Postumi di pandemia, atto III_vaccini, una campagna non proprio disinteressata Con Max Bonelli, Alberto Donzelli, Patrizia Gentilini, Monica Bock

Una conversazione da ascoltare con grande attenzione. La gestione della recente pandemia da coronavirus e la campagna di vaccinazione, individuato come strumento principale, pressoché esclusivo di soluzione del problema, ha assunto sin da subito le caratteristiche di una guerra di religione che non consente dibattito, opzioni alternative e libera espressione; condotte esattamente corrispondenti ai disatri e alle manipolazioni prodotti in questi tre anni di politica sanitaria e securitaria. La conversazione si è focalizzata sulla fretta sospetta con la quale sono state avviate le campagne di vaccinazione nel mondo occidentale accompagnate da una vera e propria coltre di omissioni e di omertà sulle pesanti controindicazioni sempre più evidenti legate all’utilizzo dei vaccini-medicinali mRNA non adeguatamente sperimentati. Da qui la conversazione si è quasi impercettibilmente spostata sulla progressiva medicalizzazione e patologizzazione delle politiche sanitarie, a partire dall’uso indiscriminato e sempre meno selettivo degli “screening”, con un aggravio di costi dei sistemi sanitari a scapito delle politiche di prevenzione e di presidio capillare del territorio e a favore del sistema lobbistico alimentato dalle aziende farmaceutiche e parafarmaceutiche tutto incentrato sulla ospedalizzazione e sulla farmacologizzazione degli interventi. Un rovesciamento radicale della filosofia che ha prodotto negli anni ’70 il sistema sanitario universale, non a caso sempre più snaturato e svuotato, in particolare a partire dagli anni ’90, quelli guarda caso del ministro Francesco De Lorenzo, tornato in auge sotto altre spoglie. Sul seguente link del sito di Italia e il mondo troverete l’intera raccolta di diapositive curate dal dottor Donzelli. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

Ipotesi esplicative per cancri a rapida progressione in giovani (Turbocancri, Max Bonelli 18-1-24) Slide Donzelli

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Postumi di una pandemia Atto II Vaccini e Vaccinati Con Max Bonelli, Panagis Polykretis, Mauro Filigheddu

La coltre di nebbia sulla gestione della pandemia che avvolge l’Italia e l’operato dei protagonisti che per caso, loro malgrado o di proposito hanno dovuto affrontare per oltre due anni la crisi, è stata attraversata da timidi squarci di luce provenienti da oltre confine. Di fatto incidenti di percorso, capitati negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Svezia, soprattutto in Nuova Zelanda, che hanno consentito di estorcere qualche barlume di verità nel muro di omertà che ha avvolto quasi dappertutto l’intero pianeta. Rivelazioni pagate a caro prezzo dagli intrepidi che hanno osato sfidare la narrazione dominante. Troverete un resoconto competente e documentato della vicenda. Vi invitiamo a seguire con attenzione la trasmissione. Su Rumble potrete seguire la registrazione integrale; su YouTube solo i pochi minuti iniziali. I rischi di censura arbitraria e di chiusura del canale sono troppo alti. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Covid e vaccini, qualcosa non quadra, con Max Bonelli

La recente ondata pandemica è stata l’occasione e il moltiplicatore di appetiti e manipolazioni di una rete di potere e di interessi da sempre all’opera, ma che ha trovato il momento opportuno per scardinare anche la sola parvenza di equilibrio di interessi e di sussunzione o quantomeno contemperamento dell’interesse privato alle esigenze e alla salute di una comunità. I redattori del sito, nella serie di articoli ed interventi, hanno sempre cercato di distinguere l’esistenza oggettiva del problema, compresa la necessità della ricerca scientifica e della problematica complessa che sottende anche nella fase di speriementazione, dalla manipolazione scandalosa della gestione, ben condita di cialtroneria e mire di pesante condizionamento; fermo restando che affrontare un problema simile comporta sempre e comunque una gestione politica ben lontana da pretese di “neutralità”. La gestione della pandemia, purtroppo, rappresenta solo un episodio di questa pesante manipolazione sempre più rude ed ostentata, espressione di élites tanto sicure di sè quanto arroccate e fragili, insensibili alle esigenze di coesione ed equilibrio sociale. In questa conversazione affrontiamo un aspetto di questa gestione in Svezia. Sottolineo che l’Italia ha vissuto situazioni ancora più paradossali, a partire dalla azione censoria e persecutoria di astanti particolarmente portati ad un proscenio da baraccone di luna park. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Qui sotto, invece, i link di riferimento della conversazione:

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https://vigilantnews.com/post/turbo-death-from-turbo-cancers-were-in-trouble-says-dr-ryan-cole

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Il manifesto per gli affari esteri di Olaf Scholz conferma le ambizioni egemoniche della Germania, di ANDREW KORYBKO

Il leader tedesco ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto in cui spiega perché il suo Paese debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista del Council on Foreign Affairs, considerato tra le piattaforme politiche più influenti nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti. Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La Polonia non è così paranoica come qualcuno ha ipotizzato

Il cardinale grigio polacco Jaroslaw Kaczynski non ha sbagliato a mettere in guardia di recente contro il dominio tedesco dell’Europa in commenti che hanno fatto eco a quelli di un anno fa con i quali- accusava quel Paese di voler costruire un “ Quarto Reich ”. Il suo paese in precedenza aveva esaltato la minaccia militare del suo vicino all’Europa centrale in modo che Varsavia consolidasse la sua influenza regionale, ma il manifesto del cancelliere Olaf Scholz per la rivista Foreign Affairs dimostra che le ambizioni egemoniche di Berlino esistono davvero.

La nuova cultura strategica della Germania

Intitolato ” The Global Zeitenwende: How to Avoid a New Cold War in a Multipolar Era “, il leader tedesco ha articolato la gamma di mezzi che il leader de facto dell’UE è pronto a impiegare per rafforzare in modo completo la sua influenza in tutto il blocco sulla base di presunte reazioni al conflitto ucraino . Il primo terzo del pezzo è solo una spiegazione di come tutto sia arrivato a questo punto dal punto di vista del suo governo, ma poi passa a parlare di politiche tangibili.

Nelle parole di Scholz, “il nuovo ruolo della Germania richiederà una nuova cultura strategica, e la strategia di sicurezza nazionale che il mio governo adotterà tra qualche mese rifletterà questo fatto”, che inquadra tutto ciò che segue nel suo articolo. La Russia è l’obiettivo principale di questa strategia, come dimostrato dal Cancelliere dichiarando che “la domanda guida sarà quali minacce noi e i nostri alleati dobbiamo affrontare in Europa, più immediatamente dalla Russia”.

Si è poi dato una pacca sulla spalla per aver promosso le riforme costituzionali all’inizio dell’anno per facilitare i piani del suo governo di esporre circa 100 miliardi di dollari per modernizzare la Bundeswehr, che ha accuratamente descritto come “segnare [ing] il più netto cambiamento nella politica di sicurezza tedesca dai tempi del costituzione della Bundeswehr nel 1955”. Il due percento del PIL sarà anche investito nella difesa in conformità con le precedenti richieste degli Stati Uniti ai suoi partner della NATO.

“Diplomazia militare”

Complementare al rafforzamento militare senza precedenti della Germania dopo la seconda guerra mondiale è la politica di Scholz di revocare il suo precedente rifiuto di esportare armi nelle zone di conflitto attive per equipaggiare Kiev. Non solo, ma il suo paese addestrerà anche un’intera brigata di truppe ucraine sul suo territorio come parte di una nuova missione dell’UE insieme alla sostituzione delle armi dell’era sovietica che i paesi dell’ex blocco di Varsavia danno a Kiev con quelle tedesche moderne.

Al di là dei suoi confini, Scholz ha affermato che “la Germania ha notevolmente aumentato la sua presenza sul fianco orientale della NATO, rafforzando il gruppo di battaglia della NATO a guida tedesca in Lituania e designando una brigata per garantire la sicurezza di quel paese. La Germania sta anche contribuendo con truppe al gruppo di battaglia della NATO in Slovacchia, e l’aviazione tedesca sta aiutando a monitorare e proteggere lo spazio aereo in Estonia e Polonia. Nel frattempo, la marina tedesca ha partecipato alle attività di deterrenza e difesa della NATO nel Mar Baltico”.

