DELIO CANTIMORI, CARL SCHMITT, L’OCCASIONALISMO E IL ROMANTICISMO POLITICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO _di Massimo Morigi

FLECTERE  SI  NEQUEO SUPEROS   ACHERONTA MOVEBO

 

DELIO CANTIMORI, CARL SCHMITT, L’OCCASIONALISMO E IL ROMANTICISMO POLITICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO  PER UNA LETTURA INATTUALE DELLA  LETTRE À  MONSIEUR  LE   PRÉSIDENT  E  DEL   SUO  COMMENTO    DI  GIUSEPPE    GERMINARIO

 

Di Massimo Morigi

 

Tantalus a labris sitiens fugientia captat

flumina – quid rides? mutato nomine de te

fabula narratur

Quintus Horatius Flaccus,  Sermones (Satire), I, 1, 68-70

 

         Molto opportunamente, in vera inattuale controtendenza con la narrazione virustotalitaria di questi tempi, in data 29 aprile 2021 il nostro blog “L’Italia e il Mondo” ha pubblicato all’URL https://italiaeilmondo.com/2021/04/29/lettera-al-presidente-lettre-au-president_di-e-a-cura-di-giuseppe-germinario/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210430070632/http:/italiaeilmondo.com/2021/04/29/lettera-al-presidente-lettre-au-president_di-e-a-cura-di-giuseppe-germinario/?lcp_pagelistcategorypostswidget-3=4%23lcp_instance_listcategorypostswidget-3,   Lettera al Presidente, Lettre  à Monsieur Le Président.  “Per un ritorno all’onore dei nostri governanti”: 20 generali chiedono a Macron di difendere il patriottismo.  La pubblicazione della traduzione della lettera (originariamente all’URL https://www.valeursactuelles.com/politique/pour-un-retour-de-lhonneur-de-nos-gouvernants-20-generaux-appellent-macron-a-defendre-le-patriotisme/, Wayback Machine:  https://web.archive.org/web/20210430070506/https://www.valeursactuelles.com/politique/pour-un-retour-de-lhonneur-de-nos-gouvernants-20-generaux-appellent-macron-a-defendre-le-patriotisme/  o https://www.place-armes.fr/post/lettre-ouverte-a-nos-gouvernants, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210501034121/https://www.place-armes.fr/post/lettre-ouverte-a-nos-gouvernants, dove fra l’altro con quest’ultimo congelamento Wayback Machine del 6 maggio 2021 si può constatare che la lettera ha avuto 442.132 visite e un like e/o sottoscrizione da parte di 3215 visitatori all’URL,  per la gran parte militari, come si evince, oltre che dal non commentato numero dei like riportati in calce, dalla gran messe di nominativi di militari di ogni grado riportati espressamente in  quest’ultimo congelamento, tali da configurare quasi una rivolta castrense e, comunque, un diffusissimo malcontento nell’esercito francese, di cui i generali  originari firmatari  hanno ben saputo cogliere i segni) è stata curata da Giuseppe Germinario, così come è pure sempre di Germinario il suo commento immediatamente in calce. Del quale commento diciamo subito che tutto condividiamo, e lo condividiamo particolarmente nei chiaroscuri della sua chiusa, nella quale emergono tutti i nostri dubbi e contraddizioni di un pensiero ispirato ad un rinnovato realismo politico e alternativo alla narrazione liberal-democraticistica che ancora stenta a poggiare, almeno su un piano di generale condivisione, su una solida base teorico-prassistica ed operativa: «Le implicazioni di tale rappresentazione sono molteplici: si può cadere nella tentazione velleitaria di un pedissequo ritorno al passato tipico dei reazionari, nel rifiuto della tecnologia piuttosto che nella valutazione del suo utilizzo e dei principi che ne informano gli sviluppi, fermo restando che la conoscenza e l’ambizione di controllo dei processi naturali sono parte integrante dello sviluppo scientifico quali che siano i rapporti sociali e a prescindere da come questi rapporti vi entrino; si possono proporre “sante alleanze” (ad esempio tra tutti gli stati) contro una cosiddetta cupola che è in realtà parte integrante del sistema di potere di qualcuno di essi; non si riesce a percepire l’esistenza di varie “cupole” anche finanziarie al servizio di centri e stati “amici” o ritenuti tali o esenti per natura da certi esercizi di potere.  La lettera, forse al di là della valutazione e delle stesse intenzioni dei firmatari, assume quindi una importanza politica enorme, specie in una Europa addomesticata ormai da oltre settanta anni. Vedremo verso quale versante penderà la propensione dei promotori; quel declivio ne determinerà la sorte. In Italia ci guardiamo bene dal raggiungere quel crinale che obbligherebbe senza scampo ad una scelta. Potrebbe essere ancora una volta la nostra salvezza da tragedie immani ma anche successi che invece la Francia ha conosciuto; sicuramente, nel migliore dei casi, si tratterebbe di una sopravvivenza di una classe dirigente, meno di un popolo, costantemente con il cappello in mano.», mentre sul piano strettamente personale queste parole di Germinario mi rinviano, anche se quasi subliminalmente,  ad alcune mie riflessioni, non ancora pubblicate, su Delio Cantimori, ed in particolare, all’irrisolto rapporto del più grande storico italiano del Novecento col pensiero di Carl Schmitt. E così a commento della lettera dei generali francesi a Macron, ma anche del commento di Germinario (ma anche a Verso la guerra civile. Il tramonto dell’impero USA di Gianfranco Campa – URL: https://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210201075858/http:/italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/ –, al quale come già detto, mi  riservo un futuro commento) e, infine, delle generali ma anche mie contraddizioni strategiche, cito direttamente dall’ancora non pubblicato mio lavoro.

           «A parte gli studi sulle sette ereticali che porranno giustamente Delio Cantimori  (nato a Russi, provincia di Ravenna, il 30 agosto 1904, primogenito di 3 figli di Carlo Cantimori e Silvia Sintini, morto a  Firenze il 13 settembre 1966 cadendo dalla scala della sua biblioteca privata) come il più grande storico italiano del Novecento e ne definiranno non solo la sua personalità scientifica ma […] anche il suo profilo etico-politico,  il rapporto dello storico romagnolo con Carl Schmitt è senza dubbio quell’altro episodio della vita  di Cantimori che ce ne restituisce in pieno il profilo personale e culturale e che ci permette di collocarlo non solo come una delle maggiori testimonianze della crisi del fascismo regime verso quegli intellettuali di matrice democratico-rivoluzionaria che all’inizio l’avevano appoggiato con entusiasmo ma anche di indicare il percorso umano, culturale e politico di Cantimori come uno dei maggiori esempi dei problemi, a tutt’oggi ancora del tutto irrisolti, che si devono affrontare qualora si rifiuti l’affabulazione liberal-democratica ma, al tempo stesso, ci si ritragga, come in definitiva Cantimori sempre fece, di fronte alle promesse rivelatesi infine false del totalitarismo e della burocratizzazione dell’esistenza privata e della vita pubblica.

          Nel definire, comunque, la vicenda Cantimori-Schmitt è innanzitutto necessaria una premessa. Cantimori, proprio per la sua matrice mazziniana democratico-rivoluzionaria e quindi per la sua naturale e meditata avversione al liberalismo (che se vogliamo trovare una costante nel suo tormentato percorso, prima fascista e poi comunista nel PCI di Togliatti proprio questo antiliberalismo fu la sua costante stella polare alla quale rimase sempre fedelissimo) fu sempre molto attento verso la Konservative Revolution tedesca, tanto che all’epoca (giudizio che condividiamo anche noi) egli venne considerato come il maggior esperto italiano del variegato universo degli uomini e dei movimenti che componevano questa rivolta tedesca non solo contro il trattato capestro di Versailles e la democratica repubblica di Weimar che era sorta in seguito a questa capitolazione ma anche contro quella Germania guglielmina che, a giudizio della Konservative Revolution, aveva perso la guerra perché troppo borghese e democratica e quindi dimentica degli autentici valori militaristi che avevano permesso la nascita della Germania imperiale.

Gli articoli di Cantimori sulla Germania di Weimar e sulla reazione contro questa costituita dalla Konsevative Revolution scritti per le riviste “Vita nova” e “Studi germanici”, sono costantemente caratterizzati da un sentimento di comprensione-repulsione nei confronti di questo movimento. Detto in estrema sintesi. Comprensione perché da Cantimori era sommamente apprezzata l’avversione tutta romantica della Konservative Revolution verso tutto quello che sapeva di liberale, in altre parole, Cantimori condivideva in pieno la Stimmung della Konsevative Revolution contro la weberiana secolarizzazione ed atomizzazione della società che era il portato inevitabile e necessario della democrazia partitocratica  di massa della repubblica di Weimar e, in pieno accordo con la Konservative Revolution, anche Cantimori era a favore di una società organica da contrapporre sia alla società liberale sia al comunismo di marca sovietica (comunismo di marca sovietica che però, giova ripetere, il fascista di sinistra e poi corporativista Cantimori non vide mai come un nemico da distruggere ma come un avversario da superare, in quanto anch’esso alternativa ma troppo rozza ed imperfetta, della democrazia liberale).

Avversione perché le idee politiche e i miti […] che costituivano la Weltanschauung della Konservative Revolution erano il pangermanesimo (implicante quindi una visione imperialistico-conflittuale sempre rifiutata da Cantimori in quanto sì fascista ma di  matrice rivoluzionaria democratico-risorgimentale) e addirittura il razzismo antisemita, un tratto che Cantimori proprio perché. come abbiamo mostrato, costituzionalmente amico delle minoranze e fautore convintissimo della tolleranza religiosa (che anzi considerava come il lascito più importante che, attraverso l’opera delle sette ereticali, l’Umanesimo italiano aveva consegnato alla civiltà europea) non poteva che rifiutare alla radice.

         Ma anche se esplicitamente e senza appello Cantimori sempre disprezzò l’antisemitismo e sempre lo condannò pubblicamente, nel contempo lo storico romagnolo cercava pure di fornire un giudizio scientifico delle sue manifestazioni all’interno della Konservative Revolution, sostenendo che se anche in questo movimento non si poteva certo ravvisare la maturità ideologica e politica del fascismo, questo movimento, nonostante i tratti barbari dei suoi giovani esponenti –  dovuti in primo luogo alle peculiarità della cultura tedesca in cui l’Umanesimo aveva assunto da subito tratti protonazionalistici,  al contrario che in Italia dove con la critica filologica dei sacri testi di  Lorenzo Valla aveva portato all’elaborazione di quella mentalità, e pratica, tollerante che, assieme al nicodemismo, sarebbe stato il tratto caratterizzante dei gruppi eretici –, aveva avuto come  positivo risultato il rafforzamento del sentimento di appartenenza ed identità nazionali tedesche, comprese,  purtroppo, anche  le loro derive degenerative, cioè il pangermanesimo, il razzismo, fino all’antisemitismo, sentimenti causati, però, oltre che dalla storia tedesca che non aveva avuto un Umanesimo universalista e tollerante come quello italiano, soprattutto dalla   sconfitta militare che non aveva certo favorito una visione serena e distaccata della politica.

Cantimori, quindi, nel suo giudizio sulla Konservative Revolution  e sulla Germania univa, accanto a finissimi tratti di ricostruzione storico-politica, anche, visti ex post, notevoli tratti di ingenuità intrecciati ad un irrisolto ed ambiguo sentimento di attrazione-repulsione. Ora vedremo come questa ambiguità di giudizio sia stata la nota dominante nel suo rapporto con Carl Schmitt. Una ambiguità di giudizio ma anche tendente ad un sostanziale rifiuto del magistero del giuspubblicista di Plettenberg – al contrario della valutazione sulla Konservative Revolution tutta impregnata di scusanti ed attenuanti –  che però non impedì a Cantimori di essere l’intellettuale cui si deve attribuire il merito di avere messo per primo  sotto  la luce dei riflettori della provinciale cultura fascista la figura del grande giuspubblicista di Plettenberg.

Se facciamo eccezione dell’occasione mancata nel 1922 della pubblicazione in italiano di Die Diktatur di Carl Schmitt (prima edizione: Carl Schmitt, Die Diktatur. Von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis zum proletarischen Klassenkampf, München-Leipzig, Duncher & Humblot, 1921), occasione mancata perché, per ironia della storia, i fascisti in risposta allo “sciopero legalitario” proclamato dall’Alleanza del Lavoro, distrussero incendiandole la sede Milanese dell’ “Avanti” e la sua tipografia dove proprio si stava stampando il saggio del giuspubblicista fascista Carl Schmitt, la prima pubblicazione in italiano degli scritti di Carl Schmitt furono i Principii politici del Nazionalsocialismo (Carl Schmitt, Principii politici del Nazionalsocialismo, Scritti scelti e tradotti da Delio Cantimori,  Firenze, Sansoni, 1935), una raccolta di scritti di Schmitt, tra cui la traduzione di Der Begriff des Politischen (prima edizione: Carl Schmitt, Der Begriff des Politischen, in “Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik”, a. LVIII, n. 1, 1927, pp. 1-33) e comprendente anche una lunga nota esplicativa di Cantimori, da pagina 1 a pagina 42, le  Note sul Nazionalsocialismo. (Le Note sul Nazionalsocialismo, prima di costituire la premessa apposta da Cantimori ai Principii politici del nazionalsocialismo, furono pubblicate nell’ “Archivio di studi corporativi”, V, 1934, pp. 291-328. Oggi sono più facilmente consultabili in Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), Torino, Einuadi, 1991, pp. 163-191).

