IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 3 e 4 di 7]_di Daniele Lanza

IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 3 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
Un aquilotto spennato e imbarazzante – simboleggiante lo stato di Weimar – che impallidisce, sfigura dinnanzi alla VERA aquila tedesca (kaiseriana). L’immagine in basso (manifesto per le elezioni legislative al reichstag del 1924) rappresenterebbe il sentire del partito nazionalista Dnvp, ma in fondo proietta un’immagine diffusa nell’animo tedesco di quell’era, assai aldilà del sostegno o meno a partiti nazionalisti coevi.
Tempo addietro, un conoscente di estrazione comunista (di accademico livello) paragonò distrattamente – quasi propose un parallelo – tra lo stato sovietico e la repubblica di Weimar.
Nel senso che erano entrambe entità nuove, entrambe entità che rovesciavano ognuna a suo modo un precedente sistema reazionario e antiquato, detto a grandi linee (…).
Come tanti altri miei amici e conoscenti della medesima provenienza – mi dispiace dirlo – la sua ferrea impostazione tradizionale fatta di insuperabile (psicologicamente), inalterabile dicotomia destra/sinistra – gli inibisce, oscura, confonde la percezione di elementi che trascendono tale demarcazione dogmatica. Accettando un prisma simile si può tracciare un parallelo tra le due realtà : elemento moderno di rottura che “rottama” il ciarpame oscurantista ed elitario del passato….questa sarebbe la logica.
La verità tuttavia è che anche solo accostare casualmente due casi del genere è pura cecità intellettuale. Perché la logica (binaria) in questione sorvola sul fattore PATRIA, lo sottovaluta, lo mette in secondo piano in quanto non rilevante per essa : nega il potere profondo dell’autoidentificazione e la sua capacità insondabile di sfuggire alla categorizzazione vista sopra, aldilà (protesterebbe il sincero comunista) di qualsiasi razionalità.
Il fattore PATRIA decretò per molti versi la sopravvivenza della Russia sovietica, come all’opposto, l’implosione della Germania weimariana. Perché ? Come ? Le verità più basilari ed ineludibili dell’animo umano stanno in formule strabiliantemente semplici e quindi non sciorinerò elucubrazioni storico-politologiche, vado al punto : perché lo stato rivoluzionario sovietico pur sbarazzandosi del sistema ad esso anteriore, vi si sostituì efficacemente in tutto…..anche in quella necessità patriottica della società nel suo insieme. La rivoluzione d’ottobre (anche nonostante l’inenarrabile guerra civile che ne seguirà) si fa sistema, sulle ceneri di quello precedente, ed anche più forte di esso : diventa punto di riferimento per il multiforme sentire della parcellizzata umanità che deve governare, cooptando anche e soprattutto le fasce conservatrici/nazionaliste della “russità” , a partire da coloro che sin dal principio decidono di militare tra i rossi (bolscevichi di stampo “patriottico”, per intendersi), quanto, dopo la fine della guerra, gli sconfitti bianchi che vorranno rientrare, infondendo l’idea che l’evento cataclismatico è stato una VITTORIA nazionale (si presti attenzione doppia da questo punto in avanti perché è il perno di tutto).
Gli eventi che vanno dall’ascesa al potere di Lenin sino alla fondazione ufficiale del nuovo stato, passando traverso 4 anni di conflitto interno, sono subito storia ed entrano in brevissimo tempo a costituire il fulcro di un colossale processo di “nation-building” in seno alla società, malgrado ciò possa essere controintuitivo vista la cesura traumatica col sistema zarista e il successivo sviluppo di una divisiva e devastante guerra civile : questo perché in fondo…….tali eventi sono percepiti come un successo, in un contorto meccanismo psicologico che vede tutti, incluse le fasce conservatrici/nazionaliste – e tra queste anche gli sconfitti veri e propri – entrare a far parte di un’entità vincente.
Ma come è possibile un capovolgimento percettivo in quest’ordine di grandezza ?! Abbozzo una ragione (non è certo l’unica, nè quella scientificamente più dimostrabile, ma forse la più viscerale) : perché in fondo quanto accadde dal 1917 al 1921 era…LORO (a prescindere dalle parti). La rivoluzione era…LORO (a prescindere dalle parti).
Si intende che la consecutio di fatti che si snoda da ottobre in poi è un fenomeno INTERNO, pertinente cioè ad uno spazio profondo del paese (in senso fisico quanto morale) irraggiungibile ed inconoscibile all’”alieno”, allo straniero : una “sacra” arena che non cessa di esistere malgrado il collasso del secolare zarismo e quindi trascende il cromatismo (rosso/bianco) delle parti in causa e laddove i destini di un popolo – ed altri ad esso annessi – vengono stabiliti a prescindere da cosa avvenga al di fuori del proprio “umland” : in parole più chiare, alla storica/oggettiva polarizzazione “Rivoluzione – Reazione”, si fa concomitante su un piano inafferrabile della psiche, la polarizzazione “Russia – mondo esterno” (che sta per “occidente” in realtà, quest’ultimo effettivamente coinvolto nella lotta dai bianchi).
Se pure è vero che una parte in lotta nella guerra civile è stata sconfitta sul piano storico/oggettivo, altresì vero che su un piano più metastorico offerto dalla psiche, l’evento rivoluzionario in sé non viola un canone assai più remoto della civiltà russa (o “rossiskaya” concetto più ampio) : la propria autoctonia, la propria indipendenza dall’occidente o altre forze (queste in effetti sconfitte nel loro tentativo di penetrazione approfittando del confronto rosso/bianco), la sicurezza che dà il proprio impermeabile spazio interno (…). Questo schema delle cose permette l’innesco di una valvola di salvataggio nei meccanismi delicati dell’autoidentificazione : alla psiche del russo (anche se di parte sconfitta) viene offerta come una scialuppa che consente lui di rivedere, in linea di principio, ancora lineamenti familiari, una continuità metapolitica in quel contenitore di popoli che prima si chiamava impero ed ora si chiamava CCCP (la quale tra l’altro nonostante la cesura col passato rivendicava anzi ancor più di prima – in vesti mutate – un ruolo geopoliticamente attivo, influente, sotto il vessillo assai più messianico e patriottico di quanto potesse esserlo la corona dei Romanov).
I “bianchi” avevano perso sì, ma in fondo era anche vero che la RUSSIA, la sua dimensione peculiare contrapposta allo spazio esterno (occidente) aveva vinto a prescindere dai cromatismi delle parti in causa, riaffermando la sua potenza che anzi prima sotto gli zar era in declino….quindi alla fine (col tempo che fosse occorso per abituarsi), tutti – anche i bianchi “volenterosi” o altre fasce conservatrici potevano chiamarla degnamente patria. In definitiva sia bianchi che rossi erano ugualmente nazionalisti (si può a buona ragione discutere su chi lo fosse di più tra loro)…..esisteva un comune fondo di attaccamento a una “potente patria” : che questa non fosse più una cosmopolita aristocrazia dall’aquila a due teste, ma una coesa unione multinazionale sotto bandiera rossa forse non era poi un male, no ? Anzi….chi dice che non fosse quest’ultima la VERA patria (e l’altra un abbaglio) ?? A questo punto i colori finora menzionati cessano di esistere : i rossi bolscevichi sono patrioti che da subito hanno capito questo fatto, mentre i bianchi (quelli pentiti) sono ugualmente patrioti con l’unico peccato di aver capito più in ritardo lo stesso fatto (…)
Interrompo d’autorità questa caotica e estesa digressione (che agli occhi di molti – professionisti in primis – apparirà cervellotica, sconclusionata o peggio – agli occhi del comunista ortodosso – una litania dozzinale nel novero eretico dell’interpretazione in chiave nazionalista e slavofila della rivoluzione socialista, la quale invece “esce fuori della storia” (..)….tuttavia io replico a costoro (nel caso ci fossero) che la mia riflessione presuppone che sia proprio QUESTO il problema : un limite di comprensione di molti studiosi del passato (non essendo “national-konservativ” stentano ad entrarne nella dimensione e quindi a valutarne percorsi e forza reale).
E da qui quindi torniamo – ma con una serie di punti in mente che ci consente di intenderci e quindi di accorciare il discorso (il tempo perso in Russia ce ne fa risparmiare qui)– sul vero tema del ciclo che è il caso tedesco : tutto era iniziato con un vago accostamento tra Weimar e la CCCP giusto ? Bene, la domanda è : perché WEIMAR in fondo non fu mai considerata una vera patria ?
Risposta essenziale : perché era figlia di una sconfitta. Fattore banale, ma insuperabile.
A scanso di quali ideali sinceri potessero esservi alle spalle, a scanso della costituzione democratica (mi si ricorderà) che finalmente aveva, a scanso di tutto…..era il risultato di un’umiliazione sul campo di battaglia. La prima democrazia tedesca, per quanto democrazia, violava lo stesso principio eonico che vuole gli stati (o qualsiasi aggregazione umana, contratto sociale di qualsiasi dimensione) fondati sui SUCCESSI, sulle vittorie. Non – come in questo caso – su un “infamante” (percepito come tale sia a destra che a sinistra in fondo) trattato di pace a Versailles.
Weimar nasce dal collasso della patria kaiseriana “legittima”…senza riuscire in alcun modo a sostituirla con qualcosa che nell’immaginario possa tenervi testa. Ne occupa semplicemente lo spazio vacante in attesa che QUALCOSA di maggiormente degno e supremo la rimpiazzi (e questo qualcosa disgraziatamente arriverà). Oserei affermare che il percorso di autoidentificazione per i neo-cittadini di Weimar e quelli sovietici sia esattamente opposto : mentre quelli sovietici, come visto, trovano una dimensione comune aldilà delle parti (anche belligeranti), nella società tedesca weimariana questo è infattibile. Se la Russia zarista passa il testimone alla CCCP sul piano ideale della “patria potenza” (in fondo condivisa tanto da progressisti che da conservatori), la nuova repubblica tedesca NON riceve alcun testimone dal prestigioso predecessore ! La “patria potenza” è sostituita da un’imbarazzante “ex patria” (tanto nella percezione dei conservatori quanto in quella – non espressa apertamente – di molti progressisti).
Insomma : lo stato sovietico UNISCE nel rispetto delle sue solide istituzioni – nella sua dimensione patriottica – tanto sinistra quanto in fondo anche una buona parte di destra (anche se non ufficialmente). Lo stato weimariano UNISCE, ma nel disprezzo delle istituzioni, sia la destra quanto in fondo anche la sinistra (anche se non ufficialmente).
Eccovi l’antitesi dei casi. Sintetizzo all’estremo :
La Cccp è un EREDE di qualcosa
Weimar è un SURROGATO di qualcosa.
La formula sopra è volutamente esagerata, ma esprime – sempre su un piano psicologico – come vennero percepite le due realtà dalle rispettive società a prescindere (questo è importante) dalla demarcazione classica destra/sinistra.
(CONTINUA…)
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 4 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
L’affermarsi del “SUPER-STATO” nella prima metà del XX° secolo (ovvero sistemi politici che si presentano non come semplici edifici politico-amministrativi regolati da un diritto civile, bensì come energie messianiche che si prefiggono di uscire al di fuori della storia e regolarla anziché esserne regolati) – o anche “totalitarismo” (!) a seconda di come si vuole definire – è una reazione fisiologica al bisogno del cittadino stesso di 100 anni orsono a quest’epoca…della sua profonda incoerenza, scarsa conoscenza di sé.
Da un lato si strillava in piazza per per uno stato più umano, più civile…..dall’altro – una volta ottenuto – questo stato “civile ed umano” era un gradino meno rispettato di quello passato. Si odiavano i preamboli delle vecchie costituzioni liberali (“per grazia di Dio e volontà della nazione”), ne si voleva smorzare il tono un tantino ultraterreno e riportarle coi piedi a terra, a misura d’uomo, umanizzarne forma e contenuto senza tante investiture celesti e giuramenti alla corona………beh, ecco fatto. Anziché una guida speciale, lo stato diventa – per l’appunto, perché ciò si voleva – un semplice contenitore, un’arena civile (de-divinizzata) all’interno della quale muoversi. Ci volle poco perché l’agognata agorà moderna divenisse invece un parco giochi (…)
Tanti abitanti di Weimar erano in realtà nel profondo delle loro menti, più “ex-sudditi” che non “neo-cittadini”. Il parlamentarismo carnevalesco dal 1919 in poi non si poteva prestare allo stesso rispetto che poteva suscitare l’incedere del Kaiser un decennio prima e questo psicologicamente è verosimile. L’illuminismo ingenuo di quella breve repubblica non teneva conto – tanti dei migliori illuministi cadono in questo, ahimè – dei bisogni più primitivi e imponderabili dei governati.
Tanti volevano sinceramente la democrazia…..ma tutti esigevano – e subito – un comandante in capo, una forza unificante che garantisse forza e sicurezza (che sono sinonimi). Per metterla in filosofia occorreva il ripristino di quel perfetto ingranaggio, quel punto di congiunzione tra cielo e terra (o tra regno delle idee e quello materiale) che è lo stato prussiano di hegeliano conio (…). Quanto l’effimera Weimar non era. Lo si vede dai manifesti elettorali dell’era…pittoreschi, teatrali lo erano tutti, ma c’è qualcosa di più : nella maggioranza (a partire naturalmente dai più estremisti, ma arrivando anche a quelli moderati) si nota una ricerca di qualcosa di perduto, un’armonia arcadica irrecuperabile che lascia dinnanzi a sé o la difesa di quel poco che si ha ancora (le “heimat” locali in genere ad appannaggio di partiti centristi) ossia la logica “bastione contro l’orda barbara” oppure soppressione dell’esistente per rifondare una nuova “grande patria”.
Detto fatto, nel giro di 15 anni circa un sostituto lo si trova (anzi si fa avanti lui) : è un po meno aristocratico rispetto alla casta JUNKER in verità, anzi decisamente più proletario e ruspante, senza tanti galloni e mustacchi, quanto in più moderna e sportiva camicia bruna + baffetto, ma questo è anche meglio (“…a pensarci non sono in fondo anche quegli spocchiosi latifondisti della Prussia orientale con la loro flemma ad averci condotto al fallimento sul fronte occidentale e inguaiato la nostra PATRIA ?” p.s. = pensiero possibile dell’elettore popolare, Nsdap).
Siamo ad un punto critico : ho inaugurato questo ciclo di libere riflessioni al primo capitolo sottolineando come la vecchia identità prussiana sia stata distrutta e gettata via arbitrariamente assieme al nazional socialismo. Ebbene si potrebbe controbattere (tanti lo fanno) che in realtà tale retaggio era GIA’ stato distrutto e superato in due fasi : dalla deposizione del kaiser in primo luogo – cui la prussianità era legata per ragioni “memetiche” e dalla successiva affermazione nazista, la cui ascesa vertiginosa a cavallo tra anni 20/30 de facto assimila, inghiotte letteralmente tutto l’elemento vetro-conservatore (chiamiamo così la prussianità junker in politica) strappandolo ai contemporanei partiti nazional-conservatori più convenzionali dell’era Weimar che surclassa quanto a violenza e audacia (…).
Il nazional socialismo nel contesto in cui si trovò ad operare, devo ammettere, costituì un catalizzatore formidabile : da un lato arrivava a quegli strati popolari refrattari ai tradizionali partiti monarchici e vetro-conservatori…..mentre dall’altro riusciva a raccogliere l’elettorato proprio di questi ultimi, fisiologicamente irraggiungibile per socialisti e comunisti. Una creatura chimerica il nazismo, essere mutaforma “capace di assumere l’aspetto che l’osservatore voleva dargli” (se non ricordo male furono più o meno le parole di A.Speer al processo di Norimberga, nel descrivere il nazional socialismo).
(CONTINUA…)