Di particolare preoccupazione è stata la riaffermazione del cancelliere che “la Germania continuerà a mantenere il suo impegno nei confronti degli accordi di condivisione nucleare della NATO, anche acquistando aerei da combattimento F-35 a doppia capacità”, che è destinato a scuotere la Russia. Abbastanza chiaramente, Scholz intende che la Germania competa con la Polonia come principale rappresentante militare degli Stati Uniti nell’UE, a tal fine spera che le capacità militari più impressionanti di Berlino e l’attuale partnership di condivisione nucleare con Washington le diano un vantaggio su Varsavia.

Espansione istituzionale

Questa osservazione non dovrebbe essere interpretata come un intento di rivedere l’esito geopolitico della seconda guerra mondiale come alcuni in Polonia hanno ipotizzato rispetto a quelli che chiamano i “territori recuperati” del loro paese che ora formano il suo confine con la Germania. Piuttosto, significa solo che la Germania sta diventando più fiduciosa nel mostrare la sua potenza militare nel senso di migliorare in modo completo le capacità difensive dei suoi partner su richiesta delle loro leadership, anche se è vero che questo rischia di renderli vassalli.

Molto probabilmente, Scholz cercherà di replicare questa stessa identica strategia nei Balcani occidentali favorendo l’adesione definitiva di quegli aspiranti stati all’UE de facto guidata dalla Germania dopo aver completato il cosiddetto Processo di Berlino, come ha parlato di aver rilanciato nel suo articolo . Nonostante abbia riconosciuto le difficoltà di ammettere nuovi membri, il Cancelliere ha parlato della promessa che questo risultato avrebbe per rafforzare il potenziale del blocco di stabilire nuovi standard globali per il commercio e l’ambiente, et al.

Questa ambiziosa agenda sarà portata avanti in piena collaborazione con la Francia, secondo Scholz, che ha descritto come “condivisa [ing] la stessa visione di un’UE forte e sovrana”. Le politiche migratorie e fiscali devono essere riformate, ha affermato, al fine di impedire a forze esterne come la Russia di esacerbare presumibilmente le divisioni all’interno del blocco. La sua soluzione proposta per razionalizzare i progressi su queste questioni delicate è “eliminare [e] la capacità dei singoli paesi di porre il veto a determinate misure”.

Influenza radicata

Non c’è altro modo per descrivere la suddetta riforma se non come un gioco di potere politico senza precedenti, esattamente del tipo da cui l’ Ungheria e la Polonia avevano precedentemente messo in guardia. In caso di successo, si tradurrà nella completa sottomissione di tutti i membri dell’UE al duopolio franco-tedesco, eliminando così quelle vestigia di sovranità che ancora conservano. In altre parole, questo asse della Grande Potenza diventerà l’unico che conta in Europa.

Sarà probabilmente impossibile per gli stati più piccoli ripristinare i propri diritti perduti nel caso in cui la Germania assuma il controllo diretto sui propri eserciti in futuro, come la proposta di Scholz per la standardizzazione dei sistemi d’arma dell’UE suggerisce fortemente che accadrà inevitabilmente. L’espansione della presenza militare dell’egemone in ascesa lungo la periferia orientale del blocco, di cui ha parlato così bene all’inizio dell’articolo, potrebbe inevitabilmente portare a ciò per rafforzare l’influenza politica di Berlino.

Simili cosiddetti “complotti di colpo di stato” come quello che le sue autorità affermano di aver sventato mercoledì potrebbero diventare il pretesto con cui la Germania assume il controllo diretto sulle forze armate dei paesi dell’Europa centrale sulla base del presunto aiuto a garantire in modo sostenibile “legge e ordine”. . Visto che quelle forze avrebbero potuto a quel punto standardizzare i loro sistemi d’arma, sarebbero perfettamente interoperabili con quelli della Germania, soprattutto se a quel punto hanno già effettuato più esercitazioni congiunte.

La vera connessione con la Cina

Il resto dell’articolo di Scholz parlava un po’ dell’imminente approccio della Germania alla Cina, ma quei piani non sono così direttamente rilevanti per le ambizioni egemoniche del suo paese come quelli che è pronta ad attuare contro la Russia, ecco perché rimarranno al di fuori dell’ambito del presente analisi. Esaminando l’intuizione che è stata condivisa finora, è chiaro che ” il complotto secolare della Germania per catturare il controllo dell’Europa è quasi completo “, con ogni giorno che passa riducendo la probabilità di controbilanciare questo scenario.

Il suo leader ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto che spiega perché la Germania debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista gestita dal Council on Foreign Affairs, che è considerato tra le più influenti piattaforme politiche nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti . Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La conclusione è che l’America aspira a ripristinare la sua egemonia unipolare in declino facilitando la rinascita egemonica della Germania al fine di fare affidamento su quel paese come suo principale delegato ” Lead From Behind ” (LFB) per la gestione degli sforzi di contenimento anti-russi del Golden Billion in Europa. Questa politica mira a consentire agli Stati Uniti di concentrarsi maggiormente sull’espansione della NATO nell’Asia-Pacifico in modo da portare avanti i propri sforzi di contenimento anti-cinesi nell’altra metà dell’Eurasia.

Questo sviluppo incipiente ha lo scopo di rendere più probabile che la Repubblica popolare accetti i termini dell’America per la serie di compromessi reciproci tra di loro per stabilire un equilibrio di influenza che alla fine diventerà la “nuova normalità”. È importante che queste due superpotenze facciano progressi tangibili sulla Nuova Distensione in vista del viaggio programmato del Segretario di Stato Blinken a Pechino all’inizio del prossimo anno, ergo la tempistica dietro la pubblicazione del manifesto di Scholz da parte di Foreign Affairs.

Pensieri conclusivi

Il grande contesto strategico all’interno del quale ha articolato le ambizioni egemoniche della Germania è quindi quello di facilitare il graduale riorientamento del suo mecenate americano dall’Eurasia occidentale verso la sua metà orientale mentre il suo paese assume il ruolo di principale procuratore LFB degli Stati Uniti in Europa per contenere la Russia. Questa sequenza di eventi per migliorare il contenimento della Cina da parte dell’Occidente è tacitamente approvata dall’élite del Golden Billion, come evidenziato da Foreign Affairs che pubblica il suo articolo correlato, confermando così che il piano degli Stati Uniti è in atto.

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COVID e vaccini, il dovere della verità_con Max Bonelli

AVVISO!! Il video è stato rimosso da youtube. Rimane disponibile su rumble.

Questo è un dialogo di presentazione di un documentario di indagine delle dinamiche e procedure di adozione dei vaccini anticovid. Le procedure di adozione dei vaccini anticovid hanno goduto di procedure accelerate quantomeno insolite. E’ mancata altresì una adeguata verifica delle controindicazioni emerse in corso d’opera, tanto più che non sono stati rispettati gli usuali tempi di sperimentazione propedeutici all’utilizzo terapeutico. In alcuni paesi tali verifiche sono state praticamente assenti; in particolare in quei paesi nei quali il vaccino è diventato un credo, un dogma indiscutibile, la soluzione salvifica. Il baraccone politico-tecnocratico italiano è stato in prima fila in questa campagna di demonizzazione delle possibili alternative e di approccio unilaterale. La crisi pandemica ha evidenziato, in realtà, tutti i limiti di questa classe dirigente e ha aperto la strada a pratiche di controllo sociale e di gestione prosaica degli affari connessi. Ha evidenziato in Italia l’assenza di un piano di emergenza, l’incapacità di adozione di un piano di azione articolato e differenziato di igiene e sanità pubblica, la reticenza alla sperimentazione di soluzioni terapeutiche diversificate. Un mix esplosivo favorevole all’introduzione di sistemi di manipolazione e controllo sociale ed individuale totalitari e alla proliferazione e coltivazione di interessi lobbistici e di malaffare. Qualche flebile voce sembra emergere anche negli ambienti istituzionali. Il coinvolgimento di un intero ceto politico e di gran parte della classe dirigente nella gestione fanno propendere più verso una strumentalizzazione a fini di regolamento di conti che ad un accertamento serio di responsabilità e di cambiamento delle politiche; almeno sino a quando sarà possibile nascondere il bubbone o sotterarlo nel silenzio. Qui di seguito il link del video originale https://drmorse.tv/video/died-suddenly-documentary/ Buon ascolto e buona visione, Giuseppe Germinario

