LA STRATIFICAZIONE SOCIALE. UNA RIFLESSIONE, di Luigi Longo

LA STRATIFICAZIONE SOCIALE. UNA RIFLESSIONE

di Luigi Longo

La seguente riflessione scaturisce dall’ultima parte dell’intervista di Giuseppe Germinario a Gianfranco La Grassa, apparsa sul sito di Italiaeilmondo il 16 novembre 2023 con il titolo Il primato del politico, nella quale intervista si accenna alla questione della stratificazione del ceto medio.

La mia riflessione riguarda la questione dell’articolazione sociale della popolazione a partire dal cosiddetto ceto medio.

La stratificazione sociale di una nazione va vista all’interno dei rapporti sociali storicamente dati (che determinano la pienezza o la mancanza della vita vissuta), dove gli agenti strategici dominanti (gli strateghi, i gestori e gli esecutori) decidono il modello di sviluppo da realizzare nel breve-medio-lungo periodo.

Le stratificazioni sociali, all’interno delle grandi trasformazioni scientifiche e tecnologiche, sono sempre state nel passato storicamente determinato un miglioramento relativo per la maggior parte della popolazione (ad andamento aporetico cioè né lineare né deterministico) perché al centro del modello sociale dominante c’era, comunque, un essere umano sessuato all’interno del ciclo di madre natura, anche se questa era stupidamente e razionalmente aggredita (stupidità nelle relazioni sociali e territoriali, razionalità strumentale ai fini economici).

L’attuale processo di stratificazione sociale, nella fase iniziale della transizione ecologica, della digitalizzazione, della robotizzazione, dell’intelligenza artificiale (la rivoluzione elettronica per dirla con il grande storico Carlo Maria Cipolla), non considera più l’essere umano sessuato ma, l’essere umano inutile, amorfo, usa e getta, con intelligenza biologica e non individuale e sociale. In sintesi il regno animale da eliminare senza preoccupazione di nessuna natura: e qui sta il salto d’epoca. Siamo tornati alla preistoria con l’aggravante che stiamo uscendo dalla storia di madre natura che, come ci ricorda Karl Marx, non ha senso contrapporre alla storia umana << […] come se fossero due “cose” separate e l’uomo non avesse sempre di fronte a sé una natura storica e una storia naturale […]>> (L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1977, pag.16).

L’essere umano sessuato è ridotto ad una illusione di comunità, ad un non senso del vivere sociale, ad una individualità staccata dalla sua costruzione sociale; ma una comunità nella realtà deve esistere altrimenti saremmo alla fine della vita sociale umana e, quindi, del senso dell’esistenza stessa. E’ nel suo essere comunità pensante e tesa al benessere sociale che la comunità sta morendo. Bisogna recuperare il senso e la qualità della vita: << L’umano in quello che è oggettivamente fin dal suo cominciamento è due, due differenti […] Per compiere il destino dell’umanità, l’umano-uomo e l’umano-donna devono compiere ciascuno ciò che sono e nel contempo realizzare l’unità che costituiscono. L’unità che formano, fino dall’origine, in quanto specie umana è evidentemente solo una realtà prima a partire dalla quale iniziare il divenire umano. Ciò che sarà l’unità ultima, non possiamo anticiparlo: dipenderà dalla cultura del suo essere per ciascuno e dalla cultura della relazione fra i due. Questo termine non può fissarsi in un solo ente e sfugge alla rappresentazione. Far dipendere il divenire dell’unità duale della specie umana da un solo ente/essere significa negare la differenza costitutiva di quest’unità. […] La differenza tra uomo e donna esiste già, e non può essere equiparata a una creazione del nostro intelletto. Ci importa pensarla e coltivarla, certo, ma a partire da ciò che esiste. >> (Luce Irigaray, La via dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, pp. 73-74).

E’ evidente che parlare di stratificazione sociale diventa difficile soprattutto nella fase iniziale della rivoluzione elettronica e del multicentrismo, ma è possibile solo a condizione di indagare la configurazione degli esigui strati che si formeranno nelle sfere della vita sociale (produzione e riproduzione della vita completa), cioè nel nuovo modello sociale di intendere le relazioni e il senso dell’esistenza stessa; una indagine che trova terreno fertile nel campo teorico del costruendo paradigma del conflitto strategico di Gianfranco La Grassa (Un nuovo percorso teorico, edizioni Solfanelli, Chieti, 2023), che supera l’errore di Karl Marx (grande merito dei lavori di Gianfranco La Grassa e di Costanzo Preve), cioè quello di privilegiare la sfera economica sia pure dentro i rapporti sociali e pensare un cambiamento a partire << […] dalla classe operaia, salariata e proletaria, vista come l’avanguardia politica organizzabile del lavoro collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all’ultimo manovale, alleata con le potenze intellettuali sprigionate dalla grande produzione industriale, definita da Marx con l’espressione inglese General Intellect >> (Costanzo Preve, Politically correct: elementi di politicamente corretto. Studio preliminare su un fenomeno ideologico sempre più invasivo, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2020, pag. 28).

A differenza di altri passaggi d’epoca, l’attuale fase della suddetta transizione comporterà una riduzione quantitativa dei gruppi capaci di eventuale trasformazione (in questo senso è da riconsiderare la storia del luddismo del 19° secolo). Avremo, da una parte, una massa di lavoratori sempre più poveri e una massa di individui senza tutela sociale che non sono più in grado di pensare il benessere sociale e, dall’altra, una ristretta cerchia di strati nuovi di lavoratori che potrebbero accendere la scintilla di un cambiamento (che sarà difficile, considerate le condizioni oggettive del citato balzo storico che limiterebbero molto le doglie del parto di una civiltà nuova) per costruire una società di benessere. Pertanto, in questa fase, occorrerebbe una nuova forza/organizzazione sessuata che spazzi via la serva Unione Europea, pensi ad un’altra Europa, espressione di nazioni libere, autonome e solidali, lotti contro il modello egemonico degli Stati Uniti d’America (che arrogantemente si considerano << l’unico popolo indispensabile nel mondo >> che sono per una egemonia assoluta e fanno fatica a capire che sono diventati una potenza privilegiata ma non più dominante, non più centro dell’Impero del mondo) e guardi ad Oriente, un luogo capitalistico, le cui potenze consolidate (Cina e Russia) e in via di consolidamento (India), i centri del costruendo polo asiatico, sono per un mondo multicentrico. La speranza è quella che si affermi la fase multicentrica e all’interno del consolidamento di questa fase sia possibile ripensare un nuovo modello di sviluppo altro della società, storicamente determinata, portato avanti dagli agenti strategici di questa nuova forza/organizzazione espressione della maggioranza della popolazione, con le sue articolazioni sociali, capace di un progetto-processo reale dove l’essere umano << […] abbia valore per quello che crea spiritualmente e storicamente di universale in senso etico, e non solo per quello che consuma, produce e guadagna. Perciò si tratta di un universalismo pluralistico opposto a quello monistico, teorizzato dagli attuali fautori della globalizzazione economica >>. (Carlo Gambescia, Introduzione in Costanzo Preve, Hegel antiutilitarista, Settimo Sigillo, Roma, 2007, pag.9).

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Sul “potere sub-imperiale” (di Arnaud Bertrand)

Sul “potere sub-imperiale” (di Arnaud Bertrand)

di Arnaud Bertrand
(riprodotto con il permesso dell’autore)

Ho appena finito di leggere “Potere sub-imperiale” di Clinton Fernandes, ex ufficiale dei servizi segreti australiani e ora professore di studi internazionali e politici all’Università del Nuovo Galles del Sud.

Per completezza di informazione, Clinton mi ha inviato il libro e ha scritto una bella dedica su di esso, definendomi un “educatore pubblico”, che è un modo carino per dire che twitto troppo 😄

Ma non scriverei questo se non mi piacesse davvero il libro, che ritengo sia una lettura essenziale se si vuole capire la geopolitica australiana o se si è interessati alla geopolitica in generale.

Il libro fa una delle migliori descrizioni dell'”ordine internazionale basato sulle regole” che abbia mai letto, descrivendo nei dettagli come l’Australia non sia un vassallo o uno Stato cliente degli Stati Uniti, come molti credono, ma piuttosto una “potenza sub-imperiale”. Ciò significa che l’Australia, così come altre “potenze sub-imperiali” come Israele o il Regno Unito, sono essenzialmente gli scagnozzi dell’attuale dominio “imperiale” degli Stati Uniti, con il compito di preservarlo nelle rispettive regioni. Ciò significa che, in quanto scagnozzi, non sono tanto vittime di un dominio egemonico statunitense, quanto piuttosto ritengono di trarne benefici così sproporzionati da essere disposti a fare di tutto per aiutare gli Stati Uniti a preservare questo dominio contro le vere vittime, coloro che perdono in modo sproporzionato dall’ordine.

Uno degli aspetti più interessanti del libro è il modo in cui si discosta dalle teorie del realismo, sostenute da personaggi come John Mearsheimer o Stephen Walt, che affermano che tutti gli Stati – a prescindere dalla cultura, dalla religione, dalla gerarchia sociale o dal sistema politico – agiranno allo stesso modo perché tutti danno priorità alla sopravvivenza e alla sicurezza sopra ogni altra cosa. Essi affermano che, dato che la massimizzazione del potere è il modo migliore per sopravvivere nel sistema internazionale, se ne avessero l’opportunità tutti gli Stati cercherebbero di diventare egemoni come lo sono oggi gli Stati Uniti o ieri la Gran Bretagna imperiale.

Fernandes presenta una tesi molto diversa, che a mio avviso spiega molto meglio il funzionamento del mondo e il comportamento storico dei vari Stati. Il suo punto di vista è che c’è qualcosa di unico nella geopolitica degli Stati Uniti, e in quella degli Stati coloniali occidentali che li hanno preceduti, in quanto hanno queste caratteristiche estremamente aggressive – l’impulso a soggiogare e saccheggiare gli altri – che in realtà spesso danneggiano la loro sicurezza piuttosto che salvaguardarla. E lo spiega con l’indebito potere che la classe ricca ha sullo Stato in quei sistemi di governo.

Il che è difficile da negare se si guarda alle cose storicamente: per esempio, è stata la Compagnia delle Indie Orientali a iniziare la colonizzazione e il saccheggio dell’India, non lo Stato britannico che è arrivato solo in seguito per pacificare essenzialmente la crescente ribellione in India in modo da perpetuare il saccheggio in corso. Oppure prendiamo un esempio più recente: la guerra in Iraq. Ha pochissimo senso dal punto di vista della sicurezza o della sopravvivenza degli Stati Uniti, ma ha un ottimo senso dal punto di vista dell’egemonia economica o delle compagnie petrolifere statunitensi. O ancora l’attuale conflitto a Gaza, che è estremamente negativo per la sicurezza americana, in quanto genera in tutto il mondo musulmano una marea di odio contro l’America e distoglie l’attenzione americana da sfide geopolitiche più importanti. Ma ha senso se lo si guarda dal punto di vista della perpetrazione di un sistema egemonico.

In altre parole, il punto di Fernandes è che la caratteristica chiave dell'”ordine internazionale basato sulle regole” riguarda l’effettiva struttura del sistema sociale ed economico americano (o britannico, francese, australiano, ecc.), che cerca di imporre un ordine in cui il mondo intero è aperto alla penetrazione e al controllo delle rispettive classi economiche nazionali. Ecco perché l’ordine riguarda l’egemonia e non la sicurezza, e perché la prima viene spesso a scapito della seconda.

È interessante notare che John Mearsheimer si lamenta spesso, se lo si ascolta: “Perché gli Stati Uniti dovrebbero agire in modi così sciocchi che vanno contro le mie teorie realiste?”. Si è opposto fermamente alla guerra in Iraq, ha messo in guardia per molti anni dal rischio di uno scontro con la Russia in Ucraina se avessimo ampliato la NATO, e continua a parlare contro l’inequivocabile sostegno degli Stati Uniti a Israele. E così facendo Mearsheimer ammette che il realismo non spiega del tutto il comportamento degli Stati e che quindi le sue teorie non sono del tutto corrette. Fernandes offre qui una spiegazione che predice meglio il comportamento effettivo degli Stati Uniti e delle loro “potenze sub-imperiali”: non si può capire il comportamento degli Stati se ci si limita a una visione stato-centrica, ma bisogna guardare anche alle caratteristiche uniche del loro sistema politico, sociale ed economico.

Un ultimo punto interessante è che, dato che sostiene che i sistemi politici ed economici degli Stati giocano un ruolo chiave nel definire la loro geopolitica, il libro di Fernandes implica la previsione che, con l’aumento del potere della Cina, essa si comporterà in modi molto diversi rispetto agli Stati Uniti e ai suoi scagnozzi imperiali.

Dato il sistema cinese, cercherà indubbiamente di massimizzare il proprio potere, ma questa volta lo farà per la propria sicurezza e sopravvivenza, e non per servire gli interessi della propria classe ricca, e come tale si comporterà in modo molto meno aggressivo degli Stati Uniti. Ancora una volta, è interessante notare che anche Mearsheimer lo ammette, perché dice ripetutamente “quando sono in Cina, sono tra la mia gente”: come dire che seguono le sue teorie realiste molto più fedelmente degli Stati Uniti. Possiamo già vederne i contorni: è assolutamente ovvio che lo Stato cinese non è alla mercé della sua classe ricca, anzi, la Cina non è esattamente un Paese dove i miliardari hanno vita facile 😂 Stessa cosa per quanto riguarda l’egemonia: La Cina non si occupa di alleanze militari (non ne ha), interferenze straniere o colpi di stato. Infatti non ha mai sparato un solo proiettile all’estero in oltre 4 decenni. Al contrario, cerca di creare un ordine con sicurezza indivisibile e rispetto reciproco incorporato nel sistema, dove idealmente sarebbe lo Stato più potente – certo – ma non per saccheggiare o sottomettere gli altri, ma perché questo garantisce la sua sicurezza e stabilità.

Ed è esattamente il modo in cui si è comportata per 1.800 anni, quando era lo Stato più potente del pianeta prima della rivoluzione industriale: non ha mai cercato di colonizzare e saccheggiare il mondo, perché riteneva che ciò sarebbe andato a scapito della propria sicurezza, proprio come avviene oggi a scapito della sicurezza e degli interessi americani. Ha invece cercato relazioni commerciali e di rispetto reciproco che massimizzassero la sicurezza e la stabilità a lungo termine.

In ogni caso, dovreste leggere il libro: è fin troppo raro che un libro del genere venga scritto da accademici occidentali. In genere si leggono le solite stronzate sulla superiorità intrinseca dei valori occidentali e varie teorie mal fondate sul perché dovremmo governare il mondo. Questo libro offre una panoramica al di fuori della matrice.

fine del testo di Arnaud Bertrand

b qui.

Potreste liquidare il “potere sub-imperiale” discusso sopra come una “frase zoppa per evitare che [gli australiani] debbano dire vassallo”. C’è del vero in questo.

Ma distinguere l’egemonia monetaria dall’imperialismo basato sulla sicurezza come causa principale del disordine globale è, per me, una nuova intuizione. Detto in altro modo: L’aspetto della sopravvivenza e della sicurezza è rilevante solo nella misura in cui riguarda la classe dei ricchi. La visione realista di Mearsheimer non tiene conto di questo aspetto.

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SITREP 11/25/23: Importanti progressi ad Avdeevka mentre la NATO pianifica una guerra definitiva

Comincia a delinearsi un quadro della direzione generale in cui le élite vogliono spingere l’Europa nel prossimo decennio. Bisogna pensare alle fasi geopolitiche come alle strutture tattiche di difesa. C’è una prima linea di difesa, poi una seconda dietro di essa, che è già in fase di preparazione, anche se cominciano ad apparire indicazioni del crollo della prima linea.

Allo stesso modo, le élite dell’establishment statunitense vedono la scritta sul muro della guerra ucraina e stanno già iniziando le fasi di pianificazione della seconda fase del più ampio conflitto per indebolire perennemente la Russia – o, come lo chiamano nel loro Newspeak, “contenerla”.

L’ultimo annuncio è stato quello che la NATO vuole creare una zona militare Schengen in Europa, che consentirebbe a tutti gli eserciti europei di spostarsi liberamente tra i Paesi, trasferendo grandi masse di truppe in tempi record senza le pratiche burocratiche e le attese:

Il capo della logistica europea della NATO, il tenente generale Alexander Sollfrank, ha invitato le nazioni europee ad alleggerire le norme nazionali per consentire il rapido movimento di truppe, attrezzature e munizioni in caso di guerra con la Russia.
La Russia è stata costretta a rispondere, con Peskov che ha rilasciato una dichiarazione banale sul fatto che ciò avrebbe portato a un’escalation.

Ma la dinamica è stata catturata al meglio da questo post dell’analista Starshe Edda. Leggetelo prima di andare avanti, perché sono completamente d’accordo con la direzione di questa analisi:

 

Anche l’ammissione dell’Ucraina alla NATO non può cambiare nulla. Se la NATO volesse combattere direttamente la Russia in Ucraina, avrebbe già combattuto. La guerra continuerà finché la Russia non vincerà. Allo stesso tempo, credo che l’intensità della guerra aumenterà. La Russia non sarà in grado di fermare questa guerra senza raggiungere i suoi obiettivi. Se parliamo della comprensione della guerra da parte dell’Europa, vediamo due tendenze principali. La NATO fa apertamente affidamento sulla “barriera sanitaria” come carne da cannone – dato l’accumulo di eserciti dell’Europa orientale, polacchi in primis, e di fatto lascia il ruolo di forze di riserva e di supporto agli eserciti dell’Europa occidentale. Il motivo è semplice: l’accumulo di forze armate da parte dei Paesi dell’Europa occidentale nella loro attuale condizione economica si rivelerà brillante e richiederà un’enorme quantità di tempo. L’idea di “Schengen militare”, cioè un piano per semplificare il trasporto militare in Europa, deve essere vista attraverso lo stesso prisma. Affinché la barriera possa svolgere il suo compito, avrà bisogno di sostegno – e qui la NATO deve avere un meccanismo funzionante per questo sostegno, non dipendente dal famigerato quinto articolo, nell’ambito del quale non è ancora chiaro come qualcuno si comporterà nelle condizioni di un possibile conflitto diretto con la Russia.Logicamente, il sistema ricostruito dovrebbe essere così: gli eserciti della Polonia e di altri Paesi dell’Europa orientale, dispiegati oltre i limiti immaginabili per le loro economie, ricevono carichi e sostegno da contingenti limitati dell’Occidente, trasferiti nell’ambito di “Schengen militare”.

 

E tutto questo è controllato da un generale americano. Dove si trovano in questo disegno l’UE e l’idea dell’Euroesercito? Da nessuna parte, l’UE non è necessaria, anche per gli americani e i loro protetti nella NATO.L’esercito ucraino non sta più avanzando, è passato sulla difensiva, e lungo tutto il fronte, – ex vice ministro della Difesa dell’Ucraina
In breve, si tratta della lenta conversione del fronte russofobico orientale dell’Europa in una sorta di avanguardia di carne da cannone, da schiantare perennemente contro la Russia in sequenza, dopo la caduta dell’Ucraina.

Ciò che il conflitto ucraino ha insegnato ai controllori della NATO e ai loro padroni statunitensi è che i Paesi con un discreto capitale umano possono essere convertiti in un esercito di carne da cannone giannizzero equipaggiandoli e finanziandoli all’infinito dalla fonte della banca centrale europea e dal rubinetto del denaro fiat “inesauribile”. La strategia combina il meglio di entrambi i mondi: il capitale umano del terzo mondo con la finanza europea a domanda fissa per produrre un esercito sacrificabile che può essere armato con armi abbastanza moderne e sofisticate, per dissanguare la Russia all’infinito.

Ma ci sono due aspetti da considerare. In primo luogo si potrebbe obiettare che ciò è irrealistico, dato che l’Europa sembra quasi in bancarotta a questo punto. D’altra parte, però, bisogna ricordare che si tratta di un piano a lungo termine. Nei prossimi anni potranno sicuramente racimolare abbastanza denaro per continuare ad armare i vassalli “successivi”, come la Polonia, i Paesi Baltici, la Finlandia, ecc.

Per gli Stati Uniti è un vantaggio non solo perché mantiene costante la divisione tra la Russia e i suoi vicini più prossimi e alleati naturali, ma anche perché mantiene l’Europa povera e gli Stati Uniti in cima al mucchio del “mondo occidentale”. Non solo perché l’Europa è costretta a spendere cifre sempre più proibitive per questo progetto, ma perché le sue stesse tensioni forzate contro la Russia portano l’Europa a prendere decisioni economicamente disastrose, come tagliare l’energia a basso costo, impedire il commercio, ecc.

Bisogna capire che la pretesa di primato degli Stati Uniti è la loro posizione di polo economico in Occidente. Non può dare ordini ai suoi vassalli se non può più far valere il suo peso economico. Quindi, in un momento in cui gli stessi Stati Uniti stanno crollando economicamente, l’unico modo per mantenere la loro posizione è assicurarsi che l’Europa crolli ancora più velocemente.

Ma ecco l’altro grande ostacolo. L’argomento contro quest’ultimo annuncio è che, ancora una volta, rappresenta un vecchio trucco che la NATO ha già provato per anni, senza successo. Ricordiamo che qualche tempo fa, quando ci fu un grande clamore per l’annuncio di Stoltenberg di una forza di reazione rapida di 300.000 uomini ai confini della Russia, avevo rivelato che questa stessa “forza di 300.000 uomini” era un piano a lungo accantonato, di cui si parlava dalla metà del 2010 in poi, e che era stato tirato fuori dalla tomba all’inizio dell’OMU, apparentemente ancora una volta senza effetto.

In questo caso, è la stessa cosa. Infatti, possiamo vedere che questa stessa “Schengen militare” è stata discussa a partire dal 2017. E ci sono molti ostacoli nuovi e in arrivo che potrebbero mettere in crisi l’intero piano. Per esempio, dal wiki di cui sopra vediamo che il piano iniziale ruotava attorno ai Paesi Bassi come nodo centrale, ed ecco che la recente notizia della “sorprendente vittoria” di Geert Wilders ha sconvolto il carro delle mele:

Il punto è sottolineare che la tendenza della politica europea sembra allontanarsi lentamente da molte posizioni e iniziative del deepstate/establishment, per cui, pur trattandosi di una generalizzazione approssimativa, sembrerebbe probabile che molti di questi sogni della NATO si scontreranno in futuro con attriti e opposizioni crescenti, e la loro probabilità di realizzarsi diminuirà ogni anno che passa.

Naturalmente stanno anche adottando misure preventive per arginare la perdita di potere politico. Per esempio, di recente sono stati lanciati appelli e spinte per l’abolizione del potere di veto nell’UE, e lo stesso vale per cose come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite:

Si stanno chiaramente preparando per un futuro in cui una crescente opposizione blocca completamente la capacità della classe dirigente di portare avanti le proprie agende geopolitiche. Vogliono prevenire questa eventualità impedendo ai membri indisciplinati di rovinare i loro piani. Per esempio, vorrebbero togliere a leader come Viktor Orban e Robert Fico della Slovacchia la possibilità di porre il veto all’adesione dell’Ucraina all’UE e alla NATO.

Si sta quindi verificando una sorta di strisciamento del potere: man mano che figure “nazionaliste” o anti-establishment prendono lentamente il controllo dei Paesi europei, la nomenklatura fascista dell’UE cerca di abolire le capacità di quei Paesi di avere una voce o un’opinione reale in qualsiasi cosa. Per questo motivo, iniziative come i piani di “Schengen militare” della NATO sono in alto mare, poiché tutto dipenderà da quale parte prenderà il comando in questo gioco di potere in escalation.

In definitiva, la mia teoria sui piani a lungo termine degli Stati Uniti è quella di prendere tempo. Vedete, la Russia e la Cina si sono sviluppate troppo rapidamente e hanno dovuto essere limitate. Nel caso della Cina, tutto il “globalismo” è stato distrutto solo per fermarlo. Nel caso della Russia, l’Europa e la Russia sono state separate, e anche questo è stato un importante chiodo nella bara del “globalismo”. Ma questo non li fermerà per sempre. Così la Russia è stata costretta a una guerra per paralizzarla, ma anche questa non durerà.

Il piano finale prevede che gli Stati Uniti utilizzino l’imminente rivoluzione dell’intelligenza artificiale per ottenere un altro vantaggio economico storico ed epocale sul resto del mondo. Sperano di sfruttare gli sviluppi dell’IA per continuare in qualche modo l’estrazione di capitale e la servitù del debito del resto del mondo, cioè degli Stati vassalli. Personalmente, penso che sia una coincidenza troppo grande che il cigno nero dell’IA sia esploso in modo incontenibile durante gli anni del “Grande Reset” di Covid. È probabile che le potenze abbiano sollevato il coperchio e “liberato” qualcosa, per accelerare lo sviluppo ed evitare il collasso.

Le élite statunitensi sperano che la manna dell’IA possa dare un’altra spinta importante, pari a quella che gli Stati Uniti ricevettero all’indomani della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, facendoli avanzare rispetto al mondo in via di sviluppo e affogando tutti gli altri nella guerra e nella miseria. La rivoluzione dell’intelligenza artificiale ha il potenziale per fare lo stesso entro il 2030, più o meno, quindi credo che l’establishment speri semplicemente di rallentare lo sviluppo di Russia e Cina quel tanto che basta per raggiungere quella fase di singolarità in cui i veri benefici schiaccianti dello sviluppo dell’intelligenza artificiale possono iniziare a essere raccolti nel modo più diseguale e dominante possibile.

Avviciniamo ora la visione agli sviluppi in Ucraina.

Può sembrare controintuitivo che gli Stati Uniti vogliano ora congelare il conflitto ucraino, alla luce di quanto abbiamo discusso sopra, ma il congelamento è proprio ciò che può permetterne la continuazione. Infatti, ai loro occhi, il congelamento è una pausa temporanea che consente il riarmo e la ricarica dell’Ucraina per un altro prolungato round 2, poi 3, 4, ecc. Il mancato congelamento consentirebbe alla Russia di ottenere una vittoria “decisiva”, che porrebbe fine al conflitto una volta per tutte, con la Russia che controllerebbe totalmente il territorio ucraino.

Certo, a quel punto potrebbero ripiegare sul secondo livello, come abbiamo discusso, attivando la Polonia come prossimo combattente. Ma non è mai un’opzione affidabile al 100%; perché sprecare la prossima carta vincente, più incerta, se si può continuare a sfruttare la prima?

Quindi, ciò che sta emergendo ora è che le élite statunitensi sembrano essere dell’idea che, se non possono congelare il conflitto, almeno lasciano che l’Europa lo finanzi e lo prolunghi a proprie spese, raggiungendo così due importanti obiettivi:

Permette all’amministrazione in carica degli Stati Uniti di mettere l’Ucraina “fuori gioco” in termini di ottica sempre più avvelenata e di anatema politico, per ora – almeno fino a quando le elezioni non saranno concluse.
Permette uno scenario in qualche modo accettabile, in cui l’Europa continua a fallire – il che la rende più cedevole e dipendente – e contemporaneamente dissangua la Russia: un compromesso abbastanza fattibile come opzione di compromesso.
Il problema è che l’élite al potere in Ucraina non ha altra scelta se non quella di raddoppiare i propri sforzi, perché se il conflitto venisse congelato, molti dei loro panni sporchi verrebbero alla luce, compresa – cosa più catastrofica per loro – l’entità delle perdite e delle distruzioni subite dalla società ucraina, cosa che non potranno mai dimenticare. Verranno fatti a pezzi, compreso Zelensky, e probabilmente imprigionati, se non peggio. Quindi sono costretti a scommettere sull’andare “fino in fondo”.

Anche il cessate il fuoco per la Russia presenta molti pericoli. Per esempio:

Elena Panina, direttore dell’Istituto per gli studi strategici internazionali: “La decisione sarà presa in una notte”: a Kiev sono state chiarite le previsioni per l’adesione dell’Ucraina alla NATO.La decisione sull’adesione dell’Ucraina alla NATO sarà presa in una notte – e a quel punto Kiev sarà già pronta a entrare nell’alleanza, ha dichiarato Olga Stefanishyna, vice primo ministro dell’Ucraina per l’integrazione europea ed euro-atlantica.Questa affermazione va presa estremamente sul serio.Il fatto è che il presidente degli Stati Uniti Biden ha fatto una dichiarazione simile durante il vertice NATO di Vilnius dell’11-12 luglio 2023. Alla domanda di un giornalista su quanto tempo l’Occidente avrebbe impiegato per ammettere l’Ucraina nell’alleanza, ha risposto: “Un’ora e venti minuti”. L’Alleanza Nord Atlantica sta semplicemente aspettando il momento giusto. È pronta a sfruttare qualsiasi congelamento del conflitto con la Russia o sospensione delle ostilità per l’ingresso ufficiale dell’Ucraina nella NATO. Di conseguenza, la Russia deve tenere pienamente conto di questo fattore durante l’SVO. Non ci possono essere pause, altrimenti più tardi ci troveremo formalmente in conflitto con un Paese membro della NATO”.
Come sottolineato sopra, un pericolo è che l’Ucraina possa essere portata nella NATO durante la cessazione delle ostilità, il che cambierebbe immediatamente il calcolo e potenzialmente metterebbe in scacco la Russia, anche se ovviamente sarebbe un rischio di escalation massiccia anche per l’Occidente.

È interessante notare che ieri Foreign Affairs ha pubblicato un altro articolo in cui si avanza addirittura l’idea che un cessate il fuoco sarebbe un “trionfo” proprio per alcune di queste ragioni:

E un accordo negoziato sarebbe comunque – rispetto alle aspettative iniziali dell’Occidente – un trionfo ucraino. Come ha scritto a luglio il politologo Samuel Charap su Foreign Affairs, un’Ucraina divisa, “prospera e democratica, con un forte impegno occidentale per la sua sicurezza, rappresenterebbe una vera vittoria strategica”.
Immagino che il ragionamento sia che, prima dell’inizio della guerra, l’Occidente non aveva sufficienti giustificazioni per il tipo di coinvolgimento esplicito che avrebbe voluto. Ma ora che Putin ha “aperto il vaso di Pandora” con l’invasione, ad alcuni occidentali andrebbe bene un cessate il fuoco perché non sembrerebbe più lo status quo di prima. L’Occidente sarebbe ora in grado di invadere completamente l’Ucraina con mezzi militari occidentali, assumendo il controllo totale delle sue forze armate come mai prima d’ora, giustificandolo come accettabile a causa dell’invasione da parte di Putin.

In sostanza, si avrebbe una sorta di casus belli per trasformare l’Ucraina in un avamposto della NATO, in una fortezza e in un laboratorio di armi sperimentali come mai prima d’ora.

Ma, come abbiamo già detto, Zelensky non può fermarsi ora: rischia di essere messo alla gogna e linciato in pubblico per la devastazione che ha portato avanti senza sosta. Così Zelensky ha ufficializzato che la prossima settimana affronterà finalmente l’elefante nella stanza e chiarirà le nuove procedure di mobilitazione, che tutti aspettavano.

Non ho trovato il video
Ci sono voci di ogni tipo su ciò che questo potrebbe comportare, dalle grandi espansioni della nuova età, come il reclutamento dai 17 ai 70 anni di cui alcuni hanno parlato, all’annuncio di una mobilitazione femminile più rigida, ad altre cose più plausibili come l’espansione dei poteri dei commissari della TCC, che daranno ai commissari più sanzioni legali per mobilitare le persone con la forza.

Non so quanto sia vero esattamente, ma quello che ho letto suggerisce che, nonostante i metodi di reclutamento altamente coercitivi che abbiamo visto nei video in rete, i commissari ucraini non sono in realtà legalmente autorizzati a utilizzare alcuni dei metodi extragiudiziali attualmente utilizzati. E, a quanto pare, in alcuni casi la polizia vera e propria può essere chiamata a “scacciare” i commissari coercitivi. In breve, essi sembrano operare in una sorta di “zona grigia” legale che spesso viene semplicemente subita dai cittadini inconsapevoli. Ciò si estende ai poteri della polizia, come fermare con la forza le auto dei cittadini per strada e trattenerli, o fare irruzione in certi locali, soprattutto nelle abitazioni private. Questi sono tutti ambiti che i commissari – secondo questa concezione – non sono legalmente giustificati a violare, eppure lo hanno fatto semplicemente per la disperazione di ottenere le loro quote, e spesso è stato permesso dalla società solo perché nessuno voleva agitare le acque ed essere accusato di sabotare lo sforzo bellico.

Abbiamo urgente bisogno di carne al fronte”: Zelensky promette di accelerare la mobilitazione, i commissari militari saranno autorizzati a prendere le persone per strada, a controllare i documenti e a notificare le citazioni. Zelensky ha anche già annunciato cambiamenti nel corso della mobilitazione per rendere più severa la coscrizione. Il segretario del Comitato della Rada per la sicurezza nazionale Roman Kostenko ha dichiarato: “Ora ci sono molte domande da parte del TCC (commissari) e da parte dei cittadini che stanno cercando di mobilitare. In realtà, il TCC non ha alcun diritto di fermare una persona, di convocarla e di richiederle dei documenti. La polizia a volte prende le distanze da questo per non essere al centro di uno scandalo, per non attirare una persona”, ha detto Kostenko a Radio NV.Secondo lui, questa innovazione apparirà nel disegno di legge, che sarà sviluppato entro la fine dell’anno. Inoltre, gli impiegati degli uffici di registrazione e arruolamento militare potranno effettuare registrazioni audio e video delle loro comunicazioni con le persone.
Si dice quindi che il prossimo decreto di Zelensky amplierà legalmente questi poteri per consentire ai commissari di avere pieni poteri di polizia nel trattenere le persone per strada, chiedendo loro documenti e documenti d’identità e varie cose di questa natura.

“La nostra fonte nell’OP ha detto che l’Ufficio del Presidente ha intenzione di risolvere il problema della carenza di armi con una mobilitazione di massa. Le Forze Armate ucraine hanno speso troppe risorse per l’operazione Azov e ora dobbiamo rafforzare la mobilitazione in modo che nel 2024 ci siano riserve per una nuova controffensiva”.
Un’altra voce proveniente dal canale Rezident_UA afferma che Zelensky ha intenzione di fare il pieno di foraggio da una nuova mobilitazione e poi gettare Zaluzhny sotto l’autobus incolpandolo di tutto, in effetti prendendo “due piccioni con una fava” – il che libererebbe l’albatros di Zaluzhny mentre si lava le mani di Zelensky dal sangue e dal peccato.

