REGENI, TONI-DE PALO E ABU OMAR IL MAGISTRATO RECITA A SOGGETTO, di Antonio de Martini

In un paese in cui le persone temono di essere schedate dal vaccino che “non protegge al 100%” e si lancia in fulminee convivenze e matrimoni che al 50% finiscono male, non mi meraviglio se nessuno si ricorda più di una vicenda capitata nel 1980 in Libano, la TONI-DE PALO.

Una foto con Armando Sportelli durante uno dei nostri incontri-intervista durante i quali ha rivangato le fasi delle trattative con OLP , il caso Toni De Palo e altri.

Due “giornalisti” di cui nessuno ha mai letto una riga, che scomparvero ad un tratto – non si sa come ne quando- forse durante un giro in Libano nella pianura della Bekaa.

I loro cadaveri – se esistono- non furono mai ritrovati, ma furono l’occasione per far trionfare la magistratura sulla bieca corporazione degli agenti segreti: il capo centro in Libano, il maggiore dei carabinieri Stefano Giovannone , invano invocato come salvatore da Aldo Moro durante la sua prigionia, venne giubilato e inquisito assieme al suo capo, il colonnello Armando Sportelli, all’epoca a capo degli 007 italiani nel mondo e responsabile dell’accordo OLP-Italia che ha risparmiato, per trenta e passa anni, il nostro territorio da coinvolgimenti armati.

Il teorema del magistrato inquirente fu che se non si trovavano questi due personaggi, ( mai saputo chi ne denunziò la scomparsa…) erano certamente stati rapiti dall’OLP (Adesso però i cattivi in Libano sono gli Hezbollah) e l’intelligence doveva essere al corrente di tutto.

L’inchiesta, condotta da un sostituto procuratore di Venezia a nome Mastelloni, fratello di un attore di teatro, durò la bellezza di sette anni provocando la stroncatura della Carriera di Sportelli che ebbe l’ingenuità di dimettersi al primo giorno dell’inchiesta fidando nella istituzione. Stefano Giovannone , ammalato, non si riprese più, mentre il nome del generale V. dei CC che ne voleva la testa, fu trovato nella lista della P2.

Risultò, a chiunque fosse in buona fede, che i due non si erano mai presentati in ambasciata, non avevano chiesto interviste a nessuno, non avevano comunicato a nessuno intenzioni o itinerario e – posto che abbiano circolato in Libano, nessuno li incrociò o vide mai. Tanto bastò perché il magistrato indagasse per sette anni e la vita di due integerrimi servitori dello stato fosse stroncata. Il magistrato confidò in un momento di debolezza a Sportelli che era ” affascinato da questo mondo dei servizi segreti” e continuava a fare domande anche non pertinenti.

In tutto questo bailamme non una riga fu scritta dal solerte New York Times o dall’intrepido Guardian, nemmeno quando due anni prima fu trovato il cadavere di un cittadino francese alla periferia del Cairo. E non scrissero nemmeno quando un cittadino italiano- anche se il nome di battaglia é Abu Omar- fu rapito, il 17 febbraio 2003 in quel di Milano da un commando di 22 americani e due italiani, guidato dal capo centro CIA di Milano, tale Robert Seldon LADY, condannato dalla magistratura ( Spataro e Pomarici) e poi graziato, assieme ai compari, dal presidente Mattarella che quel giorno era, evidentemente, in buona con tutti, ma non con la donna ( Sabrina De Sousa) nel frattempo licenziata dalla CIA per aver allietato la vigilia del capo. Su tutto, nessuno scoop. Si sono interessati a una sola vicenda che ora riferisco.

Ritrovamento all’alba

Per il caso Regeni, Giulio Regeni, invece, fin dal primo giorno e prima ancora che ne fosse informata la nostra ambasciata, i predetti quotidiani si dimostrarono attentissimi alle vicende del cadavere di un italiano trovato, al Cairo, all’alba, sullo stradone, non lontano dalla trafficatissima via che conduce alle Piramidi e prosegue verso Alessandria d’Egitto. In USA ci sono sei ore di fuso di differenza ma il NYT riuscì a non” bucare” la notizia.

Il cadavere, così platealmente depositato, risultò appartenere a un cittadino italiano, il ventottenne Giulio Regeni, ” ricercatore” ventottenne residente da anni all’estero. Entrambi i quotidiani anglosassoni dimostrarono di essere informati delle indagini della polizia e delle omissioni della stessa, anche se non hanno mai rivelato le fonti ( o la fonte) che li tenne un passo avanti a tutti.

Il Ministro Andrea Orlando – che non si é mai scomodato per andare ai funerali degli operai che muoiono quotidianamente sotto la sua gestione ministero del Lavoro- si presentò a Fiumicino per ricevere le spoglie del compatriota. Anche questo va segnalato come il frutto di un singolare intuito circa gli sviluppi futuri del caso.