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L’ORIGINE DEL VIRUS SARS-COV-2 È ARTIFICIALE. UNA RIFLESSIONE CRITICA, di Luigi Longo

L’ORIGINE DEL VIRUS SARS-COV-2 È ARTIFICIALE. UNA RIFLESSIONE CRITICA.

di Luigi Longo

 

La narrazione che il potere continua a dare sull’origine del virus SARS-CoV-2 è quella di una sua origine naturale sviluppatasi a partire dal mercato cinese di Wuhan, una metropoli di 11 milioni di abitanti, capoluogo della provincia centro-meridionale dell’Hubei, è uno dei cuori economici della Cina in cui si intersecano un grandissimo numero di linee ferroviarie, stradali e aree che collegano il Paese al suo interno e col resto del mondo. Wuhan è dunque un hub economico, industriale, finanziario e logistico, ma anche meta turistica e importante città universitaria (cfr il mio scritto su L’Europa tra le vie della nato, le vie della seta e le vie dell’energia, seconda parte, pubblicato su questo sito).

Tale narrazione non rispetta gli elementi fondamentali di un confronto tra scienziati aperti a tutte le ipotesi e le tesi scientificamente dimostrate. Non solo, ma la scienza, in questa narrazione, è intesa in maniera neutrale, cioè senza farla passare nel gioco feroce del conflitto strategico dei dominanti delle potenze mondiali.

A partire dalla lettura del libro di Paolo Barnard con Steven Quay e Angus Dalgleish dal titolo L’origine del virus (Chiarelettere editore, Milano 2021), avanzo una riflessione critica. E’ un libro che dimostra la natura artificiale del virus SARS-CoV-2 già ipotizzata da altri saperi (conflitto strategico, geopolitica, eccetera).

La critica che avanzo agli autori è la concezione neutrale che hanno della scienza. Nel cercare di capire il perchè ci sono laboratori nel mondo, come quelli che usano la branca della scienza mefitica della Gain of Function, che producono virus chimerici, cioè manipolati geneticamente, per inventare una malattia nell’eventualità che un giorno esista davvero, non hanno la capacità di leggere l’insieme della realtà. Questa è una totale perversione, espressione di una crisi profonda di civiltà, soprattutto occidentale! Per gli autori i laboratori vanno chiusi per eticità, un valore generico, non calato nella realtà della guerra batteriologica tra potenze, che nulla dice perché è di una astrazione così alta che non fa vedere la realtà! Una dichiarazione da anima bella di hegeliana memoria.

E’ evidente che gli autori sono a digiuno di altri saperi e di orientamenti teorici che leggono i fenomeni dentro i rapporti sociali; essi praticano la divisione del lavoro sistemica che fa della parcellizzazione un punto di forza che non costruisce l’insieme delle dinamiche politiche, sociali, economiche e culturali. Loro non lo sanno ma praticano la scienza come quelli che usano la Gain of Function.

Gli autori insistono sulla responsabilità della Cina nella presunta fuga del virus dal laboratorio, ignorando che tutte le potenze mondiali usano la biologia come arma di conflitto; la storia questo insegna. E’ evidente che non si tratta di una fuga dal laboratorio ma di una guerra biologica iniziata dagli USA (molti studiosi lo sostengono) quale potenza mondiale in declino, massima esperta di guerra biologica! L’esempio concreto più recente è la presenza in Ucraina dei laboratori biologici statunitensi che conferma l’uso delle armi batteriologiche da parte degli USA (per non parlare di quelli segreti sparsi nel mondo!).

Gli autori indicano Anthony Fauci e Peter Daszak, quali finanziatori della Gain of Function, ma non riescono a collegarli agli agenti strategici statunitensi, in conflitto tra loro per l’egemonia; così come non li collegano agli agenti strategici cinesi in conflitto tra loro per l’egemonia.

Il tutto nel grande gioco del conflitto strategico per l’egemonia mondiale.

Gli autori sono, si, degli scienziati autorevoli nel loro sapere particolare, ma sono delle anime belle nel non capire come il loro sapere si inquadra nei rapporti sociali.

 

 

Il lasciapassare verde: tramonto o alba?_di Andrea Zhok

Il lasciapassare verde: tramonto o alba?

È noto come la Commissione Europea avesse progettato sin dal gennaio 2018 l’implementazione di un pass sanitario per i cittadini UE (vaccination passport for EU citizens). L’intento dichiarato concerneva la mobilità tra paesi dell’UE e la “road map” che era stata proposta aveva il 2022 come data di implementazione definitiva.

Il fatto che questo progetto fosse inteso soltanto come limitazione agli spostamenti tra paesi non deve trarre in inganno circa la radicalità del progetto. Infatti è da tempo che le normative europee non contemplano alcuna distinzione netta tra la mobilità interna a ciascuno stato dell’UE e la mobilità tra stati, e dunque un passaporto vaccinale che potesse porre limitazioni alla mobilità tra stati implica di principio una legittimazione generale a porre limitazioni ad ogni mobilità territoriale, a qualunque livello.

È anche interessante notare che la proposta del 2018, una volta resa pubblica e commentabile dalla cittadinanza venne subissata da una debordante quantità di critiche, al punto che i commenti pubblici sulla pagina dedicata nel sito della Commissione Europea vennero bloccati nel marzo 2018.

Dopo questa accoglienza il progetto sembrava sospeso.

Ora, assumiamo ragionevolmente che la Commissione Europea ignorasse l’emergere futuro della pandemia di Sars-Cov-2. La domanda interessante da porre sotto queste condizioni è: quale era la ratio originaria di tale passaporto vaccinale? Questa domanda si impone perché:

1) nella legislazione UE un blocco alla libera mobilità è una cosa assai seria, implicando di diritto un’esclusione generalizzata ad accedere a luoghi e possibilità di lavoro;

2) non c’erano state nella storia europea degli ultimi cento anni eventi epidemici di peso tale da lasciar prevedere serie necessità di contenimento.

Dunque, perché spingere tale proposta, al tempo stesso ricca di implicazioni e priva di forti motivazioni sanitarie?

Per tentare una risposta dobbiamo chiederci quali sono le caratteristiche intrinseche di un tale passaporto, a prescindere dalla specifica, eventuale, emergenza sanitaria.

Un passaporto sanitario così concepito ha caratteristiche specifiche, del tutto diverse da qualunque altra “licenza” ordinaria.

Se desidero guidare un’automobile, o portare una pistola, farò una domanda per ottenere una patente di guida o un porto d’armi. Guidare o portare un’arma sono “poteri ulteriori” che acquisisco rispetto alle persone che mi stanno attorno, e tali poteri possono mettermi nelle condizioni di esercitare una minaccia verso il prossimo. Le relative licenze vengono perciò erogate a seguito di una serie di esami volti ad assicurare l’idoneità, la capacità e l’equilibrio di chi potrà in seguito circolare su un’automobile o con una pistola. Se desidero ottenere una facoltà supplementare mi sottopongo ad un esame che rassicura la collettività intorno alla mia capacità di gestirla.

Un passaporto vaccinale invece opera in modo inverso: anche se io non chiedo né pretendo nulla, esso mi sottrae alcuni diritti primari di cittadinanza, come i diritti di movimento o accesso, fino a quando io non abbia dimostrato di meritarli. Questo è il primo punto che deve essere sottolineato: qui siamo in presenza di una sottrazione di diritti generali della cittadinanza, e non di una richiesta personale di accesso ad ulteriori facoltà (come per le “licenze” di cui sopra).

In stretta connessione col primo punto sta il secondo: il passaporto vaccinale crea un’inversione dell’onere della prova. La situazione è tale che io ho accesso ai miei diritti di cittadinanza solo se dimostro di esserne degno, mentre nelle condizioni antecedenti io avevo intatti i miei diritti fino a quando non fossi stato dimostrato indegno di essi. Quest’inversione dell’onere della prova rappresenta un cambiamento di paradigma gravido di implicazioni: ora sta a me dimostrare di essere normale e di poter vivere in modo normale; e se per qualche motivo non sono in grado di dimostrarlo (foss’anche per un malfunzionamento tecnico), immediatamente ciò mi mette in una condizione di grave deprivazione (spostamenti, istruzione, salario, lavoro).