Il canale ucraino TG “Resident” scrive: “La nostra fonte nell’OP ha detto che l’Ufficio del Presidente vuole usare l’odio degli ucraini per il TCC contro Zaluzhny, che personifica le Forze Armate dell’Ucraina, il che significa che tutti gli eccessi nella mobilitazione sono di sua responsabilità. Bankova sta preparando una serie di campagne informative che dovrebbero screditare il comandante in capo e poi rimuoverlo “Si dice che se si continua a gettare la rabbia delle persone l’una contro l’altra, un giorno la si raggiungerà tutti insieme. Quindi mangiatevi a vicenda, siate più attivi
In generale, tutte le tesi che abbiamo letto sul recente passaggio dell’Ucraina a una posizione difensiva sembrano rivelarsi vere. La strategia di Zelensky sembra essere quella di una “modalità di conservazione” per ora, con solo qualche azione offensiva a scelta e a gettone nelle aree in cui si possono presentare delle opportunità.

Questo è stato confermato dai rapporti dal fronte che confermano che l’uso dell’artiglieria, dei droni, ecc. da parte dell’Ucraina è diminuito precipitosamente. I corrispondenti al fronte russo hanno affermato che sembra che l’Ucraina stia conservando le munizioni in questo momento. Un video di due giorni fa mostra un soldato russo sul fronte di Avdeevka che lo conferma:

Non ho trovato il video
Tuttavia, come ho detto prima, penso che l’Ucraina abbia ancora molto materiale per un’altra spinta in futuro, ma nessun potenziale offensivo reale. Non c’è quasi più pericolo di sfondamento su nessun fronte.

L’intero fronte di Kherson, per esempio, è una bufala da parte ucraina. Non c’è alcuna possibilità di sfondare in modo sostanziale o di creare vere e proprie “teste di ponte”, perché la logistica non è semplicemente fattibile. I sostenitori degli Emirati Arabi Uniti continuano a usare una serie di vere e proprie bufale e psyops per cercare di spaventare o demoralizzare le truppe russe, come la pubblicazione di un allarme due settimane fa che sosteneva che le forze russe si stavano preparando a fare un grande ritiro. Il Ministero della Difesa russo l’ha subito liquidato come una provocazione; la notizia era in realtà nell’esatto anniversario di un anno del ritiro di Kherson del 2022, e sembrava che qualcuno avesse hackerato gli organi di informazione russi per rilasciare il documento di base per quel ritiro – o questo o qualche provocazione interna.

Ma in poche parole, l’AFU non sta facendo altro che morire in massa a Khrynki. Questo non vuol dire che le forze russe non abbiano problemi di coordinamento e occasionali errori che portano a picchi di morte delle truppe, ma la situazione è pienamente sotto controllo e l’Ucraina non ha nemmeno la capacità di far passare i blindati leggeri, a parte il BMP e l’Humvee che sono riusciti a far passare e che sono stati rapidamente distrutti una settimana o due fa. Si dice che la vita media dell’AFU sia inferiore a due giorni sulla “testa di ponte” della riva sinistra.

In effetti, quel teatro è diventato un caso importante di “fallacia dei costi sommersi” di tipo militare per l’Ucraina. L’Ucraina ha ormai fatto leva su un’illusione tale che ammettere la sconfitta e ritirarsi sarebbe un duro colpo per il suo prestigio e il suo morale. Quindi a questo punto, nonostante abbiano subito perdite catastrofiche, sono costretti a “salvare le apparenze” alimentando una serie infinita di carne al macello, come vittime della loro stessa propaganda.

Ora parliamo brevemente del teatro più significativo di Avdeevka.

Ad oggi la Russia ha compiuto ancora una volta importanti progressi e conquiste, una delle quali per ora non confermata, l’altra pienamente confermata.

Quello confermato è un importante e totale superamento delle posizioni dell’AFU nei settori di Vinograd e Industrial a sud-est di Avdeevka:

Alcuni dettagli esatti devono ancora essere chiariti, come ad esempio quali aree specifiche sono zone grigie e quali sono zone di consolidamento totale delle RF. Tuttavia, abbiamo conferme video della ritirata delle truppe ucraine lungo Yasynovsky Lane. Questo viene salutato come un particolare trionfo per le truppe sul campo perché, per chi è stato lì fin dall’inizio, il settore industriale era considerato una delle aree più pesantemente fortificate che hanno resistito ai loro assalti per circa un decennio.

“Il fatto che i nostri ragazzi abbiano sfondato il buco di Vdyevka è un’impresa. Credo di essere sicuro che questa fosse la parte più forte della difesa delle Forze di Difesa ucraine lungo l’intera linea del fronte. La vicinanza delle nostre posizioni a quelle del nemico ha giocato un ruolo importante per noi. Tuttavia, questa vicinanza è stata difficile per noi. Questa è stata una ferita aperta dal 2016, è andata avanti. Ma abbiamo resistito! E siamo andati avanti, abbiamo sfondato questo importante confine! L’avversario deve capire la sfortuna della sua situazione. Gloria al soldato russo!”. – Ha scritto Alexander Sladkov.
E un altro:

La battaglia per Avdievka: storica liberazione della zona industriale Yasinovataya-2 (situazione alla fine del 25 novembre 2023) Poche ore fa, i combattenti russi hanno liberato con successo l’ultimo edificio della zona industriale Yasinovataya-2, nella parte meridionale dell’area fortificata di Avdeevsky, dopo diversi giorni di intensi e sanguinosi combattimenti.Dal 2014, la zona industriale era sotto il controllo delle forze ucraine. Tuttavia, nonostante le fortificazioni e i rinforzi, è ora completamente sotto il controllo dell’esercito russo. Questa linea non ha solo un significato simbolico, ma anche un’importanza strategica, poiché è situata su una collina che domina la periferia meridionale di Avdeevka. I quartieri meridionali saranno a portata di tiro da questa linea, peggiorando ulteriormente la situazione per l’AFU (Forze Armate dell’Ucraina).
Ecco alcune mappe di Avdeevka della battaglia del 2017. Si noti l’area industriale cerchiata in viola e i segni blu che indicano le posizioni dell’AFU:

Questa stessa posizione è stata ricoperta dal 2017 a oggi:

Per i ragazzi al fronte è quasi surreale aver finalmente sfondato e messo in fuga gli ucraini dalle posizioni in cui si erano a lungo rintanati.

Carro armato russo che mette in fuga l’AFU dall’ultimo lembo della zona industriale:

Non ho trovato il video
Un’opinione su ciò che accadrà dopo, per quanto riguarda gli obiettivi russi.

Il famoso mappatore Suriyak:

Dopo la conquista della zona industriale di Promka, il prossimo obiettivo dell’esercito russo sarà la conquista delle cave e delle fattorie di Vinogradniki, da dove potranno monitorare i movimenti ucraini nella zona forestale, mentre la penetrazione nella zona urbana continuerà a ridursi con la conquista di nuove parti del viale Yasynovatskyi, da cui stabilire un controllo di fuoco sulla parte bassa che divide la città. Contemporaneamente le truppe russe si impadroniranno della zona forestale raggiungendo le retrovie delle difese ucraine lungo la H-20 per ottenere un solido controllo sulla stazione di filtraggio di Donetsk. Tuttavia, come già detto, l’avanzata russa sarà difficile a causa del gran numero di difese in questa zona forestale e non si prevede un crollo delle forze finché il fronte settentrionale non farà progressi.
Un analista ha affermato che Avdeevka probabilmente cadrà nello stesso modo di Bakhmut, cioè non chiudendo completamente il suo calderone, ma piuttosto passo dopo passo, edificio dopo edificio, combattendo in città.

Questo può sembrare ad alcuni controintuitivo o del tutto sconcertante, ed è un aspetto che ho trattato molto tempo fa durante le battaglie di Bakhmut. Ma il fatto è che le truppe d’assalto di solito trovano molto più facile combattere in ambienti urbani che non nei campi aperti necessari per “chiudere il calderone”. In questi campi, proprio come nella steppa aperta tra Klescheyevka e Ivanovske vicino a Bakhmut, dove Wagner ha avuto molti problemi e innumerevoli morti, i soldati sono estremamente suscettibili alla sorveglianza dei droni e al fuoco mirato.

In un ambiente urbano si ha la possibilità di avanzare dietro molte coperture, saltando in sicurezza da una copertura all’altra; in un campo, non si ha questo lusso. Si è costretti a seguire la vecchia linea del congo in armatura, che inevitabilmente si scontra con le mine e viene fatta saltare in aria dall’artiglieria.

Ecco perché è molto probabile che Avdeevka cada con una doppia manovra a tenaglia, non da Severne e Stepove, ma piuttosto dalle truppe della zona industriale meridionale che salgono verso l’alto per collegarsi con le truppe che stanno entrando nella Cokeria.

Prevedo che Avdeevka abbia questo aspetto nella sua fase terminale:

L’AFU occuperà solo la parte centrale mentre i lati crolleranno su di essa.

Detto questo, ora si apprende che le forze russe hanno effettivamente iniziato a entrare e a insediarsi nella Cokeria. Questo non è ancora del tutto confermato, ma secondo alcuni è così:

L’unica cosa che posso dire è che già quasi una settimana fa la conferma video al 100% mostrava truppe russe alloggiate proprio al cancello di quella punta nord-orientale. Quindi è credibile che siano finalmente riusciti a fare breccia nei cancelli e a stabilirsi forse nei primi edifici di quel quartiere.

Inoltre, a est – nella zona direttamente a sud del cumulo di scorie – si sono espansi e hanno conquistato altro territorio verso sud.

Tuttavia, non mi sorprenderebbe se questa zona fosse fluida e le truppe venissero ricacciate temporaneamente, poiché è probabile che l’AFU cerchi di organizzare un disperato contrattacco per assicurarsi che non venga conquistato alcun punto d’appoggio sui terreni della fabbrica.

A riprova dell’urgenza, abbiamo avuto un paio di video che mostrano gli M2A2 Bradley che operano praticamente sul terreno della fabbrica di coca AKHZ.

Non ho trovato il video
Geolocalizzato sul lato nord-ovest di AKHZ:

LPer mantenere le cose giuste ed equilibrate, ricordo che in precedenza ho pubblicato il basso numero di vittime delle forze russe di MediaZona in ottobre come prova dell’esagerazione delle perdite ad Avdeevka:

Tuttavia, Mediazona ha ora “aggiornato” e rivisto il conteggio, forse avendo trovato nuove vittime per il mese scorso che non aveva visto prima:

Y

Si può notare un forte picco a metà ottobre, dove si svolsero alcuni dei combattimenti più pesanti, quando il 114° uscì da Krasnogorovka verso lo Slag Heap e i binari della ferrovia.

In particolare, la suddivisione giornaliera mostra uno dei più alti conteggi di KIA per i mesi successivi:

Detto questo, anche se ora non posso definirlo a ragione “il periodo con il minor numero di vittime in assoluto” per la Russia dell’intera SMO, esso rientra comunque nel fondo del barile delle vittime. Inoltre, smentisce anche le affermazioni dei pro-UA secondo cui MediaZona non avrebbe contato i morti della DPR. In realtà, hanno solo un ritardo nelle loro liste riviste mentre continuano a setacciare i necrologi e a seguire le loro presunte metodologie.

Quindi il punto è che, sebbene le vittime non siano così basse come sembrava in precedenza, non si avvicinano ai livelli di Bakhmut visti all’inizio dell’anno. Anzi, mi sento meglio se hanno rivisto la lista perché erano così basse nella lista precedente che mi hanno fatto dubitare della sua validità. Ora mi sembra corretto e convalida ulteriormente il fatto che le perdite sono relativamente basse da parte della RF.

Sul versante ucraino, invece, si parla di livelli catastrofici a causa dell’introduzione di un uso massiccio di munizioni a grappolo russe. Video scioccanti come questo e questo hanno iniziato a fare il giro subito dopo la comparsa dei video degli attacchi a grappolo russi. L’AFU sembra paragonare le nuove munizioni a grappolo russe a quelle americane:

Si dice infatti che Zelensky stia inviando ad Avdeevka più di 5 brigate, non ancora ricostituite, da altre zone calde per colmare le lacune. Sono cominciati ad apparire video di truppe ucraine che si lamentano o si ammutinano, mentre diventa sempre più difficile rifornire la guarnigione all’interno della città.

Per coloro che non l’hanno visto, lascio l’argomento con questa visione estesa della famigerata “elite” 47ª brigata, di cui ho scritto recentemente. Si tratta di una delle loro fughe ad Avdeevka, dove sono finiti sotto il fuoco dei carri armati russi e hanno dovuto evacuare con i loro Bradley. La cosa più notevole è la presenza di una o più donne che combattono direttamente nella trincea in prima linea, cosa che sta diventando sempre più comune:

Non ho trovato il video
In effetti, anche i cimiteri stanno iniziando a registrare un aumento:

Ma non preoccupatevi, i suoi sostituti stanno arrivando:

Solo qualche piccola notizia:

Il Ministero della Difesa russo ha portato nel cosmo un altro importante satellite militare dal cosmodromo di Plesetsk, aumentando sempre più le sue capacità di ISR spaziale:

Non ho trovato il video
Il prossimo:

Un video che mostra il tipo di perversione mentale che attualmente attanaglia gli ucraini. Il reperto A è la cantante ucraina Olya Polyakova:

Non ho trovato il video
Riporto il mio commento su Twitter:

Questo tipo di bizzarro pensiero magico, di deliri e di deterioramento mentale sembra endemico delle società/civiltà in crisi. Il wishful thinking si sintetizza con un’accozzaglia di pregiudizi di normalità, superstizioni popolari e sindrome di Stoccolma per creare distorsioni patologiche che non fanno altro che accelerare il precipitare del Paese in una forma di isteria terminale e di follia, come ora si vede in Ucraina.
Abbiamo visto una serie di video recenti di questo tipo: astrologi, mistici, sensitivi e medium ucraini, ecc. che condividono la loro psicosi di massa.

Il prossimo:

L’SBU ha pubblicato uno speciale sugli attacchi al ponte di Crimea, mostrando come hanno pilotato il drone e gongolando per le azioni terroristiche che hanno ucciso diversi civili, compresa l’orfanizzazione di una ragazza di 14 anni, che è stata mandata in coma. Minacciano di continuare a farlo:

Infine:

Vi lascio con questi toni soul dell’adorabile cantante palestinese-giordana “Zeyne” che interpreta “Palestinian Rajawi” – il testo è nel video e si spiega da solo:


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Patriarcato e guerra sui sessi_di Andrea Zhok

Ci sono temi più importanti e preferirei tacere su tutto il circo che è partito dalla vicenda dell’ultimo omicidio volontario di una donna. Preferirei tacere anche per preservare la salute psichica, perché ogni qual volta ci si scontra con il muro ideologico costruito dai media correnti la frustrazione è inevitabile.
Ma alla luce del fatto che il ministro Valditara sta davvero prendendo sul serio le fiabe ideologiche correnti, una parola mi sembra necessaria.
Speravo in uno scherzo, ma leggo che il ministro dell’istruzione, in una pregevole armonia di intenti con l’opposizione, sta davvero proponendo un’ora a settimana di “educazione alle relazioni” nella scuola secondaria. Non solo, la proposta prevede anche l’intervento in queste ore di educazione sentimentale di “influencer, cantanti e attori per ridurre le distanze con i giovani e coinvolgerli”.
Forse fraintendiamo l’intervento del ministro, che probabilmente ha il solo scopo di incrementare l’afflusso alle scuole private. Come spiegare altrimenti questa ulteriore accentuazione della tendenza della scuola pubblica a diventare un interminabile catechismo dell’ovvio, che ripete in bianco e nero gli stessi contenuti che si ritrovano, a colori, su una rivista media da parrucchiere? Tra ramanzine moralistiche, alternanze scuola-lavoro e consulti psicologici gli spazi per insegnare qualcosa di sostanziale nella scuola pubblica si stanno riducendo a feritoie.
Ma purtroppo questo è solo piccola parte del problema.
Il problema più grosso è che l’interpretazione ufficiale degli eventi delittuosi aventi per oggetto donne ha subito da tempo un sequestro ideologico. Esiste una singola lettura che anche persone intelligenti e al di sopra di ogni sospetto ripetono pappagallescamente, come se fosse una sorta di verità acclarata. E questa lettura non è semplicemente sbagliata, che sarebbe il meno, ma è proprio socialmente dannosa, anzi dannosa per le stesse dinamiche che si immagina di voler correggere.
Provo a spiegarmi in breve.
La lettura d’ordinanza di questi eventi delittuosi è la seguente. Si tratterebbe di espressioni di un’atavica, arcaica (patriarcale), concezione subordinante della donna che la concepisce come una proprietà, un oggetto a disposizione, e che perciò non ne accetta l’indipendenza e la punisce con la violenza e persino con la morte.
Dunque, dissimulato sotto la superficie di un mondo moderno e formalmente egalitario serpeggerebbe ancora questo “residuo patriarcale”, tenace e ostico da sconfiggere, che richiede perciò una rieducazione della popolazione – e della popolazione maschile in ispecie.
Ora, io credo che questa lettura delle violenze e degli omicidi spesso per futili motivi che oggi riscontriamo, tra cui anche quelli che hanno per oggetto donne, non c’entri assolutamente nulla con alcuna presunta “cultura patriarcale”. E credo che le ricette che vengono proposte, lungi dall’essere risolutive, possano soltanto aggravere il problema.
Perché mai?
Partiamo da un po’ di pulizia terminologica e mentale. Tutti si riempiono la bocca di “patriarcato” senza avere per lo più alcuna idea di ciò di cui si tratta. Ora, l’unico senso antropologicamente accettabile della nozione di “patriarcato” (che non va confuso con la patrilinearità della discendenza) è il modello sociale diffuso un tempo in molte civiltà dedite all’agricoltura o alla pastorizia, dove l’ultima autorità cui ricorrere per i dissidi interni e per i rapporti verso l’esterno era rappresentato dal maschio più anziano del gruppo (patriarca). Queste strutture sociali erano (e in alcune parti del mondo ancora sono) caratterizzate da una sostanziale assenza delle legislazione pubblica, da forti nessi comunitari all’interno di famiglie estese connesse, che dovevano risolvere molte questioni oggi risolte dalla giustizia ordinaria. Gli ordinamenti patriarcali sono tipicamente preindustriali e definiti da ordinamenti famigliari estremamente solidi e vincolanti.
La prima domanda che dovrebbe venire in mente è: cosa diavolo c’entra questa forma sociale con il mondo occidentale odierno? Ovviamente non c’entra assolutamente nulla, ma questa impostazione del problema nasce negli anni ’70, in cui l’idea che ci fossero ancora residui patriarcali da abbattere era il principale oggetto polemico del second-wave feminism. Oggi, mezzo secolo dopo, stiamo ancora qua a berci un’interpretazione che era tirata per i capelli allora e che oggi è letteralmente fluttuante nel vuoto.
A questo punto c’è sempre qualcuno che se ne viene fuori dicendo che sono questioni filologiche, di lana caprina, che se non va bene il termine patriarcato chiamiamolo maschilismo che va bene uguale.
Solo che il problema non è meramente terminologico, ma è legato a quale si ritiene essere la radice causale di violenze e assassini odierni. Se si evoca il “patriarcato” o simili si evoca l’immagine di un residuo ostico del passato che stentiamo ancora a lasciarci dietro le spalle. Dunque per superarlo dovremmo procedere ulteriormente con l’abbattimento di qualunque simile residuo del passato: bando al familismo, bando all’autorità paterna, bando al normativismo, sempre in odore di autoritarismo, ecc.
Ora, prima di esporre quella che credo essere un’interpretazione più plausibile, provo a sottoporre all’attenzione qualche fatto empirico.
Se il problema delle violenze si radica nei residui patriarcali in una qualche versione, allora i paesi che hanno società maggiormente modernizzate, con minori vincoli famigliari e con una posizione di maggiore indipendenza delle donne dovrebbero essere esenti da questo problema, o almeno presentarlo in misura molto minore.
Ma è davvero così?
Curiosamente ciò che si profila è esattamente l’opposto.
Se guardiamo alle violenze domestiche vediamo che (dati di un paio di anni fa) i primi paesi per denunce di violenza subita dalle donne sono quattro paesi proverbialmente emancipati: Danimarca (52% delle donne lamentano di aver subito violenza), Finlandia (47%), Svezia (46%), Olanda (45%), in coda classifica in Europa troviamo la Polonia (16%).
Naturalmente qui c’è la replica pronta: si tratterebbe di un mero effetto statistico, dovuto al fatto che in quei paesi, proprio grazie alla maggiore emancipazione, le donne denunciano di più.
Può darsi.
Allora per tagliare la testa al toro andiamo a vedere la categoria degli omicidi volontari di donne (cosiddetti “femminicidi”), che registra eventi non soggetti a filtri interpretativi.
Qui, secondo i dati Eurostat aggiornati al 2019, il profilo appare leggermente diverso, ma non troppo.
In testa in questa macabra classifica stanno costantemente i paesi baltici (Lettonia, Lituania, Estonia), insieme a Malta e Cipro, con Finlandia, Danimarca, e Norvegia poco sotto e Svezia a metà classifica. All’estremo opposto, costantemente agli ultimi tre posti troviamo Italia, Grecia e Irlanda, che si scambiano solo di posto di anno in anno.
Per un confronto numerico (2019), l’Italia presenta un dato di 0,36 “femminicidi” ogni 100.000 abitanti, la Norvegia 0,61, la Germania 0,66, la Francia 0,82,la Danimarca 0,91, la Finlandia 0,93, la Lituania 1,24.
Ora, cosa hanno in comune Italia, Irlanda, Grecia?
Non molto, salvo il fatto di essere tutte società con un ruolo tradizionalmente molto forte delle famiglie, società di cui spesso si è lamentata la limitata modernizzazione, anche per il peso significativo delle istituzioni religiose.
Cosa hanno in comune gran parte dei paesi del Nord e in parte dell’Est Europa? Sono società che hanno subito processi estremamente accelerati di modernizzazione, con laicizzazione forzosa, e frantumazione (riconosciuta al loro stesso interno) delle unità famigliari.
Ecco, una volta messi giù questi dati, per quanto sommari, io credo che un’intepretazione molto più sensata delle eventuali radici culturali della violenza e dell’omicidio per futili motivi di donne sia rintracciabile nell’esatto opposto del “patriarcato”.
Lungi dall’aver a che fare con ordinamenti famigliari estesi, vincolanti, con elevata normatività, tipici del patriarcato, ci troviamo di fronte a contesti dove le forme famigliari sono dissolte o in via di dissoluzione, dove i giovani crescono educati più da tik-tok e dai video trap che dalle famiglie, società dove peraltro da tempo la figura del padre latita ed è spesso definita dagli psicologi come effimera. In questi contesti, “modernizzati ed emancipati” si allevano in maggior misura identità fragili, disorientate, anaffettive, che si sentono costantemente sopraffatte dalle circostanze, e che perciò, occasionalmente, possono più facilmente ricorrere alla violenza, che è il tipico modo di reagire a situazioni di sofferenza che non si è in grado di comprendere né affrontare.
Molti altri aspetti andrebbero approfonditi, ma se, come io credo, questa è una lettura assai più probabile dei fatti, le strategie che stiamo adottando per affrontare il problema vanno precisamente nella direzione dell’ennesimo aggravio dei problemi.
Questo in attesa delle lezioni di educazione sentimentale di Sfera Ebbasta.

La verità è chiara: l’incontro tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti ha fatto un grande passo avanti sulla questione di Taiwan. di Shen Yi

La verità è chiara: l’incontro tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti ha fatto un grande passo avanti sulla questione di Taiwan.

  • Shen YiShen YiProfessore, Dipartimento di Politica Internazionale, Università di Fudan

2023-11-20 07:55:3

[L’editorialista di Video/Observer.com Shen Yi]

Ciao a tutti, benvenuti in questo numero di Yi Yu Tao Po. Oggi continuerò a parlare dell’incontro tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti: tutti sanno che questo incontro di San Francisco è molto particolare e ha suscitato ampia attenzione, discussioni e interpretazioni diverse. Alcuni hanno sollevato questa domanda dal punto di vista dell’enfasi del popolo cinese sul pragmatismo e sull’insistenza sull’attuazione dei risultati. Qual è il significato di questo incontro? Qui tutti devono avere una conoscenza generale e una comprensione della diplomazia di due paesi come la Cina e gli Stati Uniti.

C’è un contenuto molto importante nella diplomazia sino-americana chiamato “simbolismo” o “concettualità”. Tutti sanno che ci sono conflitti tra Cina e Stati Uniti. Diverse incertezze porteranno le persone a speculare sulla direzione futura delle relazioni sino-americane e sulle vere intenzioni dei leader di Cina e Stati Uniti. Se il vertice tra Cina e Stati Uniti Gli Stati in questo momento possono trasmettere al mondo esterno alcuni importanti segnali concettuali o simbolici che hanno un grande significato di per sé e possono aiutare coloro che hanno a cuore le relazioni sino-americane a creare fiducia.

La fiducia è molto sottile in questo momento. Ad esempio, prima di questo vertice, qualcuno mi ha inviato un messaggio su WeChat: un gruppo di persone in un certo circolo ha affermato seriamente che, vedendo il messaggio, avevano concluso che l’incontro tra Cina e Stati Uniti era stato annullato. Per un attimo sono rimasto sbalordito, stai scherzando? Quando l’ho riguardato di nuovo, la cosiddetta notizia era che He Lifeng era andato negli Stati Uniti per parlare con Yellen. In quel momento ho pensato, c’era un errore? Questo dialogo è il consenso raggiunto durante il dialogo tra Wang Yi e Blinken, ed è un simbolo importante sulla strada per San Francisco.

Per fare un altro esempio, più di una persona oggi mi ha detto di aver scoperto un “dettaglio importante”, dicendo che Blinken e Biden non indossavano le cuffie quando la Cina parlava, il che significa che non stavano affatto ascoltando il discorso della Cina. Alcune persone discutono anche su Internet: “Biden parla mandarino? Perché non indossi le cuffie se non parli mandarino?” Compresi gli ultimi due giorni di riunioni, le persone che erano alla riunione con me mi hanno detto : “Guarda, fondamentalmente è inutile, Blinken non ascolta, non indossa nemmeno le cuffie!” Fortunatamente ora ci sono molti materiali video e tutti possono ancora vedere il cavo delle cuffie da un’altra angolazione. Anch’io ha pubblicato la foto sui miei social media Cerchiato. C’è un altro piccolo dettaglio: in un video Blinken guardava Biden sorpreso e Biden, infatti, lasciò cadere il cheat sheet che stava leggendo.

I piccoli dettagli di Blinken e Biden sono stati soprannominati dai netizen cinesi come “immagini fisse britanniche che diventano realtà “

Scoprirete che, attraverso vari dettagli, tutti sperano di costruire una chiave di lettura di questo incontro sino-americano.

Naturalmente, dal punto di vista di Biden, si è pensato molto a questo incontro, come la scelta del luogo, compresi i dettagli emersi tramite video.I leader di entrambe le parti hanno avuto una bella conversazione quando si sono incontrati. Dopo il colloquio, i due partiti hanno cenato insieme. Prima di entrare, Biden ha tirato fuori il cellulare e ha trovato le foto che aveva preparato in anticipo per mostrare ai nostri leader:

“Guarda chi è questo?”

“Ti conosco. Non sono io 38 anni fa?”

Si tratta di un’interazione molto simbolica e iconica. Il messaggio trasmesso da questa interazione è che tutti stanno cercando di liberare una sorta di buona volontà e cercare di esprimere alcune cose, anche se è assolutamente impossibile per la Cina e gli Stati Uniti tornare a quel tipo. di relazione da un giorno all’altro. Uno stato di intimità.

Questo rilassamento è più un rilassamento dell’atmosfera, ma per la Cina tale rilassamento può eliminare alcune voci errate nel mercato dell’opinione pubblica. Alcune forze stanno utilizzando vari modi per sfruttare e diffondere la tensione tra Cina e Stati Uniti, ma alcune persone nel mercato dei capitali non hanno la capacità di esprimere giudizi indipendenti, sono facilmente confuse e intimidite e mancano della volontà necessaria. Per quanto riguarda la Cina, dobbiamo stabilizzare questo sentimento.

La cosiddetta “Visione di San Francisco” raggiunta al vertice di San Francisco è stata sviluppata dai colloqui di Bali. A Bali, Cina e Stati Uniti hanno stabilito tre nuovi principi guida per le relazioni bilaterali, vale a dire il rispetto reciproco, la coesistenza pacifica e il vantaggio reciproco. Questa volta, quando il presidente Xi Jinping ha incontrato Biden, la Cina ha fornito una descrizione molto panoramica della situazione, chiarendo che ora ci sono “due opzioni”, “tre principi” e “cinque pilastri” tra Cina e Stati Uniti.

Le cosiddette due scelte sono una buona e una cattiva. Il primo è rafforzare la cooperazione e l’unità e lavorare insieme per rispondere alle sfide globali; l’altro è provocare conflitti tra i campi con un pensiero a somma zero, portando il mondo alla divisione e al tumulto. Per quanto riguarda le prospettive, la Cina ha indicato chiaramente tre passi: primo, è impossibile per Cina e Stati Uniti non trattare tra loro; secondo, non è realistico cercare di cambiarsi a vicenda; terzo, nessuno può sopportare le conseguenze di conflitto e confronto. La competizione tra le grandi potenze non può risolvere i problemi che affliggono la Cina, gli Stati Uniti e il mondo. La Terra può accogliere Cina e Stati Uniti. Il successo di Cina e Stati Uniti è un’opportunità reciproca. Questa è una visione globale.

Poi parliamo dello sviluppo e delle prospettive della Cina. Questo si basa su alcune idee sbagliate e percezioni imprecise diffuse dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali per vari motivi. Abbiamo preso impegni strategici: in primo luogo, non seguiremo la vecchia strada del saccheggio coloniale e rafforzeremo nostro paese. Deve essere un percorso tortuoso verso l’egemonia e non esporterà ideologia. Il sottotesto espresso dai leader cinesi qui è che per la Cina non abbiamo alcun piano per superare o sostituire gli Stati Uniti. In altre parole, lo faremo Non lo faremo intenzionalmente, anche se la forza nazionale di entrambe le parti fosse Se il contrasto cambia, non lo faremo. In secondo luogo, gli Stati Uniti non dovrebbero avere alcun piano per sopprimere e contenere la Cina.

Poi ci sono i tre principi: rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione vantaggiosa per tutti, e i cinque pilastri: stabilire congiuntamente una corretta comprensione, gestire congiuntamente le differenze, promuovere congiuntamente una cooperazione reciprocamente vantaggiosa, assumersi congiuntamente le responsabilità dei principali paesi e promuovere congiuntamente scambi interpersonali e culturali. “Cinque pilastri” è un termine completamente nuovo nelle relazioni sino-americane e l’affermazione in esso contenuta è molto chiara: non fraintendetemi. Siamo impegnati a costruire una relazione sino-americana stabile, sana e sostenibile. per costruire una relazione sino-americana stabile, sana e sostenibile. Non ci si aspetta che siamo rivali, ma speriamo che entrambe le parti siano partner. Ma non pensate che se voglio essere stabile, sano e sostenibile, volete semplicemente che mi inginocchi e faccia tutto ciò che gli americani mi dicono di fare, altrimenti sarà instabile, malsano e insostenibile. Siamo spiacenti, abbiamo interessi che devono essere salvaguardati e principi e linee di fondo che devono essere difesi.

Il luogo dell’incontro tra i leader di Cina e Stati Uniti

In secondo luogo, gestire congiuntamente ed efficacemente le differenze si riferisce ai “tre no e tre more”: entrambe le parti devono comprendere i rispettivi profitti e non creare problemi, creare problemi o oltrepassare i confini. Cosa significa gettare, creare problemi e oltrepassare i confini? Ti ho detto chiaramente e ripetutamente che questo è il mio principio, ma tu stai facendo orecchie da mercante, inventando cose dal nulla, dicendo: “Non c’è niente al mondo, lascia che le persone si disturbino da sole”. tutto, fomentare disordini, puntare il dito e poi inspiegabilmente etichettare come “genocidio”, e sconvolgere le normali relazioni economiche e commerciali. I confini che ho tracciato, devi correrci dritto dentro.

Cosa dovremmo fare: comunicare di più, avere più dialoghi e discutere di più. Dobbiamo gestire con calma le differenze e gli incidenti, un esempio negativo è il precedente incidente del “pallone errante”. Poi dobbiamo promuovere congiuntamente la cooperazione sugli interessi: cambiamento climatico, intelligenza artificiale, commercio, finanza e altri campi per ripristinare o stabilire nuovi meccanismi, e portare avanti una cooperazione specifica, come il controllo della droga, cosa che la Cina ha chiaramente espresso la sua volontà di cooperare. è un’espressione della buona volontà della Cina e speriamo anche di ottenere una risposta gentile.

In termini di assunzione congiunta delle responsabilità delle maggiori potenze, Cina e Stati Uniti dovrebbero rafforzare il coordinamento e la cooperazione su questioni internazionali e regionali e fornire maggiori beni pubblici al mondo. Questa è un’innovazione. Nella concezione intrinseca delle potenze occidentali, i cosiddetti beni pubblici delle grandi potenze sono generalmente quelli di ricercare l’egemonia di gruppo. Ma ora, ciò che la Cina sostiene è che i due paesi si basino sulla consultazione e si basino sulla base dell’accordo. la cognizione e i confini della comunità umana. Fare cose che siano veramente vantaggiose per l’umanità è il cambiamento positivo che l’ascesa della Cina ha portato nel mondo. Senza la Cina, le tradizionali potenze occidentali non avrebbero fatto una cosa del genere. “Aprirsi gli uni agli altri, connettersi gli uni con gli altri e portare beneficio al mondo” è un pensiero innovativo tipico cinese, proprio come la nostra iniziativa “Belt and Road”: sei il benvenuto a venire qui, e anche noi vogliamo andare da te, in modo che tutti non si separino.

