Dubbi e sospetti, di Pierluigi Fagan

SOSTIENE KEPEL. Gilles Kepel è uno dei massimi arabisti e studioso del Medio Oriente contemporaneo, specializzato nella complicata galassia salafita, francese, di orientamento di “sinistra”. In una breve intervista per Repubblica, sostiene che c’è la possibilità che dietro le quinte di ciò che vediamo ci sia un conflitto interno il potere in Iran. Secondo lui, dal 7 ottobre, si sarebbe aperta una strana sequenza di morti sospette.
Si comincia a maggio con la caduta dell’elicottero che portava l’ex presidente Ebrahim Raisi che era considerato il più papabile futuro successore della guida suprema Ali Khamenei (85 anni), di area ultraconservatrice. Raisi aveva rivendicato la giustezza dell’azione Hamas del 7 ottobre. Darlo come obiettivo degli israeliani era pur possibile ma con relativi gradi di probabilità che scendevano ulteriormente se si immagina la logistica dell’eventuale azione.
A luglio, inaspettatamente, viene eletto presidente Masoud Pezeshkian, moderato e riformista.
Per partecipare ai festeggiamenti per l’insediamento del nuovo presidente, si trovava a Teheran Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, che muore in un attentato. Gli israeliani rivendicano l’azione, ma il NYT scopre che non si è trattato di un missile, un drone o un attacco aereo ma di una bomba piazzata nella sua camera di un albergo in un compound militare ultra-sorvegliato. Qualcuno ha quindi parlato di “colonne interne” iraniane che avrebbero eseguito il piano del Mossad. Ma data l’opacità che avvolge il potere iraniano, non se ne è più saputo niente.
Discorso simile per Nasrallah. Sostiene Kepel che secondo sue fonti in loco, alcuni sostengono che siano stati i Guardiani della Rivoluzione a dare le informazioni agli israeliani per localizzare il leader di Hezbollah, sfuggito per decenni dalle mire del Mossad che miracolosamente sarebbe riuscito nell’intento l’altro giorno.
Certo che se sono decenni che ti danno la caccia, di questi tempi saresti stato ancora più attento ed accorto; invece, Nasrallah cade come un tordo per partecipare ad una riunione a Beirut già sotto bombardamento israeliano negli uffici ufficiali dell’organizzazione. Lui e più di mezzo stato maggiore di Hezbollah.
Alla base della storia, c’è l’attentato del 7 ottobre. Ricordo che Hamas è Fratellanza musulmana, quindi salafismo ma sunnita non sciita. Aveva ottimi rapporti con Hezbollah ed Iran ma non diretta dipendenza e fedeltà. Io stesso scrissi i giorni successivi che la reazione pubblica molto tiepida e francamente anche un po’ incerta di Hezbollah ed il silenzio dell’Iran, oltre alla logica dell’azione, lasciavano ampi dubbi sul coinvolgimento sciita nella programmazione dell’azione. Kepel conferma che gli sciiti vennero avvertiti solo il giorno prima dell’azione da Haniyeh, quando non c’era più niente da poter fare.
Per altro, scrissi anche che era “strana” la natura dell’azione stessa per gli standard operativi di Hamas e sospetta la presenza nell’azione di Jihad islamica palestinese che tra l’altro sembrava essere la parte che più si è macchiata di azione criminale nello svolgersi dei fatti sul campo ai primi di ottobre. Quell’azione avveniva pochi giorni dopo il discorso di Netanyahu all’ONU che annunciava la quasi chiusura delle trattative per la pace tra Arabia Saudita e Israele. Ricordo che il giorno dopo l’attentato, giornali israeliani rilanciavano la dichiarazione del capo dei servizi egiziani che affermava di aver avvertito gli israeliani dell’imminenza di una azione terroristica importante partente da Gaza, ricevendone una sospettosa indifferenza.
Scrissi anche che sostenere che i servizi israeliani non sapessero proprio nulla di ciò che da mesi si stava organizzando a Gaza (tra cui la presenza di migliaia di missiloni lunghi due metri), era altresì assai improbabile.
Ci muoviamo nel delicato e nebbioso campo della ipotesi, dei servizi segreti, delle complesse trame tipiche di aggrovigliate situazioni del genere in versione ancora più aggrovigliata visto che siamo in Medio Oriente con israeliani, sauditi, iraniani, egiziani, salafiti e dietro americani, occidentali, cinesi e russi.
Altresì, va segnalato che Kepel è francese ed i francesi avevano i giorni scorsi chiesto con gli americani una tregua per sospendere l’azione nel Libano. Perché proprio i francesi? Perché quando si sistemò il potere di supervisione dei pezzi dell’Impero ottomano con l’accordo Sykes-Picot (1916), il Libano cadde sotto supervisione francese che lì hanno per decenni mantenuto presenza discreta ed interessi post-coloniali. Quindi i francesi sanno cose o quantomeno più di altri, quando si tratta di Libano e Beirut. O se non le sanno hanno comunque interessi a far sembrare si saperle.
Insomma, ho riportato l’opinione di Kepel perché il tipo è uno studioso ben informato e serio. Secondo lui c’è una lotta di potere in Iran tra conservatori e riformatori dietro i quali c’è la Cina e le strategie BRICS. I cinesi si sono spesi sia per far fare di fatto la pace tra iraniani e sauditi, sia per convincere i palestinesi a smetterla con gli attentati e darsi una più serie configurazione politica in vista della formazione di un loro stato. Tutta questa storia è passibile di sospetto.
Data, modo e ragioni dell’azione del 7 ottobre da parte di Hamas che è il punto che ha formalmente scatenato tutto questo casino, rimangono oscure. Mentre è molto chiara la sequenza di quello che è successo da allora ad oggi.
In termini di ipotesi controfattuali, se foste stato a capo di Hamas e Hezbollah e foste venuti a sapere ai primi di ottobre dello scorso anno che Israele e Arabia Saudita (che prima si fa cooptare ufficialmente nell’allargamento dei BRICS del 2003 poi non ratifica l’adesione dilatando il processo di adesione sino ad oggi, nel mentre si mette s ridiscutere con gli USA di atomiche, missili e quotazioni in dollari del greggio) stavano per fare la pace dando il via al progetto “Via del cotone”, vi sarebbe venuto in mente di fare quello che è stato fatto il 7 ottobre sapendo che Netanyahu non aspettava altro per scatenare la sua strategia di chiusura definitiva dei conti? O aveste pensato che tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare ed anzi, ci sarebbe stato luogo e tempo per fare attentati e mettere sul campo attriti per ogni azione concreta susseguente l’idea di portare avanti quel progetto, mantenendo così il potere politico e geopolitico di interdizione?
Ipotesi, dubbi, incertezze. Personalmente, in questi anni, a parte l’11 settembre, non mi sono mai appassionato a fare contro-ipotesi e ricerche contro-informative sui fatti terroristici delle nostre recenti cronache. In questo caso però, sin dall’inizio ovvero i giorni successivi il 7 ottobre, la logica dell’azione di Hamas mi è sfuggita mentre era chiaro e prevedibile come poi Netanyahu l’avrebbe sfruttata.
Staremo a vedere quando e come nei fatti l’Iran (e Hezbollah) reagirà all’attentato di Beirut, stante che stiamo ancora aspettando la reazione alla morte di Haniyeh da fine luglio e chi decideranno di mettere al posto di Nasrallah.

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ÉTAT DU GRAND LIBAN – 1920_di Daniele Lanza

ÉTAT DU GRAND LIBAN – 1920 ( الانتداب الفرنسي على سوريا ولبنان )
(Parte – 1)
[per l’occasione, riedito un pezzo di anni fa sulla nascita del Libano contemporaneo]
DOMANDA n° 1 : cosa è esattamente il Libano odierno ?
Siamo alle solite, si tratta di spiegare come nasce una nazione (possibile ed impossibile a volte). Dunque NON si tratta – lo dico per il lettore davvero inesperto – di uno stato nazionale nello stesso senso dei più antichi stati europei che conosciamo. Si tratta di un’entità nazionale estremamente giovane, nata esattamente 100 anni orsono.
Fino al 1920 altro non è che una particella di pregio in quel grande corpo, via via in disfacimento dell’universo ottomano : il margine più settentrionale, di quella penisola arabica ancora formalmente inquadrata sotto gli osmanidi ad inizio XX° secolo. Una piccola frazione del mondo arabo ottomano, ma bagnata dal Mediterraneo orientale, la cui storia millenaria ne fa una Babele in miniatura di fedi. Non esiste alcuna identità nazionale in senso moderno e nemmeno antico, ma piuttosto un’identità culturale basata sulla peculiare amalgama religiosa del luogo…..che vede spiccare l’elemento maronita, rappresentante della cristianità orientale (da non confondersi con l’ortodossia greca) che come un pulviscolo sempre più rarefatto, ma vivo caratterizza lo sfondo di un vicino oriente in via di secolare livellamento prodotto dal grande mare dell’islam (…)
Le crociate vedono un primo emergere del carattere locale : la cristianità maronita non giura fedeltà a Costantinopoli come i cristiani ortodossi, bensì a Roma, all’occidente. Verranno perciò visti dai crociati francesi come naturali alleati locali (…)
La storia tuttavia fa il suo corso e i regni crociati vengono cancellati….passano numerosi secoli. In quel magma di infinito fascino che è la “creatura osmanide”, questa provincia imperiale (come dimensioni lo è) si guadagna un posto a sé : gli storici di oggi, incerti sulla denominazione la chiamano “Emirato del monte Libano” come anche “Emirato Ma’an”….un qualcosa che dura 300 anni (1500-1800) nel contesto ottomano e sostanzialmente basato su una presenza cristiana/maronita e drusa talvolta in simbiosi (malgrado vari tentativi del potere centrale di disgregare il nucleo di un potenziale insorgenza nazionalista locale).
Non avverrà mai alcuna scissione in era moderna, ma si sono già poste le basi per un particolarismo alla base di una futura identità separata (dalla vicina Siria ottomana per esempio) e forse un giorno nazionale. Questo status quo interno all’impero viene sottolineato con i cambiamenti nel corso del XIX° secolo quando sotto pressione occidentale tale emirato locale si evolve in entità politica la cui popolazione cristiana è sotto protezione degli attori europei del tempo : Cebel-i Lübnan Mutasarrıflıği, si chiama in turco e “Mutasarrifato” per noi. Una minuscola madrepatria cristiana ancora formalmente nell’impero, ma sostenuta dall’Europa.
A questo punto – dal momento che sono riuscito nel’infame intento si comprimere l’abisso di mezzo millennio di evoluzione in 30 patetiche righe – cosa abbiamo in mano ? In pratica questa “cellula cristiana” per chiamarla così innestata nel corpo sempre più malleabile di un impero ottomano che si restringe , perde grandi territori, subisce umiliazioni militari….fino alla prova suprema del 1914.
Eccoci qua quindi : siamo passati dall’ultima crociata alla PRIMA guerra mondiale, per intenderci.
Sorvoliamo in blocco sulla performance ottomana nel conflitto : ricordiamo che dal 1916 la grande rivolta araba (Lawrence e altri), porta via a Istanbul l’ultima grande porzione di territorio non turca ancora incollata geograficamente alla penisola anatolica nel giro di 2 anni.
Morale : arriviamo alla drammatica resa militare nell’ottobre del 18 che nel giro del biennio seguente degenera nel noto trattato di Sevres (1920) che rischia non tanto di disintegrare l’impero (quello è già andato), ma di spezzare l’esistenza della stessa nazione turca (cosa ben diversa)

Arriviamo al punto quindi.
Ci troviamo precisamente 100 anni fa a quest’epoca : i colloqui post-bellici si concludono con un trattato ( Sèvres, agosto 1920) che ufficializza il decesso dello stato imperiale ottomano dopo oltre mezzo millennio di storia.
Kemal Ataturk, combatte la sua battaglia (vittoriosa, con sostanzioso supporto dei bolscevichi russi che non disdegnano i nazionalisti turchi come alleati geopolitici).
Mentre si compie il destino turco…..cosa succede tuttavia più a sud nella penisola arabica che non gli appartiene più ?
Semplice (per modo di dire) : i grandi vincitori, GB e Francia, reclamano l’amministrazione della zona conquistata.
Lo fanno nel modo giusto, o per meglio dire adatto al nuovo stile “democratico” che si vorrebbe nel mondo : non reclamano le zone come colonie da aggiungere ai già vastissimi rispettivi spazi coloniali, bensì come MANDATI su cui governare. Il MANDATO in parole poverissime è una delega internazionale che autorizza tali potenze a governare in loco. Il mandato è concesso dalla società delle nazioni (pallido predecessore dell’ONU) il che conferisce una inedita legittimità al nuovo dominatore, il quale a parole si impegna a garantire in un tempo successivo la piena indipendenza dei territori amministrati (anche se non si precisa quando).
Alla Gran Bretagna va un’area che corrisponde all’odierno IRAQ + Palestina.
Alla Francia va un’area che corrisponde all’odierna SIRIA + Libano, per l’appunto.
In pratica la zona principe della penisola arabica, il nord della mezzaluna fertile, il cui sbocco sul Mediterraneo orientale la rende vitale. Il resto della penisola finirà grossomodo governata dalla famiglia SAUD (il che darà vita alla monarchia filo britannica saudita).
Alle promesse in tempo di guerra di dar vita ad un grande stato arabo unitario che comprendesse tutta la penisola arabica dallo Yemen sino alla Siria, verrà dato pochissimo supporto a conflitto finito.
Veniamo a noi : la Francia incassa dunque un risultato notevole….ed anche le avverse conseguenze. Si tenterà di creare un regno indipendente arabo in Siria (1919) che verrà presto abbattuto dalle forze francesi ed inglesi (…) : la republique Francaise con il progressivo consolidamento degli equilibri stabiliti, si impone come governatore piuttosto rigido nella regione, con un’amministrazione quasi esclusivamente francese il che provoca anni di rivolte (1920-23) sedate a fatica. In generale notevole è l’avversione al governante francese nella musulmana Siria…….mentre si incontra l’accoglienza che si riserva ai liberatori nell’area libanese.
A questo punto il fattore culturale e politico mette in moto una serie di eventi di notevole importanza per lo stato che oggi vediamo : la Francia suddivide il proprio territorio in 6 parti differenti, ma valutando da subito il valore strategico di un alleato culturale nell’area (per giunta in zona affacciata al mare, di grande valore), favorisce particolarmente l’entità libanese nel contesto del mandato, garantendole da subito una indipendenza relativa. Nasce così uno “Stato del grande Libano” (un Libano leggermente allargato che va oltre i confini storici cristiani, andando a comprendere e ampliare considerevoli minoranze musulmane a sud e nell’entroterra) che è il contenitore grossomodo dell’entità culturalmente cristiana residente lì da oltre 1000 anni…il cui atteggiamento filofrancese apre le porte a tale possibilità. E’ il 1 settembre 1920.
Nei 6 anni a seguire vi saranno ulteriori cambiamenti, fino ad arrivare alla denominazione finale “République libanaise” (con la proprio costituzione modellata su quella della terza repubblica francese) destinata a durare sino alla fine del secondo conflitto mondiale : al suo interno possiamo già notare un sistema piuttosto equo che assegna la presidenza dello stato ad un cristiano maronita, la presidenza del consiglio ad un musulmano sunnita, nonché il portavoce della camera musulmano sciita (+ la presenza di un ortodosso e un druso nel gabinetto di governo).
In sostanza, signori, questo è l’equilibrio nel vicino oriente tra le due guerre : il vincitore francese si ritrova tra le mani un gioiello di territorio (tutta la vecchia Siria ottomana) e all’interno di questo un ancor più preziosa perla….un attracco cristiano incuneato nella grande culla dell’islam che è la penisola arabica, che governa minuziosamente pur concendendo come premio lealtà un’inedita autonomia : l’influenza culturale (introduzione della lingua francese) malgrado il tempo limitato di “esposizione” è sicuramente grande.
Quella che era un’identità culturale dalla notte dei tempi…..si trasforma in era contemporanea in uno stato nazionale.
Al tempo della seconda guerra mondiale il controllo francese si interrompe solo nel 1943 quando gli inglesi temendo il collaborazionismo di Vichy, si risolvono per invadere tutto il mandato francese. L’indipendenza ufficiale, vera, arriverà nel 1946.
Ecco la base dello stato libanese come lo conosciamo oggi.
(chi è interessato è pregato di ripassarsi tanti testi e non FB o Wikipedia).
Ḥizb Allāh ( حزب اﷲ‎ ) – “Partito di Dio”
Leggendo per la rete, ho la bizzarra sensazione che non tutti abbiano una consapevolezza nitida di cosa sia HEZBOLLAH (?). La cosa fa specie, ma ad ogni modo rimedio….
Abbiamo a che fare con una possente milizia paramilitare, incentrata in Libano dove è nata e si è sviluppata: la contraddizione di fondo è che tale milizia NON è un semplice gruppo terroristico (come è stata definita de jure da Usa, Israele e UE), bensì un vero e proprio esercito, dotato di una potenza di fuoco superiore alle stesse forze armate libanesi regolari (il punto è questo).
Abbiamo a che fare con un’entità extra-statale, ma con la medesima potenza di un piccolo stato……che si genera dal Libano ne esprime il più forte nazionalismo, ma che legalmente non ne rappresenta lo stato LEGALE, cosa che può scompigliare le idee a chi è abituato a pensare secondo il prisma degli stati nazionali. Un patriottismo fuori della potestà del proprio stato, cui sottrae il monopolio della forza (tante riflessioni interessanti potrebbero nascere da questo).
Come e perchè si genera tutto questo ? E’ necessario farne molti di passi indietro purtroppo (portare pazienza e attenzione ad ogni passaggio da qui in avanti) : sostanzialmente occorre tornare a oltre mezzo secolo fa, cioè alla catena di eventi che portano alla guerra civile libanese, divampata alla metà degli anni 70
PRIMO STEP = Dunque, la “radice del male” deve rilevarsi alcuni anni prima, ossia da quando il movimento per la liberazione della Palestina (OLP) in fuga, stabilì la propria base operativa in Libano (a partire dal 1967): una presenza difficile, ingombrante e rischiosa, poichè coinvolgeva lo stato libanese in un conflitto contro il vicino israeliano, ma soprattutto perchè la presenza di una forza (armata) come quella palestinese entro i confini nazionali, metteva in discussione la stessa autorità di stato.
SECONDO STEP = Cosa fare allora ? I vertici libanesi scelgono (e sarà peggio per loro) il compromesso: la presenza palestinese viene formalizzata con un accordo tra l’OLP e le forza armate libanesi tramite un accordo segreto firmato al Cairo (1969). L’accordo prevedeva che l’OLP sarebbe potuto rimanere in territorio libanese e continuare la propria lotta dalle basi lì stabilite….ma questo senza destabilizzare l’ordine costituito.
Questo sarà l’inizio della fine: nel nome di una astratta solidarietà panaraba si permette la presenza palestinese nello stato, senza rendersi conto che essa andrà ad intaccare i delicatissimi equilibri interni dello stato libanese (la cui maggioranza è cristiana )
TERZO STEP = gli accordi del Cairo non stabilizzano la situazione, ma anzi determinano il caos: lo stato libanese diventa ipso facto obiettivo delle risposte militari israeliane (cosa in realtà preventivata), ma, cosa assai più grave, NON risolvono il conflitto tra autorità libanesi e la presenza militare palestinese (vale a dire proprio quello per cui l’accordo era stato firmato……). In particolare viene a crearsi un antagonismo naturale tra il partito Falangista libanese (una forza politico/militare che rappresenta l’elite cristiana del Libano) ed i palestinesi: nel giro di una manciata di anni queste due milizie armate contrapposte danno vita ad una guerra civile (1975)
QUARTO STEP = non è fattibile riportare ogni singolo punto di svolta del conflitto civile libanese, ma ribadiamo l’essenziale. Le milizie falangiste cristiane e quelle musulmano palestinesi iniziano a combattere per le strade della capitale, che subito viene divisa in due parti (est ed ovest): da questa prima faida, deflagra la guerra che in breve tempo va oltre i suoi iniziatori, ovvero si genera un caos che fraziona il paese in una miriade di gruppi militari contrapposti, ognuno con una sua logica (…). Le forze armate di stato si disintegrano e alla fine forze esterne intervengono per riportare l’ordine: da nord l’esercito Siriano entra in Libano occupandone gran parte delle aree nevralgiche…..mentre da sud le forze israeliane effettuano la prima grande incursione. Siamo nel 1978 e sembra che tutto sia finito, ma……
QUINTO STEP = ……si tratta di una pace illusoria. L’OLP non ha intenzione di lasciare il suo radicamento in Libano, il quale quindi continua ad essere considerato obiettivo primario da Tel Aviv. Quest’ultima a questo punto si rende responsabile di una strategia molto discutibile (il lettore giudichi da sè): come ammesso decenni dopo da ex alti ufficiali israeliani, l’intelligence israeliana, approfittando del caos militare nel paese, fomenta numerosi attentati (attribuiti di volta in volta a chicchessia tra i gruppuscoli militari coinvolti nella guerra civile) a scopo di destabilizzare il paese oltre il limite ed in particolare provocare le milizie palestinesi per farle reagire al punto da portare lo stato Israeliano ad autorizzare un’invasione vera e propria dello stato libanese invocando ragioni di sicurezza nazionale.
SESTO STEP = dopo svariati anni di tale tattica (1979-82), si arriva infatti al punto: nel 1982 Israele INVADE il Libano. Campagna militare brillante: in poche settimane occupa il paese, arriva fino a Beirut e la mette sotto assedio. A quel punto interviene anche Washington e si ottiene che l’OLP lasci il territorio libanese, cosa che avverrà sotto protezione internazionale, da accordi.
In parole povere: i palestinesi e le loro milizie armate, dopo 15 ANNI, abbandonano il Libano. Una vittoria per Israele sì…..ma solo temporanea: in realtà nella vittoria contro l’OLP in territorio libanese, sono contenuti i semi di nuove disgrazie per il futuro. In che senso ? Nel senso che il 1982 vede sì, i palestinesi sconfitti ed evacuati……..ma parallelamente l’umiliazione libanese per la presenza israeliana sul proprio territorio, pone le basi psicologiche e materiali per la nascita di HEZBOLLAH, ovvero “partito di Dio”. In altre parole Tel Aviv ha conseguito una vittoria pirrica: sgomina le milizie palestinesi da un lato, ma dall’altro fa nascere quelle libanesi vere e proprie.
SETTIMO STEP = Siamo dunque arrivati ad Hezbollah finalmente. Di cosa si tratta ? Come abbiamo visto non ha nulla a che vedere coi palestinesi (non direttamente almeno): si tratta di nazionalisti libanesi di fede musulmana e per l’esattezza della variante SCIITA. E’ quella variante dell’Islam nota – penso – anche a gran parte del pubblico comune: una variante alternativa, il cui epicentro e patria è l’IRAN. Ricordiamo sempre un fatto (aprire le orecchie qui *) : la storia dei rapporti tra stati del vicino oriente è scandito dalla fede quanto dalle identità nazionali, ovvero nella misura in cui tutte le potenze vorrebbero proiettare la propria influenza sul vicinato. Ora……….nel caso dell’Iran esiste un problema: per quanto potenza regionale potenzialmente egemone nel medio oriente ha un limite di fondo, ovvero NON si tratta di un paese arabo e quindi non può proiettare direttamente la propria influenza nell’hinterland (non tanto quanto vorrebbe). Esiste tuttavia un’alternativa efficace: fare appello sulle minoranze sciite che sono comunque presenti nel mondo arabo. La Repubblica islamica dell’Iran è quindi la casa madre di tutti gli sciiti sparpagliati nell’area mediorientale, a cominciare dal nord del confinante IRAK in primissimo luogo (…): la Sh’ia (Sciismo) è quindi lo strumento di soft power – per così dire – dell’Iran, il suo veicolo più immediato per portare la propria influenza al di fuori dei confini iraniani.
Si da il caso che in Libano quasi 1/4 della popolazione sia musulmana sciita: ottimo appiglio da cui partire dunque. A partire dall’umiliazione del 1982, la comunità sciita libanese inizia a ricevere supporto finanziario, politico e militare direttamente dall’Iran (reduce della rivoluzione di pochissimi anni prima, tra l’altro). Tale dinamica si perpetuerà per decenni, cioè fino ai nostri giorni: lenta, ma estremamente stabile.
Il Partito di Dio, formato quindi da libanesi sciiti, si dota di una propria dottrina nel 1985 (una variazione di quella di Khomeini) che prevede un ritiro delle potenze imperialiste del suolo nazionale: al tempo medesimo crea un propria branca militare col supporto costante di 1500 Pasdaran arrivati dall’Iran che aiutano a formare un vero e proprio esercito. (se notate il simbolo del vessillo di Hezbollah, è il medesimo della Guardia nazionale Pasdaran dell’Iran).
L’Iran investe in tale progetto per una generazione intera (30/40 anni) ed oggi le fonti militari internazionali sono concordi nell’affermare che l’esercito Hezbollah dispone di una potenza di fuoco pari alla massima parte degli eserciti regolari delle nazioni del medio oriente e sicuramente di più rispetto alle forze regolari dello stato libanese (i combattenti di prima linea sono 20’000 + altri 40’000 riservisti ed il numero di missili di cui dispone è imponente).
La cosa si presta a svariate interpretazioni certo, ma si può dire che il nazionalismo libanese è stato efficacemente interpretato dalla comunità sciita, in chiave anti imperialista mutuata dal modello iraniano che ne è il “faro”.
I rapporti con i palestinesi sono buoni: si tratta di forze distinte (sunniti gli uni, sciiti gli altri), ma unite dalla comune filosofia anti israeliana. D’altra parte, assenti o pessimi i rapporti con AL-QUAEDA (fondamentalisti sunniti che vedono gli sciiti come eretici).
FINE. Fine infarinatura della domenica per il passante ignaro……)

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La gloria effimera di Israele celebrata dai polemici del ginocchio + Aggiornamenti sulla guerra in Ucraina, di Simplicius

La gloria effimera di Israele celebrata dai polemici del ginocchio + Aggiornamenti sulla guerra in Ucraina

Simplicius

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Israele è finalmente riuscito a uccidere il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, tra le estasi quasi orgiastiche dell’Occidente. Molti ora festeggiano il fatto che Israele abbia realizzato una “straordinaria decapitazione” dell’intera leadership di Hezbollah in sequenza: prima “eliminando” i soldati semplici di basso livello attraverso l’attacco con i cercapersone, poi i vertici con le radio e i colpi missilistici di stampo hollywoodiano, fino all’attacco finale con decapitazione dei vertici stessi.

Si tratta di uno spettacolo di precisione e pianificazione senza precedenti, che il mondo non ha mai visto prima. Israele ha ammesso che l’attacco con i cercapersone ha richiesto 15 anni per essere pianificato, creando società di comodo all’interno di società di comodo, e persino facendo produrre e spedire a queste società prodotti reali per diversi anni, al fine di costruirsi prima una reputazione di autenticità, in modo da poterli affidare quando è arrivato il momento di distribuire i dispositivi letali.

E cosa hanno ottenuto per 15 anni di lavoro e pianificazione? Non c’è uno straccio di prova che io sappia che l’attacco abbia eliminato qualche vero membro di Hezbollah. Ho visto solo ospedali intrisi di sangue di vittime civili e collaterali, e oceani di scemenze di Hasbarah che sostengono che legioni di Hezbollah sono state spazzate via dalla supremazia sionista.

Basta notare quanto le affermazioni di oggi siano simili a quelle della guerra del Libano del 2006 – da wiki:

Successivamente è stato riferito che l’aviazione israeliana, dopo la mezzanotte del 13 luglio, ha attaccato e distrutto 59 lanciatori di razzi Fajr fissi a medio raggio posizionati nel Libano meridionale. L’operazione Density avrebbe richiesto solo 34 minuti per essere portata a termine, ma è stata il risultato di sei anni di raccolta di informazioni e di pianificazione. Secondo le stime dell’IDF, tra la metà e i due terzi della capacità missilistica a medio raggio di Hezbollah è stata annientata. Secondo i giornalisti israeliani Amos Harel e Avi Issacharoff l’operazione è stata “l’azione militare più impressionante di Israele” e un “colpo devastante per Hezbollah”. Nei prossimi giorni l’IAF avrebbe anche attaccato e distrutto gran parte dei missili Zelzal-2 a lunga gittata di Hezbollah.

“Tutti i razzi a lungo raggio sono stati distrutti” avrebbe detto il capo di stato maggiore Halutz al governo israeliano, “Abbiamo vinto la guerra”.

Leggete le parti in grassetto qui sopra, poi confrontatele con le vuote esultanze di oggi.

Ora anche personaggi come Dugin hanno esaltato la supremazia delle azioni di Israele come esempio o epitome di come le nazioni dovrebbero combattere i loro nemici, con zero ritegno e autorità di decisione.

“È spiacevole ammetterlo, ma la determinazione radicale di Israele nella distruzione spietata dei suoi nemici contrasta chiaramente con il comportamento non solo di questi nemici, ma anche di noi stessi nei rapporti con il regime di Kiev. Israele gioca d’anticipo, ed è ormai chiaro che ha provocato l’attacco di Hamas, che non ha portato alcun frutto alla Resistenza, ed è riuscito a distruggere la leadership delle forze a lui antagoniste in Medio Oriente e a compiere facilmente un genocidio su larga scala dei palestinesi di Gaza. Ancora una volta – chi è più veloce ha ragione. Vince chi agisce in modo più deciso e avventato. Ma noi siamo cauti e costantemente esitanti. A proposito, l’Iran è lo stesso. Questa è una strada che non porta da nessuna parte. Gaza non c’è più. La leadership di Hamas non c’è più. Ora la leadership di Hezbollah non c’è più. E il presidente iraniano Raisi non c’è più. E il suo cercapersone è sparito. Ma Zelensky è qui. E Kiev fa finta di niente. O entriamo in gioco sul serio, oppure… Non voglio pensare alla seconda opzione. Ma nelle guerre moderne il tempismo, la velocità, la dromocrazia decidono tutto. I sionisti agiscono rapidamente, in anticipo. Con coraggio. E vincono. Ecco cosa dovremmo fare”. – Alexander Dugin

“Vince chi agisce in modo più deciso e sconsiderato” Cosa ha vinto Israele, esattamente? Non si “vince” uccidendo una figura di spicco. La Russia “vincerebbe” uccidendo Zelensky in un attacco?