Tutte le mamme sono da rispettarsi quando piangono un figlio e, magari, chiedono giustizia se questo risulta deceduto in situazioni drammatiche. Questa madre non ha fatto eccezione ed é un suo diritto rivolgersi alla magistratura. Invece si rivolge al Parlamento e nemmeno al deputato del suo collegio. E d’ora in poi, nulla – in questa vicenda- seguirà più la normale procedura che tutela i diritti dei cittadini italiani.

Non la ricerca dei testimoni inglesi ( la dottoressa Maia Abd el Rahman– che aveva spedito il Regeni in Egitto per fare una ricerca sui “sindacati non riconosciuti” dandogli l’indirizzo di un professore dell’Università americana rivelatosi un confidente di polizia- non i finanziatori committenti americani della ricerca della ricerca – Oxford Analytica di John Negroponte ( ex capo della intelligence community USA)- non un accertamento su elaborati precedenti del Regeni di cui non v’é traccia.

E’ anche diritto dell’on Luigi Manconi, genero di Berlinguer, occuparsi – sia pure a singhiozzo- di diritti umani. Ricordo due episodi in cui si interessò con particolare accanimento, dovuto alla facilità di accesso al mezzo televisivo grazie alla parentela.

La prima volta che ricordo, fu per deplorare l’utilizzo di una prostituta somala (immortalata in foto con una bottiglietta di Coca Cola da L’Europeo o dall’Espresso, non ricordo) da alcuni bersaglieri del nostro contingente che si trovava a svolgere operazioni di peace enforcing per l’ONU.

Non é colpa dell’insistenza dell’onorevole Luigi Manconi se con questa polemica provocò il congelamento della nostra ben avviata candidatura al Consiglio di sicurezza dell’ONU grazie ai buoni uffici dell’ambasciatore Francesco Paolo Fulci che si era conquistato i necessari voti di moltissimi paesi afroasiatici, consentendoci di surclassare la Germania in sede di votazione in assemblea. Una battuta d’arresto dalla quale non ci siamo più ripresi.

Recentemente, resosi disponibile nuovamente il seggio ONU, abbiamo dovuto dividerlo con L’Olanda ( appoggiata da USA e Germania) benché questa sia stata dichiarata ufficialmente responsabile del Massacro di Srebrenica dalla camera Penale Internazionale ( CPI). Ottomila morti cancellati da un Manconi e una mignotta.

La seconda volta che ricordo, é il caso Regeni, dove, in concorrenza col presidente della Camera dei Deputati – Roberto Fico– il Manconi fece a gara per chiedere ” verità per Regeni“, giusto. Ma chiesero anche – interferendo con la nostra politica estera esorbitando dalle rispettive funzioni – il richiamo del nostro ambasciatore al Cairo e poi addirittura la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Egitto, nascondendosi dietro una povera madre disperata.

In Egitto – guarda caso- era appena stato trovato dall’ENI ” nelle acque profonde egiziane antistanti il Delta del Nilo” un giacimento di petrolio e di gas che fa impallidire i giacimenti antistanti le acque cipriote ( Tamar e Leviatan) trovate dal servizio geologico degli Stati Uniti. E qui comincia il vero caso Regeni che mischia interessi privati, intelligence, ricatti tra petrolieri, rivalità geopolitiche tra alleati. Su tutto questo mucchio inquinato troneggia il servilismo dei magistrati addetti alla capitale che inscenano un processo farsa senza imputati, senza testimoni e senza movente, grazie a un procuratore la cui nomina é stata annullata dal Tribunale Amministrativo Regionale ( TAR).

L’ENI TROVA IL PETROLIO E GLI USA SFRUTTANO IL MORTO

Pur emarginato dalle acque libiche e ingabbiato con la Total in quelle di Cipro, L’ENI inquinato solo a livello dirigenza ma con ingegneri ancora memori dell’eredita di Mattei, hanno elaborato una tecnologi che ha permesso loro di trovare il petrolio, come dice il comunicato ENI ” nelle acque profonde egiziane” dove gli altri non hanno trovato nulla. L’Egitto, fedele alle sue scelte tradizionali, ha avuto sempre ottimi rapporti commerciali con l’Italia, dai tempi dei Tolomei al periodo coloniale inglese con Faruk, a Nasser durante la fase della influenza russa, un posto per noi c’é sempre stato.

All’epoca Regeni, i Francesi avevano monetizzato la misteriosa morte di uno studente con la vendita di 24 aerei ” Rafale”, mentre noi avevamo piazzato due fregate classe FREMM considerate l’opera di progettazione navale migliore nella sua classe. L’ambasciata di Israele era stata invitata a chiudere ” per ragioni di sicurezza” accentrando i rapporti con l’Egitto all’ambasciata egiziana a Tel Aviv.

Gli americani si lamentavano delle incomprensioni avute durante la “primavera” e delle ” avance” sessuali subite da alcune giornaliste USA mescolatesi ai manifestanti. I tedeschi aumentavano l’organico d’ambasciata degli addetti alla cooperazione a settanta unità, mentre l’Egitto di Abd el fattah Al Sissi affidava ad altri il raddoppio del canale di Suez e alla Russatom di Mosca la ripresa del suo programma nucleare accantonato anni fa.