Questa volta i leader di entrambe le parti si sono incontrati e c’è stata anche una svolta importante sulla questione di Taiwan. Oltre a ribadire l’importanza della questione di Taiwan, che rappresenta l’aspetto più importante e delicato delle relazioni sino-americane, la Cina attribuisce grande importanza all’atteggiamento positivo degli Stati Uniti durante l’incontro di Bali. è che gli Stati Uniti devono intraprendere azioni concrete. Quali sono le azioni specifiche? In primo luogo, smettere di armare Taiwan e, in secondo luogo, sostenere la riunificazione pacifica della Cina. Si tratta di un grande passo nella storia delle relazioni sino-americane, e nulla di simile è mai accaduto prima. Il massimo leader ha chiarito che lei ha affermato di avere un atteggiamento non solidale, giusto? L’atteggiamento dei “tre no” degli Stati Uniti è iniziato durante il periodo Clinton. Ora la Cina ha fatto un passo avanti e ha detto che spero che il vostro atteggiamento non solidale l’atteggiamento può essere concretizzato. Sebbene ciò sia stato detto in precedenza in privato a diversi livelli di lavoro, questa volta il leader ha reso molto solenne e chiaro che avrebbe smesso di armare Taiwan e avrebbe sostenuto la riunificazione pacifica della Cina.

L’atteggiamento originale degli Stati Uniti nei confronti della questione di Taiwan era la cosiddetta “enfasi sulla risoluzione pacifica della questione di Taiwan”, ma enfatizzava unilateralmente la “pace” ed era vago quando si parlava di “risoluzione”. per mantenere lo status quo e per impedirvi di andare d’accordo per molto tempo. Alla fine, andremo verso una “separazione pacifica”, garantendo così la più grande iniziativa strategica degli Stati Uniti e guadagnando più spazio.

Ovviamente, questa volta la Cina ha dato la sua risposta: è vero o falso che non sostenete l’indipendenza di Taiwan? C’è una logica molto intelligente in questo: non sei sempre stato preoccupato per la pace nello Stretto di Taiwan? È molto semplice: l’unica ragione per cui non c’è pace nello Stretto di Taiwan è “l’indipendenza di Taiwan”. Dici di non sostenere l'”indipendenza di Taiwan”, ma ciò che intendi veramente dicendo non sostenere l'”indipendenza di Taiwan” è: in primo luogo, non le fornisci armi. Se gli si forniscono armi, pensa che possa causare problemi. Se voi, gli Stati Uniti, lo aiutate, aumentate i rischi per la sicurezza. In secondo luogo, avete affermato chiaramente che io sostengo la riunificazione pacifica, elimino l’illusione dell’”indipendenza di Taiwan” e evitare il suo errore di valutazione. Il cosiddetto errore di valutazione è che le forze “per l’indipendenza di Taiwan” credevano erroneamente che gli Stati Uniti l’avrebbero protetta. Di conseguenza, gli Stati Uniti non sono riusciti a proteggerla. La violazione della “Legge Anti-Secessione” provocherà inevitabilmente una guerra. Questa volta abbiamo fatto un passo avanti nella nostra dichiarazione e il significato trasmesso dalla frase seguente “Ci deve essere unificazione e unificazione” è molto chiaro.

Qualcuno si è chiesto se il cosiddetto lavoro di “essere un leader americano” non consista semplicemente nel pronunciare parole morbide, belle e macroscopiche. Naturalmente no. Non evitiamo la questione. I controlli sulle esportazioni, le revisioni degli investimenti e le sanzioni unilaterali sono misure contro la Cina che danneggiano i diritti e gli interessi legittimi del paese. La logica alla base di ciò è: lo sviluppo della Cina è guidato dall’innovazione, e sopprimere la scienza e la tecnologia cinesi sta frenando lo sviluppo di alta qualità del paese. Non dite che la quantità è piccola e rappresenta solo una piccola percentuale dell’economia, quindi potete costruire “piccoli cortili e muri alti”, necessari per uno sviluppo di qualità. Questo priva il popolo cinese della sua diritto allo sviluppo. Pertanto, la richiesta della Cina è quella di sperare che gli Stati Uniti prendano sul serio le preoccupazioni della Cina, agiscano, revochino sanzioni unilaterali e forniscano un ambiente equo, giusto e non discriminatorio per le aziende cinesi.

Questa volta gli Stati Uniti hanno mostrato buona volontà nei confronti della visita del leader cinese. Sappiamo anche che con i risultati di questo incontro Biden potrà fare punti in casa. Ma per quanto riguarda la Cina, sappiamo anche molto bene che nel prossimo periodo, se ciò che ha promesso di fare verrà mantenuto, le relazioni sino-americane potranno smettere di deteriorarsi e svilupparsi in una buona direzione, e su questo nutriamo caute aspettative.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, a giudicare dalla dichiarazione di Biden, ha ribadito l’impegno in cinque punti raggiunto ai colloqui di Bali, i cosiddetti “quattro no, una nessuna intenzione”: non cercare una nuova guerra fredda, non cercare di cambiare il sistema cinese , e non cercando di rafforzare l’alleanza per opporsi alla Cina, non sostiene l'”indipendenza” di Taiwan e non ha intenzione di entrare in conflitto con la Cina. Queste “quattro inesattezze e una disattenzione” hanno già avuto una prima reazione sull’isola di Taiwan, perché ha sottolineato ancora una volta che “non sostiene l’indipendenza di Taiwan”. Per Lai Qingde, il “nipote d’oro dell’indipendenza di Taiwan”, questo segnale è molto chiaro, cioè gli Stati Uniti Non sosteniamo “l’indipendenza di Taiwan.” Non creare problemi e non dirmi che sei “pragmatico.” A Washington non esiste un assegno in bianco per darti un scoperto.

Nel campo della sicurezza militare, non importa come gli Stati Uniti cerchino di mettere alla prova, compreso come le Filippine si precipitino in avanti o il Giappone cerchi segretamente di guadagnare qualcosa dalle retrovie, gli Stati Uniti hanno anche inviato un segnale molto chiaro: evitano ancora il conflitto diretto con Cina. Le misure adottate da questi paesi per innescare i conflitti si basano sul presupposto e sulla premessa che la Cina e gli Stati Uniti si scontreranno definitivamente e che gli Stati Uniti firmeranno incondizionatamente un assegno in bianco a questo scopo. Ora possiamo dire chiaramente che, dal punto di vista del vertice Cina-USA, questo non è vero: togliere le castagne dal fuoco brucerebbe solo gli artigli, quindi ritiratevi rapidamente. Sarà relativamente razionale e saggio ritornare sul percorso pragmatico.

Un altro punto molto interessante è che lo scambio di opinioni tra le due parti su questioni internazionali e regionali come il conflitto israelo-palestinese non è stato incluso come ordine del giorno formale, ma è stato collocato in un’atmosfera relativamente più rilassata e armoniosa, come quando Biden ha ospitato un incontro pranzo per il presidente Xi Jinping. Soprattutto i dettagli come Biden che condivide le foto con il presidente Xi Jinping sono stati stabiliti in precedenza. Naturalmente questo è anche un punto molto speciale del vertice: la comunicazione durante il pranzo può andare oltre l’autorizzazione generale e i dettagli procedurali, creando al tempo stesso una buona atmosfera, ma può anche avere dei dialoghi più diretti. Dopo il pranzo, Biden ha invitato Xi Jinping a fare una passeggiata nel maniero, lo ha mandato in macchina per salutarlo, ha guardato le bandiere rosse e ha sfoggiato la sua Cadillac: questi ricchi dettagli hanno arricchito l’atmosfera generale. Si vede che Biden è di buon umore, anche se si è lamentato ancora una volta: abbiamo visto che lui, che non è molto attivo su Twitter, ha twittato 5 o 6 volte, descrivendo l’incontro come “un grande successo, molto felice , e di ottimo umore.” buono”.

Dopo il pranzo i due capi di Stato hanno fatto una passeggiata in un’atmosfera amichevole

Nel complesso, l’atmosfera generale di questo incontro è stata migliore del previsto. Abbiamo visto segnali più positivi provenienti dagli Stati Uniti. Come ho detto nel video precedente, sono proprio gli Stati Uniti che hanno più bisogno di un incontro del genere. Questo incontro è davvero un ottimo caso: il massimo leader cinese si è fatto avanti personalmente per lavorare sulle relazioni sino-americane, sia per i suoi colleghi che per il popolo americano in senso lato. Il segnale inviato da questo incontro è cruciale, soprattutto per alcuni gruppi di persone, e abbiamo motivo di rimanere cautamente ottimisti.

Un altro punto degno di nota è che con la crescente pressione politica interna negli Stati Uniti, Biden, che ha urgente bisogno di KPI di performance, dovrà affrontare sempre più pressioni: se vuole ottenere risultati sostanziali, per raggiungere il successo dobbiamo tornare al fondamentali delle relazioni sino-americane. I fondamenti delle relazioni sino-americane sono i tre principi stabiliti dalla Cina: rispetto reciproco, coesistenza pacifica e vantaggio reciproco: questo è sia un linguaggio comune che una sintesi del modello di sviluppo delle relazioni sino-americane negli ultimi decenni.

Alcuni potrebbero pensare che alcune delle misure della Cina non siano come la “vittoria rapida” che idealmente desiderano, tagliando rapidamente il caos, ma le relazioni tra i principali paesi si basano su una seria manutenzione e giochi raffinati, piuttosto che sul perseguimento di capricci temporanei e spensierati. Dopotutto, il mondo reale non è un articolo interessante su Internet. Naturalmente, questo non significa che l’unico modo per parlare agli americani sia quello di essere una “tribù inginocchiata” nata: molte persone hanno bisogno di staccarsi dall’impronta ideologica lasciata dalle false percezioni di quell’epoca. Ricorda cosa ha detto Yang Jiechi: gli Stati Uniti non si sono mai schierati di fronte alla Cina dicendo che si basa sulla forza. Forte o debole, non lo riconosco. Non è che non lo riconosca ora che sono forte .

Abbiamo visto che le relazioni sino-americane sono ora entrate in una nuova fase, la cui caratteristica principale, indipendentemente da come viene descritta, è che con il cambiamento generale nel confronto delle forze e nello slancio di sviluppo delle due parti, la Cina ha iniziato a guardare al futuro. Allo stesso modo gli Stati Uniti, che sono diventati più fiduciosi e calmi, hanno dimostrato più chiaramente al mondo il modello, la magnanimità, la strategia e l’ambizione della Cina. È molto degno della nostra attenta analisi e comprensione approfondita. Ok, per oggi è tutto, grazie a tutti.

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Nessuna via d’uscita, di AURELIEN

Nessuna via d’uscita
Alcuni problemi del mondo non hanno soluzione.

AURELIEN
22 NOV 2023
Questi saggi saranno sempre gratuiti, e potete sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Siamo quasi arrivati a 4750 abbonati: grazie. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Grazie anche a chi continua a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta anche pubblicando alcune traduzioni in italiano. Philippe Lerch ha gentilmente tradotto un altro mio saggio in francese, che spero di pubblicare nei prossimi giorni.

Ora che l’Ucraina non sembra funzionare come si sperava, e che la guerra a Gaza sembra non andare da nessuna parte in modo violento, ci sono le prime voci che chiedono una “soluzione”, dei “negoziati”, dei “cessate il fuoco” e degli “armistizi”, e forse altre iniziative intelligenti che mi sono sfuggite. Nel frattempo, in tutto il mondo, in Etiopia, in Myanmar, in Sudan, in Africa occidentale in generale, in Mali e in una mezza dozzina di altri luoghi, continuano gli sforzi per trovare una “soluzione”. Ma supponiamo che non ci sia una soluzione?

O meglio, si consideri che l’intero edificio di gestione e risoluzione delle crisi messo in piedi dalla fine della Guerra Fredda, con il suo freddo linguaggio normativo di concezione liberale, e che ora ha avuto trent’anni per dimostrare la propria validità, essenzialmente non ha dato risultati. Banalmente, questo può essere dovuto al fatto che le idee alla base erano sbagliate – e lo erano – ma a un livello più profondo, può essere dovuto al fatto che molti dei problemi del mondo non hanno comunque una soluzione, o almeno nessuna che noi in Occidente saremmo d’accordo a chiamare “soluzione”. Analizziamo questo punto in modo più dettagliato.

Qualsiasi presentazione di una “soluzione” implica tre componenti. Si tratta di (1) ciò che si pensa sia il problema (2) ciò che si intende fare e (3) la situazione che si spera di ottenere alla fine. È abbastanza ovvio, se ci pensate, che il primo punto è in realtà il più importante. Se non si sa, o non si vuole ammettere, qual è il problema, il resto è nel migliore dei casi inutile e nel peggiore pericoloso. Un caso tipico è il seguente. Il “problema” viene identificato come il conflitto civile in un Paese e la morte di non combattenti. La “soluzione” è rappresentata dai colloqui tra tutti i partiti e dal dispiegamento di una missione delle Nazioni Unite, e l'”aspettativa” è quella di un compromesso politico e di un futuro pacifico. E naturalmente, nel giro di pochi anni, i combattimenti ricominciano e nessuno riesce a capirne il motivo. Tuttavia, se consideriamo che il “problema” è la coesistenza nel Paese di vari gruppi etnici che costituiscono le basi di potere di diversi politici, un’economia di predazione e di rendita che fa del controllo dello Stato l’unica vera via per la ricchezza, e vicini che incoraggiano e armano le varie fazioni, allora non saremo affatto sorpresi. Il problema è che è politicamente molto difficile riconoscere che questo è il problema, perché implica che una “soluzione” sarà difficile o impossibile da trovare.

Come esseri umani, ci piace credere che i problemi abbiano una soluzione. C’è una piccola minoranza che accoglie e trae profitto dal caos e persino dal conflitto, ma la maggior parte di noi si aggrappa alla convinzione che le soluzioni siano sempre possibili. E più il tentativo di trovare soluzioni fa parte del vostro lavoro, più vi aggrapperete alla speranza che una soluzione, qualsiasi soluzione, possa essere trovata in qualche modo. Quando sono entrato nel servizio pubblico, questo era composto da persone con un orientamento essenzialmente pratico, che si erano unite per fare qualcosa e risolvere i problemi. E la politica, oggi come allora, è costituita in gran parte da problemi, da quelli banali a quelli che mettono in pericolo la vita. Che cosa dobbiamo fare? era la domanda più frequente rivolta a persone come me da alti funzionari e ministri. Probabilmente lo è ancora, anche se la generale dequalificazione del settore pubblico nell’ultima generazione o giù di lì ha reso più difficile rispondere in modo utile. Ma “mi dispiace, Ministro, non possiamo fare nulla” è una risposta impopolare oggi come non lo è mai stata.

Probabilmente nessun settore è più permeato dalla cultura della risoluzione ossessiva dei problemi di quello della diplomazia internazionale. I diplomatici, per quanto ammiri il loro lavoro, hanno la debolezza professionale di voler ottenere soluzioni, o almeno progressi, a qualsiasi costo. Mi sono seduto accanto a diplomatici, dietro a diplomatici e a volte al tavolo io stesso, mentre giravamo intorno allo stesso problema: cosa possiamo fare? Quale iniziativa possiamo prendere? Ci deve essere qualcosa su cui possiamo essere d’accordo? In un ambiente del genere, tornare a casa senza aver raggiunto un accordo è una sconfitta, e questo è particolarmente vero per i Paesi che si considerano attori principali, a livello regionale o globale, e per le organizzazioni internazionali che spesso sono in competizione tra loro. Quindi la gente dirà: “È inaccettabile che non si faccia nulla per affrontare questa crisi”. E di conseguenza ci sarà il tradizionale processo decisionale tripartito: (1) Dobbiamo fare qualcosa (2) Questo è qualcosa ( 3) OK, facciamolo.

Non voglio sembrare ironico. Non solo è difficile, quando si hanno le risorse delle nazioni e delle organizzazioni internazionali teoricamente a disposizione, accettare che non si possa fare nulla e che le persone debbano solo soffrire; spesso c’è anche un’enorme pressione politica da parte delle circoscrizioni interne e dei politici dell’opposizione per “fare qualcosa”. Anche se molte di queste pressioni sono poco più che comportamenti standard di ricerca di attenzione, hanno un impatto politico e devono essere prese in considerazione.

Un esempio è la Bosnia del 1992-95, che oltre ad essere stata la prima, è per certi versi l’epitome di questo tipo di processo. In un momento in cui il mondo si stava rifacendo e c’erano mille altre cose a cui pensare, le nazioni e le organizzazioni non avevano tempo per approfondire i dettagli di un conflitto di cui pochi avevano la più pallida idea. Ma c’erano persone che morivano, e questo era definito “il problema”. La soluzione? Ah beh, quella era tutta un’altra cosa. Così i principali Stati, la NATO, l’allora esistente Unione Europea Occidentale, l’ONU e successivamente la nuova Unione Europea trascorsero ore e ore in riunioni che ruotavano intorno allo stesso problema fondamentale, che all’epoca mi sembrava la conclusione di un duo in un’opera di Mozart:

Dobbiamo fare qualcosa.

Ma non c’è nulla di utile che possiamo fare.

Ma dobbiamo fare qualcosa.

Ma non c’è niente di utile che possiamo fare.

Ma dobbiamo fare qualcosa….

E così via. Alla fine sono state fatte diverse “cose”, non perché sarebbero state utili, ma perché il non agire era politicamente impossibile, e il risultato è stato essenzialmente quello di prolungare la guerra e far morire più persone.

Ma c’era anche un’altra considerazione. La “soluzione” doveva avere diverse etichette: doveva essere “equa”, “giusta”, “inclusiva” e, soprattutto, una soluzione che potesse essere venduta ai media occidentali infiammati e all’opinione pubblica d’élite come accettabile per loro. In pratica, ciò ha significato che varie iniziative che avrebbero potuto porre fine alla guerra (in particolare il Piano di pace Vance-Owen del 1993) sono state sabotate da gruppi in Europa e soprattutto negli Stati Uniti, che volevano che la guerra continuasse fino alla vittoria della “parte giusta”. Il risultato fu la morte di decine di migliaia di bosniaci. La guerra finì per esaurirsi e i taciti accordi tra i leader delle fazioni furono perpetuati nel lungo, complesso e largamente ignorato Accordo di pace di Dayton del 1995.

Trent’anni dopo, il problema non è stato risolto, perché non può esserlo. L’obiettivo della Comunità internazionale di creare un sistema stabile di partiti politici multietnici o almeno cooperanti è fallito e non c’è alcuna possibilità di successo. Quando due comunità si identificano con un Paese straniero e la terza con uno Stato unitario, non è possibile alcun compromesso. (Il VOPP è stato il tentativo migliore, ma anche quello potrebbe non funzionare a lungo).

Ma aspettate un momento. Un tempo esisteva un partito politico multietnico, non è vero? Si chiamava Partito Comunista Jugoslavo e manteneva la pace grazie a un mix di attento equilibrio tra le comunità e di spietata repressione delle tendenze nazionaliste. Al contrario, la Comunità internazionale ha preferito cercare di costruire il tetto di uno Stato liberaldemocratico senza le fondamenta, e nemmeno i muri, in una cultura politica che era stata costruita sulle minacce e sulla corruzione fin dall’epoca ottomana. Già all’inizio era evidente a chi si occupava del problema quale fosse la vera soluzione. Avrebbe significato trasformare la Bosnia in un protettorato internazionale, con un’amministrazione in grado di fare e applicare leggi e regole, sciogliere tutti gli eserciti e permettere molto lentamente la ripresa della vita politica sotto vincoli molto rigidi. Solo i partiti multietnici sarebbero stati autorizzati a registrarsi e i tentativi di organizzare partiti a base etnica sarebbero stati puniti con il carcere. I politici dei partiti multietnici sarebbero stati pagati molto bene, così come i loro collaboratori, e avrebbero potuto fare tutti i viaggi internazionali che volevano. Tutto ciò era impossibile, ovviamente (non dal punto di vista pratico, ma da quello politico), ma sarebbe stato molto utile per risolvere il “problema”.

Voglio suggerire che in realtà non c’è nulla di strano in questo episodio: rappresenta un tipo di problema che è strutturalmente impossibile da “risolvere” con il limitato repertorio di trucchi a disposizione della comunità internazionale, e in effetti probabilmente non ha alcuna soluzione a lungo termine. La maggior parte dei problemi del mondo di oggi, comprese le crisi in Ucraina e a Gaza, possono essere visti in questi termini. Ma perché?

C’è un’importante distinzione concettuale tra problemi difficili da risolvere, anche molto difficili, e problemi strutturalmente impossibili da risolvere. La trasformazione politica del Sudafrica rientra nella prima categoria: molto difficile, ma alla fine non impossibile, soprattutto perché non c’erano alternative che non fossero peggiori per tutti. Ma questo è uno stato di cose piuttosto insolito. Dire che i problemi sono insolubili significa dire una, o entrambe, le cose. La prima è che i problemi sono strutturalmente insolubili con qualsiasi mezzo ragionevolmente immaginabile. La seconda è che, sebbene possano avere soluzioni teoriche, sono in pratica insolubili, date le realtà politiche che impongono alle potenze occidentali e a coloro che esse influenzano di cercare di risolverli.

Approfondiamo un attimo questo secondo punto. Ho già scritto in precedenza di come la teoria liberale dello Stato permetta di riconoscere solo un certo numero di cause di conflitto. Il conflitto è considerato irrazionale, in quanto tutto ciò che un gruppo o una nazione vuole ragionevolmente dovrebbe essere disponibile attraverso la negoziazione. Il conflitto deriva quindi dall’irrazionalità di un attore. Una volta che gli “imprenditori del conflitto” o i “guastatori” saranno sostituiti da persone solide e razionali, o che la confusione e l’ignoranza che hanno portato al conflitto saranno dissipate, non ci saranno più scontri. A volte in aggiunta, a volte in alternativa, le “cause sottostanti” come le violazioni dei diritti umani, la povertà, l'”esclusione” o la discriminazione sono considerate cause di conflitto. Come ho già sottolineato in precedenza, non c’è assolutamente alcuna prova pragmatica a sostegno di queste teorie, ma hanno il vantaggio pratico di fornire soluzioni facili da individuare per i governi e di portare a contratti lucrativi per alcuni settori dell’industria della gestione delle crisi. Ad esempio, se è vero che non esiste alcun conflitto nella storia che sia sorto solo per reazione spontanea a violazioni dei diritti umani, è anche vero che se un conflitto è sorto in un Paese in cui esistono violazioni dei diritti umani, è possibile sostenere che un’ulteriore esplosione potrebbe essere prevenuta, ad esempio, con un addestramento ai diritti umani per le forze armate effettuato da formatori occidentali. Forse non è un’argomentazione molto convincente, ma comunque dà la confortante sensazione che una soluzione sia almeno idealmente disponibile e che “qualcosa” venga fatto. Dopotutto, se questi problemi sono davvero insolubili, cosa faranno in futuro tutte queste organizzazioni?

In molti casi, quindi, le soluzioni che potrebbero funzionare sono politicamente escluse, a causa dell’ideologia occidentale sulle cause e sui rimedi per i conflitti, nonché sulla gamma di risultati esteticamente gradevoli consentiti. È un luogo comune del pensiero liberale occidentale che la “pace duratura” si basi su tutta una serie di cose buone come la democrazia, i diritti umani, l’inclusività, la soppressione della corruzione, i sistemi politici multipartitici, ecc. Ora, anche se pochi sosterrebbero che una di queste idee sia necessariamente negativa in linea di principio, è vero che non ci sono prove che una di esse abbia un rapporto causale con la “pace”, comunque definita. Si tratta piuttosto di fenomeni che si manifestano più facilmente dopo che la pace e la sicurezza sono già state stabilite. Pertanto, le soluzioni militari sono spesso criticate per il loro “breve termine” e per non affrontare le “cause sottostanti”. Ma questa retorica squallida non tiene conto del fatto che la maggior parte delle vere cause di fondo non possono essere affrontate in ogni caso, e l’uso della forza è spesso un modo per guadagnare tempo, che sarà apprezzato da coloro che stanno salvando le vite.

Suggerisco che ci sono fondamentalmente due serie di circostanze che producono problemi “insolubili” nei termini riconosciuti dalla teoria liberale dello Stato, e che possono essere “insolubili” nel senso più ampio di non avere una soluzione praticamente possibile. Si tratta, in primo luogo, di problemi che derivano dai rapporti di potere e di classe nelle società e, in secondo luogo, di problemi che derivano dai tentativi di costruire Stati-nazione dai relitti di imperi o confederazioni multietniche.

Tutte le società attraversano diverse fasi di sviluppo sociale e politico e la distribuzione del potere politico ed economico cambia nel tempo. Pochi di questi cambiamenti sono del tutto pacifici, poiché non c’è alcuna ragione di principio per cui un gruppo dominante debba rinunciare tranquillamente ai propri diritti e privilegi, a meno che non sia costretto a farlo. Le transizioni politiche sono quindi spesso violente, soprattutto quando a comandare è un gruppo ragionevolmente coerente, capace di organizzarsi e difendersi dalle nuove forze. Per gran parte del mondo occidentale, questa è solo storia colorata. Pensiamo ai conflitti in Inghilterra nel XVII secolo, alle rivoluzioni francese e poi russa, alla guerra civile spagnola e così via. Quello che non riusciamo a capire è che qualcosa di simile a questa logica si svolge nella maggior parte delle società del mondo, e i tentativi liberali ben intenzionati di imporre la “democrazia” a società in cui esistono storicamente gruppi dominanti e gruppi subordinati hanno più probabilità di causare conflitti che di risolverli, perché saltano la fase della sostituzione delle élite tradizionali. (Il liberalismo stesso, ovviamente, si è sviluppato essenzialmente dopo che questa fase era già in corso).

Il caso classico è quello delle terribili violenze che hanno avuto luogo in Burundi e in Ruanda dagli anni ’70 fino più o meno ai giorni nostri. Qui, una classe aristocratica tradizionale (i Tutsi, proprietari di bestiame) dominava i contadini hutu. Poiché, come tutte le classi aristocratiche, erano una minoranza, questo dominio veniva esercitato attraverso rigide gerarchie sociali e il ricorso alla violenza estrema, se necessario. Questo schema è proseguito durante la (breve) parentesi coloniale. Dopo l’indipendenza, i Tutsi sono riusciti a mantenere il potere in Burundi grazie a diffusi massacri di Hutu, soprattutto dei più istruiti, mentre in Ruanda la leadership Tutsi è stata cacciata dal Paese e i Tutsi rimasti sono stati ridotti allo stato subalterno e massacrati durante i periodici tentativi dell’élite Tutsi di tornare dall’esilio ugandese per riprendere il potere.

E la soluzione quale fu, esattamente? Quando, dopo la fine della Guerra Fredda, i francesi e gli altri Stati occidentali hanno iniziato a fare pressione sui due Paesi affinché si democratizzassero, come si potevano organizzare i partiti politici se non secondo le tradizionali linee di classe, il che significava che i partiti hutu avrebbero predominato, come era avvenuto nel XIX secolo in Europa? In quest’ultimo caso, le classi dirigenti hanno combattuto una lunga azione dilatoria, a volte violenta, per garantire che il diritto di voto fosse esteso solo un po’ alla volta. In Burundi, i Tutsi, grazie al controllo dell’esercito, sono riusciti a mantenere il potere. In Ruanda, le elezioni hanno prodotto una coalizione instabile di partiti hutu, che si sono presto trovati a combattere una guerra civile contro un altro tentativo dei tutsi di riprendere il potere, ma questa volta molto più grande e meglio organizzato, sotto una leadership spietata e ambiziosa.

Il disastroso Trattato di Arusha del 1993, che ha riacceso la guerra civile e ha provocato terribili massacri, può quindi essere considerato paragonabile a un tentativo di accordo di condivisione del potere tra rossi e bianchi nella guerra civile russa, o a uno schema in base al quale nel 1791 metà dell’esercito francese era composto da truppe realiste e metà da repubblicane. Ci sono cose che non si possono fare. Il fatto triste è che il Ruanda è stato stabile sotto una linea di re tutsi, stabile sotto il colonialismo, stabile sotto la dominazione hutu dopo l’indipendenza e stabile sotto un governo monopartitico dalla fine della guerra civile. L’unico periodo in cui il Paese è stato disastrosamente e violentemente instabile è stato quello della democratizzazione a rotta di collo, delle elezioni, della condivisione del potere, del governo inclusivo, del tentativo di creare un nuovo esercito nazionale, della presenza di una forza ONU nel Paese e del notevole interesse e coinvolgimento della comunità internazionale e delle ONG. L’ironia ha un modo particolarmente ironico e selvaggio di comportarsi a volte.

Ciò non significa che le misure sopra elencate siano necessariamente sbagliate o indesiderabili (anche se le elezioni hanno spesso un effetto destabilizzante in situazioni fragili). Ma significa che una diagnosi errata del problema di fondo non può, se non per caso, produrre la soluzione giusta. Non sono a conoscenza di alcun caso nella storia in cui una classe o un gruppo sociale ed economico dominante abbia volontariamente ceduto il potere dopo averlo monopolizzato con la forza per lunghi periodi. Naturalmente, se la vostra preoccupazione principale non è la stabilità in quanto tale, ma il fascino estetico di un sistema politico riformato, potreste trovare questo aspetto meno importante.

Ma almeno, si potrebbe dire, in Ruanda e in Burundi si tratta essenzialmente di una lotta di classe, e la storia suggerisce che le lotte di classe alla fine si decidono, anche se nel sangue. Ma ci sono molti altri Paesi in cui ci sono differenze etniche, linguistiche e regionali da tenere in considerazione, oltre al peso del passato. (In molti Stati africani, ad esempio, il risentimento per le tribù che hanno praticato la tratta degli schiavi da parte dei discendenti delle loro vittime è un fattore politico importante). Il potere politico è alla fine un gioco a somma zero e chi lo detiene ha bisogno di incentivi straordinari per cederlo. I tentativi di cambiare l’equilibrio del potere, anche se ben intenzionati, creano quasi sempre il caos, soprattutto quando sono coinvolte le forze di sicurezza. In effetti, giocare con il controllo politico delle forze di sicurezza è come giocare con una bomba a mano viva; non che l’Occidente, nel suo complesso, l’abbia mai capito. Allo stesso tempo, però, le forze di sicurezza sono gli strumenti fondamentali per conquistare e mantenere il potere in qualsiasi Stato, ed è per questo che le crisi politiche nelle società divise tendono a comportare un conflitto: nessuno avrebbe dovuto sorprendersi della recente guerra civile in Sudan, per esempio.

Il primo tipo di conflitto nasce quindi dalle transizioni politiche, dove una classe o un gruppo ha avuto un monopolio del potere imposto con la violenza. (Non si tratta della stessa cosa della transizione da Stati autoritari o dittature, che è un argomento a parte e necessita di una trattazione separata). L’altro tipo, in cui rientrano le crisi in Ucraina e a Gaza, è il risultato dei tentativi di costruire Stati-nazione sulle rovine degli imperi. In Occidente tendiamo ad associare il concetto di “Impero” alle effimere esperienze coloniali britanniche e francesi in Africa, ma in realtà quasi tutte le principali crisi di sicurezza degli ultimi trent’anni o giù di lì sono nate dagli effetti della brusca scomparsa degli Imperi Ottomano, Romanov e Asburgico e dai tentativi, da allora, di sostituirli con Stati nazionali funzionanti. Per comprendere la natura quasi dialettica dei problemi che ne derivano, esaminiamo gli imperi e poi gli Stati nazionali.

Fino a tempi molto recenti, gli imperi erano la normale forma di organizzazione politica del mondo. Vale a dire, un centro di potere, generalmente sotto un sovrano o una dinastia regnante, si espandeva attraverso la conquista, e occasionalmente il matrimonio o l’accordo, e metteva sotto controllo le regioni vicine. A volte questo processo era estremamente violento (persino genocida) e le cicatrici rimangono ancora oggi. I nuovi territori diventavano possedimenti del sovrano o della dinastia e i loro abitanti diventavano nuovi sudditi. Gli imperi sorsero e caddero, e quando entrarono in contatto ci furono generalmente guerre, come tra gli Asburgo e gli Ottomani. E come per questi due, c’erano spesso zone di confine contese, dove il controllo era meno evidente. Una di queste era la Krajina, la frontiera militare tra l’Impero austro-ungarico e quello ottomano nei Balcani. La parola stessa (che condivide una radice con “Ucraina”) sembra significare originariamente “terra di confine”, ed era il nome locale della cintura difensiva per fermare l’espansione ottomana. Nel XVI secolo Vienna decise che sarebbe stata un’ottima idea trasferire nell’area dei forestieri (principalmente slavi) con la fama di duri combattenti. Centinaia di anni dopo, quando la Croazia divenne una nazione indipendente, i loro discendenti erano ancora lì, dando luogo a una piccola ma spiacevole componente delle guerre legate alla dissoluzione della Jugoslavia.

Come dimostra questo esempio, gli “imperi” guardavano tutti come sudditi. Potevano, come gli Ottomani, trattare in modo diverso i diversi gruppi religiosi, ma essenzialmente le potenze imperiali tenevano poco conto delle differenze etniche nella gestione dei loro territori. Le città e le regioni avevano spesso una propria identità, si parlava una varietà sconcertante di lingue, ma l’identità, così com’era, era molto generale (sudditi dell’imperatore lontano) o molto specifica (questa lingua, questa religione, questa città). Per secoli, regioni e città potevano passare da un Impero all’altro con effetti solo modesti sulla vita degli individui, ed era comune che i territori che oggi consideriamo automaticamente nazioni fossero divisi tra Imperi e Regni (spesso la differenza era terminologica) con una miriade di città e territori indipendenti, spesso in debito di fedeltà con una potenza maggiore. Una mappa della divisione politica dell’Europa nel XVI secolo ha solo la più surreale somiglianza con la divisione del continente nelle ultime generazioni, a parte paesi come Francia e Spagna con confini relativamente naturali. Ciò non sorprende se si considera che il modo in cui il potere fu usato allora per dividere lo spazio fisico non aveva alcuna somiglianza con quello che sarebbe seguito.