Il problema è che queste lusinghe non colgono le sfumature più importanti: Israele è in grado di fare ciò che fa contro i suoi vicini grazie al sistema di egemonia occidentale che lo dota di poteri onnipotenti sia commerciali che militari.

Per esempio, molti hanno esultato per la “notevole” capacità di Israele di infiltrarsi con le sue spie in tutte le organizzazioni nemiche, permettendo loro di individuare le posizioni di personaggi come Nasrallah o Ismail Haniyeh. Ma proprio come la Corea del Nord è stata artificialmente affamata attraverso regimi di sanzioni ed embargo durati decenni rispetto al Sud, così Israele gode di vantaggi economici non quantificabili rispetto a tutti i suoi vicini, che in ultima analisi gli rendono abbastanza elementare esercitare un’influenza decisiva e la sovversione su di loro. Non è diverso da come gli Stati Uniti hanno “vinto” la fraudolenta guerra irachena semplicemente pagando una serie di poveri generali iracheni con soldi sporchi di sangue; per loro un bel milione di dollari è un tesoro per tutta la vita, mentre per il Dipartimento di Stato americano sono spiccioli.

Mantenendo i vicini poveri con l’aiuto del modello economico occidentale prevalentemente predatorio – che include il dominio della valuta di riserva del dollaro, politiche come il Memorandum 200, eccetera – Israele è facilmente in grado di far leva sul denaro di nazioni artificialmente impoverite come il Libano e persino l’Iran per pagare le persone necessarie a diventare agenti voltagabbana. Israele è ricco di infiniti miliardi di denaro provenienti dai contribuenti delle nazioni più ricche del mondo, che vengono utilizzati per corrompere i disperati e i poveri di questi Paesi affinché forniscano informazioni – ed è probabilmente così che sono state ottenute le posizioni di Nasrallah, Haniyeh, ecc.

In breve, non si tratta di un “miracolo” di capacità operative, ma piuttosto dell’handicap storico di Israele nei confronti dei suoi vicini che permette di ottenere qualsiasi piccola vittoria.

Ora stanno segnalando l’intenzione di fare una “invasione limitata” del Libano:

Con tutta la “notevole” abilità di Israele, sono riusciti a nascondere rapidamente sotto il tappeto il fatto che dopo un anno di combattimenti non sono stati in grado di eliminare Hamas, che si sta lentamente ripopolando a Gaza, ma dovremmo credere che hanno distrutto completamente Hezbollah in un solo giorno o due di attacchi attivi?

L’apoteosi delle proteste di oggi è rappresentata da questo post di RWA, che contiene alcuni punti positivi:

Una cosa vera è che la sfera della resistenza è stata classicamente guidata da una gerontocrazia vecchia e inflessibile. Figure come Nasrallah, o l’iraniano Khamenei, che ha quasi 90 anni, insieme a gran parte del Ministero della Difesa russo all’inizio della guerra. A confronto con il più giovane e astuto dipartimento di Stato, lo stato maggiore, ecc. di Israele.

Detto questo, come ho riferito l’ultima volta, l’Iran continua a dare segnali di moderazione. Alcuni mi hanno criticato per aver frainteso il ferreo sostegno dell’Iran a Hezbollah, eppure ecco l’ex ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif che dichiara apertamente che l’Iran lascia che Hezbollah si arrangi da solo:

Naturalmente, il video di cui sopra risale a pochi giorni prima della morte di Nasrallah, ma serve comunque a sottolineare la probabile accuratezza della mia lettura precedente e che l’Iran non sembra intenzionato a dare a Israele ciò che vuole con un’escalation del conflitto.

Va tuttavia notato che, insieme a Nasrallah, sarebbero state uccise anche diverse figure di spicco dell’IRGC:

Funzionari iraniani affermano che un gruppo di ufficiali e comandanti del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRCG), tra cui il generale di brigata Abbas Nilforoushan, vicecomandante delle operazioni dell’IRGC e comandante ad interim delle operazioni della Forza Quds in Siria e Libano, sono stati tutti uccisi nell’attacco israeliano di ieri al bunker del comando centrale di Hezbollah a Beirut.

Nel frattempo, Israele continua a giocare contro il tempo: è questo il vero motivo della prevista “finestra breve” dell’operazione libanese?

 Moody’s declassa nuovamente il rating economico di Israele a causa della guerra con Hezbollah

L’agenzia prevede che la già difficile situazione economica di Israele peggiorerà a causa dei combattimenti in corso a Gaza e di un nuovo conflitto al confine libanese. Il rating economico di Israele è sceso da A2 a Baa1 – la decisione è stata presa prima ancora che l’IDF attaccasse il quartier generale di Hezbollah a Beirut.

❗️ Il rating di Israele è stato declassato per la seconda volta quest’anno: a febbraio, da A1 ad A2 a causa di una riduzione del PIL del Paese del 20%. Ed entro la fine del prossimo anno, i costi che i conflitti militari comporteranno ammonteranno ad un altro 12% del PIL, secondo i funzionari israeliani. Tuttavia, il Ministero delle Finanze israeliano ritiene che il Paese se la stia cavando bene dal punto di vista finanziario.

Bisogna ricordare che le piccole insurrezioni anti-imperiali devono sempre affidarsi alla guerra ibrida e all’arma del tempo contro nemici più grandi e potenti. Israele ha “sconfitto” Hezbollah? E anche se lo facesse, che tipo di impresa sarebbe? Hezbollah non è un paese, è una minuscola forza paramilitare che vive all’interno di un paese in gran parte a lui ostile, il che significa che molti in Libano forniscono liberamente informazioni a Israele, quindi cosa ci si può aspettare? L’Iran, d’altra parte, è molto lontano da Israele, separato da diversi Paesi, quindi cosa vi aspettate che faccia esattamente l’Iran?

No, l’arma principale della resistenza è la lenta erosione del tempo. Non vedo alcuna vittoria nelle azioni di Israele fino ad ora, ma quello che vedo è un grande salto alle conclusioni da parte di persone che prendono ogni affermazione israeliana al valore nominale, comprese le affermazioni di aver “distrutto tutti i razzi di Hezbollah”, ecc, senza alcuna prova se non qualche video sgranato e lontano di edifici civili che esplodono.

Un’ultima nota interessante:

Arnaud Bertrand risponde:

Potrebbe sembrare una sciocchezza, ma è una delle cose più straordinariamente rivelatrici dette da Israele. Secondo le parole degli stessi funzionari israeliani, Nasrallah è letteralmente morto perché ha rifiutato un accordo collaterale che abbandonava i palestinesi. In effetti, quest’uomo etichettato come “terrorista” è morto perché si è rifiutato di cedere su ciò che tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite e l’immensa maggioranza della comunità internazionale hanno chiesto incessantemente. Solo che lui, a differenza degli altri, aveva i denti. Quindi, a differenza di quanto molti sostengono, il vero motivo della sua morte non è perché “gli Hezbollah sono terroristi e sono cattivi”, ma perché Israele possa proseguire senza ostacoli la sua presa di terra e la pulizia etnica. Era uno dei pochi a volerli mettere di fronte alle loro responsabilità e, secondo le loro stesse parole, è per questo che doveva morire.

Tornando all’Ucraina, dopo l’esaurimento dello “sballo” dell’Assemblea Generale, i media occidentali sono tornati a fare previsioni fosche sulle prospettive di Zelensky:

Biden e il suo entourage dubitano del “piano di vittoria” di Zelensky e della correttezza della decisione di invadere la regione di Kursk, – Politico

▪️ “In privato mettono in dubbio la sua decisione di lanciare un’offensiva in Russia, che ha distolto le truppe dalla linea del fronte nella regione di Donetsk, ed esprimono preoccupazione per la traiettoria a lungo termine del conflitto”, scrive la pubblicazione, citando fonti.

▪️La Casa Bianca è “preoccupata per la traiettoria a lungo termine del conflitto”, hanno dichiarato i funzionari.

RVvoenkor

Il pezzo del NYT di cui sopra è particolarmente illuminante, perché tratta in modo più dettagliato la carità con cui gli Stati Uniti si stanno avvicinando all’argomento degli attacchi a lungo raggio contro la Russia. In una nuova valutazione segreta dell’intelligence “precedentemente non riportata”, scrivono:

Le agenzie di intelligence statunitensi ritengono probabile che la Russia si vendichi con maggiore forza contro gli Stati Uniti e i suoi partner della coalizione, possibilmente con attacchi letali, se accettano di dare agli ucraini il permesso di impiegare missili a lungo raggio forniti da Stati Uniti, Regno Unito e Francia per colpire in profondità la Russia, hanno detto funzionari statunitensi.

In particolare, le agenzie di intelligence sottolineano la capacità della Russia di intensificare la guerra ibrida in Europa in un modo che apparentemente terrorizza gli Stati Uniti:

La valutazione dell’intelligence descrive una serie di possibili risposte russe alla decisione di autorizzare attacchi a lungo raggio con missili forniti dagli Stati Uniti e dall’Europa – dall’intensificazione di atti dolosi e di sabotaggio contro strutture in Europa, ad attacchi potenzialmente letali contro le basi militari statunitensi ed europee.

Funzionari statunitensi affermano che il G.R.U., l’agenzia di intelligence militare russa, è stato responsabile della maggior parte degli atti di sabotaggio in Europa che hanno avuto luogo finora. Se Putin deciderà di espandere la campagna oscura in risposta all’uso di missili statunitensi ed europei in profondità nella Russia, i funzionari statunitensi ritengono che i russi continueranno a farlo in modo occulto, piuttosto che condurre attacchi palesi alle strutture e alle basi statunitensi ed europee, per ridurre il rischio di un conflitto più ampio.

Ecco finalmente, nudo e crudo, ciò che ho denunciato fin dall’inizio: a differenza di quanto strillano i commentatori filo-USA su Twitter e simili, gli Stati Uniti sanno benissimo cosa può fare la Russia se si continuano a superare le linee rosse.

Il rapporto delle agenzie di intelligence conferma anche che le scorte di armi della NATO si stanno riducendo in modo precario:

Ma nella loro valutazione, le agenzie di intelligence statunitensi esprimono dubbi sul fatto che, anche se agli ucraini fosse permesso di usare i missili a lungo raggio, ne avrebbero abbastanza da alterare il corso del conflitto in modo fondamentale.

Secondo le indicazioni di Biden, l’esercito americano potrebbe fornire più ATACMS agli ucraini. Ma i funzionari dicono che le stesse forze armate statunitensi hanno una fornitura limitata di missili e hanno bisogno di mantenere una riserva per le proprie potenziali esigenze militari.

Questo è stato confermato dal recente rapporto del Times, che ho trattato per la prima volta nel nuovo pezzo per abbonati a pagamento di due giorni fa:

Gli alleati occidentali dell’Ucraina hanno quasi esaurito le loro scorte di armi a causa delle forniture a lungo termine alle forze armate ucraine, – The Times.

“Credo che la maggior parte dei Paesi occidentali abbia donato la maggior parte delle risorse in loro possesso”, ha dichiarato il sottosegretario di Stato britannico alla Difesa Luke Pollard.

Il Ministero della Difesa ha “ridotto drasticamente” i trasferimenti di equipaggiamento militare a Kiev a metà del 2023 dopo aver concluso che ulteriori donazioni di aiuti letali avrebbero posto “rischi inaccettabili alla prontezza militare del Regno Unito”.

L’ultima serie di articoli della stampa di regime ha fornito un altro ricordo viscerale del disastro traballante dell’Ucraina.

La frase di apertura è la seguente:

Se l’Ucraina e i suoi sostenitori occidentali vogliono vincere, devono prima avere il coraggio di ammettere che stanno perdendo.

L’idea è che l’Ucraina sia costretta a fare concessioni attraverso il richiamo della NATO:

Questo sarebbe controverso, perché ci si aspetta che i membri della NATO si sostengano a vicenda se uno di loro viene attaccato. Nell’aprire un dibattito su questa garanzia dell’articolo 5, Biden potrebbe chiarire che non coprirebbe il territorio ucraino che la Russia occupa oggi, come la Germania Est quando la Germania Ovest entrò nella Nato nel 1955; e che l’Ucraina non presidierebbe necessariamente le truppe straniere della Nato in tempo di pace, come la Norvegia nel 1949.

Un altro nuovo articolo dell’Economist rivela alcune cifre interessanti:

Si legge che, secondo i funzionari ucraini, l’attuale disposizione del fronte è di 450.000 truppe ucraine contro 540.000 russe, e che la Russia ha le seguenti perdite:

Un funzionario americano afferma che 100.000 russi sono stati uccisi e 430.000 feriti dall’inizio della guerra.

Inoltre afferma che:

Ma il 77% degli ucraini dice che un amico o un conoscente è morto in guerra; il 22% ha perso un parente. Le aspettative sulla durata della guerra sono in aumento.

Tenetevi stretti questi numeri, perché li collegheremo a una serie di altri fatti nuovi e rivelatori dal fronte.

Un nuovo articolo bomba del Financial Times ha mandato onde d’urto anche nei circoli di analisti filo-ucraini:

L’estratto più sorprendente:

Lungo il fronte di Donetsk, quattro comandanti, un vicecomandante e quasi una dozzina di soldati di quattro brigate ucraine hanno dichiarato al Financial Times che i nuovi soldati di leva mancano di abilità di base nel combattimento e di motivazione e spesso abbandonano le loro posizioni quando si trovano sotto il fuoco.

I comandanti hanno stimato che il 50-70% delle nuove truppe di fanteria sono state uccise o ferite entro pochi giorni dall’inizio del loro primo turno.

“Quando i nuovi arrivati arrivano in posizione, molti di loro scappano alla prima esplosione di granata” ha detto un vice comandante della 72esima brigata meccanizzata ucraina che combatte vicino alla città orientale di Vuhledar, un baluardo chiave che i russi stanno cercando di affiancare.

Non avevamo una dichiarazione così sconvolgente dai tempi in cui i comandanti ucraini rivelavano che le truppe fresche duravano meno di quattro ore sul fronte di Bakhmut.

Ricordate questo?

L’articolo del FT prosegue:

Alti funzionari ucraini hanno dichiarato che una recente mobilitazione ha permesso all’Ucraina di arruolare circa 30.000 soldati al mese da maggio, quando è entrata in vigore una nuova legge sulla coscrizione. Si tratta di un numero pari a quello delle truppe che la Russia è riuscita a reclutare offrendo grandi bonus e stipendi generosi.

Ma i comandanti sul campo e gli analisti militari hanno avvertito che le truppe appena arruolate non sono altamente motivate, sono psicologicamente e fisicamente impreparate – e di conseguenza vengono uccise a un ritmo allarmante.

Dopo i difficili periodi di combattimento, molti nuovi coscritti vanno a vuoto, hanno detto i comandanti. Alcuni tornano talmente scioccati ed esausti da essere ricoverati in reparti psichiatrici.

Diverse rotazioni sbagliate negli ultimi mesi hanno portato la Russia a guadagnare più facilmente del previsto verso Pokrovsk.

Il comandante afferma che le truppe esperte vengono eliminate “troppo rapidamente”, lasciando solo 45 e 50 anni.

Un altro recente rapporto afferma che il Regno Unito non riceve più ucraini da addestrare semplicemente perché sembra che li stia esaurendo. Questo articolo del FT conferma i problemi di addestramento:

Le nuove truppe si esercitano raramente con proiettili vivi a causa della carenza di munizioni, ha aggiunto.

“Alcuni di loro non sanno nemmeno come impugnare il fucile. Sbucciano più patate che proiettili”, ha detto, aggiungendo di aver comprato attrezzature da paintball per sostituire i fucili e i proiettili vivi, in modo che le nuove reclute potessero fare più pratica senza sprecare preziose munizioni.

La camera d’eco pro-UA su Twitter è rimasta incredula di fronte a questi risultati:

Un nuovo articolo della rivista Military Watch conferma le perdite:

L’alto ufficiale di leva della regione ucraina di Poltava, il tenente colonnello Vitaly Berezhnyon, il 15 settembre 2023 ha rivelato che le unità hanno subito perdite estreme, osservando: “Su 100 persone che si sono arruolate nelle unità lo scorso autunno, ne rimangono 10-20, il resto sono morti, feriti o disabili”.

Questo indicava un tasso di perdite dell’80-90% nelle unità di leva nell’ultimo anno. La dichiarazione di Berezhnyon era tutt’altro che isolata, con l’ambasciatore ucraino nel Regno Unito ed ex ministro degli Esteri Vadim Pristaiko che in aprile aveva indicato perdite di personale catastrofiche. “La nostra politica è stata fin dall’inizio quella di non parlare delle nostre perdite. Quando la guerra sarà finita, lo riconosceremo. Penso che sarà un numero orribile”, ha osservato all’epoca.Ma in un’altra notizia bomba, l’ex deputato del Rada ed ex vicecomandante di un’unità Aidar, Ihor Mosiychuk, ha dichiarato che la guerra è finita.

Ma in un’altra nuova notizia bomba, l’ex deputato del Rada ed ex vicecomandante di un’unità dell’Aidar, Ihor Mosiychuk, ha dichiarato che l’AFU ha probabilmente subito più di 500.000 perdite fino ad ora, specificando che si tratta di morti, dispersi e feriti gravi solo non contando i feriti leggeri; in breve, questo rappresenta “perdite irrecuperabili”:

Ciò significa che, considerando il solito rapporto 1:3 o 1:4, l’Ucraina potrebbe avere qualcosa come 1,5-2+ milioni di vittime totali, se si contano i feriti leggeri che tornano a combattere.

Ora, prendendo come riferimento la precedente cifra russa, secondo cui la Russia avrebbe circa 100.000 morti e 430.000 feriti, facciamo un po’ di conti. Le statistiche mostrano che fino al 15-20% dei “feriti” sarebbero mutilati o irrecuperabili, il che ci dà una cifra di circa 50-80k, più o meno, dei 430k feriti totali. Ciò significa che la Russia potrebbe avere ~100k morti più o meno 20k, e altri 40-80k irrimediabilmente mutilati, con altri ~350k feriti leggeri, la maggior parte dei quali può tornare a combattere. Senza contare che questo numero può rappresentare una quantità molto minore di persone, dato che molti vengono feriti più volte e continuano a tornare, aumentando così la lista totale dei feriti.

Prendendo per buoni i numeri di Mosiychuk, possiamo fare un calcolo ipotetico:

Dei 500k “morti e feriti gravi”, i morti puri rappresenterebbero probabilmente circa 320k, mentre i feriti irrecuperabili altri 180k e i “feriti leggeri” circa altri ~750k. Questo soddisfa il rapporto approssimativo secondo cui i feriti gravi sono il 15-20% del totale dei feriti leggeri, ed entrambi i tipi di feriti sono approssimativamente da 3 a 4 volte superiori ai KIA puri, poiché in questo caso ~320k KIA sono 1/3 degli oltre 900k feriti rappresentati sopra.

Quindi, usando questo criterio, possiamo dare una potenziale stima delle perdite attuali come:

Russia: ~100k KIA, 50-60k feriti irrecuperabili, 300k feriti leggeri, per un totale di 450k perdite. Questo è in linea con le grandi affermazioni secondo le quali la Russia ha “500k vittime”, anche se sono state fatte per far credere che si tratti solo di KIA.

Ucraina: 320k KIA, 180k feriti irrecuperabili, ~750k feriti leggeri, per un totale di 1,2-1,3 milioni di vittime.

Ricordate la cifra precedente che vi ho chiesto di notare:

Ma il 77% degli ucraini dice che un amico o un conoscente è morto in guerra; il 22% ha perso un parente. Le aspettative sulla durata della guerra sono in aumento.

Ho chiesto all’intelligenza artificiale di calcolare questo dato in modo da fornire una stima approssimativa del numero di vittime totali che ciò potrebbe comportare per un Paese di circa 30 milioni di persone.

Utilizzando il numero di Dunbar e altri calcoli, l’IA ha raggiunto una stima secondo cui le cifre di cui sopra per un Paese di 30 milioni di persone rappresenterebbero circa 1,32 milioni di vittime totali:

Per l’Ucraina, la situazione è un po’ più grave di quanto non dicano i numeri puri, perché un’enorme quantità di militari si assenta dal servizio e fugge dal bacino di forza lavoro semplicemente rifiutandosi di essere richiamata, il che influisce massicciamente sul totale degli uomini schierabili nel bacino.

Ma facciamo un’ultima analisi.

Semplificando le cifre delle perdite russe di cui sopra a 100k morti, 50k irrecuperabili, 300k feriti leggeri, otteniamo 450k perdite divise per i 31 mesi di questa guerra: 14.500 perdite sanitarie al mese.

Ma la maggior parte di loro ritorna, in quanto “feriti leggeri”, tuttavia rappresentano ancora un bisogno temporaneo di sostituzione fuori linea. Quindi, il reclutamento russo di 30k uomini al mese, che credo sia sceso recentemente a 20k, lascia un po’ di spazio per la costituzione di riserve.

Inoltre, circolava una voce secondo cui alcune delle cifre dichiarate di reclutamento dalla Russia erano state leggermente alterate nel modo seguente: possono dichiarare 30.000 volontari al mese, tuttavia una parte di questa cifra era potenzialmente una sorta di contratto firmato con il Ministero della Difesa da combattenti volontari che stavano già partecipando alla guerra (quindi senza aggiungere effettivamente nuove truppe in prima linea) e non da uomini nuovi di zecca che entravano in un ufficio di reclutamento da qualche parte a Mosca.

In breve, questi margini ristretti, uniti ad alcuni espedienti, potrebbero spiegare perché anche la Russia soffre abitualmente di problemi di manodopera, pur subendo molte meno perdite rispetto all’Ucraina.

I numeri sopra riportati si suddividono in qualcosa come: 480 vittime totali al giorno da parte russa, di cui 95 morte in azione, altri 45 feriti irrecuperabili e oltre 250 feriti lievi.

Questo corrisponde più o meno alla realtà, dato che Prigozhin aveva affermato molto tempo fa, solo nel Bakhmut, che morivano, uccisi in azione, tra i 20 e i 50 Wagner al giorno, a seconda del giorno.

Un nuovo articolo del NYT fornisce qualche informazione in più:

In un luogo vicino al fronte dove vengono curati i soldati feriti, il costante afflusso di feriti lo scorso fine settimana ha testimoniato l’intensità della lotta. In sole 24 ore, piccole squadre di medici hanno curato più di 70 soldati.”

Quindi, in una piccola sezione del fronte, l’Ucraina ha avuto 70 feriti in un solo giorno, molti dei quali gravemente, come descrive l’articolo. Moltiplicate questo per decine di altre sezioni del fronte ed è probabile che l’Ucraina stia subendo più di 1000 vittime totali o più al giorno, con potenzialmente 200-300 di loro morti, se non di più. Anche se credo che quel numero aumenti notevolmente durante operazioni o offensive più intense.

Il nuovo articolo del FT qui sopra ripropone la stessa vecchia canzone per la parte ucraina:

Pur rifiutandosi di fornire cifre sulle vittime, ha descritto la sua unità come allo sbando, con i soldati feriti mandati in ospedali e reparti psichiatrici, mentre quelli in buone condizioni sono stati riassegnati ad altre unità.

Sul fronte, l’ultimo aggiornamento di un ufficiale ucraino della 68a brigata sulla situazione a Pokrovsk:

Non ho trovato il video

Qui un militare catturato della 151a Brigata dell’Ucraina in direzione di Pokrovsk fornisce le perdite esatte, che corrispondono a 95 perdite:

L’autotraduzione è discontinua, ma in effetti afferma che del primo battaglione di questa brigata, su 600 persone, solo 9 rimasero in vita, e del secondo battaglione di 600-800 persone, ne rimasero in vita solo 47.

Afferma che su una brigata di circa 1400 persone, circa 70 sono rimaste in vita, ovvero il 5%.

Ci riserviamo gli aggiornamenti più dettagliati sul campo di battaglia per la prossima volta, quindi per ora solo alcuni ultimi dettagli:

Il noto neoconservatore Francis Fukuyama afferma che l’Ucraina dovrebbe iniziare a commettere attacchi terroristici contro la Russia per far sì che i cittadini russi “sentano di più la guerra”:

Non ho trovato il video

Secondo quanto riferito, il ministro degli Esteri David Lammy ha dichiarato a Voice of America che Washington potrebbe dare il via libera agli attacchi profondi ucraini in inverno, con alcune fonti che affermano che Biden ha detto a Zelensky “dopo le elezioni” che gli daranno il via libera.

Nel frattempo, Soros ha ospitato con orgoglio Lammy a una serata nel suo attico privato:

È evidente l’influenza diretta del coinvolgimento di Soros e BlackRock negli accordi per la ricostruzione e la conquista dei territori ucraini, volta a spingere per la continuazione della guerra per assicurarsi che la Russia non si appropri dei loro tesori.

Ecco solo un recente successo offensivo, che mostra come la Russia stia ancora utilizzando efficacemente le colonne corazzate per catturare nuovi territori appena a nord di Ugledar e a sud di Kurakhove, con prigionieri di guerra catturati alla fine:

28.09.24 Novomikhaylovka – Katerinovka Operazioni militari attive nell’area di Novomikhaylovka. Attacco delle Forze armate russe da parte di unità di fucilieri motorizzati composte da due gruppi d’assalto. Assalto alle posizioni delle Forze armate ucraine sulla linea Vodyanoye-Katerinovka. Le Forze armate russe avanzarono di 2 km verso ovest e presero nuove posizioni a sud di Katerinovka. Geolocalizzazione: 47.858762 37.342112 nel post sottostante

Infine:

Belousov tenne un altro incontro a porte chiuse con i più importanti e leggendari corrispondenti russi per affrontare tutte le questioni in prima linea, consentendo ai corrispondenti di trasmettere direttamente al Ministero della Difesa parole dei soldati in prima linea sulle preoccupazioni più urgenti, le carenze, ecc. che dovevano essere affrontate.

Il ministro della Difesa ha tenuto un incontro con i corrispondenti militari che seguono l’SVO

All’incontro con Belousov erano presenti anche i blogger militari.

I partecipanti all’incontro hanno discusso una serie di questioni e problemi legati alla situazione nelle varie parti del fronte.

Video e dettagli dopo l’incontro odierno con il Ministro della Difesa di A. Sladkov:

– elevata trasparenza, il 90% dei dati non può essere divulgato;

– più cose positive che momenti problematici;

– il ministro è ben informato, conosce molti dettagli, i nomi dei comandanti e degli ufficiali, e ha una conoscenza approfondita della situazione;

– sono scomparse le domande sui problemi del lavoro dei giornalisti presso l’SVO;

– su tutte le domande che abbiamo posto nelle riunioni precedenti, è in fase di preparazione una relazione sui risultati delle ispezioni e delle indagini, il ministro ha chiesto di dargli un feedback sulle ispezioni

– attraverso di noi all’ambiente militare e di nuovo al ministro;

– ha chiesto dati specifici sulle punizioni di chi, quando comunica con i giornalisti, non nasconde le mancanze e dati su casi eclatanti. “Per il resto, l’incontro è stato molto interessante, informativo e necessario!”

RVvoenkor


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SITREP 9/24/24: Il tour delle pubbliche relazioni si deteriora mentre lo scarso “piano di vittoria” dell’Ucraina viene accolto con dubbi, Simplicius

 

SITREP 24/9/24: Il tour di pubbliche relazioni si inasprisce mentre il poco brillante “piano di vittoria” dell’Ucraina incontra dubbi

25 settembre

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Israele continua a colpire duramente il Libano, dimostrando di essere l’unico paese al mondo che può letteralmente bombardare e invadere tutti i suoi vicini a piacimento senza gravi conseguenze a livello internazionale.

Nota che ho detto conseguenze, non “condanne”. Di quest’ultime ce n’è in abbondanza, ma non porta a nulla di tangibile perché tutte le istituzioni globali sono cooptate, catturate e compromesse dall’Hydra e, in quanto tali, rendono solo un omaggio di facciata alle tragedie perpetrate dai loro clienti e padroni. Non è interessante come, solo per fare un piccolo esempio tra i tanti, l’organizzazione FIDE del mondo degli scacchi abbia bandito non solo la Russia, ma anche la Bielorussia semplicemente come complice improvvisata, mentre Israele, per un vero e proprio olocausto che sta commettendo sui suoi vicini, non è stato bandito. Lo stesso vale per le Olimpiadi, l’Eurovision e altre competizioni; è abbastanza incredibile se ci pensi.

Cosa ha fatto la Bielorussia di peggio di un vero e proprio olocausto perpetrato da Israele?

L’ultima volta ho notato che non prevedo che l’asse della Resistenza farà molto, e continuano a esserci segnali che questa lettura sia corretta. Uno dei segnali più notevoli di ciò è la notizia piuttosto sorprendente che l’iraniano Masoud Pezeshkian ha improvvisamente adottato un approccio molto filo-occidentale nella speranza di allentare le tensioni. Ciò è stato dimostrato in modo molto toccante quando è apparso per condannare l’invasione russa dell’Ucraina sul podio delle Nazioni Unite:

Il problema: il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha immediatamente smentito la citazione sopra riportata attribuita al presidente, sostenendo che è falsa:

Questa smentita segue un rapporto di Bloomberg secondo cui il presidente iraniano avrebbe rilasciato tali dichiarazioni.

Araghchi ha chiarito che “il presidente ha condannato fermamente i crimini del regime sionista a Gaza e l’invasione del Libano da parte di quel regime”, aggiungendo che qualsiasi rapporto che suggerisca il contrario è falso. Ha inoltre criticato il rapporto di Bloomberg, definendolo “malizia mediatica”.

A cosa credere?

Ci sono altri resoconti come questo, ma prendeteli con le pinze:

Ora, c’è un video controverso che gira di un commentatore mediorientale che spiega questa situazione sconcertante. Non sto dicendo che abbia decisamente ragione, da qui la parte controversa , ma potrebbe fare delle buone osservazioni:

Ciò che spiega è che l’Iran è più interessato a rafforzare la sua influenza direttamente regionale, in particolare in Iraq, Arabia Saudita e Siria, piuttosto che spendere tutte le sue risorse in una lotta con Israele, che non è la sua priorità principale. È un po’ contraddittorio perché Israele è in effetti centrale nella situazione siriana, dato che è Israele che distrugge principalmente i beni iraniani con attacchi come una delle principali frecciate al fianco dell’Iran lì.

Tuttavia, potrebbe avere ragione in senso più generale, ovvero che l’Iran non è intenzionato a spostare completamente il suo peso sulla situazione israeliana, il che rientra ancora una volta nella “partita lunga” che ho menzionato.