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 2 di 7]_di Daniele Lanza

Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere, ma senza impegno)
L’uomo che vedete seduto al tavolo a firmare si chiama Wilhelm Gustav Keitel (salto altri 2 nomi di battesimo) in quella che è una delle 40 o 50 istantanee più significative della guerra mondiale : feldmaresciallo e rappresentante dell’OKW – stato maggiore – al momento della capitolazione, presso i sovietici.
La sua sagoma fisica nello spazio della foto, si distingue per essere fuori del suo tempo, per il suo anacronismo già allora : azzimato, con la lente all’occhio, il guanto impeccabile alla mano sinistra e un “bastone del comando” (se lo notate) appoggiato vicino al braccio che pare essersi posato lì come appena fuggito da un 1885 (?) traverso qualche corridoio spazio-tempo……..quando nella stessa sala gli uomini attorno a lui impartiscono comandi a flotte aeree a reazione, sottomarini e (presto) ad armi nucleari e razzi che passano la stratosfera.
Sì, in realtà riflettendo a posteriori con spirito della filosofia della storia, allora l’immagine assume un significato più complesso : NON è un uomo quello che vediamo con la penna in mano a firmare l’atto di capitolazione, ma lo spettro di un’era sconfitta – quella kaiseriana – e di uno spirito che ne era l’essenza – il prussianesimo – che muore.
La prussianità, mestamente a un tavolo, riceve la notifica del proprio annullamento da controfirmare, dopo 500 anni di storia (…o anche 800, oppure solo 250, questo a seconda di come datiamo il concetto in sé, se si inizia a contare dal medioevo teutonico oppure dal più moderno Federico I°, la scelta al lettore) : al sopramenzionato Keitel l’infelice compito di prestare un volto e una figura – dare sembianza fisica – al concetto. Si badi bene il distinguo nel mio discorso senza fraintendimenti (niente confusioni che vedano una mia empatia compassionevole per la persona in questione, sulla quale in verità sospendo commento – il soggetto è condannato a Norimberga per evidenti crimini di guerra che vanno oltre la mera esecuzione dell’ordine, ma vedono un ruolo attivo. La pena capitale è eseguita l’anno seguente -).
Quanto cerco di dire è che siamo di fronte anche in questo caso – ben più che in Italia – ad una MORTE DELLA PATRIA, con tutta la problematicità che reca con sé per il vuoto che inevitabilmente lascia e conseguentemente per la capacità o meno di colmarlo da parte di chi verrà dopo.
Ora cerco di riformulare in modo più diretto per il pubblico meno preparato che mi segue in questo momento : lo stato tedesco – il reich di allora – non “perde” il conflitto, ma piuttosto si dovrebbe dire che ne è CANCELLATO. La capitolazione dell’8/9 maggio 1945 che si rievoca in questi giorni fu praticamente una resa militare più che non una resa politica : gli alleati domandarono una resa incondizionata, che non equivale ad un convenzionale armistizio quanto ad una cessazione della potestà e quindi dell’esistenza stessa della parte perdente. Non vi fu alcun trattato di pace con la parte perdente (i rappresentanti superstiti della gerarchia del reich), la cui esistenza non veniva più giuridicamente riconosciuta.
L’espressione “resa incondizionata” riveste pertanto un significato ontologico quasi, per quanto concerne l’esistenza di uno stato nazionale.
Ecco allora che emerge un punto non indifferente : tanto allora quanto oggi, parlando della fine della guerra e del sistema che ne seguirà, ci si concentra nel 99% dei casi sulla sanguinosa disfatta e quindi distruzione, emarginazione dell’apparato nazional socialista nel dopoguerra, senza prestare attenzione al fatto che questa tira giù con sé anche l’identità nazionale tedesca che esisteva da ben PRIMA dell’avvento di Hitler : probabilmente questo viene dato per scontato, “va da sé” per così dire, ma proprio per questo la faccenda è ancor più problematica, per la ragnatela di equivoci semantici che comporta.
Voler affrontarli significa riflettere su una serie di punti che si possono sintetizzare in due interrogativi pilastro della questione :
1) “In che misura, durante la sua esistenza, il nazional socialismo coincise col corpo reale del paese ?
2) “In che misura la fascia più conservatrice della società – gli esponenti del prussianesimo – coincise col nazional socialismo ? “
…dall’eventuale risposta a questi due punti consente di affrontare un ulteriore domanda chiave sul quanto sia stato lecito da parte dei vincitori sbarazzarsi dello stato tradizionale tedesco anteriore al 1933 con la scusa di denazificare il paese dopo il 1945. Entrambe le domande recitano “in che misura” , cosa che suggerirebbe la necessità scientifica di quantificare tale appoggio, il che è tuttavia – come si può intuire – più complesso del previsto, ingannevole (ma che stiamo ad ingannarci con giri di parole ? E’ infattibile. In ultima istanza siamo di fronte a opinioni e congetture per quanto argomentate, cosa che malgrado tutto mi industrierò via via di fare).
Insomma, quasi 20 anni fa Galli della Loggia conia e popolarizza (e penso fosse doveroso porre il punto) l’espressione di “morte della patria” in merito al caso italiano che tuttavia non preclude riflessioni su altri casi – come quello tedesco in questo caso – ma che ipso facto apre le porte all’insolubile enigma di COSA sia la patria di cui si parla…..ne sottolinea il carattere drammaticamente relativo, dipendente da weltanschaung divergenti e quindi in definitiva l’artificialità di questa costruzione che scaturisce dalla sensibilità soggettiva.
Il limite del social web impedisce di tuffarsi nell’argomento ad un livello scientifico nonostante il tono serio che tengo (prego di considerarlo), ma mi si permetterà di sviluppare e condividere qualche considerazione su Weimar, Wehrmacht, Prussia, NSDAP, DDR, fino ad arrivare alla repubblica federale di oggi. Procederò armato soltanto di pochi dati e logica elementare, aperto a qualsiasi osservazione e contraddittorio (anzi lo domando a chi avrà voglia : contestatemi e contradditemi senza esitazione laddove riterrete)
Per il momento lasciamo Gustav Keitel qua sotto, all’infelice momento della firma (avrà momenti assai meno felici a breve, comunque) e partiamo dalle radici…………
(CONTINUA…)

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7], di Daniele Lanza

Vista la gravità dell’episodio di questi giorni a Berlino (più ci si pensa più ne diventa nitida la gravità estrema), ripubblico una vecchia serie di riflessioni in merito all’identità dello stato tedesco nell’ultimo secolo, che scrissi svariati anni fa in coincidenza dei festeggiamenti per la fine del conflitto mondiale :”IL CICLO DEI VINTI” in 7 parti.
Dato che la crisi dell’ultimo anno ha costituito una prova del 9, gettando luce sulle identità e sulle fedeltà di ognuno di noi e di ogni stato (i periodi di crisi hanno questo effetto) e in generale sull’ASSENZA di una comunità europea realmente indipendente ed efficace……..suggerisco di ripassarne i fondamentali iniziando proprio dal suo tassello più importante che è la GERMANIA contemporanea.
Buona (ri)lettura.
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco. Da leggere ma senza impegno)
Antichissimo buon senso orientale ci ricorda che ad ogni evento che determini un guadagno da una parte, sempre ed inevitabilmente corrisponde una perdita di analoga entità da un’altra : quest’ultima, la perdente, può essere più vicina a noi e quindi immediatamente percepibile, oppure – al contrario – meno prossima o addirittura remota, tanto da sfuggirci e darci l’illusoria impressione che il nostro successo si sia verificato senza danno, senza vittime. Di pia illusione si tratta naturalmente…..poichè per legge empirica (diciamo), ad un surplus aritmeticamente quantificabile in un determinato luogo, DEVE corrispondere un deficit altrove : possiamo infischiarcene di questo “altrove” certamente, concludere sulla base dei nostri valori e priorità che non ci riguardi (è a tutti gli effetti un diritto), ma decidere che non esista e far finta di nulla…..è una comodità che qualsiasi rigore intellettuale non consente (per dire : un governante può anche lavarsi le mani del fatto che milioni di suoi sudditi siano scalzi o soffrano carestie, ma NON può difendersi affermando di ignorare la situazione. Nel caso che veramente la ignori, mal gliene incolga – ogni riferimento all’ultimo tsar non è casuale).
La letteratura moderna ribadisce il concetto con la “teoria della somma zero” di Marx.
Mi duole prendere le cose troppo alla lontana, ma quanto avete appena letto costituisce la premessa filosofica, il senso di fondo, di quanto cercherò di esprimere in quanti capitoli sgorgheranno dalla mia tastiera da qui in avanti…….è a questo incipit che mi riallaccerò al momento dell’epilogo, chiudendo il cerchio.
Dunque…la storia – nella sua totalità – non si ferma mai, nel senso che laddove una storyline finisce, ipso facto ne nasce un’altra che prosegue (semplicemente si sostituiscono gli attori) : è la dinamica convenzionale considerando che tutto è correlato e che molto spesso una vicenda nasce dalle ceneri o dall’esaurimento di una ad essa anteriore. Orbene, questo perenne passaggio di testimone dalle alterne fortune genera naturalmente memorie differenti : tutto ciò che simboleggia gaudio e stimolo per la parte vincente in entrata -una data ad esempio – corrisponde, all’inverso, a triste epilogo per quella che soccombe, in uscita (elementare questione di prospettiva). Nel nostro caso si parla della GERMANIA, intesa come stato nazionale tanto per andare al punto senza tirarla avanti con altri fronzoli.
Il 9 maggio tutti cannoni – virtuali – di Russia (mio secondo paese), nonché di un’altra mezza dozzina di paesi del suo “commonwealth” culturale post-sovietico, sparano in commemorazione delle 75 estati trascorse dal momento in cui le forze armate germaniche firmano la capitolazione davanti al comando sovietico, concludendo il conflitto mondiale in Europa.
Il 9 maggio NESSUN cannone spara in Germania e mai lo farà. Indifferenza, un giorno come qualsiasi altro….anche in questo la tragedia del vinto : a prescindere dal tributo di sangue versato o dal valore dimostrato, lo attende l’oblio. In quanto sconfitto, diventa “male” secondo il metro di giustizia del nuovo contesto plasmato dai suoi vincitori, al punto che l’opzione più conveniente è la dimenticanza per l’appunto.
Da generazioni ogni 9 maggio milioni di adolescenti di Mosca, Leningrado, Ekaterinburg dilagano per le strade e i corsi principali contribuendo all’oceanico pubblico che segue la parata in un turbine variopinto di drappi, bandiere, striscioni, nastri, fiocchi medaglie, e qualsiasi cosa possa luccicare sotto il sole della tarda primavera, in ricordo di nonni e bisnonni.
Nel medesimo giorno i loro coetanei di Francoforte, Berlino e Amburgo sono a casa dopo un normale giorno di lezioni tra i banchi : loro nemmeno SANNO (non tutti) cosa sia stato o cosa abbia fatto il nonno o il bisnonno. E’ quasi come se non li avessero o almeno non li hanno per quanto concerne quella capsula temporale che segue l’anno 1933 e precede il 1945…pazienza per quanti di questi nonni e bis. sopravvissero e si costruirono un’esistenza nella generazione a venire, ma per coloro che ebbero sventura di cadere sul campo di battaglia la faccenda si fa problematica dato che la finestra temporale 33-45 come si è detto è zona morta.
Ecco, siamo di fronte a un triangolo delle Bermuda della memoria collettiva tedesca (come ben si sa), un buco nero che inghiotte e dissolve visi e voci, dissolvendoli riducendoli a un nebbioso e remoto mare di sagome che emette un lamento confuso : zona morta anche per i morti – scusate il gioco di parole – dove non muoiono esattamente, ma piuttosto vengono discretamente rimossi dalla linea temporale. Sì perché una morte eroica fa frastuono, attira l’attenzione pubblica…. è problematica ! L’autorità tedesca post-bellica NON poteva parlar bene dei propri uomini in uniforme, ma nemmeno male (perché aldilà del bene o del male, l’atto stesso del parlare, tiene in vita la cosa) ragion per cui si opta per la soluzione meno compromettente ed efficace : miniaturizzazione, compressione, vaporizzazione (passatemi qualche verbo originale) del soggetto tabù.
E allora ?? Quel golia chiamato “Wehrmacht” ha ancora da lamentarsi ?! Un conflitto convenzionale non demolisce demograficamente mezza dozzina di nazionalità diverse al passare di un singolo esercito ! Dire che si è passato il segno è limitativo, imbarazzante. Una dirigenza politica come quella del reich e coloro che maggiormente la sostennero (tra cui le forze armate) lanciatasi in un progetto di ambizione e incognite fuori scala, deve accettare le leggi dell’azzardo il che prevede ritrovarsi obliterati dal tavolo da gioco se qualcosa va male, le scuse non esistono nemmeno se si vede il gioco dal loro stesso punto di vista (…).
Il nodo – alla base del dibattito sull’identità tedesca dal dopoguerra in avanti – è questo, la posta in gioco : ci si è giocati integralmente il proprio paese come in una partita e quando questo accade, non soltanto la frazione più direttamente responsabile, ma tutto e tutti ne subiranno il peso…sarà la patria nella sua totalità – il concetto di essa – a pagare un tributo. La Germania non è solo nel novero dei paesi sconfitti dalla guerra, ma in quello dei paesi SCOMPARSI a seguito della guerra dal momento che le statualità post-conflitto non saranno la continuazione del paese “tradizionale” nato nel XIX° secolo : in questo senso è proprio la Germania tradizionale ad essere la prima vittima del nazionalsocialismo.
Il 9 maggio si aprono le porte al sorgere della “patria – superpotenza” diretta da Mosca, mentre conversamente, il medesimo giorno muore la “vecchia patria” in Germania.
(CONTINUA…)

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Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream, di Seymour Hersh (a cura di Roberto Buffagni e segnalazione di Antonio de Martini)

La firma “Seymour Hersch” vi ricorda qualcosa o qualcuno? Queste due foto vi aiuteranno a scavare nella vostra memoria ad oltre cinquanta anni fa. Quella inchiesta gli è valso il

premio Pulitzer nel 1970, quando quel riconoscimento aveva una sua autorevolezza. Dopo quella, seguirono altre inchieste clamorose: il coinvolgimento statunitense nel golpe di Pinochet in Cile nel 1973, lo scandalo delle sevizie nella prigione di Abu Ghraib in Iraq, l’attacco chimico a Ghuta in Siria nel 2013, attribuito ad Assad e in realtà orchestrato dalla Turchia e dai ribelli integralisti siriani. Sono solo una parte dei suoi scoop esplosivi. Con questo articolo, appena tradotto, Hersch, a 85 anni, non ha perso lo smalto e la sua azione dissacrante. Speriamo che riesca a provocare lo stesso effetto. Gli indizi non mancano. Intanto fissiamo alcuni punti fermi:

  • L’attentato è stato pianificato ben prima dell’attacco russo all’Ucraina
  • L’amministrazione americana sapeva del successo della sua politica di istigazione all’intervento russo
  • l’attentato si sarebbe probabilmente comunque compiuto a prescindere dal conflitto ucraino perché l’obbiettivo principale è colpire la Germania nel suo ruolo di leadership europea e nelle sue tentazioni di politica autonoma
  • il totale asservimento delle leadership europee e tedesca in particolare e la cointeressenza economica di alcuni paesi implicati nell’azione terroristica, in particolare la Norvegia e quella più ampia di uno stuolo di paesi europei.  

Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream

Il New York Times l’ha definita un “mistero”, ma gli Stati Uniti hanno eseguito un’operazione marittima segreta, fino ad oggi.

Seymour Hersh

5 ore fa

Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, in quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, una città di villeggiatura ora in piena espansione nel panhandle sud-occidentale della Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama. Il complesso del centro non è descrittivo come la sua ubicazione: una struttura in cemento scialbo del secondo dopoguerra che ha l’aspetto di una scuola superiore professionale nella zona ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che ora è una strada a quattro corsie.

Il centro ha addestrato per decenni sommozzatori altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene – utilizzando esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – e il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, sporcare le valvole di aspirazione delle centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse di canali di navigazione cruciali. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare i migliori, e più taciturni, diplomati della scuola di immersione che l’estate scorsa hanno fatto con successo ciò che erano stati autorizzati a fare a 260 piedi sotto la superficie del Mar Baltico.