         Chi andasse a leggere la nota esplicativa di Cantimori aspettandosi un’analisi del pensiero di Carl Schmitt rimarrebbe molto deluso perché Cantimori pur traducendo in italiano tutti i saggi di Schmitt presenti nella raccolta (e, ancor più importante, pur essendo colui che più di ogni altro aveva spinto perché questa raccolta venisse alla luce e, a questo scopo, aveva anche incontrato personalmente Schmitt), non affronta il problema di un confronto diretto col pensiero di Carl Schmitt limitandosi nelle Note sul Nazionalsocialismo di fare un quadro d’insieme delle componenti politico-culturali che facevano da sfondo al nazismo, focalizzandosi in particolare sul contributo dato al movimento dai fratelli Otto e Gregor Strasser. 

È quindi evidente che per Cantimori, che pur riconosceva un grande valore al pensiero del giuspubblicista di Plettenberg, esisteva un autentico problema Schmitt, problema Schmitt che, come abbiamo visto dall’episodio “epico” della bastonatura da parte dei fascisti di un comunista e al tempo stesso con stridentissima contraddizione, dall’approvazione del comunque assai poco epico assassinio di Matteotti [per entrambe le questioni cfr. infra, N.d.A.], deriva proprio dalla mentalità di Cantimori la cui Weltanschauung era indelebilmente caratterizzata da una sintesi sempre insoddisfacente fra il romanticismo democratico di stampo risorgimentale-mazziniano e il realismo à la Machiavelli: era quindi evidente che un pensiero come quello dello Schmitt imperniato, almeno nella prima fase della produzione del giuspubblicista di Plettenberg (la fase che più attirò l’attenzione di Cantimori), sulla dualità amico-nemico, dove il nemico era colui che attraverso la distruzione dello stesso delimitava il campo del politico, dell’amico e della formazione della sua identità, e sul Dezisionismus, un decisionismo che era in grado solo in virtù del suo mero manifestarsi nel ‘politico’ di creare diritto infischiandosi della norma,  costituisse per Cantimori, assieme ad uno “scandalo” che doveva essere rifiutato (e semmai giustificato inserendo il pensiero di Schmitt nell’ambito delle componenti irrazionali che agitavano la Konservative Revolution), anche una sorta di pensiero inconscio dello stesso Cantimori, una sorta di mai compiutamente espressa  intellettualmente visione politica che giustificava anche l’assassinio politico ed il più deteriore machiavellismo  qualora la situazione politica avesse richiesto il ricorso alla modalità amico-nemico, vedi l’approvazione di Cantimori dell’uccisione di Matteotti.

Ma se i Principi del nazionalsocialismo furono una sorta di occasione totalmente perduta per Cantimori per fare i conti col pensiero di Schmitt (e probabilmente lo furono anche per ovvie ragioni diplomatiche perché Cantimori si era più volte incontrato con Schmitt per arrivare a questa pubblicazione e sarebbe stato veramente poco diplomatico, oltreché sommamente scortese, criticare aspramente un autore verso il quale tanto si era fatto per accordarsene le grazie), in Cantimori lo scandalo-rimozione di Schmitt doveva in qualche modo venire alla luce e ciò accadde nello stesso 1935 con la pubblicazione di Cantimori su “Studi germanici” del lungo articolo La politica di Carl Schmitt. Per cercare di districare questo scandalo-rimozione di Schmitt (in un’operazione che, come vedremo, è ai nostri occhi di estremo interesse non tanto per il suo successo ma proprio per il suo fallimento nel fare i conti sul serio col pensiero di Schmitt, un fallimento che nei suoi tratti cantimoriani  non solo sarà condiviso da tutta la cultura italiana del tempo prima di arrivare alla riscoperta schmittiana di Miglio ma segnerà anche, come vedremo, la successiva proiezione pubblica di Cantimori con l’adesione prima e la fuoruscita poi dal PCI togliattiano), Cantimori come prima mossa cerca quindi di inquadrare le fonti del pensiero di Carl Schmitt: «Ma se lo Schmitt con la sua cultura ha saputo costruire una tradizione, intesa come una specie di giustificazione storica, alla propria dottrina, che così si viene a inserire fra le grandi teorie “pessimistiche” della vita politica, com’egli dice, o naturalistiche, come noi secondo la cultura filosofica italiana preferiamo dire, sorte tutte, come lo Schmitt stesso acutamente osserva, in periodi di “crisi” politica (non useremmo la parola “nazionale”, troppo recente, e carica anch’essa di naturalismo, ma “ottimistico”) – quelle del Machiavelli, dello Hobbes, dello Hegel –, evidentissime sono pure nei suoi scritti le origini “presenti”, attuali, delle sue esigenze e delle sue dottrine. Cominciamo dalle dottrine: le radici del decisionismo dello Schmitt stanno soprattutto nella tesi antiromantica del “pensatore esistenziale”, del Kierkegaard, con la sua esigenza attivistica ed anarchicamente soggettiva (non intendo qui “anarchico” in senso politico, ché anzi il Kierkegaard si dimostrò politicamente conservatore e in certi momenti reazionario) la quale si esplica nel porre davanti  a una decisione risolutiva l’ “interno rapporto esistenziale del singolo di fronte a se stesso”, con una specie di puritanesimo disperato e anarchico  […] [Ma] Non staremo qui dunque a riprendere questi problemi: piuttosto rileviamo lo strano miscuglio di esperienze filosofiche e storiche che costituiscono il sostrato  culturale delle dottrine schmittiane: il legittimista  e papista ex massone De Maistre, il duro disperato teorico della dittatura reazionaria, per troppo odio ai nemici della Chiesa eretico del cattolicesimo, Donoso Cortes, il moralista sindacalista Sorel, il protestante disperato e angosciato fierissimo nemico dell’umanità e degli hegeliani Kierkegaard, lo Hegel “prussiano” e luterano, il Marx delle critiche alla società capitalistica e delle invettive al mondo borghese; e poi il Bakunin, gli anarchici, Lenin: tutta gente decisa, pronta ad affermare la propria forza con l’azione nel caso d’eccezione, o teorizzante tale decisione, pronta ad imprimere una forma con la violenza nel caos, purché una azione sia compiuta, una decisione sia presa, con recise parole, con diritta linea, con netta volontà. Si capisce, riflettendo a questa varietà di motivi, come Thomas Mann, per far parlare uno dei suoi personaggi più tetri e che meglio aiuta a renderci conto della situazione spirituale di tanti tedeschi di ieri e di oggi,  l’ebreo gesuita anarchico Nafta dello Zauberberg, abbia potuto servirsi di frasi e periodi degli scritti dello Schmitt, in specie della Politische Romantik. Certo, la personalità dello Schmitt, di schiatta campagnola della tedeschissima Westfalia, non ha niente a che fare con il sinistro personaggio dipinto, con una certa quasi morbosa compiacenza, dal Mann: ma è innegabile che spesso gli scritti dello Schmitt, prima di quello sulle Drei Arten des Rechtwissenschaftlichen Denkens, destino tale impressione di anarchica volontà di reazione contro un mondo a cui non si è in grado di credere. E sono gli scritti che, ripetiamo, hanno avuto più fortuna ed hanno avvicinato allo Schmitt alcuni circoli di giovani scrittori nazionalsocialisti.» (Delio Cantimori, La politica di Carl Schmitt, “Studi Germanici”, 1, 1935, citato da Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), cit., pp. 243-245).

          Se ci fermassimo solo alla registrazione dei nomi e delle correnti filosofiche registrate da Cantimori per ricostruire la genealogia del pensiero di Schmitt, saremmo di fronte ad un’analisi impeccabile nonché, viene da dire, assai algida. Ma è proprio su quest’ultima aggettivazione che bisogna soffermarsi per, in ultima analisi, respingerla. Sicuramente l’elenco delle fonti è completo ma di tutto si tratta fuorché di un’algida elencazione perché se la “gente decisa” che può avere ispirato Schmitt incontra l’esplicito apprezzamento di Cantimori (ed è da notare in questo senso l’inclusione fra i personaggi positivi della storia anche di Lenin, questo a dimostrare quanto fosse autentico lo spirito rivoluzionario del fascista Cantimori), d’altro canto la  “neutralizzazione” del pensiero di Schmitt attraverso la genealogia è un’operazione cui lo stesso Cantimori dimostra di non credere fino in fondo nel momento in cui afferma – e allo stesso tempo cercando di sminuire la negatività di questa osservazione – che Thomas Mann nella Montagna incantata per rappresentare la fosca figura dell’ebreo gesuita anarchico Nafta «abbia potuto servirsi di frasi e periodi degli scritti dello Schmitt, in specie della Politische Romantik.» E, a questo punto, si dimostra assai debole difesa affermare “Certo, la personalità dello Schmitt, di schiatta campagnola della tedeschissima Westfalia, non ha niente a che fare con il sinistro personaggio dipinto, con una certa quasi morbosa compiacenza, dal Mann”, una sorta di excusatio non petita accusatio manifesta, alla quale, comunque, Cantimori dimostra immediatamente di non credervi fino in fondo quando subito dopo afferma che, in pratica, sono proprio i tratti luciferini del pensiero di Schmitt che gli hanno attirato le simpatie del nazionalsocialismo (che Cantimori disprezzava perché portava all’estrema degenerazione tutti quei tratti irrazionali della Konservative Revolution che, a giudizio di Cantimori, era in sé, complessivamente,  un fenomeno positivo in quanto reazione antiliberale).

          Comunque, dopo questo (tormentato) inquadramento genealogico del pensiero di Schmitt, Cantimori passa al tentativo di un suo  inquadramento teorico  e a questo punto assistiamo ad un’autentica rimozione da parte di Cantimori del significato filosofico-politico del pensiero di Schmitt (e come vedremo contestualmente, saremo messi di fronte anche ad un’autentica  e sconcertante sorpresa): «Qual è il motivo fondamentale che conferisce unità all’eterogeneo miscuglio di argomentazioni e pensamenti che formano la sostanza della dottrina politica dello Schmitt, nel suo periodo “decisionistico”? Diciamo subito che a nostro parere non si tratta, come vuole il Fiala, di un “pensiero occasionalistico”, cioè interiormente vuoto e atto a tutti i contenuti, cioè di una apparenza di pensiero, della brillante veste di una ambizione personale: c’è sotto la risposta a una esigenza sentimentale e politica. In quanto tale, il pensiero “decisionistico” dello Schmitt non è molto saldo teoricamente, non è profondamente pensato, ma piuttosto acutamente, geistreich, elaborato e costruito: la dottrina brillantissima della politica come sede della decisione del contrasto fondamentale fra amicus e hostis rimane ferma alla constatazione e al dualismo della contrapposizione, senza pervenire ad una risoluzione: poiché lo stato di guerra permanente non è una risoluzione filosofica, ma rimane una constatazione (certo lo Schmitt rifiuterebbe come “liberale” ogni risoluzione in un terzo superiore della perenne antitesi hostis-amicus: ma questo rifiuto non elimina l’esigenza. Ma qui non si può andare oltre). Né ha poi ricevuto ulteriori svolgimenti,  appunto perché geniale come constatazione nel campo empirico, e intrinsecamente inane come teoria nel campo speculativo (nonostante lo sforzo dell’A.: ma qui non si ricercano le intenzioni, si esaminano i risultati). Dunque non dobbiamo ricercare la spiegazione e l’interpretazione delle teorie dello Schmitt in sede di pensiero filosofico e teoretico, mentre a sua volta l’origine dottrinale, che abbiamo accennata, non basta: dovremo ricercare quel motivo fondamentale nel  mondo empirico degli avvenimenti, in quello della pratica, delle volizioni, delle aspirazioni, degli affetti, dei sentimenti, degli odii e degli amori.». (Id., La politica di Carl Schmitt, “Studi Germanici”, 1, 1935, citato  da Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), cit., p. 246).