Ciò che seguì, ovviamente, fu l’ascesa dello Stato-nazione. Come suggerisce il nome, si trattava della confluenza di due elementi: il concetto di “Stato”, risalente in ultima analisi alla Pace di Westfalia, e la scoperta della “nazione” come entità politica. In teoria, ma quasi mai in pratica, una “nazione” aveva diritto a un proprio “Stato”. Il problema era che non c’era accordo su cosa significasse in pratica “nazione” o, se vogliamo, “popolo”, né su quali fossero le qualifiche per esserlo, né su quali diritti conferisse esserlo. La stessa confusione si ripeteva in molte altre lingue, senza alcuna certezza che esistessero semplici equivalenti tra le lingue stesse.

Il tutto era ulteriormente complicato dal fatto che il prototipo di Stato-nazione era la Francia, costruita secondo i principi repubblicani, che la rendevano lo Stato di tutti coloro che vi abitavano e di tutti coloro che chiedevano e ottenevano la cittadinanza. Il grande storico francese Ernest Renan definì una nazione come “un plebiscito senza fine”, cioè un gruppo di persone che hanno deciso esplicitamente di vivere insieme, indipendentemente dalla loro origine. E nonostante i migliori sforzi dei politici identitari di ispirazione americana, la nazione francese è ancora, più o meno, organizzata secondo queste linee volontaristiche.

Ma non era così altrove. La “nazione” nella maggior parte dei casi aveva dimensioni etniche, religiose e culturali che erano esclusiviste e spesso considerate intrinseche e permanenti. E la natura caotica della progressiva costruzione di Stati-nazione a partire dagli imperi, con le relative violenze e spostamenti di popolazioni, era un prodotto del romanticismo del XIX secolo e del culto da parte degli intellettuali nazionalisti di tradizioni e storie che, per dirla in modo gentile, erano talvolta più costruite che reali. Il risultato, ovviamente, è stato che, come è diventato chiaro con il naufragio degli imperi dopo la Prima guerra mondiale, non c’era modo di tracciare confini per collocare i gruppi “nazionali” ordinatamente in “Stati”. Ad esempio, la domanda “chi è un tedesco?”, probabilmente la domanda storica più importante del XX secolo, non aveva una risposta o, se si preferisce, tante risposte quante se ne vogliono dare. Se le “nazioni” avessero potuto in qualche modo essere chiaramente distinte l’una dall’altra attraverso marcatori di identità universalmente accettati, ci sarebbe stata qualche possibilità di soluzione, ma non c’è stata. Il risultato è stato la guerra, il caos e la carneficina, moderati in qualche misura dalla NATO, dal Patto di Varsavia e dall’UE, ma le cui linee di faglia sottostanti sono ancora evidenti. In definitiva, è da qui che nascono tutti i discorsi su dove sono, erano, erano un tempo o potrebbero essere in futuro i “confini” dell’Ucraina. Le possibilità di costruire Stati nazionali anche solo approssimativamente coerenti dalle molteplici intersezioni e dai confini itineranti dell’Ucraina, della Polonia, della Romania e dell’Ungheria sono troppo basse per valere la pena di preoccuparsene, anche senza aggiungere altri fattori. Il brusco passaggio da imperi con confini fluidi e popolazioni multietniche a Stati nazionali con popolazioni idealmente omogenee e confini rigidi ha creato una serie di problemi che sono essenzialmente insolubili con le norme della democrazia liberale. Ancora una volta, queste regioni erano generalmente stabili sotto un controllo politico esterno prima della Prima guerra mondiale e dopo la Seconda, con qualche imbarazzo nel mezzo. La storia sembra volerci dire, come nel caso della Jugoslavia e del Ruanda, che possiamo avere stabilità o norme liberaldemocratiche, ma che è difficile avere entrambe le cose allo stesso tempo.

La sanguinosa storia dell’Europa nel XX secolo è in gran parte il risultato dell’interazione e poi della disintegrazione degli Imperi Romanov e Asburgico, con un piccolo aiuto da parte degli Hohenzollern. Ma la maggior parte dei conflitti dalla fine della Guerra Fredda, dalla Jugoslavia al Maghreb, sono stati in qualche modo collegati alla velenosa eredità dell’Impero Ottomano, che ha diviso i suoi sudditi gli uni contro gli altri in base alla religione, rendendo le differenze religiose l’unico modo in cui la politica poteva essere strutturata quando l’Impero è scomparso quasi da un giorno all’altro. Durante i brevi mandati britannici e francesi nel Levante, le potenze occidentali hanno lottato con questa eredità, senza trovare una vera soluzione. In realtà, il tentativo di tracciare delle linee di demarcazione tra le province ottomane e di creare al loro posto degli Stati nazionali era inevitabile per ragioni politiche, dal momento che l’epoca delle colonie stava finendo, ma era anche destinato a fallire. Questo non significa, ovviamente, che i confini fossero del tutto artificiali e privi di significato: parlate con gli iracheni, i siriani e soprattutto i libanesi, e otterrete un autentico senso di coscienza collettiva basato sulla storia e sulla cultura. È noto, ad esempio, che le truppe sciite dell’esercito iracheno hanno combattuto gli iraniani durante la guerra con lo stesso impegno delle truppe sunnite, perché si consideravano arabi che si difendevano dal nemico storico persiano. Ma ciò che non si può fare è estendere questo concetto a un accordo sui confini e sulla demarcazione del territorio: infatti, per quanto i confini nel Levante, ad esempio, non “abbiano senso”, è di fatto impossibile progettare confini di uno Stato-nazione che li abbiano. (In realtà, anche i confini dell’Europa occidentale non hanno necessariamente “senso”, ma in quel caso sono anche il risultato di un esaurimento terminale dopo una serie di guerre sanguinose: non è una ricetta che si vorrebbe proporre agli altri).

È in questo contesto, forse, che dovremmo vedere meglio i tentativi di “negoziati” ispirati dall’Occidente per raggiungere una “soluzione” per Gaza e per la più ampia questione palestinese. In parole povere, possiamo dire che nessuna soluzione accettabile per Israele funzionerebbe, e che nessuna soluzione che funzionerebbe sarebbe accettabile per Israele. Aggiungerei che è improbabile che le norme liberaldemocratiche possano essere estese per includere una soluzione accettabile per Israele, anche se senza dubbio si farebbero sforzi enormi. Ora, per “funzionare” intendo semplicemente una soluzione che riduca il più possibile ulteriori spargimenti di sangue. Per completezza, si potrebbe sostenere che una soluzione in cui tutti i palestinesi venissero espulsi da Gaza e dalla Cisgiordania sarebbe accettata da Israele, ma, poiché ciò garantirebbe milioni di rifugiati arrabbiati nei Paesi adiacenti, è difficile considerarla una vera “soluzione”. Al di là di questo, siamo inevitabilmente costretti a tornare alle fantasie di uno Stato non confessionale sul territorio della vecchia Palestina, dove ebrei e palestinesi vivono fianco a fianco. Naturalmente dovrebbe essere un protettorato internazionale, ampiamente disarmato e con una presenza militare e di polizia internazionale permanente, un’attività politica limitata… beh, non c’è bisogno di continuare. Nel mondo reale, dobbiamo solo accettare che questo conflitto, come tutti i conflitti nell’area, sarà risolto con la forza bruta, e che gli israeliani continueranno a vincere, a meno che e fino a quando non verrà usata una forza bruta sufficiente contro di loro. Questo non perché tutte le persone coinvolte siano intrinsecamente malvagie (per quanto alcune siano piuttosto sgradevoli), ma piuttosto perché le regole del gioco sono determinate dal fatto che non esiste una soluzione basata sullo Stato-nazione che soddisfi tutti, e quindi una sarà imposta dal più forte.

In queste circostanze, l’incapacità dello Stato nazionale liberaldemocratico di attecchire adeguatamente nel mondo arabo non sorprende. Non è detto che ci sarebbe mai riuscito. Non sorprende nemmeno che in alcuni Paesi ci si sia allontanati dal concetto stesso di Stato-nazione, a favore della Ummah, la comunità dei credenti, che trascende i confini nazionali e che è gestita secondo i dettami del Corano e dei suoi commenti. Sia le sue manifestazioni politiche, come i Fratelli Musulmani, sia quelle violente, come lo Stato Islamico, promettono di fare ciò che lo Stato nazionale non può fare e che l’Impero Ottomano più o meno faceva: fornire certezza e stabilità in un quadro politico e normativo accettato.

Ho lasciato l’Africa per ultima, in parte per sottolineare che in realtà è solo un caso particolare di un problema più generale: l’incapacità di creare dal nulla Stati nazionali liberaldemocratici. Già al momento dell’indipendenza era evidente che si trattava di un atto di fede, nonostante l’entusiasmo e l’ambizione di una generazione di presunti leader (per lo più di formazione occidentale) e il sostegno delle ex potenze coloniali. È difficile ricordare quanto si fosse entusiasti dello sviluppo in Africa negli anni Sessanta: si pensava che nel giro di un paio di generazioni l’Africa si sarebbe industrializzata e sarebbe diventata simile all’Europa. Purtroppo, i tentativi di costruire Stati-nazione a partire da territori coloniali che contenevano molti gruppi politici e culturali diversi, spesso con divisioni religiose, si sono rivelati impossibili da realizzare. Ci furono alcuni piccoli successi (ad esempio il Botswana) ma molti grandi fallimenti. Alcune parti dell’Africa francofona hanno funzionato ragionevolmente bene (negli anni ’80 la Costa d’Avorio si stava avvicinando ai livelli di reddito di alcuni Stati europei più poveri), ma ciò è avvenuto al prezzo di un pesante coinvolgimento francese in questi Paesi, che ha fornito stabilità e garantito la crescita, ma ha impedito un reale sviluppo politico e ha creato risentimento popolare.

Ma d’altra parte, come amano dire gli africani con cui ho discusso di questo punto, qual è l’alternativa? La strada imboccata negli anni Sessanta è ormai segnata. Lo stesso vale, più o meno, per tutte le aree del mondo in cui gli Stati nazionali sono stati creati sulle ceneri di imperi defunti. Dobbiamo accettare il fatto che, ancora oggi, abbiamo a che fare con le conseguenze della caduta dei grandi imperi alla fine della Prima guerra mondiale. Nelle epoche precedenti, gli imperi si erano divisi (come quello di Alessandro) o erano stati assorbiti da nuovi conquistatori. L’idea di tentare di instaurare da un giorno all’altro sistemi politici completamente nuovi, che dipendono per il loro successo da una sovrapposizione quasi perfetta tra gruppi etnici/religiosi/culturali da un lato e linee tracciate sulle carte geografiche dall’altro, non è un’idea che sarebbe stata tentata se ci fossero state delle alternative ma, dopo la caduta dei tre Imperi, non ce n’erano.

Dobbiamo quindi accettare il fatto che le lotte tra gruppi dominanti e subordinati, e le lotte per i gruppi di identità e i confini, continueranno a far parte della politica internazionale per molto tempo. La soluzione non risiede, se non ai margini, nelle iniziative politiche e nella gentilezza obbligatoria. Non si tratta di “antichi odi” che possono essere in qualche modo superati da iniziative organizzate dall’Occidente per promuovere l’amore e la comprensione. Ho suggerito molte volte che la domanda fondamentale in politica è “chi mi proteggerà?”. In uno Stato nazionale sviluppato e maturo, con istituzioni forti, è lo Stato centrale stesso a ricoprire questo ruolo. (Anche se, anche lì, le comunità minoritarie spesso si lamentano di non essere adeguatamente protette). Ma negli Stati instabili e insicuri, le persone si rivolgono al proprio gruppo d’identità o alla comunità più ampia per ottenere protezione, proprio perché non si fidano dello Stato. E in queste circostanze, più si ha controllo sullo Stato stesso e più la propria comunità vive in un’area omogenea controllata, più ci si sente sicuri. Da qui, inevitabilmente, il conflitto.

Per dirla con le parole di un accademico a cui ho illustrato questa analisi molti anni fa: “Allora li lascerete morire?”. Ma questa è una lettura errata della situazione, oltre che una forma di ricatto emotivo. Si tratta in realtà di riconoscere i limiti, e soprattutto ciò che è impossibile. L’idea dell’intervento internazionale, con il suo apparato di negoziati, colloqui di pace, condivisione del potere, riconciliazione, inclusione, inculcazione di norme democratiche liberali e, più recentemente, di bombardamenti, ha ormai una tale inerzia che non è chiaro quando, se mai, i molteplici fallimenti seriali porteranno al suo abbandono.

Ma non si tratta solo del fatto che gli interventi occidentali sono stati spesso disastrosi, è che la fiducia nelle “soluzioni”, in particolare in quelle inclusive, giuste, eque, globali, durature ecc. ecc. è un’incomprensione delle situazioni con cui ci confrontiamo e una lettura errata della storia. La lotta tra gruppi dominanti e gruppi subordinati e la definizione dei confini degli Stati nazionali sono stati eventi violenti nel corso della storia. Potremmo essere in grado, e dovremmo certamente tentare, di rendere il processo più rapido e meno sanguinoso, laddove possibile. Ma non dobbiamo illuderci che ci siano “soluzioni” pronte da attuare. A volte il meglio che possiamo fare è gestire al meglio problemi intrattabili. A volte non c’è via d’uscita.

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Come la segretezza finanziaria mina la democrazia, di Charles G. Davidson Ben Judah

Come la segretezza finanziaria mina la democrazia

L’espansione e l’enormità del sistema di segretezza finanziaria sta minando la democrazia in modo allarmante. Questo sistema ha distorto il capitalismo e il rapporto delle sue élite con la tassazione e la sfera pubblica a tal punto che potenti interessi acquisiti sono ora legati a un sistema finanziario che a) nasconde la cleptocrazia, il crimine e le interferenze straniere, e b) esacerba la disuguaglianza in misura non riconosciuta proprio a causa della segretezza del sistema. Lo stato del regno pubblico dimostra che il capitalismo con un sistema di segretezza è diventato sempre più difficile da controllare per una politica democratica. Comprendendo l’architettura del sistema di segretezza finanziaria, si può individuare il modo di decostruirlo.

Sotto la superficie del nostro sistema finanziario si nasconde un mondo invisibile che vale trilioni di dollari. Questo regno vasto ed esteso, sia offshore che onshore, sta minando il capitalismo e la democrazia dall’interno. Raymond Baker lo chiama il sistema di segretezza finanziaria, e tra le gravi minacce odierne alla democrazia è una delle meno riconosciute.1 Composto da milioni di conti nascosti, trust segreti, entità mascherate, scambi artificiali, proprietà opache e altro ancora, questo mondo parallelo non potrebbe differire in modo più netto da quello che il cittadino medio di una democrazia occidentale vive come sistema finanziario. Anziché essere uno spazio sottoposto a un intenso scrutinio e osservazione, monitorato da tutto, dagli ultimi algoritmi bancari agli occhi attenti dei funzionari del fisco, questa dimensione nascosta è il luogo in cui chi è abbastanza ricco da accedervi va a nascondere la propria ricchezza ed evitare le tasse. Invece di essere una risorsa per il capitalismo e la democrazia occidentali, questo mondo segreto e le sue operazioni segrete agiscono su entrambi come un veleno silenzioso.

Gli autori
Charles G. Davidson
Charles G. Davidson è editore di The American Interest ed ex membro del consiglio di amministrazione di Freedom House. Dal 2014 al 2018 è stato direttore esecutivo della Kleptocracy Initiative dell’Hudson Institute.

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Ben Judah
Ben Judah è senior fellow presso il Consiglio Atlantico e autore di This Is Europe: The Way We Live Now (2023).

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O forse il veleno non è più così silenzioso: questo mondo parallelo è ormai cresciuto così tanto da incrinare visibilmente l’ordine politico da cui è nato. La segretezza finanziaria è cresciuta negli ultimi anni, mentre le élite hanno abbandonato il dovere di pagare la loro parte. La metastasi della cultura dell’evasione fiscale da parte delle imprese e dei ricchi ha indebolito i valori, le istituzioni e gli obiettivi nazionali in tutto l’Occidente, alimentando al contempo livelli di disuguaglianza che distruggono la coesione nazionale, fanno crescere il risentimento e alimentano la rabbia. Tutto ciò dà potere ai nemici della democrazia in patria e all’estero, sia che si tratti di populisti nazionali che giurano di distruggere il sistema abusivo, sia che si tratti di cleptocrati e criminali autoritari che manipolano il sistema per coprire le proprie malefatte.

I governi devono intervenire in modo drastico per chiudere questo sistema finanziario parallelo, criminalizzare chi lo favorisce e riaffermare la sovranità sulla tassazione.

L’elusione fiscale, ovvero i metodi tecnicamente legali per eludere la tassazione, è sempre stata presente. La democrazia, e in particolare la democrazia ridistributiva e socialmente consapevole, no. In seguito alla Prima Guerra Mondiale e alle tasse elevate che essa comportava, è iniziata un’elusione fiscale su larga scala, dapprima principalmente attraverso la Svizzera e le dipendenze della Corona britannica di Jersey e Guernsey nelle Isole del Canale.

Negli anni Sessanta, la crescita del segreto finanziario si è accelerata quando le società occidentali hanno cercato di navigare nel nuovo ordine postcoloniale che stava emergendo in Africa e in Asia e le élite occidentali hanno iniziato a soffrire per i rigori della socialdemocrazia del dopoguerra. Il numero di paradisi fiscali è esploso, passando da una manciata negli anni tra le due guerre a più di settanta oggi, tra cui Bermuda, Isole Cayman, Curaçao, Hong Kong e Singapore. Banchieri, avvocati e contabili hanno scoperto che questi luoghi liminari offrivano basi operative interessanti, lontane dagli uffici fiscali occidentali. Queste destinazioni sono state pubblicizzate dal Financial Times come fornitori di veicoli societari offshore e da allora si sono intrecciate con quasi tutti gli aspetti degli affari societari, della vita politica e della geopolitica. Espandendosi rapidamente “sotto il radar” dell’opinione pubblica, questi bastioni offshore della segretezza finanziaria stavano minando i principi stessi del capitalismo politico e della democrazia onshore, in particolare la santità dello Stato di diritto2.

La segretezza finanziaria è arrivata anche a terra, e in grande stile. Nel 2019, l’Hudson Institute ha classificato gli Stati Uniti come il secondo peggior paradiso di segretezza finanziaria al mondo, tra la Svizzera e le Isole Cayman.3 Tre anni dopo, il Tax Justice Network ha definito gli Stati Uniti il primo sostenitore del segreto finanziario al mondo.4 I cambiamenti nella Cina post-Mao e la fine della Guerra Fredda hanno fatto aumentare la domanda di segretezza finanziaria, poiché le élite cinesi ed ex-sovietiche hanno iniziato a pagare avvocati, banchieri e contabili occidentali per aiutarli a nascondere e riciclare i guadagni illeciti. Secondo una stima, la somma illecitamente sottratta alla Russia tra il 1994 e il 2011 è stata di ben 211,5 miliardi di dollari.5 Pochi si rendono conto di come queste tendenze abbiano fatto crescere il sistema di segretezza finanziaria fino a proporzioni così gigantesche, che l’economista James S. Henry stima in oltre 50.000 miliardi di dollari.6

Il fatto che il problema posto dal sistema di segretezza finanziaria sia passato in gran parte inosservato non deve sorprendere. Il sistema è progettato per essere opaco sia per le forze dell’ordine che per il pubblico. Solo di recente, le fughe di notizie di insider che hanno fatto notizia, come i Panama Papers (2016) e i Paradise Papers (2017, probabilmente frutto di hackeraggio più che di fuga di notizie), hanno iniziato a mettere a nudo il funzionamento del sistema. Sono stati resi disponibili milioni di documenti che descrivono in dettaglio le transazioni offshore di aziende come Apple, Facebook, McDonald’s e Walt Disney, nonché di persone come i reali britannici e Wilbur Ross, che è stato segretario al commercio degli Stati Uniti dal 2017 al 2021. L’insieme di questi documenti mostra una massiccia evasione fiscale, l’occultamento di bottini cleptocratici e l’elusione sistematica dello Stato di diritto. Alla fine del 2021, la fuoriuscita dei Pandora Papers ha offerto le prove dell’evasione fiscale da parte di una serie di persone che vanno dall’ex capo del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn al Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, quest’ultimo tra i trentacinque attuali o ex leader nazionali insieme a circa quattrocento funzionari di grado inferiore. È lecito pensare che queste fughe di notizie, per quanto grandi, ci abbiano dato solo una visione dal buco della serratura di un’industria molto più grande.

Questo è lo stato del nostro mondo finanziario. Per capire veramente perché è così pericoloso, è necessario considerare i principi primi. Cosa sta alla base dell’ordine politico?

Esodo delle élite
Migliaia di anni fa, Aristotele avvertiva nella sua Politica che “nelle democrazie … dove le leggi non sono supreme, nascono i demagoghi” (Bk. IV, cap. 4, 1292a, traduzione di Benjamin Jowett). Dalla Casa Bianca al Washington Post, oggi si sostiene comunemente che la democrazia è in pericolo. Ma invece di concentrarsi sulle personalità o sulle parti in campo, è più rivelatore esaminare i fondamenti. Per Aristotele, l’etica e la politica sono indissolubili e la prima, attraverso gli individui e soprattutto coloro che appartengono alle élite, influisce sulla seconda. Per questo motivo, egli ammoniva che quando coloro che detengono il potere in una democrazia, attraverso le loro disposizioni morali, scelgono di lasciare che le leggi diventino deboli o di evitarle, la democrazia sarà esposta all’influenza dei demagoghi.

Le democrazie occidentali si trovano oggi sulla strada che porta alla zona di pericolo di Aristotele. Negli ultimi sessant’anni, le decisioni delle élite, sostenute dalla loro etica politica, hanno trasformato il capitalismo globale in modo poco apprezzato ma strutturalmente significativo. Le élite occidentali, non più impegnate come i loro predecessori nei valori del servizio pubblico, né timorose di disordini interni o di una superpotenza rivale anticapitalista, sono progressivamente uscite dal sistema esistente. La tassazione è ora considerata facoltativa, mentre le élite competono per vedere chi riesce a versare il contributo più esiguo al settore pubblico. Lo hanno fatto attraverso paradisi fiscali, giurisdizioni segrete, entità mascherate, scambi falsificati e altro ancora. Tutto ciò nasconde le entrate, occulta la ricchezza, evita le tasse e favorisce la criminalità, la corruzione e la cleptocrazia. Gli affari nascosti, che un tempo erano piccoli e marginali, sono ora invischiati nel sistema finanziario nel suo complesso, nascondendo un enorme stock di “ricchezza furtiva”.

Questa gigantesca pila di fondi, non contabilizzata nelle statistiche economiche, si è accumulata costantemente in giurisdizioni segrete, al di fuori della portata e della conoscenza dei funzionari del fisco. Questo dirottamento della ricchezza verso luoghi irraggiungibili sposta l’onere fiscale sulla classe media e sui poveri. Ciò significa, tra l’altro, che la disuguaglianza di ricchezza è molto più grande di quanto mostrino le misure ufficiali: Secondo Jim Henry, c’è un eccesso di 50.000 miliardi di dollari di cui la classe media e i poveri non possiedono nemmeno un centesimo. L’appetito per la “retribuzione” – e l’opportunità che questo rappresenta per i demagoghi – non deve sorprendere.

La base del contratto sociale, il principio che tutti sono soggetti alla legge, è stata infranta. Il sistema di segretezza finanziaria e l’oceano di “ricchezza furtiva” che custodisce sono il motivo per cui il 58% degli americani dichiara ai sondaggisti di essere insoddisfatto dell’andamento della democrazia e per cui uno scioccante 85% ritiene che il sistema politico statunitense necessiti di una profonda o completa revisione.7 Le élite sono diventate non solo politicamente ma anche finanziariamente irresponsabili.

Le élite occidentali, con il loro incurante disprezzo per lo spirito e spesso per la lettera delle leggi fiscali dei loro Paesi, stanno minacciando il rapporto tra capitalismo e democrazia e, di conseguenza, stanno corteggiando l’instabilità politica. Lungi dall’essere una curiosità caraibica, il sistema di segretezza finanziaria ha permesso a plutocrati, truffatori, riciclatori di denaro e cleptocrati autoritari di ridurre la base imponibile accessibile dell’Occidente e, con essa, i servizi pubblici; ha aumentato i debiti delle nazioni; ha degradato l’equità e l’efficienza dei mercati e ha reso la sicurezza nazionale più difficile da difendere. Il risultato è stato quello di rendere i sistemi politici occidentali sempre più vulnerabili, tesi e destabilizzati dall’aumento delle disuguaglianze, agli attacchi esterni e interni. Attraverso sviluppi antidemocratici come quelli sopra elencati, il capitalismo con segretezza – in altre parole, il capitalismo senza trasparenza, integrità e responsabilità – sta minando la democrazia liberale.

Quattro fattori chiave sono alla base di questo sviluppo. In primo luogo, le potenze ex-coloniali, Regno Unito e Paesi Bassi in testa, hanno visto nella creazione di paradisi fiscali nelle dipendenze d’oltremare un modo per conservare territori lontani (le Cayman, Curaçao, Hong Kong) e allo stesso tempo utilizzarli per rafforzare il ruolo della metropoli negli affari finanziari globali. In secondo luogo, soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, i politici neoliberali di destra hanno visto l’espansione di questo sistema parallelo come una tranquilla riduzione delle tasse de facto, e hanno pensato che avrebbe potuto addirittura sottrarre i flussi finanziari chiave all’influenza del governo. In terzo luogo, poiché il sistema di segretezza finanziaria si è insinuato profondamente nell’economia onshore, le élite che traggono profitto dalla segretezza hanno esercitato (e continuano a esercitare) pressioni per proteggerlo e mantenere i loro benefici. Le ricche élite statunitensi e britanniche e i donatori dei partiti politici hanno fatto sentire la loro influenza soprattutto in questo senso. Infine, i politici occidentali hanno giudicato erroneamente il segreto finanziario come una questione periferica, un errore che avrebbe avuto gravi conseguenze politiche.

Il sistema di segretezza finanziaria sta delegittimando il capitalismo e la democrazia occidentali. Se gli Stati Uniti e i loro alleati europei non smantellano questo sistema, non saranno più in grado di mantenere la tranquillità interna, di affrontare la concorrenza di potenze autoritarie e di vincere la corsa verso un’economia a zero emissioni di carbonio che definirà le industrie del futuro e chi ne avrà il controllo. La posta in gioco non è solo la possibilità di ripristinare una dinamica di rafforzamento reciproco tra capitalismo e democrazia, ma anche la possibilità che l’Occidente continui ad avere successo come Stato e società.

Negli anni Novanta, circa due terzi dei cittadini dell’Europa occidentale, del Nord America, dell’Asia nordorientale e dell’Australasia dichiaravano ai sondaggisti di essere soddisfatti della democrazia nei loro Paesi.8 Un sondaggio YouGov del 2023 ha rilevato che il 70% degli intervistati statunitensi valutava la propria soddisfazione per la democrazia americana con un punteggio pari o inferiore a cinque su una scala di dieci punti. Nello stesso sondaggio, la percentuale di americani che ha valutato la soddisfazione per la democrazia del proprio Paese pari a zero è stata del 21%.9 Nel frattempo, la sensazione che la democrazia sia in pericolo è una fonte di rara unità nei focus group.10 La sfiducia nelle élite e nelle loro macchinazioni finanziarie occulte e autogestite sta contribuendo ad alimentare una crescente sfiducia dell’opinione pubblica verso la democrazia e le istituzioni che la sostengono.

Segretezza finanziaria contro sovranità democratica
La fragilità della democrazia occidentale è il risultato di un più ampio attacco allo Stato. Non dovrebbe sorprendere che la capacità dello Stato americano, europeo e occidentale in generale sia diminuita mentre la segretezza finanziaria prosperava. Questo perché il sistema di segretezza finanziaria limita la sovranità dello Stato per sua stessa natura. Come ha documentato lo storico Quinn Slobodian, la segretezza è solo uno dei fronti di un più ampio tentativo neoliberista degli ultimi sessant’anni di sottrarre il mercato al controllo democratico.11 Lo scopo del sistema di segretezza finanziaria è quello di consentire a individui ricchi e a società potenti di godere dello stato di diritto e degli altri vantaggi offerti dalle democrazie statunitensi, europee e di altri Paesi, nascondendo allo stesso tempo i beni alle autorità. Le strutture di segretezza e la sovranità statale sono quindi intrinsecamente antagoniste.

Una delle grandi ironie in gioco è che le principali democrazie consolidate hanno creato una zona di segretezza finanziaria che persino le loro stesse forze dell’ordine trovano molto difficile da penetrare. Ma lungi dall’essere una testimonianza di libertarismo a due pugni, il sistema di segretezza finanziaria dipende interamente dallo Stato. Il sistema ha bisogno di quattro cose. In primo luogo, richiede una legislazione che crei la finzione legale di un patrimonio domiciliato in un luogo in cui non è né presente né attivo, lasciando che i suoi proprietari “effettivi” (cioè reali) mantengano nascosta la propria identità. Inoltre, gli stessi governi che approvano tali leggi devono accettare trattati e accordi fiscali che consentono a una serie di entità subnazionali, semi-indipendenti o nazioni straniere di domiciliare legalmente beni che sono effettivamente presenti nelle democrazie occidentali, negando alle autorità occidentali la possibilità di tassare tali beni o anche solo di venirne a conoscenza. Non si tratta semplicemente di come un centro politico riconosce un altro, ma di come il primo centro sceglie di trattare i propri attori d’élite e i propri strumenti legali.

In terzo luogo, il segreto finanziario si basa sul fatto che le autorità nazionali permettano legalmente e addirittura accreditino una panoplia di “facilitatori” – avvocati, contabili, banchieri, agenti di costituzione, venditori di criptovalute – la cui attività consiste nel nascondere i patrimoni. Oltre a questi agenti umani della segretezza, i governi devono anche autorizzare una serie di strumenti astratti – dalle società di comodo di proprietà anonima alle criptovalute – il cui scopo è quello di proteggere la ricchezza dai governi che potrebbero cercare di tassarla.

Infine, l’intera macchina può funzionare solo se alle entità ammantate dal sistema di segretezza viene concessa la piena capacità di operare all’interno di giurisdizioni di diritto, dove se qualcosa va storto possono chiedere un risarcimento. Pertanto, il sistema di segretezza finanziaria dipende interamente da ciò che cerca di minare. Questo stato di cose è il risultato di una serie cumulativa di scelte volte a valorizzare la segretezza più della sovranità, a scapito dello Stato di diritto. Questo è un motivo essenziale per cui siamo entrati nella zona di pericolo di Aristotele.

Negli Stati Uniti, un esempio preoccupante di cosa significhino queste quattro condizioni si trova al 650 della Fifth Avenue a New York. In questo caso, una combinazione di leggi statunitensi e di assoldati ha permesso alla Repubblica islamica dell’Iran – uno dei quattro Paesi inclusi nell’elenco ufficiale del Dipartimento di Stato americano degli Stati sponsor del terrorismo – di nascondere la proprietà di un grattacielo di Manhattan. L’Iran si nascondeva dietro una rete di società di comodo offshore che alla fine risalivano all’isola di Jersey. Per ventidue anni, la Repubblica islamica ha usato l’edificio per violare le sanzioni.12 Questa storia – il cui ultimo colpo di scena è una sentenza del 2019 di una corte d’appello federale che permette all’Iran di tenere l’edificio – illustra perfettamente come gli Stati Uniti si ostacolino con le loro stesse leggi e permettano che i loro professionisti vengano usati contro di loro. Grazie alle barriere poste dal sistema di segretezza finanziaria, ci sono voluti due decenni e cinque agenzie (il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, l’FBI, la Polizia di New York, l’IRS e l’ufficio del Procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Sud di New York) per porre fine agli affari illeciti dell’Iran.

Nel Regno Unito si sono verificate assurdità simili. A Edimburgo, si è scoperto che un appartamento fatiscente di edilizia popolare è stato utilizzato come indirizzo da ben 530 Scottish Limited Partnership, entità societarie preferite dai criminali per la loro capacità di garantire l’anonimato. L’indirizzo è stato anche collegato a un miliardo di dollari sottratto alla Moldavia, nazione dell’Europa orientale in difficoltà, pari a circa il 12% del suo PIL.13 Ancora una volta, sono state le leggi, le agevolazioni e l’applicazione britanniche a permettere, creare e favorire un ambiente in cui tali veicoli potessero essere utilizzati per saccheggiare un Paese che il Regno Unito stava apparentemente sostenendo contro l’influenza russa e per consolidare la sua democrazia.

Come possiamo vedere a Edimburgo o a New York, ognuna di queste scelte che hanno permesso al sistema di segretezza finanziaria di prosperare sta ora avendo un impatto profondamente negativo sulla sovranità delle democrazie occidentali. L’accettazione del principio dell’anonimato e della finzione di profitti o patrimoni extraterritoriali sta minando la capacità del mondo democratico di finanziare i servizi pubblici in un momento in cui le richieste allo Stato sono sempre maggiori. Questo ha portato a un debito nazionale più alto di quanto sarebbe stato altrimenti e a uno spostamento del carico fiscale dai ricchi e dalle società super redditizie ai segmenti più poveri della società. Questo rappresenta una terribile erosione della capacità sovrana.

Ciò impedisce alle democrazie occidentali di affrontare la loro prima grande sfida: garantire la stabilità interna e l’armonia sociale. Ciò è particolarmente evidente negli Stati Uniti, dove il sistema di segretezza finanziaria ha esacerbato e radicato la disuguaglianza, favorendo uno dei più alti tassi di disuguaglianza di reddito e di ricchezza del mondo sviluppato.14 I movimenti populisti sia di destra che di sinistra, da Occupy Wall Street nel 2011 fino al movimento di Trump del 2016, hanno lamentato che molti milioni di americani sono stati lasciati indietro. In Europa, l’ascesa del populismo ha visto la Gran Bretagna espellersi dall’Unione Europea con il referendum sulla Brexit del 2016, l’estrema destra salire al potere in Italia con il primo ministro Giorgia Meloni e l’estrema destra ottenere il secondo posto in Germania e in Francia.15 In tutto il continente, i partiti populisti hanno guadagnato quote di voti.16 I fallimenti della globalizzazione neoliberale stanno rendendo meno stabili le società democratiche in tutto l’Occidente; il sistema di segretezza finanziaria costituisce uno di questi fallimenti.