Lo scorso giugno, i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di metà estate ampiamente pubblicizzata, nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi innescati a distanza che, tre mesi dopo, hanno distrutto tre dei quattro gasdotti Nord Stream, secondo una fonte con conoscenza diretta della pianificazione operativa.

Due dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, hanno fornito alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a basso costo per oltre un decennio. Una seconda coppia di gasdotti, denominata Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa. Ora, con le truppe russe che si ammassano al confine con l’Ucraina e con l’incombere della più sanguinosa guerra in Europa dal 1945, il presidente Joseph Biden vedeva i gasdotti come un veicolo per Vladimir Putin per armare il gas naturale per le sue ambizioni politiche e territoriali.

Alla richiesta di un commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha risposto in un’e-mail: “Questa affermazione è falsa e completamente inventata”. Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto: “Questa affermazione è completamente e totalmente falsa”.

La decisione di Biden di sabotare gli oleodotti è arrivata dopo oltre nove mesi di discussioni segretissime all’interno della comunità di sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio l’obiettivo. Per gran parte del tempo, il problema non è stato se compiere o meno la missione, ma come portarla a termine senza alcun indizio evidente su chi fosse il responsabile.

C’era una ragione burocratica vitale per affidarsi ai diplomati della scuola di immersione del centro a Panama City. I sommozzatori erano solo della Marina e non membri del Comando per le operazioni speciali americano, le cui operazioni segrete devono essere comunicate al Congresso e informate in anticipo alla leadership del Senato e della Camera, la cosiddetta Gang of Eight. L’amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie mentre la pianificazione si svolgeva tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022.

Il presidente Biden e la sua squadra di politica estera – il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per la politica – hanno manifestato in modo esplicito e coerente la loro ostilità ai due oleodotti, che si snodano uno accanto all’altro per 750 miglia sotto il Mar Baltico, partendo da due porti diversi nel nord-est della Russia, vicino al confine con l’Estonia, passando vicino all’isola danese di Bornholm prima di terminare nella Germania settentrionale.

La via diretta, che evita il transito in Ucraina, è stata una manna per l’economia tedesca, che ha goduto di un’abbondanza di gas naturale russo a basso costo, sufficiente per far funzionare le fabbriche e riscaldare le case, consentendo ai distributori tedeschi di vendere il gas in eccesso, con profitto, in tutta l’Europa occidentale. Un’azione che potesse essere ricondotta all’amministrazione avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale.

Fin dai primi giorni, Nord Stream 1 è stato visto da Washington e dai suoi partner anti-russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale. La holding che ne è alla base, la Nord Stream AG, è stata costituita in Svizzera nel 2005 in partnership con Gazprom, una società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per gli azionisti ed è dominata da oligarchi noti per essere al soldo di Putin. Gazprom controllava il 51% della società, mentre quattro aziende energetiche europee, una francese, una olandese e due tedesche, condividevano il restante 49% delle azioni e avevano il diritto di controllare le vendite a valle del gas naturale a basso costo ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom sono stati condivisi con il governo russo e, secondo le stime, in alcuni anni le entrate statali di gas e petrolio sono state pari al 45% del bilancio annuale della Russia.

I timori politici dell’America erano reali: Putin avrebbe avuto un’ulteriore e necessaria fonte di reddito, e la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero diventati dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, diminuendo la dipendenza europea dall’America. In realtà, questo è esattamente ciò che è accaduto. Molti tedeschi hanno visto il Nord Stream 1 come parte della realizzazione della famosa teoria dell’Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt. Ostpolitikteoria della che avrebbe permesso alla Germania del dopoguerra di riabilitare se stessa e altre nazioni europee distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale utilizzando, tra le altre iniziative, il gas russo a basso costo per alimentare un mercato e un’economia commerciale prospera nell’Europa occidentale.

Il Nord Stream 1 era già abbastanza pericoloso, secondo la NATO e Washington, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione è stata completata nel settembre del 2021, se approvato dalle autorità di regolamentazione tedesche, raddoppierebbe la quantità di gas a basso costo disponibile per la Germania e l’Europa occidentale. Il secondo gasdotto fornirebbe inoltre gas sufficiente per oltre il 50% del consumo annuale della Germania. Le tensioni tra la Russia e la NATO, sostenute dall’aggressiva politica estera dell’amministrazione Biden, erano in costante aumento.

L’opposizione al Nord Stream 2 è esplosa alla vigilia dell’insediamento di Biden nel gennaio 2021, quando i repubblicani del Senato, guidati da Ted Cruz del Texas, hanno ripetutamente sollevato la minaccia politica del gas naturale russo a basso costo durante l’udienza di conferma di Blinken come Segretario di Stato. A quel punto un Senato unificato aveva approvato con successo una legge che, come disse Cruz a Blinken, “ha fermato [il gasdotto] sul nascere”. Il governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, avrebbe esercitato enormi pressioni politiche ed economiche per mettere in funzione il secondo gasdotto.

Biden si opporrebbe ai tedeschi? Blinken ha risposto di sì, ma ha aggiunto di non aver discusso i dettagli delle opinioni del Presidente entrante. “So che è fermamente convinto che questa sia una cattiva idea, il Nord Stream 2”, ha detto. “So che vorrebbe che usassimo tutti gli strumenti di persuasione di cui disponiamo per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti”.

Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al completamento, Biden ha battuto ciglio. Nel maggio dello stesso anno, con un sorprendente dietrofront, l’amministrazione rinunciò alle sanzioni contro Nord Stream AG, mentre un funzionario del Dipartimento di Stato ammise che cercare di fermare il gasdotto attraverso le sanzioni e la diplomazia era “sempre stato un azzardo”. Dietro le quinte, i funzionari dell’amministrazione avrebbero esortato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che a quel punto stava affrontando la minaccia di un’invasione russa, a non criticare la mossa.

Le conseguenze sono state immediate. I repubblicani del Senato, guidati da Cruz, hanno annunciato un blocco immediato di tutte le nomine di Biden in politica estera e hanno ritardato l’approvazione della legge annuale sulla difesa per mesi, fino all’autunno. In seguito Politico ha descritto il dietrofront di Biden sul secondo gasdotto russo come “l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo in pericolo l’agenda di Biden”.

L’amministrazione era in difficoltà, nonostante avesse ottenuto una tregua dalla crisi a metà novembre, quando le autorità tedesche di regolamentazione dell’energia hanno sospeso l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale hanno subito un’impennata dell’8% nel giro di pochi giorni, tra i crescenti timori in Germania e in Europa che la sospensione del gasdotto e la crescente possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina avrebbero portato a un inverno freddo molto indesiderato. A Washington non era chiaro quale fosse la posizione di Olaf Scholz, il cancelliere tedesco appena nominato. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, Scholtz aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma in un discorso a Praga, suggerendo chiaramente una minore dipendenza da Washington e dalle sue azioni mercuriali.

In tutto questo, le truppe russe si sono costantemente e minacciosamente accumulate ai confini dell’Ucraina e alla fine di dicembre più di 100.000 soldati erano in grado di colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. A Washington cresceva l’allarme, compresa una valutazione di Blinken secondo cui il numero delle truppe avrebbe potuto essere “raddoppiato in breve tempo”.

L’attenzione dell’amministrazione si è nuovamente concentrata su Nord Stream. Finché l’Europa continuerà a dipendere dal gasdotto per ottenere gas naturale a basso costo, Washington temeva che Paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi necessarie per sconfiggere la Russia.

È stato in questo momento di incertezza che Biden ha autorizzato Jake Sullivan a riunire un gruppo interagenzie per elaborare un piano.

Tutte le opzioni dovevano essere prese in considerazione. Ma solo una sarebbe emersa.

PIANIFICAZIONE

Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una task force appena costituita – uomini e donne dello Stato Maggiore, della CIA, dei Dipartimenti di Stato e del Tesoro – e chiese raccomandazioni su come rispondere all’imminente invasione di Putin.

Sarebbe stato il primo di una serie di incontri top-secret, in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building, adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). Ci furono i soliti botta e risposta che alla fine portarono a una domanda preliminare cruciale: La raccomandazione trasmessa dal gruppo al Presidente sarebbe stata reversibile – come un altro strato di sanzioni e restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni cinetiche, che non potevano essere annullate?

Secondo la fonte con conoscenza diretta del processo, ciò che è apparso chiaro ai partecipanti è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.

I GIOCATORI Da sinistra a destra: Victoria Nuland, Anthony Blinken e Jake Sullivan.

Nel corso delle successive riunioni, i partecipanti discussero le opzioni per un attacco. La Marina propose di utilizzare un sottomarino di recente costruzione per attaccare direttamente l’oleodotto. L’aeronautica discuteva di sganciare bombe con spolette ritardate che potessero essere innescate a distanza. La CIA sosteneva che qualsiasi cosa si facesse, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i partecipanti capirono la posta in gioco. “Non si tratta di roba da bambini”, ha detto la fonte. Se l’attacco fosse riconducibile agli Stati Uniti, “sarebbe un atto di guerra”.

All’epoca, la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore in Russia che era stato vice segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò rapidamente un gruppo di lavoro dell’Agenzia i cui membri ad hoc includevano, guarda caso, qualcuno che aveva familiarità con le capacità dei sommozzatori della Marina a Panama City. Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato i sommozzatori per innescare un’esplosione lungo l’oleodotto.

Qualcosa di simile era già stato fatto in passato. Nel 1971, la comunità dei servizi segreti americani apprese da fonti ancora non rivelate che due importanti unità della Marina russa comunicavano attraverso un cavo sottomarino interrato nel Mare di Okhotsk, sulla costa dell’Estremo Oriente russo. Il cavo collegava un comando regionale della Marina al quartier generale continentale di Vladivostok.

Una squadra selezionata di agenti della Central Intelligence Agency e della National Security Agency è stata riunita da qualche parte nell’area di Washington, sotto copertura, e ha elaborato un piano, utilizzando sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio sottomarino, che è riuscito, dopo molti tentativi ed errori, a localizzare il cavo russo. I sommozzatori hanno piazzato sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto che ha intercettato con successo il traffico russo e lo ha registrato su un sistema di registrazione.

L’NSA venne a sapere che gli alti ufficiali della marina russa, convinti della sicurezza del loro collegamento, chiacchieravano con i loro colleghi senza crittografia. Il dispositivo di registrazione e il nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti allegramente per un decennio, finché non fu compromesso da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni, Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo. Pelton fu tradito da un disertore russo nel 1985 e condannato alla prigione. I russi gli pagarono solo 5.000 dollari per le sue rivelazioni sull’operazione, oltre a 35.000 dollari per altri dati operativi russi da lui forniti che non furono mai resi pubblici.

Quel successo subacqueo, chiamato in codice Ivy Bells, fu innovativo e rischioso, e produsse informazioni preziose sulle intenzioni e i piani della Marina russa.

Tuttavia, il gruppo interagenzie era inizialmente scettico sull’entusiasmo della CIA per un attacco segreto in mare aperto. C’erano troppe domande senza risposta. Le acque del Mar Baltico erano pesantemente pattugliate dalla marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere che potessero essere usate come copertura per un’operazione subacquea. I sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, proprio al di là del confine con le banchine di carico del gas naturale della Russia, per addestrarsi alla missione? “Sarebbe una scopata da capre”, è stato detto all’Agenzia.

Nel corso di “tutti questi piani”, ha raccontato la fonte, “alcuni funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e sarà un incubo politico se verrà fuori”.

Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo interagenzie di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare gli oleodotti”.

Quello che è successo dopo è stato sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden si è incontrato nel suo ufficio alla Casa Bianca con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che, dopo qualche tentennamento, era ora saldamente nella squadra americana. Durante il briefing con la stampa che ne è seguito, Biden ha affermato con tono di sfida: “Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo“.

Venti giorni prima, il Sottosegretario Nuland aveva trasmesso essenzialmente lo stesso messaggio durante un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con voi oggi”, ha detto in risposta a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti“.

Molti di coloro che hanno partecipato alla pianificazione della missione dell’oleodotto sono rimasti sconcertati da quelli che hanno considerato come riferimenti indiretti all’attacco.

“È stato come mettere una bomba atomica a Tokyo e dire ai giapponesi che la faremo esplodere”, ha detto la fonte. “Il piano prevedeva che le opzioni fossero eseguite dopo l’invasione e non pubblicizzate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato”.

L’indiscrezione di Biden e della Nuland, se di questo si è trattato, potrebbe aver frustrato alcuni dei pianificatori. Ma ha anche creato un’opportunità. Secondo la fonte, alcuni alti funzionari della CIA hanno stabilito che far saltare l’oleodotto “non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il Presidente aveva appena annunciato che sapevamo come farlo”.

Il piano per far saltare in aria Nord Stream 1 e 2 è stato improvvisamente declassato da un’operazione segreta che richiedeva l’informazione del Congresso a un’operazione di intelligence altamente classificata con il supporto militare degli Stati Uniti. Secondo la legge, ha spiegato la fonte, “non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto ciò che dovevano fare ora era farlo e basta, ma doveva essere ancora segreto. I russi hanno una sorveglianza superlativa del Mar Baltico”.

I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca e non vedevano l’ora di scoprire se il Presidente intendeva dire quello che aveva detto, cioè se la missione era ormai avviata. La fonte ha ricordato: “Bill Burns torna e dice: “Fatelo””.

“La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde a poche miglia dall’isola danese di Bornholm…”.

L’OPERAZIONE

La Norvegia era il luogo perfetto per la missione.

Negli ultimi anni di crisi Est-Ovest, le forze armate statunitensi hanno ampliato notevolmente la loro presenza in Norvegia, il cui confine occidentale corre per 1.400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e si fonde sopra il Circolo Polare Artico con la Russia. Il Pentagono ha creato posti di lavoro e contratti altamente remunerativi, tra qualche polemica locale, investendo centinaia di milioni di dollari per aggiornare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americane in Norvegia. Le nuove opere comprendevano, soprattutto, un radar avanzato ad apertura sintetica, in grado di penetrare in profondità in Russia, entrato in funzione proprio quando la comunità di intelligence americana ha perso l’accesso a una serie di siti di ascolto a lungo raggio all’interno della Cina.

Una base sottomarina americana recentemente ristrutturata, in costruzione da anni, è diventata operativa e più sottomarini americani sono ora in grado di lavorare a stretto contatto con i loro colleghi norvegesi per monitorare e spiare un’importante ridotta nucleare russa a 250 miglia a est, nella penisola di Kola. L’America ha anche ampliato notevolmente una base aerea norvegese nel nord e ha consegnato alle forze aeree norvegesi una flotta di aerei da pattugliamento P8 Poseidon, costruiti dalla Boeing, per rafforzare lo spionaggio a lungo raggio di tutto ciò che riguarda la Russia.

In cambio, lo scorso novembre il governo norvegese ha fatto arrabbiare i liberali e alcuni moderati del suo parlamento approvando l’Accordo supplementare di cooperazione per la difesa (SDCA). In base al nuovo accordo, in alcune “aree concordate” del Nord, il sistema giuridico statunitense avrà giurisdizione sui soldati americani accusati di crimini fuori dalla base, così come sui cittadini norvegesi accusati o sospettati di interferire con il lavoro della base.

La Norvegia è stata uno dei primi firmatari del Trattato NATO nel 1949, agli inizi della Guerra Fredda. Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che è stato primo ministro norvegese per otto anni prima di passare alla sua alta carica alla NATO, con il sostegno americano, nel 2014. Si trattava di un duro su tutto ciò che riguardava Putin e la Russia, che aveva collaborato con la comunità di intelligence americana fin dai tempi della guerra del Vietnam. Da allora si è fidato completamente di lui. “È il guanto che si adatta alla mano americana”, ha detto la fonte.

A Washington i pianificatori sapevano che dovevano andare in Norvegia. “Odiavano i russi e la marina norvegese era piena di marinai e sommozzatori eccellenti, con generazioni di esperienza nell’esplorazione di petrolio e gas in acque profonde altamente redditizie”, ha detto la fonte. Inoltre ci si poteva fidare di loro per mantenere la missione segreta. (I norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi. La distruzione di Nord Stream, se gli americani riuscissero a portarla a termine, consentirebbe alla Norvegia di vendere una quantità molto maggiore del proprio gas naturale all’Europa).