Una bomba fasulla esplodeva nei pressi della nostra ambasciata e i magistrati di Roma invadevano gli spai dei magistrati egiziani e la polizia pasticciava le indagini nel tentativo di dare una risposta soddisfacente. Ordinaria amministrazione.

Il disordine, condito di “rumors” alimentati dal New York Times e dal Guardian cui ha fatto eco il TG1 e Il Messaggero ha spinto il Presidente della Camera a rilasciare incaute dichiarazioni di cui l’elettorato farà giustizia e il deputato che si é fatto dare le funzioni tanto dignitosamente tenute dall’on Stefano Rodotà.

Chi ha ceduto senza vergogna alle richieste cui aveva già dato benevolo ascolto il Quirinale nel caso “LADY più 22” ( Abu Omar) é stato il sedicente procuratore della Repubblica di Roma – tale Prestipino, calabrese, – contestato nella nomina dai più meritevoli colleghi cui ha soffiato il posto, destituito dal TAR e difeso della coschetta annidata nel CSM.

In questa posizione di debolezza ha preso per buona la vicenda e accettato di lanciare un processo in cui ai quattro nomi di imputati dirigenti dell’intelligence egiziano non ha nemmeno mandato la notifica; ha sorvolato sull’assenza della “tutor” di Regeni che non ha accettato di venire a testimoniare ( fatto notato persino dal cautissimo ” Corriere della sera“) e col processo di beatificazione in corso del Regeni – un ricercatore che a ventotto anni non aveva pubblicato nulla e non era “di Cambridge”: stava in un collegio secondario dell’area – difficile capire quale fosse la motivazione dell’omicidio e delle torture pregresse. Io al solito, in una intervista su You tube che potete vedere qui ( https://youtu.be/0PACeET31Ig ) avevo detto, prima che succedesse il caso Regeni e chiaramente, che avremmo subito pressioni per farci mollare l’osso. Il povero giovane é stato il pretesto per l’attacco. Impuniti finora i fiancheggiatori di questa pugnalata all’economia italiana.

Nel caso di Abu Omar, il tribunale di Milano ha condannato i 22 agenti CIA al pagamento di un milione e mezzo di danni alla famiglia del rapito. Scommettiamo che in questo caso condanneranno il governo egiziano?

https://corrieredellacollera.com/2021/10/18/regeni-toni-de-palo-e-abu-omar-il-magistrato-recita-a-soggetto/