          In sede di analisi di questo passo innanzitutto una considerazione. Seppur espresso con un lessico filosofico che copre la natura meramente empirica dell’argomentazione – e che, per strana ironia, fa sì che l’accusa rivolta a Schmitt di fare confusione fra incontestabili dati di fatto, in primo luogo la contrapposizione fra amico e nemico, ed affermazioni filosofiche, possa essere rivolta anche al Cantimori stesso – Cantimori ci pone comunque di fronte a quello che potremmo definire il “paradosso Carl Schmitt”, vale a dire che se la contrapposizione schmittiana amico-nemico  è uno strumento impareggiabile per insegnarci l’anatomia del “politico” è sovente parimenti impotente per insegnarcene la dinamica (come inquadrare, cioè, la collaborazione fra “indifferenti”, cioè fra né amici  né nemici, che si associano per uno scopo comune senza per questo divenire amici; come spiegare, senza che ciò implichi particolare alleanze e/o accordi  né impliciti né espliciti, tutte quelle particolari relazioni simbiotiche che si manifestano nelle società umane, che con la stessa modalità di quelle che avvengono in natura – cioè nelle società animali o vegetali –  non presuppongono nemmeno, se non in senso molto lato, la creazione di un amico o di un nemico?).

Purtroppo il parlare in “filosofico” dove invece si sarebbe dovuto discorrere in “sociologico” e “storico”, per poi  partendo  dalla constatazione fattuale delle fonti del pensiero di Schmitt, con corretta operazione non praticata da Cantimori, ricavarne  dialetticamente euristiche considerazioni filosofico-politiche – rimanendo quindi impigliato nello stesso errore indotto dalla filosofia dei distinti di Croce dove, in ragione proprio della sua fragilità teorica, alla fine, in conseguenza della sua dialettica a “spezzatino”, falliva proprio nello distinguere fra i vari livelli del discorso –,  impedisce a Cantimori, che come molti intellettuali idealisti del tempo tentava impervie sintesi fra la filosofia dei distinti di  Benedetto Croce e l’attualismo di Giovanni Gentile,  di mettere chiaramente a fuoco il paradosso di Carl Schmitt e alla fine la critica si risolve, piuttosto che rilevare i gravi, profondi ma anche illuminanti problemi per il pensiero politico e filosofico del ragionamento di Carl Schmitt, a collocare crocianamente i ragionamenti e categorie di Carl Schmitt nel mondo degli pseudoconcetti, magari giudicandolo autore di  grande forza interpretativa riguardo al mondo empirico-politico ma non riconoscendogli alcuna  consistenza teorico-filosofica («Dunque non dobbiamo ricercare la spiegazione e l’interpretazione delle teorie dello Schmitt in sede di pensiero filosofico e teoretico, mentre a sua volta l’origine dottrinale, che abbiamo accennata, non basta: dovremo ricercare quel motivo fondamentale nel  mondo empirico degli avvenimenti, in quello della pratica, delle volizioni, delle aspirazioni, degli affetti, dei sentimenti, degli odii e degli amori.»).

          Ma è giunto il momento di evidenziare la sorpresa che nasconde questo commento cantimoriano a Schmitt. Si tratta dell’esplicito riferimento a Hugo Fiala, cioè delle durissime critiche che Karl Löwith in Politische Dezisionismus  sotto lo pseudonomo, appunto, di Hugo Fiala  aveva rivolto, riferendosi soprattutto al  Politische Romantik e al Der Begriff des Politischen,  al decisionismo di Carl Schmitt e al suo occasionalismo, accusandolo, quindi, di una totale   mancanza di  ubi consistam nel suo pensiero. (Cfr. Hugo Fiala, pseudonimo di Karl Löwith, Politische Dezisionismus, in “Internationale Zeitschrift für Theorie des Rechts”, 1935, IX, n. 2, pp. 101-123. Questo saggio di Karl Löwith fu nello stesso anno pubblicato anche in Italia col titolo Il concetto della politica di Carl Schmitt e il problema della decisione nella rivista “Nuovi Studi di diritto, economia e politica” (1935, VII, pp. 58-83). Il saggio fu nuovamente pubblicato in italiano nel 1967 in Karl Löwith, Critica dell’esistenza storica, Napoli, Morano, 1967, con il cambiamento di titolo, Il decisionismo occasionale di Carl Schmitt, pp. 113-161. In questa nuova versione Löwith modifica il saggio originario attribuendo il vuoto occasionalismo schmittiano anche a Martin Heidegger e al teologo Friedrich Gogarten).

          Accusa questa del Löwith estremamente imbarazzante per Carl Schmitt il quale nel Politische Romantik aveva proprio cercato di mettere alla berlina l’occasionalismo romantico. Soprattutto – ma non solo, perché in Politische Romantik la critica al romanticismo investe la totalità di questo fenomeno culturale, sempre comunque viziato dalla tara del velleitarismo occasionalista –  se applicato alla politica e alla sua interpretazione. E se come difesa d’ufficio Cantimori sembra respingere il giudizio di occasionalista affibbiato da  Löwith a Schmitt: «Diciamo subito che a nostro parere non si tratta, come vuole il Fiala, di un “pensiero occasionalistico”, cioè interiormente vuoto e atto a tutti i contenuti, cioè di una apparenza di pensiero, della brillante veste di una ambizione personale: c’è sotto la risposta a una esigenza sentimentale e politica.», immediatamente dopo arriva la palinodia: «In quanto tale, il pensiero “decisionistico” dello Schmitt non è molto saldo teoricamente, non è profondamente pensato, ma piuttosto acutamente, geistreich, elaborato e costruito: la dottrina brillantissima della politica come sede della decisione del contrasto fondamentale fra amicus e hostis rimane ferma alla constatazione e al dualismo della contrapposizione, senza pervenire ad una risoluzione: poiché lo stato di guerra permanente non è una risoluzione filosofica, ma rimane una constatazione (certo lo Schmitt rifiuterebbe come “liberale” ogni risoluzione in un terzo superiore della perenne antitesi hostis-amicus: ma questo rifiuto non elimina l’esigenza. Ma qui non si può andare oltre).», palinodia che oltre a rappresentare una perfetta sintesi del pensiero di Löwith riguardo a Schmitt è, come si evince assai chiaramente sia dalla impostazione generale dell’intero saggio di Cantimori sia per l’evidente condivisione  così come si evidenzia dalla nostra specifica citazione, anche una perfetta sintesi del pensiero di Cantimori riguardo a Schmitt.

          Ma detto questo, avendo cioè evidenziato attraverso la lettura della Politica di Carl Schmitt il totale dissenso di Cantimori da Carl Schmitt, non saremmo ancora in grado di cogliere tutta l’estrema ambiguità dell’operazione compiuta da Cantimori su Carl Schmitt e questo perché sorprendentemente – sorprendentemente, cioè, per il fatto che Cantimori si era fatto ricevere da Schmitt per curare la diffusione del suo pensiero in Italia, e Schmitt almeno all’inizio aveva addirittura rifiutato d’incontralo, convinto poi dopo dalla già acclarata  fama di studioso di Cantimori che gli aveva fatto pensare di poter trovare presso di lui una utilissima spalla per far conoscere in Italia il suo pensiero –  il traduttore in italiano del saggio di  Löwith era stato proprio Delio Cantimori.

Anche da questo non minore episodio del suo percorso umano ed intellettuale si pone allora in evidenza un atteggiamento, e cioè il nicodemismo, che non fu solo un tratto psicologico che Cantimori, assieme all’elaborazione del concetto e della pratica della tolleranza, avrebbe attribuito, in Eretici italiani del Cinquecento (Delio Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche, Firenze,  Sansoni,  1939, 1ª edizione), ai membri delle sette ereticali ma che  anche fu un atteggiamento che costantemente segnò il percorso umano ed intellettuale del Cantimori stesso. Questo nicodemismo, cioè quel comportamento che porta a nascondere  il proprio vero pensiero di fronte a maggioranze oppressive ed autoritarie, non fu per la verità un tratto solo cantimoriano: escludendo da questo novero coloro che per pura convenienza erano fascistissimi e poi, appena caduto il regime, non lo erano mai stati e poi nel secondo dopoguerra pretenderanno di incarnare nella loro persona l’archetipo dell’antifascista (e solo dopo, quando scoperti da giornalisti ficcanaso bofonchieranno scuse penose: un esempio per tutti, quell’icona del pensiero radical chic che rispondeva al nome di Norberto Bobbio), il nicodemismo, per la verità, non poteva che essere lo sbocco inevitabile e necessitato di tutto quel fascismo di sinistra di matrice risorgementale-democratica o socialista che sul fascismo aveva riposto grandi speranze di quel rinnovamento e rivoluzionamento dell’Italia che il Risorgimento non era riuscito a compiere e per riuscire a costruire quella tanto agognata “terza via” fra l’anomia del capitalismo selvaggio e senza regole e il comunismo alla sovietica che se aveva saputo mettere in  primo piano la questione sociale, era riuscito, proprio come il capitalismo, ugualmente disumanizzante (comunismo sovietico che comunque, lo ripetiamo, per Cantimori e per tutti i fascisti terziviisti di sinistra mai fu visto come un nemico ma, piuttosto, come un avversario da superare nella soluzione dei problemi del capitalismo).

          E per Cantimori, come per tutti gli altri fascisti di sinistra  motivi per essere delusi prima e poi “nicodemisti” e, alla fine, per dare uno sbocco nella resistenza e/o nei partiti di sinistra del secondo dopoguerra, il fascismo regime non aveva certo mancato di fornirne. Il Concordato fra Stato e Chiesa prima (e il fascista mazziniano-repubblicano e risorgimentale Cantimori fece sinceri e dolorosi sforzi di realismo politico – sinceri come quando giustificò l’assassinio Matteotti ma, in questo caso, assai più dolorosi – per giustificare sotto il nume tutelare della ragion di Stato il vulnus del Concordato), il mancato rivoluzionamento della struttura economico-sociale del paese che avrebbe dovuto essere messo in atto attraverso il corporativismo ma che, in realtà, vide il corporativismo ridotto ad una pura bardatura burocratica animata dal solo scopo di reprimere la conflittualità sociale ed in primis quella operaia e, infine, le leggi razziali furono tutte “occasioni non perdute” per segnare il distacco di questa componente del fascismo dal fascismo regime.

Quello che però distinguerà l’allontanamento di Cantimori dal fascismo da quello di analoghi profili politici e culturali è che, in Cantimori, il nicodemismo non fu solo un tratto necessitato dalla durezza dei tempi ma fu, anche, un tratto extrapolitico denotante la sua personalità privata ed intellettuale.  Quando Cantimori scriveva nel suo appunto del ’34 che egli ora, piuttosto che dichiararsi spavaldamente fascista e fare comunella, come nei bei tempi della prima giovinezza, con i bastonatori fascisti romagnoli, aveva trovato la sua vera dimensione nelle sale ovattate del British Museum [cfr. infra, N.d.A.]  è evidente che si è già operata in lui un’insanabile frattura ma questo sfogo –  al contrario di altri fascisti di sinistra delusi, che cercarono con tutti i mezzi consentiti dal regime di avere una reale interlocuzione con le espressioni apicali dello stesso (vedi per esempio Ugo Spirito) –, rimase totalmente privato, confinato in un appunto personale e Cantimori, nonostante che in cuor suo avesse evidentemente già abiurato il fascismo regime, non si trasformò mai, in corso il regime, in un dissidente: «Dieci anni fa mi preparavo all’esame di normalista nel giardino di casa di mio padre a Forlì. Le passioni politiche del momento non mi toccavano molto; giudicavo le cose con molta freddezza, dal punto di vista della ragion politica, mi stupivo degli scandali di mio padre per l’uccisione di un membro del Parlamento, e poi mi vergognavo di questa incomprensione. Mi pareva giusto, cioè logico, che un nemico pericoloso e acre dovesse essere eliminato… La mia “politica” consisteva  nell’applicare i metodi  del machiavellismo volgare alla realizzazione della “Politeia” platonica; residui di nazionalismo patriottico della propaganda bellica, di atteggiamenti dell’interventismo repubblicano , motivi del movimento “combattentistico”, ricordi del periodo di propagandista “fiumano” fecero sì che nell’inverno a Pisa mi dichiarassi, nelle discussioni fra normalisti, per fascista. Volevo iscrivermi nel 1924, durante l’episodio Matteotti. Vedevo nel Fascismo soprattutto e quasi esclusivamente il programma del 1919: il monarchismo fascista mi sembrava un puro espediente politico… Nonostante l’insipienza ereditata dall’ambiente politico romagnolo, sentivo insomma con la classe nella quale vivevo ed alla quale la scuola mi faceva appartenere, ed accoglievo in me, per sentimento, per impulso, con concetti vaghi e generici, i motivi del Fascismo di battaglia.». (Appunto «30 agosto 1934», in Archivio Cantimori, Scuola Normale Superiore, citato da Adriano Prosperi (a cura di), Delio Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, Torino, Einuadi, 1992, p. XXI).

