazzare soddisfatti nel “guano primordiale”, i risultati prima o poi arrivano e – da noi – arrivano sempre più di frequente e in massa. A crescere a certe culture berlusconiane, si può pensare che vincere nei conflitti moderni basti girare una volta, nemmeno due, la “ruota della fortuna”. E invece no, serve un po’ di più.
Che destino cinico e baro…