Gagliano Giuseppe. Anarchici e spie nell’ottocento in Italia

Gagliano Giuseppe. Anarchici e spie nell’ottocento in Italia

Il saggio dello storico italiano Piero Brunello intitolato “Storie di anarchici e di spie“ (Donzelli editore, 2009) non è solo utile per comprendere il modus operandi delle prefetture delle questure nel controllare i circoli socialisti e anarchici italiani dell’ottocento, ma è soprattutto utile per comprendere l’esistenza di una indiscutibile continuità tra le modalità operative della polizia politica ottocentesca ,quella del regime fascista ma soprattutto del regime repubblicano.Vediamo sinteticamente quali sono questi aspetti di continuità. In primo luogo le questure e le prefetture hanno sempre avuto a loro disposizione fondi riservati per i confidenti e gli infiltrati; in secondo luogo allo scopo di controllare l’attendibilità delle informazioni fornite dai loro confidenti, sovente sia le questure che le prefetture ,infiltravano nelle stesse organizzazioni più di un confidente all’insaputa l’uno dell’altro per avere un credibile controllo incrociato delle attendibilità delle informazioni fornite.In terzo luogo la loro attività era abbastanza ampia e capillare da consentirgli un monitoraggio sistematico dell’attività politiche e pubblicistiche dei circoli socialisti anarchici italiani. In quarto luogo esistevano spesso servizi di sicurezza per così dire autonomi e come fare ad esempio posto in essere da Giuseppe Basso vice console italiano a Ginevra che naturalmente era strettamente collegato al ministero degli interni. In quinto luogo ,attraverso una sorveglianza perlopiù inavvertita, venivano prodotte segnalazioni, fotografie, rapporti, prospetti, schede, bollettini, registri, fascicoli e archivi.Lo scopo quindi era osservare, prevenire, reprimere e scoprire.Solo in un secondo momento reprimere attraverso i canali ufficiali delle procure.Questa attività di sorveglianza era possibile anche grazie al fatto che gli ispettori ma anche i carabinieri tenevano d’occhio le osterie, i bassifondi, i luoghi di assembramento e di ritrovo popolare.Naturalmente uno dei pericoli maggiori era l’esistenza di informatori bugiardi, doppio o triplo giochisti ma soprattutto millantatori e fanfaroni.Come osserva puntualmente lo storico italiano ,tra il 1880 e il 1881 ,la presenza di Giovanni Bolis alla direzione dei servizi di pubblica sicurezza costituirà una svolta importante perché verrà istituito un ufficio politico che segna una fase importante nella organizzazione della polizia in Italia.Grazie a lui infatti verrà istituito un registro biografico delle persone sospette e le questure incominceranno a usare le foto segnaletiche e ad assumere agenti in borghese organizzando un servizio di polizia internazionale in collaborazione con il ministro degli affari esteri. Quando sorgerà l’Ovra questa trovò a sua disposizione già sistemi di sorveglianza ben collaudati, procedure di schedatura efficienti, metodi di archiviazione, strumenti preventivi e repressivi insomma una routine burocratica già ampiamente rodata durante gli anni dell’unità d’Italia.Sia durante il regime monarchico italiano che durante il regime fascista la polizia italiana spiava, faceva spiare, raccoglieva voci e pettegolezzi in modo sistematico, quotidianamente, pagando informatori e confidenti e distribuendo fondi segreti .Insomma vi erano spie al servizio di ispettori, di questori, di prefetti e di consoli.Ma tutto ciò era possibile anche grazie alla collaborazione del direttore postale in Italia che inviava la corrispondenza su richiesta della polizia. Tuttavia buona parte di questa attività posta in essere dalla polizia italiana era, seppure nelle sue linee generali, speculare a quella attuata dalla Repubblica di Venezia durante il 500 a dimostrazione del fatto che, sul piano storico, esiste una secolare continuità nel modo di procedere da parte delle istituzioni politiche nei confronti degli avversari reali o potenziali. Un altro aspetto, certamente rilevante, era la capacità attraverso confidenti o informatori di fomentare i contrasti o le rivalità interne allo scopo di indebolire sul piano politico i movimenti considerati sovversivi. I pagamenti agli informatori e ai confidenti erano diversamente modulati a seconda della qualità dell’informazione . Un altro aspetto importante è l’impunità e la segretezza di cui dovevano necessariamente godere i confidenti. Ma vi erano certamente altre regole ben individuate dall’autore a pagina 131 e fra queste le cosiddette 10 regole come le chiama l’autore del saggio.Vediamone alcune: le istituzioni dello Stato tendono ad assicurare l’impunità del confidente, le singole notizie viaggiano in via gerarchica dal basso verso l’alto, il confidente migliore è quello che non sa di esserlo, un buon ispettore di polizia è innanzitutto un buon archivista e infine un individuo è un confidente per un ispettore di polizia ma può essere un rivoluzionario per tutti gli altri Ispettori.

TRUMP OSTAGGIO DI UNA GUERRA ORMAI IN PIENO SVOLGIMENTO, DI GIANFRANCO CAMPA

 OSTAGGIO DI UNA GUERRA ORMAI IN PIENO SVOLGIMENTO

Sotto mandato di cattura delle autorità Statunitensi è stata arrestata, lo scorso Sabato, a Vancouver Wanzhou Meng, anche conosciuta come Sabrina Meng, vicepresidente del consiglio di amministrazione di Huawei e figlia del fondatore dell’azienda; Ren Zhengfei. Meng, 46 anni, è il CFO di Huawei Technologies dal 2011 e vicepresidente della società dal marzo 2018. Huawei Technologies, lanciata nel 1987 a Shenzhen in Cina, è dal 2012  il più grande produttore di apparecchiature per le telecomunicazioni al mondo superando Samsung e Apple. Nel 2017 la società ha fatturato 123,79 miliardi di dollari. Huawei fornisce prodotti e servizi in oltre 170 paesi e ha oltre 180.000 dipendenti sparsi in  tutto il mondo. L’arresto di Meng sarebbe avvenuto mentre era in transito tra un volo e l’altro.

Ora Wanzhou Meng, deve affrontare una possibile estradizione negli Stati Uniti, sotto mandato di cattura del Dipartimento di Giustizia di New York.  Il portavoce del Dipartimento di Giustizia Canadese, Ian McLeod, ha dichiarato che le autorità Americane, lo scorso aprile, avevano aperto un’indagine sulla possibilità, che il gigante delle telecomunicazioni Cinese, avesse violato le sanzioni americane imposte all’Iran, esportando materiale nel Paese del Golfo.

Ad aprile la Cina aveva già fatto appello a Washington onde evitare di mettere sotto inchiesta Huawei, per non danneggiare il rapporto economico e militare tra le due superpotenze,  rapporto che negli ultimi due anni, cioè da quando si è insediata a Washington,  l’amministrazione Trump, si è visibilmente incrinato. Le autorità statunitensi sospettano che il presunto coinvolgimento di Huawei nelle violazioni delle sanzioni iraniane risale già al 2016, anno in cui gli Americani hanno anche messo sotto inchiesta ZTE, l’altra azienda Cinese, rivale di Huawei, sempre per le presunte medesime violazioni.