L’accettazione dei “facilitatori” del segreto e di tutti i suoi strumenti sta anche minando la capacità dell’Occidente di competere con le potenze autoritarie e di proteggere le istituzioni politiche occidentali.17 I cleptocrati in Russia o in Cina possono spostare denaro in modo anonimo in Occidente, acquistando beni e costruendo reti che facilitano le interferenze politiche e compromettono la sicurezza e le istituzioni democratiche delle nazioni occidentali. La portata del segreto finanziario globale, inoltre, ha reso possibile un’età dell’oro del riciclaggio di denaro che aiuta i cleptocrati a convertire la ricchezza rubata in nuove fonti di potere. Queste possono includere funzionari occidentali corrotti, eserciti privati di mercenari e falangi di sostenitori reclutati tra i ranghi professionali occidentali18.

Molti autocrati e autoritari moderni sostengono i loro regimi con quello che per loro è un modello di business “migliore dei due mondi”: Possono imporre l’autoritarismo in patria mentre parcheggiano i loro beni saccheggiati all’estero sotto l’egida dello stato di diritto occidentale. La Russia del presidente cleptocratico Vladimir Putin ne è un esempio. Dopo aver trascorso gran parte degli ultimi vent’anni utilizzando Londra e altre giurisdizioni britanniche come porte d’accesso al sistema di segretezza finanziaria, l’élite russa ha risposto alle sanzioni spostando gran parte del suo riciclaggio di denaro negli Emirati Arabi Uniti. La geopolitica può essere cambiata, ma il modello di business dell’élite rimane lo stesso.19

Senza i rifugi sicuri offerti dal sistema di segretezza finanziaria, i regimi autoritari dovrebbero trovare nuovi modi per occuparsi degli affari. Se il lavoro di spostare e conservare il bottino al di fuori del proprio Paese perdesse un po’ della sua certezza, i cleptocrati dovrebbero tenere più denaro in patria, dove sarebbe più accessibile alla responsabilità politica e all’appropriazione. Questo renderebbe il modello di business dell’autoritarismo contemporaneo molto meno attraente per chi è al comando. Forse, come le élite europee del XIX secolo che permisero riforme sociali e politiche nella speranza di prevenire le rivoluzioni, gli autoritari con le ricchezze interne di cui preoccuparsi prenderebbero in considerazione la possibilità di allentare la presa (anche se solo come parte di un tentativo di dissipare l’opposizione).

Gli esempi di quanto le democrazie occidentali rendano le cose facili ai cleptocrati sono numerosi. Solo l’anno scorso, nonostante le sanzioni, il defunto signore della guerra russo e leader del Gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin è stato in grado di assumere i servizi di avvocati britannici che hanno usato tattiche di lawfare contro i giornalisti e hanno suggerito una scuola privata d’élite per suo figlio.20 Per decenni, e con grande disappunto dei democratici russi, le élite allineate a Putin hanno usato i beni immobili di Londra per riciclare i loro contanti, pagando legioni di studi legali, banche e consulenti britannici, per fornire servizi che facilitano la corruzione. Senza contare i centri finanziari offshore come le Isole Cayman (un territorio britannico d’oltremare autogovernato) con il loro famigerato sistema bancario.21 Lasciando che tutto questo avvenga sotto le leggi britanniche e sul suolo britannico, il governo del Regno Unito ha prestato, con azioni e inazioni, aiuto e conforto all’autocrazia russa, anche se pubblicamente si atteggia ad amico della causa della democrazia russa.

Non si potrebbe chiedere un esempio più chiaro di come il sistema di segretezza finanziaria minacci gli obiettivi di lunga data dell’Occidente di promuovere la democrazia e lo sviluppo internazionale. Il flusso di capitali da fonti dubbie attraverso il sistema di segretezza finanziaria mina non solo la sovranità dei vari Paesi occidentali che permettono questi flussi nascosti, ma erode anche il terreno sotto la sovranità nazionale e popolare più globalmente, consentendo e consolidando la cattura dello Stato in più Paesi. Meno sovranità democratica c’è nel mondo, più il mondo è sicuro per le altre due categorie politiche chiave di Aristotele e per i nemici della democrazia: la tirannia e l’oligarchia.

Questo ha implicazioni terribili per l’alleanza occidentale su entrambe le sponde dell’Atlantico. Le democrazie costituzionali stanno tentando di combattere un’intensificazione della competizione tra grandi potenze con la Cina, solo per scoprire che i loro sforzi sono compromessi dallo sfruttamento del sistema di segretezza finanziaria da parte della Cina. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden chiede un “nuovo consenso di Washington” basato sulla sicurezza delle linee di approvvigionamento, sul reshoring della produzione, sulla politica industriale verde e sul dominio delle industrie in ascesa, destinate a prosperare nel contesto della decarbonizzazione. Tutto questo potrebbe essere presentato come una “politica estera per la classe media”, ma in realtà il segreto finanziario lo bloccherà.

Nessuno di questi obiettivi politici legati alla gara con la Cina sarà raggiunto se si permetterà alla segretezza di privare di trasparenza ogni catena di valore o tecnologica. Senza trasparenza, le sanzioni statunitensi, ad esempio per il furto della proprietà intellettuale dei chip per computer, diventeranno uno strumento maldestro e pieno di buchi. La Commissione sul furto di proprietà intellettuale americana ha notato che le entità cinesi si affidano a società di comodo per nascondere il furto di proprietà intellettuale ed eludere le sanzioni. Allo stesso modo, la U.S.-China Economic and Security Review Commission ha avvertito che non sarà in grado di individuare e controllare adeguatamente gli investimenti cinesi in aziende tecnologiche statunitensi se le identità dei veri proprietari di queste aziende vengono oscurate.22 Nel frattempo, il sistema di segretezza finanziaria sta anche indebolendo la posizione dell’Occidente nei confronti della Russia e della guerra d’Ucraina, minando le sanzioni contro il regime di Putin e minacciando di rendere l’Ucraina una candidata non candidabile all’adesione all’Unione Europea a causa della corruzione.23

Nils Gilman osserva che il sistema di segretezza finanziaria è stato alimentato da quelle che definisce le “insurrezioni gemelle” della plutocrazia e della criminalità organizzata, entrambe ostili ai vincoli di una democrazia funzionante.24 Plutocrati e criminali, a quanto pare, preferirebbero qualcosa di simile al feudalesimo, con il suo mosaico di caste ed esenzioni sotto uno Stato debole, oltre a un ordine economico i cui fondamenti la popolazione non può mettere in discussione.

La sovranità come base della democrazia è un’idea sviluppata per la prima volta da filosofi illuministi come John Locke e Jean-Jacques Rousseau, quando le società dell’Europa occidentale si stavano lasciando alle spalle il feudalesimo. La sovranità occidentale e la democrazia costituzionale occidentale, dobbiamo ripeterlo, sono legate: Se la prima declina, lo farà anche la seconda. Da questo punto di vista, il fatto che forze ostili alla democrazia abbiano costruito qualcosa come il sistema di segretezza finanziaria per intaccare la sovranità democratica non sembra affatto un caso. Portare la democrazia occidentale nella zona di pericolo di Aristotele è stata una scelta di coloro che favoriscono un sistema politico che egli riconoscerebbe immediatamente come oligarchia.

Minare la sovranità democratica
L’entità della ricchezza sottratta alle autorità fiscali nazionali – 50.000 miliardi di dollari entro il 2020, secondo James Henry – si è rivelata molto più grande di quanto si pensasse. Il sistema di segretezza finanziaria ha ormai distorto a tal punto i flussi commerciali e di investimento internazionali che le statistiche ufficiali indicano che il piccolo Lussemburgo (660.000 abitanti) ha una quantità di investimenti diretti esteri pari a quella degli Stati Uniti e molto più della Cina.25 Questa “ricchezza furtiva” oscurata è altamente concentrata nelle giurisdizioni occidentali. Secondo le stime, quelle sotto la sovranità britannica, compresi i famigerati paradisi fiscali come Jersey e le Isole Cayman, detengono un terzo della ricchezza offshore totale, mentre la Svizzera è ritenuta il più grande centro finanziario offshore del mondo26 . Attori potenti che perseguono il proprio profitto hanno costruito il sistema di segretezza finanziaria per limitare la sovranità nazionale.

Per raggiungere i loro scopi, utilizzano innanzitutto la complessità, mascherando il sistema in modo che sia difficile da identificare. Le intricate reti di società di comodo sono uno dei trucchi preferiti. In secondo luogo, le diverse giurisdizioni si mettono l’una contro l’altra e competono per vedere chi riesce ad accaparrarsi il maggior numero di affari con tasse ridotte, norme poco rigorose e opacità strategica. Il terzo è la cattura: dare ai politici incentivi finanziari per guardare dall’altra parte. Infine, la coercizione finanziaria: minacciare i politici che sembrano agire contro la segretezza con la prospettiva di finanziare altri politici rivali che non lo faranno. Questi metodi hanno ostacolato l’azione politica volta a frenare il segreto finanziario e hanno lasciato i partiti tradizionali in tutto l’Occidente riluttanti a tentare qualcosa di più forte di un timido rimedio, una forma di azione che cerca solo di migliorare un problema e non di impegnarsi in un cambiamento trasformativo. La Rete per la giustizia fiscale ha identificato il Regno Unito come uno dei principali procrastinatori. I funzionari britannici hanno promesso che le tre Dipendenze della Corona e i quattordici Territori britannici d’oltremare dovranno istituire dei registri delle proprietà effettive, ma le scadenze sono state posticipate. Recenti dichiarazioni lasciano intendere che queste giurisdizioni potrebbero non istituire mai tali registri, e Jersey ha persino introdotto un nuovo veicolo anonimo.27 Negli Stati Uniti, invece, analisti e funzionari considerano i tentativi di applicare la legge sulla trasparenza societaria del 2021 per lo più un fallimento.

Una complessità artificiale e artificiosa è stata per lungo tempo un involucro chiave della segretezza. La pura e semplice difficoltà di spiegare le lunghe e noiose catene di società di comodo che si annidano ostacola il dibattito politico e la comprensione popolare. Nel frattempo, anche i professionisti che lavorano per le autorità pubbliche trovano particolarmente difficile e lungo rintracciare e dimostrare la proprietà effettiva dei beni nascosti per mezzo di questi giochi di facciata. Le sabbie del tempo (e con esse i termini di prescrizione) corrono mentre l’azione legale si trova impantanata nelle sabbie mobili di un ritardo indefinito. Come ha ammesso l’FBI alla commissione bancaria del Senato degli Stati Uniti nel 2019:

L’uso strategico di queste entità rende le indagini esponenzialmente più difficili e laboriose. L’onere di scoprire i veri beneficiari può spesso ostacolare o ritardare le indagini, richiedendo spesso processi legali duplicati e lenti in diverse giurisdizioni per ottenere le informazioni necessarie. Questa pratica richiede tempo e denaro28.

Anche alcuni alti funzionari ritengono che il sistema di segretezza finanziaria sia troppo complesso da comprendere, riformare o abolire. Espedienti di facile comprensione, come i registri delle proprietà beneficiarie, hanno guadagnato terreno a scapito di proposte di legge che taglierebbero il segreto finanziario alla radice. Questo rimedio di bassa potenza è la conseguenza non di una legge finanziaria o economica, ma di un’industria di servizi segreti che usa deliberatamente la complessità per nascondere i beni. Il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ) ha scoperto che i Pandora Papers mostrano quasi 400.000 società legate a beneficiari russi.29 L’ICIJ ha inoltre mostrato esempi di oligarchi russi che spostano beni attraverso il sistema di segretezza finanziaria non solo prima ma anche dopo l’imposizione delle sanzioni. Questo nonostante anni di politiche occidentali correttive.

La creazione di complessità e l’incitamento alla concorrenza tra le giurisdizioni fiscali per offrire le aliquote più basse non sono l’intera storia di come l’industria dei servizi segreti abbia indebolito la democrazia occidentale. All’interno dei Paesi, i ricchi e i potenti hanno usato sia la cattura che la coercizione per impedire ai governi nazionali di agire contro l’industria. Le macchinazioni che determinano chi vince e chi perde dal sistema fiscale non solo hanno costruito la macchina della segretezza, ma la mantengono anche. Il segreto finanziario, in altre parole, fa parte della storia più ampia dell’ordine economico neoliberale. Oggi, quest’ordine incoraggia una certa impotenza appresa da parte dell’ufficialità. Se le democrazie occidentali vogliono recuperare la loro sovranità dal mondo della ricchezza nascosta, dovranno disimparare questo senso di impotenza sotto la guida di una semplice intuizione: Ciò che è stato politicamente costruito (il segreto finanziario) può essere politicamente disfatto.

Riaffermare la sovranità democratica
Il rimedio non è sufficiente. Il recupero della sovranità occidentale richiederà un cambiamento culturale, perché la politica è a valle della cultura. Per avviare il cambiamento, è necessario spiegare e diffondere il più possibile l’esistenza e le conseguenze negative del segreto finanziario. Poi, il segreto finanziario sistematico – i suoi mali messi in mostra – deve essere reso inaccettabile. Gli Stati Uniti sono l’ancora del capitalismo globale e devono quindi assumere un ruolo di primo piano. Lo stesso vale per il Regno Unito, la cui rete di satelliti fiscali è stata stimata essere responsabile del 40% di tutte le perdite fiscali subite dagli altri Paesi. Infine, l’Unione Europea deve essere coinvolta, dal momento che Bruxelles esercita un immenso potere normativo e che l’Unione Europea comprende punti nevralgici per la segretezza finanziaria come il Lussemburgo.

I grandi movimenti di riforma politica che hanno plasmato la democrazia statunitense, dal rifiuto della Corona britannica al rifiuto della schiavitù umana, sono iniziati tutti con una riflessione e una rivalutazione morale. Lo stesso è ora richiesto alle società occidentali e in particolare alle loro élite nazionali se l’Occidente vuole raddrizzarsi e porre fine a questa minaccia. Allo stato attuale, l’Occidente faticherà a mantenere l’armonia sociale, a proteggere le proprie istituzioni e ad avere successo nella competizione tra grandi potenze e nella modernizzazione finché il sistema di segretezza finanziaria prospererà.

Al momento in cui scriviamo, i governi occidentali sono in ritardo. Nonostante l’amministrazione Biden abbia lanciato nel dicembre 2021 la Strategia statunitense per la lotta alla corruzione e il Congresso abbia approvato nello stesso anno la Legge sulla trasparenza delle imprese, l’azione degli Stati Uniti è ancora insufficiente. L’attuazione dei requisiti di rendicontazione delle proprietà effettive è prevista per gennaio 2024, ma occorre fare di più per smantellare il sistema di segretezza finanziaria. La Gran Bretagna, come già detto, continua a ritardare l’azione sui suoi satelliti fiscali. L’UE ha fatto un passo indietro con il recente parere della Corte di giustizia europea che limita l’accessibilità dei registri delle proprietà effettive. Ovunque, i sostenitori dell’Occidente continuano a gestire impunemente il sistema di segretezza finanziaria30.

L’approccio tecnocratico alla politica spesso dimentica che al centro della buona politica c’è una questione morale, la questione di come dovremmo vivere. Solo con un rinnovato abbraccio della politica morale si possono bandire le tattiche della macchina finanziaria-segreta dalla vita delle nazioni. L’Occidente ha bisogno di un cambiamento psicologico che rifiuti le assurdità e gli inganni del sistema finanziario-segreto. Il punto di partenza devono essere i principi, non le politiche. È necessaria una campagna etica concertata per respingere i quattro pilastri del sistema di segretezza: 1) le leggi che accettano la finzione di società anonime e attive a livello nazionale ma domiciliate all’estero; 2) le giurisdizioni segrete o i paradisi fiscali che vengono abitualmente trattati come se fossero Stati di diritto; 3) le leggi che consentono ai “facilitatori” di consentire l’elusione della legge; 4) l’impegno con qualsiasi strumento progettato per promuovere la segretezza finanziaria.

Questo approccio sarebbe audace, ma non inedito per il Campidoglio americano. Il defunto senatore Carl Levin (D.-Mich.) ha proposto per la prima volta misure per eliminare il riconoscimento legale dei paradisi fiscali nel 2006, sostenendo che “dovremmo presumere che qualsiasi transazione in un paradiso fiscale sia una finzione”.31 Ripristinare questa dimensione etica nella riforma finanziaria è essenziale. Autori che vanno da Adam Smith a Max Weber, o più recentemente David Landes, hanno sottolineato l’importanza della cultura e del “capitale sociale” nel sostenere i risultati economici.

Se da un lato si sottolinea l’aspetto morale, dall’altro non si dovrebbe trascurare l’aspetto pratico dell’argomento: Porre fine all’indebita segretezza finanziaria restituirebbe ricchezza alla società statunitense e stimolerebbe un’economia più forte. Il tempo e l’energia potrebbero essere impiegati per trovare buoni investimenti piuttosto che per individuare il prossimo paradiso fiscale. Lo stesso avverrà per le altre democrazie occidentali. Ovunque i loro spiriti e le loro leggi sono indeboliti dal comportamento scorretto delle élite e, proprio come aveva previsto Aristotele, i demagoghi stanno sorgendo per sfruttare la costernazione e la demoralizzazione che ne derivano.

I politici ai più alti livelli dovrebbero abbracciare la rimozione del sistema di segretezza finanziaria dal capitalismo democratico. In questo modo possono dimostrare che le élite politiche si muoveranno per frenare gli eccessi dei super-ricchi e ridurre il fascino dei demagoghi e del populismo tossico. Questa politica è vicina al punto di svolta in cui diventa politicamente ovvia, ma non ancora del tutto. Le richieste del Senato degli Stati Uniti di istituire un Consiglio transatlantico anticorruzione e il gruppo bipartisan di membri del Congresso che ha portato all’approvazione della legge sulla trasparenza delle imprese sono da lodare, così come il lavoro di innumerevoli giornalisti, attivisti e accademici.

Nella pubblica piazza, l’aggiunta sfigurante del segreto finanziario al capitalismo non sembra avere alcuna legittimità e nessuno studioso, giornalista d’opinione o think tank la difende. Eppure: L’industria del segreto finanziario può anche non avere una lobby palese, ma i suoi difensori sono numerosi. Chi cerca di agire dovrebbe trarre giovamento dalla riflessione che ogni volta che una campagna pubblica ha raggiunto uno slancio politico negli Stati Uniti (con il Corporate Transparency Act) o nel Regno Unito o nell’Unione Europea (registri delle proprietà effettive), i difensori della segretezza hanno perso quando si sono trovati costretti a far valere le proprie ragioni alla luce del sole. Coloro che traggono profitto dal sistema sono molto impopolari in tutto l’Occidente. La clandestinità è stata la loro forza; più vengono smascherati, più diventano deboli.

Guardando indietro agli ultimi sessant’anni, la colpa dell’ingenuità politica è stata pari a quella del cinismo politico nel lasciare che il sistema di segretezza finanziaria prosperasse ed esercitasse la sua potente influenza sul capitalismo democratico. Questo perché, per citare la politologa Lea Ypi, è stato un errore pensare che il capitalismo e la democrazia siano congenitamente, piuttosto che contingentemente, compatibili.32 Invece, la storia dell’Occidente negli ultimi sessant’anni dimostra che il capitalismo richiede una regolamentazione se vuole lavorare di concerto con la democrazia. Il compito principale della politica occidentale del XXI secolo dovrebbe essere quello di riportare la democrazia e il capitalismo, che tanto hanno fatto per il mondo moderno, in un allineamento positivo. Spetta all’attuale generazione di leader guidare le democrazie fuori dalla zona di pericolo di Aristotele.

NOTES

1. Raymond W. Baker, Invisible Trillions: How Financial Secrecy Is Imperiling Capitalism and Democracy and the Way to Renew Our Broken System (Oakland: Berrett-Koehler, 2023).

2. Alex Cobham, “The End of Empire and the Rise of Tax Havens,” New Statesman, 7 December 2020, www.newstatesman.com/ideas/2020/12/end-empire-and-rise-tax-havens.

3. Nate Sibley, “Countering CCP Threats with Corporate Transparency,” Hudson Institute, 18 December 2019, www.hudson.org/national-security-defense/countering-chinese-communist-party-threats-with-corporate-transparency.

4. Nicole Sadek, “U.S. Lands Top Spot as World’s Biggest Enabler of Financial Secrecy in New Index,” ICIJ, 17 May 2022, www.icij.org/investigations/pandora-papers/us-lands-top-spot-as-worlds-biggest-enabler-of-financial-secrecy-in-new-index.

5. Sarah Freitas and Dev Kar, “Russia: Illicit Financial Flows and the Underground Economy,” Global Financial Integrity, 13 February 2013, https://gfintegrity.org/report/country-case-study-russia.

6. “$50 Trillion Offshore with James S. Henry,” Global Financial Integrity, 6 July 2020, www.offshore-initiative.com/video-3.

7. “How Americans See Their Country and Their Democracy,” Pew Research Center, 30 June 2022, www.pewresearch.org/short-reads/2022/06/30/how-americans-see-their-country-and-their-democracy.

8. Yascha Mounk and Roberto Stefan Foa, “This Is How Democracy Dies: A New Report Shows That People Around the World Are Collectively Losing Faith in Democratic Systems,” Atlantic, 29 January 2020, www.theatlantic.com/ideas/archive/2020/01/confidence-democracy-lowest-point-record/605686.

9. Jamie Ballard, “Polls from the Past: Democracy, Patriotism, and Trust in Other Americans,” YouGuv, 30 June 2023, https://today.yougov.com/topics/politics/articles-reports/2023/06/30/polls-past-democracy-patriotism-trust-americans. See also Mallory Newall, Chris Jackson, and James Diamond, “Seven in Ten Americans Say the Country Is in Crisis, at Risk of Failing,” Ipsos, 3 January 2022, www.ipsos.com/en-us/seven-ten-americans-say-country-crisis-risk-failing. On attitudes in Britain, see Toby Helm, “Young Adults’ Loss of Faith in UK Democracy,” Guardian, 10 April 2022, www.theguardian.com/politics/2022/apr/10/young-adults-loss-of-faith-in-uk-democracy-survey.

10. Daniel Perrin, “What Happened When 7 Trump Voters and 6 Biden Voters Tried to Find Common Ground,” New York Times, 28 July 2022.

11. Dan McAteer, “A Conversation with Quinn Slobodian: Crack-Up Capitalism (Penguin, 2023),” Oxford Intellectual History, 17 April 2023, https://intellectualhistory.web.ox.ac.uk/article/a-conversation-with-quinn-slobodian-crack-up-capitalism-penguin-2023.

12. Max de Haldevang, “Iran Used Shell Companies to Hide Its Sanctions-Busting Ownership of New York Skyscraper 650 Fifth Avenue,” Quartz, 29 June 2017, https://qz.com/1019253/iran-used-shell-companies-to-hide-its-sanctions-busting-ownership-of-new-york-skyscraper-650-fifth-avenue.

13. Tim Whewell, “The Billion-Dollar Ex-Council Flat,” BBC News, 7 October 2015, www.bbc.com/news/magazine-34445201.

14. “The U.S. Inequality Debate,” Council on Foreign Relations, www.cfr.org/backgrounder/us-inequality-debate.

15. Sabine Kinkartz, “Germany’s Far-Right AfD Sees Poll Numbers Surging,” Deutsche Welle, 6 February 2023, www.dw.com/en/germanys-far-right-afd-gets-a-boost/a-65803522.

16. Laura Silver, “Populists in Europe—Especially Those on the Right—Have Increased Their Vote Shares in Recent Elections,” Pew Research Center, 6 October 2022, www.pewresearch.org/short-reads/2022/10/06/populists-in-europe-especially-those-on-the-right-have-increased-their-vote-shares-in-recent-elections.

17. Ben Judah and Nate Sibley, “The Enablers: How Western Professionals Import Corruption and Strengthen Authoritarianism,” Hudson Institute, 5 September 2018, www.hudson.org/foreign-policy/the-enablers-how-western-professionals-import-corruption-and-strengthen-authoritarianism.

18. Ben Judah, “The Kleptocracy Curse: Rethinking Containment,” Hudson Institute, 20 October 2016, www.hudson.org/foreign-policy/the-kleptocracy-curse-rethinking-containment.

19. Peter Hobson, “From Russia with Gold: UAE Cashes in as Sanctions Bite,” Reuters, 25 May 2023, www.reuters.com/markets/russia-with-gold-uae-cashes-sanctions-bite-2023-05-25.

20. Miles Johnson, “Wagner Inc: A Russian Warlord and His Lawyers,” Financial Times, 24 January 2023, www.ft.com/content/8c8b0568-cdd1-4529-a4fd-82e57983ddc5.

21. Ben Judah, “The Kleptocracy Curse: Rethinking Containment,” Hudson Institute, 6 October 2016, www.hudson.org/foreign-policy/the-kleptocracy-curse-rethinking-containment.

22. Nate Sibley, “Countering Chinese Communist Party Threats with Corporate Transparency,” Hudson Institute, 16 March 2023, www.hudson.org/national-security-defense/countering-chinese-communist-party-threats-with-corporate-transparency.

23. Elina Ribakova, “Transcript of Elina Ribakova’s Presentation,” Bendheim Center for Finance, Princeton University, 14 April 2022, https://economics.princeton.edu/wp-content/uploads/2022/04/Transcript_Ribakova.pdf.

24. Nils Gilman, “The Twin Insurgencies: Plutocrats and Criminals Challenge the Westphalian State,” in Hilary Matfess and Michael Miklaucic, eds., Beyond Convergence: World Without Order (Washington, D.C.: National Defense University, 2016), 47–60.

25. Jannick Damgaard, Thomas Elkjaer, and Niels Johannesen, “The Rise of Phantom Investments,” International Monetary Fund, September 2019, www.imf.org/en/Publications/fandd/issues/2019/09/the-rise-of-phantom-FDI-in-tax-havens-damgaard.

26. Max de Haldevang, “It’s Time to Think About Moving That Spare Billion Dollars You’ve Got Stashed in a Caribbean Tax Haven,” Quartz, 22 December 2016, https://qz.com/869109/britain-could-crack-down-on-trillions-of-dollars-hidden-offshore-in-overseas-territories-like-the-caymans-and-british-virgin-islands.

27. Rupert Neate, “King Charles Urged to Push for Breakup of UK’s ‘Network of Satellite Tax Havens,’” Guardian, 30 April 2023.

28. Steven M. D’Antuono, “Combating Illicit Financing by Anonymous Shell Companies,” Federal Bureau of Investigation, 21 May 2019, www.fbi.gov/news/testimony/combating-illicit-financing-by-anonymous-shell-companies.

29. “ICIJ’s Guide to Russian Wealth Hidden Offshore,” International Consortium of Investigative Journalists, 19 July 2022, www.icij.org/investigations/russia-archive/icijs-guide-to-russian-wealth-hidden-offshore.

30. “ECJ Ruling on Access to Beneficial Ownership Information: Balancing Transparency and Privacy,” Vistra, 23 February 2023, www.vistra.com/insights/ecj-ruling-access-beneficial-ownership-information-balancing-transparency-and-privacy.

31. David Cay Johnston, “Tax Cheats Called Out of Control,” New York Times, 1 August 2006.

32. Progressive International, 22 April 2023, https://twitter.com/progintl/status/1649780589405560832?s=46&t=iHRZ5_Vi6g8XBh-tZBR9_w.

 

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Armarsi contro il futuro, di AURELIEN

Armarsi contro il futuro.

With a few more books and a few old ideas.

Questi saggi saranno sempre gratuiti e potrete sostenere il mio lavoro mettendo un like, commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Grazie anche a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui.Marco Zeloni sta anche pubblicando alcune traduzioni italiane. Philippe Lerch sta gentilmente traducendo un altro dei miei saggi in francese.

Poiché questa settimana sto viaggiando molto, e poiché mi sono imbattuto nella lista di libri che avevo scarabocchiato ma che ho letto solo a metà per il mio saggio di un paio di settimane fa, ho pensato di riprendere più o meno da dove si era interrotto quel saggio, e di provare a parlare di altri libri che ho trovato utili per cercare di capire il mondo.

Questa volta, però, l’approccio sarà piuttosto diverso, in quanto mi occuperò del mondo così com’è oggi, indipendentemente dalla sua origine, e anche di dove sta andando, e di cosa possiamo fare al riguardo. Ancora una volta, non offrirò solo un elenco di libri, ma piuttosto una serie di riflessioni supportate da riferimenti a libri che ho trovato utili. Ancora una volta, inoltre, parlerò solo di libri che ho effettivamente letto.

Possiamo partire da un punto semplice, ma in realtà piuttosto profondo e preoccupante: nella maggior parte delle società occidentali oggi c’è un divario enorme e crescente tra ciò che i governi e i media dicono sul mondo, sulla società e sull’economia e il modo in cui noi sperimentiamo queste cose nella vita reale. Dico “noi”, perché anche i vertici della Casta Professionale e Manageriale. (PMC), o del Partito Interno, come sono arrivato a chiamarli, sono in qualche misura consapevoli della realtà del mondo: semplicemente non gli interessa, e in ogni caso la società fantasma evocata dai discorsi, dai documenti e dai resoconti dei media della PMC e dei suoi tirapiedi gli va benissimo.

Credo che questa sia una situazione senza precedenti nella storia occidentale. Il cittadino medio viene ripetutamente informato e invitato a credere a cose che sa benissimo non essere vere e che vengono debitamente smentite dallo svolgersi degli eventi, ma che poi vengono continuamente ripetute, come se fossero vere. Ora, alcuni che hanno vissuto il periodo del comunismo durante la Guerra Fredda hanno detto più o meno la stessa cosa, ma credo che ci sia un’importante differenza. Quelle società si sono effettivamente impegnate per migliorare gli standard di vita della gente comune e per fornire un’istruzione e un’assistenza sanitaria decenti, pur gestendo in tempo di pace quella che era un’economia di guerra permanente. E i cittadini di quei Paesi erano sufficientemente maturi per capire che venivano sistematicamente ingannati, mentre noi non lo siamo. Dopo tutto, fino agli anni ’80, i governi occidentali sono stati nel complesso efficienti ed efficaci e, soprattutto nei trent’anni successivi al 1945, hanno supervisionato un aumento senza precedenti della salute, della sicurezza e dell’istruzione della gente comune. Come una rana bollita lentamente nella famosa pentola, le nostre società oggi hanno difficoltà a capire che le istituzioni del passato sono state svendute o castrate, i sistemi politici sono stati totalmente corrotti e l’economia è solo un modo per il Partito Interno di derubare il popolo. Le rivoluzioni lente e silenziose sono sempre le più efficaci e durature.

La storia vera e propria di questo periodo è stata ampiamente scritta (Rise and Fall of the British Nation di David Edgerton ne è un buon esempio, anche se dissidente), ma per molti versi dobbiamo guardare oltre gli storici, ai sociologi, ai filosofi e ai critici culturali se vogliamo capire davvero cosa è successo. Ciò che è accaduto è stata la sostituzione totale del reale con il virtuale. La capacità di produrre cose è stata sostituita dalla capacità di importarle. La fondazione di aziende è stata sostituita dalla compravendita di aziende, la riduzione della disoccupazione è stata sostituita dalla riduzione dei dati sulla disoccupazione, ora calcolati in modo diverso. Il denaro è stato sostituito dal credito, e poi dai derivati del credito. I prezzi delle azioni non riflettevano altro che il prezzo a cui potevano essere vendute al prossimo idiota. Il calcio si giocava davanti a uno schermo anziché su un campo. La competenza e la conoscenza sono state sostituite da credenziali cartacee, nello spirito del Mago di Oz, e una società più (apparentemente) istruita è stata ottenuta rendendo più facili i programmi e gli esami. In verità, quando Marx ed Engels sostenevano che gli effetti dirompenti e distruttivi della società capitalista significavano che “tutto ciò che è solido si scioglie nell’aria”, non potevano avere idea di dove il processo avrebbe portato.

E a differenza della situazione del 1848, oggi i governi hanno una notevole capacità di insistere, attraverso le proprie dichiarazioni e i media, sul fatto che l’irreale è reale e il reale è irreale, e che non ci si può fidare di ciò che vediamo con i nostri occhi. Un tempo la conoscenza era forse potere, come sosteneva Francis Bacon, ma oggi il potere è conoscenza, come ha sostenuto in seguito Michel Foucault, nel senso che se si ha il potere, la conoscenza è, per scopi pratici, qualsiasi cosa si voglia che sia. Se questo suona familiare, è essenzialmente la progenie non riconosciuta dell’insieme di atteggiamenti incoerenti emersi sulla costa occidentale degli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta. Attingendo a tutto, da Wilhelm Reich a Gurdjieff, da Maharishi Mahesh Yogi, famoso per i Beatles, ad Aleister Crowley, e sotto l’influenza di quantità sbalorditive di LSD e altre sostanze, la generazione che ha poi creato la Silicon Valley, i leveraged buy-out e molti altri simboli del nostro mondo moderno e dislocato, è emersa da un decennio scarsamente ricordato con l’idea che nulla fosse davvero, come dire, reale, amico, e che la realtà fosse davvero qualsiasi cosa tu volessi che fosse. (Un processo le cui origini sono ben documentate nel sobrio trattato di Gary Lachmann sul lato oscuro degli anni Sessanta, Turn Off Your Mind).