C’è infine una terza caratteristica decisiva: un passaporto vaccinale è concepito come testimonianza di una condizione intesa come durevole. La condizione di normalità (la non patologicità) è ora qualcosa che deve essere provato da ciascun soggetto in pianta stabile, a tempo illimitato.

È importante notare come la condizione emergenziale (reale o presunta) è stata sì richiamata per introdurre questo lasciapassare, ma non è stata più richiamata per definirne i limiti. La sua introduzione non è stata accompagnata da alcuna definizione delle condizioni sotto cui esso sarebbe stato tolto.

Anzi, nonostante ripetute sollecitazioni i governi che hanno adottato questa soluzione si sono sistematicamente rifiutati di chiarire sotto quali condizioni il lasciapassare sarebbe venuto meno in quanto superfluo.

In questi giorni si parla di “durata illimitata” per chi ha fatto la terza dose, e il punto importante di questa proposta non sta naturalmente nel numero delle dosi ritenute imperscrutabilmente bastevoli dai nostri esperti da avanspettacolo, ma nell’idea che comunque il meccanismo implementato rimarrà in vigore senza limite temporale. Quand’anche le condizioni specifiche per il conferimento del lasciapassare verde venissero allentate, tale allentamento sarebbe sempre revocabile, proprio in quanto è l’istituzione del lasciapassare in quanto tale a rimanere in vigore.

Veniamo così alla questione finale, quella determinante.

Non sappiamo quali fossero le intenzioni originarie per l’introduzione di questo lasciapassare nella proposta del 2018, ma abbiamo tutti gli elementi per capire che, quali che siano state tali intenzioni, tale dispositivo consente di esercitare un nuovo radicale livello di controllo sulla popolazione.

Immaginiamo due scenari.

Nel primo scenario tutta la popolazione accoglie senza fare resistenza questo dispositivo.

Se questo accadesse chi governa avrebbe mano libera per effettuarne ulteriori “upgrade”, estendendo le funzioni di un sistema così ben accetto. A questo punto qualunque “virtù” che venisse efficacemente rappresentata come “di interesse pubblico” potrebbe divenire una nuova condizione da dover provare su base individuale per avere accesso alle condizioni di cittadinanza normale.

Nel secondo scenario una parte della popolazione fa resistenza a questo dispositivo. Ciò permette a chi governa di presentare i “resistenti” come problema fondamentale del paese, come origine e causa dei malfunzionamenti e delle inefficienze che lo assillano. Se solo questi nostri concitttadini fossero virtuosi e non renitenti, i problemi non sussisterebbero. Questa mossa sposta la responsabilità dalle spalle di chi governa a quelle di una sezione della società, concentrando l’attenzione pubblica su di un conflitto interno alla società.

Dal primo scenario si può passare al secondo quando gli “upgrade” del dispositivo diventano momentaneamente troppo esigenti, producendo una resistenza nella società.

Dal secondo scenario si può passare al primo, quando la popolazione stremata finisce per rassegnarsi alle nuove condizioni.

Ecco, io non so se qualcuno abbia escogitato questo dispositivo a tavolino, con tali finalità.

Se lo ha fatto possiamo complimentarci per l’ingegno, oltre che per il cinismo.

Oppure nessuno lo ha inteso, ma semplicemente esso emerge come punto di caduta casuale di altre dinamiche. Ma questo non ne sottrae affatto le caratteristiche esiziali e la possibilità di essere utilizzato esattamente in questo modo.

Di fatto un tale dispositivo può funzionare come un collare a strozzo per qualunque libertà e qualunque diritto, consegnando a tempo indeterminato un potere nuovo e radicale ai governi centrali sulla propria popolazione, accedendo ad un nuovo livello di controllo sociale e di compressione degli spazi di libertà.

Questo è il momento decisivo in cui si determinerà il sentiero che andremo a prendere.

In questo momento il lasciapassare verde, oltre ad essersi dimostrato un fallimento per ciò che prometteva di ottenere, risulta sempre più chiaramente sia inutile sul piano sanitario che dannoso su quello economico. Questo è il momento per cancellarlo.

Se si permette che esso sopravviva, magari in una forma ad apparente “basso voltaggio” per qualche mese, esso diventerà un tratto definitivo della nostra vita, portando a compimento un processo di degrado irrevocabile nelle forme della libera cittadinanza.

https://sfero.me/article/il-lasciapassare-verde-tramonto-o-alba

 

L’istinto del gregge

Sono settimane che si parla di allentamenti, si ammette – magari a mezza bocca – che non ci sono vere ragioni per mantenere le restrizioni demenziali cui siamo stati sottoposti per mesi.

Però la verità è che non è cambiato assolutamente nulla.

Tutti i decreti più pazzi del mondo sono in vigore.

Da oggi centinaia di migliaia di persone che non si sono sottoposte a un trattamento sanitario che, nelle condizioni attuali, risulta inutile e potenzialmente dannoso, vengono deprivate dei propri mezzi di sussistenza (dopo essere state deprivate di tutto il resto nei mesi scorsi).

Le motivazioni originarie di questa operazione coattiva (“mettere in sicurezza”, separare untori e sani) sono smentite da tempo in ogni forma; ma in effetti tutto ciò è irrilevante; le motivazioni sono cadute in dimenticanza per i più.

Restano meccanismi di ottemperanza, resta il potere del precedente, l’obbedienza alla regola, il timore della sanzione, il piacere di sentirsi dalla parte del giusto. Scomparsa l’immunità di gregge resta l’istinto del gregge.

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“Sembrava che ci fossero state anche manifestazioni per ringraziare il Grande Fratello di aver portato la razione di cioccolato a venti grammi a settimana.

E solo ieri – rifletté – era stato annunciato che la razione veniva RIDOTTA a venti grammi a settimana.

Era possibile che potessero mandar giù questo, dopo solo ventiquattro ore?

Sì, l’avevano fatto.”

(Orwell, 1984)

https://sfero.me/article/istinto-gregge

TOCQUEVILLE, LA PANDEMIA E IL DISPOTISMO (POST) MODERNO, di Teodoro Klitsche de la Grange

TOCQUEVILLE, LA PANDEMIA E IL DISPOTISMO (POST) MODERNO

Mi è capitato di scrivere che il dispotismo e/o la tirannide da temere al nostro tempo non è (tanto) quello classico, basato su un illimitato uso della forza al servizio di una volontà non opponibile, ma un altro, più che sulla violenza e la paura fondato sulla frode e il raggiro.

Se ne era accorto quasi due secoli fa Tocqueville; nella Démocratie en amerique si chiedeva “quale tipo di dispotismo debbano paventare le nazioni democratiche”. Il capitolo è quanto mai interessante e, come succede ai pensatori di valore, prevede il futuro delle società dallo sviluppo delle tendenze in atto.

In primo luogo usa il termine dispotismo, ma si affretta a precisare che quello delle nazioni europee a lui contemporanee ha poco a che spartire con quanto, a tale proposito, scriveva Montequieu: per il quale dispotico era il regime che si basava come principio di governo sulla paura e i cui esempi erano prevalentemente non europei e non cristiani.

Tocqueville scrive che “un assetto sociale democratico, simile a quello degli Americani, poteva agevolare particolarmente lo stabilirsi del dispotismo” e le monarchie europee avevano già cominciato a servirsene “per allargare la cerchia del loro potere”: “Ciò mi portò a pensare che le nazioni cristiane avrebbero forse finito col subire un’oppressione simile a quella che un tempo pesò su molti popoli dell’antichità”. Ma, meglio riflettendo sul tema, ne mutava l’oggetto. Perché il dispotismo “antico” aveva il limite di non poter controllare capillarmente tutte le articolazioni di un vasto impero “l’insufficienza delle conoscenze, l’imperfezione delle procedure amministrative, e soprattutto gli ostacoli naturali suscitati dalla disuguaglianza delle condizioni, l’avrebbero ben presto fermato nella esecuzione di un programma così vasto”.