Inutile dire che la notizia dell’arresto di Meng ha provocato un’immediata protesta da parte dall’ambasciata cinese in Canada, chiedendo agli Stati Uniti e al Canada specifici chiarimenti sull’arresto di Meng. I cinesi hanno poi denunciato e intimato di correggere l’abuso di potere e la violazione dei diritti di una cittadina cinese e quindi liberare Meng immediatamente.

L’arresto di Meng è problematico per varie ragioni, arriva in un momento delicato nel rapporto USA-Cina. Delle crescenti tensioni fra i due paesi avevo già dettagliatamente narrato in questo articolo: http://italiaeilmondo.com/2018/08/14/un-mostro-militare-di-gianfranco-campa/

L’incontro al G20, in Argentina, avrebbe dovuto smussare le tensioni fra i due paesi, ma nonostante le dichiarazioni amichevoli, le relazioni sono ormai compromesse al punto di non ritorno. Il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio e il senatore democratico Mark Warner hanno avanzato sospetti sulla possibilità che il governo cinese stia usando apparecchiature Huawei per spiare governi stranieri. Il senatore del Maryland Chris Van Hollen, ha dichiarato che Huawei e ZTE:  “sono due facce della stessa medaglia – le società di telecomunicazioni cinesi rappresentano un rischio esistenziale per la sicurezza nazionale americana“. In questo clima di tensioni, l’arresto di Meng rappresenta un salto nel vuoto, nelle tenebre di un conflitto in crescendo, per il momento solo geopolitico ed economico ma probabilmente militare nel futuro prossimo. Tra l’altro ricordo che il fondatore di Huawei, il padre di Meng, Ren Zhengfei è un ex ingegnere dell’esercito cinese, legato da rapporti molto stretti con Xi Jinping e con tutto  l’apparato di governo Cinese.

L’inasprimento dei rapporti USA-Cina non comporta implicazioni tra i soli due paesi.  Mentre in Italia si cercano nuovi legami ed accordi con entità Cinesi, altri paesi hanno cominciato a riconsiderare i propri rapporti con la Cina. Nel 2011 il governo americano ha impedito a Huawei investimenti nella società 3Leaf per ragioni di sicurezza nazionale. Nel 2012 il Congresso Americano ha pubblicato un rapporto in cui si dichiara che Huawei rappresenta una minaccia alla sicurezza nazionale per gli Stati Uniti; sia le multinazionali americane che il governo dovrebbero evitare di fare affari con la Huawei. Lo scorso maggio il Pentagono ha vietato la vendita di telefoni Huawei nelle basi militari. Nel 2012 il governo australiano ha vietato a Huawei di presentare un’offerta per l’NBN, la rete di accesso a banda larga dell’Australia per ragioni di sicurezza nazionale.Per lo stesso motivo il governo australiano e quello canadese hanno escluso Huawei dalla loro futura rete mobile 5G. Infine lo scorso mese, a Novembre, il governo della Nuova Zelanda ha vietato alla sua principale società di telecomunicazioni Spark di utilizzare l’attrezzatura Huawei, motivata anche qui con la parola chiave ” serio rischio per la sicurezza nazionale“.

Qualche considerazione importante da fare sull’arresto di Meng: L’arresto di Meng non deve essere visto in un avulso dal gioco geopolitico, bensì nel contesto di una strategia molto più ampia. L’arresto di Meng deve essere considerato come un attacco anche a tutti i settori aziendali cinesi di eccellenza. Le violazioni delle sanzioni all’Iran sono marginalmente importanti e assumono la caratteristica di un pretesto.  La vera ragione, uno dei tanti casus belli di questo scontro, va anche inquadrata nella guerra fra i colossi americani e cinesi sulla  tecnologia 5G.  Un tentativo degli  Stati Uniti e i suoi alleati di contenere  la rivoluzione tecnologica della Cina. Altre aziende come ZTE sono ormai bandite negli Stati Uniti. Gruppi come Alibaba e Tencent  sono a rischio sanzioni da parte degli Americani. Huawei è la punta di diamante della tecnologia cinese e leader nell’espansione 5G, a capo del sistema di cavi sottomarini che mira a superare l’immenso strapotere statunitense in Internet. Chi controlla Internet controlla il mondo.

Altra considerazione. L’arresto della Signora Meng è avvenuto mentre il presidente Cinese Xi Jinping pranzava con Donald Trump durante il vertice del G20 a Buenos Aires; una buona occasione quindi per far deragliare l’accordo appena raggiunto di una tregua di 90 giorni nella guerra commerciale in corso fra Cina e USA. Insomma la solita mano tesa a rendere la vita difficile a Trump. Intendiamoci! Trump non sprizza certamente amore verso la Cina, tutt’altro. Dubito però che sia stato messo al corrente dell’arresto prima o dopo essersi seduto al tavolo col presidente cinese. Un particolare non indifferente, che azzera quasi del tutto  il potere di Trump di gestire al meglio le sue trattative. Si aspetta la reazione della Cina, Huawei è una delle aziende più legate al governo cinese; ci aspettiamo prossimamente altri ostaggi in questa guerra ormai avviata e in fase di avvitamento.