Ma se Cantimori politicamente parlando non fu mai pubblicamente un dissidente, dal punto di vista culturale, man mano che il regime assumeva tratti sempre più totalitari, costituì una sorta di mosca bianca fra tutti quegli intellettuali che erano inquadrati nelle istituzioni fasciste. Fu questo di Cantimori un atteggiamento nicodemico dettato da puro calcolo di convenienza (Cantimori pubblicò il suo saggio sugli Eretici italiani del Cinquecento nel 1939  e questo gli sarebbe stato veramente impossibile, va da sé, se Cantimori fosse stato un oppositore, seppur larvato, al fascismo e, siccome gli Eretici italiani del Cinquecento, oltre alla puntuale ricostruzione dei movimenti ereticali italiani sorti in seguito alla Riforma è anche un sentitissimo omaggio a costoro perché, secondo Cantimori, essi furono coloro che diedero vita al moderno concetto di tolleranza, concetto di tolleranza che secondo Cantimori nulla doveva al concetto liberale   di tolleranza di stampo lockiano ma era sorto, in seguito alla esegesi filologica valliana dei testi sacri, dalla consapevolezza che questi testi, oltre a dover essere interpretati nel loro contesto storico con un’interpretazione, quindi, tutta umana e soggetta per questo motivo ad errori, contenevano un solo indiscutibile messaggio, e cioè l’amore fraterno fra gli uomini che è l’esatta antitesi dell’intolleranza, e quindi si potrebbe dire che  in questo caso Cantimori per poter pubblicare il suo saggio che smentiva tutto quello che affermava il fascismo regime, abbia fatto suo il detto di Enrico IV di “Parigi val bene una messa”, e cioè che rendere onore ai tolleranti eretici italiani ben valesse il conto di non scontrarsi col fascismo regime) o fosse dettato dal fatto che per Cantimori,  al tempo della scrittura della nota privata del ’34, al fascismo fosse doveroso dare una prova d’appello, questo non lo possiamo dire.

          Possiamo certo dire che però, come, del resto, ce ne danno testimonianza l’introduzione cantimoriana di Schmitt in Italia operata attraverso il suo scritto La politica di Carl Schmitt e  la critica di Karl Löwith all’occasionalismo romantico di Carl Schmitt, sempre introdotta in Italia, come abbiamo visto, da Cantimori, lo stridore fra l’appartenenza politica di Cantimori e il suo profilo intellettuale cominciava a farsi notare in maniera eclatante e le osservazioni stupite di Croce in merito all’ambigua collocazione politico-culturale di Cantimori non fanno che darcene testimonianza. (Scrisse Croce di Cantimori  nella recensione a F. Church, I riformatori italiani, Firenze, 1935 e in “La Critica, 33, 1935, pp. 223-224: «Non so quale sia la fede politica del dr. Cantimori; ma, a stare alle sue parole, dovrebbe dirsi che egli si è lasciato accecare e trasportare fuori dei confini del vero dal suo ardente amore per la libertà, dal suo affetto per tutti i ribelli e per tutti i perseguitati  e le vittime delle tirannie sacre e profane. E starei quasi per fargli le congratulazioni di questo nobile eccesso, se non temessi di prendere abbaglio sul suo vero sentimento: tanta è la confusione e la contradizione degli atteggiamenti mentali e morali nei giorni che corrono.»).

          Insomma, alla luce della “strategia” cantimoriana verso il fascismo regime – lasciamo cadere il problema perché non abbiamo gli elementi per pronunciarci in merito, se al tempo della pubblicazione della Politica di Carl Schmitt e del saggio di Hugo Fiala Cantimori in cuor suo fosse disposto a fornire qualche chance al regime o, nel foro interiore, considerasse chiusa la partita con lo stesso –  pare di tutta evidenza che l’introduzione in Italia di Carl Smith lodandone il valore come studioso ma, palinodicamente, negandone un vero valore filosofico e scientifico rispondesse anche all’intento di  “parlare a nuora perché suocera intenda”. E che in Cantimori nel saggio sulla Politica di Carl Schmitt fosse politicamente e culturalmente animato da un nicodemico “parlare a nuora perché suocera intenda” ma che questo nicodemismo fosse anche interiore, cioè che nel foro interno di Cantimori non fossero stati fatti ancora del tutto i conti con l’origine attivistica e romantica del fascismo di Cantimori (con profonde affinità, cioè, a quei tratti romantico-occasionalisti deprecati dal Löwith e dallo stesso Cantimori a Schmitt), lo vediamo dal prosieguo dell’analisi di Cantimori intorno al mondo che giustificherebbe il pensiero di Carl Schmitt ossessivamente orientato, secondo lo storico romagnolo,  verso la dicotomia amico-nemico: «Questo mondo è caotico e convulso, violento e fremente nella Germania di questi ultimi anni. Fra i più agitati ed estremisti perché in sommovimento, radicali perché non fiduciosi nella storia, anarchici per nostalgia d’ordine assoluto, ha trovato fortuna lo Schmitt. Per tutti ricorderemo il più vigoroso e onesto fra gli scrittori che hanno rappresentato e alimentato con eloquenti parole tale stato d’animo: lo Jünger. Accanto a lui il Salomon, A. E. Günther, il Niekisch, e con lui, più vecchi, il Moeller van den Bruck, Hans Grimm, e infiniti altri: uomini ora, venuti su durante la guerra, che hanno costituito, come è stato detto, “una generazione di giovani usi all’agire e impreparati al pensare quant’altri mai nell’era moderna”: irosi, al ritorno dalla guerra o all’ascoltare i maggiori raccontare di quelle esperienze terribili che ne avevan fatto il carattere e segnato indelebilmente la mente, contro la società “borghese” nella quale tornavano: il mondo della Germania del dopo guerra, con gli inetti e timidi politici della socialdemocrazia, pavidi contro le forze della ribellione delle plebi, e perciò strumento in mano degli antichi avversari politici, con la disgregazione morale e materiale di un paese in disfatta, vivente, per quanto riguarda la vita spirituale, sugli avanzi di convinzioni   dimostrate vane dalla storia, su vaghe speranze o atroci determinazioni, caotico, in continuo sommovimento, pieno d’incertezza. In quel mondo, quegli uomini non potevano inserirsi, a meno di rinunciare a se stessi, di cedere alla sua ipocrisia, a quelle convenzioni che l’inesperienza giovanile, questa volta indurita e incapace di svolgimento per aver compiuto l’immane impresa della guerra, non era capace di accettare per superare.  Essi che cercavano certezza non potevano trovarla in quel disfacimento: e si misero ad accelerarlo con la loro opera di distruzione, nei campi opposti, ma sullo stesso piano, del comunismo estremista e del radicalismo nazionalista: nella ribellione. Che era una ribellione di disperati, di “figli della borghesia”, della borghesia prussiano-guglielmina, che a tanti prima della guerra mondiale appariva come modello  di salde virtù. Lavoro, dovere, senso dello stato, della famiglia, amore della cultura…: chi non ricorda le apologie del Treitschke per quel mondo, dal quale i giovani già negli anni precedenti alla guerra cercavano di sfuggire con il movimento così ingenuo oggi ai nostri occhi, della Jugendbewegung? Tutte quelle certezze, la sicurezza di quell’ordine costituito, che questi giovani ricercavano al ritorno della terribile esperienza, non c’erano più: scomparsi nel dissolvimento della sconfitta, nella esagitazione delle ribellioni, mentre gli occhi della mente fissi  per tanto tempo agli strumenti di guerra e alle stragi non riuscivano a scorgere sotto il tumulto degli affetti  della dolorosa pace le fila nascoste da seguire, i frammenti e le rovine su cui edificare, le luci su cui orientarsi per riconquistare una sicurezza, una certezza.». (Delio Cantimori, La politica di Carl Schmitt, “Studi Germanici”, 1, 1935, citato  da Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), cit., pp. 246-247).

          Non era la prima volta che Cantimori scriveva della Konservative Revolution e sul rossobrunisimo tedesco venendone per questo riconosciuto come il massimo esperto in Italia e di affari tedeschi contemporanei e dei movimenti che da destra come da sinistra contestavano cercando di abbattere la Repubblica di Weimar avendo come base comune un totale rifiuto del liberalismo e dell’economia capitalistica di mercato (e nel rossobrunismo si era cercato di arrivare ad una sintesi fra destra e sinistra antiliberale per abbattere questo comune nemico) e nei suoi precedenti scritti sulla Konservative Revolution e sul rossobrunismo  Cantimori, seppur tenesse a marcare chiaramente che si trattava di  fenomeni tipicamente tedeschi in cui le pulsioni irrazionali-religiose imponevano un giudizio non entusiastico su questo fenomeno, sottolineava anche   che, comunque, complessivamente il giudizio non poteva essere negativo in ragione dell’antiliberalismo di fondo di questi movimenti e dell’entusiasmo politico che sapevano suscitare fra i loro sostenitori.

Ora, invece, nella Politica di Carl Schmitt, il giudizio diviene nettamene negativo e ciò pare ancora più strano perché la descrizione del mondo culturale che fa da sfondo a Carl Schmitt viene in questo contesto fatta da Cantimori proprio per giustificare la non filosoficità e la portata pratico-mobilitativa delle idee dello Schmitt (in pratica, Cantimori fa sue le accuse romantico-occasianalistiche di Löwith a Schmitt, cercando di attenuarne la carica negativa affermando che se Schmitt scrive quello scrive ciò è dovuto all’ambiente o alla platea dei lettori presso nei quali si trova inserito Schmitt. Se poi queste negative influenze ambientali siano consapevolmente subite o inconsapevolmente assorbite, nel passaggio appena esaminato Cantimori non lo dice. Come vedremo proseguendo nell’analisi del testo cantimoriano, egli ci farà intendere che lo sono inconsapevolmente e questo rispetto al giudizio di Löwith è certamente un’attenuante, permanendo però il giudizio di occasionalismo romantico, solo che per Löwith, se ci vogliamo esprimere in termine giuridici, Schmitt è un’occasionalista doloso mentre per Cantimori mostreremo che si tratta di un “occasionalismo romantico colposo”).

          E inoltre, anche il questo passo compare, anzi diventa ancora più evidente il “parlare a nuora perché suocera intenda”, diventa cioè ancora più evidente un crescente disagio verso quell’atteggiamento attivistico che non solo  aveva connotato, ancor prima della Konservative Revolution, il fascismo ma che era stato all’inizio anche di Cantimori (quando giustificava l’assassinio Matteotti, quando pur non essendo ancora fascista, alla normale di Pisa non aveva alcuna remora a dichiararsi fascista, quando estasiato ascoltava le imprese bastonatorie dei suoi amici fascisti e vedendole, alla luce delle sue radici mazziniano-romantiche, come imprese gloriose degne di eroi omerici e in cui le vittime di questa violenza non erano nemmeno più vittime ma eroi alla stessa stregua dei bastonatori, tutti molto stranamente accomunati dal medesimo epos)  e dal quale Cantimori ora con la Politica di Carl Schmitt  vuole più o meno consapevolmente marcare sempre più le distanze. Insomma forse La politica di Carl Schmitt dovrebbe avere il titolo cambiato nella Politica di Delio Cantimori. Resta da vedere quanto di consapevole nicodemismo ci fosse in quest’atto politico e quando di inespresso anche a sé  stesso ci fosse in questo saggio su Carl Schmitt. Ma proseguiamo nella lettura della Politica di Carl Schmitt: «A tale situazione risponde la filosofia politica dell’aut-aut che ci offre lo Schmitt: decidersi, o amici, o nemici. Se si pensa alle battaglie dei Freikorps nella Germania postbellica, al polarizzarsi della lotta politica sui due estremi, alle preoccupazioni di politica estera del paese sconfitto, si capisce il pathos freddo ma intensissimo degli scritti dello Schmitt, della sua ansia di decisione, l’evidenza e la ricchezza di suggestione e di motivi che debbono sentirvi e vedervi nel suo paese le persone interessate alla politica. Non solo per i giuristi e per la scienza loro che doveva apprestarsi a servire la dittatura con tanto interesse studiata attraverso tempi e luoghi dello Schmitt, ma anche per i giovani dei circoli più estremi, ecco la parola: decisione; ecco la soluzione dei problemi sulla lotta politica: o amici, o nemici. La forza di queste risposte non sta tanto nella loro origine intellettuale, nella ricchezza dottrinale e nel rigore logico col quale sono sostenute e rafforzate: ma sta nell’intensità della domanda, nella profondità di quella incertezza, cui ora pensiero brillante e varia dottrina fornivano una esatta formulazione. Ma la domanda risorge insidiosa; decisione, decisione totale, se non deve essere semplice risolutezza attivistica, per che cosa? a che cosa? Nella seconda edizione dello scritto sulla politica l’autore ricercava ancora freddamente la elaborazione formale e dottrinale di questo principio mostrandone le applicazioni e gli esempi più vigorosi fra i contemporanei  nei comunisti russi. Nella terza i fatti avevano portato la decisione per il Nazionalsocialismo. Ma una decisione portata dai fatti, sic et simpliciter, a parte la posizione pratica verso di essi e la propria azione pel loro svolgersi, non poteva naturalmente bastare al pensatore: il quale ora sente il bisogno di evolvere il suo pensiero sulla traccia della storia.». (Id., La politica di Carl Schmitt, “Studi Germanici”, 1, 1935, citato da Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), cit., p. 249).