Le critiche alla superficialità della società capitalista non sono certo nuove. Se si riesce a superare con fatica L’uomo a una dimensione di Marcuse, vi si nascondono alcune idee utili. Allo stesso modo, se si riesce a sopportare l’infinita retorica ingannevole di La società dello spettacolo di Guy Debord, molto di ciò che ha da dire è ancora più rilevante oggi di allora. L’idea che la realtà sia, alla fine, un costrutto sociale è stata a lungo una preoccupazione di filosofi come John Searle e sociologi come Peter Berger. Ma anche i più feroci critici dello “spettacolo” non hanno mai sostenuto che il mondo visibile non sia altro che uno spettacolo. Ma Orwell ci ha azzeccato, ovviamente. In 1984, Winston Smith si rende conto che non può essere sicuro che la guerra che coinvolge l’Eurasia e l’Estasia abbia effettivamente luogo. Come sa personalmente, i fatti e le statistiche possono essere semplicemente inventati, le persone che non sono mai esistite possono nascere e quelle che sono esistite possono scomparire. Come spesso accade con Orwell, ciò che in origine era inteso come satira sembra molto più un’intelligente anticipazione del futuro. L’argomentazione di Jean Baudrillard secondo cui la Guerra del Golfo del 1990 non ha mai avuto luogo è semplicemente un’estensione logica del punto di vista di Orwell. (Molti anni fa, ho avuto problemi in un seminario per un articolo in cui sostenevo che l’Africa, in realtà, non esisteva. O meglio, a meno che non si fosse stati lì, era impossibile saperlo, dato che tutte le fonti disponibili erano occidentali. La relazione non fu accolta bene). È in questo contesto, forse, che l’idea che potremmo vivere in una simulazione (discussa seriamente dal filosofo Nick Bostom e, da allora, in modo frivolo da un gran numero di persone) assume tutto il suo significato. Naturalmente, dipende da chi è la simulazione.

Il problema è che Crowley credeva che, attraverso incantesimi e rituali, fosse possibile cambiare la natura della realtà, e molte persone lo seguirono, in genere nel modo più casuale e irriflessivo. Ma al di fuori dei mondi di Thelema e di Wican, e una volta che si era cresciuti con la musica heavy rock satanica (e c’era molto di quella), la realtà aveva comunque un modo di imporsi. I pensatori magici (riflettete un attimo su questa frase) della PMC possono controllare in larga misura il discorso, possono costringere altre persone ad agire come se ciò che il discorso dice fosse effettivamente vero, ma non possono cambiare veramente la natura della realtà. Questo è particolarmente il caso dell’economia, e a questo proposito sono grato di aver studiato economia ai tempi in cui gli economisti erano considerati un po’ come gli ingegneri: persone pratiche che lavoravano entro i limiti di ciò che era effettivamente possibile. Ora, naturalmente, l’economia è diventata essa stessa un tipo di magia, con tanto di incantesimi, rituali e alfabeti magici. (Del resto, il rapporto tra magia e matematica è sempre stato stretto). Ne sono stato colpito non molto tempo fa, quando sono arrivato leggermente in anticipo per una lezione che dovevo tenere e ho visto il mio predecessore, che insegnava, credo, teoria del commercio internazionale, cercare di spiegare a uno studente che il risultato di un’equazione che aveva scritto doveva essere corretto, anche se la risposta non corrispondeva al mondo reale, perché l’equazione stessa era formulata correttamente.

Viviamo quindi in un mondo essenzialmente ritualizzato, in cui si afferma che certe pratiche magiche abituali hanno determinati risultati definiti, a prescindere da qualsiasi prova concreta che li dimostri. Molti di questi risultati presunti sono intrinsecamente basati sulla fede, nel senso che sono comunque incapaci di essere provati. Pertanto, affermare che “l’immigrazione giova all’economia” (o il contrario) è chiaramente un’affermazione di fede, perché gli effetti economici reali dell’immigrazione sono così vari e dipendenti dal contesto che è impossibile formulare giudizi di massima su di essi. Tuttavia, per scopi pratici, i giudizi sull’immigrazione, sul commercio incontrollato, sui tassi di tassazione e così via, possono essere imposti alle popolazioni come se fossero semplici verità, e le loro conseguenze pratiche possono essere previste con sicurezza (anche se erroneamente) in anticipo. Se la realtà non si comporta in questo modo, evidentemente il rituale è stato condotto in modo sbagliato.

Ne consegue che non ha molto senso discutere con gli economisti, perché si ritirano in un borbottio. Detto questo, ci sono alcuni economisti dissidenti che hanno scritto libri che almeno mostrano la dimensione e la natura del divario tra il mondo reale e ciò che i grimori dell’economia moderna effettivamente dicono. Ho già citato Ha-Joon Chang, ma aggiungerei il suo Twenty-three Things They Don’t Tell You About Capitalism a qualsiasi lista di autoformazione. I libri di Steve Keen, in particolare The New Economics e Debunking Economics, non solo sono molto validi, ma sono anche interessanti per questo argomento, perché trattano esplicitamente l’economia neoclassica come una dottrina religiosa che non riesce a spiegare il mondo reale. E i libri di William Mitchell (per non parlare della sua straordinaria produzione di post e articoli sul blog) saltano su e giù con entusiasmo sui pezzi di ciò che è rimasto. Nessuna di queste opere ha avuto un’influenza apprezzabile sulla pratica economica reale o sul pensiero degli economisti tradizionali, perché al giorno d’oggi gli economisti devono giurare e firmare un accordo di non divulgazione con Satana nel sangue prima di poter lavorare, ma almeno vi aiuteranno a capire l’incredibile divario tra come è il mondo e come lo vedono gli economisti.

E questo è il problema fondamentale del mondo di oggi: siamo governati da fanatici ideologici incompetenti, con una visione del mondo ereditata che è fondamentalmente egoistica e magica. Quel che è peggio, è che sono abbastanza competenti nel conquistare e mantenere il potere all’interno del Partito, e per la maggior parte non sono realmente consapevoli di essere fanatici ideologici. Ma per un classico colpo di ironia, le loro stesse politiche, da trenta o quarant’anni a questa parte, hanno avuto l’effetto di distruggere proprio le istituzioni e le capacità di cui hanno bisogno per mettere in atto le loro politiche (così come sono). Di conseguenza, vivono sempre più in un mondo di fantasia collettiva, dove le cose accadranno se la volontà è abbastanza forte, anche in assenza dei mezzi pragmatici che sono effettivamente necessari per realizzarle. Dopo tutto, l’idea che le sanzioni avrebbero fatto crollare l’economia russa e portato a un cambio di governo, o la successiva idea che le armi e l’addestramento occidentali avrebbero in qualche modo permesso alle forze armate ucraine di sfondare le linee russe, sono il risultato di un pensiero che può essere descritto solo come magico nel senso pieno del termine: cioè, l’uso di rituali per ottenere effettivi cambiamenti nella realtà. Le sanzioni erano in effetti riti magici, che non dipendevano dalle condizioni e dai requisiti del mondo reale per essere efficaci. (Inutile dire che attaccare qualcuno su Twitter è l’equivalente simbolico moderno di lanciare una maledizione). Ma queste persone sono i discendenti degli hippy che hanno cercato di far levitare il Pentagono nel 1967, cantando “fuori! fuori i demoni!”.

Ecco perché ho sempre sostenuto che le spiegazioni puramente materialiste della politica internazionale al giorno d’oggi mancano fondamentalmente il punto. È vero che, se ci si sforza abbastanza, si può costruire qualche ipotesi vagamente coerente per spiegare l’assurdo comportamento delle potenze occidentali sul tema delle sanzioni economiche contro la Russia, nonostante il danno che stanno facendo alle loro stesse economie. Ma questo vale praticamente per qualsiasi insieme di fatti. Come ha scritto giustamente il professor RV Jones, uno dei più brillanti consiglieri scientifici di Churchill: “Non può esistere alcun insieme di osservazioni reciprocamente incoerenti per le quali un intelletto umano non possa concepire una spiegazione coerente, per quanto complicata”. E notate che Jones non dice “esiste”, ma “può esistere”: in altre parole, descrive una legge scientifica, e credo che abbia ragione.

Dobbiamo quindi accettare che le critiche puramente materialiste alla nostra attuale situazione economica e politica non saranno molto utili. Certo, ci saranno sempre persone avide e anche persone ambiziose e spietate, ma le vere motivazioni sono più profonde e chi le possiede non necessariamente comprende appieno ciò che sta facendo. Né le critiche morali e i sermoni hanno molto valore, purtroppo, perché gli avidi e i potenti razionalizzano la loro avidità e il loro desiderio di potere nel modo in cui hanno sempre fatto. Se manifestare per le strade e scandire slogan (un altro tipo di magia) potesse cambiare il mondo, vivremmo in un’utopia.

Sono tentato di dire, quindi, che il modo migliore per capire la follia del PMC oggi è leggere un classico come La varietà dell’esperienza religiosa di William James, o uno dei resoconti su come i nostri antenati vedevano il mondo che ho citato la volta scorsa. Le lotte per il potere in un ambiente ideologicamente carico all’interno di un gruppo potente ma diviso sono state trattate in tutti i modi, da Il nome della rosa di Umberto Eco a, beh, forse il primo volume della vita di Stalin di Stephen Kotkin.

Ne consegue che non ha molto senso adottare un approccio da scienza politica a ciò che sta accadendo oggi, né tantomeno un approccio che presupponga l’esistenza di attori razionali, almeno nel senso in cui gli osservatori esterni li vedrebbero come tali. Per esempio, se vogliamo capire la violenza seriale delle potenze occidentali contro altre negli ultimi trent’anni, un buon punto di partenza è il comportamento dei criminali violenti. Lo psichiatra americano James Gilligan ha studiato per anni i criminali violenti nelle carceri, scoprendo con sorpresa che pochi di loro provavano rimorso per ciò che avevano fatto. Come ha spiegato in diversi libri, la maggior parte di loro giustificava il proprio comportamento con la necessità di mantenere il rispetto per se stessi e di liberarsi dal sentimento di vergogna, anche se avevano subito gravi danni. E questo è molto simile alle motivazioni alla base di alcuni conflitti africani di cui ho scritto nell’ultimo saggio. Non è difficile estendere questo tipo di analisi al comportamento dei governi occidentali di oggi, preoccupati per le minacce al loro status e al loro amor proprio, e che si comportano più o meno come farebbero i leader delle bande in tali circostanze, anche se, come nel caso dell’Ucraina, le conseguenze sono negative anche per loro.

Dovremmo quindi cercare di comprendere ciò che sta accadendo in termini di simbolismo e mito, più che altro. Ho già commentato in precedenza la natura escatologica dell’antipatia dell’Occidente nei confronti della Russia, ma questa è solo una parte. Paradossalmente, infatti, al suo interno si applica la logica opposta. Ricorderete che in 1984 O’Brien dice a Winston Smith che il partito ha il controllo del tempo e della realtà: non c’è un passato indipendente e la realtà è quella che il partito dice di essere. Possiamo individuare delle risonanze contemporanee nella costante sminuizione del passato da parte del Partito e nella riscrittura di quel poco di storia che è permesso ricordare per essere completamente negativa, così come nella progressiva messa al bando o nella pesante riscrittura di tutte le grandi opere della letteratura inglese. Ma il punto più importante è la deliberata inculcazione di un senso di disperazione nella popolazione in generale e nel Partito Esterno. Nulla migliorerà mai, tutto peggiorerà, il potere del Partito aumenterà costantemente, uno stivale si imprimerà per sempre sul volto umano. Non ha senso lottare e nemmeno protestare. Non c’è alternativa: anzi, non c’è nemmeno la possibilità di pensare ad alternative (un punto che il compianto critico culturale Mark Fisher ha sottolineato a proposito della nostra società in Realismo capitalista).

E se c’è qualcosa che distingue davvero la nostra società da altre epoche, probabilmente è proprio questo. Non guardiamo più al futuro, come facevamo quando ero bambino: non guardiamo nemmeno più con nostalgia al passato, perché quel passato viene smantellato, degradato e riscritto sotto i nostri occhi. L’autore più influente in questa linea di pensiero è Franco Berardi, il cui Dopo il futuro stabilisce molto chiaramente la distinzione tra il “futuro” che è solo l’anno prossimo e quello successivo, e l’immagine positiva del “futuro” come un tempo in cui le cose potrebbero essere migliori, o almeno diverse. (È interessante che la sua opera successiva, La seconda venuta, giochi con il simbolismo dell’Apocalisse). Allo stesso modo, Derrida ha coniato il termine hantologie (il gioco di parole con “ontologia” funziona meglio in francese che con l’inglese “hauntology”) per descrivere il modo in cui il presente è “perseguitato” dal passato. Soprattutto nelle arti, sembra che il nuovo lavoro consista semplicemente in frammenti del passato riciclati all’infinito (un punto di vista che chi di noi pensa che la musica popolare non abbia avuto un’idea originale in trent’anni sarà subito d’accordo). L’idea è stata ripresa con forza e verve da Mark Fisher, nel suo libro di saggi Ghosts of My Life.

Ne consegue che i nostri nemici sono tanto simbolici quanto materiali. Queste idee magiche sono sostenute da persone che hanno accesso al denaro e alla violenza, ma sconfiggere un partito, un movimento o persino un’intera casta non servirà a nulla, a meno che le idee stesse non possano essere in qualche modo sconfitte. Il problema è che è difficile, se non impossibile, lottare contro le idee: si può solo lottare contro chi le detiene o le esprime. Il motivo per cui i cambiamenti politici non portano necessariamente a cambiamenti politici non è che qualche gruppo di potere ereditario stia tirando tutti i fili, ma piuttosto che l’offerta e la varietà di idee in ogni momento è limitata. La storia suggerisce che le idee dominanti – i discorsi, se preferite – cambiano solo in condizioni straordinarie, come la guerra e la rivoluzione. Il problema che abbiamo oggi, come ho sottolineato più volte, è che non esiste uno schema coerente di idee che aspettano solo di essere attuate, né le strutture e le competenze per attuarle, anche se potessero essere identificate. Quindi il nuovo capo può sembrare superficialmente diverso dal vecchio capo, ma penserà e agirà allo stesso modo.

Se quest’analisi è corretta, temo che dovremo pianificare un atterraggio di fortuna, con due conseguenze altrettanto cupe. La prima è che dobbiamo accettare che l’attuale sistema politico occidentale è irrimediabilmente rotto e incapace di riformarsi. Naturalmente è possibile immaginare cambiamenti – pacifici o violenti – così come è possibile immaginare politiche economiche e sociali più sensate e coerenti, che non dipendano da qualche rituale magico per essere efficaci. Ma la maggior parte delle persone riconosce che nella pratica questo non accadrà. Quindi, brutalmente, mentre sono già disponibili un gran numero di libri su come affrontare il riscaldamento globale, in pratica sappiamo che non verrà fatto nulla di importante.

La seconda è che dobbiamo quindi fare affidamento sulle nostre risorse e su quelle delle persone di cui ci fidiamo, sia per la sopravvivenza pratica che per quella morale. Non sono qualificato per parlare del primo punto, avendo vissuto in città per tutta la vita e non essendo in grado di riparare l’oggetto più semplice o di distinguere un’estremità di una patata dall’altra. Ma mi sento un po’ più sicuro nel parlare di libri e modi di pensare che possono aiutarci a sopravvivere psichicamente, dato che è un argomento che mi interessa da diversi anni.

Prima di tutto, però, è necessario risolvere una questione preliminare. Spesso si suggerisce che prendersi cura della propria salute mentale e psichica sia, nel migliore dei casi, irrilevante e, nel peggiore, una pericolosa distrazione che ci impedisce di uscire allo scoperto e di assaltare le barricate per cambiare la società. È persino un po’ egoista. Credo che questo argomento sia del tutto sbagliato, anche perché in realtà, come tutti sappiamo, le barricate non verranno prese d’assalto. L’idea che prendersi cura della propria salute mentale e psichica sia una sorta di debolezza, o addirittura un tradimento in queste circostanze, è del tutto fuorviante.

Tanto per cominciare, l’idea contraria – che sia necessaria una popolazione abbastanza infelice e disperata da rivoltarsi spontaneamente – è piuttosto irrealistica in termini storici. Le rivoluzioni non si fanno in questo modo, e le insurrezioni che avvengono in questo modo non durano, e in genere vengono prese in mano da forze potenti che sanno cosa vogliono. La disperazione e l’infelicità non hanno alcun valore nella lotta per una società migliore, o almeno per preservare ciò che può essere salvato, e sono le ultime cose che dovremmo incoraggiare.

Ora, sembra essere una regola della nostra società che se qualcosa può essere abusato, banalizzato e commercializzato lo sarà. Così le avide multinazionali hanno incorporato pratiche come lo yoga e la mindfulness nei loro sistemi di gestione, ma ciò non dimostra che queste pratiche siano sbagliate più di quanto l’offerta di una mensa screditi l’idea di mangiare a mezzogiorno. Allo stesso modo, un’enorme percentuale di libri su argomenti che si definiscono “sviluppo personale” o simili, sono semplice spazzatura e non vale la pena aprirli, anche quando (anzi, soprattutto quando) affermano di dispensare antica saggezza: un punto su cui tornerò tra poco.

Tolto tutto questo, quindi, possiamo iniziare con i libri che aiutano a resistere e a lottare contro il sistema in cui ci si trova. Questo sistema può essere un’organizzazione, e qui dobbiamo accettare il fatto che le organizzazioni al giorno d’oggi non solo sono sempre più disfunzionali, ma in molti casi sembrano odiare attivamente le persone che lavorano per loro e cercano di distruggerle. Ma anche se non lavorate in un’organizzazione, vi accorgerete che la vostra vita privata e professionale può diventare a volte opprimente, senza alcuna colpa. Cosa potete fare per preservare la vostra sanità mentale?

Esistono ormai librerie di libri sulla produttività, e anche in questo caso c’è un problema ideologico, perché spesso si ritiene che essere più produttivi significhi spremere volontariamente di più dalla propria giornata per compiacere il datore di lavoro. E in effetti ci sono alcuni libri che danno questa impressione, del tipo “Come fare carriera nella tua azienda”. Non è di questo che mi occupo in questa sede: piuttosto, mi interessano le metodologie per resistere e lottare contro lo stress che le organizzazioni (e la vita, se è per questo) vi impongono. Ce ne sono due che ho trovato particolarmente utili.

Uno è il classico Getting Things Done di David Allen, apparso per la prima volta un quarto di secolo fa, nell’era pre-smartphone. Allen, che non a caso è cintura nera di Aikido, si concentra sull’idea della “mente come l’acqua”, la gestione senza sforzo della propria vita perché tutto è stato preso in carico da un sistema di cui ci si fida. Egli sostiene che è possibile avere un numero spropositato di cose da fare nella vita professionale e privata, e tuttavia essere rilassati e produttivi, evitando lo stress. In linea di massima, il sistema è molto semplice: scrivete o memorizzate in altro modo tutto ciò che deve essere fatto, organizzate per categoria e data, create dei progetti con delle tappe e fate le cose quando devono essere fatte. Se dovete partire per un viaggio di lavoro o ridipingere la stanza degli ospiti, potete ridurre il tutto a una serie di compiti da svolgere entro determinate date. Una volta stabilito il sistema, ci si può rilassare, perché si sa che ogni cosa è stata messa in conto e si viene avvisati quando si deve fare qualcosa. Funziona, anche se richiede autodisciplina, un’abilità che non è di moda al giorno d’oggi, ma che vale comunque la pena di coltivare.

Il secondo esempio è il lavoro di Cal Newport, in particolare il suo libro Deep Work. Newport si vanta di avere un lavoro di insegnante a tempo pieno, di scrivere libri, di condurre un podcast settimanale e di scrivere blogpost e articoli accademici, e di tornare a casa ogni giorno intorno alle 17.00. Come forse indica il titolo, il suo metodo richiede un’autodisciplina che non è di moda di questi tempi, ma che vale comunque la pena di coltivare. Come forse indica il titolo, il suo metodo consiste nella concentrazione totale su un determinato compito per un periodo di tempo prolungato. È ormai chiaro che il multi-tasking è sempre stato un mito, ma è anche chiaro dalla ricerca psicologica che se si passa da un contesto all’altro (ad esempio dalla scrittura di un articolo alla risposta alle e-mail) possono essere necessari fino a venticinque minuti per diventare pienamente produttivi nel nuovo contesto. L’idea di Newport è quindi quella di tracciare una mappa della giornata all’inizio, assegnando dei pezzi di tempo a specifiche attività, e di non fare nient’altro in quel lasso di tempo. Come la maggior parte delle buone idee, questa sembra ovvia e semplice, ma se vi osservate, scoprirete che quasi certamente passerete da un’attività all’altra in continuazione. Io stesso l’ho trovato utile: Lavoro a questi saggi dal venerdì al martedì, mettendo da parte un’ora al giorno per la produzione di mille parole, in due blocchi di venticinque minuti separati da cinque minuti di attività non intellettuali, come ad esempio farsi una tazza di caffè. Il mercoledì è dedicato alla rifinitura finale e al caricamento. Con un blocco di tempo riservato alle e-mail, un blocco riservato alla ricerca e l’integrazione di altri impegni, comincio ad avere la sensazione di avere il controllo della mia giornata, anziché il contrario.

Questo ci porta alla concentrazione e alla mindfulness, che stranamente hanno acquisito una cattiva reputazione, non per quello che sono, ma per come sono state abusate. La concentrazione è un’abilità acquisita e la maggior parte di noi non la sa usare bene. Se dubitate di me, provate a stare assolutamente fermi per due minuti e capirete cosa intendo. Esistono molti libri di esercizi di concentrazione: il compianto Mieczyslaw Sudowski, con lo pseudonimo di Mouni Sadhu, ne ha scritto uno dei migliori, intitolato appropriatamente Concentrazione. La mindfulness è uno sviluppo naturale della concentrazione, anche se spesso viene confusa con gli esercizi esoterici dello Zen per abolire la mente. Jon Kabbat-Zinn, l’ideatore della mindfulness nella sua forma moderna, iniziò la pratica in una clinica in cui lavorava, occupandosi di pazienti che si erano ammalati a causa dello stress, e nei suoi numerosi ed eccellenti libri sull’argomento fu molto chiaro sul fatto che lo scopo non era quello di “svuotare la mente” o qualcosa di simile, ma piuttosto di disciplinarla in modo da concentrarsi su una cosa alla volta, e quindi soffrire meno di stress. (E se pensate che sia facile, provate a pensare allo stesso argomento per un minuto intero senza deviare). Come hanno sottolineato Kabbat-Zinn e altri autori, tra cui Charles Tart, la maggior parte di noi vive in una nebbia mentale, pensando a dieci cose contemporaneamente e alternando rabbia e delusione per il passato e paura e incertezza per il futuro, senza mai essere veramente nel presente. Non è questo il modo di vivere, e di certo non è il modo di rendere il mondo un posto migliore.

Questo ci porta a parlare della meditazione, che soffre di alcuni degli stessi problemi di presenza che affliggono la mindfulness. Spesso viene considerata una pratica orientale, il che è sciocco, perché esiste una ricchissima tradizione di meditazione nel mondo cristiano e anche nell’Islam. (Sebbene l’immagine popolare della meditazione consista nel concentrarsi sul respiro o sulle parole, e questo può essere prezioso e utile per alcuni, la tradizione occidentale è piuttosto quella della meditazione discorsiva, in cui una frase o un’espressione viene usata come punto di partenza per un’esplorazione strutturata e progressiva. Tradizionalmente si trattava di un versetto della Bibbia o di una massima classica, ma può essere qualsiasi cosa, ad esempio una frase di Marco Aurelio ogni giorno, o una poesia preferita. Lo sforzo intellettuale che comporta lo sviluppo di un pensiero per più di qualche minuto alla volta è prezioso di per sé, ma può essere combinato, a seconda dei gusti, con riflessioni sulla propria vita (alcuni usano letture quotidiane dell’I Ching o dei Tarocchi), o con tentativi di esplorare temi spirituali più ampi. Il libro di Sadhu sulla meditazione contiene un’intera serie di esercizi di questo tipo, compresi molti della tradizione occidentale, e se volete fare il passo più lungo della gamba, l’Occult Philosophy Workbook di John Michael Greer vi farà meditare sui piani dell’essere e sulla natura stessa dell’universo. Se invece volete studiare le tradizioni di meditazione orientali, avete bisogno di un insegnante orientale come Thich Naht Hanh.

E infine, questo ci porta al tipo di studi esoterici e spirituali che molte persone trovano utili per resistere all’assoluta bruttezza del mondo in cui viviamo. C’è un’altra questione preliminare da risolvere. La maggior parte delle persone oggi ha una visione della realtà vagamente basata sulla fisica del XIX secolo: là fuori c’è un mondo costituito da materia che possiamo vedere e misurare, la materia è fatta di cose dure ma minuscole chiamate atomi, e la mente e la materia sono due cose completamente diverse che non possono interagire. Questa visione delle cose, che non riflette più la comprensione scientifica, è in realtà una credenza popolare, spesso chiamata scientismo o, come preferisco chiamarla io, materialismo volgare. La prima volta che leggerete un libro popolare sulla fisica quantistica (nel mio caso i libri del fisico britannico Paul Davies) sarete guariti da queste illusioni. Se volete una demolizione completa del materialismo da una prospettiva scientifica, leggete i libri di Bernardo Kastrup, in particolare Perché il materialismo è una sciocchezza.

Naturalmente, i filosofi occidentali fin da Kant hanno sottolineato l’impossibilità di sapere con certezza che esiste un mondo esterno, per non parlare della possibilità di descriverlo. Questa è una visione tradizionalmente associata al misticismo e il misticismo, per un altro equivoco, è visto come essenzialmente “orientale”. Eppure il misticismo è stato un filone di tutte le religioni e ha avuto una forte influenza nel cristianesimo fin dall’inizio: alcuni dei più grandi pensatori mistici (Meister Eckhart, ad esempio) hanno lavorato in questa tradizione. Il misticismo non deve nemmeno essere direttamente associato al credo religioso in quanto tale: molte tradizioni vedono semplicemente la mancanza di distinzione tra l’individuo e il tutto – l’essenza del misticismo – come un fatto pragmatico con cui lavorare.

Per esempio, l’interpretazione non duale della realtà, dove effettivamente esiste solo la coscienza, ci porta naturalmente a concludere che ciò che pensiamo come “io” – speranze, paure, ricordi, anticipazioni, rabbia – sono solo emozioni passeggere e fenomeni mentali. Non sono “io”. Dopotutto, se sono stato sveglio tutta la notte preoccupato per i soldi e poi i miei problemi economici si sono improvvisamente risolti, ho forse perso parte di “me” se non mi preoccupo più? La consapevolezza di non essere il mio ego non solo è enormemente liberatoria, ma libera enormi energie represse che possono essere utilizzate per migliorare la nostra vita e quella degli altri.

Ci sono autori occidentali, come ad esempio Rupert Spira, che spiegano queste idee in modo semplice e convincente. Ma se volete andare sul concreto, fate molta attenzione, perché pochi argomenti sono stati più massacrati e sfruttati del complesso corpus di idee che si è diffuso dall’India attraverso la Cina, il Tibet e il Giappone, con una molteplicità di nomi, scuole e dottrine. In particolare, bisogna guardarsi dagli occidentali che pretendono di capire queste cose, soprattutto quando vivono nel sud della California, si rasano la testa e adottano nomi tibetani.

Detto questo, ci sono due libri finali che vi consiglio se volete che il vostro cervello si allarghi e la vostra visione della realtà cambi. Il primo, di cui ho già scritto in precedenza, è Losing Ourselves di James Garfield. Garfield è un illustre filosofo di formazione occidentale, e non ha intenzione di accettare queste stronzate New Age, grazie. L’altro è di Rob Burbea, un insegnante inglese di buddismo, il cui Seeing That Frees è un’introduzione intellettualmente molto impegnativa ma assolutamente affascinante al concetto buddista di vuoto, completa di meditazioni progressive.

Dubito seriamente che, in termini pratici, si possa impedire al mondo di andare completamente in pezzi. Ma alla fine, tutte le società sono costituite da collezioni di individui, e più istruiti, più riflessivi e, in ultima analisi, più saggi ed equilibrati sono gli individui, meglio staremo tutti. Qui ho solo scalfito la superficie dei libri che possono aiutarci a capire il presente e ad armarci meglio per il futuro. Avete altre idee?

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Guerra russo-ucraina: la resa dei conti, di BIG SERGE

L’ultima arringa dei re
La guerra russo-ucraina è stata un’esperienza storica inedita per una serie di motivi, e non solo per le complessità e i tecnicismi dell’impresa militare in sé. È stato il primo conflitto militare convenzionale a verificarsi nell’era dei social media e della cinematografia planetaria (cioè la presenza onnipresente di telecamere). Questo ha portato una parvenza (anche se solo una parvenza) di immanenza alla guerra, che per millenni si era rivelata solo attraverso le forze mediatrici delle notizie via cavo, dei giornali stampati e delle stele della vittoria.
Per l’eterno ottimista, c’erano dei lati positivi nell’idea che una guerra ad alta intensità fosse destinata a essere documentata da migliaia di video in prima persona. Dal punto di vista della curiosità intellettuale (e della prudenza marziale), la marea di filmati provenienti dall’Ucraina offre una visione dei sistemi e dei metodi di armamento emergenti e permette di ottenere un notevole livello di dati tattici. Invece di aspettare anni di angosciante dissezione dei rapporti post-azione per ricostruire gli scontri, siamo a conoscenza in tempo quasi reale dei movimenti tattici.Sfortunatamente, si sono verificati anche tutti gli ovvi inconvenienti della trasmissione di una guerra in diretta sui social media. La guerra è stata immediatamente sensazionalizzata e saturata da video falsi, fabbricati o con didascalie errate, ingombri di informazioni che la maggior parte delle persone non è semplicemente in grado di analizzare (per ovvie ragioni, il cittadino medio non ha una vasta esperienza nel distinguere tra due eserciti post-sovietici che utilizzano equipaggiamenti simili e parlano una lingua simile o addirittura la stessa) e pseudo-esperti.Più astrattamente, la guerra in Ucraina è stata trasformata in un prodotto di intrattenimento americano, completo di armi miracolose di celebrità (come il Saint Javelin e l’HIMARS), riferimenti alla cultura pop americana che inducono al gemito, visite di celebrità americane e voci fuori campo di Luke Skywalker. Tutto ciò si adattava in modo molto naturale alla sensibilità americana, perché gli americani apparentemente amano gli sfavoriti, e in particolare gli sfavoriti coraggiosi che superano le avversità estreme grazie alla perseveranza e alla grinta.Il problema di questa struttura narrativa favorita è che gli underdog raramente vincono le guerre. La maggior parte dei conflitti tra pari non ha la struttura convenzionale della trama hollywoodiana, con un punto di svolta drammatico e un rovesciamento di fortuna. Nella maggior parte dei casi, le guerre sono vinte dallo Stato più potente, ovvero quello che ha la capacità di mobilitare e applicare efficacemente una maggiore potenza di combattimento per un periodo di tempo più lungo. Questo è stato certamente il caso della storia americana: per quanto gli americani possano desiderare di riconsiderarsi come un perdente storico, l’America ha storicamente vinto le sue guerre perché è stata uno Stato eccezionalmente potente con vantaggi irresistibili e innati rispetto ai suoi nemici. Non c’è nulla di cui vergognarsi. Come disse il generale George Patton: Gli americani amano i vincitori.Così siamo arrivati a una situazione di convoluzione in cui, nonostante i numerosi ed evidenti vantaggi della Russia (che alla fine si riducono a una superiore capacità indigena di mobilitare uomini, produzione industriale e tecnologia), è diventato “propagandistico” sostenere che la Russia avrebbe ottenuto una sorta di vittoria in Ucraina – che l’Ucraina avrebbe terminato la guerra non riuscendo a raggiungere nuovamente i confini del 1991 (la condizione di vittoria dichiarata da Zelensky) e con il Paese in uno stato distrutto di svuotamento demografico e distruzione materiale.

Finalmente, sembra che abbiamo raggiunto una fase conclusiva, in cui questa visione – presumibilmente un artefatto dell’influenza del Cremlino, ma in realtà la conclusione più semplice e ovvia – sta diventando ineluttabile. La Russia è un combattente più grande con una mazza molto più grande.

L’ipotesi di una vittoria dell’Ucraina si basava quasi interamente sul successo drammatico di una controffensiva estiva, che avrebbe dovuto aprirsi la strada attraverso le posizioni russe nell’Oblast di Zaporizhia, raggiungere il Mar d’Azov, interrompere il ponte terrestre russo verso la Crimea e mettere in pericolo l’intero ventre della posizione strategica della Russia. Si dovevano mettere alla prova tutta una serie di ipotesi sulla guerra: la supremazia degli equipaggiamenti occidentali, la scarsità di riserve della Russia, la superiorità dei metodi tattici occidentali-ucraini, l’inflessibilità e l’incompetenza dei comandanti russi nella difesa.

Più in generale – e soprattutto – l’obiettivo era dimostrare che l’Ucraina poteva attaccare e avanzare con successo contro posizioni russe fortemente tenute. Questo è ovviamente un prerequisito per una vittoria strategica dell’Ucraina. Se le forze armate ucraine non possono avanzare, l’Ucraina non può ripristinare i confini del 1991 e la guerra si è trasformata da una lotta per la vittoria in una lotta per una sconfitta gestita o attenuata. La questione cessa di essere se l’Ucraina perderà, e diventa solo una questione di quanto.

La calamità estiva dell’Ucraina
Gli osservatori occidentali stanno finalmente iniziando a prendere atto del fatto che la controffensiva estiva dell’Ucraina si è trasformata in un abissale fallimento e in una sconfitta militare di portata storica. È importante ricordare che, prima dell’inizio dell’operazione, c’erano reali aspettative sia tra i funzionari ucraini che tra i sostenitori occidentali che l’offensiva potesse ottenere l’isolamento o il blocco della Crimea, se non la sua completa riconquista. Alla base di queste prospettive ottimistiche c’erano ipotesi chiave sulla superiorità dei veicoli blindati donati dall’Occidente e su un esercito russo che si supponeva stesse iniziando a esaurirsi. Un memorandum ucraino sull’ordine delle operazioni, che sarebbe trapelato, indicava che l’AFU intendeva raggiungere e mascherare città importanti come Berdyansk e Melitopol.

Ricordare che gli ucraini e i loro benefattori credevano davvero di poter raggiungere la costa dell’Azov e creare una crisi operativa per la Russia è molto importante, perché solo nel contesto di questi obiettivi si può comprendere appieno la delusione dell’attacco. Siamo ora (al momento in cui scrivo questa frase) a D+150 dall’iniziale assalto massiccio ucraino nella notte tra il 7 e l’8 giugno, e i guadagni sono a dir poco miseri. L’AFU è bloccata in una posizione avanzata concava, incuneata tra i piccoli villaggi russi di Verbove, Novoprokopivka e Kopani, incapace di avanzare ulteriormente, subendo una serie costante di perdite mentre tenta attacchi a metà di piccole unità per attraversare i fossati anticarro russi che circondano i bordi dei campi.