In memoria di George HW Bush, a cura di Giuseppe Germinario

A modo nostro commemoriamo la scomparsa di George HW Bush, già Presidente degli Stati Uniti d’America, nel momento di massimo fulgore di quella potenza_Giuseppe Germinario

George HW Bush, la CIA e un caso di terrorismo di stato

Di Robert Parry (Originariamente pubblicato il 23 settembre 2000)

All’inizio dell’autunno del 1976, dopo che uno scherano del governo cileno aveva ucciso un dissidente cileno e una donna americana con un’autobomba a Washington, la CIA di George HW Bush redasse un falso rapporto che liberava da ogni responsabilità la dittatura militare del Cile e indirizzava le indagini dell’FBI nella direzione sbagliata.

La falsa valutazione della CIA, diffusa attraverso la rivista Newsweek e altri organi di informazione statunitensi, è stata propinata nonostante la consapevolezza da parte della CIA della partecipazione del Cile all’operazione Condor, una campagna transfrontaliera rivolta contro i dissidenti politici e gli stessi sospetti della CIA sul fatto che la giunta cilena fosse dietro l’attentato terroristico a Washington.

Poi, il vicepresidente George HW Bush in un incontro alla Casa Bianca il 12 febbraio 1981. (Photo credit: Reagan Library)

Poi, il vicepresidente George HW Bush in un incontro alla Casa Bianca il 12 febbraio 1981. (Photo credit: Reagan Library)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In un rapporto di 21 pagine presentato al Congresso il 18 settembre 2000, la CIA ha riconosciuto ufficialmente per la prima volta che la mente dell’attentato terroristico, il capo dell’intelligence cileno Manuel Contreras, era una risorsa pagata della CIA.

Il rapporto della CIA è stato rilasciato quasi 24 anni dopo l’omicidio dell’ex diplomatico cileno Orlando Letelier e del collaboratore americano Ronni Moffitt, che è morto il 21 settembre 1976, quando una bomba telecomandata ha squarciato l’auto di Letelier mentre guidavano lungo la Massachusetts Avenue, una arteria maestosa di Washington nota come Embassy Row.

Nel rapporto, la CIA ha anche riconosciuto pubblicamente per la prima volta che consultò Contreras nell’ottobre del 1976 sull’omicidio di Letelier. Il rapporto ha aggiunto che la CIA era a conoscenza del presunto ruolo del governo cileno negli omicidi e ha incluso quel sospetto in un canale informativo interno lo stesso mese.

“Il primo rapporto dell’intelligence contenente questa accusa era datato 6 ottobre 1976,” poco più di due settimane dopo l’attentato” secondo le rivelazioni della CIA.

Ciononostante, la CIA – allora sotto la guida del direttore George HW Bush – fece filtrare ad uso pubblico una valutazione che cancellava la responsabilità del temuto servizio di intelligence del governo cileno, DINA, allora gestito da Contreras.

Basandosi sulla parola della CIA di Bush, Newsweek ha riferito che “la polizia segreta cilena non era coinvolta” nell’assassinio di Letelier. “L’agenzia [dell’intelligence centrale] ha motivato la sua decisione con il fatto che la bomba era troppo rudimentale per essere opera di esperti e perché l’omicidio, mentre i governanti del Cile corteggiavano il sostegno degli Stati Uniti, poteva solo danneggiare il regime di Santiago.” [ Newsweek , 11 ottobre , 1976]

Bush, che in seguito divenne il 41 ° presidente degli Stati Uniti (ed è il padre del 43 ° presidente), non ha mai spiegato il suo ruolo nel depistaggio della storia della falsa copertura servita a deviare l’attenzione dai veri terroristi. Né Bush ha spiegato quello che sapeva sull’operazione di intelligence cilena nelle settimane precedenti alla morte di Letelier e Moffitt.

Schivare la divulgazione

Come corrispondente di Newsweek nel 1988, una dozzina di anni dopo l’attentato di Letelier, quando l’anziano Bush era candidato alla presidenza, preparai una storia dettagliata sulla gestione del caso Letelier da parte di Bush.

La bozza di storia includeva il primo resoconto da fonti di intelligence statunitensi che qualificava   Contreras come una risorsa della CIA a metà degli anni ’70. Ho anche appreso che la CIA aveva consultato Contreras sull’assassinio del Letelier, informazioni che la CIA non avrebbe poi confermato.

Le fonti mi hanno rivelato che la CIA ha inviato il suo capo della stazione di Santiago, Wiley Gilstrap, per parlare con Contreras dopo l’attentato. Gilstrap quindi tornò al quartier generale della CIA a Langley, in Virginia, assicurando a Contreras che il governo cileno non era coinvolto. Contreras disse a Gilstrap che i killer più probabili erano i comunisti che volevano fare di Letelier un martire.