A marzo, alcuni membri del team si recarono in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la marina norvegese. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due serie di condotte, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio, mentre si dirigevano verso il porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania.

La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza l’una dall’altra, su un fondale profondo solo 260 piedi. Si trattava di un’area ben raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese della classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio che usciva dalle loro bombole e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture con coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti di marea, che avrebbero reso il compito di immergersi molto più difficile.

Dopo un po’ di ricerche, gli americani erano tutti d’accordo.

A questo punto, entrò di nuovo in gioco l’oscuro gruppo di immersione profonda della Marina a Panama City. Le scuole d’altura di Panama City, i cui allievi hanno partecipato alle Ivy Bells, sono viste come un’indesiderata zona d’ombra dall’élite dei diplomati dell’Accademia Navale di Annapolis, che di solito cercano la gloria di essere assegnati come Seal, piloti di caccia o sommergibilisti. Se uno deve diventare una “scarpa nera”, cioè un membro del meno desiderabile comando di navi di superficie, c’è sempre almeno un incarico su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. La meno affascinante di tutte è la guerra di mine. I suoi sommozzatori non appaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.

“I migliori sommozzatori con qualifiche per immersioni profonde sono una comunità ristretta e solo i migliori vengono reclutati per l’operazione e viene detto loro di prepararsi a essere convocati dalla CIA a Washington”, ha detto la fonte.

I norvegesi e gli americani avevano il luogo e gli operatori, ma c’era un’altra preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione della marina svedese o danese, che avrebbe potuto segnalarla.

Anche la Danimarca era stata uno dei primi firmatari della NATO ed era nota nella comunità dei servizi segreti per i suoi legami speciali con il Regno Unito. La Svezia aveva presentato domanda di adesione alla NATO e aveva dimostrato una grande abilità nella gestione dei suoi sistemi di sensori sonori e magnetici sottomarini, che riuscivano a rintracciare con successo i sottomarini russi che di tanto in tanto comparivano nelle acque remote dell’arcipelago svedese e venivano costretti a salire in superficie.

I norvegesi si unirono agli americani insistendo sul fatto che alcuni alti funzionari in Danimarca e Svezia dovevano essere informati in termini generali sulle possibili attività subacquee nell’area. In questo modo, qualcuno più in alto poteva intervenire e tenere un rapporto fuori dalla catena di comando, isolando così l’operazione dell’oleodotto. “Quello che veniva detto loro e quello che sapevano erano volutamente diversi”, mi ha detto la fonte (l’ambasciata norvegese, interpellata per commentare questa storia, non ha risposto).

I norvegesi sono stati fondamentali per risolvere altri ostacoli. È noto che la marina russa possiede una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e attivare le mine sottomarine. I dispositivi esplosivi americani dovevano essere camuffati in modo da apparire al sistema russo come parte dello sfondo naturale, cosa che richiedeva un adattamento alla salinità specifica dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.

I norvegesi avevano anche una soluzione alla questione cruciale di quando l’operazione avrebbe dovuto avere luogo. Ogni giugno, negli ultimi 21 anni, la Sesta Flotta americana, la cui nave ammiraglia è basata a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, ha sponsorizzato una grande esercitazione della NATO nel Mar Baltico che coinvolge decine di navi alleate in tutta la regione. L’attuale esercitazione, che si terrà a giugno, sarà nota come Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi hanno proposto che questa fosse la copertura ideale per piazzare le mine.

Gli americani fornirono un elemento fondamentale: convinsero i pianificatori della Sesta Flotta ad aggiungere al programma un’esercitazione di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, come reso noto dalla Marina, coinvolgeva la Sesta Flotta in collaborazione con i “centri di ricerca e di guerra” della Marina. L’evento in mare si sarebbe svolto al largo delle coste dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre di sommozzatori della NATO che avrebbero piazzato mine, mentre le squadre concorrenti avrebbero utilizzato le più recenti tecnologie subacquee per trovarle e distruggerle.

Si trattava di un esercizio utile e di una copertura ingegnosa. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto il loro dovere e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore. Tutti gli americani e i norvegesi sarebbero spariti prima della prima esplosione.

I giorni erano contati. “Il tempo scorreva e ci stavamo avvicinando alla missione compiuta”, ha detto la fonte.

E poi: Washington ci ripensò. Le bombe sarebbero state comunque piazzate durante il BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che una finestra di due giorni per la loro detonazione sarebbe stata troppo vicina alla fine dell’esercitazione e che sarebbe stato evidente il coinvolgimento dell’America.

La Casa Bianca ha invece avanzato una nuova richiesta: “I ragazzi sul campo possono escogitare un modo per far saltare gli oleodotti in seguito al comando?”.

Alcuni membri del team di pianificazione erano arrabbiati e frustrati per l’apparente indecisione del Presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piazzare il C4 sulle condutture, come avrebbero fatto durante BALTOPS, ma ora la squadra in Norvegia doveva trovare un modo per dare a Biden quello che voleva: la possibilità di emettere un ordine di esecuzione di successo in un momento a sua scelta.

Essere incaricati di un cambiamento arbitrario e dell’ultimo minuto era qualcosa che la CIA era abituata a gestire. Ma ha anche rinnovato le preoccupazioni di alcuni sulla necessità e la legalità dell’intera operazione.

Gli ordini segreti del Presidente evocavano anche il dilemma della CIA ai tempi della guerra del Vietnam, quando il Presidente Johnson, di fronte al crescente sentimento contrario alla guerra del Vietnam, ordinò all’Agenzia di violare il suo statuto – che le impediva specificamente di operare all’interno dell’America – spiando i leader contrari alla guerra per determinare se fossero controllati dalla Russia comunista.

Alla fine l’Agenzia acconsentì, e nel corso degli anni Settanta divenne chiaro fino a che punto fosse disposta a spingersi. In seguito agli scandali Watergate, i giornali rivelarono che l’Agenzia spiava i cittadini americani, era coinvolta nell’assassinio di leader stranieri e aveva minato il governo socialista di Salvador Allende.

Queste rivelazioni portarono a una drammatica serie di audizioni a metà degli anni ’70 al Senato, guidate da Frank Church dell’Idaho, che chiarirono che Richard Helms, l’allora direttore dell’Agenzia, accettava l’obbligo di fare ciò che il Presidente voleva, anche se ciò significava violare la legge.

In una testimonianza inedita e a porte chiuse, Helms ha spiegato con amarezza che “si ha quasi un’Immacolata Concezione quando si fa qualcosa” su ordine segreto di un Presidente. “Che sia giusto che sia così o che sia sbagliato che sia così, [la CIA] lavora con regole diverse e regole di base rispetto a qualsiasi altra parte del governo”. In sostanza, stava dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, aveva capito di lavorare per la Corona e non per la Costituzione.

Gli americani al lavoro in Norvegia operavano secondo la stessa dinamica e iniziarono doverosamente a lavorare sul nuovo problema: come far esplodere a distanza l’esplosivo C4 su ordine di Biden. Si trattava di un compito molto più impegnativo di quanto non avessero capito a Washington. La squadra in Norvegia non aveva modo di sapere quando il Presidente avrebbe premuto il pulsante. Sarebbe stato tra poche settimane, tra molti mesi o tra mezzo anno o più?

Il C4 collegato alle condutture sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura richiedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione dei segnali. Una volta posizionati, i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro oleodotti potrebbero essere accidentalmente innescati dalla complessa miscela di rumori di fondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico, molto trafficato, provenienti da navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino creature marine. Per evitare ciò, la boa sonar, una volta posizionata, emetterebbe una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza – simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte – che verrebbero riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e, dopo un ritardo di ore prestabilito, innescherebbero gli esplosivi. (“Si vuole un segnale abbastanza robusto, in modo che nessun altro segnale possa accidentalmente inviare un impulso che faccia esplodere gli esplosivi”, mi ha detto il dottor Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che è stato consulente scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha detto che il problema che il gruppo in Norvegia deve affrontare a causa del ritardo di Biden è una questione di probabilità: “Più a lungo gli esplosivi rimangono in acqua, maggiore è il rischio che un segnale casuale possa lanciare le bombe”).

Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese ha effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente verso Nord Stream 2 e poi verso Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti, è stato possibile vedere le pozze di gas metano rimaste nelle condutture chiuse diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo ha capito che era avvenuto qualcosa di irreversibile.

FALLIMENTO

All’indomani dell’attentato all’oleodotto, i media americani l’hanno trattato come un mistero irrisolto. La Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, spinta da calcolate fughe di notizie dalla Casa Bianca, ma senza mai stabilire un chiaro motivo per un tale atto di autosabotaggio, al di là della semplice vendetta. Qualche mese dopo, quando è emerso che le autorità russe si erano procurate in sordina i preventivi di spesa per la riparazione degli oleodotti, il New York Times ha descritto la notizia come “complicante le teorie su chi ci fosse dietro” l’attacco. Nessun grande giornale americano ha approfondito le precedenti minacce agli oleodotti avanzate da Biden e dal Sottosegretario di Stato Nuland.

Sebbene non sia mai stato chiaro il motivo per cui la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio lucroso oleodotto, una motivazione più eloquente per l’azione del Presidente è arrivata dal Segretario di Stato Blinken.

In una conferenza stampa dello scorso settembre, Blinken ha parlato delle conseguenze dell’aggravarsi della crisi energetica in Europa occidentale, Blinken ha descritto il momento come potenzialmente positivo:

“È un’opportunità straordinaria per eliminare una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi per togliere a Vladimir Putin la possibilità di armare l’energia come mezzo per portare avanti i suoi progetti imperiali. Questo è molto significativo e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto questo non siano sopportate dai cittadini dei nostri Paesi o, se è per questo, di tutto il mondo”.

Più recentemente, Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la scomparsa del più recente dei gasdotti. Alla fine di gennaio, in occasione di un’audizione del Comitato per le Relazioni Estere del Senato, ha dichiarato al senatore Ted Cruz: “Come lei, sono molto soddisfatta, e credo che lo sia anche l’Amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è ora, come lei ama dire, un pezzo di metallo in fondo al mare”.

La fonte ha avuto una visione molto più spicciola della decisione di Biden di sabotare più di 1500 miglia di gasdotto Gazprom all’approssimarsi dell’inverno. “Beh”, ha detto parlando del Presidente, “devo ammettere che il ragazzo ha un paio di palle.  Ha detto che l’avrebbe fatto e l’ha fatto”.

Alla domanda sul perché pensasse che i russi non avessero risposto, ha risposto cinicamente: “Forse vogliono avere la capacità di fare le stesse cose che hanno fatto gli Stati Uniti”.

“Era una bella storia di copertura”, ha proseguito. “Dietro c’era un’operazione segreta che prevedeva la presenza di esperti sul campo e di apparecchiature che funzionavano con un segnale segreto.

“L’unica pecca è stata la decisione di farlo”.

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Il New York Times ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento, di Andrew Korybko

Né il New York Times, né gli esperti occidentali citati dalla scrittrice Ana Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così la osservazione che questa dimensione della campagna di guerra dell’informazione anti-russa del Golden Billion è decisamente cambiata.

La “narrativa ufficiale” che circonda il conflitto ucraino è passata nelle ultime settimane dal celebrare prematuramente la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev all’odierno serio avvertimento della sua probabile sconfitta. Ci si aspettava quindi, col senno di poi, che sarebbero cambiate anche altre dimensioni della campagna di guerra dell’informazione condotta dal Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti contro la Russia. Proprio a riprova di ciò, il New York Times (NYT) ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento.

“Nell’articolo di Ana Swanson su come ” La Russia elude le punizioni occidentali, con l’aiuto degli amici ”,  cita esperti occidentali che hanno concluso che “le importazioni della Russia potrebbero essere già tornate ai livelli prebellici, o lo faranno presto, a seconda dei loro modelli”. Ancora più convincente, fa riferimento all’ultima valutazione del FMI di lunedì, che “ora prevedeva che l’economia russa crescesse dello 0,3% quest’anno, un netto miglioramento rispetto alla precedente stima di una contrazione del 2,3%.

Né il NYT, né gli esperti occidentali citati da Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così l’osservazione che questa dimensione Anche la guerra informatica del Golden Billion è decisamente cambiata. Il nocciolo della questione è che le sanzioni anti-russe dell’Occidente non sono riuscite a catalizzare il crollo dell’economia di quella grande potenza multipolare mirata, che continua a rimanere straordinariamente resistente.

La tempistica in cui questa narrazione è cambiata è importante anche perché dà credito alla nuova narrativa più ampiamente conosciuta che oggi mette seriamente in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella NATO’s proxy war on Russiaguerra per procura della NATO contro la Russia .  Dopotutto, se le sanzioni raggiungessero l’obiettivo che avrebbero dovuto raggiungere e che i Mainstream Media (MSM) occidentali guidati dagli Stati Uniti fino ad allora avevano mentito, allora ne consegue naturalmente che Kiev avrebbe “inevitabilmente” vinto esattamente come sostenevano che sarebbe successo fino a metà gennaio.

Con questo in mente, il modo più efficace per “riprogrammare” l’occidentale medio dopo avergli fatto il lavaggio del cervello negli ultimi 11 mesi per aspettarsi la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev è anche cambiare in modo decisivo le narrazioni supplementari che hanno prodotto artificialmente quella suddetta falsa conclusione. A tal fine, è stato dato l’ordine di iniziare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fallimento delle sanzioni anti-russe del Golden Billion, ergo l’ultimo pezzo del NYT e la tempistica specifica.

Ciò che non viene detto in quell’articolo è l’osservazione “politicamente scorretta”, ma comunque fortemente implicita, secondo cui il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICSBRICS – & e SCOSCO , di cui la Russia fa parte, ha sfidato le richieste del Golden Billion di “isolare” quella Grande Potenza multipolare. Nessun media MSM lo ammetterà mai, almeno non ancora, ma il loro blocco de facto della Nuova Guerra Fredda ha un’influenza limitata al di fuori della “sfera di influenza” recentemente restaurata degli Stati Uniti in Europa, i cui paesi sono gli unici a subire queste sanzioni.

L’ultimo pezzo del NYT potrebbe inavvertitamente rendere consapevoli molti membri del loro pubblico di ciò, tuttavia, e potrebbero quindi obiettare sempre più ai loro governi che aumentano il loro impegno nella guerra per procura della NATO contro la Russia sotto la pressione americana. Il presidente croato Zoran Milanovic si è recentemente unito al primo ministro ungherese Viktor Orban nel condannare questa campagna e aumentare la consapevolezza di quanto sia stata controproducente per gli interessi oggettivi dell’Europa.

Quando gli europei si renderanno conto di essere gli unici a soffrire delle sanzioni anti-russe che il loro signore americano li ha costretti a imporre e che i loro sacrifici non hanno influito negativamente sull’operazione speciale mirata della Grande Potenza multipolare ,  potrebbero seguire massicci disordini. È improbabile che induca i loro leader controllati dagli Stati Uniti a invertire la rotta, ricordando che il ministro degli Esteri tedesco ha promesso alla fine dell’anno scorso di non farlo mai, ma potrebbe invece catalizzare una violenta repressione della polizia.

La ragione dietro questa previsione pessimistica è che un’inversione o per lo meno una diminuzione dell’attuale rigido regime di sanzioni anti-russe rappresenterebbe una mossa indipendente senza precedenti da parte di qualunque stato europeo lo faccia/lo faccia. Visto che ciò non è nemmeno accaduto negli otto anni prima della riuscita riaffermazione da parte degli Stati Uniti della loro egemonia unipolare per tutto il 2022, la probabilità che ciò accada oggigiorno in quelle condizioni molto più difficili è praticamente nulla.

“Il subordinato degli Stati Uniti ” per la “gestione” degli affari europei come parte della sua nuova cosiddetta strategia di “condivisione degli oneri”, la Germania ,  ha più che sufficienti leve di influenza economica, istituzionale e politica per punire chiunque di quei vassalli americani di livello inferiore che escono fuori posto. È quindi irrealistico aspettarsi che ogni singolo membro dell’UE sfidi unilateralmente le sanzioni anti-russe del blocco che il proprio governo ha precedentemente accettato.