Al momento, il massimo avanzamento raggiunto dalla controffensiva si trova a soli dieci chilometri dalla città di Orikhiv (nell’area di sosta ucraina). L’Ucraina non solo non ha raggiunto i suoi obiettivi terminali, ma non ha nemmeno minacciato i suoi punti intermedi (come Tokmak). Di fatto, non hanno mai creato nemmeno una breccia temporanea nelle difese russe. Invece, l’AFU ha lanciato la maggior parte del 9° e 10° Corpo d’Armata, di recente formazione e dotato di equipaggiamento occidentale, contro le posizioni fisse della 58°, 35° e 36° Armata Combinata russa, si è inserita nella linea di schermatura esterna e l’attacco è crollato dopo aver subito pesanti perdite.

Debacle: la battaglia di Robotyne
Quando l’autunno cominciò a trascinarsi senza che i risultati sul campo di battaglia si materializzassero per l’Ucraina, il processo di additamento iniziò con notevole prevedibilità. Sono emerse tre linee distinte, con gli osservatori occidentali che hanno dato la colpa a una presunta incapacità ucraina di implementare le tattiche occidentali, alcuni partiti ucraini che hanno controbattuto che i mezzi corazzati occidentali sono arrivati troppo lentamente, il che ha dato all’esercito russo il tempo di fortificare le proprie posizioni, e altri che hanno sostenuto che il problema è stato che l’Occidente non ha fornito gli aerei e i sistemi di attacco necessari.
Credo che tutto questo non colga il punto – o meglio, tutti questi fattori sono semplicemente tangenziali al punto. Le varie figure ucraine e occidentali che si puntano il dito a vicenda sono un po’ come i proverbiali ciechi che descrivono un elefante. Tutte queste lamentele – addestramento insufficiente, lentezza dei tempi di consegna, carenza di mezzi aerei e d’attacco – non fanno altro che riflettere il problema più ampio del tentativo di assemblare su basi improvvisate un esercito completamente nuovo con un guazzabuglio di sistemi stranieri mal assortiti, in un Paese con risorse demografiche e industriali in diminuzione.
A parte questo, la disputa interna al campo ucraino oscura l’importanza dei fattori tattici e ignora il ruolo molto attivo che le forze armate russe hanno giocato nel rovinare il grande attacco dell’Ucraina. Anche se la dissezione della battaglia continuerà probabilmente per molti anni, una litania di ragioni tattiche per la sconfitta ucraina può già essere enumerata come segue:L’incapacità dell’AFU di ottenere una sorpresa strategica. Nonostante un ostentato sforzo di OPSEC e i tentativi di finte operazioni sul confine di Belgorod, intorno a Bakhmut, Staromaiorske e altrove, era facilmente evidente a tutti i partecipanti che il punto di principale sforzo ucraino sarebbe stato verso il litorale di Azov, e in particolare l’asse Orikhiv-Tokmak. L’Ucraina ha attaccato proprio dove ci si aspettava che lo facesse.
Il pericolo dell’avvicinamento e dell’allestimento nel XXI secolo. L’AFU ha dovuto riunire i mezzi sotto l’esposizione dei mezzi russi ISR e d’attacco, il che ha ripetutamente sottoposto al fuoco russo le aree posteriori ucraine (come Orikhiv, dove i depositi di munizioni e le riserve sono stati ripetutamente colpiti) e ha permesso ai russi di prendere regolarmente sotto tiro i gruppi tattici ucraini in fase di dispiegamento, mentre erano ancora nelle loro colonne di marcia.
L’incapacità (o la mancanza di volontà) di impegnare una massa sufficiente a forzare una decisione. La densità del nesso ISR-Fuoco russo ha incentivato l’AFU a disperdere le proprie forze. Se da un lato questo può ridurre le perdite, dall’altro ha significato che la potenza di combattimento ucraina è stata introdotta in modo frammentario, semplicemente senza la massa necessaria per minacciare seriamente la posizione russa. L’operazione si è in gran parte risolta in attacchi a livello di compagnia, chiaramente inadeguati al compito.Inadeguatezza del fuoco e della soppressione ucraina. Una lacuna di capacità abbastanza evidente e onnicomprensiva, con l’AFU che ha dovuto affrontare una carenza di tubi e proiettili d’artiglieria (costringendo l’HIMARS a un ruolo tattico come sostituto dell’artiglieria), e che non ha avuto sufficienti mezzi di difesa aerea e di guerra elettronica per mitigare la varietà di sistemi aerei russi, tra cui droni di tutti i tipi, elicotteri d’attacco e bombe UMPK.Il risultato è stato una serie di colonne di manovra ucraine sotto-supportate che sono state rastrellate da una tempesta di fuoco.
Un’ingegneria di combattimento inadeguata, che ha lasciato l’AFU vulnerabile a una rete di campi minati russi che evidentemente erano molto più robusti del previsto.
Nel complesso, abbiamo un enigma tattico piuttosto semplice. Gli ucraini hanno tentato un assalto frontale a una difesa fissa senza l’elemento sorpresa o la parità di fuoco a distanza. Con la difesa russa completamente in allerta e le aree di sosta e le corsie di avvicinamento ucraine soggette a un intenso fuoco russo, l’AFU ha disperso le sue forze nel tentativo di ridurre le perdite, e questo ha praticamente garantito che gli ucraini non avrebbero mai avuto la massa necessaria per creare una breccia. Sommando il tutto, si ottiene l’estate del 2023: una serie di attacchi frustranti e infruttuosi sullo stesso identico settore della difesa, che hanno lentamente sprecato sia l’anno che la migliore, ultima speranza dell’Ucraina.

Il fallimento dell’offensiva ucraina ha ramificazioni sismiche per la futura condotta della guerra. Le operazioni di combattimento si svolgono sempre in riferimento agli obiettivi politici dell’Ucraina, che sono – per dirla senza mezzi termini – ambiziosi. È importante ricordare che il regime di Kiev ha sostenuto fin dall’inizio che non si sarebbe accontentato di nulla di meno del massimo territoriale dell’Ucraina del 1991 – il che implica non solo il recupero del territorio occupato dalla Russia dopo il febbraio 2022, ma anche la sottomissione delle polarità separatiste di Donetsk e Lugansk e la conquista della Crimea russa.

Gli obiettivi bellici dell’Ucraina sono sempre stati difesi come ragionevoli in Occidente per ragioni legate alle presunte sottigliezze legali della guerra, all’illusione occidentale che i confini siano immutabili e all’apparente divinità trascendente dei confini amministrativi dell’epoca sovietica (che dopo tutto sono stati la fonte dei confini del 1991). A prescindere da tutte queste questioni, gli obiettivi di guerra dell’Ucraina implicavano, in pratica, la necessità di conquistare il territorio russo de-facto prebellico, comprese quattro grandi città (Donetsk, Lugansk, Sebastopoli e Simferopol). Ciò significava sloggiare in qualche modo la flotta russa del Mar Nero dal suo porto. Si trattava di un compito straordinariamente difficile, molto più complicato e vasto di quanto si volesse ammettere.

L’ovvio problema, ovviamente, è che date le superiori risorse industriali e il serbatoio demografico della Russia, le uniche vie percorribili per la vittoria dell’Ucraina erano il collasso politico russo, la riluttanza russa a impegnarsi pienamente nel conflitto o l’infliggere all’esercito russo una sorprendente sconfitta asimmetrica sul campo di battaglia. La prima ipotesi sembra ora chiaramente una fantasia, con l’economia russa che si è scrollata di dosso le sanzioni occidentali e la coesione politica dello Stato del tutto indisturbata (persino dal colpo di Stato di Wagner), e la seconda speranza è stata delusa nel momento in cui Putin ha annunciato la mobilitazione nell’autunno del 2022. Rimane solo il campo di battaglia.

La situazione diventa quindi molto semplice. Se l’Ucraina non riesce ad avanzare con successo sulle posizioni russe fortemente presidiate, non può vincere la guerra secondo le proprie condizioni. Quindi, dato il collasso dell’offensiva estiva ucraina (e una miriade di altri esempi, come il modo in cui un attacco ucraino secondario ha sbattuto la testa senza senso su Bakhmut per mesi) c’è una domanda molto semplice da porre.

L’Ucraina avrà mai un’occasione migliore per tentare un’offensiva strategica? Se la risposta è no, ne consegue necessariamente che la guerra finirà con una perdita territoriale ucraina.

Sembra quasi una banalità che il 2023 sia stata la migliore opportunità per l’Ucraina di attaccare. La NATO ha dovuto muovere cielo e terra per mettere insieme il pacchetto d’attacco. L’Ucraina non ne otterrà uno migliore. Non solo molti membri della NATO non hanno più nulla da offrire, ma l’assemblaggio di una forza meccanizzata più grande richiederebbe all’Occidente di raddoppiare il fallimento. Nel frattempo, l’Ucraina sta subendo un’emorragia di manodopera valida, dovuta alla combinazione di un alto numero di vittime, di un’ondata di emigrazione che porta la gente a fuggire da uno Stato in rovina e di una corruzione endemica che paralizza l’efficienza dell’apparato di mobilitazione. Sommando il tutto, si ottiene una crescente riduzione della manodopera e l’incombente carenza di munizioni ed equipaggiamenti. Questo è l’aspetto di un esercito in crisi.

Nello stesso momento in cui la potenza di combattimento ucraina sta diminuendo, quella russa sta aumentando. Il settore industriale russo ha aumentato drasticamente la produzione, nonostante le sanzioni occidentali, riconoscendo tardivamente che la Russia non rimarrà convenientemente a corto di armi e che, anzi, sta comodamente producendo più di tutto il blocco occidentale. Lo Stato russo sta aumentando radicalmente le spese per la difesa, il che darà ulteriori frutti in termini di potenza di combattimento con il passare del tempo. Nel frattempo, sul fronte degli effettivi, la generazione di forze russe è stabile (cioè non richiede una mobilitazione estesa), e l’improvvisa consapevolezza che l’esercito russo dispone di riserve in abbondanza ha lasciato membri di spicco del commentario a discutere tra loro su Twitter. L’esercito russo è ora pronto a raccogliere i frutti dei suoi investimenti nel corso del prossimo anno.

Il quadro non è eccessivamente complicato. La potenza di combattimento ucraina è in declino e ha poche possibilità di arrestarsi, soprattutto ora che gli eventi in Medio Oriente significano che non ha più una pretesa incontrastata sulle scorte occidentali. Ci sono alcune cose che l’Occidente può ancora fare per tentare di sostenere le capacità ucraine (ne parleremo più avanti), ma nel frattempo la potenza di combattimento russa è stabile e addirittura in aumento in molte armi (si noti, ad esempio, il costante aumento dei lanci di UMPK russi e degli attacchi di droni FPV, e la crescente disponibilità del carro armato T90).

L’Ucraina non recupererà i confini del 1991 ed è improbabile che riconquisti territori significativi in futuro. Pertanto, il linguaggio si è spostato bruscamente dai riferimenti alla riconquista dei territori perduti al semplice congelamento del fronte. Il comandante in capo Zaluzhny ha ammesso che la guerra è in una fase di stallo (un’ipotesi ottimistica), mentre alcuni funzionari occidentali hanno iniziato a far balenare l’idea che una soluzione negoziata (che comporterebbe necessariamente il riconoscimento della perdita dei territori controllati dai russi) possa essere la migliore via d’uscita per l’Ucraina.

Ciò non significa che la guerra sia vicina alla fine. Zelensky continua ad essere irremovibilmente contrario ai negoziati, e ci sono certamente molti in Occidente che sostengono la continua intransigenza ucraina, ma credo che tutti costoro non abbiano capito il punto.

C’è solo un modo per porre fine a una guerra in modo unilaterale, ed è quello di vincere. È possibile che la finestra per negoziare sia finita e che la Russia stia aumentando le spese e ampliando le sue forze terrestri e aerospaziali perché intende usarle per tentare una vittoria decisiva sul campo di battaglia.

Nei prossimi mesi assisteremo probabilmente a un dibattito sempre più acceso sulla necessità o meno di negoziare con Kiev. Ma la premessa di questo dibattito potrebbe essere sbagliata in toto. Forse non saranno né Kiev né Washington a decidere.

Avdiivka: il canarino nella miniera di carbone
Il cedimento dell’offensiva estiva dell’Ucraina corrisponde a un cambiamento di fase nella guerra, in cui l’Ucraina passerà a una difesa strategica a tutto campo. Quasi perfettamente a tempo debito, l’esercito russo ha dato il via alla sequenza successiva iniziando un’operazione contro la cruciale e salda roccaforte ucraina di Avdiivka, nei sobborghi di Donetsk.

Avdiivka si trovava già in una sorta di saliente, a causa delle precedenti operazioni russe che avevano catturato la città di Krasnogorivka, a nord della città. Nel mese di ottobre, le forze russe hanno lanciato un grande assalto da queste posizioni e sono riuscite a conquistare uno degli elementi chiave del terreno nella zona: un alto cumulo di scarti minerari (un cumulo di rifiuti) che si affaccia direttamente sulla ferrovia principale di Avdiivka e si trova adiacente alla fabbrica di coke di Avdiivka. Al momento in cui scriviamo, la situazione è la seguente:

The Avdiivka Battlespace

L’operazione Avdiivka ha generato quasi immediatamente un ciclo familiare di sventure e istrionismi, con molti pronti a paragonare l’attacco al fallito assalto russo a Ugledar dello scorso inverno. Nonostante il successo della cattura russa del cumulo di rifiuti (insieme alle posizioni lungo la ferrovia), la sfera ucraina si è rallegrata, affermando che i russi stanno subendo perdite catastrofiche nel loro assalto ad Avdiivka. Tuttavia, ritengo che questa affermazione non regga per alcune ragioni.

In primo luogo, la premessa stessa non sembra essere vera. Questa guerra viene documentata in tempo reale, il che significa che possiamo effettivamente verificare un forte aumento delle perdite russe nei dati tabulati. A questo scopo, preferisco consultare War Spotting UA e il suo progetto di monitoraggio delle perdite di equipaggiamento russo. Sebbene abbiano un orientamento apertamente filo-ucraino (tracciano solo le perdite russe e non quelle ucraine), ritengo che siano più affidabili e ragionevoli di Oryx, e la loro metodologia di monitoraggio è certamente più trasparente.

Una rapida nota sui loro dati è importante. In primo luogo, non è corretto concentrarsi eccessivamente sulle date precise che attribuiscono alle perdite – questo perché le date registrate corrispondono alla data in cui le perdite vengono fotografate per la prima volta, che può o meno essere lo stesso giorno in cui il veicolo viene distrutto. Quando registrano una data per un veicolo distrutto, registrano solo la data in cui è stata scattata la foto. È quindi ragionevole prevedere un potenziale errore di qualche giorno nella datazione delle perdite. È semplicemente impossibile evitarlo. Inoltre, come chiunque altro, hanno la capacità di sbagliare l’identificazione o di contare accidentalmente due volte i veicoli ripresi da diverse angolazioni.

Tutto questo per dire che non è utile impantanarsi troppo nell’analisi di gruppi di perdite e foto specifiche, ma è molto utile osservare le tendenze del loro monitoraggio delle perdite. Se la Russia stesse davvero perdendo una quantità spropositata di equipaggiamento in un assalto di un mese, ci aspetteremmo di vedere un picco, o almeno un modesto aumento delle perdite.

In realtà, questo non emerge dai dati sulle perdite. Il tasso di utilizzo complessivo della Russia dall’estate del 2022 ad oggi è di circa 8,4 mezzi di manovra al giorno. Tuttavia, le perdite per l’autunno del 2023 (che include l’assalto ad Avdiivka) sono in realtà leggermente inferiori, con 7,3 al giorno. Ci sono alcuni gruppi di perdite, che corrispondono alle conseguenze degli assalti, ma non sono anormalmente grandi – un fatto che può essere facilmente verificato facendo riferimento alla serie temporale delle perdite. I dati mostrano un modesto aumento dall’estate di quest’anno (6,8 al giorno) all’autunno (7,3), che corrisponde a un passaggio da una posizione difensiva a una di attacco, ma non c’è nulla nei dati che suggerisca un aumento anomalo dei tassi di perdita russi. Nel complesso, i dati sulle perdite suggeriscono un’alta intensità di attacco, ma le perdite sono complessivamente inferiori a quelle di altri periodi in cui la Russia è stata all’offensiva.

Possiamo applicare lo stesso quadro analitico di base anche alle perdite di personale. Mediazona – un media dissidente russo antiputinista – ha monitorato doverosamente le perdite russe attraverso necrologi, annunci funebri e post sui social media. Come Warspotting UA, anche loro non hanno registrato un picco straordinario di perdite russe durante l’autunno.

Ora, sarebbe sciocco negare che la Russia abbia perso veicoli blindati o che attaccare non comporti dei costi. Si sta combattendo una battaglia e i veicoli vengono distrutti nelle battaglie. Non è questa la questione. La questione è se l’assalto ad Avdiivka abbia causato un picco insostenibile o anomalo nelle perdite russe, e semplicemente non c’è nulla nei dati delle perdite tracciate che lo suggerisca. Pertanto, l’argomentazione secondo cui le forze russe sarebbero state sventrate ad Avdiivka semplicemente non sembra supportata dalle informazioni disponibili, e finora le perdite giornaliere tracciate per l’autunno sono semplicemente inferiori alla media dell’anno precedente.

Inoltre, la fissazione sulle perdite russe può portare a dimenticare che anche le forze ucraine vengono masticate malamente, e in effetti abbiamo video della 110a Brigata ucraina (la principale formazione che sta ancorando la difesa di Avdiivka) che si lamenta di aver subito perdite insostenibili. Tutto ciò è prevedibile con una battaglia ad alta intensità in corso. I russi hanno attaccato in forze e hanno subito perdite proporzionali – ma ne è valsa la pena?

Dobbiamo pensare all’assalto iniziale russo nel contesto dello spazio di battaglia di Avdiivka. Avdiivka è piuttosto unica in quanto l’intera città e la ferrovia che la attraversa si trovano su un crinale elevato. Con la città ormai avvolta su tre lati, le rimanenti linee logistiche ucraine corrono lungo il pavimento di un bacino umido a ovest della città – l’unico corridoio rimasto aperto. La Russia ha ora una posizione dominante sulle alture che si affacciano direttamente sul bacino e sta espandendo la sua posizione lungo il crinale. In realtà, contrariamente a quanto si sostiene che l’assalto russo sia crollato con pesanti perdite, i russi continuano a espandere la loro zona di controllo a ovest della ferrovia, hanno già fatto breccia nella periferia di Stepove e si stanno spingendo nella rete di trincee fortificate a sud-est di Avdiivka.

Avdiivka Elevation Map

Ora, a questo punto è probabilmente razionale voler paragonare la situazione a quella di Bakhmut, ma le forze dell’AFU ad Avdiivka sono in realtà in una posizione molto più pericolosa. Durante la battaglia per Bakhmut si è parlato molto del cosiddetto “controllo del fuoco”, e alcuni hanno insinuato che la Russia avrebbe potuto isolare la città semplicemente sparando con l’artiglieria contro le arterie di rifornimento. Inutile dire che non è andata proprio così. L’Ucraina ha perso molti veicoli sulla strada per entrare e uscire da Bakhmut, ma il corridoio è rimasto aperto – anche se pericoloso – fino alla fine. Ad Avdiivka, invece, la Russia avrà una linea di vista diretta degli ATGM (piuttosto che una sorveglianza a macchia d’olio dell’artiglieria) sul corridoio di rifornimento sul fondo del bacino. Questa è una situazione molto più pericolosa per l’AFU, sia perché Avdiivka ha l’insolita caratteristica di un singolo crinale dominante sulla spina dorsale dello spazio di battaglia, sia perché le dimensioni sono più ridotte: l’intero corridoio di rifornimento ucraino qui corre lungo una manciata di strade in uno spazio di 4 chilometri.

È chiaro che il controllo del cumulo di rifiuti e della linea ferroviaria è di importanza fondamentale, quindi l’esercito russo ha impegnato una forza d’assalto significativa per garantire la cattura dei suoi obiettivi chiave. Attaccare il cumulo di rifiuti richiedeva inoltre di esporre le colonne d’attacco russe al fuoco perpendicolare ucraino, attaccando attraverso un terreno ben sorvegliato. In breve, questo comportava molti dei problemi tattici che hanno afflitto gli ucraini durante l’estate. I moderni collegamenti ISR-fire rendono molto difficile organizzare e schierare con successo le forze senza subire perdite.

A differenza degli ucraini, tuttavia, i russi hanno impegnato una massa sufficiente a creare una palla di neve irreversibile nell’attacco alle alture di comando, e i fuochi ucraini sono stati inadeguati a fermare l’assalto. Ora che li hanno, i russi recupereranno le perdite quando gli ucraini cercheranno di contrattaccare – anzi, questo è già iniziato, con UA Warspotting che ha registrato un forte calo delle perdite di equipaggiamento russo nelle ultime tre settimane. Questo stabilisce lo schema dell’operazione: un assalto in massa all’inizio per catturare le posizioni chiave che mettono i russi in controllo dello spazio di battaglia. I russi sono riusciti a forzare una decisione fin dall’inizio, impegnandosi nell’attacco con un livello di violenza e di generazione di forze che è mancato per tutta l’estate all’AFU. Il succo vale la pena di essere spremuto.

Più precisamente, gli ucraini sanno chiaramente di essere nei guai. Hanno già iniziato a far affluire nella zona i primi mezzi per iniziare il contrattacco contro la posizione russa sul crinale, e ci sono già Bradley e Leopard che bruciano intorno ad Avdiivka e nelle aree di sosta ucraine nelle retrovie. Esiste ora lo stesso problema di base che si è rivelato così insormontabile in estate: le forze ucraine che contrattaccano (che si appostano a più di dieci chilometri nelle retrovie, dopo Ocheretyne) affrontano linee di avvicinamento lunghe e ben sorvegliate che le espongono al fuoco di sbarramento russo – la 47a Brigata meccanizzata ucraina ha già perso veicoli blindati sia nelle sue aree di appostamenti che nei contrattacchi falliti contro le posizioni russe intorno a Stepove.

Nelle prossime settimane, le forze russe porteranno avanti gli attacchi sugli assi che attraversano Stepove e Sjeverne a ovest della città, lasciando l’AFU legata a una lunga e precaria catena logistica sul fondo del bacino. Una delle più lunghe e solide fortezze dell’Ucraina rischia ora di diventare una trappola operativa. Non mi aspetto che Avdiivka cada in poche settimane (a meno di un imprevisto e improbabile crollo della difesa ucraina), ma è ormai una questione di tempo e i mesi invernali porteranno probabilmente alla costante riduzione della posizione ucraina.

Sostenere la potenza di combattimento dell’AFU in città sarà particolarmente difficile, con la “logistica delle zanzare” ucraina (che si riferisce alla loro abitudine di far viaggiare i rifornimenti con pick-up, furgoni e altri piccoli veicoli civili) che arranca sul pavimento di un bacino fangoso sotto l’occhio vigile dei droni FPV russi e del fuoco diretto. L’AFU sarà costretta a tentare di sostenere una difesa a livello di brigata facendo circolare piccoli veicoli in una zona battuta. Se i russi riusciranno a catturare la cokeria, la partita finirà molto prima, ma gli ucraini lo sanno e faranno della difesa della fabbrica una priorità preminente – ma anche così è solo una questione di tempo, e una volta che Avdiivka sarà caduta, gli ucraini non avranno un posto solido dove ancorare la loro difesa fino a quando non cadranno indietro fino al fiume Vocha. Questo è un processo che dovrebbe svolgersi durante l’inverno.

Gli sviluppi futuri previsti intorno ad Avdiivka
E questo porta alla domanda: se l’Ucraina non è riuscita a tenere Bakhmut, e il tempo dimostra che non può tenere Avdiivka, dove può tenere? E se l’Ucraina non può attaccare con successo, per cosa sta combattendo?Una difesa fallita conta come azione ritardante solo se si ha qualcosa da aspettare.Esaurimento strategico
La guerra in Ucraina sta entrando nella sua terza fase. La prima fase, dall’inizio delle ostilità nel febbraio 2022 fino all’autunno dello stesso anno, è stata caratterizzata da una traiettoria di esaurimento delle capacità interne ucraine da parte delle operazioni della limitata forza russa iniziale. Mentre le forze russe sono riuscite a degradare o a esaurire molti aspetti della macchina bellica ucraina prebellica – elementi come le comunicazioni, le scorte di intercettori di difesa aerea e il parco di artiglieria – la strategia russa iniziale si è arenata su errori critici di calcolo riguardanti sia la volontà dell’Ucraina di combattere una guerra lunga sia la disponibilità della NATO a sostenere il materiale ucraino e a fornire capacità critiche di ISR e di comando e controllo.Con i russi alle prese con una guerra molto più grande del previsto e con una generazione di forze assolutamente inadeguata al compito, la guerra ha assunto il carattere di logoramento industriale quando è passata alla seconda fase. Questa fase è stata caratterizzata dai tentativi russi di accorciare e correggere la linea del fronte, creando dense fortificazioni e bloccando le forze in battaglie posizionali. Questa fase, più in generale, ha visto gli ucraini tentare di sfruttare – e i russi sopportare – un periodo di iniziativa strategica ucraina, mentre la Russia passava a un assetto bellico più espansivo, espandendo la produzione di armamenti e aumentando la generazione di forze attraverso la mobilitazione.In sostanza, l’Ucraina si è trovata di fronte a un grave dilemma strategico dal momento in cui il Presidente Putin ha annunciato la mobilitazione delle riserve nel settembre 2022. La decisione russa di mobilitarsi è stata un segnale de-facto di accettazione della nuova logica strategica di una più lunga guerra di logoramento industriale – una guerra in cui la Russia avrebbe goduto di numerosi vantaggi, tra cui un bacino molto più ampio di manodopera, una capacità industriale enormemente superiore, una produzione interna di armi standoff, veicoli corazzati e granate, un impianto industriale al di fuori della portata degli attacchi sistematici ucraini e l’autonomia strategica. Questi, tuttavia, sono tutti vantaggi sistemici e a lungo termine. A breve termine, tuttavia, l’Ucraina ha goduto di una breve finestra di iniziativa sul terreno. Questa finestra, tuttavia, è stata sprecata con il fallimento dell’assalto estivo alle difese russe nel sud, e la seconda fase della guerra si conclude con la spinta dell’AFU sulla costa di Azov.Arriviamo così alla terza fase, caratterizzata da tre importanti condizioni:

Aumento costante della potenza di combattimento russa grazie agli investimenti effettuati nel corso dell’anno precedente.
Esaurimento dell’iniziativa ucraina sul terreno e crescente auto-cannibalizzazione dei mezzi dell’AFU.
Esaurimento strategico nella NATO.
Il primo punto è relativamente banale da comprendere ed è stato liberamente confessato dalle autorità occidentali e ucraine. È ormai assodato che le sanzioni non sono riuscite a intaccare in modo significativo la produzione di armamenti russi e che, anzi, la disponibilità di sistemi critici sta crescendo rapidamente grazie agli investimenti strategici in linee di produzione nuove e ampliate. Tuttavia, possiamo elencare alcuni esempi.

Uno degli elementi chiave dell’espansione delle capacità russe è stato il miglioramento sia qualitativo che quantitativo dei nuovi sistemi standoff. La Russia ha avviato con successo la produzione di massa del drone Shahed/Geran di derivazione iraniana e ha un’ulteriore fabbrica in costruzione. La produzione della munizione Lancet è aumentata in modo esponenziale e sono ora in uso diverse varianti migliorate, con guida, raggio d’azione e capacità di sciame superiori. La produzione russa di droni FPV è aumentata in modo significativo e gli operatori ucraini temono ora un vantaggio russo a valanga. Gli adattamenti degli alianti guidati UMPK sono stati modificati per ospitare gran parte dell’arsenale russo di bombe a gravità.

Tutto questo fa pensare a un esercito russo con una crescente capacità di lanciare esplosivi ad alto potenziale in numero e precisione maggiori contro il personale, le attrezzature e le installazioni dell’AFU. Nel frattempo, sul terreno, la produzione di carri armati continua ad aumentare, con le sanzioni che hanno un impatto minimo sulla disponibilità di blindati russi. Contrariamente alle precedenti previsioni secondo cui la Russia avrebbe iniziato a raschiare il fondo del barile, tirando fuori dai depositi carri armati sempre più vecchi, le forze russe in Ucraina stanno schierando carri armati *più nuovi*, con il T-90 che appare sul campo di battaglia in numero maggiore. E, nonostante le ripetute previsioni occidentali secondo cui sarebbe stata necessaria una nuova ondata di mobilitazione a fronte di perdite presumibilmente terribili, il ministero della Difesa russo ha affermato con sicurezza che le sue riserve di manodopera sono stabili, e un portavoce dell’intelligence militare ucraina ha recentemente dichiarato di ritenere che ci siano più di 400.000 truppe russe nel teatro (a cui si possono aggiungere le considerevoli riserve che rimangono in Russia).

Nel frattempo, è probabile che le forze ucraine si auto-cannibalizzino sempre più. Ciò avviene a più livelli, come motivo di una forza strategicamente esaurita. A livello strategico, l’auto-cannibalizzazione si verifica quando le risorse strategiche vengono bruciate in nome di esigenze a breve termine; a livello tattico, un processo degradativo simile si verifica quando le formazioni rimangono in combattimento per troppo tempo e iniziano a macinare, tentando di svolgere compiti di combattimento per i quali non sono più adatte.

È probabile che abbiate alzato gli occhi su questo paragrafo, ed è comprensibile. È molto gergale e me ne scuso. Tuttavia, possiamo vedere un esempio concreto di come appaiono entrambe le forme di autocannibalizzazione (strategica e tattica), dalla stessa unità: la 47ª Brigata meccanizzata.

La 47a era destinata da tempo a diventare una delle principali risorse della controffensiva ucraina. Addestrata (per quanto possibile) secondo gli standard della NATO e con accesso privilegiato ad equipaggiamenti occidentali di alto livello come il carro armato Leopard 2A6 e l’IFV Bradley. Questa brigata è stata meticolosamente preparata e ampiamente pubblicizzata come la punta di diamante dell’Ucraina. Tuttavia, un’estate di attacchi frustranti e falliti contro la linea russa di Zaporizhia ha lasciato la brigata con gravi perdite, una potenza di combattimento degradata e lotte intestine tra gli ufficiali.

Ciò che seguì dovrebbe far scattare un campanello d’allarme. In primo luogo, all’inizio di ottobre è stato riferito che il 47° aveva un nuovo comandante, con un cambiamento stimolato dalle richieste dall’alto che la brigata continuasse i suoi sforzi di attacco. Il problema era che la 47ª aveva gradualmente esaurito il suo potenziale di attacco, e la soluzione adottata dal nuovo comandante fu quella di scroccare le aree posteriori della brigata e gli equipaggi tecnici per rimpiazzare la manodopera. Come si legge nel rapporto di MilitaryLand:

Come affermato dai soldati dell’unità missilistica anticarro di Magura in un video appello ora rimosso, il comando della brigata si rifiuta di ammettere che la brigata ha perso il suo potenziale offensivo. Invece, il comando invia al fronte equipaggi di mortai, cecchini, equipaggi di artiglieria, in pratica tutto ciò che ha a disposizione come fanteria d’assalto.
Si tratta di un classico esempio di auto-cannibalizzazione tattica, in cui la perdita di potenza di combattimento minaccia di accelerare quando gli elementi ausiliari e tecnici dell’unità vengono bruciati nel tentativo di compensare le perdite. Tuttavia, il 47° è stato cannibalizzato anche a livello strategico. Quando è iniziato l’assalto russo intorno ad Avdiivka, la risposta ucraina è stata quella di ritirare la 47esima dal fronte di Zaporizhia e di inviarla ad Avdiivka per contrattaccare. A questo punto, la difesa ucraina dipende dalla 110a brigata, che si trova ad Avdiivka da quasi un anno senza soccorsi, e dalla 47a, già degradata da mesi di continue operazioni offensive nel sud.

Si tratta di una cannibalizzazione strategica: prendere una delle principali risorse della scuderia e portarla, senza alcun riposo o rifornimento, direttamente in combattimento come esigenza difensiva. In questo modo, la 47a Brigata è stata cannibalizzata a livello interno (bruciandosi nel tentativo di svolgere compiti di combattimento per i quali non è più adeguatamente equipaggiata) e a livello strategico, con l’AFU che l’ha ridotta in una difesa posizionale intorno ad Avdiivka, invece di farla ruotare per riposare e riequipaggiare per essere destinata a future operazioni offensive. Un recente rapporto con interviste al personale della 47a ha dipinto un quadro disastroso: la brigata ha perso oltre il 30% del suo personale durante l’estate e i suoi obici sono razionati a soli 15 proiettili al giorno. I mortai russi, dicono, hanno un vantaggio di otto a uno.