Il diplomatico cileno Orlando Letelier, che è stato assassinato insieme al collega Ronni Moffitt, quando i terroristi di destra hanno fatto esplodere la sua auto a Washington, DC

Il diplomatico cileno Orlando Letelier, assassinato insieme al collega Ronni Moffitt, quando i terroristi di destra hanno fatto esplodere la sua auto a Washington, DC, il 21 settembre 1976.

La mia narrazione descriveva anche come la CIA di Bush fosse stata preavvisata nel 1976 sui piani segreti di DINA di inviare agenti, incluso l’assassino Michael Townley, negli Stati Uniti con passaporti falsi.

Dopo aver appreso di questa strana missione, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Paraguay, George Landau, telegrafava a Bush asserendo dal Cile che Townley e un altro agente stavano viaggiando verso la sede della CIA per un incontro con il deputato di Bush, Vernon Walters. Landau inoltrò anche copie dei passaporti falsi alla CIA.

Walters rispose che non era a conoscenza di un appuntamento programmato con questi agenti cileni. Landau annullò immediatamente i visti, ma Townley cambiò semplicemente i suoi piani e proseguì per andare negli Stati Uniti. Dopo essere arrivato, ha arruolato alcuni cubani-americani di destra nella trama di Letelier e si è recato a Washington per piazzare la bomba sotto la macchina di Letelier.

La CIA non ha mai spiegato quale azione aveva intrapreso, se del caso, dopo aver ricevuto l’avvertimento di Landau. Un seguito naturale sarebbe stato contattare DINA e chiedere cosa fosse in corso o se un messaggio sul viaggio fosse stato indirizzato male. Il rapporto della CIA nel 2000 non menzionava questi aspetti del caso.

Dopo l’assassinio, Bush promise la piena collaborazione della CIA nel rintracciare gli assassini di Letelier-Moffitt. La CIA invece intraprese azioni contrarie, come piazzare il falso esonero e nascondere le prove che avrebbero compromesso la giunta cilena.

“Nulla di ciò che l’agenzia ci ha dato ci ha aiutato a risolvere questo caso”, ha detto il procuratore federale Eugene Propper in un’intervista del 1988 per la storia che stavo preparando per Newsweek . La CIA non offrì mai il cablo dell’ambasciatore Landau sulla sospetta missione di DINA né copie dei passaporti falsi che includevano una foto di Townley, l’assassino principale. Né la CIA di Bush ha divulgato la sua conoscenza dell’esistenza dell’operazione Condor.

Gli agenti dell’FBI a Washington e in America Latina hanno risolto il caso due anni dopo. Scoprirono l’Operazione Condor da soli e rintracciarono l’assassino Townley e i suoi complici negli Stati Uniti.

Nel 1988, quando l’allora vicepresidente Bush stava citando il suo lavoro della CIA come una parte importante della sua esperienza governativa, gli sottoposi alcune domande sulle sue azioni nei giorni precedenti e successivi al bombardamento di Letelier. Il capo dello staff di Bush, Craig Fuller, ha risposto, dicendo che Bush “non fornirà commenti sulle questioni specifiche sollevate nella sua lettera”.

Come si è scoperto, la campagna di Bush aveva poco da temere dalle mie scoperte. Quando ho presentato il mio progetto di ricostruzione – con il suo account esclusivo del ruolo di Contreras come risorsa della CIA – gli editori di Newsweek si sono rifiutati di pubblicare la storia. Il capo dell’ufficio di Washington, Evan Thomas, mi ha detto che l’editore Maynard Parker mi aveva persino accusato di essere “in procinto di cacciare Bush”.

L’ammissione della CIA

Ventiquattro anni dopo l’assassinio di Letelier e dodici anni dopo che Newsweek aveva stroncato il primo resoconto del rapporto Contreras-CIA, la CIA ha ammesso di aver pagato Contreras come risorsa di intelligence e di aver consultato l’assassino di Letelier.

Tuttavia, nella relazione abbozzata del 2000, l’agenzia di spionaggio ha cercato di raffigurarsi come vittima piuttosto che complice. Secondo il rapporto, la CIA era critica rispetto all’accusa degli abusi di violazione dei diritti umani di Contreras e scettica sulla sua credibilità. La CIA ha detto che il suo scetticismo precede il contatto dell’agenzia di spionaggio con lui sugli omicidi di Letelier-Moffitt.

Poi - Vice Presidente George HW Bush con il direttore della CIA William Casey alla Casa Bianca l'11 febbraio 1981. (Photo credit: Reagan Library)

Poi – Vice Presidente George HW Bush con il direttore della CIA William Casey alla Casa Bianca l’11 febbraio 1981. (Photo credit: Reagan Library)

“La relazione, anche se corretta, non è stata cordiale e serena, soprattutto perché è emersa l’evidenza del ruolo di Contreras negli abusi dei diritti umani”, ha riferito la CIA. “Nel dicembre 1974, la CIA concluse che Contreras non avrebbe migliorato le sue prestazioni in materia di diritti umani. …

“Nell’aprile del 1975, i rapporti di intelligence mostravano che era il principale ostacolo a una ragionevole politica sui diritti umani all’interno della Junta, ma un comitato di agenzie [all’interno dell’amministrazione Ford] aveva ordinato alla CIA di proseguire la sua relazione con Contreras”.