Tuttavia, questo non significa che l’Iran abbia “abbandonato la Russia” o l’abbia pugnalata alle spalle. Molto probabilmente questi sono solo segnali che l’Iran sta inviando per comunicare che è pronto ad allentare le tensioni con gli Stati Uniti. Si ha la sensazione che gli Stati Uniti e l’Iran abbiano un’intesa reciproca alle spalle di Israele, ovvero che Israele voglia trascinarli entrambi in una guerra indesiderata l’uno contro l’altro.

Ad esempio, Shoigu ha appena lasciato l’Iran di recente, dove ha incontrato il presidente in persona e ha firmato un accordo importante. L’ultima è probabilmente la necessità dell’Iran di apparire “coerente” nel suo appello alla pace, dopotutto, non si può chiedere la pace in Palestina-Libano con una faccia seria mentre si sostiene ostensibilmente la guerra in Ucraina. Almeno questa è la mia interpretazione della situazione, per ora, ma con nuove informazioni, le cose potrebbero cambiare.

Inoltre, la Reuters riferisce ora che l’Iran ha mediato colloqui segreti tra la Russia e gli Houthi per trasferire missili antinave, che presumibilmente potrebbero includere il P-800 o la versione da esportazione Yakhont:

“L’Iran ha mediato i colloqui segreti in corso tra la Russia e i ribelli Houthi dello Yemen per trasferire missili antinave al gruppo militante, hanno affermato tre fonti occidentali e regionali, uno sviluppo che evidenzia i legami sempre più profondi di Teheran con Mosca. Sette fonti hanno affermato che la Russia deve ancora decidere di trasferire i missili Yakhont, noti anche come P-800 Oniks, che secondo gli esperti consentirebbero al gruppo militante di colpire con maggiore precisione le navi commerciali nel Mar Rosso e aumentare la minaccia per le navi da guerra statunitensi ed europee che le difendono”.

Quello che abbiamo sempre detto:

Questo, ovviamente, sarebbe un incubo per gli Stati Uniti, cosa che i media del regime avevano già riferito con grande trepidazione:

Ecco un’ultima interessante analisi:

“L’attacco anti-russo del presidente iraniano Pezeshkian all’Ucraina è anche una sorta di sostegno pubblico da parte di Teheran alla candidatura di Kamala Harris alle elezioni statunitensi. Se il Cremlino può dimostrare apertamente il suo ironico sostegno a Kamala Harris, perché l’Iran non può fare lo stesso? L’Iran lo fa, ma a modo suo.

Pezeshkian è stato “scelto” dall’ayatollah Khamenei come presidente dell’Iran per un “reset” delle relazioni con l’America, il ripristino dell'”accordo nucleare”, ecc. In risposta a queste aspirazioni di Khamenei, Washington segnala apertamente attraverso il Wall Street Journal che l’Iran non dovrebbe aspettare fino a novembre per riprendere i negoziati sul ripristino dell'”accordo nucleare”, ma sono possibili solo se vince Harris. La facilità di manipolazione mediatica di Teheran da parte di Washington è stata notata in precedenza come una minaccia per l’Iran, ma ora questa vulnerabilità è attivamente utilizzata da entrambe le parti per apparire sulla formazione del corso in Medio Oriente della nuova/vecchia amministrazione della Casa Bianca.

La totale mancanza di reazione da parte dell’Iran all'”operazione speciale preventiva” di Israele contro Hezbollah crea l’impressione che Teheran abbia deciso di sbarazzarsi dei suoi rappresentanti tossici e non più efficaci e di cercare di mantenere solo i progetti di influenza realmente funzionanti in Medio Oriente, come gli Houthi yemeniti e in parte Hamas.

Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno inviando truppe “per ogni evenienza”:

E in linea con il nostro ultimo rapporto, Israele ha minacciato che se l’attuale rotta non riporta gli israeliani in fuga verso nord, allora verrà presa in considerazione un’operazione di terra in Libano:

Ciò conferma quanto abbiamo scritto l’ultima volta: che la giustificazione superficiale dietro gli scioperi in corso è quella di impedire che l’economia di Israele collassi a causa dello sradicamento dei lavoratori dalle regioni settentrionali, importanti per l’agricoltura.

A proposito, mentre inviava truppe nella regione, la vecchia flotta statunitense evidenziò un problema importante quando l’ unica petroliera della Marina nella regione fu messa fuori servizio:

Non sembra una bella cosa. Un armatore mi ha detto che la Marina non ha una petroliera di riserva da schierare e sta cercando disperatamente una petroliera commerciale per rifornire il gruppo di portaerei Abraham Lincoln.

L’unica petroliera di rifornimento della Marina in Medio Oriente si è arenata ieri, lasciando la USS Abraham Lincoln incapace di lanciare jet da combattimento finché non verrà individuata, riadattata e schierata una petroliera commerciale. Peggio ancora è il fatto che una petroliera commerciale è molto più lenta della Big Horn, costringendo la portaerei a viaggiare a velocità ridotte, rendendola vulnerabile agli attacchi nemici. Questo fiasco è un altro lampante esempio della disastrosa leadership dell’amministrazione Biden-Harris. La Marina, un tempo l’apice del dominio navale globale, sta ora affondando, a causa di fallimenti nel reclutamento, appaltatori pasticcioni e alti dirigenti più concentrati a promuovere l’ideologia marxista DEI (Diversità, Equità e Inclusione) che a mantenere prontezza e capacità. La Marina americana sta crollando sotto il peso della correttezza politica, mettendo a rischio la sicurezza nazionale.

Sul fronte ucraino, Zelensky ha iniziato il suo grand tour parlando all’ONU e presentando il suo atteso piano di pace [la guerra è]. Sfortunatamente, è caduto su orecchie dubbiose, poiché i funzionari erano già piuttosto scettici e delusi:

Non ha aiutato il fatto che il suo messaggio fosse totalmente confuso, con Zelensky che chiedeva ripetutamente più “guerra” per creare “pace”, come al solito nel linguaggio ambiguo della NATO:

Il suo grandioso “piano di pace” è stato descritto dagli alleati come una mera “lista dei desideri”, senza nulla di innovativo presentato. Per non parlare del fatto che i desideri stessi sono tutti irrealistici.

Zelensky sembra sempre più convinto che la fine sia vicina per lui. Quasi tutto ciò che esce dalla sua bocca ha cambiato marcia, verso la fine della guerra.

Zelensky ha rilasciato un’intervista ad ABC News in cui ha affermato che la guerra con la Russia è “più vicina alla fine” di quanto molti credano. “Penso che siamo più vicini alla pace di quanto pensiamo. Siamo più vicini alla fine della guerra. Dobbiamo solo essere molto forti, molto forti.” – ha detto Zelensky e ha invitato gli alleati a rafforzare l’esercito ucraino.

Il fronte sta andando in modo catastrofico, con importanti avanzamenti russi che continuano giorno dopo giorno. Ugledar è ormai prossima alla caduta e l’ultima “voce” è che Zelensky abbia ordinato ai suoi comandanti di posticipare la caduta di Ugledar a qualsiasi costo , almeno fino alla fine dello spettacolo canino e pony dell’ONU. Zelensky richiede semplicemente di non essere “umiliato” dalla caduta di una città così importante durante il suo grande tour di pubbliche relazioni, poiché ciò si presterebbe a sgonfiare ogni ultima speranza rimasta per le prospettive dell’AFU.

Purtroppo, questo rinvio sta costando vite umane, e da Ugledar giungono notizie negative dalla parte ucraina.

Al momento, Ugledar si presenta così e le forze russe sono entrate nella città vera e propria dal lato orientale delle dacie:

Sembra che manchino solo poche ore alla caduta, con segnalazioni di rese di massa già in atto come mostrato sopra, ma vedremo. Fonti ucraine importanti ritengono che l’AFU potrebbe presto ritirarsi da diversi grandi centri cittadini chiave, il che sarebbe un colpo morale devastante:

Il problema è che le linee si stanno deformando ovunque, anche a nord:

L’analista e ufficiale di riserva ucraino Tatarigami è sconfortato:

Un’unità ucraina ha addirittura scritto un appello pubblico urgente :

A quanto pare, il 23° battaglione ucraino ha scritto una lettera pubblica chiedendo la rimozione del proprio comandante.

La procedura è la seguente:

Lettera aperta

personale militare del 23° OSB al comandante del battaglione:

Comandante, esprimiamo la nostra incredulità e chiediamo le tue dimissioni. Non sei degno della posizione di comandante del nostro battaglione per i seguenti motivi:

1. Durante il tuo mandato di un anno come comandante di battaglione, non sei mai stato personalmente in nessuna posizione di combattimento o luogo di residenza del personale del battaglione a te affidato. Nemmeno i tuoi vice si sono mai interessati a questo.

2. hai ignorato per 8 mesi numerosi resoconti dei vice comandanti di compagnia sullo stato morale e psicologico insoddisfacente dei soldati della compagnia di fucilieri. Il primo di questi resoconti è stato presentato a gennaio 2024.

3. nonostante i rapporti dei vicecomandanti delle compagnie di fucilieri sullo stato morale e psicologico insoddisfacente del personale in agosto e ignorando i messaggi nel segnale del vicecomandante della 2a compagnia (che la creazione della joint venture koren-8 non ha senso

e può solo portare a perdite ingiustificate), hai pianificato e dato l’ordine di condurre operazioni offensive il 5 settembre 2024. Come risultato del tuo disprezzo per le opinioni degli ufficiali

A causa della scarsa pianificazione delle operazioni di combattimento, il battaglione subì perdite significative tra i suoi migliori combattenti e rischiò di perdere la sua capacità di combattimento.

4. avete ignorato i rapporti dei comandanti della compagnia di fucilieri del 16 settembre, secondo cui il personale non era in grado di continuare a svolgere compiti di combattimento e aveva bisogno di un recupero a lungo termine, e avete impartito l’ordine di spostarsi verso nuove posizioni di combattimento.

5. avete trasmesso minacce al personale tramite i comandanti di compagnia: se avessero continuato a insistere sul ritiro per il ripristino, il battaglione sarebbe stato sciolto e soldati, sergenti e ufficiali sarebbero stati dispersi in varie unità.

6. Durante i 4 giorni della nostra permanenza nei villaggi dell’entroterra della regione di Kharkiv, non vi siete recati in nessuna sede del personale per comunicare personalmente o per studiare lo stato d’animo tra i vostri subordinati.

7. hai bisogno di combattenti completamente esausti fisicamente e mentalmente per continuare a svolgere compiti di combattimento. Ciò può portare a perdite inutili causate dalla stanchezza.

8. Inviando soldati esausti al combattimento, si rischia di perdere non solo uomini, ma anche le posizioni stesse, il che a sua volta può influire sulla capacità difensiva dell’intero fronte in una determinata area.

Sulla base di tutto ciò, esprimiamo la nostra sfiducia nei vostri confronti e chiediamo le vostre dimissioni dall’incarico di comandante del 23° battaglione fucilieri separato.

Il nostro battaglione di volontari merita un comandante migliore, nello spirito e nei fatti della creazione.

24 settembre 2024

Ad oggi, 89 militari hanno accettato di firmare questa lettera aperta, sia quelli che sono ora nel battaglione, sia quelli trasferiti ad altre unità o che sono stati radiati dalle Forze armate ucraine nel 2024.

Un nuovo articolo del WaPo conferma ancora una volta ciò che scriviamo da settimane: leggete con molta attenzione:

Ora Zelensky ha annunciato che la Russia intende colpire le ultime tre centrali nucleari ucraine rimaste questo inverno alle Nazioni Unite, senza tralasciare di coinvolgere la Cina per buona misura: dopotutto, è a questo che serve la buona volontà!

Dopo aver lanciato la scorsa settimana il suo ultimo satellite spia avanzato Kondor-FKA, la Russia apparentemente ha ancora bisogno di “satelliti cinesi” per il progetto.

Alla luce di ciò, Zelensky ha incontrato una serie di “dirigenti aziendali” e Samantha Powers dell’USAID per elaborare un piano che consentisse all’Ucraina di “sopravvivere all’inverno”.

A New York, ho incontrato dirigenti di importanti aziende energetiche, finanziarie e assicurative statunitensi, nonché l’amministratore dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale SamanthaJPower e il DepSecStateMR degli Stati Uniti Richard Verma. L’attenzione principale era rivolta alla preparazione del sistema energetico ucraino per l’inverno. Abbiamo discusso in dettaglio i nostri piani, nonché la possibilità di implementare progetti congiunti nel settore energetico.

Il consigliere del Ministro dell’Energia ucraino Lana Zerkal ha dichiarato che le dichiarazioni di Zelenskyj sul rapido aumento della capacità energetica dell’Ucraina “non hanno nulla a che fare con la realtà“.

Questo porta alla grande domanda di quale sarà esattamente il piano di gioco per la narrativa ucraina nei prossimi mesi, ora che è praticamente assodato che il grande tour del “piano di pace” di Zelensky sarà un altro enorme fallimento deludente, come tutti i vantati vertici della NATO prima di lui. .

Lo Stato ucraino e le sue forze armate si nutrono dei fumi di spettacoli programmati per risollevare il morale, che sono sempre all’orizzonte e sembrano sempre promettere una politica che cambierà le carte in tavola “presto”. Ma ora che quella attuale si concluderà con un fallimento e che l’Ucraina si trova ad affrontare un inverno disastroso con i disastrosi attuali sviluppi in corso, è difficile immaginare quale nuovo espediente useranno per convincere il pubblico a continuare la guerra nei prossimi mesi. .

Possiamo solo supporre che il grande bavaglio degli “attacchi a lungo raggio” sarà tirato fuori ancora un po’, per comprare all’Ucraina un altro mese o due di false speranze, ma poi?

Secondo quanto detto, Zelensky sperava di creare una sorta di campagna di pressione tra pari per spingere la Russia ad accettare i colloqui. Ma sia Lavrov che Peskov hanno rilasciato nuove dichiarazioni in cui ribadiscono che la Russia non ha nulla da discutere con l’Ucraina e che tutti gli obiettivi della Russia saranno raggiunti nell’OMU. .

Quello che sta dicendo è che, o l’Ucraina si arrende e accede alle richieste della Russia, o se la Russia accetta tali richieste con la forza militare continua, in ogni caso gli obiettivi saranno raggiunti.

L’unica cosa che si può pensare è che l’Ucraina tenti altri grandi colpi di PR, come l’abbattimento del ponte di Kerch, per tenere alto il morale nei prossimi mesi.

Il canale Legitimny riporta quanto segue in merito al potenziale utilizzo da parte dell’Ucraina di missili NATO a lungo raggio in Russia:

La nostra fonte riferisce che l’Occidente è consapevole che se concederà all’Ucraina il permesso di colpire in profondità il territorio russo con missili occidentali a lungo raggio, il Cremlino lancerà una serie di attacchi con armi nucleari tattiche sull’Ucraina occidentale (prendendo di mira campi di addestramento, ponti, tunnel, campi di aviazione, impianti industriali e infrastrutture per l’energia e il gas). Questo aumenterà il flusso di rifugiati dall’Ucraina all’Europa. Ciò comporterà enormi problemi sia per l’Occidente che per l’Ucraina. Il mondo sarà a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, provocata dalle azioni dei politici occidentali. Molti vedranno crollare il loro rating. Si aprirà una crisi su larga scala. Ecco perché l’Occidente sta ora riconsiderando se vale la pena correre un tale rischio.

Cibo per la mente.

Nel frattempo, la controversa deputata della Rada Mariana Bezuglaya afferma che la Russia ha in programma cinque grandi “teste di ponte” per questo autunno, tra cui la città di Zaporozhye, Dnipro, Kharkov, Kherson e Sumy:

Mentre la stampa gialla britannica continua a spalmare brodaglia al suo pubblico con gli occhi lucidi:

Vi lascio con queste riflessioni dell’analista russo Older Eddy:

La frase “i generali si preparano per le guerre passate” è di solito pronunciata con disprezzo – come se fossero stupidi, in modo da perdere la prossima. Oggi vediamo un quadro interessante. Il blocco delle economie occidentali formalmente più grandi non può superare la Russia sul campo di battaglia esattamente “nella guerra del passato” – non è possibile dare al Khokhles così tante armi da garantire la sua vittoria militare. E oltre al fattore economico, in termini di guida delle truppe, ora proprio la NATO avrebbe molto bisogno di “prontezza per la guerra passata” – con quartieri generali in grado di gestire le operazioni di grandi formazioni meccanizzate. Ma non hanno più tali quartieri generali.

Abbiamo già abbastanza problemi per conto nostro, ma è proprio per una grande guerra di eserciti regolari che oggi siamo meglio preparati di chiunque altro al mondo, e sono sicuro che nessuna brigata americana, se fosse arrivata al fronte dalla nostra parte, non si sarebbe dimostrata migliore nelle condizioni di questa guerra. Anche loro avrebbero dovuto sopportare lunghe e dolorose sofferenze e trarre insegnamenti.

Ma per la guerra del futuro, tenendo conto delle lezioni apprese, siamo più preparati di molti altri. L’importante è non lasciarsi adagiare sugli allori: dobbiamo risolvere i problemi che sono emersi ed essere pronti all’emergere di nuovi. Ma i cittadini che nel 2024 scrivono dell’impeccabile macchina militare della NATO possono essere mandati a farsi curare. Oggi, qualsiasi combattente dell’AFU che non sia ancora stato al fronte sa più cose sulla guerra moderna e sulle capacità della NATO in essa che molti esperti occidentali riconosciuti, compresi i loro generali.


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Israele entra in crisi, + Zelensky arriva al sipario finale, di Simplicius

Israele entra in crisi, + Zelensky arriva al sipario finale

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Il conflitto israeliano ha iniziato di nuovo a degenerare in quella che sembra una grande guerra in Libano. Dico “sembra” perché personalmente sono ancora piuttosto scettico che ciò accada per una serie di ragioni che menzioneremo.

Ma prima esaminiamo alcuni sviluppi. Israele ha effettuato i suoi attacchi con i cercapersone e le radio. Inizialmente molti hanno pensato che le batterie dei cercapersone fossero esplose, ma è un’assurdità. Hanno piazzato degli esplosivi all’interno e li hanno attivati probabilmente con una telefonata. Il motivo per cui lo sappiamo è che in uno dei video dell’esplosione si possono sentire vari suoni o squilli pochi secondi prima dell’esplosione.

In secondo luogo, c’è stata una preponderanza di lesioni agli occhi, il che sembra implicare che i cercapersone abbiano suonato o emesso un segnale acustico, inducendo le vittime a portarli verso il viso per controllare il numero o il messaggio, dopodiché l’esplosione li ha colpiti direttamente negli occhi:

Sembra quindi la classica attivazione del telefono che si vede spesso nei film.

A proposito, ascoltate la dura condanna di Fu Cong, rappresentante cinese alle Nazioni Unite, nei confronti di Israele, che usa un linguaggio insolitamente forte:

Ora è chiaro che Israele sta disperatamente cercando di provocare Hezbollah per attaccarlo per primo, in modo da avere il casus belli e il consenso globale nel compiere un altro genocidio per coprire il primo in una sorta di schema genocidio-Ponzi.

La 98ª Divisione Ha’Esh dell’IDF completa il suo arrivo al confine libanese dalla Striscia di Gaza.

Ecco i media israeliani che mostrano il loro vero volto dichiarando che i civili libanesi sono indistinguibili dai “terroristi” di Hezbollah, un precursore del whitewashing del genocidio pianificato:

Ma ciò che è stato sottaciuto è la vera ragione per cui Israele è improvvisamente così disperato di espandere la guerra al Libano. Ci sono diverse ragioni, naturalmente, con importanza variabile; e anche se ognuna di esse svolge un ruolo, analizziamo le più significative.

1. In primo luogo, l’economia israeliana rischia di crollare, in parte a causa del fatto che la produttività dell’intero nord è stata interrotta dalle continue ripercussioni della lotta contro Hezbollah. Decine, se non centinaia di migliaia di coloni sono fuggiti, le fattorie sono state abbandonate, ecc. Netanyahu ha dichiarato apertamente, anche ieri in un nuovo discorso, che il nord deve essere “messo in sicurezza” per far tornare la gente, altrimenti può trasformarsi in una landa desolata e abbandonata, poiché gli israeliani non hanno lo stesso gusto di vivere in mezzo alle ostilità aperte degli arabi vicini, che hanno sottoposto a tali condizioni per anni.

La situazione si è aggravata oggi, quando Hezbollah ha scatenato un attacco di grandi dimensioni che ha perforato l’Iron Dome e ha colpito diversi quartieri. I danni non sembravano chiari, ma dai video pubblicati sembravano in fiamme case, auto, ecc.

Chiameremo questa ragione quella più evidente e apparentemente “ufficiale”, per motivi di ottica politica. Ma ce ne sono altre più profonde.

2. Un’altra ragione importante che pochi hanno colto o di cui hanno parlato è di carattere strategico più ampio. Israele non solo ha probabilmente dedotto che il suo tempo sta per scadere a causa del tramonto dell’impero statunitense, che è il suo principale sostenitore e fornitore, ma più specificamente, Israele potrebbe approfittare di una breve finestra di debolezza americana senza precedenti e di totale mancanza di leadership.

Come molti sanno, al momento non c’è letteralmente nessuno al “posto di guida” del ramo esecutivo. L’intero governo degli Stati Uniti è gestito in modo manageriale da operatori dello Stato profondo, membri del gabinetto, ecc. Dopo che Joe Biden è stato apertamente colpito mesi fa, è stato effettivamente messo in una sorta di cella di detenzione, dove sembra che gli sia stato ordinato di tacere, di tenersi lontano dai riflettori e, in sostanza, di far passare il tempo sotto la minaccia di conseguenze. Il Paese è ora interamente gestito da una serie di tirapiedi come Jake Sullivan, Antony Blinken, ecc.

Se avete bisogno di una prova di questo, basta osservare due video esemplari solo dell’ultimo giorno, che sono assolutamente scioccanti.

Il primo è quello di un Biden assolutamente sciupato, mentalmente inadeguato, dall’aria triste e cadente, che gracchia qualche debole introduzione alla moglie, che ora dirige senza precedenti la riunione del Gabinetto al suo posto. È la prima riunione di gabinetto dall’ottobre 2023, la prima in un intero anno, e a dirigerla non è Joe ma Jill, che siede al posto del Presidente:

Poi c’è stato l’incidente in cui il premier Modi, in visita, è stato umiliato da un Biden che sembrava aver avuto un errore nel presentarlo:

NY Post:

Il Presidente Biden, dall’aria confusa, ha annaspato e ha risposto ai collaboratori dopo aver dimenticato quale leader mondiale avrebbe dovuto presentare durante una conferenza stampa per un evento durante il vertice Quad di sabato.

Biden, 81 anni, avrebbe dovuto chiamare sul palco il Primo Ministro indiano Narendra Modi, ma sembrava non sapere quale dei tre capi di governo in visita avrebbe dovuto nominare.

Tornando indietro, tutto questo per dire che Israele potrebbe vedere la sua occasione storica per fare il maggior numero di danni e andare il più possibile “fuori copione” alla luce della storica crisi di leadership degli Stati Uniti. Israele potrebbe avere la possibilità di farla franca con un omicidio, non è un gioco di parole, senza troppe conseguenze. Ancora più diabolicamente, Israele potrebbe percepire l’opportunità, nella confusione del disastroso ramo esecutivo degli Stati Uniti, di trascinare gli Stati Uniti in una guerra più ampia con l’Iran.

In breve: si tratta di una strategia per sfruttare l’America nel suo punto più debole per ottenere il massimo guadagno.

3. Le ultime ragioni sono piuttosto accademiche: Il tentativo di Netanyahu di salvare il suo regime espandendo il conflitto all’infinito – non dissimile dalla trappola in cui si trova Zelensky.

Come ho detto in apertura, tuttavia, rimango scettico sul fatto che la guerra possa scoppiare in modo incontrollato, dato che al momento la parte iraniana-Hezbollah non sembra avere il gusto di un grande conflitto, e nemmeno il consenso tra i due. Dopo tutto, Hezbollah ha segnalato di aver espresso delusione e persino irritazione nei confronti dell’Iran per non aver portato avanti un’azione più ampia contro Israele.

Sembra chiaro che l’Iran non sia interessato a un conflitto su larga scala e che Hezbollah non sia intenzionato ad andare da solo contro Israele – il che non significa che non lo farà se assolutamente spinto sull’orlo del baratro. Ma il punto è semplicemente che i segnali sembrano suggerire che la Resistenza sia propensa a giocare il gioco lungo, dissanguando Israele da molti vettori diversi, un po’ alla volta. Ciò è ovviamente dovuto principalmente al fatto che l’Iran è consapevole del piano di Israele per spingerlo a una guerra su larga scala contro gli Stati Uniti, soprattutto in considerazione della nuova leadership iraniana, che si dice sia meno apertamente bellicosa.

Per esempio, proprio mentre scriviamo, Hezbollah avrebbe bloccato l’aeroporto di Haifa, nel nord, colpendo i suoi serbatoi di carburante:

Molti analizzano solo le ramificazioni militari unidimensionali e puramente cinetiche sul terreno, ma trascurano gli esborsi ancora più significativi di capitale politico che Israele sta perdendo sulla scena mondiale. All’Iran probabilmente sta bene guardare Israele perdere lentamente la sua posizione globale, diventando la pecora nera del mondo civilizzato, mentre il suo tessuto socio-economico e politico si disfa.

Quindi, quello che voglio dire è che, anche se Israele dovesse continuare a intensificare i suoi attacchi di massa in Libano, vedo la Resistenza giocare in modo molto più asimmetrico, con la continuazione dello status quo della guerriglia e degli attacchi alle infrastrutture del nord di Israele, piuttosto che prepararsi a un tipo di guerra convenzionale su larga scala. Questo è ciò che Israele vorrebbe, per ottenere il suo casus belli e trascinare gli alleati in un conflitto totale.

Molti vedono in questo modo l’Iran e i suoi alleati come “deboli”, umiliati, ecc. E così sia. È così che i grandi Stati civilizzati sopravvivono per migliaia di anni, non reagendo a ogni piccola provocazione.

Contrariamente alla falsa collocazione #9 di cui sopra, Israele esiste da appena 70 anni. L’Iran esisterà molto tempo dopo che le ossa di tutti i chiacchieroni sui social media si saranno ammuffite e trasformate in fosfato per i vermi, e gli stessi social media saranno diventati un battito di ciglia dimenticato nella distesa del tempo.

In Ucraina, ci sono un paio di aggiornamenti significativi che vale la pena osservare.

Per me, il più significativo è la notizia che la Russia intende iniziare a colpire le centrali nucleari ucraine:

Il motivo per cui questo è significativo è che da alcuni mesi si dice che la Russia abbia messo fuori uso oltre il 70% della capacità di produzione di energia convenzionale dell’Ucraina e che siano rimaste praticamente solo le centrali nucleari ucraine, con molti commentatori pro-UR che si chiedevano se Putin sarebbe stato “abbastanza uomo” da terminare definitivamente la rete elettrica dell’Ucraina.

Questa sembra essere la prima indicazione che Putin potrebbe aver deciso di togliere completamente l’energia all’Ucraina. Attenzione, questo non significa colpire le centrali nucleari in sé per creare catastrofi simili a Chernobyl, ma piuttosto le loro sottostazioni e le altre infrastrutture circostanti per “neutralizzare” efficacemente la capacità delle centrali di fornire, o almeno erogare, energia.

L’Europa si sta preparando a questa conseguenza, ma in un modo che lascia molto a desiderare, dato che la Russia può facilmente disattivare i suoi cosiddetti impianti smantellati e riassemblati:

La Russia ha anche colpito una nave nel Mar Nero che, secondo quanto rilevato, trasportava armi in Ucraina, dimostrando che la Russia ha la capacità di eliminare il cosiddetto “corridoio del grano” dell’Ucraina se volesse, ma le concede clemenza a sua discrezione.

Questo evidenzia ancora una volta come la Russia continui a distruggere le scorte di munizioni ucraine, compensando così la distruzione occasionale dei magazzini russi da parte dell’Ucraina, come si è visto di recente. Infatti, solo negli ultimi tre giorni, la Russia ha colpito più di mezza dozzina di depositi di armi, tra cui il porto di Odessa, la nave che era in viaggio per scaricare, e molti altri luoghi.

Zelensky si è finalmente recato negli Stati Uniti per il suo grande, forse ultimo, tour:

Lui stesso apprezza la natura momentaneamente premonitrice della chiusura del sipario. Dal suo resoconto:

Questo autunno determinerà il futuro di questa guerra. Insieme ai nostri partner, possiamo rafforzare le nostre posizioni come necessario per la nostra vittoria – una vittoria condivisa per una pace veramente giusta. In questo momento si sta formando l’eredità dell’attuale generazione di leader mondiali, quelli che ricoprono le cariche più alte. Nei prossimi giorni avremo incontri con i leader del Sud globale, del G7, dell’Europa e con i capi delle organizzazioni internazionali, con molti di coloro che stanno contribuendo a consolidare il mondo. Avremo anche importanti incontri con i rappresentanti degli Stati Uniti. Una vera pace e una vera vittoria per l’Ucraina e per il diritto internazionale: questo è ciò di cui abbiamo bisogno.

Riuscite a indovinare la sua prima tappa nel Paese?

Scranton, PA, per implorare direttamente di persona un maggior numero di proiettili presso la fabbrica di proiettili da 155 mm della General Dynamics:

Scranton, Pennsylvania. Ho visitato uno stabilimento che produce proiettili d’artiglieria da 155 mm. Ora, per i nostri guerrieri che difendono non solo il nostro Paese, non solo l’Ucraina, l’impianto aumenterà la produzione. Ho iniziato la mia visita negli Stati Uniti esprimendo la mia gratitudine a tutti i dipendenti dello stabilimento e raggiungendo accordi per espandere la cooperazione tra la Pennsylvania e la nostra Zaporizhzhia. È in luoghi come questo che si può veramente sentire che il mondo democratico può prevalere. Grazie a persone come queste, in Ucraina, in America e in tutti i Paesi partner, che lavorano instancabilmente per garantire la protezione della vita.

Sappiamo tutti perché è negli Stati Uniti, per presentare il suo grande “piano di pace” ai suoi padroni. Ora, Bloomberg avrebbe appreso cosa contiene il piano.

