29° podcast_Stati Uniti 2020; il prossimo firmamento democratico, di Gianfranco Campa

I prossimi due anni si prospettano incerti ed avvincenti, decisivi. Sia nello scenario geopolitico mondiale che nell’agone interno agli Stati Uniti. A prescindere dall’esito delle elezioni presidenziali americane del 2020, ogni velleità meramente restauratrice dello status quo ante è destinata a rivelarsi una pura suggestione. Peggio! Se dovesse avere successo non farebbe che accelerare il processo di decomposizione e frammentazione sociale e politica di quel paese sino a trascinarlo inesorabilmente verso un distruttivo ed imprevedibile conflitto interno o ad una implosione. Trump è il rappresentante di una versione originale di una componente “isolazionista” da sempre presente negli Stati Uniti, molto militante, ma costantemente minoritaria. Lo è ancora adesso; nel suo momento di massimo fulgore, l’attuale, non riesce a superare un 20/25% dell’elettorato; uno zoccolo duro autenticamente sostenitore del Presidente ma scarsamente radicato negli apparati di potere. Da qui la tattica di infiltrazione all’interno del Partito Repubblicano e i continui compromessi al ribasso di Trump, sino al sacrificio dei suoi uomini migliori e più fedeli. L’indole e la propensione di “the Donald” è rimasta e riaffiora comunque, estemporanea, come un sussulto, ogni qualvolta appare un qualche margine di autonomia nelle proprie scelte. Più o meno consapevolmente Trump con la sua azione ha comunque eroso ogni residuo spazio effettivo di conduzione unipolare del gioco geopolitico e sancito l’esistenza politica di forze avverse e concorrenti pur con le sue azioni più dure e apparentemente discriminatorie. Ha determinato la crisi e lo stallo delle élite politiche europee globaliste ed europeiste, ha ridicolizzato e privato di autorevolezza la quasi totalità del ceto politico americano a lui avverso o apparentemente amico. Le primarie del Partito Democratico annunciano un rinnovamento radicale della leadership e il tramonto definitivo, con l’eccezione di Obama, dei vecchi santoni. Molto più precaria e incerta la situazione nel Partito Repubblicano. Una fase di transizione che sembra offrire margini di azioni a personalità più o meno “indipendenti” esterni agli schieramenti classici. Gianfranco Campa, da par suo, ci offrirà un affresco esauriente e documentato di queste dinamiche così influenti anche in casa nostra. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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CHI AVRÀ IL CORAGGIO DI DIRLE LA VERITÀ?, di Gianfranco Campa

Passate le elezioni americane di medio termine, mancano poche settimane all’avvio dell’estenuante campagna per le prossime elezioni presidenziali del 2020. Probabilmente una delle più importanti nella storia degli Stati Uniti. Come per il passato Italia e il Mondo seguirà la campagna con la dovuta attenzione e originalità_Giuseppe Germinario

 

CHI AVRÀ IL CORAGGIO DI DIRLE LA VERITÀ?

Il partito democratico, dopo la mezza, direi deludente rispetto al dispiegamento di mezzi, timida vittoria alle elezioni di medio termine è alla ricerca di una strategia vincente da attuare in vista delle elezioni presidenziali del 2020. Il tempo stringe, le primarie incombono, sono virtualmente già dietro l’angolo e cominciano ad affiorare i primi nomi dei potenziali candidati democratici alla corsa presidenziale. L’obiettivo è chiaro: spodestare l’usurpatore arancione, riconsegnare al vecchio establishment l’Impero e reinsediare l’imperatore legittimo , restituire alla natura l’armonia delle cose.

Tanti sono i nomi che veleggiano nell’immaginario della gente, che sbucano dal cilindro delle speranze democratiche. Alcuni sono nomi validi, altri sono chimere fantasiose pescate direttamente da un libro di fantascienza di Isaac Asimov. Nel reame dei candidati seri appaiono i nomi di Michelle Obama, Gary Booker, Kamala Harris, Sherrod Brown, Chris Murphy, Terry McAuliffe, Kirsten Gillibrand, Elizabeth Warren, Michael Bloomberg e il nostro vecchio caro Joe Biden. Bernie Sanders rappresenta invece l’incognita poiché non è più iscritto al partito Democratico visto che ora si professa indipendente. Poi ci sono nomi inverosimili come Oprah Winfrey, LeBron James e la nostro amata, mai dimenticata, Hillary Clinton. Ogni tanto rialza la testa, dispensa perle di saggezza e altezzosità politica, fra un lancio di anatemi contro Donald Trump e altri contro il sistema malvagio che gli ha pregiudicato l’ascesa al trono presidenziale cui teneva come a un diritto acquisito.

Hillary Clinton, non direttamente, ma attraverso i “suoi” canali mediatici più fedeli ha annunciato che correrà di nuovo alle elezioni del 2020,; parteciperà quindi alle primarie Democratiche. Inutile dire che la reazione è stata visceralmente negativa, non da parte dei Repubblicani badate bene, bensì da una larga fetta dello stesso elettorato democratico. Se l’accenno della Clinton a ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali è stato fatto per sondare, testare il terreno politico, vista la reazione negativa, la Clinton dovra` quindi arrivare alle dovute conclusioni; non la vuole virtualmente più nessuno. Ho messo la signora Clinton nell’elenco dei candidati fantastici proprio perché il suo desiderio di ricandidarsi rimarrà nel mondo delle fantascienza e nella sua testa da megalomane cui nessuno, a parte pochi nel partito democratico, vuole più sentire, vedere o dar credito.

Adesso il problema serio, il dilemma sempiterno che si pone nel partito democratico è quello di spiegare, convincere la Clinton che l’elettorato Democratico stesso ha ormai voltato pagina e che pochissimi sono disposti ad accettare una sua qualche ingerenza nella futura costruzione del partito democratico. La Clinton rappresenta il passato; lo sanno tutti, meno che lei. Lo stesso povero Bill Clinton, negli ultimi mesi si è defilato dal palcoscenico pubblico, mostrando più buon senso della moglie la quale si ostina o forse fa finta di credere che la sua figura politica sia ancora rilevante.

Fatto sta che nessuno dei candidati Democratici alle ultime elezioni di Medio Termine appena concluse, sia al Senato che alla Camera, ha chiesto il suo sostegno, il suo aiuto. Tutt’altro; hanno accuratamente evitato anche solo di menzionare in pubblico il nome della Clinton, preferendo invece invitare ai loro comizi personaggi politici del calibro di Joe Biden, Barack Obama e Bernie Sanders.

Allora si torna al questione che ho posto sopra. Chi avrà l’ardire di annunciare la cattiva novella alla Clinton? Ci saranno dei volontari disposti a subire la sua furia? Dovranno probabilmente essere precettati controvoglia e farsi  immortalare, sacrificandosi sull’altare della causa Democratica. Dovranno andare da Hillary Clinton e spiegarle che il suo regno dittatoriale è finito, la sua carriera politica sepolta e il suo delirio di potenza completamente fuori luogo.

In attesa di assistere ai fuochi pirotecnici, ci godiamo lo spettacolo offerto fin qui dalla signora Clinton. La settimana scorsa Hillary in un’intervista al theguardian, esaminando l’ascesa del cosiddetto populismo, ha dichiarato che l’Europa ha bisogno di leggi migratorie molto più severe per tenere lontano i fantasmi dei risorgenti nazionalismi. L’Europa dovrebbe chiudersi a riccio, perchè l’immigrazione di massa sta riaccendendo pericolosamente le torce dei movimenti nazionalisti.

La Clinton afferma che: “l’Europa ha fatto la sua parte e deve ora mandare un messaggio chiaro:  ‘non siamo più in grado di offrire rifugio e supporto a tutte queste persone’ questo perché se non si affronta il problema dell’immigrazione, le conseguenze saranno catastrofiche per la politica tradizionale.”  La Clinton ha poi proceduto a condannare Trump e la sua retorica incendiaria nel contesto dela tematica dell’immigrazione.

Prima di Trump però c’è stato un altro presidente che ha usato sul tema parole altrettando “incendiarie”. Quel presidente non era altro che il consorte di Hillary Rodham: Bill Clinton. Qui sotto un video del 1995 quando Clinton si riferiva al problema immigrazione usando le stesse parole di Trump oggi:

Detto questo, le dichiarazioni di Clinton contengono una parte di verità. Ma in queste dichiarazioni ha dimenticato, naturalmente, di prendersi le proprie responsabilità omettendo la parte in cui dovrebbe dichiarare che i motivi dei risorgenti nazionalismi sono figli delle decisioni disastrose prese,in termini geopolitici, dalla stessa Clinton nella sua opera di destabilizzazione di molte aree geografiche vicino all’Europa; tra le tante la Siria e la Libia.  Le politiche europee dell’austerità economica, imposte con le buone o con le cattive dalla dittatura UE, hanno anche contribuito al riaffacciarsi di questo populismo tanto odiato dalle élite politiche e finanziarie.