Considerando questa realtà, quei leader che vogliono rimanere al potere o almeno non rischiare l’ ira della guerra ibrida guidata dai tedeschi degli Stati Uniti contro le loro economie sono restii a ripristinare una parvenza della loro sovranità in gran parte perduta in un modo così drammatico. Invece, la loro linea d’azione più pragmatica è quella di non partecipare all’aspetto militare di questa guerra per procura rifiutandosi di inviare armi a Kiev esattamente come hanno fatto il blocco pragmatico emergente dell’Europa centrale di Austria , Croazia e Ungheria. È quindi improbabile che la popolazione di quei paesi protesti contro le sanzioni anche dopo essere stata messa a conoscenza dei fatti contenuti nell’ultimo pezzo del NYT e giungendo naturalmente alla conclusione che le sanzioni anti-russe hanno danneggiato solo le proprie economie e non quella mirata alla Grande Di potere. Le persone in Francia, Germania e Italia, tuttavia, potrebbero benissimo reagire in modo diverso, soprattutto considerando la loro tradizione di organizzare massicce proteste.

In uno scenario del genere, i loro governi dovrebbero ordinare un violento giro di vite della polizia con qualsiasi pretesto escogitino, accusando falsamente i manifestanti di usare prima la violenza o accusandoli tutti di essere i cosiddetti “agenti russi”. Indipendentemente da come accadrà, il risultato sarà lo stesso per cui i paesi dell’Europa occidentale scivoleranno sempre più in una dittatura liberal-totalitaria, che a sua volta contribuirà a radicalizzare ulteriormente la loro popolazione verso fini incerti.

Tornando al pezzo del NYT, esso rappresenta un notevole capovolgimento della “narrativa ufficiale” ammettendo francamente che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento. Ciò coincide con il cambiamento decisivo della narrazione più ampia guidata dai leader americani e polacchi nell’ultimo mese, per cui oggi stanno seriamente mettendo in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella guerra per procura della NATO contro la Russia. Resta da vedere quali altre narrazioni cambieranno, ma si prevede che altre di queste lo faranno inevitabilmente.

https://korybko.substack.com/p/the-new-york-times-just-admitted

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Unione Europea e Germania! Controfigure e protagonisti_con Antonio de Martini

Da quaranta anni la costruzione e la designazione del nemico seguono lo stesso canovaccio. Dalle stelle alle stalle, personaggi come Saddam Husseyn, Milosevic, Gheddafi, per un pelo anche Assad, forse in un prossimo futuro Zelenski, hanno conosciuto una fine tragica, illudendosi per un attimo della benevolenza e delle grazie concesse dalla potenza aggrappata alle sue ambizioni egemoniche. Non sono altro che singoli punti di un cerchio che sta stringendo in una morsa ferrea ancora una volta l’Europa ed in particolare la Germania. Piuttosto che reagire, le vittime designate hanno scelto di divincolarsi il meno possibile. Così facendo pensano di guadagnare tempo; i più illusi ritengono di potersi ritagliare i resti di qualche pietanza. Saranno essi stessi la pietanza; il tacchino farcito da spolpare, senza nemmeno il ringraziamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Le lezioni non apprese della Germania, di Liana Fix e Thorsten Benner

una constatazione, cioè senza potenza ed autonomia niente economia; un avvertimento sulla parte da cui stare_Giuseppe Germinario

Berlino deve ridurre la sua dipendenza non solo dalla Russia ma anche dalla Cina

uando Frank-Walter Steinmeier, presidente federale ed ex ministro degli Esteri tedesco, ha ricevuto il Premio Kissinger nel novembre 2022, ha espresso una valutazione sincera dei fallimenti della politica estera del suo paese (e della sua). Dal momento che il mondo è cambiato, ha detto, “dobbiamo abbandonare vecchi modi di pensare e vecchie speranze”, inclusa l’idea che “lo scambio economico porterà alla convergenza politica”. In futuro, ha dichiarato Steinmeier, Berlino deve imparare dal passato e “ridurre le dipendenze unilaterali” non solo dalla Russia ma anche dalla Cina.

Mentre infuria la guerra in Ucraina , pochi politici tedeschi metterebbero in discussione l’affermazione che Berlino deve ridurre la sua dipendenza energetica da Mosca. In effetti il governo tedesco lo ha fatto E retoricamente, almeno, i leader tedeschi promettono anche di alleggerire la dipendenza economica del paese dalla Cina. “Mentre la Cina cambia, anche il modo in cui trattiamo con la Cina deve cambiare”, ha affermato il cancelliere tedesco Olaf Scholz in un editoriale per Politico a novembre. In un pezzo per la rivista Foreign Affairs , ha anche sostenuto “una nuova cultura strategica” come parte della Zeitenwende tedesca, o cambiamento tettonico, in politica estera, che ha annunciato dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Finora, tuttavia, Scholz è stato riluttante a sconvolgere lo status quo con Pechino , anche perché la guerra in Russia e gli alti prezzi dell’energia hanno messo a dura prova l’economia tedesca. Le grandi aziende tedesche che dipendono fortemente dal mercato cinese sono desiderose di espandere le loro operazioni invece di ridurre.

Ma poiché i suoi legami economici con la Cina sono così profondi e complessi, molto più di quanto non lo sia con la Russia, Berlino deve muoversi con forza per ridurre la dipendenza da Pechino. In particolare, il rischio di una guerra per Taiwan lascia la Germania pericolosamente esposta a coercizioni e shock economici.

Il prossimo febbraio, il governo tedesco pubblicherà la sua prima strategia di sicurezza nazionale. Poco prima dell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, questa è l’occasione per Berlino di dimostrare di aver tratto le giuste lezioni dal catastrofico fallimento del suo approccio passato nei confronti della Russia. È tempo che la Germania elabori un piano per ridurre la dipendenza dalla Cina diversificando i legami commerciali e di investimento e separandosi selettivamente dalla Cina sulle tecnologie critiche.

LEZIONI DI STORIA

Gli Stati Uniti e la Germania hanno tratto lezioni opposte dalla fine della guerra fredda. Gli Stati Uniti emersero dal confronto convinti che l’ approccio “pace attraverso la forza” del presidente Ronald Reagan e un’accelerata corsa agli armamenti costringessero l’Unione Sovietica a negoziare . La Germania uscì dalla Guerra Fredda convinta che l’impegno e il “cambiamento attraverso il riavvicinamento” del Cancelliere Willy Brandt (in seguito ribattezzato “cambiamento attraverso il commercio”) fossero stati la formula vincente, superando il divario Est-Ovest attraverso la cooperazione politica ed economica, che si tradusse in positivi cambiamento interno nel blocco sovietico.

L’idea del “cambiamento attraverso il commercio” è sopravvissuta alla fine della Guerra Fredda ed è rimasta un concetto influente a Bonn ea Berlino, la capitale della Germania prima e dopo la riunificazione tedesca. Per una generazione di politici tedeschi, è stato un quadro che ha opportunamente intrecciato l’impegno di paesi non democratici come la Cina e la Russia nella ricerca di profitti economici con la possibilità di trasformare quei paesi in democrazie . Nel 2006, mentre prestava servizio come ministro degli esteri della cancelliera Angela Merkel, Steinmeier ha introdotto il concetto di “cambiamento attraverso l’interblocco”: in sostanza, forgiando la cooperazione economica attraverso partenariati commerciali ed energetici, Berlino avrebbe reso l’ interdipendenza della Russia con l’Europa“irreversibile”, secondo un documento politico del ministero degli Esteri tedesco. Di conseguenza, Mosca si asterrebbe dal comportamento scorretto perché il costo sarebbe troppo alto. La Russia, dopotutto, dipendeva dalle entrate e dalla tecnologia della Germania e di altri paesi europei ancor più di quanto la Germania ei suoi vicini dipendessero dal gas e dal petrolio russi.

I limiti della teoria secondo cui l’interdipendenza economica avrebbe dissuaso il Cremlino dal violare le norme internazionali divennero subito evidenti. Nel 2008 la Russia ha invaso la Georgia. Nel 2014 ha annesso la Crimea. Nel periodo precedente all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, i politici tedeschi pensavano che i costi economici sarebbero stati troppo alti per la Russia per tentare un attacco su vasta scala contro l’Ucraina e rovesciare il governo di Kiev. Questo è stato, ovviamente, un fatale errore di calcolo, che ha sottovalutato la radicalizzazione ideologica del presidente russo Vladimir Putin .

CAMBIARE MARCIA

Berlino ha fatto i conti con il fallimento del suo approccio di “cambiamento attraverso il commercio” nei confronti della Russia. Lo stesso non si può dire per come Berlino dialoga con Pechino. Uno dei politici chiave che spinge per trarre le giuste lezioni dalla dipendenza della Germania dalla Russia è il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock. In un discorso a settembre, ha implorato i leader aziendali tedeschi di astenersi dal “seguire da soli un mantra ‘business first’, senza tenere in debito conto i rischi e le dipendenze a lungo termine”.

L’establishment tedesco dovrebbe prestare attenzione al suo avvertimento perché i parallelismi tra Cina e Russia sono evidenti. Nel 2017, l’esperto cinese ed ex consigliere del governo australiano John Garnaut ha sostenuto che il Partito Comunista Cinese (PCC) ha “rinvigorito l’ideologia in una misura che non si vedeva dai tempi della Rivoluzione Culturale”. Questa osservazione è stata confermata negli anni successivi: il presidente cinese Xi Jinping si è insediato come leader de facto per tutta la vita e si è circondato di yes men. Come in Russia, l’ideologia ha sempre più la meglio sulla razionalità economica in Cina. Se Xi decide di perseguire il suo sogno di portare Taiwan sotto il controllo cinese, indipendentemente dai costi economici, le onde d’urto per la Germania farebbero impallidire quelle causate dall’invasione russa dell’Ucraina.

Gli Stati Uniti e la Germania hanno tratto lezioni opposte dalla fine della guerra fredda.

Ciò è in gran parte dovuto al fatto che la dipendenza della Germania dalla Russia era essenzialmente limitata agli idrocarburi. La dipendenza della Germania dalla Cina, al contrario, include un’ampia gamma di prodotti e materiali critici necessari per la produzione, come il litio e il cobalto, nonché i minerali delle terre rare che sono cruciali per la transizione a zero emissioni di carbonio della Germania. E mentre la Russia era un mercato considerevole ma non vitale per l’industria tedesca, la Cina è il principale partner commerciale della Germania al di fuori dell’Europa. Cresce, inoltre, la dipendenza di Berlino dal gigante asiatico: gli investimenti tedeschi in Cina sono ai massimi storici. Lo stesso vale per le importazioni tedesche dalla Cina e per il deficit commerciale della Germania con Pechino.

Le più grandi aziende tedesche si oppongono a qualsiasi confronto tra Russia e Cina. La scorsa estate, Herbert Diess, allora amministratore delegato della casa automobilistica tedesca Volkswagen, ha detto che si aspettava che il PCC sotto Xi si impegnasse in “ulteriori aperture” e sviluppasse “positivamente” il “suo sistema di valori”. La presenza della Volkswagen in Cina, ha affermato, potrebbe “contribuire a questo cambiamento”. Il suo successore, Oliver Blume, ha difeso la presenza di uno stabilimento Volkswagen nello Xinjiang, dove la Cina compie massicce e sistematiche violazioni dei diritti umani contro la popolazione prevalentemente musulmana uigura. Blume ha affermato che la presenza dell’azienda nello Xinjiang “porta i nostri valori nel mondo”. Ha certamente un incentivo economico a far girare la condotta dell’azienda in questo modo: oltre il 40 percento del fatturato globale di Volkswagen le entrate e probabilmente la maggior parte dei suoi profitti provengono dalle vendite nel mercato cinese. E la Volkswagen non è certo la sola a cercare di continuare la narrativa del “cambiamento attraverso il commercio” con Pechino. La gigantesca azienda chimica tedesca BASF sta investendo dieci miliardi di euro in un nuovo complesso produttivo nel sud della Cina, mentre la leadership dell’azienda avverte i politici tedeschi e il pubblico di evitare il “colpo della Cina”.

Scholz ha avvertito le aziende tedesche di “non mettere tutte le uova nello stesso paniere” e ha criticato alcune di loro per “ignorare totalmente i rischi” di essere fortemente dipendenti dal mercato cinese. Ma non ha negato il sostegno politico ai leader del settore che hanno sfidato il suo consiglio. Ad esempio, nel suo recente viaggio a Pechino, ha incluso nella sua delegazione gli amministratori delegati di BASF e Volkswagen. Scholz ha anche consentito alla compagnia di navigazione statale cinese Cosco di acquisire una partecipazione in un terminal nel principale porto tedesco di Amburgo e non ha impedito al colosso tecnologico cinese Huawei di assumere un ruolo importante nel lancio del 5G in Germania.

Sebbene Huawei sia stata esclusa dalla rete principale 5G tedesca, quasi il 60% della RAN 5G del paese, o rete di accesso radio, è fornita da Huawei; a Berlino, quel numero si avvicina al 100 percento , secondo un prossimo rapporto di Strand Consult, una società di consulenza globale per le telecomunicazioni. Poiché le operazioni si svolgono sempre più nel cloud, la distinzione tra reti centrali e reti di accesso sta diminuendo. Ciò rende la dipendenza da Huawei come fornitore cruciale di reti di accesso un rischio per la sicurezza. Inoltre, mentre gli Stati Uniti intensificano la loro politica di sanzioni contro i fornitori cinesi ad alto rischio, la dipendenza della Germania da Huawei si trova su un terreno instabile. Tutto questo suggerisce che la Germania tanto acclamata Zeitenwendenella sua politica verso la Russia non è ancora uno Zeitenwende completo nella politica della Germania nei confronti della Cina.

Finora, Berlino è stata riluttante a sconvolgere lo status quo con Pechino.

A dire il vero, ridurre la dipendenza della Germania dalla Cina avrà un costo economico. Tale costo, tuttavia, sarà inferiore al prezzo che la Germania dovrebbe pagare se rimane tristemente impreparata a una potenziale guerra su Taiwan tra Cina e Stati Uniti e alleati nell’Asia-Pacifico. Berlino deve fare tutto ciò che è in suo potere e lavorare con partner che la pensano allo stesso modo per dissuadere Pechino dall’usare la forza per cambiare lo status quo nello Stretto di Taiwan. Allo stesso tempo, la Germania deve prepararsi a uno scenario in cui la deterrenza fallisce. Entrambi richiedono una drastica riduzione della dipendenza dalla Cina.

Scholz si impegna a diversificare i mercati ea ridurre la dipendenza da prodotti e materiali critici necessari per la produzione Il cancelliere, tuttavia, dovrebbe trarre ispirazione dai suoi partner di coalizione , vale a dire i Verdi e i Liberi Democratici pro-business, che vogliono muoversi in modo più deciso per scoraggiare le grandi aziende tedesche dall’accrescere la loro dipendenza dal mercato cinese affrontare in modo più esplicito Le minacce di Pechino verso Taiwan. Anche questi partner lo sonospingere per un’europeizzazione della politica cinese della Germania: come primo passo, ciò richiederebbe l’inclusione di rappresentanti di altri governi europei nelle consultazioni annuali del governo cinese-tedesco che riuniscono il cancelliere ei ministri tedeschi con le loro controparti cinesi.

Gli Stati Uniti possono aiutare mantenendo la pressione sulla Germania per ridurre la dipendenza critica dalla Cina e offrendo cooperazione, ad esempio, su catene di approvvigionamento resilienti per tecnologie essenziali come i semiconduttori. Per ridurre le molteplici pressioni sulle economie europee, gli Stati Uniti dovrebbero affrontare con urgenza le preoccupazioni dell’UE sugli effetti di distorsione dei sussidi per le tecnologie di energia rinnovabile nell’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti. Ciò potrebbe essere ottenuto utilizzando tutta la flessibilità che l’attuazione dell’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti prevede per le esenzioni per gli alleati europei.