Quanto mostrato prima di qui della Politica di Carl Schmitt ci restituisce un saggio  che, o per le ragioni di una “politica di Delio Cantimori” verso un fascismo regime verso il quale lo storico romagnolo voleva marcare sempre più le distanze o perché mosso da pulsioni antifasciste non ancora completamente maturate, ripercorreva molto pedissequamente, magari concedendogli qualche attenuante rispetto al Löwith, quanto Löwith aveva scritto in merito all’occasionalismo romantico di Carl Schmitt. Nel passaggio appena citato, invece, comincia a farsi strada un’analisi più autonoma del pensiero di Schmitt e, accanto alla descrizione dell’ambiente irrazionalista che fa da sfondo al suo pensiero, si cominciano a sottolineare i nodi autenticamente problematici di Carl Schmitt. Innanzitutto Cantimori afferma che la polarità amico-nemico è stata suggerita a Schmitt dalla fortissima conflittualità della Germania post-bellica, suggerendo con ciò implicitamente che una situazione più pacifica non avrebbe consentito l’elaborazione di un pensiero politico così drammaticamente polarizzato. Inquadrando così la polarità amico-nemico, Cantimori ci offre al contempo una giusta chiave di lettura per comprendere Schmitt ma, purtroppo, attraverso un percorso argomentativo gravato da un banale empirismo e debolissimo dal punto di vista dell’elaborazione di una teoria post-schmittiana (che si potrebbe dire che interessa solo a noi ma non è così perché è evidente che Cantimori, come sta a dimostrare letta proprio nelle sue contraddizioni  La politica di Carl Schmitt, per uscire vincitore dallo scontro contro le mitologie e le pratiche del fascismo regime non poteva proprio ignorare la polarità amico-nemico). Come allora potremmo concludere dalle parole di Cantimori, è allora di tutta evidenza che la polarità amico-nemico è particolarmente adeguata per comprendere momenti di conflittualità violenta all’interno della società e da questo spunto non è affatto difficile arrivare al “paradosso di Carl Schmitt”, cioè al paradosso di un pensiero del tutto adeguato a renderci conto dei momenti di alta conflittualità ma anche inane a restituirci la dinamica dei momenti “pacificati” ma Cantimori non arriva a rilevare questo paradosso teorico perché, negando ogni valore teorico al pensiero di Carl Schmitt, non dice che il pensiero conflittualista dello Schmitt non riesce a dar conto dei momenti “pacificati” ma afferma che il pensiero di Carl Schmitt è suscitato direttamente da una situazione conflittuale senza che su questa abbia compiuto una adeguata riflessione.

          In altre parole Cantimori ha visto il “paradosso di Carl Schmitt” ma non lo ha riconosciuto e questo “vedere ma non riconoscere” – da vero occasionalista romantico ma con intenti legati alla tradizione rivoluzionaria moderna al contrario dell’occasionalista romantico e reazionario Schmitt – sarà negli anni futuri il problema che segnerà il percorso politico-intellettuale di Delio Cantimori. Prima con l’entrata nell’immediato secondo dopoguerra nel PCI togliattiano e, poi, nel ’54 con la fuoruscita dallo stesso. Ma non anticipiano i tempi e veniamo alla seconda criticità individuata da Cantimori nel pensiero di Carl Schmitt. Si tratta del decisionismo schmittiano che Cantimori, attraverso l’esegesi delle varie edizioni del Begriff des Politischen, molto acutamente individua inficiato da ripetute fluttuazioni occasionaliste che sfociano, nell’ultima edizione del Begriff, nella decisione, cioè nella scelta, per il nazionalsocialismo.

          E, oltre alle correnti antiliberali della repubblica di Weimar, riprendendo ed allargando in profondità il discorso sulla storia  tedesca che fa da sfondo al pensiero politico di Schmitt (e cioè il militarismo gugliermino), Cantimori, con l’esegesi oltre che del  Begriff des Politischen, dell’ Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens (cfr. Carl Schmitt,  Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens, Hamburg, 1934), arriva così a darci la precisa segnalazione che il Dezisionismus schmittiano, andato al potere il nazismo, ha avuto la sua ultima evoluzione  nell’ Ordnungsdenken, cioè in un pensiero giuridico non più mirante a giustificare la decisione ma la costruzione, una volta andato il potere il nazismo, di un saldo ed incontestabile ordinamento giuridico dittatoriale-autoritario: «Questa evoluzione dello Schmitt è avvenuta secondo noi non attraverso scritti giuridico-teorici – benché in un’opera del genere abbia trovato per ora la sua conclusione – ma soprattutto attraverso il problema pratico del riordinamento giuridico, istituzionale, e politico della Germania unificata nazionalmente, e attraverso il problema storico della formazione dello stato guglielmino. […] La tesi dello Schmitt è in sostanza quella della estrema destra: il crollo dell’impero fu dovuto al predominio dell’elemento civile, liberale, parlamentare, dei partiti, sul militare: con la domanda  di una indennità e col conseguente riconoscimento della supremazia parlamentare dopo la vittoria del 1866, dice lo Schmitt, fu sanzionata in certo modo la scissione  fra lo stato militare prussiano e lo stato di diritto borghese, che doveva portare nel 1918 al crollo […].  Ma quel che qui ci importa è che da tali constatazioni ed osservazioni lo Schmitt trae l’ispirazione alla esaltazione dello Stato militare, in applicazione conseguente della sua teoria della politica come decisione di chi sia nemico e chi amico. La costituzione di Weimar sorta dal caos seguito a quell’inevitabile crollo portava in  sé col pluralismo ch’essa sanciva, il carattere confusionario della situazione dalla quale essa nasceva: “Stavano ora di fronte numerosi contrasti e diversità stabilmente organizzati: nazionalisti, sopranazionalisti e internazionalisti; borghesi e marxisti; cattolici, evangelici e ateisti; capitalisti e comunisti.” [citazione di p. 165 de Carl Schmitt,  Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens, cit., N.d.A.]  Da questo sistema occorreva uscire attraverso la politica decisa oltre che risoluta della dittatura: ma per restaurare un ordine. Dopo la rivoluzione nazionalsocialista infatti, secondo lo Schmitt, si apriva “una via per prendere decisioni chiare nella politica interna, per liberare il popolo tedesco dalla centenaria confusione del costituzionalismo borghese, e per metter mano, invece che a facciate costituzionali normative, all’opera rivoluzionaria di un ordinamento statale tedesco”. Abbiamo sottolineato queste ultime parole perché ci pare che segnino precisamente il trapasso verso la ultima posizione dello Schmitt: per l’Ordnungsdenken, non più pel Dezisionismus.». (Id., La politica di Carl Schmitt, “Studi Germanici”, 1, 1935, citato da  Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), cit., pp. 249-250). 

    Quello che Cantimori ha molto acutamente individuato è che il decisionismo di Carl Schmitt è un decisionismo strumentale a spazzare via  lo stato di disordine che si portava con sé la repubblica di Weimar democratica e liberale, è un  concetto di decisionismo, in altre parole e seguendo l’interpretazione löwithiana, solamente occasionalistico o, come noi lo abbiamo altrove definito con una diversa sfumatura, un “decisionismo timido”. Ma proprio qui sta il punto (e non solo per quello che sarà il futuro percorso  politico-intellettuale di Cantimori ma anche per la nostra personale elaborazione denominata Repubblicanesimo Geopolitico che al pensiero di Schmitt molto deve): quello di Schmitt, al di là delle palese o più o meno conscia consapevolezza che ne poté avere Schmitt stesso, fu un decisionismo solamente occasionalistico elaborato solo per la distruzione della Repubblica di Weimar o fu, piuttosto, un timido occasionalismo, certamente frenato per paura che l’ordine autoritario tanto strenuamente perseguito fosse nuovamente messo in discussione da supreme decisioni contrarie ma che, comunque, costituisce un’acquisizione fondamentale per ogni successiva teoria politica?

         A questa domanda, terminando la sua disanima della Politica di Carl Schmitt, Delio Cantimori, pur salvando l’onestà politico-morale di Schmitt da una risposta pienamente in linea con l’interpretazione di Löwith: «Così possiamo considerare chiarito il motivo fondamentale del pensiero politico dello Schmitt, che trova la sua quiete e il contenuto della “decisione” nel più rigido e conservatore concetto dello Stato, nel più classico esempio  di Stato “autocratico” che la storia conosca: lo stato militare prussiano. Tutte le istanze “rivoluzionarie” che sembravano adombrarsi nelle critiche decisionistiche   allo stato di cose esistente prima della vittoria delle destre in Germania – vittoria già annunciantesi  con l’avvento al potere del cattolico  e conservatore cancelliere Brüning – si rivelano come pure istanze polemiche e meramente negative dal punto di vista che più comunemente si suole chiamare rivoluzionario, poiché si risolvono nell’esaltazione dell’ordine istituzionale della tradizione prussiana militare. Nelle opere di questo ingegnosissimo scrittore il processo storico e spirituale della vita tedesca postbellica appare con una chiarezza e una nettezza che non esitiamo a chiamare esemplari, tanto dal punto di vista letterario quanto dal punto di vista politico: qui non mezzi termini, non abuso di parole suggestive presso la massa, ma reale chiarezza, derivante non da rozzezza mentale, ma dalla ricca semplicità dell’uomo colto pieno di passione politica, da risolutezza e precisione di posizioni. Per questo crediamo che lo studio del pensiero dello Schmitt sia quanto mai utile alla comprensione delle lotte politiche (ideali, intendiamo, perché delle altre non tocca a noi qui di parlare) che agitano l’Europa moderna: poiché la precisione e la estrema coerenza e consequenza sono sempre utili ed ammirevoli, e contribuiscono più di ogni altra cosa, specie quando nel caso dello Schmitt consapevoli e fortificate dalla cultura, alla chiarezza del pensiero, che è in fondo ciò che più importa.» (Delio Cantimori, La politica di Carl Schmitt, “Studi Germanici”, 1, 1935, citato da Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), cit., pp. 251-252).

          Estremamente sintomatica del futuro progetto politico e percorso intellettuale di Cantimori sono le sue ultime parole per salvare almeno il profilo morale di Schmitt dopo che dal punto vista scientifico, sotto la durissima critica löwithiana dell’occasionalismo del giuspubblicista di Plettenberg, Cantimori aveva demolito Schmitt: lo studio di Schmitt è comunque utile perché «la precisione e la estrema coerenza e consequenza sono sempre utili ed ammirevoli, e contribuiscono più di ogni altra cosa, specie quando nel caso dello Schmitt consapevoli e fortificate dalla cultura, alla chiarezza del pensiero, che è in fondo ciò che più importa.», dove quello che si deve sottolineare non è il riconoscimento, come estrema e in fondo poco convinta concessione, della forza teorica dello Schmitt ma è la chiarezza con cui si esprimono i concetti, chiarezza di espressione di concetti, si capisce bene dal testo, addirittura più importante delle pubbliche prese di posizione politiche e che denotano, ancor prima e maggiormente del pubblicamente prendere parte, la dignità morale dell’uomo. In queste affermazioni finale più che Carl Schmitt, c’è Delio Cantimori, cioè c’è quel Cantimori che nicodemicamente (quanto consapevole o inconscio in questo atteggiamento è impossibile dirlo) ha posto le sue priorità: non scontro col regime ma cercare di chiarire a sé stesso e agli altri attraverso il suo futuro lavoro di intellettuale (la cui tappa fondamentale sarà il suo saggio sugli  Eretici italiani del Cinquecento, la cui tolleranza, nonché comportamento nicodemico, così come descritto da Cantimori,  fu l’esatta antitesi della Weltanschauung schmittiana) quella possibile terza via fra comunismo e capitalismo liberale selvaggio invano sperata dal fascismo  rivoluzionario di matrice risorgimental-mazziniana cui Cantimori apparteneva a pieno titolo (sul background culturale risorgimental-mazziniano di Delio Cantimori, cfr. Roberto Pertici, Mazzinianesimo, fascismo, comunismo. L’itinerario politico di Delio Cantimori (1919-1943), in “Storia della storiografia”, XXXI, 1997); e, una volta crollato il regime (al cui crollo Cantimori, proprio in virtù del suo nicodemismo non aveva dato il minimo apporto: durante la Repubblica di Salò, Giovanni Gentile gli scrisse per offrirgli  l’incarico di vicedirettore della Normale ma Cantimori che pur era stato un ammiratore di Gentile ed anche un amico di famiglia rispose negativamente e si rifiutò persino di recarsi a Pisa  –  cfr. su questo episodio  Patricia Chiantera-Stutte, Delio Cantimori, Roma, Carocci, 2011, p. 76 – ma questo gesto non può essere certo definito una rivolta contro il fascismo quanto un definitivo e doloroso nicodemico allontanamento dallo stesso), allora sì rivolgersi presso quel partito che agli occhi di Cantimori poteva incarnare quella terza via invano perseguita dal fascismo di sinistra. Stiamo parlando dell’iscrizione di Cantimori al partito comunista di Palmiro Togliatti. Se si volesse essere ingenerosi (ma così dimostrando che di Cantimori non si è capito nulla) per descrivere questa decisione potremmo ancora una volta ricorrere al Croce che afferma di non sapere «quale sia la fede politica del dr. Cantimori» ma in realtà il Cantimori iscritto al PCI togliattiano è sempre il “solito” Cantimori che ha visto bruciare dal fascismo regime  tutte le speranze del fascismo di sinistra, di matrice democratico-risorgimentale, per imboccare quella agognata terza via e in questo difficile percorso è sempre il “solito” Cantimori sia, come vedremo, per quanta riguarda l’esaltazione di atteggiamenti tolleranti e da clerc che custodisce molto gelosamente il suo ruolo dalla politica contingente (e da qui fin dalla sua rottura con il PCI praticando la sua nuova militanza con un notevole dose di nicodemismo rispetto alla scelte politiche concrete del PCI, essendo il terreno privilegiato di intervento di Cantimori nel partito quello della politica culturale) sia per quanto riguarda il suo persistente ed adamantino rifiuto del liberalismo.