Le reazioni alle sue parole di condanna delle politiche migratorie europee sono state dure da parte dell’ala più  progressista del partito Democratico, incolpando la Clinton di ipocrisia e di paranoie razziste.  Tanto è bastato che la Clinton, il giorno dopo, su twitter, facesse un passo indietro specificando cosa intendeva nelle dichiarazioni fatti al theguardian: “ In una recente intervista, ho parlato di come l’Europa deve respingere il nazionalismo di destra e l’autoritarismo, anche affrontando il problema migrazione con coraggio e compassione. Su questo argomento ho anche tenuto un discorso completo il mese scorso.” “Su entrambe le sponde dell’Atlantico, abbiamo bisogno di riforme. Non frontiere aperte, bensì leggi sull’immigrazione applicate con equità e rispetto dei diritti umani. Non possiamo lasciare che la paura o il pregiudizio ci costringano a rinunciare ai valori che hanno reso le nostre democrazie sia grandi che buone.”

La precisazione alle sue dichiarazioni non ha calmato i bollenti spiriti negli ambienti della sinistra americana che vuole la Clinton consegnata per sempre agli annali della storia; non ha impressionato la destra che considera le dichiarazioni di Clinton semplicemente un atteggiamento da pre-candidata, in linea con la sua tipica ipocrisia.  La sua dichiarazione anti-immigratoria va ricercata nella necessità di Clinton di rimanere rilevante nel gioco politico.  Possiamo dire che Hillary doppia il Trumpismo, testando il terreno, nella speranza che possa aiutarla eventualmente nella sua potenziale corsa presidenziale per il 2020. Alla fine con le sue dichiarazioni non ha fatto felice nessuno.

Rimane un’ultima considerazione da fare: Può essere che la Hillary Clinton non abbia nessuna intenzione di ricandidarsi, ma abbia semplicemente lanciato un messaggio alle élite del globalismo e della Unione Europea; prevenire l’avvento di regimi populisti è ancora più importante della acquisizione di manodopera a basso costo…

https://www.theguardian.com/world/2018/nov/22/hillary-clinton-europe-must-curb-immigration-stop-populists-trump-brexit

ELEZIONI DI MEDIO TERMINE: Mezzo smacco, mezza vittoria, di Gianfranco Campa

Le elezioni di medio termine più attese, più politicamente esplosive nella storia della politica americana si sono concluse. Le sentenze che arrivano dai seggi elettorali sono chiare.  La strategia della tensione,  attuata dai democratici e dallo stato ombra, è stata solo parzialmente vincente . La discesa insolita in campo di mostri sacri, di Obama in particolare, ha sortito un effetto positivo solo parziale in campo democratico e ha risvegliato gli umori militanti nel campo repubblicano.

I repubblicani incrementano i senatori, i democratici riprendono la Camera. L’onda blu non c’è stata, l’apoteosi dei democratici si è spenta. Il nostro sito è stato l’unico in Italia a pronosticare con molte settimane di anticipo che i Repubblicani avrebbero aumentato il numero dei deputati al Senato e perso il controllo della Camera per pochi seggi.

La mappa geografica elettorale dell’ Americana conferma la dinamica ormai  in corso da decenni ma che ha subito bruscamente una accelerazione con le presidenziali del 2016: la polarizzazione estrema della politica e con essa della società americana. Le Città Stato e le regioni costiere delle élite americane sono andate appannaggio dei Democratici; il centro e l’interno del paese si è invece, per l’ennesima volta, colorato di Rosso. I liberali-progressisti democratici contro i conservatori della destra Repubblicana. Due mondi che non s’incontrano, che non si parlano e che non comunicano più tra di loro.  Una divisione che non sarà più colmabile e che porterà alla frattura del paese e molto probabilmente, col tempo,  a una nuova guerra civile.

Questi due mondi se le sono cantate e dette di tutti i colori. Dalle elezioni di Trump nel 2016 ad oggi è stato un crescendo di accuse, tensione e violenza. La narrazione, la versione raccontata dai media e dai democratici, incluso l’Establishment Repubblicano, è stata prima la illegittimità della presidenza Trump in quanto burattino di Putin, eletto grazie alle interferenze Russe nelle elezioni americane. Accuse che hanno portato  all’inchiesta, non ancora conclusa, del Russiagate. Il Russiagate ha però fallito nell’obiettivo di influenzare e convincere  i Repubblicani, ma soprattutto la base elettorale di Trump della illegittimità del presidente, descritto come un traditore in modo tale da scalfirne l’immagine. Successivamente si è poi passati all’inchiesta, non ancora conclusa, del Pornogate. Anche il Pornogate ha però fallito nell’obiettivo di influenzare e convincere i Repubblicani, ma soprattutto la base elettorale di Trump, della immoralità del Presidente; non ne ha scalfito ancora una volta l’immagine. Si è poi passati alle bombe e alle sparatorie di massa, sempre con lo stesso obbiettivo, insinuandone la pericolosità in quanto razzista e suprematista bianco. Tutto questo condito nel frattempo da due anni di intensi abusi e pressioni verso gli elettori Trumpiani che hanno dovuto subire attacchi verbali e fisici da parte della massa democratica.

Si è accusato Trump di razzismo, omofobia, antisemitismo, collusione, tradimento etc. Si è accusato Trump di linguaggio incendiario, inaccettabile, rude, primitivo etc. Di riflesso le accuse erano dirette anche ai suoi elettori. Un disprezzo sempre più ostentato verso una larga parte di cittadini americani da parte dei media, dei democratici e dell’establishment repubblicano, che non ha precedenti nella storia politica moderna a stelle e strisce e che è iniziato molto prima dell’avvento di Trump.

Questo disprezzo delle élite americane verso gli elettori di Trump è lo stesso riservato al defunto Tea Party dell’era Obamiana. Obama aprì il vaso di pandora di questo sentimento quando in campagna presidenziale si riferì a una larga fetta di cittadini americani come a coloro che si aggrappano alla bibbia e alla pistola. Si è poi passati a Hillary Clinton la quale durante le presidenziali del 2016 ha descritto quegli stessi cittadini americani come un cesto di deplorabili. Questa retorica incendiaria continuerà per molto tempo ancora fino a quando la corda si spezzerà. Nel frattempo i servizi segreti incaricati di protteggere il presidente Trump hanno diramato la lista ufficiale del numero di indagini finora condotte contro persone o entità che hanno minacciato Trump di morte: 197, un numero senza precedenti.

Torniamo alle elezioni. Storicamente il partito del presidente in carica alle elezioni di medio termine perde la Camera,  a volte anche il Senato; per Trump non è stato diverso anche se, come ho detto prima, la cosiddetta onda blu non si è materializzata. I dati, se paragonati con altre elezioni presidenziali, sono positivi per Trump:

 

2010 Obama:: -63 seggi

1994 Clinton: -52

1958: Eisenhower: -48

1974 Ford (Nixon): -48

1966 Johnson: -47

1946 Truman: -45

2006 Bush: -30

1950 Truman: -29

1982 Reagan: -26

2018 Trump: -26

 

Trump ha limitato i danni, nonostante la mostruosa macchina da guerra politica ( e non solo) messa in atto contro di lui e contro i Repubblicani, almeno la fazione a lui fedele. I Democratici hanno speso due volte di più dei Repubblicani. Dati ufficiali non sono a disposizione e quantificare l’ammontare dei soldi spesi dal Partito Democratico è difficile. Secondo stime non ufficiali sarebbero più di 300 milioni i dollari investiti dai candidati democratici per queste elezioni. Cifre non sorprendenti soprattutto se si considera che miliardari come Michael Bloomberg, Tom Steyer e George Soros hanno speso una somma enorme del loro tesoro nella loro crociata anti-Trump sostenendo i vari candidati Democratici. Le stesse aziende del firmamento virtuale sono entrate direttamente in campo contro il Presidente. Allo stesso tempo i soliti donatori Repubblicani come i fratelli Koch ( Charles G. Koch and David H. Koch)  sono rimasti a guardare poiché fanno parte dell’apparato dell’Establishment Repubblicano e non avevano nessun interesse a sostenere l’agenda di Trump.

Altre considerazioni importanti. Anche se i Repubblicani  avessero mantenuto il controllo alla Camera, il margine sarebbe stato così piccolo, che nulla di importante avrebbe potuto essere approvato.