A quanto pare il piano si basa sul fatto che Biden estenda un invito della NATO e dell’UE a Zelensky, per non parlare degli impegni per le forniture infinite di armi successive. Non ho idea di come questo possa creare la pace, ma suppongo che significherebbe una “vittoria” per l’Ucraina, se dovesse effettivamente accadere. Sfortunatamente, le possibilità che l’Ucraina ottenga un invito a uno di questi incontri sono inferiori a zero. Forse il vero piano è quello di far sì che gli Stati Uniti minaccino la Russia di invitare la NATO come conseguenza della mancata accettazione da parte della Russia di un accordo di pace sfavorevole. Ma ciò sarebbe insensato, dato che indurrebbe la Russia a combattere più duramente per sottomettere l’Ucraina e assicurarsi di non poterla mai minacciare come parte della NATO.

Questo è ora il principale problema che affligge l’establishment:

L’ultimo articolo del WaPo descrive uno stato di disordine nella classe politica occidentale quando si tratta di decidere come procedere contro una Russia chiaramente sfiduciata e inflessibile. Vedete, tutte le provocazioni, i giochi e i “trucchi” di pace avevano lo scopo di piegare la Russia all’influenza dell’Occidente, ma l’Impero sta scoprendo che, dopo decenni di rapporti con vassalli superficiali, confrontarsi con una delle ultime nazioni veramente sovrane rimaste al mondo è una cosa decisamente diversa.

La cosa più irritante è il consenso nazionale di Putin, un altro koan criptico per l’Occidente così abituato allo status di paria dei suoi leader tra un popolo governato solo in virtù di elezioni rubate, propaganda di massa e pugno di ferro.

Anche se Putin deve affrontare gli sforzi occidentali per isolarlo, sembra sempre più invincibile in patria. Il più formidabile sfidante di Putin, Alexei Navalny, è morto in prigione a febbraio. Ogni segno di dissenso politico viene rapidamente stroncato. Ciò che resta dell’opposizione russa è ora in gran parte in esilio. E nemmeno le imbarazzanti battute d’arresto militari, come la recente incursione dell’Ucraina nella regione russa di Kursk, hanno indebolito la presa di Putin sul potere.

L’Occidente si è trovato di fronte a una situazione difficile e difficile da gestire:

“Non ci sono scelte valide qui, ci sono solo gradi di cattiveria”, ha detto Samuel Charap, scienziato politico senior della Rand, aggiungendo che “accettare le condizioni russe che sono inaccettabili” sarebbe un errore. Ha invece esortato a “una combinazione di deterrenza e potenziali negoziati”.

L’articolo termina con la grande visione della lotta a Putin, che è in effetti la creazione di uno Stato profondo totalitario sovranazionale del nuovo ordine mondiale per governare l’Occidente in modo permanente, a prova di Trump e, in generale, a prova di futuro dell’ostilità antirussa dell’Occidente, in modo che nessuna forza veramente democratica possa emendarsi in seguito:

Poiché la Russia è una minaccia a lungo termine, ha detto Hill, anche le strutture per affrontare questa minaccia devono essere a lungo termine o Putin rivendicherà sempre il vantaggio. Ha esortato a dare una risposta più coerente, che abbracci tutte le amministrazioni, creando “una sorta di segretariato permanente” con gli alleati per mantenere una politica coerente nei confronti della Russia.

Trump, nel frattempo, ha suscitato incertezza. Si è vantato che il suo rapporto con Putin, Xi e Kim gli avrebbe permesso di risolvere rapidamente il mondo alle condizioni americane. Ma i legami sempre più stretti tra Mosca, Pechino e altri avversari complicano il quadro.

Un “segretariato permanente” per mantenere una politica “coerente” in perpetuo. Traduco il Newspeak: creare un’autorità centrale permanente che nessuna nazione “sovrana” possa mettere in discussione per assicurarsi che i leader populisti non possano mai ribellarsi alla dittatura totalitaria globalista e alla sua ricerca di asservire il pianeta sotto un unico dominio egemonico.

Alla luce dell’articolo di cui sopra, in cui si parla della “schiacciante portata globale” della “propaganda” russa e della concomitante spinta alla dittatura globale per combatterla, è ora più chiaro che mai cosa intendano fare i controllori quando si tratta di politica di “disinformazione”.

Proprio oggi le Nazioni Unite hanno firmato il “Patto per il futuro”, che include il “Digital Compact”, un nuovo vasto potere di censura contro tutte le voci dissenzienti. Il Segretario generale António Guterres annuncia chiaramente l’assalto alla libertà:

C’è da stupirsi, quindi, che questo appello venga ripreso da tutto il mondo occidentale:

In apparenza, non è stata la settimana più bella per la Russia in guerra. Due nuovi depositi sono stati colpiti dopo il grande Toropets, che comprendeva il fratello minore del Toropets, il GRAU 23, a pochi chilometri a sud alla geolocalizzazione 56.36033513129649, 31.64913480746371:

Come se non bastasse, il test dell’RS-28 Sarmat, di cui avevo dato notizia nell’ultimo rapporto, si è trasformato in un disastro: pare che il missile abbia fallito nel suo attracco al cosmodromo di Plesetsk, distruggendosi catastroficamente senza decollare:

Ebbene sì, questa settimana la Russia ha subito una serie di battute d’arresto. Non tutte le settimane sono brillanti.

Tuttavia, è stata una settimana di contrasti e di estremi. Mentre l’Ucraina ha ottenuto alcune grandi vittorie morali, senza dubbio pianificate da tempo con un sacco di droni di lusso risparmiati per coincidere con il grande tour di vittorie di Zelensky negli Stati Uniti per concludere la guerra, la Russia ha attivato una serie di progressi, segnando oggi in particolare come il singolo giorno di maggior successo di probabilmente tutto l’anno, in termini di numero puro di catture.

Letteralmente su ogni singolo fronte la Russia ha catturato oggi importanti territori in quello che sembra sempre più l’inizio di quel crollo che Arestovich aveva cupamente previsto la volta scorsa. Ci sono state catture a Rabotino, Ugledar, Krasnoyarsk, Pokrovsk-Ukrainsk, Toretsk, Klescheyevka-Chasov Yar, fino a Makeevka verso la zona di Kupyansk.

Vediamo brevemente ogni settore:

Giorni fa ho riferito che Syrsky aveva iniziato a prelevare unità da Zaporozhye per rinforzare le linee di Kursk e Pokrovsk, ormai in rovina. Le forze russe ne hanno approfittato e hanno iniziato ad avanzare in diversi settori. Sono stati registrati avanzamenti a Rabotino e più a est lungo l’asse Urozhayne-Staromayorsk.

Le forze russe sarebbero avanzate a sud del villaggio di Makarivka in direzione di Velyka Novosilka. Dopo il consolidamento delle posizioni a nord di Staromayorske e Urozhaine, sembra che le forze russe abbiano ripreso le operazioni offensive in questa zona. Sulla sponda occidentale del fiume Mokri Yaly, le forze russe in motocicletta sarebbero avanzate dalle posizioni a sud delle fortificazioni di trincea in rosso. La fanteria si è poi probabilmente smontata e ha conquistato le posizioni tra gli alberi e i boschetti a sud di Makarivka. C’è ancora un’altra fortificazione di trincea sulla strada di Makarivka che l’Ucraina tiene prima che i russi possano entrare nell’insediamento.

Una grande notizia è arrivata con la segnalazione dell’utilizzo per la prima volta su larga scala e in modo sistematico di bombe a collisione russe sulla linea di Zaporozhye, che sembra preannunciare l’inizio di operazioni più attive in questa zona.

Spostandoci appena a est di lì, uno dei più grandi movimenti si è verificato a Ugledar, che le unità russe stanno quasi completamente avvolgendo ora. Diverse mappe da Deep State, Suriyak, ecc.:

Rapporto ucraino:

Infatti, si dice che il comandante del 72° a Ugledar sia stato licenziato subito dopo:

Alcuni resoconti sostengono addirittura che le forze russe abbiano iniziato a entrare nella città stessa:

Spostandosi ora più a nord, le forze russe presero diverse posizioni sull’asse Kurakhove, vicino a Gostre e Tsukuryne:

Julian Roepcke ha esclamato in particolare a proposito di questa direzione:

Ecco un video della 46a brigata aeromobile ucraina che difende Gostre, che mostra la vasta portata degli attacchi russi. Questo da solo ha dichiarato di aver coinvolto “52 veicoli russi”. Come al solito, hanno fatto del loro meglio con i trucchi di montaggio nel tentativo di mostrare qualche tipo di colpo, ma in realtà si osservano pochissime perdite di materiale russo e le forze russe hanno effettivamente catturato i loro obiettivi:

Uno dei problemi è che la maggior parte di questi video ora consiste in tagli rapidi di FPV che colpiscono “capannoni” in movimento, carri armati con enormi saldature anti-drone. Queste costruzioni sono note per ricevere spesso molti colpi di FPV. Un recente video di una squadra russa ha detto che il loro carro armato tartaruga “Tsar Mangal” ha resistito a oltre 100+ colpi di FPV. Quindi, vedere una clip di un FPV che atterra su un carro armato capannone non significa nulla e in quasi tutti i casi l’attacco è probabilmente fallito.

Il video sopra è composto da più di un intero battaglione di carri armati con potenzialmente centinaia di truppe di terra coinvolte, eppure la brigata ucraina ha potuto mostrare solo un singolo veicolo “in fiamme”, che potrebbe benissimo essere il loro, e non una singola vittima russa. Questa è una cattiva notizia per loro e indica un’operazione di assalto di enorme successo.

Più a nord, le forze russe avanzarono in profondità nella città di Toretsk:

Così come qui sul fianco:

“Birra” sopra dovrebbe essere Pivnichne.

Anche qui hanno compiuto una lunga avanzata parallela alla periferia, appena a nord di Niu-York, già catturata:

E a nord di questa regione arriviamo a Klescheyevka, dove le forze russe hanno fatto sorprendenti nuove avanzate:

Poi, lungo tutto il percorso verso nord, in direzione della zona di Kupyansk, la Russia ha compiuto diverse avanzate striscianti.

Da qui, da “Sandy” – che si suppone essere Pishchane – avanzarono verso il fiume Oskil:

A sud di lì, ma sullo stesso asse, conquistarono nuovi territori più a ovest di Makeevka e nelle vicinanze di Nevskoe:

Questi sono a ovest di Kremennaya sul confine tra Kharkov e Donetsk. Secondo il rapporto ucraino riportato di seguito, si è trattato di un assalto sorprendentemente grande per un settore così “sonnolento”:

L’esercito russo sconfisse il nemico a Nevsky, liberando di fatto il villaggio

▪️Ieri l’esercito ucraino ha confermato che le truppe russe hanno sfondato il fronte delle Forze Armate ucraine e sono entrate nel villaggio di Nevskoye durante l’offensiva in direzione di Krasnolimansk;

➖”I russi sono riusciti a sfondare la nostra difesa a nord di Terny con un assalto meccanizzato e sono entrati a Nevskoye”, ha ammesso ieri pomeriggio il militante del 24° battaglione d’assalto separato S. Bunyatov;

▪️Un altro militante, “Raver”, ha riferito in serata che i russi hanno attaccato con 32 veicoli blindati e hanno preso Nevskoye, e le truppe ucraine sono state costrette a ritirarsi dall’insediamento.

▪️Secondo le nostre informazioni, il gruppo “Ovest” ha praticamente liberato il villaggio di Nevskoye, il villaggio è in fase di sgombero e, dopo il suo completamento e consolidamento, la cattura del villaggio sarà annunciata ufficialmente.

RVvoenkor

Ecco una comoda mappa del Deep State che mostra i progressi nella zona di Kupyansk nel corso delle ultime settimane: il principale punto saliente centrale è Pishchane:

Qui si possono osservare i costanti progressi delle forze russe, nonostante la maggior parte abbia dimenticato questa zona “arretrata”.

Infine, anche lassù a Kursk, la Russia fece nuovi progressi, come sottolineava ancora una volta un inconsolabile Roepcke:

La camera di risonanza ucraina è ora piena di trionfalismo incentrato sugli attacchi agli arsenali di Toropets, Oktyabirsk e Tikhoretsk, mentre l’AFU sta letteralmente crollando sotto i nostri occhi e cominciano a manifestarsi tutti i segnali di un crollo a valanga.

Come sempre, lo stile di avanzamento “a morsi” può sembrare irrilevante da una prospettiva perché un piccolo morso qui, un piccolo morso lì non fa una grande apparizione visiva su una mappa. Tuttavia, è innegabile che il fronte ucraino si sta incrinando e il fattore più dannoso di cui la maggior parte delle persone non è a conoscenza è che non importa davvero se l’Ucraina abbassa la mobilitazione a 19 o 21 come molti si aspettano che accada nei prossimi mesi. Questo perché i problemi non sono solo di pura manodopera, ma piuttosto di motivazione, addestramento e livello di abilità delle forze. La lamentela principale a questo punto al fronte è la mancanza di livello di truppe e motivazione a combattere. Ciò peggiorerà solo e i crolli della prima linea accelereranno fino a quando non inizieranno a sembrare piuttosto evidenti sulle mappe anche da lontano.

Tuttavia, per fare l’avvocato del diavolo e dare una possibilità alla controparte, fonti ucraine affermano di avere un ampio potenziale di mobilitazione, citando questo grafico recente che presumibilmente mostra le registrazioni obbligatorie per il servizio militare;

Ciò che afferma di mostrare sono oltre 4,5 milioni di ucraini “idonei al servizio” ancora nel bacino di registrazione. Questo sembra essere il resoconto più ufficiale possibile sulla forza lavoro ucraina totale rimanente.

Supponiamo che questo numero sia accurato: realisticamente parlando, una grande frazione di quel numero finirà per scappare in qualche modo e non adempirà mai a nessun tipo di obbligo di presentarsi all’ufficio di reclutamento quando sarà il loro momento. Quel numero è maggiore del 50%? Molto probabilmente, ma non sappiamo esattamente quanto.

In entrambi i casi, ciò potrebbe teoricamente lasciare oltre 2 milioni di ucraini ancora da combattere. Naturalmente, le attuali stime del Ministero della Difesa russo stanno stimando una media di circa 400-750.000 vittime ucraine all’anno, il che potrebbe esaurire la maggior parte di quella riserva in altri 2-3 anni di combattimenti.

Ora Ukrainska Pravda riporta che l’Ucraina recluta 6.500 volontari al mese:

Non sono sicuro se stiano distinguendo le reclute volontarie rispetto a un altro numero distinto di reclute mobilitate come questa di oggi:

In ogni caso, si tratta di una cifra irrisoria rispetto a ciò che sta incassando la Russia.

A proposito di perdite. L’ultima volta ho scritto del singolo cimitero in cui si dice siano state aggiunte 19.000 tombe di soldati. Ora le reti hanno prodotto un secondo esempio dopo che Zelensky ieri ha confutato con forza che l’Ucraina ha 80.000 morti in guerra. Ha avuto il coraggio di dire che il numero è “significativamente inferiore”. Di conseguenza, è stato studiato un secondo grande cimitero di Kharkov e la conclusione è stata che solo qui sono stati aggiunti 10.000 nuovi soldati, per un totale di quasi 30.000 se si aggiunge il cimitero precedente. Quindi, in due cimiteri campione si dice che siano state trovate 30.000 persone e ci sono centinaia e migliaia di cimiteri del genere in tutta l’Ucraina.

Bene, torniamo al tema dei cimiteri e, di conseguenza, delle perdite delle Forze Armate ucraine.

Dal momento che Zelya ha smentito i resoconti dei media sulle perdite nelle Forze armate ucraine (le fonti occidentali hanno segnalato 80.000 caduti), credo che l’argomento sarà interessante e pertinente.

Il nome “Bezlyudovka” parla da sé.

Il diciottesimo cimitero di Kharkov si trova alla periferia di questo stesso insediamento. Il suo volume è significativo, il che significa che non sarà difficile notare l’espansione del suo territorio. Ci sono circa 450 corpi per quadrato. Ci sono 96 quadrati nel cimitero. Poiché non tutte le celle hanno le stesse dimensioni, prenderemo 400 corpi e 80 celle come valori medi.

La capienza totale del cimitero è quindi di 32 mila salme.

Prima dell’inizio dell’SVO, nel 2020-21, 50×400=20.000 cittadini ucraini hanno trovato la loro ultima dimora.

Oggi il cimitero è quasi completamente pieno e continua a essere attivamente rifornito.

Poiché la popolazione di Bezlyudovka nel 2022 era di circa 10 mila persone, trascureremo il rifornimento del cimitero di civili; i numeri non saranno significativi.

Di conseguenza, risulta che circa 10 mila militari delle Forze Armate dell’Ucraina hanno trovato comoda sistemazione in questo cimitero.

In totale abbiamo esaminato solo 2 cimiteri e le cifre totali delle perdite delle Forze Armate ucraine si aggirano intorno alle 25-30 mila unità.

Quanti cimiteri ci sono ancora in Ucraina?

canale_antisettico

Alcuni ultimi aggiornamenti vari:

Un altro HIMARS sarebbe stato distrutto da Iskander da qualche parte nella regione di Sumy, vicino al confine:

Apparentemente, sempre più spesso il drone russo Orion sta operando sul fronte settentrionale, distruggendo intere fasce di mezzi corazzati ucraini:

La cosa è stata notata ovunque, con il massimo esperto di radioelettronica dell’AFU, Serhiy Flash, che ha nuovamente preso nota delle loro firme elettroniche:

Attenzione PEP di tutti i livelli.

L’UAV Orion sta operando sempre più vicino ai confini. Questo è un Bayraktar russo su minimalka. Hanno paura di volare alle nostre spalle. Lavorano con i razzi lungo il fronte.

Hanno appena colpito una delle posizioni, i ragazzi intelligenti sanno già riconoscerla anche sugli analizzatori tascabili.

Zvezda ha pubblicato un articolo completo sulla rinascita dei droni UCAV pesanti:

Si tratta di un articolo dettagliato per gli interessati, che fornisce una panoramica dello sviluppo dei droni e spiega perché vengono ora utilizzati sul fronte di Kursk.


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Intervista del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov a Sky News Arabia, Mosca, 20 settembre 2024

Intervista del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov a Sky News Arabia, Mosca, 20 settembre 2024

1738-20-09-2024

Domanda (ritradotta dall’arabo): Trasmettiamo questa intervista con il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov da Mosca, Russia. Grazie per aver trovato il tempo di parlare con Sky News Arabia.

Sergey Lavrov: Grazie per avermi invitato a farlo.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Sono lieto di incontrarla in questo momento storico, considerando che sono passati oltre due anni dall’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina. Mosca è ancora impegnata nelle sue richieste iniziali o possiamo sperare di vederla ammorbidire la sua linea per il bene della pace?

Sergey Lavrov: Non si tratta tanto delle esigenze della Russia quanto di quelle del diritto internazionale. Quando si chiede di risolvere il conflitto in base ai principi della Carta delle Nazioni Unite, si aggiunge sempre la frase “sulla base del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina”. Tuttavia, la frase sull’integrità territoriale è preceduta nella Carta delle Nazioni Unite dal requisito del rispetto del diritto delle nazioni all’autodeterminazione. È il diritto all’autodeterminazione che ha guidato tutti i processi di decolonizzazione, soprattutto in Africa. L’Unione Sovietica è stata tra i Paesi che hanno avviato questi processi. È su nostra iniziativa che nel 1960 è stata adottata la relativa Dichiarazione.

Le discussioni su cosa abbia la precedenza – l’integrità territoriale o il diritto delle nazioni all’autodeterminazione – sono iniziate all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel XX secolo. Queste lunghe discussioni hanno portato all’adozione della voluminosa Dichiarazione. La parte di cui parliamo ora dice chiaramente che tutti i Paesi devono rispettare l’integrità territoriale degli Stati i cui governi rispettano il diritto delle nazioni all’autodeterminazione e quindi rappresentano l’intera popolazione che vive nel loro territorio. È risaputo che i neonazisti che hanno preso il potere in Ucraina a seguito di un colpo di Stato nel febbraio 2014 non rappresentavano né la Crimea né il Donbass.

Anche prima di parlare del diritto delle nazioni all’autodeterminazione, la Carta delle Nazioni Unite afferma che ogni persona ha diritto a tutti i diritti umani senza distinzioni di alcun tipo, come razza, sesso, lingua o religione. Le leggi ucraine vietano l’uso della lingua russa in tutte le sfere della vita. Una legge recente ha vietato la Chiesa ortodossa ucraina canonica. In altre parole, coloro che chiedono di risolvere il conflitto sulla base della Carta delle Nazioni Unite dovrebbero leggerla più attentamente.

Domanda (ritradotta dall’arabo): La rivoluzione arancione è diventata il punto di partenza di tutto. Ci rendiamo conto che la Russia ora gioca un ruolo importante nella risoluzione dei conflitti sulla scena internazionale. L’operazione militare speciale è una pietra miliare importante nella trasformazione della comunità internazionale e dell’ordine mondiale? La Russia è pronta per ostilità più ampie?

Sergey Lavrov: Lei ha detto che il colpo di Stato è stato una delle fasi principali che alla fine ci ha portato alla situazione a cui stiamo assistendo. Questo colpo di Stato è stato indotto e sostenuto dai Paesi occidentali. In seguito, abbiamo avvertito per molti anni che il popolo russo, che ha trascorso tutta la sua vita nei territori incorporati nello Stato ucraino durante il periodo sovietico, non doveva essere trattato in questo modo. Per secoli il popolo russo ha sviluppato questo territorio, che non deve assolutamente essere trascinato nella NATO. Lo abbiamo avvertito per molto tempo. Ma, dopo aver nutrito, cresciuto e allevato i neonazisti, l’Occidente ha continuato inequivocabilmente a sostenerli come strumento di guerra contro la Federazione Russa.

È ovvio per chiunque capisca cosa sta succedendo e sappia cosa sia la giustizia, che la giustizia è dalla nostra parte. La giustizia implica che ogni persona ha il diritto di mantenere la propria identità, in base al modo in cui è stata cresciuta e ai propri desideri. La Maggioranza Globale, i Paesi africani, asiatici e latino-americani, sono diventati apprensivi dopo che l’Occidente ha iniziato a usare il regime neonazista ucraino come strumento di lotta contro la Russia. Tutti hanno iniziato a chiedersi su chi Washington avrebbe sfogato il suo malcontento la prossima volta e a chi avrebbe potuto non piacere. Ebbene, può non piacere a nessuno;

In questo senso, lei ha assolutamente ragione. L’operazione militare speciale ha un significato mondiale perché sostiene un ordine mondiale multipolare in cui tutti i Paesi, senza eccezioni, sono uguali. Vorrei ricordare ancora una volta la Carta delle Nazioni Unite. Essa afferma espressamente che l’ONU si basa sull’uguaglianza sovrana degli Stati. Gli Stati Uniti e i loro satelliti non rispettano e non onorano mai questo principio. La Maggioranza Globale è interessata a porre fine all’attuale stato di cose quando gli americani pretendono che tutti rispettino un ordine basato su regole, piuttosto che sul diritto internazionale. E le loro regole dipendono sempre dal capriccio di Dio, come diciamo qui.

Quando è stato necessario privare la Serbia del Kosovo, hanno proclamato la sua indipendenza senza alcun referendum. Dissero che il popolo del Kosovo stava esercitando il proprio diritto all’autodeterminazione. Alcuni anni dopo, dopo che i nazisti avevano preso il potere a Kiev, la popolazione della Crimea ha tenuto un referendum e ha optato per la riunificazione con la Russia, con numerosi osservatori internazionali che hanno monitorato l’evento. Gli americani hanno denunciato questo atto, affermando che violava l’integrità territoriale.

La maggior parte delle persone provenienti dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina con cui comunico, sanno di cosa si tratta. Gli Stati Uniti vogliono convincere tutti di essere un egemone e che nessuno può contraddirli, qualunque cosa facciano. Di conseguenza, gli Stati Uniti affermano che è necessario infliggere alla Russia una “sconfitta strategica” sul campo di battaglia. La vedono come una minaccia esistenziale per loro stessi, una minaccia alla loro egemonia. Se la verità dovesse prevalere (e certamente prevarrà), vedrebbero questa situazione come una loro sconfitta che evidenzia la perdita della loro reputazione, autorità e prestigio. Inoltre, molti smetterebbero di temerli.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Ha anticipato la mia domanda. Vorrei parlare della “sconfitta strategica” che l’Occidente desidera tanto. L’Occidente oggi è come un bambino che gioca con i fiammiferi. La Russia vuole un’escalation?

Sergey Lavrov: Nessuna escalation. Avete ragione, stanno giocando. Sembrano davvero avere una mentalità da bambini, anche se sono adulti che occupano posizioni di responsabilità: ministri, primi ministri, cancellieri, presidenti, ecc.

Da diversi mesi si parla di Russia che si limita a minacciare e a menzionare alcune “linee rosse”, che l’Occidente continua a superare senza che nulla accada.

In effetti, il Presidente della Russia Vladimir Putin ha recentemente commentato questa situazione a San Pietroburgo. Se verranno attuate, le iniziative di fornire all’Ucraina missili a lungo raggio statunitensi, francesi e britannici e di dare il via libera a colpire qualsiasi obiettivo all’interno della Russia significheranno che i Paesi della NATO sono in guerra con la Russia.

Per fortuna, a Washington ci sono alcune persone ragionevoli che se ne rendono conto. La NATO sta conducendo una guerra contro la Russia. Ma si tratta di una guerra ibrida, una guerra per procura che gli ucraini combattono per loro. Quando si tratta di sistemi missilistici occidentali a lungo raggio, è chiaro a tutti che gli ucraini non saranno in grado di usarli. Solo gli specialisti del Paese che ha realizzato le armi saranno in grado di puntarle, di fornire dati satellitari e di assegnare le missioni di volo.

Parlando della “sconfitta strategica” sul campo di battaglia, non voglio citare i politici occidentali, ma ci sono persone negli Stati Uniti e in Europa che hanno prestato attenzione durante le loro lezioni di storia e hanno imparato bene. Napoleone e poi Adolf Hitler hanno cercato di infliggerci una sconfitta strategica. Entrambi hanno radunato sotto i loro vessilli la maggior parte dell’Europa – Paesi che si erano obbedientemente sottomessi, che erano stati occupati e che avevano fornito i loro militari, i loro eserciti da comandare a Bonaparte e Adolf Hitler. Entrambe le campagne si conclusero con un disastro. Anche in questo caso, chiunque sia colto e conosca bene la storia ne è perfettamente consapevole.

Oggi, proprio come durante la Seconda Guerra Mondiale, la coalizione guidata dagli Stati Uniti (circa 50 Paesi obbedienti) ci sta aggredendo usando il regime ucraino per combattere, un regime palesemente nazista proprio come quello di Adolf Hitler.

In una situazione come questa, nessuno dovrebbe dimenticare il carattere del popolo russo. Lo stiamo vedendo in prima linea. I tentativi di agitare le acque o di seminare discordia nella nostra società portano sempre al risultato opposto. È più unita che mai e non vediamo altro modo che sconfiggere i nazisti, che stanno ancora una volta invadendo la nostra storia, la nostra terra e la nostra lingua.

Domanda (ritradotta dall’arabo): C’è una domanda nel contesto dei riferimenti all’uso di armi nucleari da parte della Russia. Conosciamo la dottrina della Federazione Russa in questo ambito. Ogni volta che le “linee rosse” vengono superate, ci si chiede dove si trovino realmente nel contesto delle armi nucleari.

Sergey Lavrov: Parliamo di “linee rosse” nella speranza che le nostre valutazioni e dichiarazioni vengano ascoltate da decisori intelligenti. È sciocco dire che premeremo il pulsante rosso, se domani non farete quello che vi chiedo.

Sono certo che i responsabili delle decisioni sono consapevoli di ciò che intendiamo in queste situazioni. Nessuno vuole una guerra nucleare. Lo abbiamo detto più volte.

Lasciate che vi assicuri che abbiamo armi il cui uso comporterà gravi conseguenze per i padroni del regime ucraino. Queste armi sono disponibili e in pieno stato di allerta.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Vorrei parlare del Medio Oriente, dei suoi sviluppi e in particolare del coinvolgimento dell’Occidente. Oggi si parla molto della partnership strategica della Russia con gli iraniani. Le notizie dicono che la Russia ha ricevuto missili dall’Iran e che la Russia, a sua volta, estende le tecnologie nucleari a quel Paese.  Di questo si scrive e si parla. Qual è la sua risposta a queste accuse?

Sergey Lavrov: Lo stesso dicono della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Approssimativamente lo stesso. Interagiamo con l’Iran, la Corea del Nord o qualsiasi altro Paese dal punto di vista economico, politico e tecnico-militare; rigorosamente nel quadro del diritto internazionale, senza violare nessuno dei nostri impegni internazionali. Non significa nulla se gli Stati Uniti inventano dieci frottole al giorno, accusandoci di tutti i peccati mortali. O meglio, significa solo una cosa: non amano la Russia come rivale sulla scena internazionale.

Mi permetta di sottolineare ancora una volta che nelle relazioni con l’Iran o con qualsiasi altro Paese non violiamo alcuna norma del diritto internazionale, comprese quelle che regolano la cooperazione tecnico-militare.

Credo che l’Iran e i suoi vicini (le monarchie arabe e altri Paesi arabi) siano interessati a cooperare tra loro. Appartengono alla stessa regione ed è inevitabile che vivano fianco a fianco. Accolgo con favore il processo in corso tra l’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran. Hanno normalizzato le loro relazioni. Si sta promuovendo il dialogo anche su molte altre questioni. Sono convinto che sia nell’interesse dell’Iran e dei suoi vicini arabi stabilire relazioni di vicinato, normali e buone. Ciò consentirà di sviluppare la cooperazione economica a vantaggio di tutti questi Paesi e di collaborare più efficacemente sulla scena internazionale per sostenere gli interessi dei Paesi del Sud e dell’Est globale;

Domanda (ritradotta dall’arabo): Durante la visita di Joe Biden in Arabia Saudita, è stato detto che Cina e Russia potrebbero potenzialmente riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nella regione. Può commentare questa affermazione? C’è davvero un vuoto lì? Quali sono le relazioni della Russia con i Paesi di questa regione? Vorrei anche sollevare il tema del conflitto palestinese-israeliano.