          Tutta una serie quindi di atteggiamenti e collocamenti all’interno del PCI che se apparentemente almeno all’inizio del rapporto di Cantimori col partito potevano consentire una militanza senza tanti problemi e proficua (proficua specialmente per il Partito comunista, perché ex post in procinto di uscire dal partito Cantimori ritenne di aver sprecato energie con questa militanza arrivando a lamentarsi di aver perso tempo prezioso traducendo in italiano il Capitale di Marx), a lungo andare non potevano non stridere nel partito della democrazia progressiva togliattiana, democrazia progressiva togliattiana che costituiva la vulgata deformata del pensiero di Gramsci e che, all’atto pratico, contemplava, in una deformata imitatatio del pensiero di Gramsci,  sì un intellettuale organico al partito che rappresentava il proletariato ma che, a differenza di Gramsci, che concepiva il rapporto intellettuali-partito come una atto dialetticamente dinamico che avrebbe portato alla costituzione di quel partito Nuovo Principe che avrebbe reso le masse nazionalpopolari, attraverso un processo educativo-politico attivato dal Nuovo Principe e avente come primi attori educatori gli intellettuali del partito stesso, protagoniste del loro destino, voleva non un machiavelliano  partito Nuovo Principe ma  un partito padre padrone che senza discussioni avrebbe imposto la giusta linea sia agli intellettuali che al popolo.

         Intendiamoci: Cantimori non è assolutamente da annoverare fra i seguaci della gramsciana filosofia della prassi (se lo fosse stato, possiamo certamente immaginare che non avrebbe fatto molto fatica a cogliere l’essenza del pensiero di Carl Schmitt, in quanto l’occasionalismo del giuspubblicista fascista rimproverato da Löwith ed assunto come metro di giudizio anche da Cantimori, può ben essere classificato come una sorta di filosofia della prassi, seppur di destra e volta alla conservazione e non, come in Gramsci, volta allo sviluppo e all’autoconsapevolezza delle masse nazional-popolari), tanto grande è in lui la consapevolezza del ruolo dell’intellettuale che deve sì consigliare il principe ma che, per mantenere la sua purezza, non deve immischiarsi nella politica contingente (mentre la gransciana filosofia della prassi proprio questo contemplava: contemplava cioè, lo ripetiamo, una rapporto dialettico  e di interscambio fra decisore politico e decisore intellettuale, rapporto rappresentato dalla figura mitologico-machiavelliana del Nuovo Principe, un interscambio e rapporto dialettico che significava che non c’era decisione politica dove l’intellettuale non dovesse essere coinvolto e decisione intellettuale dove il politico dovesse essere tenuto estraneo), ma, purtroppo per lui (ma in questo troviamo i segni della sua interiore tragica grandezza che è al tempo stesso un ammonimento ed anche un insegnamento per tutti noi) fu  se non un politico romantico, certamente un intellettuale romantico il quale assai molto occasionalisticamente riteneva che per salvarsi l’anima bastasse coltivare le giuste idee e che il momento politico, prima o poi, non avrebbe mancato di riconoscerle come corrette e da mettere in pratica. In questo romanticismo occasionalistico quindi molto simile a Schmitt (Carl Schmitt che non fu mai nazista fu, in pratica, una mosca cocchiera del nazismo) ed anche moralmente immensamente più grande di Schmitt (Cantimori a differenza di Schmitt sempre riconobbe il fallimento delle sue appartenenze politiche, prima fascista e poi comunista) e questo occasionalismo romantico è anche la chiave per comprendere il fallito matrimonio di Cantimori con il PCI.

          Appunto del 22 aprile 1954: «È proprio vero  che non c’è storia se non del passato… Chabod non è riuscito a completare questo volume [Le premesse alla storia della politica estera italiana dal 1876 al 1896] altro che mentre questo Stato si prepara alla dissoluzione nell’ “europeismo” dei suoi rappresentanti ufficiali, e sta annegando, debilitato com’è, dopo la corruzione fascista e la sconfitta, nella politica mondiale, e sta dissolvendosi per essere governato e dominato dalle forze contro le quali (contro gli egemoni delle quali) s’è formato, e che lo hanno sempre negato come Stato. Non è che, finita la classe dirigente liberale-moderata demoradicale e finendo la sua forma di Stato, si dica “è finito lo Stato”: sarebbe ingenuità. E se il socialismo avesse espresso una nuova classe dirigente, che avesse preso il potere, si sarebbe certo avuto qualcosa di nuovo… Ora lo Stato nazionale italiano è finito, essendo rimasto solo una mascheratura amministrativo-giuridica molto logora del prepotere degli anarchici industriali monopolistici e dei clericali. Dunque ora che lo Stato italiano è finito, Chabod può farne la storia nella forma più specifica e classica della storia statale: politica estera.». (Appunto di Cantimori citato da Ivi, p. 122).

     Così Cantimori in un appunto del 22 aprile del 1954, due anni prima di lasciare il PCI. Due elementi possiamo evidenziare da questo appunto. Innanzitutto la lucida visione (fra l’altro sempre più attuale, per non dire profetica) che l’europeismo italiano del secondo dopoguerra non era il frutto di una lungimirante visione democratica ma non era altro che il triste portato, sfociante nella dissoluzione dello Stato nazionale italiano, della sconfitta nel secondo conflitto mondiale. Il secondo è che, evidentemente, la sua appartenenza al PCI togliattiano stava già mostrando la corda perché, come egli ammette, la classe dirigente socialista (cioè la classe dirigente del maggiore partito di sinistra, il PCI) non si stava mostrando all’altezza per fornire un’alternativa a questo disfacimento della compagine nazionale e statale. Nell’appunto, inoltre, tenendo pur sempre conto del nicodemismo cantimoriano che ancor prima di una forma prudenziale verso l’esterno era un profondo tratto psicologico di Cantimori che valeva anche per la sua interiorità e quindi operante anche in un appunto come questo privato, non vi sono accenni alla scarsa democrazia all’interno del partito e, volendo noi arrischiare un’interpretazione dello stato d’animo di Cantimori al riguardo che ci può essere utile anche a rendere conto della sua fuoruscita dal partito due anni dopo, ci sentiamo di affermare che il vecchio fascista di sinistra Cantimori si sentisse stretto nel partito comunista non perché questo fosse poco democratico ma perché, come nel caso del fascismo regime, esso era, volente o nolente, dipendente dal quadro di riferimento valoriale liberaldemocratico (il cui nucleo era – ed è tuttora –, attraverso la cortina fumogena dell’ideologia democratica vista però in un quadro di individualismo metodologico che ripugnava al democratico mazziniano-risorgimentale Cantimori,  la difesa, come nel fascismo regime, del grande capitale) e quindi impossibilitato, de facto, a perseguire decisamente quella terza via fra comunismo collettivista e capitalismo selvaggio che era stata la stella polare del fascismo di sinistra.

         E sotto questo punto di vista, l’obiettivo della democrazia progressiva, che era poi la lectio deformata ideologicamente del pensiero gramsciano ed ad usum della classe dirigente del PCI per giustificare alle masse la sempre rinviata rivoluzione comunista, doveva mostrare a Cantimori tutti i suoi limiti, del tutto analoghi, per ironia della storia, a quelli che aveva mostrato il fascismo regime: nient’altro che una vuota declamazione retorica ma assenza di contenuti autenticamente rivoluzionari.

Per il movimento comunista internazionale il 1956 sarà un anno di svolta e anche di dolorosi allontanamenti per molti suoi militanti: dal 14 al 26 febbraio 1956 venne celebrato il XX congresso del PCUS in occasione del quale il Primo segretario del partito  Chruščëv espose la sua relazione sul culto della personalità cui era stato oggetto Stalin; il 4 novembre dello stesso anno venne repressa con i carri armati sovietici la rivoluzione ungherese. In quell’anno anche Delio Cantimori lasciò il PCI ma, allo stato attuale della documentazione, sarebbe assai azzardato affermare che queste due vicende, presse singolarmente o nel loro combinato disposto, siano state la vera causa – o perlomeno la causa principale – dell’abbandono di Cantimori del PCI. Per cercare di comprendere  i motivi che nel ’56 portarono Cantimori ad uscire del PCI esaminiamo, innanzitutto , le lettere che egli scrisse per giustificare la sua decisione. Cantimori  rende nota la sua fuoruscita dal   PCI  l’ 11 dicembre 1956 con una lettera a Luporini  esprimendosi con queste, per la verità, assai poco chiare parole che lasciano sì trasparire un grande disagio personale ma non i motivi per i quali si compie quel gesto: «Mi sono reso conto di non capire più nulla della reale vita politica contemporanea.». (Lettera di Cantimori a Luporini citata da Ivi, p. 125).

          Sempre fedele al suo atteggiamento nicodemico, Cantimori comunica la decisione a pochissimi altri. Fra questi ci sono anche alcuni amici e colleghi stranieri. Da una lettera  a Kaegi dell’8 gennaio del 1957 traiamo le seguenti affermazioni: «ho tratto la conclusione – con molto dolore e dispiacere di lasciare tanti amici e giovani di coraggio, valore e sincerità indubbia, a lottare senza la mia partecipazione – che dovevo ritirarmi dal Partito comunista italiano; il che ho fatto, dopo molto tormento interiore. L’ho fatto tacitamente senza farne clamore, perché non mi voglio prestare a nessuna speculazione politica di nessun genere […]. Non che le mie convinzioni siano cambiate, come idee generali e interpretazioni generali; ma non riesco a capire certe cose, e di conseguenza non posso militare in nessun partito, non potendo sottoscrivere quello che non capisco.». (Lettera di Cantimori a Kaegi citata da Ibidem).

Werner Kaegi era uno storico svizzero di matrice liberale, ideologicamente quindi lontano milioni di anni luce da Cantimori ma il cui interesse per Jacob Burckhardt e per l’Umanesimo ed il Rinascimento italiani avevano fatto sì che egli appartenesse alla schiera degli amici stranieri di Cantimori. Comunque al di là della colleganza ed affinità di interessi fra Cantimori e Kaegi, è veramente singolare che per giustificare la sua uscita dal PCI Cantimori scrivesse ad un liberale e per di più, con motivazioni che, se apparentemente sembrano riallacciarsi alle vicende del XX congresso del PCUS e della rivoluzione ungherese del 1956, rimangono assolutamente nel vago. Cantimori non riesce a capire «certe cose» e, purtroppo, non ci riusciamo nemmeno noi, essendo del tutto sorprendente, e pur dando per scontato il profondissimo nicodemismo cantimoriano, che Cantimori si accontenti, in sede di rapporto epistolare con un amico, di liquidare con queste sibilline parole le sconvolgenti vicende del 1956.