Con il controllo del senato i Repubblicani continueranno a nominari giudici alle corti federali, cosa non di poco conto.

Il controllo dei Democratici alla camera comporta comunque forti rischi per Trump. I pericoli in vista sono ostruzione e indagini continue da parte dei deputati democratici.

L’affluenza è aumentata, ma non ai livelli presidenziali. Nelle ultime tre elezioni presidenziali, circa 130 milioni hanno votato. Sembra che ieri siano andati a votare circa 100 milioni.

La quota degli elettori bianchi è in calo. Gli elettori bianchi erano il 79% di tutti gli elettori nel 2006; 77% nel 2010; 75% nel 2014 e 72% ieri. Nel 2006, l’ultima volta che i Democratici presero il controllo della Camera, persero fra gli elettori bianchi più di quattro punti. Ieri i Democratici hanno perso 10 punti di elettorato bianco.

Il problema di consenso dei Repubblicani da parte delle donne è cresciuto. Nel 2006, i repubblicani hanno perso fra le donne dodici punti. Ieri, hanno perso altri diciannove punti rispetto al 2006.

L’affluenza degli elettori 65+ è aumentata, probabilmente grazie a Trump che riesce a caratterizzare le elezioni attribuendo ad esse una rilevanza nazionale. Ieri, gli anziani  hanno raggiunto il 26% dell’elettorato. Nelle ultime tre elezioni, erano  rispettivamente 19, 21 e 22%.

Il voto giovanile non è stato molto positivo. La fascia dei 18-29 anni ieri erano il 13% degli elettori. Nelle ultime tre elezioni mediamente erano il 12, 12 e 13%.

Il divario scolastico è diventato più ampio. Nel 2006 i laureati erano +7% a favore dei democratici. Ieri erano circa  +30%. Sta di fatto che l’elettorato è sempre più diviso in nicchie; una tendenza che lascia presagire un futuro particolarmente inquieto e spietato.

Trump, intanto, ha immediatamente dimissionato Jeff Sessions, reo da tempo di non aver minimamente contrastato l’azione e le scorribande del Procuratore Muller nel Russiagate e Pornogate. Lo stesso Muller potrebbe essere la prossima vittima designata prima che, a gennaio, si insedi la nuova Camera del Congresso. Qualche scheletro nell’armadio da scovare per agevolare la defenestrazione sarà sempre disponibile. Trump ha ormai dimostrato di poter contare anche lui sul sostegno efficace anche se ancora minoritario di componenti significative degli apparati. Il prezzo pesante di questo salvacondotto lo abbiamo evidenziato più volte nel corso di questi due anni. L’esito finale dello scontro, per altro, non prevede prigionieri. La caduta di peso dei neocon in campo repubblicano e il mancato successo della componente più radicale e sinistrorsa del partito democratico non farà che rendere ancora più netti gli schieramenti almeno sino a quando il successo di Trump potra fungere da parafulmine e nascondere e sopire le faide che covano in campo democratico. Intanto guerra si vuole, guerra sarà. Anzi, guerriglia all’interno e prosecuzione dello scompiglio nel mondo multipolare prossimo venturo

 

 

BOMBA O NON  BOMBA ARRIVERANNO A WASHINGTON, di Gianfranco Campa

BOMBA O NON  BOMBA ARRIVERANNO A WASHINGTON

Uno si chiama Cesar Altieri Sayoc, l’altro si chiama Robert D. Bowers. Il primo è il 56enne bombarolo della Florida, il secondo il 46enne assassino di innocenti ebrei che partecipavano, di sabato, alla funzione religiosa in una Sinagoga (Tree of Life) di Pittsburg. Il primo ha spedito 14 bombe ad altrettanti rappresentanti dell’apparato del partito Democratico, fra mass media, donatori e politici. Il secondo ha assassinato a sangue freddo 11 persone e ferito 6. Il primo è un “bodybuilder” che odia i democratici, il secondo un demente suprematista bianco, antisemita, che odia gli ebrei.

Questi due individui sarebbero accomunati, secondo la versione mass mediatica e politica di stampo democratico, da un odio viscerale per tutto quello che viene individuato come la fogna dell’establishment del potere e entrambi, sempre secondo i mass media e i democratici, sarebbero stati influenzati, aizzati nel loro impeto criminale dalla retorica odiosa proveniente dal Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump.

Le azioni violente di questi due individui possono considerarsi vero e proprio terrorismo. Mentre Robert D. Bowers ha distrutto undici vite, le “bombe” di Sayoc non hanno fatto danni né materiali né fisici, se si esclude lo stress emotivo causato alle organizzazioni e persone che hanno ricevuto le bombe, stress che non deve essere minimizzato, perché per definizione tecnica, il terrorismo si esplica anche senza violenza vera, semplicemente nel momento in cui si crea terrore attraverso la sola minaccia di danno fisico a persone e cose. La minaccia di violenza per ragioni politiche, religiose o ideologiche corona una volta per tutte la definizione di terrorismo.

Le analogie però finiscono qua, poiché le storie di questi due terroristi viaggiano su due binari completamente separati; nonostante le ginnastiche mentali dei mass media intente a connettere questi due eventi al comportamento e alle parole di Trump, la realtà è molto lontana da quella rappresentata dalle fonti mediatiche.

Indagando un po più a fondo su questi atti di terrorismo si scoprono aspetti interessanti e lugubri.

Partiamo da Bowers:  Era ormai da molti mesi che Robert D. Bowers continuava a rigurgitare sul sito Gab, tramite i suoi post, la sua intolleranza antisemita, affermando che gli ebrei erano il “nemico dei bianchi” fino a quando poi, sabato scorso, ha concretizzato i suoi propositi entrando nella sinagoga Tree Of Life di Pittsburgh con un fucile d’assalto e tre pistole e aprendo il fuoco al grido di: “Non posso stare seduto a guardare la mia gente  (i Bianchi) essere massacrata.”  Al Termine della follia omicida di Bowers 11 persone hanno terminato il loro viaggio terreno.

Bowers, aveva 21 pistole registrate a suo nome, ma secondo le dichiarazioni ufficiali non era noto alle forze dell’ordine prima della sparatoria.

Bowers frequentava il sito Gab, un social network che si autoproclama piattaforma dedicata alla libera espressione della parola. Sito che è molto popolare tra gli attivisti di estrema destra e i nazionalisti bianchi. Dopo essersi iscritto a Gab, lo scorso Gennaio, Bowers aveva condiviso un fiume di insulti antiebraici e teorie complottistiche. Fra questi messaggi si trova anche la smentita alla tesi sostenuta dai mass media secondo la quale è stato istigato ad agire perché ispirato dalla retorica di Donald Trump: “Trump è un globalista non un nazionalista…”  sentenziava Bowers. In altre parole Trump e tutto il suo movimento MAGA (Make America Great Again) erano influenzati dagli ebrei. Bowers nei suoi post e nella sua retorica considerava Trump un nemico della razza bianca quanto gli ebrei stessi. Questo smentisce la teoria secondo cui Trump abbia ispirato il demente Bowers a commettere il suo codardo atto di terrorismo. Qui trovate il link ai post di Bowers: https://imgur.com/a/cwB9QkR

Del passato di Bowers si sa poco o niente. Sino alla furia omicida mostrata in Pittsburgh, Bowers era una figura del tutto anonima, apparsa all’improvviso, come una cometa di sventura, pochi mesi fa sull’universo di Gab.

Quello che invece si sa dell’altro terrorista Cesar Sayoc è abbastanza da scriverci un libro; allo stesso tempo, quella delle bombe inesplose spedite da Sayoc alle vittime democratiche è una storia che pone molte domande e offre poche risposte.

Le quattordici bombe inoperative, spedite da Sayoc a personaggi del calibro di Hillary e Bill Clinton, George Soros, John Brennan, Barack Obama e alla CNN hanno scatenato la rabbia dei mass media e dei democratici, tutta diretta contro Trump per aver motivato con il suo linguaggio incendiario la sua mano. Sayoc è stato arrestato in Florida, dove risiedeva. Il suo furgone bianco, tappezzato di adesivi contenenti messaggi pro-Trump e anti-Democratici è diventato l’autoveicolo più famoso in America dai tempi della famigerata limousine su cui viaggiava Kennedy nel 1963.

Ma chi era esattamente Sayoc? A differenza di Bowers, Sayoc ha una lunga, estesa lista di precedenti penali. Sono almeno dieci, secondo il Dipartimento di Giustizia della Florida, gli arresti di cui il prode è stato oggetto negli anni, incluso uno  nel 2002 per aver minacciato di far saltare in aria la sede della Florida Power and Light (Azienda elettrica della Florida.) Il suo appuntamento più recente con le forze dell’ordine è stato nel 2015.