Sergey Lavrov: Per quanto riguarda il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, esaminiamo gli ultimi 50-70 anni, durante i quali gli Stati Uniti si sono posti numerosi obiettivi a gran voce e con orgoglio, il principale dei quali è stato quello di introdurre la democrazia in varie regioni del pianeta.

Prendiamo il Vietnam. Quali obiettivi erano stati annunciati? Quali sono stati raggiunti? Centinaia di migliaia di civili sono stati uccisi e sono state usate armi proibite. Nessun obiettivo è stato raggiunto. Sono saliti a bordo dei loro elicotteri e se ne sono andati.

Hanno trascorso ancora più tempo (20 anni) in Afghanistan. Non hanno fatto alcuno sforzo per sviluppare l’economia del Paese. Si sono vantati di aver soppresso la minaccia terroristica. Alla fine sono fuggiti. Abbiamo visto tutti il video di un aereo che quasi schiacciava gli afghani che cercavano di fuggire con loro. Hanno abbandonato al loro destino tutti coloro che hanno collaborato con loro, migliaia e migliaia di persone.

Oppure prendete l’Iraq. Quali obiettivi hanno raggiunto gli americani in Iraq? Ora si chiede loro di andarsene. Per più di due anni, il governo e il parlamento iracheno hanno detto di non avere più bisogno degli americani. Eppure, gli americani non vogliono andarsene. Cosa stanno cercando di ottenere lì?

Siria. Che cosa hanno ottenuto in Siria?

Ciò che sta accadendo tra Palestina e Israele è sconvolgente. Gli esperti faticano a ricordare una tragedia o una catastrofe umanitaria come questa. Sottolineo che tra poco sarà un anno. Alcuni mesi fa, in Occidente sono state pubblicate delle statistiche che hanno rivelato che nei dieci mesi dall’inizio dell’operazione israeliana sono morti venti volte più civili palestinesi che nei dieci anni di guerra in Donbass dopo il colpo di Stato del 2014. In Donbass sono state contate entrambe le parti: le persone che vivono in Donbass e quelle che sono rimaste nel territorio controllato dal regime di Kiev. In dieci mesi sono morte venti volte più persone che in dieci anni.

L’attacco terroristico avvenuto il 7 ottobre 2023 è stato oltraggioso. Tutte le persone ragionevoli lo condannano. Tuttavia, è inaccettabile rispondere a un crimine con un altro crimine, soprattutto attraverso il metodo proibito della punizione collettiva dei civili.

Lei ha menzionato il vuoto parlando della politica statunitense nella regione. Quando il 7 ottobre 2023 si è verificato l’attacco terroristico e Israele ha iniziato la sua brutale operazione, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato, nel suo intervento all’Assemblea generale, di condannare l’attacco terroristico. Ma non è avvenuto nel vuoto. Intendeva dire che le decisioni delle Nazioni Unite sulla creazione di uno Stato palestinese non sono state attuate per decenni. Non è rimasto quasi nulla dei territori che avrebbero dovuto costituire lo Stato palestinese.

Guardate la reazione della leadership israeliana quando Guterres ha detto che l’attacco terroristico non è avvenuto nel vuoto. Il rappresentante permanente di Israele presso l’ONU a New York (colui che all’epoca ricopriva questa carica) ha dato in escandescenze. Chiese che Guterres venisse destituito dalla sua posizione.

L’impunità è una qualità deleteria. Abbiamo detto più volte ai nostri colleghi israeliani che l’Unione Sovietica, il nostro Paese, ha fatto più di chiunque altro su questa terra per salvare gli ebrei e sconfiggere coloro che hanno scatenato l’Olocausto. Non sono stati solo gli ebrei a perire nell’Olocausto, ma anche un numero enorme di russi, bielorussi, ucraini, kazaki e altri popoli che vivevano sul territorio dell’attuale Russia o sul territorio dell’Unione Sovietica hanno perso la vita.

Quando alcuni funzionari giustificano le loro azioni dicendo che loro – il popolo ebraico – sono stati vittime dell’Olocausto e quindi possono essere perdonati, si tratta di una tendenza preoccupante. È un segno dell’eccezionalismo caratteristico della Germania di Hitler e della sua ideologia.

Ho molti amici in Israele. La stragrande maggioranza di loro capisce che la questione di uno Stato palestinese deve essere risolta e che sopprimere i diritti naturali del popolo palestinese è inaccettabile.

Domanda (ritradotta dall’arabo): A proposito di esportazione della democrazia (come dicono gli americani), cosa pensa la Russia dei processi democratici negli Stati Uniti e degli attentati alla vita di Donald Trump, che sono direttamente collegati all’Ucraina?

Sergey Lavrov: Gli attuali sviluppi negli Stati Uniti sono una manifestazione del loro “complesso di esclusività” e di superiorità, che abbiamo appena menzionato in relazione alla politica degli Stati Uniti in Medio Oriente e al sostegno di Washington alle violazioni delle autorità israeliane di tutte le disposizioni del diritto umanitario internazionale.

La democrazia di tipo americano è una loro invenzione. Se a loro piace quel sistema di potere statale, in cui la vittoria elettorale non è concessa al candidato per cui la maggioranza dei cittadini ha votato, ma all’altro candidato, che se lo tengano pure e lascino in pace le altre nazioni.

Ricordo di aver parlato con l’allora Segretario di Stato americano Condoleezza Rice, che criticò il nostro processo elettorale. Risposi che negli Stati Uniti le elezioni non sono dirette, ma in due fasi. Di conseguenza, un candidato che riceve una minoranza di voti a volte finisce alla Casa Bianca. Ha detto che ne sono consapevoli, ma che non è un nostro problema e che se ne occuperanno da soli. Non sarebbe opportuno applicare la stessa logica ad altri Paesi?

Alcuni Paesi, ad esempio nel Golfo Persico, sono a loro agio con la monarchia, e perché dovrebbe importare a qualcuno se la gente è soddisfatta della propria vita? La Cina ha un sistema di governo diverso e lo stesso vale per la Russia.

Quando gli Stati Uniti dicono di combattere per la democrazia, ingannano il mondo. Stanno combattendo per portare al potere persone che faranno gli ordini degli americani. Questo è quanto. Non stanno facendo nient’altro.

Credo che i politici americani, se chiedete loro perché parlano solo di esportare il loro modello di democrazia in tutto il mondo, e propongono di parlare di democrazia nelle relazioni internazionali, si rifiuteranno di farlo. Vi diranno che gli affari internazionali si basano su un “ordine basato su regole”. Tuttavia, la democrazia, così come definita nella Carta delle Nazioni Unite, si basa sull’uguaglianza sovrana degli Stati.

Prendete qualsiasi crisi che abbia coinvolto gli Stati Uniti dopo o anche prima della creazione dell’ONU. La politica estera statunitense non ha mai rispettato il principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati.

Quindi, visto che Condoleezza Rice mi ha detto che era il loro sistema e che dovevamo lasciarli in pace, dico agli americani che dovrebbero applicare questo principio anche agli altri Paesi. Hanno un sistema diverso. Lasciateli stare e non interferite negli affari degli altri.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Alcuni sostengono che il mondo ha bisogno che Donald Trump mantenga la poltrona [alla Casa Bianca] per i prossimi quattro anni, che questo gioverebbe al mondo.

Il presidente Putin ha recentemente fatto una battuta sulle elezioni statunitensi. Ha detto che la Russia ha sostenuto Kamala Harris. In che modo la Russia sta adattando la sua politica al futuro presidente? Quanto cambierà?

Sergey Lavrov: Era una battuta. Il Presidente Putin ha un buon senso dell’umorismo. Spesso scherza durante le sue dichiarazioni e interviste.

Non vedo differenze a lungo termine nel nostro atteggiamento nei confronti delle elezioni attuali o precedenti negli Stati Uniti, perché sono governati dal famigerato “Stato profondo””;

Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden si trova in uno stato fisico che gli impedisce di guidare il Paese da molto tempo. Ma il Paese continua a far girare questi “ingranaggi”. Continua la campagna militare attraverso l’agenzia del regime ucraino e in altre parti del mondo. Continua a bloccare tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che sollecitano un cessate il fuoco a Gaza e sulla sponda occidentale del fiume Giordano. La “macchina” è al lavoro. Ed è pronta ad affrontare qualsiasi rivale che possa minacciare il dominio americano.

Gli americani stanno spingendo la Cina come principale minaccia per il loro Paese. Hanno introdotto molte sanzioni contro la RPC (ma non tante quante contro la Russia). Stanno tagliando i canali con cui le moderne tecnologie arrivano in Cina, nel tentativo di rallentare lo sviluppo di questo settore.  La Cina svilupperà le tecnologie da sola, ma ci vorrà un po’ più di tempo.

Cosa stanno facendo gli occidentali nei confronti delle esportazioni cinesi, soprattutto di auto elettriche, batterie per auto elettriche e altri prodotti? Mentre il Presidente Xi Jinping era in visita in Francia, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è venuta a Parigi e ha dichiarato pubblicamente che stava imponendo dazi del 100% sulle auto elettriche cinesi, perché, ha detto, i veicoli erano troppo economici e questo stava danneggiando i produttori europei. Ma dov’è la concorrenza leale che l’Occidente era solito promuovere come principio fondamentale? O l’inviolabilità della proprietà e molto altro? Tutto questo appartiene ormai al passato.

Non mi faccio illusioni sul leader statunitense. [Quando Donald Trump era presidente] ha avuto diversi incontri con Vladimir Putin. Sono stato anche ricevuto alla Casa Bianca un paio di volte. È stato amichevole. Ma l’amministrazione Trump ha regolarmente e costantemente introdotto sanzioni contro la Federazione Russa e tali sanzioni erano piuttosto pesanti.

Alla fine abbiamo concluso che l’autosufficienza era l’opzione migliore. Non riporremo mai più le nostre speranze nell’arrivo di un “bravo ragazzo” alla Casa Bianca o in qualsiasi altra capitale occidentale, che aiuti a raddrizzare le cose nel nostro Paese.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Abbiamo iniziato la nostra conversazione parlando dell’importanza del continente africano. La Russia vi ha ottenuto alcuni successi grazie alla cooperazione, anche militare, con diversi Paesi.   Qual è la visione della Russia sul suo ruolo in questa regione?

Sergey Lavrov: Abbiamo visto questo ruolo per decenni, quando abbiamo sostenuto attivamente (ne ho già parlato) la lotta dei popoli africani per ottenere l’indipendenza, scrollarsi di dosso il giogo coloniale e porre fine alla politica dell’apartheid. Le nazioni africane e i loro leader apprezzano il nostro contributo allo sforzo per costruire un mondo migliore e garantire l’uguaglianza. Vediamo che le giovani generazioni di africani vengono educate al rispetto della nostra storia comune.

Non abbiamo mai tratto benefici unilaterali dalle nostre relazioni con i Paesi africani. Basti pensare ai numerosi impianti industriali che l’Unione Sovietica ha costruito nella Repubblica Araba d’Egitto. Oggi questi impianti sono la spina dorsale dell’economia e dell’industria del Paese. Attualmente stiamo costruendo una centrale nucleare e creando una zona industriale russa nell’area del Canale di Suez. Ne abbiamo discusso il 16 settembre 2024, quando il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty era in visita nella Federazione Russa.

Quando l’Unione Sovietica ha stabilito relazioni con altri Paesi africani, ha sempre contribuito allo sviluppo delle basi della loro economia sovrana e alla creazione di un sistema di istruzione. Ogni anno, decine di migliaia di africani continuano a studiare nelle università russe. I Paesi interessati hanno istituito associazioni di ex alunni delle università sovietiche e russe.

La nostra comune eredità storica predetermina l’attuale livello di amicizia e di cooperazione reciprocamente vantaggiosa. La Federazione Russa non era nelle migliori condizioni, sia sociali che economiche, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. A quel tempo, abbiamo dedicato molta meno attenzione all’espansione della nostra collaborazione con gli amici africani. Negli ultimi 15 anni, continuiamo a sviluppare queste relazioni dopo aver ripristinato l’economia e normalizzato la vita del nostro Stato e della nostra società.

Ad oggi si sono svolti due vertici Russia-Africa (nel 2019, a Sochi e nel 2023, a San Pietroburgo). Nel novembre 2024, Sochi ospiterà la prima riunione dei ministri degli Esteri russo-africani, in conformità con una decisione del vertice del 2023. Insieme ai nostri colleghi africani stiamo pianificando di tenere un vertice regolare due o tre anni dopo nel continente africano.

Abbiamo un programma fitto. La Commissione dell’Unione africana e il governo della Federazione russa hanno elaborato un piano d’azione fino alla fine del 2026. Esso comprende tutte le sfere della nostra collaborazione, tra cui l’economia e gli investimenti, nonché la sfera sociale, l’istruzione e gli scambi culturali. Possiamo constatare che i nostri amici africani sono sinceramente interessati (su base reciproca) ad ampliare la collaborazione.

Domanda (ritradotta dall’arabo): L’associazione BRICS si sta espandendo rapidamente, consolidando le sue posizioni e cooperando con diversi Paesi. Molti Stati vorrebbero unirsi ad essa. Allo stesso tempo, questa associazione sta affrontando alcune sfide. Come affrontate queste sfide? Qual è la sua idea di cooperazione di successo per il mondo intero?

Sergey Lavrov: La ricetta è molto semplice: è necessario rispettare pienamente il diritto internazionale. Prima di tutto, cito ancora una volta la Carta delle Nazioni Unite, questa implica il principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati e della non ingerenza negli affari interni degli altri. È necessario promuovere una collaborazione basata su un equilibrio di interessi che dobbiamo trovare. Proprio come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, la Lega degli Stati Arabi e il Consiglio di Cooperazione del Golfo, il BRICS funziona sulla base del consenso. Il BRICS è un’associazione basata su un atteggiamento di rispetto reciproco e sulla considerazione reciproca degli interessi degli altri.

Non esiste un principio simile nell’Unione Europea o nella NATO. Gli Stati Uniti sono l’egemone e non tollerano obiezioni alle loro politiche. L’Unione Europea e Bruxelles hanno creato una burocrazia che dice ai Paesi sovrani cosa fare. I cittadini non hanno votato per questa burocrazia. Hanno invece votato per i loro presidenti e primi ministri; e in seguito è stato istituito un sistema burocratico di comune accordo. Basta guardare il comportamento irrispettoso dei funzionari di Bruxelles al giorno d’oggi.

Una situazione simile è impossibile nei Paesi BRICS. L’associazione sostiene il principio del consenso reale, piuttosto che artificiale (quando qualcuno è costretto ad accettare), con l’obiettivo principale di trovare accordi che riflettano l’accordo reciproco di tutti i partecipanti. Non è facile. Più sono i partner, più è difficile trovare un accordo. Ci vuole più tempo per finalizzare un accordo basato sul consenso rispetto a una soluzione basata sul voto. Tuttavia, tali accordi sono molto più resistenti e praticabili di qualsiasi cosa imposta dall’esterno. Questo è l’intero e semplicissimo segreto.

La BRI sta sviluppando la cooperazione in campo economico e finanziario. C’è una nuova banca per lo sviluppo, che si sta rafforzando. C’è una cooperazione in politica, nella sfera umanitaria, nello sport, nell’istruzione e nella cultura. Quest’anno, in qualità di presidente dei BRICS, abbiamo già organizzato 150 eventi e ne abbiamo in programma altre decine. Tutti questi eventi sono di grande interesse e vedono la partecipazione di delegazioni, ministeri, parlamenti e organizzazioni pubbliche. Osserviamo gli eventi nei Paesi BRICS e notiamo il genuino interesse dei loro cittadini.

Ciò fornisce una solida base per lo sviluppo di un partenariato strategico all’interno dell’associazione. Attualmente i BRICS comprendono 10 Paesi, il cui numero è raddoppiato rispetto all’anno scorso. Più di 30 Paesi hanno già presentato domanda di interazione o di adesione all’associazione. Al vertice che si terrà a Kazan in ottobre, uno dei principali punti all’ordine del giorno sarà l’esame delle domande degli Stati che desiderano interagire e collaborare con i BRICS.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Volevamo discutere di un problema comune: il superamento dell’egemonia del dollaro e le sanzioni imposte dagli Stati Uniti a Russia e Iran. Questa situazione era stata prevista in precedenza. In particolare, si era detto che il dollaro sarebbe stato usato come arma contro la Russia e l’Iran. Ora, nonostante tutto questo, la Russia vuole davvero che Donald Trump torni alla Casa Bianca?

Sergey Lavrov: Donald Trump ha denunciato la politica dell’attuale amministrazione che, come ha esplicitamente dichiarato, distrugge il ruolo del dollaro e mina la forza economica degli Stati Uniti, che si basa fortemente sul dollaro. Il debito nazionale statunitense è di 36.000 miliardi di dollari. I soli interessi sul debito nazionale statunitense ammontano a 1.000 miliardi di dollari all’anno. Senza contare il capitale del debito. Donald Trump ha dichiarato direttamente che le sanzioni imposte dall’amministrazione Biden, sfruttando la capacità del dollaro di essere una valuta di riserva globale, sono dannose per l’economia statunitense.

Sono d’accordo con lui. Inoltre, sono d’accordo non perché lo voglia, ma perché la stragrande maggioranza dei Paesi è già cauta su qualsiasi transazione nell’economia globale in cui sarebbe dipendente dal dollaro. Questa dipendenza persiste. È enorme, anche nella Repubblica Popolare Cinese, in India e nella maggior parte delle economie mondiali. Questa dipendenza è già stata riconosciuta come un fenomeno che mette a rischio lo sviluppo dei Paesi. Il dollaro viene gradualmente sostituito dai regolamenti in valuta nazionale.

Al vertice BRICS dello scorso anno, il Presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva ha suggerito che i BRICS dovrebbero prendere in considerazione la creazione di una piattaforma di pagamento alternativa che potrebbe essere utilizzata dai membri dell’associazione e da altri Paesi interessati. Questo compito è stato fissato per il vertice di Kazan, che sarà presieduto dal Presidente della Russia Vladimir Putin. Ci aspettiamo di ricevere dai ministri delle finanze e dalle banche centrali dei Paesi BRICS un rapporto su come creare piattaforme di pagamento alternative. Oltre il 90% del nostro commercio con la Cina avviene in valute nazionali che evitano il dollaro. Nel commercio con l’India, questa percentuale ha raggiunto il 60%. Stiamo iniziando a orientarci verso queste forme di interazione con la maggior parte dei Paesi. È chiaro che gli Stati Uniti continuano a stampare dollari e utilizzano queste banconote svalutate per mantenere la loro politica di pressione economica sugli altri Paesi. Tuttavia, questa epoca si sta avvicinando al suo declino.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Naturalmente non si possono dividere la politica, l’economia e le relazioni con l’Europa. Perché la Russia non ha tagliato le esportazioni di gas all’Europa nonostante il suo atteggiamento negativo nei confronti della Russia? Perché continua a inviare gas all’UE?

Sergey Lavrov: Siamo persone oneste. Abbiamo firmato contratti a lungo termine con l’Europa. Rispettiamo sempre i nostri obblighi, a differenza dell’Europa o degli Stati Uniti.

Abbiamo lavorato per decenni durante l’era sovietica, a partire dagli anni ’70, per sviluppare una cooperazione reciprocamente vantaggiosa nella sfera della fornitura di gas. È stato grazie al gas russo a prezzi accessibili che i settori energetici dell’Europa, e in primo luogo della Germania, e le loro economie nel complesso hanno avuto un andamento così positivo.

Il cancelliere Olaf Scholz ha dichiarato in un’intervista che è stata la Russia a tagliare le esportazioni di gas in Europa. Perché una persona adulta dovrebbe mentire? Tutti sanno cosa è successo. Quando Angela Merkel era cancelliere, gli Stati Uniti impedirono alla Germania di lanciare i gasdotti Nord Stream 1 e 2 e di utilizzare il più costoso – molto più costoso – GNL americano. Oggi l’Europa copre il suo fabbisogno energetico di base con il gas naturale liquefatto, compreso il GNL americano. Ma se qualcuno volesse acquistare il nostro gas, non ci rimettiamo ai nostri accordi. Siamo vicini. Ci sono gasdotti. Sebbene tre tratti del Nord Stream siano stati fatti esplodere, esistono altri percorsi per i gasdotti, anche attraverso l’Ucraina e la Türchia, attraverso il Mare di Mezzo. Se la cooperazione è reciprocamente vantaggiosa, perché darsi la zappa sui piedi?

Un anno fa, ho letto una dichiarazione del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, che affermava che le industrie in Europa, compresa la Francia, pagavano l’elettricità quattro volte di più che negli Stati Uniti. Questo è esattamente ciò che volevano gli Stati Uniti.

Cercano sempre di sbarazzarsi dei rivali. Quando hanno visto la Russia come rivale, hanno creato un regime antirusso, russofobo e nazista in Ucraina e lo hanno messo contro il nostro Paese. Anche l’UE era un rivale per gli Stati Uniti. Non è più un rivale e non lo sarà mai, se interpreto correttamente le tendenze di sviluppo in Europa.

L’Europa si sta deindustrializzando. Quando uno dei migliori asset della Germania – l’industria automobilistica – inizia a trasferire la produzione in altri Paesi e la Volkswagen chiude i pantaloni e licenzia migliaia di dipendenti, è suggestivo.

La burocrazia europea sta seguendo obbedientemente la strada tracciata dagli Stati Uniti.  Ma sempre più Paesi dell’UE si stanno rendendo conto che questo non è nel loro interesse, ma in quello del loro partner d’oltreoceano.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Non posso fare a meno di chiederle della Cina per descrivere completamente la situazione. Quando le relazioni di partenariato strategico saranno elevate al livello di una coalizione? Questo avverrà? Si sono svolte esercitazioni militari, comprese quelle nel Mar del Giappone. Le relazioni tra Russia e Cina si stanno sviluppando attivamente. È possibile affermare che i due Paesi stabiliranno una coalizione affiatata?

Sergey Lavrov: Queste relazioni sono le migliori di tutta la storia dei legami Russia-Cina. Sono proprio strategici.

Ci chiedono spesso quando ci muoveremo per stabilire un’alleanza militare. Non siamo obbligati a farlo. Organizziamo regolarmente esercitazioni militari, comprese quelle navali, terrestri e aeree. I nostri eserciti collaborano, mantengono relazioni amichevoli, imparano a condurre operazioni congiunte e si addestrano insieme. Tutto questo avviene senza alcuna alleanza di tipo NATO. Continueremo certamente la nostra collaborazione strategica in tutti gli ambiti, senza eccezioni.

Manteniamo un volume di scambi reciproci da record, che ha raggiunto circa 230 miliardi di dollari nel 2023. Questi volumi tendono ad aumentare ulteriormente. Manteniamo la più stretta cooperazione reciprocamente vantaggiosa nel campo dell’energia e di tutto ciò che è legato alle forniture di gas e all’industria dell’energia nucleare.

I nostri legami culturali, umanitari e di istruzione si stanno sviluppando. La lingua russa sta diventando sempre più popolare in Cina, mentre la lingua cinese sta diventando più popolare in Russia. Siamo due grandi Stati e due grandi nazioni, oltre che vicini immediati. Abbiamo interessi comuni nel facilitare la nostra sicurezza, soprattutto quando gli Stati Uniti stanno cercando di promuovere un sistema di tipo NATO nella regione dell’Asia-Pacifico e stanno creando vari blocchi, tra cui l’AUKUS, nonché altre organizzazioni trilaterali e quadrilaterali. Ovviamente, tutto questo viene fatto in funzione di un obiettivo apertamente dichiarato: contenere la Cina e la Russia. Dobbiamo essere vigili e questo ci avvicina ancora di più. Siamo partner naturali.

Domanda (ritradotta dall’arabo): Quali sono le relazioni della Russia con gli Emirati Arabi Uniti? Abbiamo notato che queste relazioni hanno raggiunto un livello completamente nuovo. Gli Emirati Arabi Uniti svolgono un ruolo importante nel rimpatrio dei prigionieri di guerra russi e ucraini, un ruolo molto importante. Come si può commentare?

Sergey Lavrov: Le relazioni con tutti i Paesi arabi, senza eccezioni, comprese quelle con i sei Stati del Golfo Persico, si basano su incontri regolari tra i nostri leader e sui trattati firmati. Queste relazioni abbracciano tutte le sfere, senza eccezioni. Vorrei sottolineare in particolare la nostra collaborazione nell’ambito dell’organizzazione OPEC+ e del Forum dei Paesi esportatori di gas. Si tratta di una buona base materiale e oggettiva per il nostro partenariato strategico con gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Qatar e altri Paesi del Golfo Persico.

Infatti, i nostri amici degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita e del Qatar stanno dando il loro contributo alla risoluzione delle questioni umanitarie, nel contesto della nostra operazione militare speciale. Come avete notato, questo include lo scambio di prigionieri di guerra. Plaudiamo a questa cooperazione, che mira ad aiutare ad affrontare i destini della gente comune in linea con motivazioni genuine, piuttosto che per scopi di auto-pubblicità e PR.

Domanda (ritradotta dall’arabo): La mia ultima domanda riguarda il Libano. Il Ministero degli Esteri russo ha rilasciato una dichiarazione sugli ultimi sviluppi in Libano, ovvero l’esplosione di cercapersone rivolti a membri di Hezbollah. Si tratta di un’escalation. Dal momento che lei e il Presidente Vladimir Putin mantenete i contatti con tutte le parti in conflitto, come valutate la situazione?

Sergey Lavrov: Siamo contrari a qualsiasi escalation. Purtroppo, c’è chi cerca di scaldare la situazione al massimo, in particolare per provocare l’interferenza delle forze armate statunitensi nella regione. Questo è del tutto ovvio. Basta ricordare l’assassinio di Ismail Haniyeh durante la cerimonia funebre del Presidente Ibrahim Raisi nella capitale della Repubblica Islamica dell’Iran. Non riesco a immaginare nulla di più cinico. Apprezzo il fatto che la Repubblica Islamica dell’Iran non abbia avuto un crollo, come si suol dire, o non sia scivolata in azioni militari di risposta su larga scala. Si pensava che l’Iran avrebbe fatto qualcosa che avrebbe fatto interferire le forze armate degli Stati Uniti nella situazione.

Forse gli sviluppi intorno al Libano sono simili. Credo che Hezbollah si stia comportando con moderazione, considerando le sue capacità. Vogliono provocarlo con lo stesso obiettivo di rendere inevitabile l’interferenza degli Stati Uniti nella guerra. Credo che l’amministrazione Biden sia consapevole di questo pericolo. Ovviamente, non vogliamo che scoppi una grande guerra.

A questo punto, la cosa principale è ottenere un cessate il fuoco completo nella Striscia di Gaza e in tutti i territori palestinesi, risolvere prontamente le questioni umanitarie, riprendere le forniture di aiuti nei volumi richiesti e, ovviamente, avviare negoziati sostanziali sulla creazione di uno Stato palestinese come terzo passo necessario. Senza di ciò, le esplosioni di violenza in Medio Oriente continueranno.

Domanda (ritradotta dall’arabo):

Sergey Lavrov: Personalmente, ho buoni rapporti con molti dei miei colleghi israeliani, compresi quelli precedenti. Parlando della politica mediorientale, il Presidente Vladimir Putin sottolinea il pieno impegno della Russia per la sicurezza e gli interessi fondamentali dello Stato di Israele.

Non a caso ho menzionato la necessità di attuare le risoluzioni che richiedono di risolvere le questioni mediorientali sulla base di due Stati, in modo che due Stati indipendenti e sovrani, Israele e Palestina, esistano come buoni vicini, sicuri l’uno per l’altro e per l’intera regione. Questo approccio essenziale non ha bisogno di spiegazioni: è conforme agli interessi sia di Israele che della Palestina.

In tutte le nostre azioni sottolineiamo sempre che nessuna soluzione sarà praticabile se non garantirà la sicurezza di Israele, tra le altre cose, ma non a spese della sicurezza degli altri.

Tale retorica dovrebbe essere presa sul serio, non minimizzata, ma non dovrebbe neanche essere esagerata.

Lavrov ha rilasciato un’intervista illuminante a Sky News Arabia in cui ha spiegato cosa spera di ottenere la Russia parlando delle sue linee rosse. I Mainstream Media (MSM) sono convinti che siano prive di significato e che tutte queste linee possano essere attraversate senza timore della Terza guerra mondiale, mentre la Alt-Media Community (AMC) interpreta tutta questa retorica come un accenno a una risposta nucleare in quell’evento. Si scopre che hanno entrambi ragione e torto per metà, secondo quanto rivelato da Lavrov sui calcoli del suo paese:

“Sembra proprio che abbiano una mentalità infantile (l’Occidente), nonostante siano adulti e ricoprano posizioni di responsabilità: ministri, primi ministri, cancellieri, presidenti, ecc.

Da diversi mesi si parla del fatto che la Russia si limita a minacciare e menzionare alcune “linee rosse”, che l’Occidente continua a oltrepassare senza che accada nulla.

Parliamo di “linee rosse” nella speranza che le nostre valutazioni e dichiarazioni vengano ascoltate da chi prende le decisioni in modo intelligente.

È stupido dire che premeremo il pulsante rosso, se domani non farete come vi chiedo. Sono sicuro che i decisori siano consapevoli di cosa intendiamo in queste situazioni. Nessuno vuole una guerra nucleare.

Lo abbiamo detto più e più volte. Lasciate che vi assicuri che abbiamo armi il cui uso comporterà gravi conseguenze per i padroni del regime ucraino”.

Ricordiamo che Putin ha descritto l’espansione della NATO in Ucraina come il superamento di una linea rossa per la Russia durante il suo discorso del 24 febbraio 2022, in cui annunciava l’inizio dell’espansione speciale della Russia. operazione :

“Non possiamo restare inerti e osservare passivamente questi sviluppi. Sarebbe una cosa assolutamente irresponsabile da parte nostra. Qualsiasi ulteriore espansione dell’infrastruttura dell’Alleanza del Nord Atlantico o gli sforzi in corso per ottenere un punto d’appoggio militare nel territorio ucraino sono inaccettabili per noi… Non è solo una minaccia molto reale per i nostri interessi, ma per l’esistenza stessa del nostro stato e per la sua sovranità. È la linea rossa di cui abbiamo parlato in numerose occasioni. L’hanno oltrepassata.