          Il 10 gennaio 1957 scrive a Robert Bainton, teologo e storico del protestantesimo inglese: «Lei mi domandò perché professavo certe idee. Devo dirLe che, mentre mantenevo tutte le mie convinzioni riguardo alla necessità di cambiamenti profondi nella vita del mio Paese, gli avvenimenti ultimi mi hanno così toccato, che ho creduto in coscienza di non poter dare il nome a nessuna organizzazione politica: la lezione degli anabattisti e dei mennoniti, e quella del grande storico G. Arnold sono diventate evidenti e intuitive, dopo gli avvenimenti di Ungheria anche per me.[…] Non sono, secondo me, cose che sia bello dire pubblicamente:  perché possono venire sfruttate  in cattivo senso. Così, a parte il lavoro storico sul Cinquecento e sino all’età di Mazzini, per il resto, mi ritiro nel silenzio. La mia ammirazione per l’umanità di Antonio Gramsci non è certo cambiata.». (Lettera di Cantimori a Bainton citata da Ibidem).

          Anche qui, come si vede, siamo nel vago. E se pare evidente che la repressa rivoluzione ungherese ha avuto il suo peso per l’abbandono del PCI da parte di Cantimori, non è altrettanto evidente in che modo abbia agito nella psicologia di Cantimori e a questo proposito non sarebbe assolutamente sufficiente – se non del tutto errato! – affermare che Cantimori condannava la repressione della rivoluzione ungherese in quanto antidemocratica ma, azzardiamo un’ipotesi, in quanto sia la rivoluzione ungherese ed il suo successivo spegnimento da parte dei tank sovietici erano entrambi il segno che le per le speranze di una vera rivoluzione che facesse da battistrada verso la tanta agognata terza via non c’era più alcun spazio.

«Non sono, secondo me, cose che sia bello dire pubblicamente: perché possono essere sfruttate in cattivo senso»: queste cose erano forse le solite accuse che allora vennero mosse al sistema sovietico di non essere altro che un rigurgito di autoritarismo della peggior specie e quindi di essere l’antitesi e della rivoluzione e di una autentica democrazia? Vista la biografia culturale e politica di Cantimori c’è da dubitare fortemente che le cose stessero in questi termini per lo storico romagnolo e invece, sembra più corretto affermare che il XX congresso del PCUS e i fatti di Ungheria stessero lì per segnalare agli occhi di Cantimori che il movimento comunista internazionale ed il PCI avevano definitivamente perduto la loro carica rivoluzionaria e che sulla spinta di considerazioni ideologiche in abstracto magari valide ma con ricadute pratico-politiche non condivisibili (il “Rapporto segreto” di Kruscev al XX congresso, ottimo per mettere il dito sulla piaga dell’autoritarismo staliniano ma pessimo, in prospettiva storica, per la tenuta del sistema: ultima involuzione e dissoluzione  dello stesso, il gorbaciovismo) e di mosse giustificabili alla luce di una realistica politica di potenza ma deleterie per lo sviluppo e l’immagine  dell’internazionalismo comunista (la repressione della rivoluzione ungherese), il ciclo rivoluzionario apertosi con la rivoluzione del ’17 si era definitivamente concluso (rivoluzione bolscevica che, giova ricordarlo per l’ennesima volta, il Cantimori fascista di sinistra non aveva mai considerato nemica ma solo avversaria e verso la quale il Cantimori iscritto al PCI aveva evidentemente posto tutte le sue speranze per la realizzazione di quella terza via negata dal fascismo regime).

          Queste con ogni verosimiglianza e non  le fanfaluche agli occhi di Cantimori di un regime sovietico intrinsecamente totalitario erano le cose che non potevano essere dette pubblicamente e che la sua «ammirazione per l’umanità di Antonio Gramsci» fosse rimasta inalterata, il riferimento cioè nel contesto della lettera al personaggio che con più originalità cercò di declinare la rivoluzione russa con la tradizione politico-culturale italiana, sta proprio a significare che Cantimori – pur mai sposando lo storico romagnolo  il mito del Nuovo Principe gramsciano che avrebbe condotto alla rivoluzione le masse nazionalpopolari attraverso la sintesi dialettica fra il momento analitico-intellettuale e quello decisionale-politico – è proprio sulla terza via che vuole (nicodemicamente come sempre) riferirsi volendo quindi far intendere al suo interlocutore che il ’56 era stato la tomba di questa terza via e non tanto, come invece sosteneva gran parte dei fuorusciti dal PCI e dal movimento comunista internazionale, la dimostrazione che il sistema comunista sovietico si era dimostrato antirivoluzionario perché antidemocraticamente  e con la violenza aveva spento la rivoluzione ungherese.

          Del resto che il problema di Cantimori fosse quello della ricerca di un reale percorso rivoluzionario che si lasciasse definitivamente alle spalle l’ideologia liberaldemocratica (non rinnegando il concetto di democrazia ma conferendole quello più autenticamente mazziniano di democrazia intesa come reale progresso popolare e vedendo l’individualismo metodologico liberale come il vero nemico da battere) e che questo progetto rivoluzionario di stampo democratico-mazziniano fosse l’autentico progetto cultural-politico di Cantimori che l’aveva accompagnato fin dalla sua giovinezza e che lo aveva spinto prima ad iscriversi nel partito fascista e poi nel PCI è ben  evidenziato dal seguente appunto privato di Cantimori scritto dallo storico poco tempo prima –  il 28 marzo 1956, poco dopo il XX congresso del PCUS –  di lasciare il PCI: «I miei grandi sbagli: 1) credere di capire qualcosa di politica, e farmene un dovere “mazziniano”; 2) credere quello che si dissero mio padre e l’avvocato Marassi o Magrassi ad Abbazia, che i fascisti la rivoluzione l’avrebbero fatta loro. 3) non tirarmi fuori dallo sterile moralismo rousso-mazziniano […] 4) saltare fra i comunisti. 5) iscrivermi al PCI. 6) lasciare i miei studi per tradurre Marx, ecc. […] Ritirarsi  nei propri studi, l’unico rimedio. Finire pulitamente  una vita disordinata e polverosa.». (Appunto  di Cantimori citato da Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), cit., p. XLI ma anche da Patricia Chiantera-Stutte, Delio Cantimori, cit., pp. 146-147).

           Assieme al  segno di una sconfitta umana, intellettuale e politica emerge qui in Cantimori anche la piena consapevolezza di una vita interamente sviluppatasi, per suprema ironia della storia, lungo quel percorso di occasionalismo romantico che Cantimori, facendo in pratica un calco dell’analisi del Löwith, aveva attribuito a Carl Schmitt, in specie nel suo saggio La politica di Carl Schmitt che possiamo considerare come la sintesi del pensiero di Delio Cantinori sul grande giuspubblicista di Plettenberg. Di qualsiasi vicenda umana è sempre arduo ricavare una moralità che possa assolvere al compito di magistra vitae, e ciò vale specialmente per una esperienza umana ed intellettuale così intensamente e contraddittoriamente vissuta come quella di Delio Cantimori. Ma, al tempo stesso, sono proprio queste vite, proprio perché è impossibile farne un’agiografia, che sono degne di riflessione e lo sono ancor più proprio per i loro sbagli e crampi del pensiero che, assieme alle insidie e trappole mortali che sono sparse lungo il percorso ci indicano, al contempo, la via stessa. 

          Un suo appunto privato scritto molti anni prima della suo abbandono del PCI ci fa intravedere un Cantimori particolare, non tanto dal punto di vista dell’elaborazione intellettuale ma sotto l’angolatura del laboratorio mentale che, più o meno consapevolmente, stava dietro l’elaborazione dei suoi pensieri: «Il mio interesse per la storia religiosa è un caso della storia della cultura: cioè come ricerca di cogliere e identificare il momento di incontro fra il razionale-pratico e l’irrazionale (sordità del pregiudizio, attivismo), fra le aspirazioni, sentimenti ecc. ecc. velleità, e le volontà razionali (politiche, etiche, morali). Da ciò il mio interesse per la propaganda e in altro campo per la psicoanalisi ecc. “Flectere si nequeo superos, acheronta movebo”…». (Appunto di Cantimori in Archivio Cantimori, Scuola Normale Superiore, datato 24 settembre 1946, citato da Adriano Prosperi (a cura di), Delio Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, cit., p. XVIII).

«Flectere si nequeo superos, acheronta movebo», Se non posso smuovere gli dei celesti mi rivolgerò a quelli infernali. La strofa, epigrafe del Traumdeutung di Freud ma, soprattutto, tratta dall’Eneide virgiliana (Vergilius, Aeneis, VII, 312, minaccia pronunciata da Giunone che per l’ odio verso Enea discende agli Inferi per farsi aiutare per la sua vendetta contro il figlio di Anchise dalla furia Aletto, assegnandole il compito di far scoppiare la guerra fra Latini e Troiani), ci segnala un Cantimori, nonostante la sua nota di fondo occasionalistico-romantica, anche al tempo stesso contraddittoriamente integralmente realista  e assolutamente consapevole che, attraverso  le ideologie usate come copertura, nella politica possiamo distinguere due stadi idealtipici principali: da un lato i sogni e le volizioni che da inconsci cercano di emergere nella sfera pubblica e in cui la forma ideologica che assumono in questa emersione dall’inconscio alla sfera pubblica è lo strumento di battaglia (il Repubblicanesimo Geopolitico dice: di azione olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale) per prevalere in questo scontro; dall’altro  che questo scontro sull’arena pubblica se inizialmente (e apparentemente) si svolge lungo i canali della tradizione e del diritto, è, in ultima istanza, sempre una lotta mortale, senza esclusioni di colpi e ricorrendo anche a colpi proibiti.

          Di questa visione profondamente conflittuale Cantimori era stato sempre consapevole (vedi la sua approvazione sotto il segno della ragion di Stato dell’assassinio Matteotti) ma la mentalità romantica democratico-mazziniana (e proprio per questo, proprio perché interiormente intensamente vissuta, assolutamente proclive ad una deriva occasionalistico-romantica) di Cantimori gli oscurava il fatto che questa lotta fosse uno scontro dove al nemico non venisse riconosciuta la sua dignità di uomo e di combattente (riprendiamo, a questo proposito, l’appunto privato di Cantimori del ’34 ed in questo ricordo, in particolare,  il racconto degli squadristi di Sarsina o, meglio, vedi l’interpretazione data al racconto da Cantimori:  «Dieci anni fa mi preparavo all’esame di normalista nel giardino di casa di mio padre a Forlì. Le passioni politiche del momento non mi toccavano molto; giudicavo le cose con molta freddezza, dal punto di vista della ragion politica, mi stupivo degli scandali di mio padre per l’uccisione di un membro del Parlamento, e poi mi vergognavo di questa incomprensione. Mi pareva giusto, cioè logico, che un nemico pericoloso e acre dovesse essere eliminato… La mia “politica” consisteva  nell’applicare i metodi  del machiavellismo volgare alla realizzazione della “Politeia” platonica; residui di nazionalismo patriottico della propaganda bellica, di atteggiamenti dell’interventismo repubblicano, motivi del movimento “combattentistico”, ricordi del periodo di propagandista “fiumano” fecero sì che nell’inverno a Pisa mi dichiarassi, nelle discussioni fra normalisti, per fascista. Volevo iscrivermi nel 1924, durante l’episodio Matteotti. Vedevo nel Fascismo soprattutto e quasi esclusivamente il programma del 1919: il monarchismo fascista mi sembrava un puro espediente politico… Nonostante l’insipienza ereditata dall’ambiente politico romagnolo, sentivo insomma con la classe nella quale vivevo ed alla quale la scuola mi faceva appartenere, ed accoglievo in me, per sentimento, per impulso, con concetti vaghi e generici, i motivi del Fascismo di battaglia.  Con il mio amico squadrista discutevamo poco; preferivo ascoltare le sue diatribe e i racconti delle sue azioni, ed i suoi commenti. Mi è rimasto impresso questo commento, che mi pare caratterizzi bene quegli uomini: era andato con una compagnia di squadristi a bastonare un capo comunista d’una borgata della montagna romagnola, mi pare in quel di Sarsina. Avevano bussato, avevano chiesto alla giovine donna  con un bambino del tale, lei tergiversava, alla fine esce e si presenta lui (commento: non aveva paura, ma si lasciava bastonare. Che orgoglio questi comunisti): si fanno allontanare la madre e il bambino (“non fa bene sentir gridare e piangere quando si fa un lavoro come quello”) e si bastona l’uomo sino a farlo cadere tramortito per terra. Io allora ammiravo l’umanità di questi uomini, e qualche volta il loro spirito cavalleresco. Mi pareva che dovessero andar d’accordo, coraggiosi com’erano in tutte e due le parti; il mio realismo machiavellico era tutto teorico, nella pratica non capivo, non sentivo gli odi e gli interessi dei gruppi politici, ne vedevo solo le teorie che come si sa si possono sempre con facilità conciliare fra loro. Così quando dopo due anni nel 1926 questo mio amico, assieme ad un altro, anche lui famoso squadrista, venne dirmi d’iscrivermi nel Fascio; e alle mie resistenze – non c’ero al momento del pericolo, adesso ci entrano tutti gli arrivisti – risposero “Adesso tocca a voi uomini di studio; adesso il fascismo non si fa più con le bombe, si fa a tavolino” – io, spinto dai vecchi impulsi, dalla riflessione che  a Pisa, mio vero centro di conoscenze e di amicizie, ero ormai conosciuto senza equivoco come fascista, e soprattutto dall’argomento che trovai giusto e vero, ed anche mi lusingava – sentirmi dire così da quei giovani arditi che avevo tante volte invidiato ed ammirato per il loro coraggio, la loro forza di decisione, la loro libertà di muoversi, la loro forza – accettai di iscrivermi nel  Fascio, rifiutando però che la tessera fosse retrodatata, come mi fu offerto. La filosofia di Croce, Gentile e Saitta  doveva poi dare una apparente consistenza al mio mondo mentale, e impedirmi di vedere come tali i problemi che mi si dovevano presentare, inducendomi  a sostituir loro le soluzioni che mi si presentavano con troppa facilità belle e fatte. L’influenza della famiglia, degli impegni borghesi mi si faceva sentire anche più forte, e avrebbe continuato a lungo. Ora sono al British Museum; il continuo sfogliare delle grandi pagine dei cataloghi, col suo fruscio secco, la luce temperata, i sussurri che si sentono qualche volta fanno, insieme all’odore di acetosella del disinfettante o purificatore dell’aria, un’atmosfera che mi è diventata famigliare, e che mi piace più d’ogni altra di quelle che ho incontrato fin’ora nelle biblioteche e  nei luoghi di studio. Qui si lavora bene, qui vorrei continuare a lavorare per anni, senza disturbi e senza perdite odiose di tempo.» (Appunto «30 agosto 1934», in Archivio Cantimori, Scuola Normale Superiore, citato da Ibidem, pp. XXI-XXIII).