L’arresto di Sayoc, da parte del FBI è avvenuto a Ventura, in Florida, quarantotto ore dopo la spedizione da parte sua dei pacchi bomba. Sayoc era anche noto su Facebook come Cesar Altieri Randazzo. Al suo arresto tutti i mass media lo hanno prontamente etichettato come un fanatico sostenitore di Trump. Dopo l’arresto, le foto e i video del furgone bianco di Sayoc, appena sequestrato dall’FBI e tapezzato di molteplici adesivi e memorabilia pro-Trump, hanno fatto il giro del mondo. E’ stato immediatamente ribattezzato il  “Trump Van” ed è diventato lo strumento usato dai media per attaccare Trump; il furgone di Sayoc simbolo dell’odio dell’America di Trump.

Ma è proprio a partire dal furgone che sorgono i primi seri dubbi sulla legittimità della versione ufficiale su questa storia del terrorista Trumpiano. Le foto mostrano un vecchio Ford Bianco, tappezzato di messaggi, posters, adesivi e cappelli di baseball Pro-Trump in evidenza sul cruscotto; un vero e proprio appariscente cartellone pubblicitario itinerante, un bel pugno nell’occhio che difficilmente sfugge all’attenzione della gente. Il furgone non mostra grandi segni di ammaccature o rigature sulla carrozzeria, un fatto alquanto strano poiché negli ultimi tre anni i sostenitori di Trump sono stati vittime di vari atti di vandalismo, specialmente se si permettono di ostentare i simboli del loro sostegno. Un furgone così avrebbe attratto l’attenzione di molti curiosi e presumibilmente di potenziali vandali militanti anti-Trump. Un altra perplessità sul furgone suscita la relativa integrità degli adesivi affissi sui finestrini. Gli adesivi appaiono ancora molto vividi nel loro colore originale, come se fossero stati attaccati non due-tre anni prima, bensì pochi giorni prima. Normalmente questi adesivi dovrebbero mostrare segni di scolorimento o ingiallimento, specialmente se si considera il sole cocente che batte sulla Florida per buona parte dell’anno.

Ma veniamo ai misteri sulla personalità di Sayoc. Ex calciatore professionista, ex ballerino spogliarellista, ex bodybuilder, promotore di eventi e coordinatore di marketing per un Casinò.

Il Casinò presso cui lavorava si chiamava Seminole Hard Rock Casino in Florida, una società di proprietà della Tribù Indiana Seminole. Casinò di proprietà e gestione della Nazione Sovrana Seminole, un fatto questo importante poiché tradizionalmente, vigorosamente e pubblicamente, i Seminole non hanno mai nascosto la loro foga anti-Trump e pro-democratica, al punto tale che parte del loro lucrosi introiti finanziari  viene reinvestito nel partito democratico sotto forma di donazioni. Sembra alquanto strano quindi che un’azienda apertamente schierata nel sostegno ai Democratici, tolleri un loro impiegato, Sayoc, così vistosamente, pacchianamente sostenitore di Trump. Infatti la direzione di Hard Rock Casino ha smentito che Sayoc sia un loro lavoratore, ma a quel punto era troppo tardi perché la notizia era già stata resa pubblica sui siti di informazione. Il profilo social di Sayoc diceva chiaramente che lavorara per i Seminole. C’è di più; fino al 2016, secondo i dati ufficiali, Sayoc era iscritto al Partito Democratico per poi trasformarsi in un  ‘fanatico” sostenitore di Trump. Intendiamoci una scelta non di per sé strana o impossibile visto che molte persone decidano di cambiare alleanza politica da un partito ad un altro, nel caso di Sayoc però questo cambio ha il sapore più di fabbricazione, di depistaggio, che di genuino cambio di fede politica.

Da dove deriva questo dubbio che tutto l’affare Sayoc sia una completa macchinazione occulta? La teoria che tutta questa storia delle bombe sia ingannevole e manipolata scaturisce dalla rivelazione più  inquietante. Secondo quanto riferito dalla televisione locale della Florida WPTV, Cesar Sayoc ha lavorato anche presso un locale di spogliarelli come buttafuori e DJ, l’Ultra Gentleman’s Club di West Palm Beach, in Florida. In questo locale, fino allo scorso Aprile, cioè un po` prima che scoppiasse lo scandalo del pornogate, si è esibita la famosa pornodiva  Stormy Daniels. Una “coincidenza” alquanto curiosa che pone una serie di domande sulla legittimità di questa storia del bombarolo della Florida.

Altra coincidenza “anomala”,  l’esibizione di  Stormy Daniels ad Aprile è avvenuta in concomitanza  con la visita del presidente Donald Trump in Florida. Abbastanza interessante anche il fatto che lo strip club si trova vicino al campo da golf di proprietà di Trump. Il DJ di quella serata, inutile dirlo, era appunto Sayoc.

L’affare Sayoc è costellato di informazioni alquanto bizzarre. Secondo il manager del club, Stacey Saccal, il locale stesso non ha ricevuto mai lamentele da parte di altri membri dello staff o clienti sul comportamento di Sayoc; a tutti è sembrato un “bravo ragazzo”. “Non ho mai saputo che il suo furgone era coperto di adesivi politici, pensavo fosse un camioncino di gelati”, ha detto Saccal a WPTV. Saccal ha anche detto che i suoi dipendenti non avevano idea che Sayoc fosse un militante politico. Non ha mai parlato di politica al lavoro e nessuno ha notato gli adesivi sul suo furgone. Un particolare importante visto che darebbe credito all’ipotesi che gli adesivi erano di recente affissione, cioe` poco prima che Sayoc spedisse le bombe.

Questa storia di Sayoc e di Bowers lascia molto perplessi e solleva una serie di domande più che legittime. Perché tutti e due questi personaggi hanno fatto scattare il loro impeto terrorista ed omicida a pochi giorni dalle elezioni di medio termine? L’incrocio Stormy Daniels-Sayoc è stato realmente frutto di una coincidenza? Come ha fatto il furgone di Sayoc a rimanere anonimo, tappezzato come era da “camioncino di gelati” ?  Come mai nessuna delle bombe è esplosa nonostante che l’FBI si sia affrettata a dichiarare che le bombe erano perfettamente funzionanti, cosa poi smentita da un gruppo di esperti di esplosivi? Come ha fatto l’FBI a risolvere la matassa terroristica del bombarolo anti-democratico nel giro di quarantotto ore, dopo che a più di un anno di distanza ha chiuso le indagini sulla strage di Las Vegas senza trovare un movente alla follia omicida di Stephen Paddock? Chi era Bowers prima che apparisse improvvisamente sulla scena delle reti sociali con i suoi post antisemiti? Chi si celava realmente dietro quegli individui che alimentavano l’odio di Bowers partecipando attivamente con commenti e condividendo link sui suoi post su Gab?

A queste domande probabilmente non avremo mai una risposta. Quello che a mio parere però appare chiaro è che una “manina” abbia prenotato tutte le “fermate” prima delle elezioni di medio termine. Può essere che a forza di bomba o non bomba arriveranno a Washington. Martedì sapremo se questa strategia avrà funzionato nell’esito elettorale.

Intanto ha funzionato nella tempistica di una stampa e di un sistema mediatico così solerti nel costruire uno scenario così fosco e compromettente nei confronti di Trump e dei suoi sostenitori, ma così distratti ed evanescenti quando atti ben più gravi, minacciosi e pericolosi, nelle settimane a ridosso delle prodezze dei due energumeni, hanno interessato la sicurezza e l’incolumità fisica di personaggi di primo piano dello staff presidenziale e di uomini politici a lui vicini. Appostamenti, tentativi di avvelenamento, provocatorie manifestazioni di ostilità nei momenti più riservati e improvvisati che lasciano sospettare una capacità di intelligence e una regia occulta e troppo ben attrezzata per essere condotta solo da gruppi di scalmanati.