Così che il potere degli imperatori romani “non si estendeva mai su un gran numero di persone; si attaccava a qualche grande oggetto e trascurava il resto; era violento e limitato”.

Invece il dispotismo moderno “avrebbe altre caratteristiche: sarebbe più esteso e più mite e avvilirebbe gli uomini senza tormentarli”, e ciò per due ragioni. In primo luogo perché “in secoli di lumi e d’uguaglianza quali sono i nostri, i sovrani potrebbero giungere più facilmente a riunire tutti i poteri pubblici nelle loro sole mani e a penetrare più abitualmente e più profondamente nella cerchia degli interessi privati di quanto non abbia potuto mai fare nessun sovrano dell’antichità. Ma questa stessa uguaglianza che facilita il dispotismo, lo mitiga”.

Secondariamente perché data la modestia delle passioni, la mitezza dei costumi, la purezza della religione, l’umanità della morale, il rischio non è incontrare dei tiranni al governo, ma dei tutori. L’oppressione che minaccia i popoli democratici è del tutto nuova. Dalla parte dei governati Tocqueville vede “una folla innumerevole di uomini simili ed uguali che non fanno che ruotare su sé stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo” quanto “al resto dei concittadini, (il cittadino) vive al loro fianco ma non li vede; li tocca ma non li sente; non esiste che in sé stesso e per sé stesso, e se ancora possiede una famiglia, si può dire per lo meno che non ha più patria”.

Da quella dei governanti invece “Al di sopra di costoro si erge un potere immenso e tutelare, che si incarica da solo di assicurare loro il godimento dei beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite”. Questo governo “lavora volentieri alla loro felicità, ma vuole esserne l’unico agente ed il solo arbitro; provvede alla loro sicurezza, prevede e garantisce i loro bisogni, facilita i loro piaceri… perché non dovrebbe levare loro totalmente il fastidio di pensare e la fatica di vivere? È così che giorno per giorno esso rende sempre meno utile e sempre più raro l’impiego del libero arbitrio, restringe in uno spazio sempre più angusto l’azione della volontà e toglie poco alla volta a ogni cittadino addirittura la disponibilità di se stesso. L’uguaglianza ha preparato gli uomini a tutto questo: li ha disposti a sopportarlo e spesso anche a considerarlo come un vantaggio”. Dopo che il sovrano stende le sue braccia sulla società “Ne ricopre la superficie di una rete di piccole regole complicate, minuziose e uniformi… non spezza la volontà, la fiacca, la piega e la domina; raramente obbliga all’azione ma si oppone continuamente al fatto che si agisca; non distrugge, impedisce di nascere; non tiranneggia, ostacola, comprime, spegne, inebetisce e riduce infine ogni nazione a non essere più che un gregge timido e industrioso, di cui il governo è il pastore”.

E l’aspetto peggiore è che questa specie di servitù “Potrebbe combinarsi più di quanto non si immagini con qualche forma esteriore di libertà e che non le sarebbe impossibile stabilirsi all’ombra stessa della sovranità popolare”. Alla fine i governati “immaginano un potere unico, tutelare, onnipotente, ma eletto dai cittadini; combinano centralizzazione e sovranità popolare… si consolano del fatto di essere sotto tutela, pensando che essi stessi hanno scelto i loro tutori”; e prosegue “Esiste ai nostri giorni molta gente che si adatta facilmente a questa specie di compromesso tra il dispotismo amministrativo e la sovranità popolare, e che pensa di avere sufficientemente garantita la libertà individuale quando l’affida al potere nazionale. Questo non mi basta. La natura del padrone mi importa molto meno del fatto di obbedire”. Scegliere i propri governanti è un rimedio, ma non decisivo: significa diminuire il male, che la centralizzazione può produrre ma non eliminarlo “Capisco bene che in questo modo si conserva l’intervento individuale negli affari più importanti, ma non per questo lo si sopprime meno nei piccoli e in quelli privati. Ci si dimentica che l’asservimento degli uomini è pericoloso soprattutto nelle minuzie. Dal mio canto sarei quasi incline a credere la libertà meno necessaria nelle grandi cose che nelle piccole, se pensassi che non si potesse mai essere sicuri dell’una senza possedere l’altra. La soggezione nei piccoli affari si manifesta ad ogni momento, ed è sentita indistintamente da tutti i cittadini. Non li porta alla disperazione, ma, contrariandoli continuamente, li induce a rinunciare a far uso della loro volontà. Spegne, poco alla volta, il loro spirito e fiacca il loro animo”, di guisa da sembrargli incapaci di esercitare anche quello che residua loro “Diventeranno comunque ben presto incapaci di esercitare questo grande ed unico privilegio che rimane loro. I popoli democratici, che hanno introdotto la libertà nella sfera politica mentre accrescevano il dispotismo nella sfera amministrativa, si sono trovati in una situazione molto strana. Allorché si tratta della gestione di piccoli affari in cui il semplice buon senso potrebbe bastare, ritengono che i cittadini ne siano incapaci; allorché invece si tratta del governo di tutto lo stato, attribuiscono a questi cittadini immense facoltà; ne fanno alternativamente lo zimbello del sovrano e i suoi padroni, più che dei Re e meno che degli uomini”. Perché “È, in effetti, difficile capire come uomini, che hanno interamente rinunciato all’abitudine di dirigersi da soli, potrebbero riuscire a scegliere bene quelli che debbono guidarli; e nessuno riuscirà mai a far credere che un governo liberale, energico e saggio, possa mai uscire dai suffragi di un popolo di servi”.

Ho citato a lungo il pensatore francese perché penso che abbia descritto e compreso il nostro presente assai meglio di tanti contemporanei. Il dispotismo moderno (e post-moderno) non è basato sulla forza e (poco) sull’arbitrio, ma sulla frode e la manipolazione. Invece che un “tintinnar di sciabole” c’è un overdose di messaggi manifesti o subliminali, volti a creare obbedienza servendosi poco di frusta e catene. Al posto dei berretti dei generali, impongono le fake-news più improbabili. Tutte volte a magnificare un potere che si presenta come superiore, depositario della verità – oggi scientifica soprattutto – sollecito e provvido alla vita pubblica ma soprattutto privata.

La si vedeva da tempo, in particolare dalla prima crisi economica di questo secolo (quella del 2008), propalata con argomenti peraltro di una evidente improbabilità.

Ancor più ciò spicca nella crisi pandemica: non si erano mai visti condizionamenti così pervasivi della sfera del “privato”. Si replicherà – e con qualche ragione – che la causa della crisi – una malattia sconosciuta – comporta necessariamente dei limiti a diritti più “privati” che “pubblici”. Così il diritto di locomozione, di manifestazione, al lavoro; tutti comportanti correlativi divieti alla socializzazione, alle relazioni con gli altri.

Per cercare di ridurre danni ed effetti perversi occorre ricordare che l’eccezione (l’emergenza) ha un primo limite fondamentale, desumibile dal concetto, dalla ragione e dalla normativa dello Stato borghese: ossia di essere una situazione di fatto e che le limitazioni ai diritti per combatterlo durano finché dura la situazione eccezionale e non un giorno di più. Se non lo si rispetta allora significa che da una situazione (e una normativa) d’emergenza si è passati ad una situazione normale, ma con i vincoli dell’emergenza. Cioè al dispotismo, magari mite, ma pur sempre generatore di servitù.

D’altronde l’altro limite della normativa di emergenza nello Stato borghese è di non conculcare diritti che non hanno a che fare con l’efficacia delle misure di difesa. E qua il sospetto che, invece lo si voglia fare, è più che lecito. Non solo per (molte) prese di posizione – sopra le righe – contro il dissenso dalle misure governative (v. no-vax, green-pass), ma anche per un possibile sfruttamento della crisi pandemica al fine di rinviare o condizionare scelte costituzionali. Come l’elezione del Presidente della Repubblica. Nel qual caso, come ancor più nelle ripetizioni (ormai decennali) di Premier che non hanno ricevuto maggioranza elettorale (da Monti in poi), avremmo non lo scambio ineguale stigmatizzato da Tocqueville (meno libertà più democrazia) ma una sinergia, un crescere di pari passo: ossia meno libertà e meno democrazia.

Anche questo paventato dal pensatore francese come conseguenza del primo.