Il rapporto della CIA ha aggiunto che “un pagamento una tantum è stato dato a Contreras” nel 1975, un periodo in cui la CIA aveva sentito parlare dell’operazione Condor, un programma transfrontaliero gestito dalle dittature militari del Sud America per dare la caccia ai dissidenti rifugiati in altri paesi.

“La CIA cercò da Contreras informazioni sulle prove emerse nel 1975 da uno sforzo dell’intelligence cooperativa Southern Cone -” Operazione Condor “- basato sulla cooperazione informale nel tracciare e, almeno in alcuni casi, uccidere gli oppositori politici. Nell’ottobre 1976, vi erano sufficienti informazioni che la CIA aveva deciso di rivolgersi a Contreras in merito. Contreras ha confermato l’esistenza di Condor come rete di condivisione dell’intelligence, ma ha negato di avere un ruolo nelle uccisioni extra-giudiziarie “.

Inoltre, nell’ottobre del 1976, la CIA disse che “elaborò” come avrebbe aiutato l’FBI nelle sue indagini sull’assassinio di Letelier, avvenuto il mese precedente. La relazione dell’agenzia di spionaggio non ha tuttavia fornito dettagli su ciò che ha fatto. Il rapporto aggiunse solo che Contreras era già tra i sospettati di omicidio nell’autunno del 1976.

“A quel tempo, il possibile ruolo di Contreras nell’assassinio di Letelier è diventato un problema”, ha affermato il rapporto della CIA. “Alla fine del 1976, i contatti con Contreras erano molto rari.”

Anche se la CIA ha riconosciuto la probabilità che DINA fosse dietro l’assassinio di Letelier, non c’è mai stato alcun indizio che la CIA di Bush abbia cercato di correggere la falsa impressione creata dalle sue fughe sui media attraverso le quali confermava l’innocenza di DINA.

Dopo che Bush lasciò la CIA con l’insediamento di Jimmy Carter nel 1977, l’agenzia di spionaggio prese le distanze da Contreras, secondo il nuovo rapporto. “Durante il 1977, la CIA incontrò Contreras circa una mezza dozzina di volte; tre di questi contatti hanno richiesto informazioni sull’assassinio di Letelier “, ha dichiarato il rapporto della CIA.

“Il 3 novembre 1977, Contreras è stata trasferito a una funzione estranea all’intelligence, quindi la CIA ha interrotto tutti i contatti con lui”, ha aggiunto il rapporto. “Dopo una breve resistenza per mantenere il potere, Contreras si è dimesso dall’esercito nel 1978. Nel frattempo, la CIA ha raccolto informazioni dettagliate e dettagliate sul coinvolgimento di Contreras nell’ordinare l’assassinio di Letelier”.

Misteri rimanenti

Sebbene il rapporto della CIA nel 2000 contenesse la prima ammissione ufficiale di una relazione con Contreras, non fece luce sulle azioni di Bush e del suo vice, Walters, nei giorni precedenti e successivi all’assassinio del Letelier. Inoltre, non ha offerto alcuna spiegazione sul perché la CIA di Bush avesse diffuso false informazioni sulla stampa americana cancellando le responsabilità della dittatura militare del Cile.

Mentre forniva il riassunto di 21 pagine sul suo rapporto con la dittatura militare del Cile, la CIA rifiutò di rilasciare documenti di un quarto di secolo prima con la motivazione che le rivelazioni avrebbero potuto mettere a repentaglio le “fonti e metodi” della CIA in contrasto con l’ordine specifico di Bill Clinton di rilasciare quante più informazioni possibili.

Forse la CIA stava giocando sul tempo. Con il quartier generale della CIA ufficialmente chiamato George Bush Center for Intelligence e con i veterani degli anni Reagan-Bush che ancora dominavano la gerarchia della CIA, l’agenzia di spionaggio avrebbe potuto sperare che l’elezione del governatore del Texas George W. Bush lo avrebbe liberato dalle richieste di apertura dei report al popolo americano.

Da parte sua, l’ex presidente George HW Bush dichiarò la sua intenzione di assumere un ruolo più attivo nella campagna elettorale per l’elezione di suo figlio. In Florida, il 22 settembre 2000, Bush ha detto di essere “assolutamente convinto” che se suo figlio sarà eletto presidente, “ristabiliremo il rispetto, l’onore e la decenza che la Casa Bianca merita”.

Il giornalista investigativo Robert Parry ha indagato molte delle storie Iran-Contra per l’Associated Press e Newsweek negli anni ’80. Puoi comprare il suo ultimo libro, America’s Stolen Narrative, o in  stampa qui  o come e-book (da  Amazon  e  barnesandnoble.com ).