 

 

27°-2 podcast_elezioni di medio termine, di Gianfranco Campa

Il 27° podcast di Gianfranco Campa è una autentica gemma; un pezzo di grande giornalismo degno di essere ospitato nelle più autorevoli riviste di analisi politica. Offre informazioni ed analisi introvabili nell’editoria più affermata. La grande stampa, però, è ormai schiava della peggiore e più ottusa partigianeria, condita da un livello di approssimazione sconcertante; offre rarissimi spazi ad analisi obbiettive ed approfondite. questo blog ha sottolineato più volte la crucialità della scadenza delle elezioni americane di medio termine sia per quella nazione che per le dinamiche geopolitiche. Sino ad ora si è soffermato soprattutto sulle vicende della Presidenza Trump, sul suo rapporto conflittuale, aspro con il Partito Repubblicano e con i settori maggioritari e più potenti dello Stato. A prezzo di pesanti cedimenti e compromessi del Presidente, ha tuttavia rivelato sì la forza di questi settori, ma anche la loro mancanza di una strategia coerente e di una prospettiva convincente tale da consentire il controllo accettabile della situazione e un recupero di credibilità. Una situazione che ha consentito l’acquisizione di un controllo accettabile del Partito Repubblicano da parte di Trump a costo però di una fronda disposta a tutto pur di affossarlo e ridurlo in minoranza rispetto ai democratici. La scadenza elettorale sta rivelando un accenno di strategia coerente del fronte di opposizione a Trump. Una strategia tesa a paralizzare il Presidente, presumibilmente, sino alla fine del suo mandato ma anche a controllare le possibili fratture che minacciano la tenuta anche del Partito Democratico americano. Si deve ricordare che la Clinton, in cambio del sostegno tiepido di Sanders, successivo alla vittoria fraudolenta alle primarie, ha dovuto cedere il controllo di ampi settori del partito in cambio della rinuncia all’astensione e ad una probabile scissione dei settori radicali di quel partito. La strada scelta è del tutto inedita e sorprendente; inquietante soprattutto. Si assiste, ormai, all’ingresso esplicito e massiccio nella scena politica di esponenti dello stato profondo. Una dimostrazione di forza e di debolezza allo stesso tempo. Per questo l’ascolto del podcast merita grande attenzione. La situazione in Italia e in Europa, del resto, dipende in gran parte dall’evolversi di questa situazione.

Qui sotto sono forniti i link ai quali fa riferimento Campa nel suo intervento e la lista parziale ma significativa dei candidati direttamente legati ai servizi di intelligence. Sono circa la metà del totale delle candidature alla Camera, al Senato e ai Governatorati. Se volete avete tutta la possibilità di approfondire e verificare l’attendibilità delle informazioni. 

Buon ascolto_Giuseppe Germinario

24° podcast_ Botta e risposta, di Gianfranco Campa

Il Russiagate avrebbe dovuto essere la pietra tombale della Presidenza Trump. Si sta rivelando una caccia ai mulini a vento che rischia di ridicolizzare e discreditare ulteriormente i promotori. Per uscire dalla palude nella quale stanno annaspando senza vie di uscita cercano di aprire pretestuosamente nuovi filoni di indagine con veri e propri colpi di mano e abusi delle proprie funzioni e del proprio mandato. Un logoramento che sta consentendo a Trump di esibire nuovi campioni in grado di tener testa alle scorribande e di rendere la pariglia anche allo stesso livello. La discesa in campo di Rudolph Giuliani è particolarmente significativa. Efficace nel ribattere gli attacchi personali, al prezzo però del sacrificio progressivo dello staff che ha portato Trump alla Casa Bianca sull’onda di prospettive e strategie alternative oramai sempre più vaghe. Un duello che spinge a concentrare sempre più le forze nella tenzone con il risultato di allentare i fili che controllano le dinamiche nei paesi alleati più stretti. Tanto più che uno degli oggetti reali del contenzioso che fanno da sfondo alle faide riguarda il mantenimento o meno della rete di rapporti multilaterali costruiti in questi ultimi trenta anni oppure la loro ridefinizione attraverso una rinegoziazione  bilaterale con i principali paesi, compresi quelli aderenti al Patto Atlantico. Una dinamica che porta ad acuire le rivalità tra le varie potenze regionali ma che sembra altresì offrire qualche margine di azione inaspettato a nuovi centri politici in via di emersione. Ciò che sta accadendo in Italia potrebbe testimoniare un ulteriore passo verso questa direzione. Un processo che rende ancora più interessante ed offre un contesto verosimile alla narrazione inedita che Gianfranco Campa continua ad offrirci_ Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-24

23° PODCAST_Nessun prigioniero!_di Gianfranco Campa

Il conflitto politico in atto negli Stati Uniti sta perdendo le caratteristiche di un confronto senza storia tra un ceto politico consolidato e funzionari e strateghi all’opera ormai da decenni negli apparati da una parte e un gruppo di outsider pressoché avulsi dal sistema di potere dall’altro. Quest’ultimo, a costo di gravi compromessi, inizia a radicarsi in maniera più profonda in alcuni apparati e a tessere una sia pur minima trama di relazioni internazionali secondo disegni più coordinati. I primi dispongono di un controllo predominante degli apparati di potere e delle leve dello stato profondo; l’indisponibilità però di alcune importanti leve di governo, in particolare della Presidenza, li costringe ad un uso distorto dei sistemi di relazione e degli apparati. Le conseguenze sono nefaste sulle modalità di conduzione dello scontro politico e sulla coerenza ed efficacia delle strategie politiche. Dinamiche che studiosi europei, come Althusser e Poulantzas ed americani hanno analizzato con sagacia. L’utilizzo di strumenti repressivi e giudiziari possono distruggere e tuttalpiù contribuire a creare solo indirettamente le condizioni di mantenimento e di ricambio di gruppi dirigenti. Le controindicazioni sono però pesanti: istituzioni che perdono l’aura di terzietà della loro azione sino ad assumere un carattere apertamente partigiano foriero di perdita di autorevolezza verso i sottoposti e le fazioni e di coerenza e compattezza interna nella propria azione; manovratori adusi a giocare nell’ombra, costretti invece ad esporsi in prima persona e sacrificati in nome dell’emergenza; schieramenti di fazioni contrapposte che attraversano progressivamente l’intero scacchiere geopolitico e si inseriscono a pieno titolo nel confronto tra e all’interno degli stati nazionali; un conflitto sempre più viscerale e spietato che lascia poco spazio a margini di compromesso tra strategie già di per sé incompatibili. Gianfranco Campa ci conferma con un pathos sempre più coinvolgente ed allarmato un assunto da sempre sostenuto da questo sito: l’attuale scontro politico negli Stati Uniti si risolverà senza prigionieri con conseguente nefaste anche per i gruppi dirigenti aggregati nel mondo soprattutto alla parte “sbagliata”; i progressivi cedimenti e le fulminee conversioni non risparmieranno Trump dal redde rationem. I vincitori vorranno estirpare la “mala pianta” che Donald Trump, volente o nolente, simboleggia perchè non risorga ammaestrata dagli errori e dalle vicissitudini. Un anno fa le “attenzioni” erano riservate ai pochi protagonisti della inaspettata vittoria emersi dalle quinte del palcoscenico; oggi si comincia a vociferare di liste di proscrizione di decine di migliaia di malcapitati. Il proditorio sequestro di tutta la documentazione dell’avvocato di Trump non fa che confermare i peggiori sospetti. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-23

 

le virtù di Soros e la solerzia dei Torquemada, di Giuseppe Germinario

Di Soros si raccontano le peggiori nefandezze. Non gli si possono negare, però, due qualità fondamentali: la capacità di operare su grande scala, per lo più quella planetaria; il rispetto della parola data nonché la determinazione nel perseguirla. Mesi fa il paladino, a Davos, http://italiaeilmondo.com/2018/01/26/george-soros-la-parabola-di-un-filantropo_-di-gianfranco-campa-e-giuseppe-germinario/aveva sentenziato sulla necessità di regolamentare l’attività dei social network e ripristinare la verità con un tono però, a dire il vero, inquietante, tra il profetico e il minatorio. 

Detto, fatto!