Teodoro Klitsche de la Grange

Covid in Africa: un po’ di raffreddore?, di Bernard Lugan

Il centro epidemiologico Epicentro annesso a (MSF) Medici Senza Frontiere, ha pubblicato il 28 dicembre 2021 un articolo intitolato “Covid-19 in Africa: il virus circola più di quanto annunciato” e, sotto la didascalia “L’epidemia di Covid 19 è stata sottovalutato? ”

Questi due titoli “allarmisti” nascondono l’interesse principale dell’articolo, che è quello di riportare il “flagello del secolo” alla sua vera realtà. Almeno per quanto riguarda l’Africa, dove la devastazione annunciata non si è verificata poiché i casi ufficiali di Covid, lì sono particolarmente bassi. Un mistero vista la sua contagiosità e il bassissimo tasso di vaccinazione.

Inoltre, per cercare di capire questa eccezione africana, sono stati condotti diversi studi sulla sieroprevalenza, questo marcatore infallibile che consente di contare il numero di soggetti che, in un momento o nell’altro, sono stati in contatto con il virus o i virus. del covid.

Lo studio, che è stato condotto in sei paesi, Mali, Niger, Kenya, Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Camerun, ha permesso ai suoi autori di stabilire che la percentuale di persone asintomatiche, cioè che non manifestano alcun sintomo, è molto alta . Così, secondo le analisi di sieroprevalenza, il 42% dei nigerini è stato infettato una volta o l’altra dal, o dal, covid, e questo senza avvertire il minimo sintomo mentre il tasso ufficiale nazionale è dello 0,02%. In Mali i rapporti sono 25% e 0,07%, in Sudan 34% e 0,08%.

Lo studio spazzando via il desiderio delle autorità di camuffare le reali figure dei pazienti, la spiegazione è potenzialmente triplice:

1) Non avendo sintomi, i cittadini di questi paesi non verranno testati.

2) Il virus circola in maniera molto importante, ma sotterranea, e senza provocare forme gravi. Tranne, come in Europa, nelle persone a rischio, i giovani non sono molto sensibili ad esso. Tuttavia, la popolazione africana è giovane. In queste condizioni, scrive il rapporto, “In Niger forse non è necessario vaccinare tutta la popolazione, la cui età media è di 15 anni”. Tanto più che lo studio ci dice che il 42% della popolazione è ormai immune da quando è stato in contatto con il virus…

3) Attraverso ciò che scrivono gli autori, ma senza che lo dicano apertamente, in Africa, l’immunizzazione naturale della popolazione sembra quindi essere una realtà,Ancrepuò essere lo stesso in Europa? Questo merita un nuovo studio.
Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan

logica capitalistica e logica geopolitica, di Roberto Buffagni

Spunto di riflessione: logica capitalistica e logica geopolitica, loro compatibilità e incompatibilità.
Secondo me: a) dopo la sconfitta del socialismo realmente esistente, oggi nessuno, ripeto nessuno ha un’idea complessiva, coerente e praticabile di come uscire, con un salto di paradigma, dalla logica sistemica capitalista. b) dunque, oggi la logica sistemica capitalista si identifica con la società industriale avanzata (se vuoi “la gabbia d’acciaio” weberiana, o la Tecnica heideggeriana). Da questa logica nessuna potenza statuale può prescindere, per il semplice motivo che essa sviluppa una potenza tecnologico-scientifica incomparabile, senza la quale tu vieni spazzato via da chi invece ne dispone c) la logica sistemica capitalista, però, è sotto alcuni aspetti confliggente e incompatibile con altre logiche, non meno cogenti, quali anzitutto la logica geopolitica, che guida il conflitto tra le potenze. d) la logica geopolitica, infatti, ha come suoi principali criteri elementi, quali la posizione geografica, la demografia, la cultura, la coesione sociale, etc., che esistevano prima della logica sistemica capitalista ed esisteranno anche dopo la sua fine (niente è eterno). La logica sistemica capitalista, invece, dopo l’implosione dell’URSS e la conseguente globalizzazione economica, che è solo un aspetto dell’egemonia mondiale USA, si globalizza anch’essa, tende ad esplicarsi globalmente, e a non tener conto delle differenze tra Stati, culture, popoli, etc.: la sua conclusione logica sarebbe il governo mondiale, che però non si verifica mai perché le differenze continuano ad esistere, e il conflitto è la caratteristica permanente della dimensione politica, la quale a sua volta è insita nella costituzione antropologica dell’uomo (la concordia universale non si darà mai, è un obiettivo escatologico, non storico) e) il conflitto tra logica sistemica capitalista e logica geopolitica, e la loro reciproca parziale incompatibilità, si vede chiarissimo nel fatto storico macroscopico della massiccia delocalizzazione delle manifatture USA in Cina seguito all’implosione dell’URSS. Dal pdv della logica capitalista è una mossa razionale (teoria dei costi comparati di Ricardo), dal pdv della logica geopolitica è una follia, perché così gli USA hanno fornito alla Cina, una potenza del loro stesso ordine di grandezza, i fattori di potenza economici, scientifici, tecnologici di cui mancava: fattori necessari perché essa potesse divenire il loro nemico principale, e minacciare la loro egemonia mondiale f) quindi le potenze anti-egemoniche, Cina e Russia, per resistere all’egemonia USA e contrastarla, che cosa devono fare? Devono da un canto obbedire alla logica sistemica capitalistica, ossia sviluppare la potenza economica, accettare il mercato, etc.; dall’altro devono obbedire alla logica geopolitica, ossia dare al Politico la supremazia sull’Economico. Ecco perché sono entrambi, in forme diverse, Stati autoritari (nel senso di non liberali) ed ecco perché e come limitano la logica sistemica capitalistica. Per concludere: né Cina né Russia superano il capitalismo, impiantando un sistema sociale qualitativamente diverso; ma entrambe vi pongono limiti politici e culturali, perché vogliono e devono seguire la logica geopolitica per difendersi dagli USA e, in prospettiva, soppiantarli.
Emiliano Laurenzi

Roberto Buffagni grazie a te. Diventa sempre più difficile individuare uno spazio di riflessione e critica: la bolla mediale all’interno della quale esistiamo pare voler “tatuare sugli occhi e sulla coscienza” delle persone un’unica visione, un’unica verità. Ed a questa pretesa dal chiaro sentore religioso – che però della religione non ha né teologia, né escatologia, ma solo la dimensione culturale del consumo, un dimensione, per altro, radicalmente nichilista – è difficile rispondere con le armi del pensiero perché ci si ritrova davanti a persone indottrinate, sia per essersi nutrite ed imbevute di certe credenze tanto da scambiarle per “la” realtà, sia per il continuo e radicato formarsi di lobbies e di interessi professionali ed economici mirato ad escludere chiunque la pensi diversamente.
Giampaolo Zanaboni

Il presupposto a) andrebbe rivisto: da «nessuno» a “quasi nessuno”. Infatti esiste una proposta del sottoscritto, che si declina nel documento “Cenni di un Nuovo Sistema Economico, Monetario, Fiscale e di Giustizia”, a disposizione sul mio profilo FB. Tale documento costituisce un passo avanti, che si pone trasversalmente rispetto al capitalismo, al socialismo e al comunismo, e in generale a ogni “ismo” apparso finora sul pianeta.
Massimo Manassero

Bravissimo Roberto Buffagni… inizi l’anno con un post egregio, da quale si potrebbero trarre spunti, più che per un saggio, per una intera biblioteca. Il punto e) è quello che mi affascina da una 10na di anni, ossia l’apparente autolesionismo della scelta Usa di delocalizzare ecc. ecc., con successive ridicole lacrime -di coccodrillo- sulla Cina cattiva che si impadronisce dei brevetti – servitile su un piatto di platino, manco argento! Se la Cina fosse comunista (non solo nominalmente) verrebbe da citare Lenin ‘i capitalisti ci venderanno anche la corda con cui li impiccheremo’, ma sappiamo che non è così che funziona. In realtà la scelta Usa fu una scelta del capitalismo Usa, o della nazione Usa? Entrambe, perchè la nazione Usa è occupata dai capitalisti Usa; e il capitalismo sostanzialmente se ne frega delle nazionalità, perchè è una (pessima ed economicistica) forma di universalismo, e nei suoi esponenti più sinceri lo dice chiaramente – il famoso ‘flat world’ di Thomas Friedman. Inutile aggiungere che discorsi simili in un Paese come il nostro, accucciato su un atlantismo servile, con piccole eccezioni di antiamericanismo ridicolo alla 68, risultano comprensibili come l’etrusco arcaico.
Roberto Buffagni