Scholz ha messo in guardia in Foreign Affairs dal ritorno a un paradigma della Guerra Fredda, sostenendo che il mondo è entrato in un’era multipolare distinta da quel periodo. Questa affermazione vale anche per la Germania: il paese deve seppellire le proprie illusioni sulle lezioni del 1989. Invece di “cambiare attraverso il commercio”, la Germania, insieme ad altri partner occidentali, dovrà adottare un approccio di “pace attraverso la forza” per trattare con Russia e Cina. Queste sono le realtà di un mondo più conflittuale.

https://www.foreignaffairs.com/china/germanys-unlearned-lessons

L’ammissione della Merkel che Minsk era solo uno stratagemma garantisce un conflitto prolungato, di Andrew Korybko

I critici potrebbero affermare che la nuova prospettiva del presidente Putin è arrivata con otto anni di ritardo, ma tardi è sempre meglio che mai. La Merkel lo ha manipolato per anni prima di chiarire finalmente il suo tradimento, che ha insegnato al leader russo la dolorosa lezione che non potrà mai più fidarsi di nessuno dei suoi coetanei occidentali. Invece, ora sta abbracciando con entusiasmo le sue controparti della Grande Potenza in tutto il Sud del mondo, in particolare il primo ministro indiano Modi, che condivide la sua grande visione strategica di un futuro multipolare.

L’ex cancelliere finalmente viene pulito

Nessuno può affermare con sicurezza di sapere come andrà a finire l’ultima fase del conflitto ucraino , che è stato determinato dall’operazione speciale che la Russia è stata costretta a iniziare per difendere l’integrità delle sue linee rosse di sicurezza nazionale dopo che la NATO le ha attraversate. Dopotutto, i colpi di scena finora hanno colto tutti alla sprovvista, dalla riunificazione della Novorossiya con la Russia ai due attacchi di droni di Kiev all’inizio di questa settimana nell’entroterra del suo vicino.

Detto questo, si può prevedere con sicurezza che il conflitto quasi certamente si protrarrà per gli anni a venire, con questa previsione basata sulla candida ammissione dell’ex cancelliere tedesco Merkel secondo cui il processo di pace di Minsk era solo uno stratagemma per rafforzare le capacità militari offensive di Kiev . Le sue parole hanno fatto eco a quelle dell’ex presidente ucraino Poroshenko che ha detto esattamente la stessa cosa all’inizio di quest’anno, ma la differenza è che non è mai stato considerato un amico del presidente Putin, a differenza della Merkel.

Operazione di manipolazione della percezione della Merkel contro Putin

Ognuno di loro parla fluentemente la lingua dell’altro, ha trascorso i suoi anni professionali formativi nell’ex Germania dell’Est, presiede a grandi potenze storiche e le loro rispettive economie sono chiaramente complementari, ergo perché hanno collaborato strettamente su un’ampia gamma di questioni. Nel corso del tempo, il presidente Putin ha iniziato a proiettare su di lei se stesso e la sua grande visione strategica di una ” Europa da Lisbona a Vladivostok “, con cui ha giocato riflettendo retoricamente per alimentare il suo pregiudizio di conferma.

Per tutto questo tempo si è scoperto che lo stava solo ingannando dicendo al leader russo qualunque cosa volesse sentire, tuttavia, con il suo superficiale sostegno al processo di pace di Minsk che è l’epitome del suo approccio manipolativo al presidente Putin. Ha accuratamente valutato con quanta passione desiderava che la pace prevalesse in Ucraina al fine di sbloccare il promettente ruolo geostrategico di quel paese come ponte tra la sua Unione economica eurasiatica (EAEU) e la sua UE secondo la sua visione a lungo termine di cui sopra.

Tuttavia, non aveva alcun desiderio di realizzarlo nonostante avesse assecondato la sua proposta reciprocamente vantaggiosa, dal momento che la grande visione strategica della Merkel era quella di completare il complotto secolare della Germania per prendere il controllo dell’Europa senza sparare un colpo. A tal fine, ha dovuto placare la Russia manipolando le percezioni del suo leader in modo che la considerasse erroneamente come il leader di uno stato amico e quindi non avrebbe esercitato pressioni sul blocco in modi che potessero ostacolare il suo obiettivo di espandere l’influenza tedesca su di esso.

Psicoanalizzare Putin

Dal momento che la Merkel ha giocato così magistralmente alle aspettative del pio desiderio del presidente Putin presentandosi falsamente come lo stesso pragmatico visionario guidato dall’economia che era invece dell’ideologo a somma zero che era veramente per tutto questo tempo, è stato indotto con successo a fidarsi di lei. Il risultato finale è stato che il leader russo ha pazientemente frenato la sua Grande Potenza per quasi otto anni, nonostante le innumerevoli provocazioni contro la sua coetica nell’ex Ucraina orientale.

La sua mentalità era che “il fine giustifica i mezzi”, che in questo contesto si riferiva al suo calcolo costi-benefici secondo cui i costi pagati dal popolo russo del Donbass alla fine sarebbero valsi la pena se la sua pazienza avesse fatto guadagnare abbastanza tempo alla Germania per convincere con successo Kiev ad attuare gli Accordi di Minsk e quindi alla fine costruire una “Europa da Lisbona a Vladivostok” che andrebbe a vantaggio di tutti. Col senno di poi, il problema era che il presidente Putin era l’unico leader che lo voleva davvero.

È stato ingannato per quasi otto anni dalla Merkel, con la quale ha stretto un legame stretto durante i suoi molti anni in carica a causa delle loro somiglianze personali e della sua riuscita manipolazione delle sue percezioni nel portarlo a pensare erroneamente che lei condividesse la sua grande visione strategica come è stato spiegato in precedenza . Essendo uno statista in buona fede , presumeva che i suoi coetanei – specialmente quelli che rappresentavano grandi potenze come la Merkel – fossero dello stesso calibro professionale, quindi perché dava per scontato che fossero tutti attori razionali.

Il senno di poi è 20/20

La realtà era del tutto diversa, però, dal momento che il presidente Putin si è rivelato essere l’ultimo vero statista occidentale, il che significa che era l’unico che operava su base razionale mentre tutti gli altri avanzavano obiettivi guidati dall’ideologia. Non se ne rese conto se non anni dopo, essendo invece caduto nella falsa percezione che fossero tutti visionari più o meno pragmatici guidati dall’economia come lui era in gran parte dovuto al successo dell’operazione di gestione della percezione della Merkel contro di lui.

La sua lunga sciarada nel fingere di condividere la sua grande visione strategica è stata abbastanza convincente da permettere al presidente Putin di abbassare la guardia, dare per scontate le sue parole e presumere che avrebbe fatto in modo che la Germania alla fine avrebbe convinto Kiev ad attuare pienamente gli accordi di Minsk . Se l’avesse sospettata di disonestà, allora avrebbe certamente abbandonato questo approccio molto prima, ma si è completamente innamorato del suo atto poiché era conforme al suo pregiudizio di conferma di lei come leader razionale di una grande potenza.

Questo spiega perché abbia aspettato così tanto prima di ordinare l’operazione speciale, poiché si fidava sinceramente che lei condividesse la sua grande visione strategica di una “Europa da Lisbona a Vladivostok” che richiedeva una pace duratura in Ucraina per essere realizzata. Invece, la Merkel stava spietatamente cercando di completare il complotto secolare della Germania per prendere il controllo dell’Europa senza sparare un colpo, cosa che il suo successore Scholz ha quasi ammesso di voler fare nel manifesto che ha appena pubblicato sulla rivista Foreign Affairs .

Non è un caso che la Merkel poco dopo abbia chiarito le sue vere intenzioni di assecondare il processo di pace di Minsk, dal momento che non c’era più motivo di rimanere timida al riguardo. Scholz ha spifferato tutto vantandosi dell’agenda egemonica della Germania, che ha apertamente descritto come guidata dal desiderio di rispondere alle minacce che, secondo lui, provenivano “immediatamente” dalla Russia. Non avendo nulla da perdere, la Merkel si è tolta la maschera e ha finalmente mostrato al presidente Putin il suo vero volto.

Non c’è dubbio che si sia reso conto qualche tempo prima di iniziare l’operazione speciale del suo paese che lei lo aveva ingannato per anni, quindi perché ha intrapreso quel fatidico passo alla fine di febbraio, ma ora è in piena mostra anche per il mondo intero. La Merkel era l’unico politico occidentale di cui il presidente Putin si fidava sinceramente, motivo per cui ha rimandato l’ordine della suddetta operazione per quasi otto anni a causa della sua falsa speranza che avrebbe contribuito a garantire la pace in Ucraina.

L’impatto psicologico del tradimento della Merkel

Con lei che ammette così sfacciatamente di aver tradito la sua fiducia vantandosi che “Putin avrebbe potuto facilmente invadere [l’Ucraina] in quel momento” se non avesse assecondato il processo di pace di Minsk e quindi averlo costretto a resistere a questo decennio quasi intero, è improbabile che il leader russo si fiderà mai più di qualcuno in Occidente. Questa intuizione psicologica aggiunge un contesto cruciale alla sua dichiarazione casuale, lo stesso giorno in cui la sua intervista è caduta, che il conflitto ucraino “potrebbe essere un processo lungo”.

Abbastanza chiaramente, ora è consapevole del fatto che questa è davvero una lunga lotta sul futuro della transizione sistemica globale , sebbene la Russia possa ancora strategicamente vincere anche nello scenario di uno stallo militare in Ucraina. Questo perché questo risultato porterebbe a processi multipolari guidati dall’India che continuano a proliferare e quindi a cambiare irreversibilmente il corso delle relazioni internazionali. A questo punto della Nuova Guerra Fredda , la Russia sta combattendo un conflitto difensivo , ma per una volta il tempo è dalla sua parte.

Il presidente Putin ora sa che qualsiasi tregua nei combattimenti sarà solo un’opportunità per entrambe le parti di riorganizzarsi, riarmarsi e riprendere inevitabilmente le operazioni offensive, il che significa che il campo di gioco strategico è ora alla pari poiché sta finalmente operando secondo la stessa mentalità dei suoi avversari lo sono già da anni. Ciò rafforzerà la sua determinazione a continuare a fare tutto il possibile per accelerare i processi multipolari, che richiedono prima di tutto il mantenimento della linea di controllo (LOC).

La nuova grande visione strategica di Putin

Nel perseguimento di quell’obiettivo più immediato, la Russia riprenderebbe effettivamente la partecipazione al processo di pace precedentemente sabotato fintanto che alcune condizioni sono almeno superficialmente soddisfatte, ma nessuno dovrebbe interpretare quel potenziale sviluppo come un segnale di debolezza strategica da parte sua, a differenza dei tempi passati. La differenza tra allora e adesso è che il presidente Putin ha imparato molte lezioni dolorose, quindi non si sfrutterà più i suoi gesti di buona volontà.

Considerando che il processo di pace di Minsk, col senno di poi, non è stato altro che un mezzo per manipolare le percezioni del presidente Putin al fine di influenzarlo affinché eserciti moderazione e quindi guadagnare tempo affinché Kiev si prepari per un’offensiva finale nel Donbass, qualunque processo serva da suo successore non sarà nulla ma un mezzo per il leader russo per guadagnare tempo affinché i processi multipolari continuino a proliferare a spese del Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e dei loro interessi egemonici unipolari.

Il grande obiettivo strategico del presidente Putin non è più “l’Europa da Lisbona a Vladivostok”, ma riformare le relazioni internazionali in piena collaborazione con i paesi del Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICS SCO di cui la Russia fa parte, in modo che l’ordine mondiale diventa più democratico, equo e giusto. Ciò è in linea con la visione che ha presentato nel suo Manifesto Rivoluzionario Globale su cui si è basato nelle ultime due stagioni, che oggi può essere descritta come l’ideologia non ufficiale della sua Grande Potenza.

Pensieri conclusivi

I critici potrebbero affermare che la nuova prospettiva del presidente Putin è arrivata con otto anni di ritardo, ma tardi è sempre meglio che mai. La Merkel lo ha manipolato per anni prima di chiarire finalmente il suo tradimento, che ha insegnato al leader russo la dolorosa lezione che non potrà mai più fidarsi di nessuno dei suoi coetanei occidentali. Invece, ora sta abbracciando con entusiasmo le sue controparti della Grande Potenza in tutto il Sud del mondo, in particolare il primo ministro indiano Modi , che condivide la sua grande visione strategica di un futuro multipolare.

La transizione sistemica globale sta attualmente procedendo su questa strada, ma richiede ancora tempo per diventare irreversibile, il che a sua volta richiede che la Russia detenga il LOC. Che sia militare, politico o una combinazione di questi due mezzi suddetti, il presidente Putin dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere per guadagnare tempo affinché questi processi multipolari guidati dall’India continuino a proliferare a tal fine, il che garantisce che il conflitto ucraino continuerà protratta indipendentemente da ciò che qualcuno dice.

https://korybko.substack.com/p/merkels-admission-that-minsk-was

La traduzione della intervista di Angela Merkel a die Zeit

Il suo predecessore Helmut Kohl sedeva nel nuovo ufficio di Angela Merkel quando era ex cancelliere. Si trova al quinto piano di un edificio disadorno della RDT, in cui risiedeva Margot Honecker come ministro della Pubblica Istruzione, Unter den Linden, tra l’Hotel Adlon e l’ambasciata russa. Per l’intervista ha scelto la sala conferenze sullo stesso piano, che offre una splendida vista su Pariser Platz e sulla Porta di Brandeburgo. La sua consigliera politica Beate Baumann è sempre presente. Prima che cominci si scattano le foto, in fretta, perché alla Merkel non piace essere fotografata. Anche il motivo per cui è così avrà un ruolo nella conversazione. Poi le telecamere sono sparite, la Merkel si rilassa. Ora è fuori sede da un anno. In passato, la semplice domanda “Come stai?” poteva destare sospetti. Oggi trova appropriata una domanda del genere, afferma la Merkel e fa un ironico muso alla Merkel. “E vorrei anche rispondere che personalmente sto bene.” Tuttavia, trova deprimente la situazione politica generale. Come tutti gli ex cancellieri, Angela Merkel ha il diritto di essere chiamata “Frau Bundeskanzlerin”. Kohl era felice di essere chiamato Cancelliere anche dopo aver lasciato l’incarico, e quando era Cancelliere chiese anche il suo “Dr.” Preferisce: la signora Merkel.

DIE ZEIT: Signora Merkel, lei non è più cancelliera, ma ha ancora lo stesso aspetto di prima.

Angela Merkel: Pensavi che sarei venuta con una coda di cavallo? I miei vestiti sono pratici per me, ho stretto amicizia con l’acconciatura. Certo, ti incontro come Cancelliere a. D. Ma da ciò si può trarre la conclusione inversa che io non ho svolto un ruolo artificioso come Cancelliere. Quello ero io. Ed è quello che sono oggi, in una forma un po’ più opportuna, mettiamola così. Devo prestare meno attenzione al trucco. Ma posso rassicurarti: non mi siedo in giacca nel mio salotto. Prenderò un cardigan.

ZEIT: Nel 2019, hai ricevuto il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy di tutte le persone davanti alla Cancelleria e improvvisamente hai iniziato a tremare molto male e visibile a tutti. La donna privata Merkel ha intralciato la cancelliera Merkel?

Merkel: Quello è stato sicuramente un momento deprimente. In un certo senso sono svenuto per un attimo, e questo in una situazione molto ufficiale, alla rimozione delle onorificenze militari. Ovviamente c’era molta tensione che si accumulava in me. Aveva a che fare con la morte di mia madre. Non ho avuto abbastanza tempo per accompagnarla nelle sue ultime settimane. Faceva anche caldo, come sempre, gli obiettivi delle macchine fotografiche erano puntati su di me come canne di fucile e all’improvviso ho avuto questa sensazione: sei completamente trasparente.

ZEIT: La scrittrice americana Siri Hustvedt ha avuto esperienze simili e ha scritto un libro a riguardo, The Trembling Woman. In esso si chiede: ho paura di qualcosa che mi è completamente nascosto? Ti sei fatto una domanda del genere?