Non ci dovrebbero essere dubbi per nessuno che qualsiasi potenziale aggressore andrà incontro a sconfitta e conseguenze nefaste se attaccasse direttamente il nostro paese… Non importa chi cerca di ostacolarci o, a maggior ragione, di creare minacce per il nostro paese e il nostro popolo, devono sapere che la Russia risponderà immediatamente e le conseguenze saranno come non ne avete mai viste in tutta la vostra storia. Non importa come si svilupperanno gli eventi, siamo pronti. Sono state prese tutte le decisioni necessarie a questo riguardo”.

Prima di procedere, ecco cinque briefing di base che i lettori potrebbero essere interessati a rivedere:

* 21 agosto: “ Non aspettatevi una risposta radicale dalla Russia al coinvolgimento degli Stati Uniti nell’invasione ucraina di Kursk ”

* 15 settembre: “ La Russia e l’Occidente sono impegnati in una coreografia politica sull’uso di armi a lungo raggio da parte dell’Ucraina ”

* 15 settembre: “ Cosa otterrebbe realmente la Russia se utilizzasse le armi nucleari in Ucraina a questo punto? ”

* 18 settembre: “ Perché la Russia non distruggerà i ponti ucraini sul Dnepr? ”

* 18 settembre: “ La ‘guerra di logoramento’ è stata improvvisata e non era il piano della Russia fin dall’inizio ”

Ora analizzeremo tutto nel contesto della spiegazione di Lavrov sulle linee rosse della Russia.

Fin dall’inizio, il riferimento di Putin a questo era in relazione al motivo per cui aveva autorizzato l’operazione speciale, vale a dire per fermare la continua espansione della NATO in Ucraina, sebbene all’epoca clandestina. In seguito ha anche esplicitamente messo in guardia contro chiunque “attacchi direttamente il nostro paese”, cosa che la NATO non ha ancora fatto, sebbene consentire all’Ucraina di usare le sue armi a lungo raggio a tale scopo sarebbe un’esagerazione. Da allora, tuttavia, l’Ucraina ha attaccato direttamente la Russia in numerose occasioni, ma non è seguita alcuna risposta nucleare.

L’ultima parte del suo discorso sopra menzionato, in cui il leader russo ha avvertito di come “le conseguenze saranno come non ne avete mai viste in tutta la vostra storia” se “si frappongono sul nostro cammino o, a maggior ragione, creano minacce per il nostro Paese e il nostro popolo”, è la più controversa. Il modo in cui ha formulato il tutto implicava fortemente che le armi nucleari sarebbero state utilizzate se la NATO avesse trasformato il conflitto in una guerra per procura, ma a posteriori potrebbe aver alluso allo scenario di un attacco diretto della NATO.

In ogni caso, non si è ancora verificato alcun attacco del genere, né la Russia ha utilizzato armi nucleari nonostante il conflitto sia indiscutibilmente diventato una guerra di logoramento per procura con la NATO. Questa osservazione, unita al modo in cui il pubblico occidentale ha inizialmente interpretato le sue intenzioni, ha fatto pensare che la Russia non facesse sul serio nel ricorrere alle armi nucleari per difendere le sue linee rosse, incoraggiando così il “mission creep”. Tuttavia, per tutto il tempo, la NATO deve ancora oltrepassare la linea rossa definitiva di attaccare direttamente la Russia.

A questo punto è rilevante fare riferimento all’intuizione dell’ultima intervista di Lavrov. Come ha detto il massimo diplomatico russo, “Parliamo di ‘linee rosse’ nella speranza che le nostre valutazioni e dichiarazioni vengano ascoltate da intelligenti decisori. È sciocco dire che premeremo il pulsante rosso, se domani non farete come vi chiedo”. Ciò mette in contesto ciò che Putin intendeva rispetto a ogni linea rossa implicita, a parte quella su un attacco diretto della NATO contro la Russia.

L’espansione della NATO in Ucraina prima del 2022 ha esplicitamente oltrepassato la linea rossa della Russia, come lo stesso Putin ha descritto, ma né quella né la decisione del blocco di trasformare il conflitto in una guerra di logoramento per procura e gli attacchi diretti dell’Ucraina (anche contro i civili usando armi e intelligence della NATO) hanno portato a una risposta nucleare. Col senno di poi, le dichiarazioni fortemente formulate di Putin avevano lo scopo di scoraggiare gli ultimi due al fine di ridurre la possibilità che queste escalation degenerassero in una terza guerra mondiale, cosa che lui vuole evitare.

Hanno comunque continuato a farlo, ma con un graduale approccio di “bollitura delle rane” che ha dato alla Russia il tempo di adattarsi alla “nuova normalità” senza sentirsi abbastanza minacciata da intensificare drasticamente, riducendo così le possibilità della spirale di cui sopra. Mentre questa osservazione potrebbe sembrare suggerire che i media mainstream avessero ragione su come le linee rosse della Russia possano essere oltrepassate senza timore della Terza guerra mondiale, è importante ricordare che la NATO non oserà ancora oltrepassare la sua linea rossa definitiva di attaccare direttamente la Russia.

Considerando questo, sia i MSM che l’AMC avevano ragione e torto per metà. Il primo aveva ragione sul fatto che alcune linee rosse possono essere oltrepassate senza innescare una risposta nucleare, esattamente come ha appena confermato Lavrov, ma si sbaglia sul fatto che presumibilmente non ci sono linee rosse il cui attraversamento provocherebbe mai questo. Allo stesso modo, il secondo ha ragione sul fatto che una risposta nucleare è possibile se vengono oltrepassate determinate linee rosse, ma si sbaglia nell’implicare che l’attraversamento di qualsiasi linea rossa porterebbe automaticamente a ciò.

La conclusione è che il famoso discorso di Putin sulle linee rosse era principalmente inteso a scoraggiare un attacco diretto dalla NATO, con l’obiettivo supplementare di scoraggiare il coinvolgimento indiretto del blocco nel conflitto. Il primo è riuscito mentre il secondo no, né l’Ucraina è stata scoraggiata dall’attaccare direttamente la Russia, ma le linee rosse sono ancora alluse per trasmettere all’Occidente che certe escalation dovrebbero essere evitate. Tale retorica dovrebbe essere presa sul serio, non minimizzata, ma non dovrebbe nemmeno essere esagerata.

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SITREP 9/15/24: La situazione dell’Ucraina si aggrava mentre l’operazione delle armi alleate fallisce, di Simplicius

SITREP 9/15/24: La situazione dell’Ucraina si aggrava mentre l’operazione delle armi alleate fallisce

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Si continua a parlare del grande “piano di vittoria”, o meglio di ‘pace’, di Zelensky, con la Bild che avanza pretese su cosa consista:

I due articoli delineano la narrativa delle prossime settimane per l’Ucraina, in modo che si possa capire a cosa ruoterà il prossimo mese o due di agenda. Zelensky farà un lungo tour negli Stati Uniti per incontrare Biden, Kamala e Trump e presentare a tutti il suo grande “piano”.

La polemica è scoppiata, tuttavia, quando la Bild ha riferito che il suo piano include il congelamento dei combattimenti in alcuni dei territori attualmente sotto il controllo russo:

Secondo la BILD, questo include sia la richiesta di poter schierare armi occidentali a lungo raggio in profondità nella Russia, sia la disponibilità dell’Ucraina ad accettare cessate il fuoco locali su alcune sezioni del fronte – e quindi un congelamento temporaneo della situazione.

L’ufficio stampa di Zelensky ha subito risposto con una secca smentita:

‍☠ Solo poche persone conoscono il nostro “Piano di Vittoria”. La Bild non l’ha visto. L’Ucraina non accetta di congelare il conflitto, – il consigliere di Zelensky

▪️D. Litvin ha smentito la notizia secondo cui Zelensky sarebbe pronto a offrire alla Russia un cessate il fuoco in alcune zone del fronte, di cui ha scritto oggi la tedesca Bild.

▪️La Bild ha diffuso un falso, sostiene, notando che “delle poche persone che attualmente sono coinvolte con Zelensky nella preparazione del Piano di Vittoria, nessuna ha parlato con la Bild”.

▪️“Nessuno della “Bild” ha comunicato con il team che sta sviluppando il Piano di Vittoria. L’Ucraina è categoricamente contraria al congelamento del conflitto. È importante che gli Stati Uniti sostengano il Piano di Vittoria, non la capitolazione. Il piano sarà inizialmente presentato agli Stati Uniti, che potranno garantirne l’attuazione”, ha dichiarato Litvin.

RVvoenkor

Ma mentre Zelensky inizia a preparare il suo tour con una campagna stampa pre-gara, alcune rivelazioni molto interessanti hanno iniziato a far luce su quanto sia diventata disperata la situazione dell’Ucraina. Zelensky ha rilasciato un’intervista al propagandista Fareed Zakaria in cui ha fatto alcune ammissioni di una franchezza sconvolgente sull’operazione Kursk:

Ecco un riassunto dei punti estrapolati da altre fonti: prestate particolare attenzione a quelli in grassetto:

L’obiettivo dell’operazione nella regione di Kursk era quello di distogliere le truppe russe dal Donbass, Kiev ha preparato un piano per la vittoria, – Zelensky

Le dichiarazioni chiave di Zelensky nell’intervista alla CNN:

1. “L’idea era di spostare alcune forze russe lì (vicino a Kursk). E credo che fosse l’idea giusta”. Non ha ammesso il fallimento, ma ha detto che “è stata un’operazione rischiosa, e lo abbiamo capito”.

2. A causa della lentezza nelle consegne di armi, l’Ucraina non è stata in grado di equipaggiare adeguatamente nemmeno 4 brigate su 14. La Russia ha un vantaggio di 12 a 1 nei proiettili contro l’Ucraina (Kiev ha recentemente annunciato che si supponeva fosse già di 2,5 a 1 – si sono impelagati in bugie). (intorno al minuto 2:20).

Ascoltate in particolare da 2:20 a circa 3:20. Zelensky dice apertamente che negli ultimi otto mesi l’Ucraina ha praticamente esaurito tutte le sue riserve e gli armamenti, e non è stata in grado di equipaggiare più di quattro delle millantate nuove quattordici brigate.

Questo è stato convalidato dal nuovo articolo di Forbes:

Gli altri punti dell’intervista:

3. I russi usano 4.000 bombe aeree al mese solo nell’est dell’Ucraina, e hanno colpito l’80% delle strutture energetiche. Pertanto, Zelensky chiede all’Occidente di approvare gli attacchi ai campi d’aviazione russi con missili a lunga gittata (finora, tale permesso non è stato dato, come ha specificato il presidente).

Allo stesso tempo, ha riconosciuto che “la Russia ha iniziato a spostare i suoi aerei da 100-150 chilometri a 300-500” e ha rimproverato ai partner occidentali di “aspettare troppo a lungo”.

4. Parlando del “piano di vittoria” che sarà presentato a Biden, Zelensky ha detto che ci sono cinque punti – “4 sono quelli principali, più uno che ci servirà dopo la guerra”.

Secondo Zelensky, il piano riguarda “la sicurezza, la posizione geopolitica dell’Ucraina, un sostegno militare molto forte che dovrebbe essere a nostra disposizione, e in modo da avere libertà nell’uso di alcune risorse. Questo riguarda anche il sostegno economico”.

Una parte del suo piano consiste nel peggiorare la vita all’interno della Federazione Russa, cosa che presumibilmente renderà Putin più disposto a negoziare.

RVvoenkor

Naturalmente, Zelensky è in grave difficoltà da quando l’ultima spinta per colpire più a fondo la Russia è caduta nel vuoto:

Questo avviene mentre la situazione nel Donbass continua a deteriorarsi per l’Ucraina, con le forze russe che fanno progressi costanti nella regione di Pokrovsk e a Kursk, dove il territorio controllato dagli ucraini sta lentamente diminuendo.

Le ultime notizie della BBC lo confermano:

La situazione è critica, ha dichiarato alla BBC un ufficiale militare ucraino nell’est del Paese, vicino alla linea del fronte a sud di Pokrovsk.

La strategia militare della Russia sembra ora quella di circondare la città, che è un nodo di trasporto chiave nella regione.

L’ufficiale, che ha preferito mantenere l’anonimato, ha detto che i vertici militari vogliono mantenere le loro posizioni a tutti i costi, spesso con la perdita di truppe e risorse.

Questo approccio, a suo dire, sta portando a una serie di “calderoni”, ampi territori circondati dalle forze russe.

L’articolo in realtà fornisce una conferma molto importante di qualcosa che scriviamo qui da un po’, ma che le fonti occidentali hanno tentato di minimizzare o di nascondere deliberatamente:

“Stanno cercando di rafforzare i loro fianchi in modo da potersi avvicinare a Pokrovsk, accerchiarla per metà e poi iniziare a radere al suolo la città”, dice il maggiore Serhiy Tsekhotsky della 59ª Brigata.

Questa è la conferma da parte di un alto ufficiale ucraino che la Russia sta allargando il cuneo ai suoi fianchi come preparazione per l’assalto su larga scala a Pokrovsk che sta per arrivare – esattamente quello che sto dicendo da un paio di settimane.

Postazione militare ucraina:

Le ultime notizie della CNN contengono anche alcune interessanti rivelazioni sulla missione Kursk in particolare.

La cosa più interessante per me è stata la rivelazione che tutte le loro comunicazioni sono state bloccate in territorio russo:

Diverse unità hanno dichiarato alla CNN che la navigazione e le comunicazioni tra le unità e i loro comandanti sono state un grosso problema a Kursk.

Con il GPS e i segnali dei cellulari bloccati, gli ucraini si sono affidati al servizio internet Starlink. Ma stanno scoprendo che il servizio non funziona affatto in alcune zone della regione di Kursk.

Si parla ripetutamente dell’enorme numero di vittime, che secondo il Ministero della Difesa russo è stato di 300 uomini solo ieri, nella sola Kursk.

Beh, cos’altro c’è di nuovo?

Noterete che le parti pro-UA e occidentali stanno facendo deliberatamente finta di niente, quando necessario, nel riferire sul Kursk. Per esempio, continuano a definirlo un grande successo e a parlare di combattimenti posizionali, quando in realtà stanno intenzionalmente ignorando l’ultima o le ultime due settimane di rapporti e si limitano a rievocare la prima settimana dal 6 agosto, ormai quasi un mese e mezzo fa.

Il fatto è che l’AFU viene ora ricacciata senza pietà, viene massacrata con gravi perdite e, se si guarda la mappa, controlla un territorio significativamente inferiore a Kursk, che si riduce ogni giorno. Sì, per arginare le perdite hanno tentato di lanciare un altro disperato assalto in un’altra direzione nelle retrovie della Russia, vicino a Glushkovo. Tuttavia, anche questo è stato ampiamente esagerato e sono stati respinti in un unico piccolo villaggio a pochi metri dal confine ucraino dopo essere stati gravemente distrutti:

Ora, Budanov ha tirato fuori la logora minaccia che la Russia sta cercando di porre fine alla guerra entro la metà del 2025 o l’inizio del 2026, perché dopo dovrà affrontare significative “pressioni economiche”:

Riassunto:

Budanov di ieri.

[La Russia vorrebbe terminare la guerra entro la fine del 2025-inizio 2026 con la sua vittoria, perché dall’estate del 2025 comincerà ad avere seri problemi nell’economia e ci sarà bisogno di mobilitazione, che potrebbe minare la situazione socio-politica, ha detto il capo della Direzione principale dell’intelligence del Ministero della Difesa, Kirill Budanov, citando dati russi.

“L’anno 2025 per loro, la fine del 2025 – l’inizio del 2026 – è fondamentale per loro. Vogliono finire tutto questo, perché secondo i loro calcoli, la Federazione Russa, se non uscirà da questa guerra come vincitrice condizionata, non avrà più la possibilità di vedere la Russia come una superpotenza, che è ciò a cui aspirano, per un futuro, per così dire, lontano, che è un orizzonte di 30 anni”, ha detto al 20° incontro annuale YES a Kiev il 13-14 settembre, organizzato dalla Fondazione Victor Pinchuk.

Budanov ha osservato che la Russia prevede che “tutti i suoi problemi inizieranno nell’estate del 2025”, poiché sia il fattore economico-finanziario che quello socio-politico si uniranno.

Secondo Budanov, la Federazione Russa sta ora giustamente combattendo il deterioramento della situazione economica perché si rende conto che il declino continua, che è già evidente e doloroso.

“Ma questo è ben lontano dall’apice. Prevedono che intorno all’estate del 2025, l’impatto negativo sull’economia diventerà molto evidente per il loro Paese. Tra l’altro, questo è collegato a molti processi che stanno cercando di accelerare nel loro Paese ora, al fine di uscire da questo periodo il più possibile, come vorrebbero. Purtroppo, vorrebbero chiudere il periodo con la loro vittoria”, ha aggiunto Budanov.

Secondo lui, la questione del sotto reclutamento nell’esercito sta diventando sempre più acuta in Russia. “Durante questo periodo (nell’estate del 2025), si troveranno di fronte a un dilemma: o dichiarare la mobilitazione, o ridurre in qualche modo l’intensità delle azioni militari, cosa che per loro potrebbe alla fine essere critica”, ha osservato il capo dell’intelligence militare ucraina.

Egli ritiene che la stanchezza da guerra esista in Russia, indipendentemente da ciò che si dice, perché la guerra ha già colpito un ampio segmento della popolazione russa.

Budanov ha ammesso che i russi sono apertamente felici del fatto che l’aggressore sia già riuscito a conquistare più del 30% del nostro Stato, e che disponga anche di salari elevati nell’esercito russo. Tuttavia, il numero di volontari sta diminuendo, il che ha portato a un aumento dei pagamenti una tantum alla firma del contratto a 2 milioni di UAH.

Il capo della Direzione principale dell’intelligence del Ministero della Difesa ha aggiunto che lo stato socio-psicologico della popolazione è stato influenzato anche dagli sforzi dell’Ucraina di trasferire le operazioni militari in territorio russo, in profondità. “Questo ha cambiato la visione del mondo (dei russi). Prima di allora, l’intera popolazione russa viveva nel paradigma secondo cui, a prescindere da tutto, siamo un Paese molto potente, siamo i più forti del mondo… E ora con le prime esplosioni, per così dire, a Mosca e nel territorio della Federazione Russa e così via, questo mito è stato distrutto”, ha spiegato Budanov.

Il capo dell’intelligence militare ucraina, citando documenti russi, ha osservato che se non ci sarà una vittoria russa entro la fine del 2025, rimarranno solo due superpotenze nel mondo – gli Stati Uniti e la Cina, e non ci sarà posto per la Federazione Russa.

“Lo capiscono chiaramente. Questo è un periodo chiave per loro. Pertanto, faranno tutto il possibile per vincere nella loro intesa. Altrimenti, saranno eliminati da tutti i processi globali. Tutto ciò su cui possono contare è la leadership regionale, e questo non gli va bene”, ha concluso Budanov].

Leggi attentamente quanto sopra: Budanov è in realtà sta dando una valutazione abbastanza accurata della situazione. Credo che Budanov non menta così apertamente come si pensa: presenta informazioni corrette, ma ciò che distorce è la successiva analisi delle stesse.

È vero che, in teoria, le pressioni economiche saranno aumentate entro l’estate, soprattutto se si considera che letteralmente ieri la Banca centrale russa ha appena aumentato il suo tasso di riferimento a un enorme 19% dopo aver dichiarato che l’inflazione è salita di nuovo a un livello scomodamente alto, il 7,6% per agosto.

E’ vero che la Russia dovrà probabilmente affrontare crescenti pressioni sul reclutamento, dato che la Russia ha verosimilmente aumentato i bonus di ingaggio a livelli senza precedenti negli ultimi tempi. Non ci può essere altra ragione per tali bonus di reclutamento se non quella di mantenere il flusso dei numeri costante come prima, il che significa che devono essere diminuiti.

Ma la domanda chiave a cui Budanov non ha osato rispondere è la seguente: questi numeri sono scesi vicino ai livelli dell’Ucraina? No.

I problemi economici o di reclutamento della Russia saranno altrettanto gravi di quelli dell’Ucraina nel 2025 o nel 2026? No.

Le condizioni economiche della Russia saranno anche solo lontanamente paragonabili a quelle di qualsiasi altra grande nazione occidentale del “primo mondo”? No.

Quello che Budanov sta dicendo in realtà è che le pressioni aumenteranno al punto da rendere le cose un po’ scomode per l’élite russa, ma questo alla fine non significa molto. Il capitale di “comfort” di cui dispone la società russa, il margine o la soglia di sopportazione del dolore, è così ampio che non è nemmeno lontanamente vicino al punto di minimo allarme. In effetti, un importante canale propagandistico di YouTube ha recentemente fatto il giro di Mosca intervistando i cittadini per strada per cercare di rispondere alla domanda sul perché nessun russo sia minimamente preoccupato per il Kursk o per le continue provocazioni ucraine.

La cosa che gli occidentali non riescono proprio a capire è che i cittadini russi hanno una tale inequivocabile certezza della loro vittoria da non essere minimamente infastiditi dai ridicoli “attacchi di droni su Mosca” di Zelensky – che, tra l’altro, non hanno colpito nemmeno vicino a Mosca, ma molto al di fuori dell’MKAD – né dalla pietosa incursione sul Kursk. I cittadini russi, infatti, sono ben informati e capiscono perfettamente che l’operazione Kursk non è altro che una trovata da quattro soldi volta a farli arrabbiare e a seminare il malcontento.

Mettiamola in termini di percentuali, per rendere più chiaro il punto. Se entro il 2026 la soglia della Russia, definita come 0% di perdita della guerra, potrebbe scendere dal 90% all’85%, nello stesso periodo quella dell’Ucraina sarà scesa dal 20% al 5%; e la maggior parte dei Paesi della NATO sarà ormai prossima al collasso a causa del disordine assoluto e dell’insoddisfazione sociale nei propri Paesi. Per esempio, persino Scholz è ormai prossimo a essere scaricato, visto che ora si dice che gli sia stato chiesto di ritirarsi dalle elezioni del 2025.

Il punto è che alcune “pressioni” economiche non significano che la Russia perderà o dovrà interrompere la guerra. Significa solo un po’ di riduzione della cinghia e altre misure correttive per far andare avanti le cose. Budanov cerca disperatamente di fare di una montagna un mucchio di mole nel suo tentativo di convincere la gente che la Russia ha un timer in corso, quando in realtà è la sua Ucraina che sta prosciugando la clessidra.

Per esempio:

Qui Arestovich si sofferma sulla crescente crisi demografica:

E qui il deputato ucraino Mykola Kniazhitsky, che afferma che centinaia di migliaia di ucraini fuggiti all’estero stanno scegliendo di rinunciare alla cittadinanza piuttosto che tornare:

Il tutto mentre Euromaidan Press ha appena pubblicato una statistica scioccante: l’Ucraina ha sia il più alto tasso di mortalità che il più basso tasso di natalità di tutto il mondo:

Anche l’ufficiale della riserva ucraina Tatarigami è stato costretto a dichiarare che l’Ucraina rischia la possibile estinzione:

Oggi, decine di milioni di ucraini sono sfollati, le città sono ridotte in macerie e altri milioni sono spinti nella povertà. Questa è la peggiore tragedia umanitaria del XXI secolo in Europa.

Nonostante l’incredibile resilienza del popolo ucraino e la sua eroica resistenza contro una delle più grandi forze militari del mondo, il collasso del Paese e la cancellazione della sua nazione sono una possibilità reale. Molti sostenitori pro-Ucraina in Occidente sembrano ignorare questa triste realtà, credendo che l’Ucraina possa resistere indefinitamente. Eppure, la popolazione si è quasi dimezzata, l’industria è in rovina e la gente lotta, impoverita, per il diritto fondamentale di non essere assimilata o esiliata in angoli remoti della Russia.

E tutto questo prima che la rete elettrica ucraina venga completamente spenta per sempre questo inverno. Immaginate come sarà l’Ucraina nell’estate del 2025, quando Budanov proclamerà che la Russia sperimenterà le prime piccole difficoltà economiche? Non credo che l’inflazione che sale di un punto percentuale o due sia paragonabile a un letterale collasso della civiltà. Il pregiudizio di normalità in Occidente è stupefacente.

Per ironia della sorte, Budanov ha fatto altri commenti di grande rilievo in un nuovo articolo della Ukrainska Pravda.

Beh, non è interessante? Una o due settimane fa abbiamo notato come l’uso dell’Iskander in prima linea sia in effetti “massicciamente” aumentato, a detta di tutti. Ora ne abbiamo la conferma.

Ma il motivo per cui questo è particolarmente divertente è il fatto che l’Occidente continua a cercare di vendere questa guerra come una sorta di smilitarizzazione “a basso costo” della Russia, acquistata a una “frazione minore” della spesa per la difesa dell’Occidente. In realtà, le prove suggeriscono sempre più il contrario. La Russia sta utilizzando un bilancio della difesa relativamente piccolo per svuotare completamente gli scaffali della NATO.

Un altro nuovo rapporto, ad esempio, afferma che il Regno Unito ha esaurito l’intero stock di artiglieria mobile per l’Ucraina:

Ha anche detto che il Regno Unito ha inviato “quasi tutte” le sue unità di artiglieria mobile AS90 in Ucraina.

Pollard ha aggiunto: “È stata la decisione giusta, assolutamente la cosa giusta da fare.

“Ma ora c’è da chiedersi cosa fare nel periodo intermedio”.

Il giornalista britannico della difesa interviene:

Egli nota come l’esercito britannico abbia ora solo 14 sistemi di artiglieria in totale, gli Archer svedesi per sostituire gli AS90 dismessi. Il problema è che la stessa Svezia, membro della NATO, aveva solo circa 30-40 Archer totali, di cui 8 ceduti all’Ucraina e ora 14 al Regno Unito, che ha ceduto tutta la sua artiglieria all’Ucraina. Quindi, la NATO non fa altro che rimescolare le sue scarse scorte tra i suoi membri. La Svezia si ritrova con solo ~20 o meno pezzi d’artiglieria per il suo intero esercito, mentre il Regno Unito ne riceve 14. La Russia ne ha migliaia, ma viene additata come il Paese che viene “smilitarizzato” dall’Occidente. La Russia ne ha migliaia eppure viene indicata come il Paese che viene “smilitarizzato” dall’Occidente. Ha senso?

Solo molto lentamente gli “esperti” militari occidentali stanno scoprendo come si combattono le vere guerre:

Immagino che avrebbero dovuto leggere il mio pezzo che ha delineato tutto tempo fa.

Ricordiamo che l’Ucraina ha svuotato l’Europa di gran parte della sua difesa aerea, e proprio nell’ultimo articolo abbiamo parlato del prosciugamento delle scorte statunitensi di ATACMS. Senza contare che all’Ucraina sono stati inviati circa 300 M777 americani, mentre gli Stati Uniti ne gestiscono solo meno di 1.000 in totale. Per essere precisi, l’esercito statunitense ne gestisce circa 500, e i marines statunitensi ne hanno inviati all’Ucraina altri 500-100. Quindi l’Ucraina ha già prosciugato il 20% della capacità di artiglieria dei Marines statunitensi.

E a proposito, perché nessuno menziona che l’M777 è prodotto nel Regno Unito? Si sostiene che la Russia utilizza “parti straniere” in tutti i suoi armamenti, eppure gli Stati Uniti non producono uno solo dei loro sistemi di punta nella sua interezza. L’Abrams con la sua canna tedesca e l’APS israeliano, l’F-35 prodotto in gran parte in Turchia e in molti altri Paesi, ma solo “assemblato” negli Stati Uniti, l’avionica israeliana negli Apache, i nuovi Bradley tutti prodotti dalla britannica BAE, eccetera. Tutte le armi “principali” degli Stati Uniti sono in parte o in toto prodotte da altri Paesi, quindi perché fare due pesi e due misure nei confronti della Russia che utilizza alcuni chip riutilizzati? In realtà, la Russia produce molti più sistemi propri rispetto agli Stati Uniti se si escludono solo i semiconduttori, mentre tutto il resto dei sistemi è interamente di produzione nazionale.

Per concludere quanto sopra, noteremo che Zelensky e l’Ucraina sono ora in una corsa contro il tempo. Non solo per i problemi della rete energetica e della società che presto arriveranno, ma anche per il potenziale di Trump in carica. Ricordiamo che Trump ha discusso la possibilità di revocare tutte le sanzioni russe perché “danneggiano il dollaro USA”. Cosa pensate che questo possa comportare per la teoria delle “difficoltà economiche” di Budanov dall’estate del 2025 in poi?

Zelensky è bloccato tra l’incudine e il martello, poiché la firma di qualsiasi trattato di pace significherebbe la sua fine. Qui il famigerato signore della guerra dei droni ucraino-ungherese Magyar minaccia direttamente il regime di Zelensky, qualora Z osasse in qualche modo rendere vano il loro sforzo bellico:

È interessante notare che anche lui afferma che la guerra finirà effettivamente entro la fine di quest’anno, una previsione che molti, da entrambe le parti, hanno fatto, se ricordate. Sembra che tutti si stiano davvero bevendo tutti i discorsi sulla pace, ma non c’è alcuna ragione immaginabile per la Russia di fermarsi in un momento in cui ha finalmente messo l’Ucraina alle corde e preparata per il colpo del KO.

Ecco come le unità ucraine hanno attraversato il confine verso l’area di Glushkovo, nella regione di Kursk, prima di essere fermate:

Geolocalizzazione intorno a 51.27321264487001, 34.553485762507975 appena a sud di Veseloe:

Ecco un altro video più lungo che mostra come hanno utilizzato i veicoli ingegneristici IMR per tagliare i denti del drago russo al confine:

Un episodio interessante si è verificato in Israele, dove gli Houthi hanno apparentemente umiliato le più potenti capacità di difesa aerea dell’intera alleanza occidentale colpendo una centrale elettrica israeliana con un missile balistico ipersonico da oltre 2.000 km di distanza:

Media israeliani: Il missile lanciato dallo Yemen verso la zona di Tel Aviv ha percorso più di 2.000 km, sorvolando (almeno) due cacciatorpediniere americani e una fregata francese che operavano sul Mar Rosso.

Questa è la centrale elettrica di Gezer, colpita oggi da un missile balistico yemenita. Quando si ingrandisce, le uniche strutture che assomigliano a quelle nel video sono esattamente al centro esatto della centrale.

Incredibile precisione dallo Yemen. Hanno colpito l’impianto proprio accanto alle turbine stesse. Se si guarda attentamente l’immagine, si possono vedere le due ciminiere che segnano la posizione delle turbine a gas che generano energia. Le condutture e le relative infrastrutture sono appena sotto, probabilmente le condutture del carburante che alimentano le turbine.