Massimo Manassero Grazie. Sì, l’idea di traslocare in Cina una quantità enorme di manifatture, comprese industrie indispensabili per la sicurezza militare, lascia a bocca aperta. Non mi è noto un episodio autolesionista di queste proporzioni, nella storia umana. Si può spiegare con la marea di hybris che ha ubriacato la classe dirigente USA dopo l’implosione dell’URSS, con tanto di proclami accademici sulla fine della storia e altre amenità. Certo che l’hanno fatta grossa.
Massimo Manassero

Roberto Buffagni non grossa, enorme. Alla base ci fu, secondo me, la presunzione sborona texana unita al disprezzo verso tutto ciò che è ‘non americano’ : ‘Ma sì, dai, diamo pure un po’ di tecnologia ai musi gialli, tanto, prima che arrivino al nostro livello, hai voglia! 😊 ‘ Pensavano di poterli sfruttare come confezionatori di smartphone per chissà quanti anni ancora. Imbecilli. Hanno creato un mostro che creerà guai grossi a loro ma ancor più a noi, eterno vaso d’argilla.
Persio Flacco

L’intervento merita una lettura approfondita, però in prima battuta mi permetto di contestare questa tua affermazione:
“nessuno ha un’idea complessiva, coerente e praticabile di come uscire, con un salto di paradigma, dalla logica sistemica capitalista. “
Penso invece se ne possa uscire in diversi modi, dei quali tutti in primo luogo richiedono il forte impegno nella (ri)affermazione del metodo democratico. Ci siamo adagiati troppo a lungo nella comoda tolleranza della delega.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni Severino articola il suo ragionamento per arrivare a concludere che la potenza tecnica soppianterà tutte le altre. Nel farlo mette a confronto le grandi forze della storia occidentale (Cristianesimo, Comunismo, Capitalismo e Democrazia) e ne evidenzia gli obiettivi costitutivi. Per esempio, se il capitaliamo ha come obiettivo la crescita indefinita del profitto, il comunismo ha invece quella dell’uguaglianza degli uomini (indifferente se ciò si sia realizzato o meno). Queste forze competono per la supremazia e per affermarsi dato che i loro obiettivi sono confliggenti. Tutte queste forze tuttavia si servono della tecnica per affermarsi (vedere guerra fredda, che e stata sostanzialmente una corsa decennale alla tecnologia che conferisse la supremazia definitiva). Severino dice che queste forze credono di servirsi della tecnica perchè considerano la tecnica un semplice mezzo (da notare secondo me come questa idea di tecnica come mezzo sia il luogo comune di molti intellettuali oggigiorno) senza rendersi conto che è anche la tecnica una delle potenze di cui sopra. La tecnica persegue l’espansione indefinita della nostra capacità di generare scopi. Dovendo ricorrere alla tecnica per affermarsi, le altre potenze ricorrono alla tecnica rendendosi dipendenti da essa. L’unico argine all’espansione della tecnica sono quei limiti assoluti che da secoli vengono rimossi (qui Severino fa un discorso sull’uomo etico che secondo me è potentissimo e descrive perfettamente l’uomo etico contemporaneo).
Perciò le potenze ricorrono alla tecnica per affermare la loro supremazia e nel farlo non si rendono conto che la tecnica si serve di esse per perseguire i propri scopi. In questo senso tutti i paesi sono tra loro indistinguibili nel lungo periodo: essi diventeranno meri gestori della potenza tecnica e la loro esistenza si giustificherà in base a quanto saranno efficaci nel promuoverne lo scopo. Se l’obiettivo della geopolitica è la supremazia delle nazioni, esse si servono della tecnica per perseguirla.
Nicolò Bragazza

Nello specifico perchè capitalismo e tecnica sono in contrasto? Perchè capitalismo ha come obiettivo crescira indefinita del profitto. E questo dipende in ultima analisi dal mantenimento di una certa scarsità. La tecnica mantiene la scarsità solo fintantochè essa è funzionale al perseguimento del suo scopo (che ha come corollario l’eliminazione della scarsità).
Nicolò Bragazza

Sulle radici antropologiche della questione tecnica, credo che sia Heidegger che Anders abbiano scritto della natura intrinsecamente tecnica dell’uomo.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Grazie della sintesi. Nei limiti della mia ignoranza (totale) degli scritti di Severino, un piccolo commento. In questa visione, l’eventuale punto di arresto o di contraddizione non superabile è la natura umana. Se non esiste, la dinamica da lei sintetizzata non ha punto d’arresto. Se esiste, come è costituita? In particolare, è costituita anche in rapporto alla trascendenza, o no?
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Allora articolo meglio la domanda, così lei può rispondere più precisamente. Se la natura umana non esiste, e l’uomo è indefinitamente trasformabile (dalla storia, dalla tecnica, dall’ingegneria sociale, dai marziani, etc.) salvo i limiti (ignoti) che gli impone la biologia, allora l’estensione totale della Tecnica e della logica che la informa non incontra limiti. Se la natura umana esiste, e non esiste in forma di dato ad esempio biologico, ma in forma di rapporto – per esempio, di rapporto con il trascendente comunque inteso, o di rapporto con il mistero, inteso come quanto non è conosciuto e non è conoscibile mai – allora la Tecnica intesa come la intende Severino incontra un limite assoluto. Il limite assoluto è il conflitto tra una logica che si pretende totale, e un’altra logica che con essa è incompatibile e che le è, in linea di principio, sovraordinata, perché è la logica dell’uomo. Così che si giunge all’alternativa: o logica dell’uomo, o logica della Tecnica.
Nicolò Bragazza

La questione sul punto d’arrivo ha a che fare con l’ontologia di Severino, cioè sul fatto che tutto è eterno e il divenire non è altro che un illusione. La tecnica ci condurrà a questa “scoperta”, cioè che tutti gli enti sono eterni. In questo scenario la nostra dimensione esistenziale perde di significato perchè se siamo eterni non esiste più la paura della morte ecc ecc. A quel punto immagino si arresterà anche la nostra necessità di generare scopi. Perchè bisogna ricordare che in Severino la tecnica non è altro che la manifestazione più autentica della nostra follia, cioè la pretesa di condurre le cose dall’essere al non essere o viceversa. Se questa è un’illusione allora la tecnica è folle.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Ah ecco. Mi sembra un po’ tanto ma magari ha ragione lui, chissà. In effetti con questo presupposto tutto fila logicamente, l’apocalissi è il risveglio alla realtà che non ce n’era bisogno, la Gerusalemme celeste era già qui.
Nicolò Bragazza

A livello più “basso”, venendo alla tua ultima domanda, direi che la questione sulla natura umana è la vera questione dei prossimi decenni. E questo perchè le tecnologie oggi (in particolare quelle genetiche) rendono impellente un ragionamento su ciò che ci rende “umani”. La tecnica ci umanizza o ci disumanizza? Questa è la vera questione. Perchè se l’uomo è un essere intrinsecamente tecnico, allora la tecnica è “umanizzante”. Come mai sentiamo che questo stride con la nostra intuizione (cioe che la tecnica disumanizza)? Beh, credo che qui sia il punto di partenza di una riflessione politica nuova, che lasci indietro gli schemi novecenteschi
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Qui concordo al 100%. Ti faccio notare che persino il presidente cinese, nel suo ultimo discorso al Plenum del partitone, ha rilevato un paio di fatterelli importanti, su questo tema: che l’espansione della ricchezza è una buona cosa ma compromette la formazione della personalità, specie nei giovani, e la coesione sociale: e ha predisposto alcuni rimedi (campagna pedagogica di massa alla cinese). Al di là della ricetta del dott. XI, è notevole che abbia diagnosticato il morbo così in fretta.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni interessante. In ogni caso in questo vedo una preoccupazione mediata dal punto di vista di essere “classe dirigente”. In un certo senso è la stessa delle nostre classi dirigenti occidentali. Il timore non mi sembra essere sulla direzione di marcia, ma sugli ostacoli che si possono trovare nel tragitto. Di qui il fondamento emergenziale della politica neoautoritaria odierna: abbiamo moltissimo da perdere, sia nel presente che nel futuro, e per evitare imprevisti dobbiamo aumentare il controllo. Lo sviluppo tecnico ha dato troppo potere ai singoli: dobbiamo bilanciare con maggiore controllo.
Claudio Valisi