L’immagine emblematica della guerra moderna: montagne di bossoli abbandonati
La situazione può essere vagamente paragonata a quella di una persona in crisi, che si logora biologicamente ed emotivamente a causa della mancanza di sonno e dello stress, bruciando allo stesso tempo i propri beni – vendendo l’auto e altri beni essenziali per pagare le necessità immediate come cibo e medicine. È un modo di vivere insostenibile, che non può evitare la catastrofe all’infinito.I russi stanno facendo tutto il possibile per incoraggiare questo processo, riattivando metodicamente le operazioni di attacco di rettifica su tutto il fronte, tra cui non solo Avdiivka ma anche Bakhmut e Kupyansk, in un programma intenzionale di immobilizzazione progettato per mantenere le risorse ucraine in combattimento dopo essere state esaurite durante l’estate. Il 47° è emblematico di questo: ha attaccato per tutta l’estate per poi essere immediatamente mobilitato in difesa nel Donbas. Come ha detto un mio collaboratore, l’ultima cosa che si vuole fare dopo aver corso una maratona è iniziare uno sprint, e questo è il punto in cui si trovano gli ucraini dopo aver perso l’iniziativa strategica in ottobre.Non è solo l’Ucraina, tuttavia, ad affrontare l’esaurimento strategico. Gli Stati Uniti e il blocco NATO si trovano in una situazione simile.L’intera strategia americana in Ucraina è entrata in un’impasse. La logica della guerra per procura si basava sull’ipotesi di un differenziale di costo: gli Stati Uniti potevano mettere in difficoltà la Russia per pochi centesimi di dollaro, rifornendo l’Ucraina con le proprie scorte in eccesso e strangolando l’economia russa con le sanzioni.Non solo le sanzioni non sono riuscite a paralizzare la Russia, ma l’approccio americano sul campo è fallito. La controffensiva ucraina è fallita in modo spettacolare, e le esauste forze di terra ucraine devono ora escogitare una difesa strategica a tutto campo contro la crescente generazione di forze russe.Il dilemma strategico fondamentale per l’Occidente è quindi come uscire da un cul-de-sac strategico. La NATO ha raggiunto i limiti di quanto può dare all’Ucraina con le sue eccedenze. Per quanto riguarda i proiettili d’artiglieria (il pezzo forte di questa guerra), ad esempio, gli alleati della NATO hanno ammesso apertamente di averli più o meno esauriti, mentre gli Stati Uniti sono stati costretti a reindirizzare le forniture di proiettili dall’Ucraina a Israele – una tacita ammissione che non ce ne sono abbastanza per entrambi. Nel frattempo, la nuova produzione di proiettili è in ritardo sia negli Stati Uniti che in Europa.

Di fronte a un massiccio investimento russo nella produzione di difesa e al conseguente enorme aumento delle capacità russe, non è chiaro come gli Stati Uniti possano procedere. Una possibilità è l’opzione “all-in”, che richiederebbe una ristrutturazione industriale e una mobilitazione economica de-facto, ma non è chiaro come ciò possa essere realizzato, dato lo stato di crisi della base industriale occidentale e delle sue finanze.

In effetti, ci sono segnali inequivocabili che indicano che far uscire la produzione di armi occidentali dal suo congelamento profondo sarà enormemente costoso e logisticamente impegnativo. I nuovi contratti dimostrano un aumento dei costi esorbitante. Ad esempio, un recente ordine della Rhenmetall ha raggiunto i 3500 dollari a proiettile – un aumento sorprendente se si considera che nel 2021 l‘esercito statunitense era in grado di acquistare a soli 820 dollari a proiettile. Non c’è da stupirsi che il capo del Comitato militare della NATO si sia lamentato del fatto che i prezzi più alti stanno vanificando gli sforzi per costituire le scorte. Nel frattempo, la produzione è limitata dalla mancanza di lavoratori qualificati e di macchine utensili. L’intervento “all in” sull’Ucraina richiederebbe un livello di ristrutturazione economica e di mobilitazione a rotta di collo che le popolazioni occidentali troverebbero probabilmente intollerabile e confuso.

Una seconda opzione è quella di “congelare” il conflitto spingendo l’Ucraina a negoziare. Questa opzione è già stata ventilata in pubblico da funzionari americani ed europei ed è stata accolta con giudizi contrastanti. Nel complesso, sembra piuttosto improbabile. Le opportunità di negoziare la fine del conflitto sono state respinte in più occasioni. Dal punto di vista russo, l’Occidente ha deliberatamente scelto di inasprire il conflitto e ora vorrebbe allontanarsi dopo che la Russia ha risposto con la sua mobilitazione. Non è chiaro quindi perché Putin sarebbe propenso a lasciare l’Ucraina fuori dai guai ora che gli investimenti militari russi stanno iniziando a dare i loro frutti e l’esercito russo ha la possibilità concreta di andarsene con il Donbas e non solo. Ancora più preoccupante, tuttavia, è l’intransigenza ucraina, che sembra destinata a sacrificare altri uomini coraggiosi nel tentativo di prolungare la presa a dito di Kiev su territori che non possono essere tenuti indefinitamente.

In sostanza, gli Stati Uniti (e i loro satelliti europei) hanno quattro opzioni, nessuna delle quali è positiva:

Impegnarsi in una mobilitazione economica per aumentare in modo sostanziale le forniture di materiale all’Ucraina.
Continuare a fornire il sostegno all’Ucraina e assistere alla sua progressiva e lenta sconfitta.
Porre fine al sostegno all’Ucraina e vederla subire una sconfitta più rapida e totalizzante.
Tentare di congelare il conflitto con i negoziati
Si tratta di una formula classica per la paralisi strategica, e il risultato più probabile è che gli Stati Uniti si ritirino dalla loro attuale linea d’azione, sostenendo l’Ucraina a un livello irrisorio, commisurato ai limiti finanziari e industriali esistenti, mantenendo l’AFU sul campo, ma in ultima analisi superata in una miriade di dimensioni dalle crescenti capacità russe.

E questo, in definitiva, ci riporta al punto di partenza. Non c’è nessun’arma miracolosa, nessun trucco geniale, nessun espediente operativo che possa salvare l’Ucraina. Non c’è una porta di scarico sulla Morte Nera. C’è solo il freddo calcolo degli incendi massicci nel tempo e nello spazio. Anche i successi isolati dell’Ucraina servono solo a sottolineare l’enorme disparità di capacità. Ad esempio, quando l’AFU usa missili occidentali per attaccare navi russe in bacino di carenaggio, ciò è possibile solo perché la Russia ha una marina. I russi, invece, hanno un vasto arsenale di missili antinave che non utilizzano perché l’Ucraina non ha una marina. Sebbene lo spettacolo di un colpo riuscito su un’imbarcazione russa sia un’ottima pubblicità, rivela solo l’asimmetria delle risorse e non fa nulla per migliorare il problema fondamentale dell’Ucraina, che è il costante logoramento e la distruzione delle sue forze di terra nel Donbas.

Se il 2024 porterà a una costante erosione della posizione ucraina nel Donbas – isolamento e liquidazione di fortezze periferiche come Adviivka, doppia avanzata su Konstyantinivka, un saliente sempre più grave intorno a Ugledar mentre i russi avanzano su Kurakhove – l’Ucraina si troverà in una posizione sempre più insostenibile, con i partner occidentali che metteranno in dubbio la logica di incanalare scorte di armi limitate in uno Stato in frantumi.

Nel terzo secolo, durante l’epoca dei Tre Regni in Cina (dopo che la dinastia Han si era frammentata in uno Stato triforcuto all’inizio del 200), c’era un famoso generale e funzionario di nome Sima Yi. Sebbene non sia spesso citato come il più noto Sun Tzu, a Sima Yi è attribuito un aforisma che è migliore di qualsiasi altra frase contenuta nell’Arte della guerra. Sima Yi ha esposto l’essenza del warmaking nel modo seguente:

Negli affari militari ci sono cinque punti essenziali. Se si è in grado di attaccare, si deve attaccare. Se non si è in grado di attaccare, bisogna difendersi. Se non si è in grado di difendere, si deve fuggire. I restanti due punti comportano solo la resa o la morte.
L’Ucraina sta scendendo nella lista. Gli eventi dell’estate hanno dimostrato che non è in grado di attaccare con successo le posizioni russe fortemente presidiate. Gli avvenimenti di Avdivvka e di altri luoghi mettono ora alla prova la capacità dell’Ucraina di difendere le proprie posizioni nel Donbas contro l’aumento delle forze russe. Se non riusciranno a superare questa prova, sarà il momento di fuggire, arrendersi o morire. È così che vanno le cose quando arriva il momento della resa dei conti.

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Come la Cina vede il mondo. Intervista con Zhang Weiwei al 10° Forum Xiangshan _ di REVUE CONFLITS

Come la Cina vede il mondo. Intervista con Zhang Weiwei al 10° Forum Xiangshan
di REVUE CONFLITS

Zhang Weiwei è uno dei principali intellettuali cinesi. Il suo pensiero è indicativo del discorso strategico cinese e del modo in cui la Cina si proietta nel mondo e percepisce se stessa. In questa intervista realizzata in occasione del 10° Xiangshan Forum, condivide la sua visione del nuovo ordine mondiale.
Dal 29 al 31 ottobre 2023, la Cina ha ospitato a Pechino il 10° Forum Xiangshan, dal tema “Sicurezza comune, pace sostenibile”. L’evento è stato concepito come un’importante piattaforma di discussione strategica. Più di 90 Paesi, regioni e organizzazioni internazionali hanno partecipato ai tre giorni di discussioni. Il forum si è svolto in un momento in cui la guerra in Ucraina e il sostegno incondizionato del mondo a Israele sono stati messi in discussione. La posizione dell’Occidente è stata criticata. Il malcontento sta avvantaggiando la Cina, che mantiene una posizione di emancipazione da Washington. Con i suoi progetti economici in piena espansione, incoraggiati dalle nuove Vie della Seta, la Cina sta convincendo i suoi partner. Le carte strategiche sono pronte per essere rimescolate e Pechino ritiene che la nuova mano le sarà vantaggiosa.

Le parole di Zhang Weiwei, uno dei più eminenti intellettuali cinesi, sono rivelatrici del discorso strategico della Cina. Grande sostenitore del Partito comunista e da esso appoggiato, Zhang Weiwei è professore di relazioni internazionali e direttore del Centro di ricerca sulla Cina della Fudan University. Nel suo importante libro The Chinese Wave: The Emergence of a Civilisational State (L’onda cinese: l’emergere di uno Stato civile), sostiene che la Cina dovrebbe tracciare il proprio percorso piuttosto che adottare il modello occidentale, che potrebbe portare alla sua rovina a causa della sua incompatibilità con la struttura della civiltà cinese. Egli prevede che la Cina, sotto la guida di Xi Jinping, guiderà il mondo verso un nuovo paradigma in cui tutti i Paesi che seguiranno la Cina saranno uguali all’Occidente.

Nel suo discorso, ha esposto la sua visione della modernizzazione à la chinoise, affermando che la Cina è riuscita a svilupparsi rapidamente grazie a un modello adattato al suo contesto unico e alla sua cultura millenaria. Egli sostiene che la Cina, sotto la guida di Xi Jinping, sta cambiando l’ordine mondiale, diventando un partner centrale sia per i Paesi in via di sviluppo che per l’Occidente. Zhang critica la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina. Contesta l’idea che la Cina stia esportando il suo modello a livello internazionale, sostenendo che il Paese è diventato un esempio di successo da seguire, senza imporlo agli altri.

Observer.com ha tratto questo testo da documenti stenografici.

Il testo originale è apparso su Guancha. Traduzione a cura di Conflits.

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LU JIAN: Salve, signor Zhang, visto che la discussione di oggi verte sul tema dello sviluppo, potrebbe innanzitutto descrivere la sua ricerca sulla “modernizzazione alla cinese”?

Zhang Weiwei: Non c’è dubbio che la modernizzazione alla cinese sia stata un grande successo. I primi 30 anni della nuova Cina hanno posto le basi politiche, economiche e sociali per il successo della modernizzazione cinese. Dalla riforma e dall’apertura del 1978, abbiamo raggiunto il “decollo economico” e sperimentato l’ascesa di “quattro rivoluzioni industriali in una”, al ritmo di una rivoluzione industriale ogni dieci anni circa, e ora siamo in prima linea nella quarta rivoluzione industriale. Siamo ora sul primo fronte della quarta rivoluzione industriale.

Di conseguenza, all’inizio della guerra commerciale e tecnologica sino-americana, avevamo chiaramente previsto che gli Stati Uniti avrebbero perso, e perso male. La dipendenza economica degli Stati Uniti dalla Cina ha superato quella della Cina dagli Stati Uniti, il che si spiega con il fatto che il modello globale è cambiato. Esiste un concetto accademico chiamato “sistema centro-periferia” o “sistema centro-periferia dipendente”, che significa che l’attuale ordine internazionale è molto ingiusto. I Paesi al “centro”, cioè i Paesi occidentali, guadagnano molto grazie alle portaerei, alla definizione delle regole, all’egemonia finanziaria, al dominio del dollaro e così via. I Paesi periferici, quelli in via di sviluppo, hanno fatto enormi sacrifici, ma la maggior parte di loro è ancora molto povera.

Cosa significa l’ascesa della Cina con le sue “quattro rivoluzioni industriali in una”? Significa che la Cina è uno dei pochi Paesi ad aver rotto questo “sistema centro-periferia”, che ha trasformato la Cina stessa in un centro, e che la Cina è diventata il più grande partner commerciale, finanziario e tecnologico sia dei Paesi periferici (Paesi in via di sviluppo) sia del centro (Paesi occidentali). Molti Paesi in via di sviluppo ora dicono: “Possiamo semplicemente commerciare con la Cina”, in altre parole, hanno più fiducia, e tutto questo sta cambiando la struttura del mondo.

LU JIAN: Signor Zhang, non dovremmo partire dal principio che se gli Stati Uniti rimangono bloccati nei loro modi, nei loro piccoli tribunali e nelle loro alte mura, o rigidi e chiusi nella loro competizione con la Cina, allora sono destinati al fallimento. Ma se gli Stati Uniti e l’Occidente cambiano le loro politiche, è possibile raggiungere una situazione vantaggiosa per tutti con la Cina?

Zhang Weiwei: In realtà, speriamo che gli Stati Uniti cambino, ma non è facile. Ho sempre insistito sul fatto che la Cina è un Paese civile, una civiltà che non è stata interrotta per migliaia di anni, e che possiede una grande saggezza dalla propria civiltà. Per esempio, molti americani e occidentali non credono alla “pace e allo sviluppo” della Cina. Quando sono scoppiate le rivoluzioni nei Paesi arabi, abbiamo consigliato all’Occidente di non provocare e sostenere la “primavera araba”, perché si sarebbe trasformata in un “inverno arabo”. Uno dei maggiori problemi dell’Europa in questo momento è la crisi dei rifugiati, poiché molti Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa sono dilaniati da rivoluzioni colorate e un gran numero di rifugiati si sta riversando in Europa. L’unico modo per risolvere il problema dei rifugiati è la pace e lo sviluppo, e l’iniziativa Belt & Road che stiamo promuovendo include la promozione dello sviluppo pacifico in Africa e in Medio Oriente, che ridurrà il numero di rifugiati. Pertanto, da un punto di vista razionale, i Paesi europei dovrebbero partecipare all’iniziativa cinese delle Nuove vie della seta.

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Iniziativa Belt & Road (BRI): una relazione sui progressi e sul suo futuro

Lu Jian: Quali sono, secondo lei, le somiglianze e le differenze tra la modernizzazione cinese e quella americana?

Zhang Weiwei: La modernizzazione ha sia somiglianze che differenze. Ciò che accomuna la modernizzazione cinese a quella americana è il grado di industrializzazione, il livello di sviluppo scientifico e tecnologico e l’aspettativa di vita delle persone. Dal 2021, infatti, l’aspettativa di vita in Cina sarà di due anni superiore a quella degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, ci sono molte differenze tra Cina e Stati Uniti in termini di modernizzazione. Vediamo brevemente le cinque caratteristiche della modernizzazione cinese, descritte nel rapporto del XX Congresso nazionale:

La prima è la “modernizzazione con una popolazione enorme”, perché la Cina ha una popolazione pari a 4,2 volte quella degli Stati Uniti e più grande è la popolazione, più difficile è la modernizzazione.

In secondo luogo, si tratta di “modernizzare la ricchezza comune di tutti i popoli”. Gli Stati Uniti non hanno mai proposto lo slogan della “ricchezza comune”, il che spiega l’enorme divario tra ricchi e poveri negli Stati Uniti. La Cina ha eliminato completamente la povertà estrema, ma non c’è speranza di risolvere il problema della povertà estrema negli Stati Uniti.

Terzo, “modernizzazione in armonia con la civiltà materiale e spirituale”: il tasso di criminalità negli Stati Uniti è molto alto, i tossicodipendenti sono ovunque e la violenza delle armi da fuoco causa 40.000-50.000 morti all’anno, il che equivale a 200.000-300.000 morti se si confronta questo dato con la popolazione della Cina, che è 4,2 volte più grande. Tuttavia, gli Stati Uniti non prendono quasi mai sul serio questo problema, il che dimostra pienamente il “debole vantaggio degli Stati Uniti in materia di diritti umani” che la maggior parte dei Paesi occidentali fatica ad accettare.

Riformare il controllo delle armi negli Stati Uniti è difficile perché richiede un emendamento costituzionale e il processo di modifica della Costituzione è troppo impegnativo. Per questo ho detto ai giornalisti americani che gli Stati Uniti sono diventati un Paese che non riesce a risolvere i propri problemi. Non si può risolvere la violenza delle armi, non si può risolvere la tossicodipendenza, non si può risolvere l’assistenza sanitaria universale e non si può risolvere la discriminazione razziale. L’assistenza sanitaria universale negli Stati Uniti risale a più di 100 anni fa, la rivoluzione Xinhai in Cina, gli Stati Uniti, l’ex presidente Roosevelt ha proposto, ma fino ad oggi non può essere fatto, il declino della speranza di vita pro capite negli Stati Uniti è anche legato a questo.

Quarto, “la modernizzazione dell’uomo e della natura in armonia”. Dopo che Trump è salito al potere, si è ritirato dall’Accordo di Parigi, il che ha reso la credibilità nazionale dell’America un grosso problema.

Infine, si tratta di “modernizzazione sulla via dello sviluppo pacifico”. Gli Stati Uniti sono stati in guerra solo per 16 degli ultimi 240 anni, il che li rende una fonte di disordini globali. In breve, gli Stati Uniti hanno ancora molta strada da fare se li guardiamo dal punto di vista della modernizzazione cinese.

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Lu Jian: Lei parla spesso del modello cinese. Qual è la differenza tra il modello cinese e la strada cinese? L’Occidente è più preoccupato che noi esportiamo il modello cinese nel mondo esterno?

Zhang Weiwei: Personalmente penso che l’essenza dei due sia la stessa: il modello cinese e la via cinese si riferiscono entrambi all’insieme di pratiche, idee, esperienze, concetti, accordi istituzionali, ecc. che sono specifici della Cina. Naturalmente, la Via cinese è più ideologica, si riferisce alla strada verso il socialismo con caratteristiche cinesi, mentre il modello cinese è più neutrale, gli scambi accademici internazionali sono più utilizzati.

Per quanto riguarda coloro che parlano di diffondere il modello cinese nel mondo, questa non è la posizione della Cina. Non importiamo modelli stranieri e non esportiamo il modello cinese. Ci limitiamo a riassumere l’esperienza di successo della Cina in vari campi e a presentarla in modo obiettivo al mondo esterno. Si può imparare in parte, basta prendere un mestolo delle tremila acque deboli e berlo, oppure non si può imparare.

Lu Jian: Il modello cinese è oggetto di una deliberata campagna di denigrazione, secondo la quale la Cina sta esportando la propria ideologia.

Zhang Weiwei: Siamo talmente abituati alle calunnie dell’Occidente che a volte siamo troppo pigri per rispondere, quindi le lasciamo nell’ombra.

Quello che possiamo fare è continuare a dimostrare il successo del modello cinese attraverso risultati concreti. Secondo una serie di sondaggi affidabili, il mondo è entrato in una nuova “era di risveglio” e l’intero mondo non occidentale, senza quasi alcuna eccezione, dall’America Latina al Medio Oriente, passando per l’Africa, parla di “guardare a Oriente”, soprattutto verso la Cina.

Non si tratta di una promozione deliberata della Cina, ma piuttosto della scoperta da parte del Sud globale, dopo tanti anni di alti e bassi, che la Cina e il modello cinese sono ancora affidabili. Secondo i sondaggi, i Paesi in cui sono approdati i progetti delle Nuove Vie della Seta, e allo stesso tempo i Paesi che hanno adottato il modello politico occidentale, tendono ad avere una percentuale maggiore di persone che hanno una visione favorevole della Cina, ovvero che “One Belt, One Road” li ha avvantaggiati, mentre il modello politico occidentale li ha sottoposti a troppe turbolenze. Ci sono troppi sconvolgimenti.

Lu Jian: Lei ha anche suggerito che l’ascesa della Cina è l’ascesa di una nazione civilizzata. In cosa si differenzia dai suoi predecessori? In che modo è unica?

Zhang Weiwei: Nel 2010 ho proposto l’idea che “la Cina è un Paese fondato sulla civiltà”, sottolineando che la Cina è un Paese davvero unico, in cui un’antica civiltà che non è stata interrotta per migliaia di anni è completamente sovrapposta a un Paese mega-moderno, e che l’ascesa di tale Paese è destinata a cambiare la configurazione del mondo.

La sua caratteristica più importante è la presenza di quattro “super”, ognuno dei quali è una combinazione di antico e moderno, che è la cosa più meravigliosa dell’emergere di un Paese basato sulla civiltà. La Cina è sempre stata un Paese densamente popolato, ma oggi la nostra popolazione è modernamente istruita e produciamo ogni anno più ingegneri di tutti i Paesi occidentali messi insieme; questo fatto da solo ha cambiato il mondo.

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In secondo luogo, c’è il territorio sovradimensionato del Paese, lasciato in eredità dai nostri antichi antenati. Ma all’interno di questo territorio abbiamo un’infrastruttura di livello mondiale, con autostrade, treni ad alta velocità e un’infrastruttura digitale all’avanguardia.

In terzo luogo, c’è la lunghissima tradizione storica, che è anche l’ambito in cui abbiamo successo, grazie ai nostri geni storici. Per esempio, la differenza tra il sistema politico cinese e quello occidentale: in Occidente si chiama elezione, da noi selezione più elezione, il nostro modello è ovviamente migliore. Abbiamo una lunga tradizione di selezione e nomina delle persone migliori per il lavoro, dal sistema di ispezione ed esame della dinastia Han al sistema di esame imperiale dopo la dinastia Sui. Il nostro sistema si è evoluto nel tempo, incorporando molti elementi moderni.

In quarto luogo, abbiamo un ricco patrimonio culturale. Perché la Belt & Road è arrivata così lontano? Inizialmente molti non erano favorevoli e i Paesi occidentali l’hanno attaccata. Ma quando più di 100 Paesi l’hanno accettata, l’Occidente si è innervosito, e ora che 152 Paesi vi partecipano, l’Occidente è ancora più nervoso, e gli Stati Uniti hanno iniziato a seguire l’esempio delle Nuove Vie della Seta, che difficilmente avrà successo. Il concetto centrale di “One Belt, One Road” è “affari comuni, costruzione comune e condivisione comune”, che ha origine nella civiltà cinese e nella grande pratica dell’ascesa della Cina. La Cina rifiuta la filosofia occidentale del “divide et impera” e insiste sulla strada dell'”unisci e prospera”, che è la strada giusta sulla terra e che può solo crescere di forza in forza. Abbiamo dato molti contributi ai Paesi coinvolti nella Belt & Road Initiative e, allo stesso tempo, ne abbiamo beneficiato in molti modi.

Lu Jian: Lei ha appena detto che nella nostra civiltà millenaria, alcuni concetti di sviluppo sono stati conservati fino ad oggi, come una grande popolazione istruita, lavoratori qualificati, sviluppo delle infrastrutture e un gran numero di quadri che scendono a livello locale nei nostri progetti di sradicamento della povertà. Il modello di business delle Nuove vie della seta può essere riprodotto e sviluppato efficacemente in collaborazione con il Sud o con i Paesi in via di sviluppo?

Zhang Weiwei: La Cina ha adottato un atteggiamento molto aperto e abbiamo presentato la nostra esperienza in modo obiettivo al mondo esterno, compresi i Paesi del Sud. Ad esempio, il “parco” ampiamente utilizzato nell’ambito delle Nuove vie della seta deriva dalla nostra riforma e dall’apertura della Zona speciale di Shenzhen e da altre pratiche; ora, nell’ambito della co-costruzione delle strade, i Paesi hanno costruito più di 70 parchi industriali all’estero e il numero totale di parchi industriali è superiore a 70, il più grande al mondo. I Paesi che partecipano alla costruzione delle Nuove Vie della Seta hanno ora più di 70 parchi industriali all’estero, che in genere hanno un grande successo.

Mentre le economie neoliberali occidentali ritengono che meno ruolo gioca il governo e meglio è, il modello cinese è quello in cui il governo fa ciò che dovrebbe e non fa ciò che dovrebbe, come la capacità del governo cinese di impegnarsi nella “pianificazione strategica”, che i Paesi in via di sviluppo stanno generalmente iniziando a emulare. In breve, gran parte dell’esperienza cinese è interessante per altri Paesi.

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Per esempio, se i Paesi in via di sviluppo vogliono sviluppare l’agricoltura, abbiamo aree per la coltivazione di grano, riso e altri tipi di colture da nord a sud, così come modi di organizzare vari tipi di attività economica, e molti Paesi in via di sviluppo sono in grado di imparare molto dalle esperienze cinesi che sono applicabili ai loro Paesi, e sembra sempre che ce ne sia una che può aiutare o ispirare altri Paesi. Sembra che ci sia sempre qualcosa che può aiutare o ispirare altri Paesi.

Lu Jian: Alcuni media occidentali, compresi gli accademici occidentali, hanno due teorie sulla Cina, che si alternano o si concentrano sulla “teoria della minaccia cinese” e sulla “teoria del collasso cinese”. A volte queste voci vengono improvvisamente amplificate. Cosa ne pensa?

Zhang Weiwei: La “teoria del crollo della Cina” appare di tanto in tanto, ma il suo effetto sta diminuendo e la sua durata è sempre più breve. In passato, la “teoria del crollo della Cina” poteva durare cinque o otto anni o più, ma oggi dura solo un anno e mezzo, o addirittura meno di mezzo anno. Di recente c’è stata un’ondata di ottimismo sull’economia cinese e su quella statunitense, ma riteniamo che si tratti di un atteggiamento molto stupido e ingenuo.

Da un punto di vista empirico, ci siamo recati nello Xinjiang a luglio di quest’anno per condurre una ricerca, e il numero di turisti aveva già superato quello del 2019 prima dell’epidemia, e anche il numero di turisti in viaggio durante la festa della Giornata nazionale ha superato quello del 2019. Il nostro tasso di crescita economica è stato del 5,2% nel terzo trimestre di quest’anno, e i nostri veicoli a nuova energia e l’industria dei semiconduttori sono nuove aree di crescita, e anche il consumo di elettricità e il volume delle consegne espresse sono in aumento.

D’altra parte, gli Stati Uniti hanno recentemente annunciato un tasso di crescita economica del 4,9% nel terzo trimestre, un dato che temo non sia affidabile per gli standard cinesi. Il consumo di elettricità negli Stati Uniti è in calo, il numero e il volume delle consegne effettuate da UPS (la più grande società di consegne espresse degli Stati Uniti) è anch’esso in calo e non si registra una nuova crescita dell’economia reale. I dati statunitensi sembrano contenere più elementi falsi, troppe false luci, troppe transazioni finanziarie derivate e fattori inflazionistici.

Lu Jian: Ora che gli Stati Uniti hanno attuato il disaccoppiamento e la rottura della catena, tra cui il de-risking, i piccoli cantieri e le grandi mura, in che misura pensa che questo ostacolerà il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del nostro Paese, compresi i grandi obiettivi di modernizzazione in stile cinese e di ringiovanimento della nazione?

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Zhang Weiwei: Nel 2006 ho scritto un articolo per il New York Times sul timore che il modello americano non fosse in grado di competere con quello cinese. All’epoca, il New York Times godeva ancora della fiducia istituzionale degli Stati Uniti e pubblicò l’articolo con le mie opinioni di nicchia, ma oggi non ha più il coraggio di farlo. Recentemente, il Segretario al Commercio degli Stati Uniti ha visitato la Cina, ha viaggiato sulla linea ferroviaria ad alta velocità Pechino-Shanghai e ha elogiato la linea ferroviaria ad alta velocità cinese.

Tre o quattro anni fa, il mercato mondiale dei semiconduttori era dominato dagli Stati Uniti per la progettazione dei chip, dal Giappone per i materiali, dalla Corea del Sud per i chip di archiviazione, dalla Cina e da Taiwan per la sigillatura, i test e la fonderia, e dalla Cina per il mercato. Huawei ha registrato la crescita più rapida negli ultimi tre o quattro anni, con le spedizioni del Huawei Mate 60 Pro che hanno raggiunto diversi milioni di unità. I punti di forza degli Stati Uniti, della Corea del Sud, del Giappone, della Cina e di Taiwan che abbiamo appena menzionato, sono stati raggiunti in Cina, che rappresenta una nuova catena industriale completa e un cluster industriale. L’industria dei semiconduttori, i veicoli a nuova energia sono il nostro nuovo punto di crescita, i veicoli a nuova energia sono l’incarnazione del modello cinese di capacità di pianificazione e di esecuzione, dietro i quattro piani quinquennali consecutivi, la solida attuazione, in cui la politica è stata perfezionata, e in definitiva la Cina sta guidando la rivoluzione verde globale.

Per inciso, non sono ottimista sulla capacità degli Stati Uniti di impegnarsi con la NATO in Asia in questo modo. Secondo l’analisi geostrutturale, la placca eurasiatica, la Cina e la Russia formano un unico grande Paese, entrambi i lati dell’Europa e dell’Asia, il Giappone e la Corea del Sud sono divisi in placche, in questa struttura, è molto difficile formare un sistema di alleanze efficace, spesso tutte le parti hanno “cattive intenzioni”, una volta che sorge una crisi, la maggior parte di loro non può essere contata, e gli Stati Uniti in questo settore di azione. Il comportamento degli Stati Uniti in questo ambito è indicativo del declino della potenza americana.

Ho detto in diverse occasioni che il mondo è entrato nell’era post-americana molto tempo fa, il che non significa che gli Stati Uniti non siano più importanti, ma che ciò che fanno non corrisponde più alla direzione dei tempi e che, in un certo senso, vanno addirittura controcorrente. Possiamo anche pensare a quello che è noto come “il piccolo cortile e il grande muro” come a una rana in un pozzo, e gli Stati Uniti si sono isolati in questo piccolo cortile e in questo grande muro. All’esterno, c’è tutto il Sud, tutto il mondo non occidentale, dove si trovano il più grande mercato del mondo, le maggiori risorse, le maggiori opportunità di sviluppo e così via, il che ha cambiato il panorama internazionale.

Lu Jian: Il pilastro dell’egemonia costruito dagli Stati Uniti con la loro forza esiste ancora. Tralasciando l’egemonia in termini di sicurezza militare e di cultura, l’unica via d’uscita dalla situazione attuale è la forza scientifica e tecnologica e il dominio del dollaro americano. Per quanto riguarda i semiconduttori, anche se abbiamo assistito alla svolta di Huawei, abbiamo anche visto gli Stati Uniti intensificare le loro tattiche di sanzionamento sui chip, sui chip di intelligenza artificiale, sulle GPU e così via. Questi fattori potrebbero quindi influenzare ulteriormente lo sviluppo dell’industria nazionale dei semiconduttori. Nonostante la sua visione positiva e ottimista, di fronte alle pressioni e al blocco, anche la nostra resistenza e le nostre difficoltà sono molto importanti, cosa ne pensa?

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Zhang Weiwei: Il premier Li Qiang ha tenuto una conferenza stampa dopo la riunione del governo principale e ha detto parole molto precise: “ci sono problemi negli uffici, devono essere risolti con tutti i mezzi”. Abbiamo fatto le nostre ricerche, le nostre aziende sono molto fiduciose, mentre i decisori americani sono distaccati dalla realtà americana e dalla realtà cinese. Inoltre, il popolo cinese non accetterà questo tipo di arroganza: finché ci sarà un progresso tecnologico in Cina, gli Stati Uniti diranno che è stato rubato agli Stati Uniti, il che è davvero assurdo, ma anche un’arroganza estremamente stupida.

Perché nel 2018 abbiamo detto che gli Stati Uniti avrebbero perso la guerra tecnologica? Perché abbiamo fatto ricerca, usiamo i nostri chip nell’industria della difesa, non siamo deboli. Credo che ora i più nervosi siano gli Stati Uniti, compresa la comunità imprenditoriale statunitense, perché la Cina sta cercando di sorpassare in ogni aspetto, anche piegando la strada per il sorpasso, cambiando la strada per il sorpasso e così via, per formare una serie di sostituti per l’intera catena industriale. Come ho appena detto, questo mercato era originariamente condiviso tra Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Stati Uniti e Cina, ma oggi la Cina sta andando da sola, il che è un obbligo, perché se ci affidiamo ancora alla Cina, rischiamo di essere penalizzati.

Abbiamo visitato l’impianto di assemblaggio BYD e tutti i produttori fanno da soli. Il direttore dello stabilimento ha detto: “I nostri pneumatici sono sempre importati”, e noi abbiamo riso. In altre parole, potete fare da soli. Ren Zhengfei continuava a ripetere che eravamo disposti ad acquistare prodotti da altri Paesi, che si trattava di un’ottima catena ecologica, ma che se si prendeva l’iniziativa di distruggerla, potevamo farlo solo noi. Per Paesi come gli Stati Uniti, l’unico modo per comunicare meglio è confrontarsi, imparare una lezione, e dobbiamo stabilire delle regole per questo. I nostri amici americani seduti qui dovrebbero anche capire che il mondo non è più lo stesso.

Il rapporto della Marina statunitense contiene una serie di dati: gli Stati Uniti lanciano 100.000 tonnellate all’anno, la Cina 23,2 milioni di tonnellate, e la Cina è 232 volte più forte degli Stati Uniti. Un rapporto di un think tank britannico sostiene che gli Stati Uniti non sono più in grado di combattere guerre industrializzate e che ci vogliono due anni per produrre la quantità di proiettili di artiglieria consumati dalla Russia in Ucraina in una settimana. Gli Stati Uniti si stanno deindustrializzando da molto tempo, sono dipendenti dal gioco finanziario, giocano molto con il PIL, un sacco di falsi fuochi e bolle, e non appena si trovano di fronte a una crisi, si rendono conto che queste cose non funzionano, un conflitto in Ucraina, non hanno abbastanza munizioni per tutto questo. Penso quindi che alla fine capiranno che la cooperazione win-win e lo sviluppo pacifico sono la strada migliore da percorrere.

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