Merkel: Mi sono chiesto: che cos’è? Era chiaro, c’era qualcosa che non riesco ad articolare. Questo è avvenuto verso la fine del mio mandato e anche dopo la decisione di non ripresentarsi. Ed era fondamentalmente un’altra indicazione che questa decisione era quella giusta.

ZEIT: Pensi che noi in Germania arriveremo mai così lontano che anche un politico di alto livello possa dire in una situazione del genere: ho cercato un aiuto psicoterapeutico?

Merkel: Non dovevo, ma non mi dispiacerebbe se lo dicesse un politico. Ovviamente sono andato dal dottore per assicurarmi che tutto andasse bene dal punto di vista neurologico, ero e sono ancora interessato alla mia salute.

ZEIT: Diresti che la natura o Dio ti ha benedetto con una certa impavidità?

Merkel: Fiducia in Dio, direi, o ottimismo, sì.

ZEIT: Hai avuto a che fare con Helmut Kohl, nel cui ufficio sei ora seduto. Era un peso massimo politicamente, ma anche fisicamente un colosso. Ci voleva una certa impavidità per incontrarlo.

Merkel: L’ho sperimentato anche in altri contesti con uomini in politica: si usano anche la voce più profonda, il corpo molto più grande, entrambi. L’ex ministro federale Rexrodt poteva parlare al microfono sopra la mia testa, anche se avevo lottato per un posto in prima fila. Helmut Kohl poteva anche parlare a voce molto alta quando era arrabbiato.

ZEIT: Vuoi dire che poi ha urlato?

Merkel: Allora è stato enorme e hai dovuto considerare se volevi e potevi resistergli. Il fatto che a volte dicessi cose insolite per la pratica politica ha a che fare con il mio background. Non sono stato modellato dall’unione studentesca, dall’unione dei giovani, dall’RCDS fin dall’infanzia, ma sono venuto con la mia lingua e le mie idee. Questo a volte era evidente e ad alcuni sembrava senza paura, ma non lo era.

ZEIT: Lei ha detto più volte che il fatto che la RDT sia crollata meno per mancanza di libertà democratiche che per il fatto che non funzionava economicamente le ha dato da pensare. Il nostro ex redattore Helmut Schmidt, come qualcuno che aveva vissuto una dittatura e non era del tutto irreprensibile, ha affermato che una certa sfiducia nei confronti del suo stesso popolo è rimasta come conseguenza. Anche tu hai qualcosa del genere?

Merkel: Non la chiamerei sfiducia nei confronti della propria gente, ma sfiducia generale nei nostri confronti, perché le persone sono capaci dell’incomprensibile. La Germania ha portato questo agli estremi in un modo terribile sotto il nazionalsocialismo. Ecco perché sono così convinto che la struttura del nostro Stato e la Legge fondamentale contengano un alto grado di saggezza, in cui l’indipendenza della stampa, della magistratura, i processi democratici sono ben pensati. Quanto è veloce mettere in discussione questo, ad esempio per dichiarare non plausibili le sentenze dei tribunali. Ad esempio, io stesso sono stato rimproverato dalla Corte costituzionale federale per aver affermato nel 2019 che il risultato delle elezioni del primo ministro in Turingia a febbraio deve essere ribaltato con i voti dell’AfD. Avrei potuto dire molto su questa decisione, ma non l’ho fatto, dovevo e devo rispettarla. Non dobbiamo mai ammorbidirci qui.

ZEIT: Teme che il sistema possa collassare di nuovo velocemente?

Merkel: Deve essere vissuta da ogni individuo, altrimenti può crollare rapidamente. Ecco perché non mi piacciono detti come la “bolla di Prenzlauer Berg”. Ovviamente non è tutta la Germania, ma non dobbiamo mai dichiarare alcuni degli individui in un paese come estranei e il resto come rappresentanti della vera democrazia, per così dire. Questo non finisce bene.

ZEIT: Il tuo cancelliere è stato fortemente influenzato da una questione che è emersa relativamente tardi: la politica dei rifugiati nel settembre 2015. In questo contesto, in risposta a domande critiche sulle conseguenze della tua politica liberale, hai detto: “Se ora iniziamo a dover chiedere scusa perché mostriamo un volto amico nelle situazioni di emergenza, allora questo non è il mio paese”. Molti hanno trovato questa frase molto autoritaria e anche ostracistica. Ad alcuni sembrava che tu avessi il diritto di dettare come dovrebbe essere il paese.

Merkel: Quando ho sentito quella frase, avevo in mente le persone nella stazione ferroviaria principale di Monaco che stavano accogliendo i rifugiati in arrivo. Ho visto la mia decisione di farli entrare come coerente con i nostri diritti e valori fondamentali. E ho voluto sostenere questi valori fondamentali con la frase.

ZEIT: Ma la frase aveva una sorta di messaggio per la gente, no?

Merkel: Non pensavo a questa frase da giorni. È stata una risposta molto emotiva, ma ancora non casuale. Ciò si basava sulla mia comprensione che la dignità umana non dovrebbe essere solo qualcosa di un discorso domenicale, ma ha implicazioni pratiche. Marchiarlo come autoritario e dire: beh, ecco come sono i tedeschi dell’est, stanno dalla parte del paese – ho pensato che fosse audace.

ZEIT: Non è mai stato turbato dal pensiero che le sue politiche abbiano comunque contribuito in modo significativo alla divisione del Paese?

Merkel: Certo che mi preoccupava. E naturalmente, politicamente, è sempre meraviglioso quando il 90% è d’accordo, e preferibilmente anche la mia opinione. Ma ci sono situazioni in cui le polemiche non possono essere evitate. Ho aiutato le persone che si trovavano davanti alla nostra porta, per così dire, e allo stesso tempo ho contribuito ad affrontare le cause profonde della fuga con l’accordo UE-Turchia, tra le altre cose.

ZEIT: Come politico a cui si dice piaccia pensare dalla fine, hai anticipato il prezzo di questa polemica, quindi l’hai accettato?

Merkel: Credevo che questa discussione potesse essere vinta. Ed ero fermamente convinto che dovevo correre questo rischio perché, al contrario, avrebbe diviso anche la società se non l’avessi fatto.

ZEIT: Agiresti diversamente in qualsiasi momento oggi?

Merkel: No!

ZEIT: In nessun momento?

Merkel: Certo che sto imparando. Ecco perché, guardando indietro, lavorerei molto prima per evitare che si verifichi una situazione come quella dell’estate 2015, ad esempio aumentando gli importi del Programma alimentare mondiale per i campi profughi nei paesi vicini che sono particolarmente colpiti dalla migrazione, come hanno fatto i nostri.

ZEIT: Nella sua cancelleria, il numero delle crisi e la loro simultaneità è aumentato di anno in anno…

Merkel: Nella mia memoria, i primi due anni sono stati un periodo molto tranquillo, poi è iniziato con la crisi finanziaria globale, la crisi dell’euro , Anche le notizie sulla protezione del clima si sono ripetutamente deteriorate. Dopo la prima segnalazione del Club di Roma, sembrava che in realtà le cose fossero andate un po’ meglio del previsto. Con ogni rapporto dell’International Climate Council IPCC, tuttavia, è diventato più allarmante, tanto che sorge la domanda se abbiamo ancora il tempo di reagire in modo appropriato. Ma forse le crisi sono la norma nella vita umana e abbiamo avuto solo pochi anni speciali.

ZEIT: Si chiede se gli anni di relativa calma siano stati anche anni di omissioni e se lei non sia stato solo un gestore di crisi, ma anche in parte la causa delle crisi?

Merkel: Non sarei una persona politica se non me ne occupassi. Prendiamo la protezione del clima, in cui la Germania ha fatto molto nel confronto internazionale. Per quanto riguarda l’argomento in sé, tuttavia, ammetto: misurato da ciò che dice oggi l’International Climate Report dell’IPCC, non è successo abbastanza. Oppure diamo un’occhiata alla mia politica nei confronti della Russia e dell’Ucraina. Arrivo alla conclusione che ho preso le decisioni che ho preso allora in un modo che posso capire oggi. Era un tentativo di prevenire proprio una guerra del genere. Il fatto che ciò non abbia avuto successo non significa che i tentativi fossero sbagliati.

ZEIT: Ma puoi ancora trovare plausibile il modo in cui hai agito in circostanze precedenti e considerarlo ancora sbagliato oggi alla luce dei risultati.

Merkel: Ma questo presuppone anche dire quali fossero esattamente le alternative in quel momento. Ho pensato che l’avvio dell’adesione alla NATO di Ucraina e Georgia, discusso nel 2008, fosse sbagliato. I paesi non avevano i presupposti necessari per questo, né le conseguenze di tale decisione erano state pienamente considerate, sia per quanto riguarda le azioni della Russia contro la Georgia e l’Ucraina, sia per quanto riguarda la NATO e le sue regole di assistenza. E l’accordo di Minsk del 2014 è stato un tentativo di dare tempo all’Ucraina. Nota d. Red.: L’accordo di Minsk è un insieme di accordi per le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, che si sono staccate dall’Ucraina sotto l’influenza russa. L’obiettivo era guadagnare tempo con un cessate il fuoco per poi giungere a una pace tra Russia e Ucraina. Ha anche usato questo tempo per diventare più forte, come puoi vedere oggi. L’Ucraina del 2014/15 non è l’Ucraina di oggi. Come avete visto nella battaglia per Debaltseve (città ferroviaria nel Donbass, Donetsk Oblast, ndr) all’inizio del 2015, Putin avrebbe potuto facilmente sopraffarli in quel momento. E dubito fortemente che i paesi della NATO avrebbero potuto fare tanto quanto fanno adesso per aiutare l’Ucraina.

ZEIT: Nella tua prima apparizione pubblica dopo la fine del tuo cancelliere, hai detto di aver riconosciuto già nel 2007 come Putin pensa all’Europa e che l’unica lingua che capisce è la durezza. Se questa consapevolezza è arrivata così presto, perché ha perseguito una politica energetica che ci ha reso così dipendenti dalla Russia?

Merkel: Era chiaro a tutti noi che il conflitto era congelato, che il problema non era stato risolto, ma questo ha dato all’Ucraina tempo prezioso. Naturalmente, ora ci si può porre la domanda: perché la costruzione del Nord Stream 2 è stata ancora approvata in una situazione del genere?

ZEIT: Sì, perché? Tanto più che all’epoca c’erano già critiche molto forti alla costruzione del gasdotto, ad esempio dalla Polonia e dagli Stati Uniti.

Merkel: Sì, si potrebbero arrivare a opinioni diverse. Di cosa si trattava? Da un lato, l’Ucraina ha attribuito grande importanza a rimanere un paese di transito per il gas russo. Voleva incanalare il gas attraverso il suo territorio e non attraverso il Mar Baltico. Oggi a volte si agisce come se ogni molecola di gas russo provenisse dal diavolo. Non è stato così, il gas è stato contestato. D’altra parte, non era il caso che il governo federale avesse richiesto l’approvazione del Nord Stream 2, lo hanno fatto le società. Alla fine, per il governo federale e per me, si trattava di decidere se avremmo fatto una nuova legge come atto politico per rifiutare espressamente l’approvazione del Nord Stream 2.

ZEIT: Cosa ti ha impedito di farlo?

Merkel: Da un lato, un tale rifiuto in combinazione con l’accordo di Minsk avrebbe, a mio avviso, peggiorato pericolosamente il clima con la Russia. D’altra parte, la dipendenza dalla politica energetica è nata perché c’era meno gas dai Paesi Bassi e dalla Gran Bretagna e volumi di produzione limitati in Norvegia.

ZEIT: E c’è stata la graduale eliminazione dell’energia nucleare. Iniziato anche da te.

Merkel: Esatto, e anche la decisione trasversale di produrre meno gas in Germania. Avresti dovuto decidere di acquistare GNL più costoso dal Qatar o dall’Arabia Saudita, gli Stati Uniti sono diventati disponibili come nazione di esportazione solo in seguito. Ciò avrebbe notevolmente peggiorato la nostra competitività. Oggi, sotto la pressione della guerra, questo è ciò che sostengo, ma all’epoca sarebbe stata una decisione politica molto più massiccia.

ZEIT: Avresti dovuto prendere comunque questa decisione?

Merkel: No, tanto più che non ci sarebbe stata alcuna accettazione. Se mi chiedi un’autocritica, ti faccio un altro esempio.

ZEIT: Tutto il mondo aspetta una parola di autocritica!

Merkel: Può essere così, ma l’atteggiamento dei critici non corrisponde alla mia opinione su molti punti. Inchinarsi semplicemente ad esso solo perché è previsto, penso che sarebbe economico. Avevo così tanti pensieri allora! Sarebbe decisamente un segno di inadeguatezza se, tanto per avere un po’ di pace e senza pensarci davvero così, dicessi semplicemente: Oh, giusto, adesso me ne rendo conto anch’io, è stato sbagliato. Ma ti dirò un punto che mi preoccupa. Ha a che fare con il fatto che la Guerra Fredda non è mai veramente finita perché la Russia non era sostanzialmente in pace. Quando Putin ha invaso la Crimea nel 2014, è stato espulso dal G8. La NATO ha anche di stanza truppe negli Stati baltici per dimostrare che noi, come NATO, siamo pronti a difendere. Inoltre, noi dell’Alleanza abbiamo deciso di spendere il due per cento del prodotto interno lordo di ciascun paese per la difesa. La CDU e la CSU erano le uniche che lo avevano ancora nel loro programma di governo. Ma anche noi avremmo dovuto reagire più rapidamente all’aggressività della Russia. La Germania non ha raggiunto l’obiettivo del due per cento nonostante l’aumento. E non ho nemmeno tenuto un discorso appassionato al riguardo tutti i giorni.

ZEIT: Perché no? Perché segretamente pensavi di non averne bisogno?

Merkel: No, ma perché ho agito secondo il principio di Helmut Kohl: ciò che conta è ciò che viene fuori alla fine. Fare un discorso entusiasmante solo per finire come scendiletto non avrebbe aiutato il budget. Ma quando guardo alla storia per le ricette di successo, arrivo alla decisione a doppio binario della NATO…

ZEIT: … grazie a questa decisione Helmut Schmidt alla fine ha perso il suo cancelliere…

Merkel: Esatto, il che non fa che aumentare il mio rispetto per lui era aumentato. Ciò che è stato intelligente nella decisione a doppio binario della NATO è stato il doppio approccio di retrofitting e diplomazia. Tradotto nell’obiettivo del 2 percento, ciò significa che non abbiamo fatto abbastanza per scoraggiare aumentando la spesa per la difesa.

ZEIT: Per un ritratto in Der Spiegel, lei ha detto quanto segue ad Alexander Osang: “Tollerare le critiche fa parte della democrazia, ma allo stesso tempo la mia impressione è che un presidente americano sia trattato in pubblico con più rispetto di un cancelliere tedesco”. Cosa intendevi esattamente con quello?

Merkel: Da un lato intendevo dire che oggi le decisioni politiche del passato vengono giudicate molto velocemente senza richiamare il contesto ed esaminare criticamente le alternative. La seconda cosa è che alcune persone semplicemente non sono d’accordo sul fatto che io abbia lasciato l’incarico volontariamente dopo 30 anni in politica e 16 anni come Cancelliere federale, alla tenera età di 67 anni, e ora dicono che vorrei prendere “appuntamenti di benessere”. Per me, questo significa che non devo sempre giustificarmi se voglio anche impostare la mia agenda. Non voglio sempre essere guidato da ciò che mi viene incontro dall’esterno.

ZEIT: Intendi anche la discussione sull’arredamento del tuo ufficio? C’è stata una mancanza di comprensione sul fatto che impieghi nove persone.

Merkel: Questo è forse un effetto collaterale. Quale prova di prestazione devo fornire che l’attrezzatura sia giustificata?

ZEIT: All’inizio del suo mandato lei ha sottolineato che in passato c’erano culture avanzate apparentemente invincibili che sono crollate perché non potevano cambiare abbastanza velocemente. Potrebbe essere che, nonostante tutte le conoscenze sul grado di riscaldamento globale, l’umanità semplicemente non riesca a organizzare la propria sopravvivenza perché non tutti vogliono mettersi insieme?