Nicolò Bragazza direi che Tolkien ha intuito artisticamente (anche se non solo, essendo uomo di grande cultura) questo dilemma. Il centro di tutto è il potere indefinito, il cui simbolo (l’anello) va distrutto, perché la potenza, come tale, è nulla e nullifica. A ciò si aggiunga che, in maniera secondo me corretta, Tolkien sa che l’uomo non è eterno, ha il dono della morte e, quindi, del limite: se riesce a porlo anche alla realtà, dando cioè un ordine ad essa, sopravvive, altrimenti viene sopraffatto. La sua eternità deriva da altro da sé, da Qualcuno che lo trascende. Certo in una prospettiva immanentistica quale quella di Severino ciò cade e la stessa potenza coincide con l’atto, nullificandolo. Spero di non aver detto stupidate, ma il tema è centrale e volevo aggiungere qualcosina. Buon anno!
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Sì. E contemporaneamente, più si aumenta il controllo, più aumenta la complessità sistemica, che a sua volta esige maggior controllo, e così via.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni secondo principio della termodinamica
Stefano Vaj

Per questo io penso che sistema occidentale e “tecnocrazia” siano fondamentalmente tecnofobi ed antitecnologici, perché la tecnica ha intrinsecamente la capacità di destabilizzarne potere e valori, così che l’unico mezzo per esso di autoperpetuarsi è l’utilizzo della tecnologia stessa per impedire e prevenire il cambiamento. Ma Huxley nel Brave New World, libro poco capito, offre già una ricostruzione abbastanza realistica del processo, che richiede un controllo sociale *e* internazionale sempre più assoluto. http://www.biopolitica.it/biop-xiii.html
Stefano Vaj

L’uomo è sì indefinitamente trasformabile, e rappresenta solo un fotogramma arbitrario di un processo, non una “essenza” in qualche modo speciale. Non lo è d’altronde *infinitamente*, nel senso che in ogni fase i tratti costitutivi della sua storia evolutiva, della sua etologia e della sua dotazione organica rappresentano il materiale con cui abbiamo inevitabilmente a che fare, e che tentano automaticamente a frustrare il tentativo di ignorarli da parte di cose come il marxismo o il cristianesimo…
Nicolò Bragazza

Stefano Vaj si, la tecnica è una forza contrapoosta alla democrazia o ai sistemi politici occidentali. Quello che secondo me è il punto di debole di Huxley (non è una critica al libro, fantastico e consigliatissimo) è che sostanzialmente assume che lo sviluppo tecnico sia prevedibile e predicibile e come tale esso possa essere scoraggiato o stoppato quando minaccia la stabilità. Questa mi sembra un’ipotesi abbastanza inverosimile. Gli ultimi decenni dimostrano che il progresso tecnico è sostanzialmente imprevedibile ed impredicibile. L’unico sistema “robusto” rispetto al progresso tecnico è quello che ne abbraccia l’ideologia sottostante. Qualsiasi altro sistema dovrà ricorrere alla tecnica per stoppare la tecnica. È la grande contraddizione del nostro tempo. Le nostre società sono già fondate sulla tecnica e la dimostrazione è che l’uomo tecnico, cioè quello che vuole superare i limiti, è anche uomo etico (ethos, alleanza) perchè si è alleato con la potenza dominante (vedere come gli uomini progressisti vengano rappresentati come persone esemplari, buone…). Semplicemente, al momento, non vi è ancora consapevolezza di questo fatto sia negli intellettuali che nella popolazione.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Mi accorgo adesso che quanto dici a proposito dell’alleanza uomo-tecnica, con l’uomo progressista e buono in quanto alleato della Tecnica, è la stessa identica conclusione a cui giunge, sebbene in tono emotivo opposto, Oswald Spengler nel suo celebre “Tramonto dell’Occidente”. Dove, dopo aver lamentato per centinaia di pagine la decadenza dei valori tradizionali e dell’uomo occidentale proprio a cagione della tecnica (più altro) conclude con l’ esortazione ai giovani a dedicarsi interamente alla tecnica, e alla politica come tecnica della potenza. Curioso.
Emiliano Laurenzi

Roberto Buffagni grazie a te. Diventa sempre più difficile individuare uno spazio di riflessione e critica: la bolla mediale all’interno della quale esistiamo pare voler “tatuare sugli occhi e sulla coscienza” delle persone un’unica visione, un’unica verità. Ed a questa pretesa dal chiaro sentore religioso – che però della religione non ha né teologia, né escatologia, ma solo la dimensione culturale del consumo, un dimensione, per altro, radicalmente nichilista – è difficile rispondere con le armi del pensiero perché ci si ritrova davanti a persone indottrinate, sia per essersi nutrite ed imbevute di certe credenze tanto da scambiarle per “la” realtà, sia per il continuo e radicato formarsi di lobbies e di interessi professionali ed economici mirato ad escludere chiunque la pensi diversamente.
Giampaolo Zanaboni

Il presupposto a) andrebbe rivisto: da «nessuno» a “quasi nessuno”. Infatti esiste una proposta del sottoscritto, che si declina nel documento “Cenni di un Nuovo Sistema Economico, Monetario, Fiscale e di Giustizia”, a disposizione sul mio profilo FB. Tale documento costituisce un passo avanti, che si pone trasversalmente rispetto al capitalismo, al socialismo e al comunismo, e in generale a ogni “ismo” apparso finora sul pianeta.
Massimo Manassero

Bravissimo Roberto Buffagni… inizi l’anno con un post egregio, da quale si potrebbero trarre spunti, più che per un saggio, per una intera biblioteca. Il punto e) è quello che mi affascina da una 10na di anni, ossia l’apparente autolesionismo della scelta Usa di delocalizzare ecc. ecc., con successive ridicole lacrime -di coccodrillo- sulla Cina cattiva che si impadronisce dei brevetti – servitile su un piatto di platino, manco argento! Se la Cina fosse comunista (non solo nominalmente) verrebbe da citare Lenin ‘i capitalisti ci venderanno anche la corda con cui li impiccheremo’, ma sappiamo che non è così che funziona. In realtà la scelta Usa fu una scelta del capitalismo Usa, o della nazione Usa? Entrambe, perchè la nazione Usa è occupata dai capitalisti Usa; e il capitalismo sostanzialmente se ne frega delle nazionalità, perchè è una (pessima ed economicistica) forma di universalismo, e nei suoi esponenti più sinceri lo dice chiaramente – il famoso ‘flat world’ di Thomas Friedman. Inutile aggiungere che discorsi simili in un Paese come il nostro, accucciato su un atlantismo servile, con piccole eccezioni di antiamericanismo ridicolo alla 68, risultano comprensibili come l’etrusco arcaico.
Roberto Buffagni

Massimo Manassero Grazie. Sì, l’idea di traslocare in Cina una quantità enorme di manifatture, comprese industrie indispensabili per la sicurezza militare, lascia a bocca aperta. Non mi è noto un episodio autolesionista di queste proporzioni, nella storia umana. Si può spiegare con la marea di hybris che ha ubriacato la classe dirigente USA dopo l’implosione dell’URSS, con tanto di proclami accademici sulla fine della storia e altre amenità. Certo che l’hanno fatta grossa.
Massimo Manassero

Roberto Buffagni non grossa, enorme. Alla base ci fu, secondo me, la presunzione sborona texana unita al disprezzo verso tutto ciò che è ‘non americano’ : ‘Ma sì, dai, diamo pure un po’ di tecnologia ai musi gialli, tanto, prima che arrivino al nostro livello, hai voglia! 😊 ‘ Pensavano di poterli sfruttare come confezionatori di smartphone per chissà quanti anni ancora. Imbecilli. Hanno creato un mostro che creerà guai grossi a loro ma ancor più a noi, eterno vaso d’argilla.
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