Da allora la campagna sulle fake news ha conosciuto toni sempre più virulenti e azioni sempre più insidiose. Zuckerberg ha aperto il corteo dei penitenti della comunicazione, osannati sino al giorno prima; ha conosciuto la gogna della inquisizione del Congresso americano. Ha dovuto con fare contrito sottostare ad un pubblico processo conclusosi con un solenne impegno a ripulire Facebook degli spiriti bollenti e delle anime impenitenti troppo esposte nella critica ai benpensanti e al politicamente corretto. Da allora si sono intensificate, specie negli Stati Uniti, censure e chiusure di siti, anche con accessi milionari, ma sempre più caratterizzabili per la loro collocazione politica piuttosto che per la loro eccessiva irruenza. Il prodromo alla istituzione di veri e propri tribunali della verità i giudici dei quali avranno poco da invidiare a Torquemada. http://italiaeilmondo.com/2018/03/01/1517/

La Commissione Europea, come al solito solerte, approfittando, a dispetto del suo liberalismo conclamato, del legame tuttora tenue ed evanescente con una cittadinanza europea di là da materializzarsi e di quello più che solido e perverso, connaturato con le varie lobby presenti in pianta stabile a Bruxelles, sta precorrendo i tempi. Sta affidando ad associazioni di “provata fede democratica” il compito di identificare, segnalare e proscrivere i “mestatori” della notizia. Tra queste non potevano mancare associazioni di diretta emanazione ed affiliazione alla Open Society del noto filantropo naturalizzato americano. Ce lo rivela Breibart http://www.breitbart.com/london/2018/04/28/european-union-advocates-independent-fact-checkers-combat-fake-news/  (in basso la traduzione effettuata con un traduttore) Per quanto prodigo, ed i recenti 18.000.000.000,00 (diciottomiliardi) di $ (dollari) messi a disposizione dell’umanità sono tutti lì ad attestarlo, George Soros non può rimuovere del tutto la sua propensione all’affare e l’indole da realizzo propria di un finanziere predatore.http://italiaeilmondo.com/2017/10/22/un-torrido-inverno-di-giuseppe-germinario/ Ci pensa quindi il buon Junker, il Presidente della C.E., tra una bottiglia e l’altra, a rimpinguarlo con i contributi europei, quindi a spese nostre, di una opera tanto meritoria e ricompensarlo di tanto afflato. Dall’Europa, al Nord-Africa, all’Ucraina al Medio Oriente, per parlare delle ultime prodezze, ad ogni angolo sperduto del mondo il benefattore si è speso e prodigato per la libera umanità a spese degli uomini. Le fregature e le nefandezze in corso d’opera sono solo eventi collaterali, probabilmente il giusto obolo da offrire al BENE. Merita quindi laute ricompense.

Soros, si badi bene, non è un eroe, un cavaliere solitario. E’ parte integrante, forse l’anima più appariscente, ma non più importante di centri decisori e di potere ai quali ultimamente deve essere sfuggito il pieno controllo delle redini, o presunto tale.

La fretta e la sicumera nel ripristinare le condizioni precedenti può essere fatale; c’è un solco di profonda diffidenza che divide ormai i facitori di opinioni e i loro consumatori.

Il tentativo di ripristino, sempre che sia coronato da un pieno successo, comporterà comunque un fìo da pagare particolarmente pesante ai restauratori. Le reti dei social network, a causa di queste pressioni e inbragature, sono destinate sempre più a perdere il loro carattere universalistico, luogo comune di confronto e palestre dei punti di vista più disparati. Rischieranno di diventare dei recinti riservati a gruppi chiusi e conformisti sempre meno comunicanti tra di loro. Una vera e propria ghettizzazione dei luoghi di comunicazione. I paesi che ambiscono a mantenere e accrescere la propria condizione di sovranità ed autonomia politica e decisionale, in particolare la Cina e la Russia stato già provvedendo alla costruzione di proprie reti sociali. I paesi europei sono desolatamente estranei a queste tentazioni; con essi la Commissione Europea. Eppure le reti arrivano ormai a gestire non solo le comunicazioni degli individui, ma sempre più anche i flussi decisionali e le stesse attività produttive. Non basta. E’ probabile che si inneschi anche la segmentazione delle reti secondo le affinità ideologiche e culturali dei gruppi promotori all’interno dei singoli paesi. Una tendenza e una reazione alla censura strisciante già emersa negli Stati Uniti. Una possibilità di mantenere sotto altre forme alcuni spazi di libertà. Il prodromo però a quella ulteriore incomunicabilità e frammentazione tra gruppi sociali che sta caratterizzando la formazione sociale statunitense già da diverso tempo.

Certamente un altro prossimo eclatante successo dei paladini dell’europeismo e dell’armonia tra i popoli ospiti della ormai appendice occidentale dell’Asia.

Di certo una soluzione non risolutiva. A quel punto i tentativi di controllo si sposteranno ulteriormente verso i detentori dei server materni attraverso i quali passano i flussi informatici. Una ulteriore sfida che i paesi e i centri competitori dovranno affrontare per mantenere la propria autonomia di giudizio e decisionale e un ulteriore divario da quelle ambizioni delle attuali classi dirigenti europee.

VIVA LA LIBERTà, quindi, purché ben utilizzata e soprattutto conforme alle direttive e al sentimento dei predicatori del bene comune.

Ci aspettano, quindi, nuove forme surrettizie ed esplicite di censura tanto più efficaci quanto più si potranno ricomporre o mettere sotto traccia i contrasti tra gruppi decisori.

Contrariamente alla rappresentazione corrente, però, i poteri forti detentori di tale capacità non sono a Bruxelles. Lì trovano posto semplici funzionari dotati di potere riflesso e con scarse prerogative sovrane. Dovremo cercarli piuttosto oltreatlantico e di risulta nelle due/tre principali capitali europee. Da quelle parti sarà possibile individuare i veri artefici. Si potranno controllare le chiavi di casa propria e negare gli ingressi e l’agibilità ai filantropi mestatori di turno. L’Ungheria e l’Austria ci hanno indicato la strada. Si dovrebbe cogliere il loro esempio. Giuseppe Germinario

L’Unione europea appoggia i “controllori di fatti indipendenti” finanziati da Soros per combattere “false notizie”

La Commissione europea ha proposto nuove misure per contrastare la disinformazione e le cosiddette “false notizie” online, compreso un codice di condotta a livello UE sulla disinformazione e il sostegno a una “rete indipendente per il controllo dei fatti”.

La Commissione europea ha annunciato la nuova proposta all’inizio di questa settimana, sostenendo che le nuove misure “stimoleranno il giornalismo di qualità e promuoveranno l’alfabetizzazione mediatica”, secondo un comunicato stampa pubblicato sul sito web della Commissione.

“L’armamento di notizie false online e disinformazione rappresenta una seria minaccia alla sicurezza per le nostre società. La sovversione dei canali fidati per diffondere contenuti perniciosi e divisivi richiede una risposta chiara basata su maggiore trasparenza, tracciabilità e responsabilità “, ha  dichiarato il commissario per l’Unione di sicurezza Sir Julian King .

“Le piattaforme Internet hanno un ruolo vitale da svolgere nel contrastare l’abuso delle loro infrastrutture da parte di attori ostili e nel mantenere i loro utenti e la società al sicuro”, ha aggiunto.

Le nuove pratiche intendono rendere più trasparenti le pubblicità politiche sui social media e creare una rete indipendente di controllo dei fatti a cui prenderanno parte alcuni membri della Rete internazionale di controllo dei fatti (IFCN).

Breitbart London@BreitbartLondon

Sweden’s government will be giving funds to the mainstream media to fight “fake news” http://www.breitbart.com/london/2017/10/30/sweden-media-million-fight-fake-news-election/ 

Sweden to Give Mainstream Media £1.2 Million to Fight Fake News in Run-up to National Election

The Swedish government will be granting four mainstream media outlets £1.2 million to combat “fake news” ahead of next year’s election.

breitbart.com

L’IFCN è stato fondato dal Poynter Institute, con sede negli Stati Uniti, che,  secondo il suo sito web, è in gran parte finanziato da varie fondazioni – tra cui l’Open Society Foundations del miliardario di sinistra George Soros.

Diversi altri servizi di “fact-checking”, incluso il Correctiv tedesco, sono stati anche collegati a Soros e alle Open Society Foundations.

L’UE, così come i vari singoli paesi all’interno del blocco come la Germania e la Svezia, ha esercitato un’enorme pressione sui giganti dei social media come Google e Facebook per affrontare “false notizie” e “incitamento all’odio” sulle loro piattaforme.

Il governo svedese è stato uno dei più rumorosi sostenitori della lotta alle “false notizie” in vista delle elezioni nazionali del paese entro la fine dell’anno. Il governo ha tenuto incontri di alto profilo  con aziende tecnologiche nelle ultime settimane, e Facebook ha persino concesso al governo un permesso speciale per eliminare “account falsi”.

LA SIRIA PUNTO DI SVOLTA DELLA FASE MULTICENTRICA, di Luigi Longo

LA SIRIA PUNTO DI SVOLTA DELLA FASE MULTICENTRICA

 

di Luigi Longo

 

 

  1. La fase multicentrica sta avendo delle impennate per il dinamismo degli USA. Un dinamismo criminale, spregiudicato, delinquenziale e fuorilegge basato sulla forza militare che assume un peso specifico nelle relazioni interne ed esterne alla potenza mondiale USA nelle fasi multicentrica e policentrica.