Merkel: Il mio motto in politica è sempre stato: possiamo farcela ed è per questo che non ho mai affrontato scenari apocalittici come politico, ma ho sempre cercato soluzioni. Come cittadino, puoi farti la domanda, ma siccome sono ancora in una fase intermedia, direi che dobbiamo fare tutto il possibile perché proprio questo non accada.

ZEIT: 30% di emissioni cinesi di CO₂, quasi il 2% tedesche, questi sono i numeri.

Merkel: Ma questo non giustifica il fatto che non dobbiamo fare nulla. Possiamo essere un modello, anche se altri non stanno ancora seguendo l’esempio. La Cina è il più grande emettitore oggi, giusto. È rivale, concorrente e partner allo stesso tempo. Farlo bene sarà la grande questione diplomatica del futuro. Ma la guerra in Ucraina ha ancora una volta drammaticamente peggiorato le possibilità di salvare il clima, perché rischia di passare in secondo piano.

ZEIT: Hai idea di come possa finire questa guerra? Ed è completamente fuori discussione che tu possa avere un ruolo in esso?

Merkel: La seconda domanda non si pone. Al primo: Ad essere onesti, non lo so. Terminerà i negoziati un giorno. Le guerre finiscono al tavolo dei negoziati.

ZEIT: Proprio perché questa guerra ha avuto effetti così drammatici, la questione di quando e in quali circostanze avviare i negoziati può essere lasciata solo all’Ucraina?

Merkel: C’è una differenza tra una pace dettata, che io, come molti altri, non voglio, e discussioni amichevoli e aperte tra loro. Non voglio dire di più al riguardo.

ZEIT: Tanti imprevisti sono accaduti durante e dopo il suo mandato. Avresti mai immaginato che negli ultimi anni del tuo cancelliere e ancora oggi le critiche più dure arrivassero e continuino ad arrivare dalla Springer-Verlag – con la cui casa editrice hai un rapporto di amicizia?

Merkel: La libertà di stampa è una risorsa molto importante. (sorride)

ZEIT: Lasci che le critiche ti raggiungano? Hai letto l’immagine?

Merkel: Anche se non li leggo, è garantito che ci sarà qualcuno che mi terrà le critiche sotto il naso.

ZEIT: Quando sei partito un anno fa, come tutti i cancellieri uscenti, potevi scegliere tre canzoni. Tra le altre cose, hai selezionato Lascia che piovano rose rosse per me. Dice: »… sottometti, contenuto. Non posso sottomettermi, non posso essere soddisfatto, voglio ancora vincere, voglio tutto o niente’ e poi ‘riqualificarmi lontano dal vecchio, per ottenere il massimo da ciò che mi aspetta’. rappresentante di Angela Merkel all’interno?

Merkel: Ho scelto la canzone nel suo insieme. Volevo dire che non vedo l’ora che arrivi un capitolo della mia vita. Ho vissuto cose meravigliose, è stato anche estenuante. Ma è stata una grande cosa: chi può diventare Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca? L’ho sempre fatto con gioia, e ora c’è ancora una certa tensione: cos’altro può succedere oltre a questo?

Golpe e colpi di mano, di Antonio de Martini

Il tentativo di golpe in Germania somiglia come una goccia d’acqua alla favola del “ golpe Borghese” organizzato dal capo della Polizia di allora, Vicari ai primi del 1971, per rendere plausibile la “ minaccia” fascista” e far accettare l’entrata del PCI nell’area della maggioranza prima e del governo poi.
Anche nel caso del “ Golpe Borghese” – a seguito della confessione registrata di tale Remo Orlandini consegnata al capitano dei CC , Antonio La Bruna, prima di scomparire nel nulla-  si arrestarono “ ex ufficiali” ( i tenenti colonnelli Rosa e De Rosa, avanzi della Repubblica sociale di trenta anni prima), c’era un parà (il solito Saccucci) e, ovviamente, nessun esponente delle Forze Armate.
In Italia aggiunsero il gustoso dettaglio dell’occupazione del ministero dell’interno e del “ prelevamento” di quattro mitra ( MAB) dall’armeria centrale del Viminale in guisa di souvenir da parte di “ un nostalgico”.
Si trattava di quattro mitra Beretta catturati dagli studenti Pacciardiani sulle “campagnole” abbandonate dai poliziotti in fuga durante lo scontro di Valle Giulia nel 1968 e “ trasferiti “in un primo tempo all’armeria centrale del Viminale per nascondere l’ammanco, la diserzione e l’0abbandono del materiale avuto in consegna.
Un ingegnoso soggetto, suggerì di aggiungere il dettaglio per poter scaricare l’imbarazzante mancanza che prima o poi avrebbe potuto nuocere al Capo.
La Marina, sottrasse la sua medaglia d’oro ( Borghese) al ludibrio, trasferendolo in sottomarino, sulle coste spagnole in un giorno in cui il comandante, il vice e il capo di SM della base di La Spezia, risultarono contemporaneamente assenti per licenza.
Anche in questa vicenda tedesca non c’é ombra di Forze armate coinvolte. Non c’é ombra di colpo di mano. Nulla.
In Italia si coinvolse la Forestale comandata dal colonnello Berti ( la battuta dell’epoca che affondò l’accusa era “ doveva occupare la RAi , perché é lì che c’é il sottobosco”) e il tenente colonnello Amos Spiazzi , un bello spirito privo di truppe che nei salotti si presentava :” Amos Spiazzi, extraparlamentare di destra”.

Se non si verifica un colpo di stato, impossibile che si realizzi la fattispecie del reato.
La magistratura sgonfiò il palloncino, ma L’Espresso ed altri fogli di estrema sinistra diedero la cosa per assodata e la manovra di avvicinamento del PCI  al potere proseguì, tramite Rodano e compagni,  come se il pericolo di un golpe fascista esistesse davvero.

Il fatto che questa grottesca sceneggiatasi ripeta pedissequamente in Germania mezzo secolo dopo, mi legittima il sospetto che la matrice  e la motivazione siano le stesse: cooptare l’estrema sinistra nell’area di governo.
E quel che l’Italia del 1970 ha in comune con la Germania2022, é la NATO. Non altro.

Il manifesto per gli affari esteri di Olaf Scholz conferma le ambizioni egemoniche della Germania, di ANDREW KORYBKO

Il leader tedesco ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto in cui spiega perché il suo Paese debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista del Council on Foreign Affairs, considerato tra le piattaforme politiche più influenti nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti. Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La Polonia non è così paranoica come qualcuno ha ipotizzato

Il cardinale grigio polacco Jaroslaw Kaczynski non ha sbagliato a mettere in guardia di recente contro il dominio tedesco dell’Europa in commenti che hanno fatto eco a quelli di un anno fa con i quali- accusava quel Paese di voler costruire un “ Quarto Reich ”. Il suo paese in precedenza aveva esaltato la minaccia militare del suo vicino all’Europa centrale in modo che Varsavia consolidasse la sua influenza regionale, ma il manifesto del cancelliere Olaf Scholz per la rivista Foreign Affairs dimostra che le ambizioni egemoniche di Berlino esistono davvero.

La nuova cultura strategica della Germania

Intitolato ” The Global Zeitenwende: How to Avoid a New Cold War in a Multipolar Era “, il leader tedesco ha articolato la gamma di mezzi che il leader de facto dell’UE è pronto a impiegare per rafforzare in modo completo la sua influenza in tutto il blocco sulla base di presunte reazioni al conflitto ucraino . Il primo terzo del pezzo è solo una spiegazione di come tutto sia arrivato a questo punto dal punto di vista del suo governo, ma poi passa a parlare di politiche tangibili.

Nelle parole di Scholz, “il nuovo ruolo della Germania richiederà una nuova cultura strategica, e la strategia di sicurezza nazionale che il mio governo adotterà tra qualche mese rifletterà questo fatto”, che inquadra tutto ciò che segue nel suo articolo. La Russia è l’obiettivo principale di questa strategia, come dimostrato dal Cancelliere dichiarando che “la domanda guida sarà quali minacce noi e i nostri alleati dobbiamo affrontare in Europa, più immediatamente dalla Russia”.

Si è poi dato una pacca sulla spalla per aver promosso le riforme costituzionali all’inizio dell’anno per facilitare i piani del suo governo di esporre circa 100 miliardi di dollari per modernizzare la Bundeswehr, che ha accuratamente descritto come “segnare [ing] il più netto cambiamento nella politica di sicurezza tedesca dai tempi del costituzione della Bundeswehr nel 1955”. Il due percento del PIL sarà anche investito nella difesa in conformità con le precedenti richieste degli Stati Uniti ai suoi partner della NATO.

“Diplomazia militare”

Complementare al rafforzamento militare senza precedenti della Germania dopo la seconda guerra mondiale è la politica di Scholz di revocare il suo precedente rifiuto di esportare armi nelle zone di conflitto attive per equipaggiare Kiev. Non solo, ma il suo paese addestrerà anche un’intera brigata di truppe ucraine sul suo territorio come parte di una nuova missione dell’UE insieme alla sostituzione delle armi dell’era sovietica che i paesi dell’ex blocco di Varsavia danno a Kiev con quelle tedesche moderne.

Al di là dei suoi confini, Scholz ha affermato che “la Germania ha notevolmente aumentato la sua presenza sul fianco orientale della NATO, rafforzando il gruppo di battaglia della NATO a guida tedesca in Lituania e designando una brigata per garantire la sicurezza di quel paese. La Germania sta anche contribuendo con truppe al gruppo di battaglia della NATO in Slovacchia, e l’aviazione tedesca sta aiutando a monitorare e proteggere lo spazio aereo in Estonia e Polonia. Nel frattempo, la marina tedesca ha partecipato alle attività di deterrenza e difesa della NATO nel Mar Baltico”.

Di particolare preoccupazione è stata la riaffermazione del cancelliere che “la Germania continuerà a mantenere il suo impegno nei confronti degli accordi di condivisione nucleare della NATO, anche acquistando aerei da combattimento F-35 a doppia capacità”, che è destinato a scuotere la Russia. Abbastanza chiaramente, Scholz intende che la Germania competa con la Polonia come principale rappresentante militare degli Stati Uniti nell’UE, a tal fine spera che le capacità militari più impressionanti di Berlino e l’attuale partnership di condivisione nucleare con Washington le diano un vantaggio su Varsavia.

Espansione istituzionale

Questa osservazione non dovrebbe essere interpretata come un intento di rivedere l’esito geopolitico della seconda guerra mondiale come alcuni in Polonia hanno ipotizzato rispetto a quelli che chiamano i “territori recuperati” del loro paese che ora formano il suo confine con la Germania. Piuttosto, significa solo che la Germania sta diventando più fiduciosa nel mostrare la sua potenza militare nel senso di migliorare in modo completo le capacità difensive dei suoi partner su richiesta delle loro leadership, anche se è vero che questo rischia di renderli vassalli.

Molto probabilmente, Scholz cercherà di replicare questa stessa identica strategia nei Balcani occidentali favorendo l’adesione definitiva di quegli aspiranti stati all’UE de facto guidata dalla Germania dopo aver completato il cosiddetto Processo di Berlino, come ha parlato di aver rilanciato nel suo articolo . Nonostante abbia riconosciuto le difficoltà di ammettere nuovi membri, il Cancelliere ha parlato della promessa che questo risultato avrebbe per rafforzare il potenziale del blocco di stabilire nuovi standard globali per il commercio e l’ambiente, et al.

Questa ambiziosa agenda sarà portata avanti in piena collaborazione con la Francia, secondo Scholz, che ha descritto come “condivisa [ing] la stessa visione di un’UE forte e sovrana”. Le politiche migratorie e fiscali devono essere riformate, ha affermato, al fine di impedire a forze esterne come la Russia di esacerbare presumibilmente le divisioni all’interno del blocco. La sua soluzione proposta per razionalizzare i progressi su queste questioni delicate è “eliminare [e] la capacità dei singoli paesi di porre il veto a determinate misure”.

Influenza radicata

Non c’è altro modo per descrivere la suddetta riforma se non come un gioco di potere politico senza precedenti, esattamente del tipo da cui l’ Ungheria e la Polonia avevano precedentemente messo in guardia. In caso di successo, si tradurrà nella completa sottomissione di tutti i membri dell’UE al duopolio franco-tedesco, eliminando così quelle vestigia di sovranità che ancora conservano. In altre parole, questo asse della Grande Potenza diventerà l’unico che conta in Europa.

Sarà probabilmente impossibile per gli stati più piccoli ripristinare i propri diritti perduti nel caso in cui la Germania assuma il controllo diretto sui propri eserciti in futuro, come la proposta di Scholz per la standardizzazione dei sistemi d’arma dell’UE suggerisce fortemente che accadrà inevitabilmente. L’espansione della presenza militare dell’egemone in ascesa lungo la periferia orientale del blocco, di cui ha parlato così bene all’inizio dell’articolo, potrebbe inevitabilmente portare a ciò per rafforzare l’influenza politica di Berlino.

Simili cosiddetti “complotti di colpo di stato” come quello che le sue autorità affermano di aver sventato mercoledì potrebbero diventare il pretesto con cui la Germania assume il controllo diretto sulle forze armate dei paesi dell’Europa centrale sulla base del presunto aiuto a garantire in modo sostenibile “legge e ordine”. . Visto che quelle forze avrebbero potuto a quel punto standardizzare i loro sistemi d’arma, sarebbero perfettamente interoperabili con quelli della Germania, soprattutto se a quel punto hanno già effettuato più esercitazioni congiunte.

La vera connessione con la Cina

Il resto dell’articolo di Scholz parlava un po’ dell’imminente approccio della Germania alla Cina, ma quei piani non sono così direttamente rilevanti per le ambizioni egemoniche del suo paese come quelli che è pronta ad attuare contro la Russia, ecco perché rimarranno al di fuori dell’ambito del presente analisi. Esaminando l’intuizione che è stata condivisa finora, è chiaro che ” il complotto secolare della Germania per catturare il controllo dell’Europa è quasi completo “, con ogni giorno che passa riducendo la probabilità di controbilanciare questo scenario.

Il suo leader ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto che spiega perché la Germania debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista gestita dal Council on Foreign Affairs, che è considerato tra le più influenti piattaforme politiche nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti . Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La conclusione è che l’America aspira a ripristinare la sua egemonia unipolare in declino facilitando la rinascita egemonica della Germania al fine di fare affidamento su quel paese come suo principale delegato ” Lead From Behind ” (LFB) per la gestione degli sforzi di contenimento anti-russi del Golden Billion in Europa. Questa politica mira a consentire agli Stati Uniti di concentrarsi maggiormente sull’espansione della NATO nell’Asia-Pacifico in modo da portare avanti i propri sforzi di contenimento anti-cinesi nell’altra metà dell’Eurasia.

Questo sviluppo incipiente ha lo scopo di rendere più probabile che la Repubblica popolare accetti i termini dell’America per la serie di compromessi reciproci tra di loro per stabilire un equilibrio di influenza che alla fine diventerà la “nuova normalità”. È importante che queste due superpotenze facciano progressi tangibili sulla Nuova Distensione in vista del viaggio programmato del Segretario di Stato Blinken a Pechino all’inizio del prossimo anno, ergo la tempistica dietro la pubblicazione del manifesto di Scholz da parte di Foreign Affairs.

Pensieri conclusivi

Il grande contesto strategico all’interno del quale ha articolato le ambizioni egemoniche della Germania è quindi quello di facilitare il graduale riorientamento del suo mecenate americano dall’Eurasia occidentale verso la sua metà orientale mentre il suo paese assume il ruolo di principale procuratore LFB degli Stati Uniti in Europa per contenere la Russia. Questa sequenza di eventi per migliorare il contenimento della Cina da parte dell’Occidente è tacitamente approvata dall’élite del Golden Billion, come evidenziato da Foreign Affairs che pubblica il suo articolo correlato, confermando così che il piano degli Stati Uniti è in atto.

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