Potrebbe non sembrare un livello di precisione così elevato rispetto ad alcuni dei migliori equipaggiamenti militari, ma considerate la fonte.

Se lo Yemen ha razzi così precisi da riuscire a perforare i migliori sistemi di difesa aerea del mondo, cosa pensi che abbia l’Iran?

La parte della resistenza sostiene che il video qui sotto mostra la centrale elettrica di Gezer colpita dal missile; le foto satellitari sembrano mostrare una sezione rialzata simile a quella nel video:

Tuttavia, la parte israeliana sostiene che l’attacco ha colpito solo alcuni campi vicino a Kfar Daniel, Rehovot e alla stazione ferroviaria di Patei Modin, tutti situati, va notato, a un paio di chilometri dalla centrale elettrica di Gezer sulla mappa.

Ma anche fonti israeliane sono scioccate dal fatto che il missile possa eludere l’intera difesa integrata occidentale, che comprende Arrow e David’s Sling, progettati per fermare i missili balistici iraniani:

Affermano ancora di aver “abbattuti” il missile, ma solo quando era ormai prossimo a colpire, e quindi continuano a chiedersi come abbia potuto aggirare tutti gli altri livelli dei sistemi di rilevamento “più avanzati al mondo”.

Un altro articolo del Jerusalem Post sostiene che l’ultimo intercettore che lo colpì lo fratturò solo leggermente, ma non lo distrusse completamente: forse è un’ammissione in parte del vero risultato dell’attacco.

Le IDF hanno invece affermato di aver sparato contro il missile diversi intercettori, tra cui l’Arrow 2 e l’Iron Dome, e che almeno un intercettore ha colpito il missile ma non è riuscito a distruggerlo completamente al momento dell’impatto.

Invece, l’impatto dell’intercettore ha fatto sì che il missile si frammentasse nello spazio aereo israeliano e cadesse principalmente in un campo aperto vicino a Kfar Daniel, mentre altri pezzi di più intercettori cadevano in altre aree, come la stazione ferroviaria di Paatei Modiin e Rehovot.

Ora le IDF indagheranno sul perché l’impatto dell’intercettore abbia causato solo la rottura del missile e non lo abbia completamente distrutto.

Una fonte russa con maggiori dettagli possibili:

A proposito dell’attacco missilistico dello Yemen contro Israele, è quasi certo che abbiano utilizzato la loro variante nazionale del missile balistico ipersonico iraniano Kheybar Shekan-2, rivelato qualche mese fa come “Hatem-2”

Prima di ciò, lo Yemen aveva annunciato di aver avviato la produzione nazionale dell’originale Kheybar Shekan iraniano con il nome di “Palestina” (Falasteen). Il Kheybar Shekan-2 o “Hatem-2” è semplicemente una versione migliorata di questo missile con una testata ipersonica e gittata e manovre aggiunte.

Immagini: il missile ipersonico Hatem-2 lanciato mesi fa (immagine a sinistra) e il Kheybar Shekan-2 dell’Iran (immagine a destra); come si può vedere, i missili sono quasi identici, fatta eccezione per il fatto che lo Yemen utilizza materiali di qualità inferiore.

Gli Houthi avrebbero affermato che Israele ha sparato oltre 20 intercettori che hanno tutti mancato il bersaglio. Se un singolo missile, a quanto si dice nemmeno della classe più avanzata dell’Iran, potesse aggirare tutte le difese della NATO e colpire il cuore di Israele, non sarebbe di buon auspicio per un attacco iraniano di vasta portata di centinaia se non migliaia di varianti più avanzate. Né sarebbe di buon auspicio per l’Impero se Putin decidesse di ricambiare armando lo Yemen con una tecnologia ancora più avanzata; ciò andrebbe a dimostrare l’esitazione degli Stati Uniti nell’escalation contro la Russia.

Alcuni ultimi elementi:

L’Ucraina avrebbe pubblicato una minacciosa foto scattata da un drone della centrale nucleare di Kursk, con le ovvie insinuazioni:

In modo piuttosto sorprendente, Apti Alaudinov dice ai ceceni russi che si sono arresi volontariamente all’AFU di prendere a calci le pietre: non li vuole indietro e non combatterà per il loro ritorno:

Può essere scioccante per la nostra sensibilità, ma a quanto pare i ceceni vivono secondo un diverso codice di guerra, e arrendersi è un disonore più grave di quanto possiamo ragionevolmente comprendere. Infatti, nel video molto più lungo , spiega esattamente questo: arrendersi è sempre stato un grave disonore alla Bushido per i ceceni nel corso della loro storia; per non parlare del fatto che l’attuale conflitto è una guerra santa per loro, aggiunge, e tutti devono andare “fino alla fine” della loro linea del destino, anche se ciò significa morire piuttosto che arrendersi al nemico.

La Russia mostra un nuovo drone madre che lancia FPV più piccoli sulle retrovie del nemico:

A proposito di droni, un altro segmento riguarda la produzione dei UCAV russi Forpost, che coincide con la crescente osservazione di questi droni al fronte, come affermato l’ultima volta:

Riprese del Forpost-RU con i KAB-20 sospesi in preparazione al volo di combattimento, nonché un resoconto della produzione di questi droni.

Il drone è dotato di un nuovo vano convesso per ospitare le apparecchiature radar, nonché di nuovi timoni direzionali.

Un video che dimostra l’errore di credere alle cifre di Oryx per le “perdite russe”. Qui possiamo vedere un veicolo di ingegneria russo che traina un carro armato danneggiato in battaglia per metterlo in salvo sotto il fuoco nemico, con il commento che afferma che lui da solo ha già recuperato oltre 30 veicoli blindati nello stesso modo:

Un soldato del gruppo Vostok con il nominativo di chiamata “Petrovich” dimostra non solo nervi d’acciaio, ma anche un eccellente addestramento nell’evacuazione di veicoli corazzati danneggiati. Nel filmato presentato, “Petrovich” evacua un carro armato russo danneggiato sotto il fuoco nemico a nord di Vodyanoye. È stato riferito che “Petrovich” ha personalmente tirato fuori oltre 30 veicoli corazzati.

A proposito di recuperi, i russi hanno catturato sempre più mezzi corazzati di alta gamma nella regione di Kursk.

Ecco una CV90 svedese:

Seguito da un Marder tedesco funzionante:

E un video più completo della riparazione di un Bradley appena catturato:

Ed ecco un M1126 Stryker:

Per non parlare di tutti gli Stryker che sono stati distrutti di recente:

Per dimostrare quanto in basso siano sprofondate le pubblicazioni occidentali, ecco le ultime notizie pubblicate da Der Spiegel: Putin si è recato in Mongolia per ottenere la benedizione degli sciamani in previsione di una guerra nucleare:

A quanto pare, oggigiorno questo è considerato un argomento di studio serio: attenzione alla traduzione automatica poco chiara:

Bene, per concludere con l’assurdità, chiediamo all’intelligenza artificiale di aiutarci a visualizzare questa storia difficile da immaginare, va bene?