Le suddette fasi mondiali tolgono il velo della ipocrisia e della falsa coscienza necessaria sulla democrazia e sulla libertà praticate in Occidente e portate a modello a livello mondiale [si pensi, per esempio, a quella democrazia esportata e difesa in tutto il mondo attraverso il bombardamento etico (è il titolo di un bel libro di Costanzo Preve), statunitense, con mandato divino (sic)] che ora si rivelano essere principi decisamente astratti, che poco hanno a che fare con la realtà nella quale gli agenti strategici dominanti, vettori del conflitto strategico tra le potenze mondiali, hanno bisogno di decisioni, con una filiera del comando accorciata all’essenziale duro e sbrigativo, attraverso le articolazioni istituzionali presenti sul peculiare e storico territorio nazionale che chiamiamo Stato. Il diritto, inteso come forma di organizzazione dei rapporti sociali e territoriali subisce così processi di ri-modulazione, ri-pensamento e re-invenzione. Lo stato di eccezione schmittiano diventa una eccezione regolare storicamente data che si ripresenta necessariamente nelle fasi multicentrica e policentrica del conflitto mondiale. E’ una costante storica che deve portarci a ri-considerare le relazioni e i rapporti sociali reali nelle diverse fasi della storia mondiale che definiamo monocentrica (la presenza di una potenza mondiale che funge da centro di coordinamento), multicentrica (la presenza di più potenze che fungono da coordinamento di diversi centri egemonici che si contengono l’egemonia mondiale), policentrica (il conflitto mondiale tra centri consolidati per il dominio mondiale).

 

 

  1. Gli USA sono una potenza egemone in declino che non riesce a trovare una sintesi intorno ad un gruppo strategico dominante (per i conflitti interni tra gli agenti strategici delle diverse sfere sociali) capace di frenare il proprio declino e rilanciare una nuova sfida per l’egemonia mondiale (alla Russia e alla Cina con le loro aree di influenza sempre più larghe e penetranti il territorio mondiale) che si basi su una nuova idea di società, di sviluppo, di rapporto sociale; va ricordato che non è nella storia statunitense la cultura multicentrica del mondo e la capacità di confronto tra nazioni e tra Occidente e Oriente.

La guerra in Siria, al contrario delle altre guerre nel Medio Oriente (Iraq), nei Balcani (ex Jugoslavia) e nel Nord Africa (Libia), può rappresentare il punto di svolta verso il consolidamento del polo di aggregazione intorno alla Russia e alla Cina [che già collaborano nella sfera economica (risorse energetiche, via della seta, trattati di area, accordi commerciali, eccetera)] capace di approntare una strategia tutta orientale che lancia un confronto tra nazioni eguali con una visione multicentrica del mondo e un nuovo rapporto tra Oriente e Occidente [senza dimenticare né l’influenza della sedimentazione storica del rapporto tra Russia ed Europa a partire dalla metà del XV secolo con lo zar Ivan III (1440-1505), né l’attrito storico tra Russia e Cina]. Non si tratta di un confronto basato sulla forza militare ma sul dialogo e sul confronto tra storie, culture, popoli diversi. Tale confronto non esclude affatto le questioni fondamentali quali i rapporti sociali basati sul potere e sul dominio che riguardano sia le logiche interne che esterne delle nazioni e delle relazioni con le nazioni divenute potenze mondiali [si pensi, per esempio, a quanta influenza ha l’egemonia USA nel decidere lo sviluppo e la politica delle nazioni europee e dell’Unione Europea (che è bene ricordarlo non è l’Europa della nazioni, ma un luogo istituzionale sovranazionale nato da un progetto pensato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti e gestito da sub-agenti dominanti)].

Gli USA devono bloccare con la forza militare la possibilità di formazione del polo Russia-Cina perché sanno che l’avverarsi di tale polo, unito alla loro incapacità di fermare il proprio declino egemonico e alla convinzione che l’unica strada percorribile sia quella della guerra (è attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale), non sarebbe altro che l’inizio della transizione egemonica con una diversa riorganizzazione sistemica. Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, due importanti protagonisti delle strategie di dominio statunitensi, hanno sempre combattuto e temuto la formazione di un polo sia euroasiatico (Europa-Russia) sia asiatico (Russia-Cina) perché vedevano in esso una seria minaccia alla egemonia mondiale statunitense.

La guerra USA, al contrario di quello che pensava Niccolò Macchiavelli (ne Il Principe) che la intendeva come portatrice di benessere, è solo distruzione di popoli, di territori e di nazioni per contenere la Russia e distruggere sul nascere il polo di formazione asiatico intorno a Russia e Cina.

Il declino egemonico mondiale degli USA sta nella perdita della capacità di un modello sociale di benessere interno ed esterno; gli Stati Uniti basano la loro resistenza egemonica solo sulla forza militare aggressiva e distruttrice senza creazione, senza consenso e senza confronto.

 

 

  1. L’Europa resta il teatro passivo del conflitto tra le potenze mondiali che si andrà sviluppando nelle surriportate fasi della storia mondiale. I sub agenti strategici, che dominano i luoghi istituzionali dell’Unione Europea, da tempo stanno accompagnando le diverse strategie USA di contenimento della Russia e di contrasto alla formazione del polo asiatico. Si pensi al ruolo dell’UE e delle singole nazioni europee all’interno della NATO, alla trasformazione della NATO da strumento di difesa contro la minaccia sovietica a strumento di attacco fuori area (la Nato Responce Force), alla militarizzazione tramite Nato del territorio europeo, alle infrastrutture civili da supporto a quelle militari della Nato, alla nascita della PeSCO (Permanent Structured Cooperation, Cooperazione Strutturata Permanente) del campo della difesa UE, agli interventi del Pentagono (Dipartimento della Difesa degli USA) sulle strutture militari presenti sul territorio europeo, all’americanizzazione del territorio europeo, eccetera; temi dei quali ho già trattato in precedenti scritti.

Il processo di americanizzazione europeo ha condizionato fortemente lo sviluppo e l’autonomia delle singole nazioni; ha ridotto l’Europa ad una espressione geografica a servizio delle strategie statunitensi nelle diverse aree mondiali. Tutte le succitate guerre degli USA [di invasione e di violenza alla sovranità nazionale tramite ONU o tramite NATO o tramite coalizione internazionale o tramite attacco diretto con alleati), a partire dalla implosione dell’URSS (1991)] hanno visto la partecipazione di diverse nazioni europee che si sono ritagliate spazi nella sfera economica (gestione di risorse energetiche, allargamento di aree di influenza e di mercato per le imprese, eccetera), ma sotto stretta sorveglianza delle diverse strategie politiche della potenza imperiale statunitense sempre per contrastare le nascenti potenze mondiali (Russia e Cina) capaci di sfidare l’egemonia statunitense [ esempi recenti la guerra di Libia (iniziata nel 2011) e la guerra in Siria (iniziata nel 2011)].

La stessa storia si ripete oggi, in maniera diversa, con il recente attacco USA alla Siria, dopo sette anni di tentativi di smembramento di una nazione sovrana, con morti e sofferenze inenarrabili della popolazione, insieme agli alleati ufficiali europei (Francia e Regno Unito) interessati alla sfera economica, per contrastare l’egemonia dell’area della Russia e il consolidamento di una potenza regionale come l’Iran che minerebbe il ruolo di Israele come potenza regionale vassallo USA nella politica in Medio Oriente (senza dimenticare la questione storica, politica e territoriale della Turchia), area nevralgica del conflitto strategico mondiale. Il pretesto dell’uso di armi chimiche non regge: perché Bashar al-Assad avrebbe dovuto usare le armi chimiche sulla popolazione di Douma, nell’ambito di un’offensiva globale nei confronti della regione Ghouta orientale, quando ormai i ribelli erano pronti alla resa?

E’ emblematico che nessuna nazione europea abbia protestato duramente contro il criminale attacco degli USA e dei suoi alleati; anzi, è stato sostenuto dal Segretario della Nato Jens Stoltenberg e appoggiato dalla UE, dalla Germania (Angela Merkel: risposta “necessaria e appropriata” agli attacchi chimici), Giappone, Canada e Israele. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha bocciato una bozza di risoluzione proposta dalla Russia che “condannava l’aggressione contro la Siria da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, in violazione delle leggi internazionali e della Carta delle Nazioni Unite”.

 

 

  1. L’Italia è una drammatica espressione geografica a servizio degli USA che considerano il territorio italiano fondamentale per le loro strategie nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente, oltre ad ospitare basi Nato-USA di grande rilievo e importanza.

L’Italia, a partire dalla sua Unità sotto il coordinamento inglese fino alla direzione statunitense, dalla seconda guerra mondiale in poi, può essere un laboratorio storico e politico per capire come l’egemonia inglese prima e quella degli Stati Uniti dopo, hanno piegato lo sviluppo del nostro Paese alle loro strategie di dominio, sia con la forza ( uccisioni di agenti strategici che pensavano alla sovranità e allo sviluppo del Paese), sia con il consenso (selezione di sub agenti strategici pronti a sacrificarsi per il bene del Paese alla servitù inglese e statunitense).