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 Il progetto sionista d’insediamento in Palestina. Il contributo degli studi di settler colonialism
  Diana Carminati1
1Università di Torino, Italia E-mail: carmidia@hotmail.com Ricevuto: 01/04/2020. Accettato: 30/07/2021. Come citare: Carminati, Diana. 2021. «Il progetto sionista d’insediamento in Palestina. Il contributo degli studi di settler colonialism». América Crítica 5 (2): 159-169. https://doi.org/10.13125/americacritica/5073
Abstract—This article is aimed to explain the real meaning of the Zionist project of a Jewish settlement in Palestine since the origin at the end of the 19th-century with Th. Herzl, and at the beginning of the 20th-century. The aim of the project was to settle there permanently the Jewish people coming from Europe, pushing the native population by all means “out of border”, and declare themselves as the sole natives. Unlike the apartheid that is achieved with a separation between natives and colonists, to which many proPalestinian activists relate, the settler colonialism organize itself through a progressive dispossession of land, resources and rights of [as regards] the native people. The scholars of settler colonialism, with their researches at the end of the 20th-century, claim that the “logic of elimination prevails on the logic of exploitation” and again “Settler colonialism is a structure not an event”. The article goes on with the analysis of settler colonial studies, also with the research of some Israeli scholars as Gershon Shafir, and put some other questions: How can we get to a decolonization in the present stage of neoliberalism? — Settler Colonial Studies, Palestinian Question, Zionist Settler Colonial Project , Neoliberalism, Decolonization. 
Abstract—Obiettivo di questo articolo è spiegare il progetto del movimento sionista sin dalle origini, con Th. Herzl e poi agli inizi del 20° secolo, per l’emigrazione in Palestina di popolazione ebraica europea, il suo insediamento stabile in quei territori, spingendo la popolazione nativa, con ogni mezzo, “al di là dei confini”, per poter essere dichiarati come unici nativi. Il colonialismo d’insediamento non si struttura come l’apartheid, come sola separazione fra coloni e nativi, ma tramite una progressiva spoliazione di terra e diritti. Gli studiosi di settler colonialism, disciplina sviluppatasi a fine ‘900, affermano che la “logica dell’eliminazione prevale su quella dello sfruttamento” e che “il settler colonialism è una struttura non un evento”. L’articolo procede con l’analisi degli studi di S. C. compiuti anche da studiosi israeliani come Gershon Shafir, per porsi anche altre domande: come si può arrivare ad una decolonizzazione, nella fase odierna di neoliberismo? — Studi di colonialismo d’insediamento, Questione palestinese, Progetto sionista d’ Insediamento coloniale, Neoliberismo, Decolonizzazione.
   INTRODUZIONE
Nel marzo 2011 alla SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra si tenne una Conferenza internazionale sul tema Past is Present: Settler Colonialism in Palestine. Lo scopo degli  organizzatori (Palestine Societye London Middle East Institute) era quello di sviluppare gli studi comparati di Settler Colonialism sul tema del progetto sionista in Palestina. In Europa si taceva, quasi un tabù, sul sionismo, le sue politiche e le sue modalità strutturali e  violente di spoliazione/espropriazione dei nativi, e del problema centrale di annessione illegale della maggior quantità di terra possibile in Cisgiordania, chiudendo i palestinesi in bantustan o cacciandoli con sistematici transfer. Nei media, fra gli intellettuali, nel mondo politico venivano trasferiti all’opinione pubblica concetti come occupazione, conflitto; nel mondo delle organizzazioni di solidarietà con la Palestina si riusciva a denunciare l’apartheid, come in Sud Africa. Ma si eludeva il problema del progetto di colonialismo d’insediamento cioè l’espulsione graduale di popolazione e annessione illegale di territori. Inoltre gli studiosi tendevano ad analizzare la questione palestinese come un caso “eccezionale” e a evitare di far emergere le questioni strutturali dominanti nel regime di colonialismo d’insediamento israeliano. La Conferenza alla SOAS offrì l’occasione per discutere tutto questo e dare un contributo più completo e approfondito, anche per chiarire e affrontare la questione del colonialismo d’insediamento presente oggi nel mondo. GLI STUDI DI Settler Colonialism COME SOTTOINSIEME DEGLI STUDI POSTCOLONIALI I primi studi di Settler Colonialism si avviano dagli anni 1985-‘90 e successivamente nel contesto neoliberista dominante del primo decennio del XXI secolo. Furono “una risposta australiana al consolidarsi e alla diffusione globale degli studi postcoloniali come discorso e come metodo”, come scrive Lorenzo Veracini, docente allo Swinburne University of Technology (Melbourne), e co-direttore della rivista Settler Colonial Studies(2010), in un intervento nel 2017 (Veracini 2017a). Lorenzo Veracini afferma nello stesso saggio: «gli studi di SC possono offrire un contributo per la comprensione del contesto settler, su quello che è stato il loro modo di agire e pensare nel passato, quali modalità di settler colonialism continuano e/o si rinnovano nel presente e se c’è una possibilità oggi e nel futuro, di procedere a “decolonizzare” anche dal loro interno i soggetti settler” (NdT)1 . Essi, afferma Veracini nell’intervento citato, dovrebbero essere parte (come  soggetti agenti) della loro decolonizzazione. Gli studi di Settler Colonialism intendevano offrire un quadro interpretativo più preciso. Fra i primi importanti scritti quello di Patrick Wolfe, a fine anni ’90 (Wolfe 1999), che descrive come gli antropologi erano, sono inseriti [integrati] in una articolata forma di dominio. Caratteristica degli studi di Settler Colonialism è il loro carattere transdisciplinare e comparativo. In seguito, l’analisi di Wolfe prosegue con l’articolo sulla eliminazione dei nativi del nord America. (Wolfe 2017). Nel testo di Veracini (2016), scritto in memoria di Wolfe, morto nel 2016 , venivano messe in luce non solo le caratteristiche di Wolfe, come studioso “outsider”, le sue modalità di studi per lavori interdisciplinari e comparati, ma per aver proposto, dopo un lungo percorso di riflessione, alcuni nodi cruciali. In particolare, la definizione di Settler Colonialism come modalità di dominio distinto dal colonialismo, la sua continuità dal passato al presente, accompagnata dalla sempre più evidente e diffusa “logica eliminatoria” nella fase della globalizzazione. Al centro dell’analisi di Wolfe è l’affermazione che l’interesse principale degli invasori è l’accaparramento della terra con l’eliminazione dei nativi, considerati non forza lavoro utile, ma soggetti superflui al loro progetto. «I coloni vengono per restare [e sostituirsi ai nativi]. La logica dell’eliminazione prevale su quella dello sfruttamento», scrive Wolfe distinguendo così tra colonialismo e Settler Colonialism. Distinzione che Veracini riprende: «Se si arriva da fuori non è la stessa cosa dire “tu devi lavorare per me” o “tu devi andartene» (Veracini 2017b: 33). Per giustificare la loro espropriazione, espulsione e successiva eliminazione i nativi vengono “razzializzati”, stigmatizzati come non umani, “disumanizzati” per procedere alla loro eliminazione o, solo in seguito e in qualche caso, all’assimilazione biologica e culturale. Il colonialismo d’insediamento, afferma Wolfe nell’intervento del 2006, non prende di mira «una razza in particolare, perché una razza non può essere considerata come data; si costruisce in base all’obiettivo» (Wolfe 2017: 46). Il problema principale è quindi l’accesso alla terra, considerata nullius. «Qualunque cosa ne dicano i coloni», scrive Wolfe, che si occupa di mettere in correlazione Settler Colonialism e genocidio, e pubblica questo intervento su Journal of Genocide Research, «il motivo principale dell’eliminazione non è la razza o la religione, l’etnia, il grado di civiltà, ecc. ma l’accesso al territorio. La territorialità è l’elemento specifico, irriducibile del colonialismo d’insediamento» (: 58). La  motivazione primaria è quella di farli progressivamente sparire e sostituirsi ad essi diventando nativi. Perché la terra, in particolare? Perché l’espansione in terra ‘vergine’, desolata, deserta, era l’elemento cruciale per il colonialismo d’insediamento. In queste terre vivevano indigeni ‘nomadi’, e il nomadismo diventa quindi uno stigma di superfluità, giustificazione per l’espulsione di popolazione non produttiva, e per l’inserimento di immigrati europei. Perché l’espulsione invece dello sfruttamento? Dopo l’accaparramento della terra, il problema dei coloni, e soprattutto in seguito dei burocrati governativi, divenne quello di distruggere ciò che veniva definita, con una categoria politica dell’occidente, la loro ‘indigeneità’, la loro identità indigena e i loro diritti sulla terra, cioè non solo la loro permanenza sulla terra, che era in proprietà collettiva, come insieme di tribù, ma l’identificazione con una cultura propria, che si opponeva al modo di dominio capitalista che allora si stava rafforzando anche nelle colonie. Il nomadismo e la proprietà collettiva diventano così il peccato originale da estirpare (: 58), occorreva distruggere in modo violento ogni traccia di quella cultura, appropriandosi di ogni cosa. Lasciando il ‘lavoro sporco «alla marmaglia di fuorilegge» che, soggiunge Wolfe, «proveniva generalmente dalle fila dei senza terra europei». Bianchi. In seguito si tentò di assimilare i nativi sempre in modo violento. L’articolo di Veracini, “Kill the Setttler in Him and Save the Man” (Veracini 2017a), cita, seguendo Wolfe, un libro di Ward Churchill (2004), che parla di trasferimenti forzati dalle scuole residenziali per giovani indiani delle riserve in famiglie di coloni bianchi, avvenuti sino agli anni ’60 in Canada e Stati Uniti del nord, e con rapimenti di fanciulli nativi fra gli aborigeni dell’Australia poiché era necessario acquisire la ‘cultura’ del mondo dei coloni e perdere la propria anima indigena. Se i coloni diventano in seguito nativi, il colonialismo d’insediamento tenderebbe successivamente a estinguersi. «Mentre il colonialismo riproduce sé stesso [. . . ] il colonialismo d’insediamento estingue sé stesso e giustifica il suo operato sulla base dell’aspettativa di una sua futura scomparsa» (Veracini 2017b: 35). Anche se poi in taluni casi, come si vedrà in Palestina/Israele «queste strutture antitetiche possono intrecciarsi» e non si può ancora oggi parlare di un colonialismo d’insediamento compiuto (Veracini 2013).
LA ‘ COLONIZZAZIONE SISTEMATICA’ NEL PENSIERO DI E. GIBBON WAKEFIELD
Le ricerche più recenti sul colonialismo d’insediamento hanno potuto trarre conferma dell’ideologia passata e presente ancora oggi, dal pensiero degli studiosi liberal dei primi decenni dell’800, che furono anche i primi organizzatori del Settler Colonialism. Nel 2015 Veracini scrive insieme con Gabriel Piterberg, prof. alla UCLA, USA, un articolo per approfondire il percorso dei Settler Colonial Studies (Piterberg e Veracini 2005). In esso viene ricostruita una genealogia del pensiero di studiosi liberal della middle class inglese negli anni ’20-‘30 dell’800, sul fenomeno delle migrazioni nei nuovi continenti, in Australia e negli Stati Uniti. Migrazioni e colonizzazione dapprima di detenuti (in Australia e Nuova Zelanda) e successivamente di gruppi sociali di middle class e di lavoratori poveri, che in Europa, in quella fase delle primi crisi del modo di produzione capitalista, erano già superflui. Veracini e Piterberg individuano in particolare uno studioso liberal, Edward Gibbon Wakefield (1796-1862) come teorizzatore principale (anche se prima di lui 1790-1810 vi furono federalisti USA a pensare a tale progetto) di una migrazione/colonizzazione ‘sistematica’ e quindi di un settler colonialism distinto dal colonialismo tradizionale. Con il progetto di colonizzazione ‘sistematica’, Wakefield pensava a una possibilità di inserimento degli immigrati nelle terre, definite terra nullius, abitate da indigeni, superflui, dietro pagamento di un ‘prezzo adeguato’ (sufficient price) per la terra (al governo inglese tramite le società private che si stavano costituendo e talora ai capi indigeni (Steer 2017)). Per evitare che fossero acquistate da immigrati che non avrebbero voluto sottomettersi alle regole della produzione capitalistica. Il pensiero di Wakefield è definito cruciale, a partire dallo scritto Letter from Sidney, del 1829, per la sua influenza, o per lo meno per la ricezione e i commenti, sul pensiero di Marx, e per aver posto al centro, seppure in modo non ancora del tutto consapevole, sia il concetto di accumulazione primitiva come modalità di dominio presente ancora nei primi decenni dell’8002 sia il concetto di relazione, definita poi più chiaramente da Engels e Marx, fra soggetti dominanti (i datori di lavoro)  e dominati (i lavoratori). Gli autori riprendono Wolfe che aveva affermato nel suo saggio del 1999: «Le colonie settler non furono stabilite nella prima fase per estrarre surplus dal lavoro indigeno ma organizzate per l’espropriazione e il trasferimento degli indigeni e l’eliminazione delle società dei nativi. Che possedevano la terra e che erano refrattarie al sistema di produzione capitalistico»3 (Piterberg e Veracini 2005: 463–466). Aveva precisato Wolfe ed è questo il paradigma al centro della sua analisi :«I coloni erano venuti per restare – The invasioni is a structure not an event» (Wolfe 1999: 2). Importante è mantenere la terra per i nuovi immigrati europei.
ACCUMULAZIONE PRIMITIVA IN WAKEFIELD
Negli scritti di Wakefield emerge il concetto di accumulazione primitiva in una accezione particolare: È una accumulazione primitiva che procede e si trasferisce dall’Europa alle colonie. Affermano Veracini e Piterberg, che a partire da Wakefield, si sviluppa il concetto di una accumulazione ongoing, che prosegue nel tempo, anche se con molte trasformazioni. Vi è una intima connessione fra accumulazione primitiva della prima fase (fine 1600-1700) e settler colonialism agente in particolare nella seconda fase (dal 1800 in poi). Il legame fra loro è il concetto della separazione: lavoratori europei separati dalla terra, dalle case e dai loro mezzi di produzione e similmente gli indigeni delle terre d’oltremare, come pure i coloni sprovvisti di denaro sufficiente, obbligati quindi a vendere la loro forza lavoro per guadagnarsi la sopravvivenza. È una separazione coercitiva, violenta, con l’uso della forza militare e di mezzi legali coercitivi. Nel saggio gli autori citano R. Luxembourg e nella fase odierna lo studioso M. De Angelis (Piterberg e Veracini 2005: 465). Il concetto di terra nullius per le terre scoperte dagli europei, già definito sin dalla metà del secolo XV, con la bolla del papa Nicolò V del 1452, la Discovery Doctrine, fatta per il re del Portogallo e poi per Cristoforo Colombo, fu in quei decenni e per tutto il secolo un concetto dominante. Il transfer della terra nullius avveniva tramite un settler contract. Lo si trova nei trattati del governo degli USA con i nativi americani. Resta nella legge australiana fino al 1993. Il Settler Contract è una forma di contratto sempre unilaterale, una «specifica forma di espropriazione»: «le comunità  indigene e la gente che abita quella terra sono assenti dal contratto, poiché diventano superflui nella formazione socioeconomica così definita dai coloni, che hanno avuto l’abilità di imporre a loro» (: 464–465)4 . Questa modalità violenta del capitalismo, il momento chiave della accumulazione primitiva, la si poteva trovare quindi anche «alla fine del mondo nella terra desolata» (: 465). La formazione di forza lavoro era basata esclusivamente su forza lavoro bianca (anche se si riscontra qualche raro esempio di lavoro temporaneo per i nativi. Colonie che venivano così definite pure settlements. Era un progetto di società nuova sulla base della terra espropriata. «Colonizzazione significa la creazione e l’incremento di qualsiasi cosa se non la terra. Dove non c’è nulla se non la terra». Anche se poi avverrà spesso una commistione della terra presa ai nativi e di forza lavoro (di lavoratori poveri senza risorse) (: 464–473). Nel 1833 Wakefield scrive England and America nel quale parla anche del fallimento di alcune colonie d’insediamento (Argentina e la costa ovest della Australia (West Holland). Perché questo fallimento? nonostante la terra buona, un buon clima, capitale e forza lavoro? Perché molti, venuti come lavoratori al seguito di qualche grande proprietario, tendevano poi a comprare con pochi soldi la terra e diventare proprietari. Quindi tendevano a non entrare nel sistema di «relazione della produzione capitalistica», così facendo non producevano il surplus, il plusvalore necessario al funzionamento del capitalismo. Marx descrive la ‘scoperta’ di Wakefield: «il suo grande merito fu di aver scoperto che il capitale non è una cosa, ma una relazione sociale tra persone che è mediata dalle cose [. . . ]. Il capitale è una relazione sociale di produzione. È una storica relazione di produzione» (Marx 2006; Pappe 1951). Come osserverà Marx successivamente, un altro punto, fatto emergere da Wakefield, stava al centro del processo di produzione capitalista: il legame fra terra, capitale e forza lavoro: «il regime capitalista incontrava ovunque [in Europa] la resistenza dei produttori che possedevano i mezzi di produzione, con i quali essi lavoravano e guadagnavano ricchezza per sé stessi con il loro lavoro invece di lavorare per arricchire un capitalista» (Piterberg e Veracini 2005: 473). L’espansione in terre ‘vergini’ e il loro sfruttamento erano un elemento fondante della rivoluzione industriale. Occorreva sempre più espropriare terra e mezzi di sussistenza ai più poveri in Europa per obbligarli a vendere la loro forza  lavoro e diventare proletari e produttori di merci da vendere sul mercato anche nelle colonie. Afferma Wolfe: «Dietro al colonialismo d’insediamento c’era “il motore della macchina internazionale che collegava la lana australiana alle fabbriche tessili dello Yorkshire e, in via complementare, al cotone prodotto nelle diverse situazioni coloniali quali l’India, l’Egitto e gli Stati schiavisti del profondo sud» (Wolfe 2017: 55). Il progetto primitivo di Wakefield per una “colonizzazione sistematica” risultò in Nuova Zelanda un fallimento5 . Il pensiero di Wakefield rifletteva, in quei primi decenni, la previsione di una crisi del capitalismo e di tensioni tra classi e possibili rivoluzioni cartiste e socialiste in Europa (anni 1840-1860). Si voleva “esorcizzare” il mondo upside down (Piterberg e Veracini 2005: 471). Vissuto nella fase fra il 1820 e 1850, Wakefield tendeva, rispetto a quanto elaborato da Marx, a mantenere un equilibrio nel sistema sociale britannico facendo emigrare il surplus dei lavoratori eccedenti e poveri nelle terre d’oltremare (: 468–471). Il flusso dell’emigrazione fu deviato in seguito dalle colonie inglesi a quelle del Nord America. Marx aveva invece come obiettivo la lotta di classe, la rivoluzione in Europa. Wakefield, scrivono Veracini e Piterberg, privilegiava un mondo che si spostava dal dentro al fuori (turned inside out) piuttosto che la rivoluzione, un mondo turned upside down, come scriveva nel 1972, lo storico Christopher Hill. Marx dissentiva da Wakefield e pensava che la società settler puntava alla sua riproduzione, e a diventare essa stessa nativa, e non alla produzione: potevano produrre in parte per il mercato ma, come piccoli produttori per sé e le loro famiglie. Il pensiero di Wakefield fu per lungo tempo abbandonato dagli studiosi a vantaggio delle riflessioni su Marx e le sue teorie. Fu ricordato negli anni ’60 e poi ripreso da Patrick Wolfe negli anni ’90. Una critica a Wolfe da parte di Veracini e Piterberg viene fatta sul concetto della logica di eliminazione, come se fosse una modalità di dominio sempre funzionante, senza vie di mezzo e non anche un progetto dagli esiti dialettici o incompiuti. Spesso la logica dell’eliminazione si accompagna a quella dello sfruttamento. «In una la tensione dialettica fra sfruttamento ed eliminazione» (Veracini 2017a) con possibilità binarie di dominio e oppressione.
  IL PROGETTO DEL SIONISMO PER UN COLONIALISMO D’INSEDIAMENTO IN PALESTINA
La Conferenza, Past is Present: The settler colonialism in Palestine, organizzata alla SOAS nel 2012, si inseriva nei settler colonial studies e affermava che «il colonialismo d’insediamento è il paradigma centrale per capire la ‘questione palestinese’: essa non è unica come viene rappresentata, con una minima somiglianza con altri conflitti coloniali. . . La conferenza cerca di comprenderla all’interno di analisi comparate del colonialismo d’insediamento, di rompere gli schemi e di ri-posizionare il movimento palestinese all’interno di una storia universale di de-colonizzazione». Importanti furono le ricerche della Oral History sulla Nakba e l’espulsione dei palestinesi come punto non originario della catastrofe palestinese. Negli anni’60, vi era già stata una prima riflessione critica riguardo alla costituzione dello Stato di Israele6 e del progetto sionista di fine ‘800, un progetto analizzato dallo studioso Fayez Sayegh (1922-1980), palestinese nativo della Siria ed educato a Beirut alla American University, dove insegnò. Nel 1965 Sayegh scrive The Zionist colonialism in Palestine, con una visione precisa della situazione e di quello che era stato il progetto sionista: fondare lo Stato degli ebrei ed ‘eliminare’ i palestinesi. Ma era un’analisi che, seppure molto puntuale, usava ancora soltanto l’elemento ideologico dell’alterità, della razza. «L’identificazione razziale sionista ha tre corollari: l’autosegregazione razziale, l’esclusività razziale e la supremazia razziale». Su questo era intervenuto nel 1967 lo studioso ebreo francese Maxime Rodinson, pubblicato sulla rivista di J.P. Sartre, Les Temps Modernes, con un intervento, Israel: un fait colonial?, che aveva suscitato molte critiche da parte degli israeliani. In Israele queste analisi sono state da sempre molto contestate. È sempre prevalsa la narrazione ufficiale imperniata sul mito del ritorno degli ebrei alla terra promessa da Dio ad Abramo. Per quanto riguarda Israele, affermava Veracini (2013), questa struttura non si può ancora definire come settler colonialism compiuto, ma un insieme di colonialismo e di settler colonialism: i nativi non sono ancora stati cacciati tutti e il problema demografico è sempre preoccupante. Questi studi, nel silenzio della sociologia più accreditata, hanno avuto spazio soltanto a partire dalla   fine degli anni ’80. Fra molti e il primo in termini assoluti per l’ampiezza e profondità delle ricerche, si ricorda quello del sociologo israeliano Gershon Shafir, Land, Labor and the Origins of the Israeli-Palestinian Conflict 1882-1914, pubblicato nel 1989 (Shafir 1996). È una ricerca puntuale imperniata su di una motivazione non solo ideologica ma economica, cioè l’analisi del binomio terra/lavoro. E qui la riflessione e lo studio di Gershon Shafir appare «l’analisi più completa della base materiale della formazione della società israeliana», per la formazione di una nuova società, di ‘uomini nuovi’, in uno dei territori di colonialismo d’insediamento del ‘900: cioè la Palestina/Israele, che definirà tutta la questione palestinese. Così scrive il sociologo Gabriel Piterberg nel suo intervento alla Conferenza alla UCLA nel 2014 sul colonialismo d’insediamento. Shafir si pone in contrasto con tutta la sociologia israeliana sua contemporanea (Baruch Kimmerling compreso) e i suoi studi rappresentano un cambio di paradigma cruciale. Diventano una conferma per le analisi di alcuni studiosi del settler colonialism, come ad esempio l’intervento proposto nella citata Conferenza alla SOAS del 2011, di P. Wolfe, Purchase by Other Means (Wolfe 2012). Ma vediamo la storia delle prime emigrazioni ebraiche dall’Europa in Palestina. Poiché le grandi migrazioni ebraiche si dirigevano principalmente verso gli Stati Uniti. Tra il 1880 e il 1900 oltre un milione di ebrei emigrarono negli Stati Uniti dai paesi dell’Europa, in particolare dalla Russia e dall’est europeo. In quella prima fase pochi ebrei europei volevano emigrare in Palestina, preferivano gli Stati Uniti. Si stima che in Palestina emigrarono tra il 1882 e il 1914 da 50.000 a 70.000 ebrei, dal 1919 al 1948 la cifra è di circa 500.000 persone (C. Klein 2003). La causa prima di queste migrazioni è rintracciabile nelle politiche antisemite europee e nei pogrom, ma come aggiungono lo studioso Claude Klein e la filosofa Hannah Arendt (1986), anche nella estrema povertà degli ebrei dell’est europeo, diffusa in tutta Europa per la crisi economica, la Grande depressione della seconda metà del secolo XIX. Klein scrive nel suo saggio: «Il sionismo apparirebbe meno glorioso se si immaginasse che sia stato inventato [. . . ] per regolare i rapporti fra gli ebrei occidentali e gli ebrei orientali» (C. Klein 2003: 137). Cioè per dare una sistemazione agli ebrei poveri dell’Est7 .  Nel 1896 il giornalista e scrittore Theodor Herzl pubblicava un libro, Lo Stato degli ebrei e scriveva che occorre creare uno Stato per gli ebrei. «L’idea di Stato ha questa forza» (Herzl 2003: 29), fa parte del sogno reale per tutto il popolo ebraico «L’anno prossimo a Gerusalemme» (: 29). Herzl, da intellettuale borghese non conosceva se non superficialmente il problema degli ebrei dell’Est europeo, ne vedeva solo gli esiti negativi nella loro emigrazione in massa, negli anni ’80-’90 a Vienna. In una sua annotazione importante in particolare sul piano ‘geostrategico’, relativa ai tempi, Herzl si chiede se è preferibile emigrare in Palestina o in Argentina? Se si opta per la Palestina «Per l’ Europa noi formeremmo là un elemento di muro contro l’Asia come l’avamposto della civilizzazione contro la barbarie» (: 44). Nel suo libro egli immagina e organizza in modo meticoloso questa grande “riconfigurazione demografica” degli ebrei nei termini di una migrazione, iniziando dai più poveri, abitanti nell’Est europeo e sottoposti ai pogrom e alla estrema povertà, nella fase della grande depressione in Europa del 1873-95, per convincere poi a seguire la piccola e media borghesia del Centro Europa, la più numerosa. Con un complicato meccanismo di acquisto di terre mediante due strutture importanti come la Society of Jews, che si sarebbe occupata dei problemi di diritto pubblico e privato e la Jewish Company, che avrebbe organizzato la raccolta di fondi per l’acquisto di terre, in particolare terre demaniali dell’Impero Ottomano. Tutto si dovrà svolgere su basi scientifiche. Ma non c’è traccia di problemi legati alla condivisione della terra con gli abitanti nativi. Nelle pagine del suo diario poco tempo prima egli aveva delineato un progetto di ‘transfer’ della popolazione nativa, povera, non ebrea. Pensa a un territorio non condiviso, con separazione dai gruppi che lo abitano. Nel suo diario, il 12 giugno 1895, scrive: (nella trad. dal tedesco in inglese) “We shall try to spirit the penniless population across the border” 8 . Ma questo progetto restava ancora in una fase di difficile soluzione e la terra di Palestina non era ancora stata definitivamente scelta. Nella prima immigrazione in Palestina (Prima Aliya) 1882-1904, di gruppi di ebrei russi, si era imposto  il problema della terra e dei modi di acquistarla, poiché il regime proprietario era nell’Impero Ottomano molto complesso. Nel 1882 il Barone Edmond Rothschild aveva iniziato un progetto coloniale con l’acquisto di migliaia di ettari di terra nell’area poi chiamata Rishon Letzion (vicino alla attuale Tel Aviv), per lo sfruttamento di quelle terre usufruendo ancora della mano d’opera locale araba. Secondo alcuni studiosi recenti questo primo progetto fu fallimentare. Prese progressivamente piede l’idea di una struttura proprietaria solo a base etnocratica, degli ebrei, secondo il modello tedesco per la germanizzazione della Prussia Orientale. Nel 1901 fu costituito il Jewish National Fund e i fondi cominciarono ad affluire alla leadership sionista dei coloni, cioè a esperti come il sociologo Arthur Ruppin (nominato nel 1908 capo dell’esecutivo sionista in Palestina), che organizzò i primi kibbutzim collettivi, insieme a Nachman Zirkin e Ber Borokhov e altri. Si imponevano i problemi dei finanziamenti per l’acquisto della terra, che avvenivano tramite acquisizioni dai proprietari locali spesso assenti (gli effendi o funzionari governativi turchi o arabi), sia da piccoli proprietari indebitati e costretti a vendere, sia dallo Stato Ottomano come terra pubblica statale, sia come terra appartenente ai religiosi (Wakf), o terra dello Stato ma regolata con usufrutti di 5 anni per gli affittuari e reversibile se non ben coltivata (Wolfe 2012).
  LA CONQUISTA DEL LAVORO (1904-1920)
 Nella Seconda Aliya (1904-1914) la questione della terra ma soprattutto quello della forza-lavoro, diventeranno il problema prioritario. Gershon Shafir studia il problema nella fase 1904- 1916, nelle colonie-cooperative ebraiche che si costituiscono a partire dal 1909 (Degania) e che attuano l’esclusione della mano d’opera araba: è il progetto della ‘Conquista della forza-lavoro’. È una operazione necessaria per assicurare lavoro agli immigrati ebrei anche per il timore che essi possano nuovamente emigrare altrove. Ma è un’operazione che porta alla separazione del lavoro ebraico, che doveva essere meglio remunerato (secondo i criteri di migliori salari secondo standard europei) rispetto alla sovrabbondanza di manodopera araba molto meno costosa. È contemporaneamente un progetto economico, ma anche di distinzione e progressiva separazione ed esclusione della popolazione nativa. L’operazione fu attuata dal sindacato sionista laburista Histadrut, soprattutto a partire dal 1920, sotto l’Ammi  nistrazione britannica (Piterberg 2015), con l’intensificazione di colonie autonome e collettive dei “kibbutzim” e “moshavim”. Durante gli anni ’20 il movimento sionista veniva rafforzato a livello teorico da una nuova formazione politica, il Revisionismo sionista di Vladimir Jabotinsky, che con il suo libro Il muro di ferro (1925), propugna non solo la separazione ma una risposta violenta al conflitto con gli arabi (Massad 2013). Le prime colonie ebbero in seguito, soprattutto negli anni ’30, un forte sviluppo con il sistema difensivo della “Torre e palizzata” (Bartolomei, Carminati e Tradardi 2015: 159–160); negli anni 1936-39, anni di importanti ondate migratorie, dopo l’avvento di Hitler in Germania, furono costruiti 57 avamposti difesi e fortificati (Koestler 1946) 9 . Il colonialismo d’insediamento in Palestina, afferma Shafir, è frutto di una progressiva lenta spoliazione, separazione, esclusione, dal 1904 sino al 1947, sfociata poi nella pulizia etnica, la Nakba del 1948-49. L’analisi dello studioso australiano Patrick Wolfe (2012) si concentra soprattutto sul ruolo avuto dal modello di separazione fra nativi e nuovi immigrati. Wolfe mette in evidenza come la ricerca di Shafir sull’accaparramento della terra in Israele da parte delle agenzie del movimento sionista sin dal primo decennio del ‘900, con l’espropriazione della terra dei nativi, tramite acquisti anche forzati e la Conquista del lavoro, cioè l’espropriazione del lavoro palestinese, cioè il divieto di occupare lavoro palestinese, ma rafforzare solo più forza lavoro ebraica per la costruzione, organizzazione di una società ebraica nuova di ‘uomini nuovi’, diventa paradigma fondamentale per la comprensione della strutturazione della società israeliana come pure settlement e in seguito per la formazione dello Stato. Pertanto, scrive Wolfe, il riferimento événementiel non può essere riferito alla Nakba, come unico punto di partenza (“a point of origin” (: 133)), di quello che è stato sempre chiamata la Catastrofe palestinese, uno spartiacque storico, ma a un progetto sionista strutturale già alle sue origini e nella sua fase più rilevante, la fase della seconda Aliya dal 1904 al 1914. Wolfe aggiunge anche un punto importante: i coloni invasori ebrei europei portavano con sé in dote non solo una categoria economica, l’accumulazione primaria, ma culturale, e cioè «specifiche ideologie di classe, razza e nazione che avevano in modo decisivo partecipato all’assoggettamento all’interno [del loro paese] e all’esterno» (138). E aggiunge infine: «La Nakba accelerò semplicemente, in modo molto radicale, i mezzi ‘slow motion’ per questi fini che erano stati gli unici mezzi disponibili per i sionisti mentre stavano ancora costruendo   il loro stato coloniale» (Wolfe 2012: 159). Lo Stato di Israele – conclude Wolfe – deve le possibilità della sua attuazione non soltanto alla guerra del 1948-49 tra esercito arabo e gruppi armati ebrei della Haganah (e altri gruppi), conclusasi con la Nakba palestinese, con l’espulsione di 750.000 palestinesi, ma proprio alla fase di inizio secolo, con l’organizzazione di una struttura particolare di dominio, fondata sulla proprietà della terra e sulla separazione ed esclusione dal lavoro dei non ebrei e sostenuta dal progetto di un modello di Stato ebraico, di uno Stato cioè esclusivo degli ebrei, che tendeva alla espulsione, al transfer dei nativi (Pappé 2017: 162). La soluzione del transfer permane nei decenni e la si ritrova nel pensiero e nel diario di un funzionario sionista Joseph Weitz, nel 1967 ex capo del Dipartimento della colonizzazione della Agenzia ebraica, che scrive sul quotidiano Davar (Laburista) nel 1967, ma che riprende e cita dal suo diario del 1940: Fra di noi deve essere chiaro che non c’è posto (room) per entrambi i popoli in questo paese. . . Noi non potremo arrivare al nostro obiettivo di essere uno stato indipendente con gli arabi in questo piccolo paese. L’unica soluzione è la Palestina, almeno la Palestina occidentale (a ovest del Giordano) senza gli arabi. . . e non c’è altro modo se non di trasferire gli arabi da lì ai paesi vicini; trasferirli tutti; non un villaggio, non una tribù dovrebbe rimanere (Buck 1973) 10 . Con queste nuove ricerche venivano a essere messi in discussione alcuni punti cruciali della narrazione ufficiale sul progetto sionista, maggioritaria in Europa, diffusa a partire dagli anni ’80 in Italia e che ha pervaso l’intero campo politico e i media. È stata ed è, nel contesto italiano ed europeo, come abbiamo affermato nell’introduzione, una narrazione paralizzante, non contraddetta se non da pochi studiosi e attivisti definiti subito antisionisti e quindi antisemiti, dalla quale è derivata in questi decenni l’impossibilità di una discussione seria. Nel contesto generale, la storia della questione palestinese, sembra iniziare soltanto dal 1967 (fatta  eccezione per l’evento Nakba del 1948) e l’obiettivo di lotta resta “fine dell’occupazione” e non “lotta di liberazione”, come per altri paesi occupati dal colonialismo occidentale. Da pochi anni la parola più accettata nel campo dell’attivismo pro Palestina è diventata quella di apartheid. Ma non basta a spiegare. . . e nasconde il vero obiettivo. . . Sarebbe quindi meglio parlare di “questione sionista”, cioè del rifiuto della critica delle origini dello Stato di Israele come stato fondato su un progetto di colonialismo d’insediamento. La narrazione ufficiale pone in secondo piano, cancella nell’opinione pubblica, le connessioni tra il progetto sionista di inizio ’900, come progetto di insediamento coloniale progressivo in Palestina, frutto dei disegni imperialisti occidentali e della politica economica israeliana sempre più inserita negli assetti mondiali del complesso militare-industriale occidentale. È invece una modalità di dominio etnico e di classe. Perché la situazione attuale dei Territori Palestinesi Occupati mostra il dominio di predazione e spoliazione da parte del capitale globale, non solo israeliano, delle risorse del territorio palestinese: acqua, cave, miniere, terre fertili come la Valle del Giordano, risorse turistiche e archeologiche, risorse del Mar Morto11 .
“IL settler colonialism NON È FINITO”. IL CAPITALISMO ESTRATTIVO ODIERNO E LE NUOVE ESPROPRIAZIONI
 Lorenzo Veracini venne a Torino nel giugno 2015. E discusse con noi un intervento, presentato all’Istituto universitario Europeo di Firenze, che riassumeva un suo lavoro di riflessione (Veracini 2015) e sintesi di numerosi studi di questi decenni sul ripensamento di alcune categorie analitiche chiave del pensiero marxiano e in particolare quella di “accumulazione originaria”. ((Harvey 2009: 82–83), ma anche di N. Klein (2007), Saskia Sassen, S. Mezzadra, studiosi indiani e molti altri). Nel suo intervento, “Affrontare il colonialismo d’insediamento del presente” in sintesi analizzava il modo di produzione capitalista nella fase della globalizzazione. Sosteneva che il colonialismo d’insediamento “come modo specifico di dominio è diventato globale e definisce gli ordinamenti politici attuali”.
  Egli poneva in primo piano la questione del settler colonialism nel presente e cioè di un modo di dominio globale, riprendendo sempre David Harvey, che non si espande più “mediante egemonia”, ma mediante un ritorno alla violenza extraeconomica e alla coercizione, secondo una “logica estrattiva”, che necessita sempre più di terra e sempre meno di lavoro, con un aumento considerevole dell’accumulazione per espropriazione senza riproduzione (espropriazione di beni collettivi e diritti conquistati nel corso di decenni con le lotte dei lavoratori (Veracini 2015)). È un «comando capitalistico sempre meno disposto a mediare e sempre più costretto a ricorrere agli apparati repressivi dello Stato e all’articolazione di forme di controllo privato o indiretto delle popolazioni» (Mellino 2014; Mbembe 2003; Comaroff e Comaroff 2011). Non più quindi un colonialismo d’insediamento e un’accumulazione primitiva di uno stadio iniziale dell’espansione coloniale del capitalismo europeo, ma un processo permanente di accumulazione per spoliazione che coinvolge nel presente il dominio sia sulla terra considerata sottoposta al “mondo della legalità” cioè l’Europa e la “terra libera”, senza legge, del Nuovo Mondo, (Lloyd e Wolfe 2017: 133–134). Il Settler Colonialism nella fase del capitalismo odierno ha bisogno, scrivono David Lloyd e Patrick Wolfe, citando Rosa Luxembourg di «nuove razze, che erano prima l’“esterno del capitale”». «Ora, nel momento in cui ci si è appropriati del mondo nella sua interezza», l’attuale crisi del capitale può non trovare più un altro fuori geografico, ma “necessita di altre razze”. E continua nella sua opera di razzializzazione all’interno della linea di confine tra i ‘territori della legalità’ e quelli ‘senza legge’ (: 132–135). Al colonialismo d’insediamento e alla sua struttura di dominio del presente, interessano sempre meno circuiti di riproduzione e sempre più una accumulazione per spoliazione senza riproduzione, trattando i lavoratori del mondo globale, specialmente nelle Zone economiche speciali (SEZ), come in Cina, India, Sud est Asiatico, Medio Oriente, come schiavi. Ma tende anche sempre più a considerare numerose popolazioni in tutto il mondo, come indigeni da espropriare dalle loro terre, a emarginare, a eliminare anche fisicamente, come fu agito nel secolo e mezzo precedente, negli USA, in Australia, Nuova Zelanda e Canada. Vedi nei decenni scorsi in Amazzonia, in Africa, nell’India centrale, nel sud est Asiatico. Occorre eliminare la forza lavoro indigena piuttosto che sfruttarla, i superflui devono “sparire oltre frontiera”, popolazioni da liquidare. Come    si può vedere nella drammatica denuncia dell’attivista del popolo Yanomami Davi Kopenawa, pubblicata anche in Italia (Kopenawa e Albert 2018). «La periferia arriva direttamente al centro», afferma lo studioso israeliano dissidente Eyal Weizmann. Così mentre si creano enormi bidonville di esclusi nelle grandi metropoli del mondo, il Settler Colonialism sta iniziando le prove per “indigenizzare” tutti, anche i lavoratori europei, come ammonisce Lorenzo Veracini nel suo lavoro The Settler Colonial Present (Veracini 2015). Veracini sottolinea ancora nel testo del 2016 (Veracini 2016), una «crescente condizione comune tra gli indigeni e non indigeni», condizione che rende necessaria una «decisiva responsabilizzazione» dei non indigeni, per una «riconciliazione con gli indigeni» per sostenerne le lotte.
  LA QUESTIONE “INDIGENA” DIVENTA, NELLA GLOBALIZZAZIONE, UNIVERSALE
   La questione palestinese, come laboratorio di sperimentazione delle pratiche di dominio del neoliberismo, attuate con la pulizia etnica, la distruzione del paesaggio e dei villaggi, il memoricidio, le recinzioni, i dispositivi di controllo e di sorveglianza totali, la “costituzione di zone di morte” come scrive Nadera Shaloub-Kevorkian, palestinese di Haifa, docente universitaria, criminologa e specialista di diritti umani e come descrive Honaida Ghanim nel saggio “Necropolitica” in “Esclusi”, diventa, nella fase odierna, espressione della “universalità” della questione “indigena”. Ne hanno scritto Collins (2011a) e Balibar (2004). E allora, come scrive John Collins (2011b) «affrontare le strutture profonde della colonizzazione globale e le loro manifestazioni interconnesse, militarizzazione, de-territorializzazione, neoliberismo, distruzione dell’ambiente, è coltivare quella che in effetti è: una coscienza indigena». È riconoscerne l’importanza. La Palestina non può più quindi essere soltanto una questione eccezionale, e di pura solidarietà filantropica occidentale, da tenere ai margini, separata (Veracini 2015). Dal 2015 abbiamo pensato che fosse urgente trasmettere a un pubblico più ampio questo cambio di paradigma. Che fosse necessario riprendere ancora una volta a studiare, a “tenere la mente in movimento” per permettere anche ad altri una svolta che potesse rendere più consapevoli e coinvolgere tutti per agire e re-agire insieme contro il settler colonialism del presente. Ma alcune domande si pongono ancora, e cioè: Come  resistere alle “nuove indigeneizzazioni”? Come agire, per una “decolonizzazione del settler colonialism” e cioè “Kill the Settler in Him and Save the Man” (Veracini 2017a)? Come non separare in nazionalismi settari e fratricidi le popolazioni native, ma riunirle in una lotta comune contro il potere distruttivo del capitalismo estrattivista globale?
  RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Arendt, Hannah. 1986. Ebraismo e modernità. Milano: Feltrinelli. Balibar, Étienne. 2004. “Universalité de la cause palestinienne”. Le Monde diplomatique. Bartolomei, Enrico, Diana Carminati e Alfredo Tradardi. 2015. Gaza e l’industria israeliana della violenza. Roma: DeriveApprodi. Buck, Peter. 1973. “Introduction”. In Israel: A Colonial Settler State?, a cura di Maxime Rodinson, 9–27. New York: Monad Press. Churchill, Ward. 2004. Kill the Indian, Save the Man. The Genocidal Impact of American Indian Residential Schools. San Francisco: City Lights. Collins, John. 2011a. Global Palestine. Oxford: Oxford University Press. Collins, John. 2011b. “Más allá del “conflicto”: Palestina y las estructuras profundas de la colonización global”. Política y Sociedad 48 (1): 139–154. Comaroff, Jean, e John Comaroff. 2011. Theory from the South: Or, How Euro-America is Evolving Toward Africa. London: Taylor Francis. Harvey, David. 2009. “The ’New’ Imperialism: Accumulation by Dispossession”. Socialist Register 40:63–87. Herzl, Theodor. 2003. L’Etat des Juifs. A cura di Claude Klein. La Découverte. Klein, Claude. 2003. “Essai sur le sionisme. De l’Etat des juifs à l’Etat d’israel”. In L’Etat des Juifs. La Découverte. Klein, Naomi. 2007. Shock Economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri. Milano: Rizzoli. Koestler, Arthur. 1946. Ladri nella notte. MIlano: Mondadori. Kopenawa, Davi, e Bruce Albert. 2018. La caduta del cielo. Parole di uno sciamano yanomami. Milano: Nottetempo. Lloyd, David, e Patrick Wolfe. 2017. “Le logiche del colonialismo di insediamento e il regime neoliberista”. In Esclusi. La globalizzazione neoliberista del colonialismo di insediamento2, a cura di Enrico Bartolomei, Diana Carminati e Alfredo Tradardi. Roma: DeriveApprodi. Marx, Karl. 2006. Il Capitale. Roma: Editori Riuniti.     Masalha, Nur. 1992. 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NOTE
1 Questo campo di studi è stato oggetto di critiche e preoccupazioni sulla possibilità che nelle ricerche si potessero lasciare da parte,
emarginare gli studi transnazionali sugli indigeni. Gli studi di Settler
Colonialism, afferma Veracini, non vogliono privilegiare il soggetto
settler ed escludere il soggetto indigeno, né tentare una relazione
indigeno/non indigeno non sufficientemente analizzata.
2 Come descritto ampiamente da Marx per l’Inghilterra, nei secoli
precedenti tutto questo era avvenuto con le enclosures, l’espulsione
dei contadini poveri, la loro ricerca di lavoro, sia come proletari
sfruttati nelle città, e in seguito come coloni o lavoratori poveri nelle
colonie americane e in Australia.
3 Anche nel primo sionismo persiste il concetto di transfer
4 Si veda anche la nota su Charles W. Mills (Piterberg e Veracini
2005: 464) e, in epoca contemporanea, la legge israeliana del 1950
della Law of Absentees’ Property
5 Si veda lunga citazione di Marx sul fallimento del progetto di
Wakefield in Piterberg e Veracini (2005: ), 476
6 Sayegh lavora anche all’ONU. Ed è esponente dell’OLP negli
anni ’70. Fonda nel 1965 il Palestinian Research Centre. Negli
anni ’60-’70 Beirut era divenuta un centro importante per gli studiosi
palestinesi.
7 Così scrive Claude Klein, ebreo francese, giurista, emigrato in
Israele e docente alla Hebrew University di Gerusalemme, nella
prefazione francese a Lo Stato degli ebrei.
8 The proposal by Syrkin in 1898 for the transfer of Arabs from Palestine, seems to be the first published scheme of this kind. Although
Herzl had put forward his plans for the removal of the indigenous
population from the Jewish State, three years earlier, his proposals
were made in his private diary, and it was not until three decades later
that this was published. (Simons 2021; (Masalha 1992))
9 Scritto nel 1946, ma con riferimento agli anni 1938-46
10 Questa struttura mentale di gran parte dei coloni ebrei in Palestina (Pappé 2017), divenne linea politica sempre più dura soprattutto
dopo l’occupazione israeliana del 1967, con un’ altra pulizia etnica di
circa 400.000 palestinesi e immigrazione in Israele di coloni religiosi
ortodossi, approfondendo le discriminazioni. Seguiranno questa linea
politica i governi conservatori di Menachem Begin (1978) e successivi, ma anche quelli della sinistra, ad esempio, di Rabin nei primi
anni ‘90. Si veda anche il documento di Oded Ynon, del 1982 sulla
frammentazione del Medio Oriente.
11 Si veda anche il ritorno allo sfruttamento schiavistico della manodopera palestinese nelle Special Economic Zones nelle colonie
israeliane in Cisgiordania, nella Valle del Giordano, nelle zone vicine
alla frontiera giordana, studiate da Adam Haniyeh, Leila Farsakh e
altri economisti del gruppo di Al-Shabaka.

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IL 7 OTTOBRE TRA VERITÀ E PROPAGANDA . INTERVISTA a ROBERTO IANNUZZI, AUTORE ESPERTO DI MEDIO ORIENTE

CESARE SEMOVIGO E PINO GERMINARIO INTERVISTANO ROBERTO IANNUZZI AUTORE DEL LIBRO “7 OTTOBRE TRA PROPAGANDA E VERITÀ” . L’operazione diluvio di Al-Aqsa e la risposta di Israele . Il diritto del popolo palestinese ad una terra e ad uno stato sempre più eluso nelle agende politiche. Un conflitto che avrebbe potuto risolversi con soluzioni onorevoli un paio di decenni fa, ma che sta rivelando la sua natura ferocemente esistenziale. Se l’evidenza potrebbe indicare la vittima designata di tanta ferocia, non è detto che alla fine sia il presunto vincitore a pagare lo scotto tragico di tanta ostinazione.

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L’Iran e Hezbollah hanno un problema serio / Di Anthony SAMRANI

L’Iran e Hezbollah hanno un problema serio

“Teheran, abbiamo un problema!” » L’estate è stata particolarmente complicata per l’autoproclamato “asse della resistenza”. La sua capacità deterrente è gravemente erosa. Gli schiaffi tattici che Israele gli infligge sono sempre più difficili da assorbire. E le prospettive strategiche cominciano a oscurarsi.

Molto qui è ovviamente una questione di percezione. La guerra di Gaza è iniziata quasi undici mesi fa e le dinamiche si sono evolute, e talvolta addirittura invertite, in diverse occasioni. Il conflitto è lungi dall’essere terminato e nessuno può dire oggi come sarà il Medio Oriente una volta terminato questo ciclo di violenza. Gli iraniani sono campioni mondiali di “pazienza strategica” e possono considerare che nessuna delle sconfitte subite sarà decisiva finché non metteranno in discussione i due pilastri della loro politica estera, la rete di milizie e il programma nucleare.

Anche i più fanatici sostenitori dell’Asse, tuttavia, troveranno difficile non riconoscere che la situazione si è rapidamente deteriorata. Il duplice assassinio di Fouad Chokor e Ismaël Haniyé, a Beirut e a Teheran, ha restituito il vantaggio a Israele. Quest’ultimo non solo può eliminare i quadri della “resistenza” dove e quando vuole, ma senza doverne pagare il prezzo.

Gli iraniani hanno sospeso, forse addirittura rinunciato, la loro risposta. E l’operazione portata a termine da Hezbollah nella notte tra sabato e domenica non sembra in grado di ripristinare la capacità di deterrenza del partito. Hassan Nasrallah può sostenere che l’attacco è stato un successo, che ha causato danni, in particolare nella base di Glilot, e che gli attacchi israeliani che lo hanno preceduto non hanno avuto alcun impatto, ma facciamo fatica a crederlo. Lo stesso leader di Hezbollah ammette che ora bisogna “aspettare di vedere se i risultati saranno soddisfacenti”. Traduzione: se questo basta a dissuadere Israele dal considerare il Libano, compresi i suoi sobborghi meridionali, come una nuova Siria, una terra dove può agire come vuole e quando vuole.

L’asse è bloccato. Preso nella sua stessa trappola. Non può ripristinare la sua capacità di deterrenza senza rischiare lo scontro diretto, che vuole assolutamente evitare, con Israele e gli Stati Uniti. L’attacco compiuto dalla Repubblica Islamica contro lo Stato Ebraico il 13 aprile non ha avuto gli effetti sperati. E quello di Hezbollah ha buone probabilità di seguire la stessa traiettoria. Se crediamo alla versione israeliana, che ovviamente può essere esagerata, sembra addirittura un triste fallimento. Tel Aviv conosceva i tempi e i dettagli della sua esecuzione e i suoi attacchi preventivi ne limitavano ampiamente la portata.

Hezbollah può sostenere di non aver utilizzato i suoi missili a lungo raggio e che l’operazione mirava principalmente a dimostrare di essere in grado di colpire un obiettivo vicino a Tel Aviv. Ma soprattutto evidenzia i limiti dell’asse. L’Iran non si sente a suo agio nel confronto diretto con Israele, dove il suo arsenale è piuttosto limitato. Hezbollah ha più possibilità, ma è anche più esposto. La sua risposta, anche se sembra essere stata in sordina, dimostra che non è pronto a rischiare una nuova guerra aperta e totale con Israele, contrariamente a quanto affermato nelle ultime settimane.

Benjamin Netanyahu potrebbe essere tentato di approfittarne. Sfruttare il proprio vantaggio colpendo quanti più obiettivi possibili, umani o materiali, nel Sud, nella Bekaa e forse anche, in modo più eccezionale, nelle periferie meridionali. Più a lungo dura questa guerra, più il potere israeliano si permette di oltrepassare le linee rosse. E più lo farà, più difficile sarà per l’Asse, in primis per Hezbollah, ripristinare le regole d’ingaggio.

Questa impasse è aggravata dal fatto che le prospettive di porre fine alla crisi stanno diminuendo per l’Iran e i suoi alleati. Non possono accettare un cessate il fuoco a Gaza che consentirebbe agli israeliani di riprendere, in una seconda fase, l’offensiva contro l’enclave. Ma qual è la loro alternativa? Il tempo è ancora una volta dalla parte di Benjamin Netanyahu. Il Likud è in testa ai sondaggi. La pressione internazionale ha avuto scarsi effetti. La possibilità di una vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane lo rafforzerebbe. E può sperare di registrare nuovi successi militari sia a Gaza che nel sud del Libano. Solo l’enorme pressione americana, che stiamo ancora aspettando, potrebbe ribaltare la situazione. Benjamin Netanyahu ha capito che l’Asse avrebbe fatto di tutto per evitare una guerra totale, che gli avrebbe lasciato le mani libere di condurre tutte le guerre di logoramento che desidera.

Tuttavia, gli insuccessi dell’asse iraniano non sono necessariamente sinonimo di vittoria per Israele. La sua superiorità militare non è sufficiente a offrirgli una reale via d’uscita. A livello strategico, non ha una soluzione credibile a lungo termine per Gaza, per il Libano meridionale, per la Cisgiordania e per la questione nucleare iraniana. Anche lui è bloccato e intrappolato nella sua stessa trappola. Ecco perché, qualunque sia l’esito dei negoziati attualmente in corso al Cairo, che potrebbero nella migliore delle ipotesi portare a una forma di tregua a medio termine, questa guerra è ancora lungi dall’essere finita. E anche se questa volta abbiamo fortunatamente evitato un’escalation regionale, è molto probabile che questa guerra finirà solo in caso di una grave rottura strategica su scala mediorientale.

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