Qual è la reazione dell’Italia alla criminale aggressione degli Stati Uniti e dei suoi alleati alla nazione sovrana della Siria fatta in questi giorni? E’ emblematica della stupidità della nostra classe dirigente ben selezionata per il bene del nostro Paese.

L’account Twitter ItaMilRadar, che monitora il traffico aereo militare sui cieli italiani e sul Mediterraneo, ha riferito che due aerei militari della US Navy sono decollati dalla base Sigonella. Il primo, per pattugliare l’area al largo del porto siriano di Latakia nei cui pressi si trova la base militare russa, il secondo per svolgere attività di pattugliamento verso Est. Un Boeing E-3 della Nato ha invece svolto attività di pattugliamento nei pressi del confine tra Turchia e Siria. Ovviamente è un pattugliamento di carattere ordinario! ( www.lasicilia.it, 11/4/2018).

Il 10 aprile scorso l’Agenzia Al Sura ha segnalato che una cisterna volante italiana KC-767 è entrata in Giordania dallo spazio aereo dell’Arabia Saudita.

Le basi Nato-Usa in Italia sono in piena allerta e pronte per gli interventi in Siria. Inoltre, l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Pasquale Preziosa, ci ha ricordato che la base Nato di Sigonella in Sicilia, dove sono ubicati i droni strategici RQ-4 Global Hawk, è importante sia geograficamente sia strategicamente per l’attacco USA in Siria (intervista di Paolo S. Orrù pubblicata su www.tiscali.it, 14/4/2018).

Bene. Cosa fanno i nostri leader politici? Silenzio: il silenzio della paura. L’unica dichiarazione ambigua e strumentale è stata quella di Matteo Salvini che ha criticato l’attacco USA e ha precisato comunque l’importanza di stare dentro l’alleanza atlantica e che il problema è Donald Trump, come se la qualità di un Presidente facesse venir meno la criminalità imperiale statunitense.

E i nostri parlamentari? I più intelligenti hanno chiesto al Governo di conferire in Aula per conoscere i fatti ed informare il Parlamento delle iniziative prese nelle sedi competenti per una inchiesta internazionale indipendente per far luce su quanto accaduto.

 

 

  1. 5. Questo ruolo di servitù volontaria ha impedito all’Europa di essere un soggetto politico espressione di una Sintesi delle Nazioni con una propria autonomia e con un proprio ruolo da giocare nello scambio sociale, economico, culturale e politico tra Occidente e Oriente: Perché? Quali le ragioni storiche e politiche? Quali le strategie per cambiare sguardo e guardare a Oriente per un mondo multicentrico che allontani sempre più la fase policentrica?

Occorrono nuovi agenti strategici in un mondo in forte movimento per il trapasso di epoca così come sosteneva Niccolò Macchiavelli, nella Mandragola la più bella commedia italiana scritta tra il 1513 e i primi mesi del 1514, :<< […] L’espressività di Nicia, il suo sputare motti popolari a raffica diventano emblematici di un attaccamento ottuso a una fiorentinità senza prospettive, in un’epoca in cui […] la crisi politica e morale che stringe Firenze e l’Italia richiederebbe uomini nuovi, lungimiranti, tutt’altro che intenti a tenere lo sguardo fisso all’ombra del proprio campanile >>.

 

La crisi siriana e l’Italia, di Roberto Buffagni

La crisi siriana e l’Italia

 

Mentre scrivo è in corso la riunione del Consiglio di Sicurezza ONU sulla crisi siriana. Registro le due dichiarazioni molto dure e direttamente antirusse di Stati Uniti e Francia, la dichiarazione interlocutoria della Cina che invita a una soluzione politica e non militare della crisi, e la dichiarazione più cauta del Regno Unito che non dà per scontata la responsabilità siriana nell’uso dei gas: il governo May è debole, i laburisti protestano, i conservatori non sono saldamente uniti, e il Ministro della Difesa russo proprio oggi ha ufficialmente accusato il governo britannico di aver appoggiato chi ha inscenato “il falso attacco provocatorio con i gas”.

In Italia non si registrano prese di posizione serie sulla crisi siriana. Si è costretti a prendere atto, con dispiacere e vergogna, di un allineamento totale del PD alle posizioni USA più oltranziste, quando persino all’interno dell’Amministrazione americana e tra gli alti gradi delle FFAA USA ci sono serie perplessità e posizioni nettamente contrarie a un attacco non dimostrativo contro Siria e Russia. Unico a invitare alla calma e a non invischiarsi in una situazione pericolosa, Matteo Salvini: nel paese dei ciechi l’orbo è re, ma non basta.

Che cosa rischiano l’Italia e il mondo intero? In sintesi, quanto segue. In caso di un attacco USA non dimostrativo contro la Siria e il suo alleato russo, l’enorme superiorità di mezzi di cui dispongono gli USA nel teatro mediterraneo può soverchiare le difese siriane e russe. Una prima fitta ondata di missili viene abbattuta dal sistema difensivo russo-siriano che però esaurisce lo stock missilistico, che non è possibile rifornire in tempo utile per le difficoltà logistiche imposte dalla distanza tra Russia e Siria. Una seconda ondata passa e causa gravi danni, colpendo personale siriano e russo. I russi sono costretti a rispondere dal Mar Caspio e dal Mar Nero, forse anche dal suolo russo. Gli USA rispondono, lo scontro si internazionalizza. Se un missile USA colpisce il suolo russo, la Russia colpirà il suolo americano. Sebbene lo scenario sinora tratteggiato non preveda l’uso di armi nucleari, nessuno può escludere che l’escalation vi conduca. E naturalmente, a ogni passo dell’escalation diventa sempre più difficile la de-escalation, sempre maggiori le probabilità di una perdita di controllo da parte di uno o entrambi i contendenti.

Per la sua posizione geografica, in caso di attacco USA non dimostrativo l’Italia sarà in prima linea, perché gli USA vorranno usare le loro basi situate su territorio italiano. Chi dice “siamo nella NATO e dunque dobbiamo appoggiare l’intervento americano contro la Siria” mente spudoratamente. La NATO non, ripeto NON c’entra niente con l’intervento USA contro la Siria. Un’azione aggressiva NATO esige l’accordo unanime, ripeto unanime, dei membri dell’alleanza. Né alcun membro NATO è stato aggredito dalla Siria o dalla Russia. Se dalle basi USA (USA, non NATO) presenti sul territorio italiano partissero truppe o voli diretti ad aggredire la Siria, questo avverrebbe con la piena corresponsabilità del governo italiano e della nazione. Nelle basi USA su territorio italiano, infatti, ci sono due comandanti, uno americano uno italiano. Il comandante americano è tenuto a comunicare in anticipo al comandante italiano tutte le operazioni, e il comandante italiano può autorizzarle oppure no, ripeto OPPURE NO. In caso di attacco USA contro la Siria che parta da basi USA su territorio italiano, il comandante italiano della base USA è tenuto a comunicare ai superiori gerarchici il piano operativo a lui sottoposto dal comandante americano, e i superiori gerarchici a informarne il governo e il Presidente della Repubblica, comandante in capo delle FFAA, perché un atto di guerra contro la Siria e la Russia intrapreso da base USA su territorio italiano configura un identico atto di guerra dell’Italia contro Siria e Russia. Per intenderci: se la Russia rispondesse a un attacco USA partito dall’Italia attaccando obiettivi militari su territorio italiano, sarebbe giustificata dal diritto di guerra. Invitiamo caldamente tutte le forze politiche che abbiano a cuore la sicurezza e l’onore nazionale a fare pressione sul governo e sul Presidente della Repubblica, comandante in capo delle FFAA, perché con apposita comunicazione scritta ribadiscano a tutti comandanti italiani di basi militari USA che è loro diritto e dovere esigere dal comandante americano il controllo preventivo del piano di operazioni, e comunicare prontamente per via gerarchica al governo eventuali piani di operazioni USA contro Siria e Russia che partano dal suolo italiano. Se questa possibilità si verifica, viste le gravi ripercussioni possibili e anzi probabili, il governo è politicamente e moralmente tenuto a darne notizia al Parlamento, e a sottoporre a un voto delle Camere l’autorizzazione italiana di qualsivoglia operazione americana contro Siria e Russia in partenza dal territorio nazionale. Vogliamo sperare che i rappresentanti del popolo italiano si mostrerebbero all’altezza del loro ufficio, negando l’autorizzazione e così tutelando sicurezza e onore dell’Italia. Chi non lo facesse si assumerebbe una gravissima responsabilità storica e morale.

 

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