          Anche se di segno diametralmente opposto che in Carl Schmitt, viene  così veramente in luce un profondissimo tratto occasionalistico-romantico di Delio Cantimori e che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua vita e nelle sue peregrinazioni politiche, ed è un tratto occasionalistico-romantico che ci suggerisce che la vita politica è fatta di lotta ma che, al di là di questa lotta, c’è sempre uno stadio etico superiore in cui le inimicizie e gli odi vengono superati  con il riconoscimento dell’onore e della virtù del proprio nemico, ormai non più nemico ma solo avversario. E il luogo mitico dove sarebbe potuto avvenire questo reciproco riconoscimento fra amico e nemico era la sempre agognata terza via che avrebbe dovuto costituire il superamento in una mitica unità sociale superiore delle inimicizie e degli odi, inevitabili conseguenze sia dei regimi comunisti totalitari che delle società rette col sistema capitalistico.

          Per quanto invece riguarda Schmitt, il tratto occasionalistico-romantico si presentava con una visione antropologica completamente opposta. Schmitt con la sua individuazione del dualismo amico-nemico aveva veramente varcato la soglia delle divinità infernali della politica (e sulla critica a questo dualismo, geniale nella sua semplicità e fondante – anche se non sufficiente –  per il Repubblicanesimo Geopolitico sia della scienza politica che della filosofia politica l’accusa di occasionalismo politico ed intellettuale mossagli da  Löwith e da Cantimori rivela una notevole dose di ingenuità) ma, nonostante che il punto specifico, il dualismo amico-nemico, attraverso il quale  Löwith ed anche Cantimori mossero a Schmitt le loro accuse di occasionalismo romantico rivelasse, in realtà, tutta l’acutezza del suo pensiero, effettivamente  in Schmitt c’è un punto che mostra grandi segni di debolezza e sul quale si possono appuntare ben fondate critiche di occasionalismo politico romantico.

          Quest’altro punto debole rilevato da Cantimori è lo spostamento dal Dezisionismus all’ Ordnungsdenken, cioè il punto debole consiste nel fatto che per lo stesso Schmitt il Deziosionismus, in ultima istanza, altro non era che uno strumento per ripristinare un ordine sociale e statale messo in pericolo mortale dalla rivoluzione e che, passato il pericolo, era necessario spodestare la decisione come fonte primaria del diritto ma bisognava instaurare un ordinamento la cui funzione era proprio ricacciare negli inferi quella decisione in precedenza tanto apprezzata (e da questo si vede quanto fosse lontana  la visione  di Schmitt  da quella del

nazismo, che fu proprio il regno della decisione, anarchicamente e selvaggiamente opposta ad ogni ordine tradizionale).

         Alla stessa stregua di Cantimori, anche il Repubblicanesimo Geopolitico ha più volte messo in evidenza il decisionismo debole di Carl Schmitt ma, a differenza di Cantimori, il Repubblicanesimo Geopolitico non ha mai ritenuto che le divinità infere siano quell’elemento della politica da ricacciare in profonde ed oscure prigioni. Quando il Repubblicanesimo Geopolitico  afferma come fondante della sua teoria  che il potere non è altro che un sinonimo della libertà – anzi, ne è l’espressione allo stato puro –  e che ogni altro discorso universalistico riguardo la libertà dell’uomo altro non è che inganno ideologico impiegato dai grandi decisori strategici per truffare le masse, ci piace pensare di avere colto il meglio del pensiero, fra gli altri, di Carl Schmitt, senza per questo cadere né nel “paradosso di Carl Schmitt” (puntualmente rilevato da Cantimori e che si riassume nel fatto che se la polarità amico-nemico ci rivela ottimamente l’anatomia della conflittualità politica e sociale non è in grado di restituirne la dialettica della sua fisiologia) né nella visione atrocemente tradizionalista dello Schmitt (anzi, come altrove già detto, la teoria del Repubblicanesimo Geopolitico, è una teoria anti-Katechon, è una teoria cioè, attraverso il conseguimento dell’ ‘Epifania Strategica’ – Epifania Strategica, che significa, in opposizione a tutte le narrazioni universalistiche della democrazia e della libertà,  il disvelamento a livello di massa della natura olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale non solo della vita politica e sociale ma anche della realtà fisica e biologica, mondo delle relazioni storico-sociali e mondo fisico-biologico uniti dialetticamente, appunto, dal paradigma esplicativo-prassistico olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale –  per l’accelerazione della rivoluzione e non, come in Schmitt, per porvi un freno: sotto molti punti di vista, il Repubblicanesimo Geopolitico altro non è che la “messa a dialettica”  del “timido decisionismo” ed altrettanto “non compiuto conflittualismo” di Carl Schmitt ma, soprattutto,  dei radicali iperdecisionismo ed iperconflittualismo  di Walter Benjamin, rivoluzionari, antikatechontici e  liricamente mistici, ma sulle profonde affinità ed altrettanto profonde differenze del pensiero benjaminiano imperniato sullo ‘stato di  eccezione permanente’ – Ottava tesi di filosofia della Storia: “La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola” – ed il conflittualismo olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicalesimo Geopolitico basato sull’uguaglianza potere=libertà e sul disvelamento di questa uguaglianza tramite la dialettica dell’ ‘Epifania Strategica’ abbiamo più volte detto…).

         Certamente in questo volere essere ad un tempo completamente conformi, ancor più di Schmitt, al proposito di Giunone citato da Cantimori di rivolgersi anche alle divinità infernali, ma pretendendo di essere in grado , ancor meglio di Cantimori, di domare queste divinità e di farsene alleate, non si può non vedere che almeno dal punto di vista di una moralità pubblica e privata che riesca a ricomporsi in un modello conflittualista (modello conflittualista che reca sempre con sé il rischio di privilegiare come fonte del diritto il fatto compiuto e compiuto dal più forte, ignorando quindi ogni altra dialettica sociale di tipo collaborativo-simbiotico ed espressiva di futuri e diversi rapporti olistico-dialettici-espressivi-strategici-conflittuali, vedi a questo proposito Massimo Morigi, Epigenetica e fantasmagorie transumaniste all’URL dell’ “Italia e il Mondo” https://italiaeilmondo.com/2021/03/03/epigenetica-e-fantasmagorie-transumaniste-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210304224738/https://italiaeilmondo.com/2021/03/03/epigenetica-e-fantasmagorie-transumaniste-di-massimo-morigi/ – espressiva, cioè, della già detta rivoluzionaria ‘Epifania Strategica’), il Repubblicanesimo Geopolitico ha grandissimi tratti in comune con il romanticismo occasionalistico politico e culturale  di Delio Cantimori piuttosto che con quelli del ‘conflittualismo incompiuto’ e del decisionismo timido, tradizionalista e katechontico di Carl Schmitt.

           E se dal punto di vista della biografia di Cantimori questo romanticismo occasionalistico si concluse con un riconosciuto pieno fallimento, dal punto di vista dell’eredità culturale e politica per il Repubblicanesimo Geopolitico  il tentativo di superare e allo stesso tempo conservare questo fallimento costituisce un imprescindibile ed irrinunciabile lascito, ancora più grande del timido – ed occasionalistico –  Dezisionismus di Carl Schmitt.».

         Flectere si nequeo superos, acheronta movebo: de te fabula narratur

 

Massimo Morigi – Ravenna, maggio 2021

QUALCHE SPUNTO DI SCHMITT PER IL XXI SECOLO, di Teodoro Klitsche de la Grange

QUALCHE SPUNTO DI SCHMITT PER IL XXI SECOLO

1.0 Per interpretare la situazione politica presente è tuttora di attualità il pensiero di Carl Schmitt; a prescindere dai tanti spunti che possono trarsene, al presente sono particolarmente interessanti alcune tesi sostenute dal pensatore di Plettemberg tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’60, assai prima dell’“epoca” contemporanea, successiva al collasso del comunismo, all’ “aumento” della globalizzazione (e alla morte del giurista).

2.0 In primo luogo è opportuno – per spiegare l’incremento straordinario qualche anno dopo il collasso del comunismo dei partiti popul-sovran-identitari – ricordare quanto scrisse nel discorso Das zestalter der neutralisierung und ent politisierungen1 (del 1929).

Sostiene Schmitt in tale scritto che la vita spirituale europea si è sviluppata negli ultimi quattro secoli (cioè nella modernità) cambiando centri di riferimento (dal teologico al metafisico, da questo al morale-umanitario e infine all’economico) “Una volta che un settore diviene il centro di riferimento, i problemi degli altri settori vengono risolti dal suo punto di vista e valgono ormai solo come problemi di secondo rango la cui soluzione appare da sé non appena siano stati risolti i problemi del settore centrale. Così, per un’epoca teologica tutto procede da sé, una volta ordinate le questioni teologiche; su tutto il resto allora gli uomini «saranno d’accordo». Lo stesso per le altre epoche”2.

Tale centro si riferimento è decisivo e prevalente “Lo Stato acquista la sua realtà e la sua forza dal centro di riferimento delle diverse epoche poiché i temi polemici e decisivi dei raggruppamenti amico-nemico si determinano proprio in base al settore concreto decisivo”3. Dopo il collasso del comunismo l’ultima scriminante del “politico” (ossia quella tra borghesia e proletariato) è venuta meno. Fukuyama scriveva che, dopo la vittoria delle liberaldemocrazie, era arrivata la fine della storia. Previsione sbagliata perché presuppone l’esaurirsi di ogni ragione di conflitto; cosa impossibile perché l’elemento del conflitto e della lotta (Machiavelli e Duverger tra i tanti) è un presupposto del politico ad esso connaturale (Freund). Pensare che l’uomo, zoon politikon, possa esistere senza una dimensione politica, presuppone cambiarne la natura, ossia quello che il giovane Marx pensava di poter fare ed è – invece – risultato impossibile.

Piuttosto alla scriminante borghese/proletario se n’è sostituita un’altra diversa. Il passaggio tra una scriminante amico/nemico e la successiva, scriveva Schmitt, ha un effetto politico decisivo: “La successione sopra descritta – dal teologico, attraverso il metafisico e il morale, fino all’economico – significa nello stesso tempo una serie di progressive neutralizzazioni degli ambiti dai quali successivamente è stato spostato il centro”. In tale processo “Quello che fino allora era il centro di riferimento viene dunque neutralizzato nel senso che cessa di essere il centro”, ma nel contempo e progressivamente “si sviluppa immediatamente con nuova intensità la contrapposizione degli uomini e degli interessi, e precisamente in modo tanto più violento quanto più si prende possesso del nuovo ambito di azione. L’umanità europea migra in continuazione da un campo di lotta ad un terreno neutrale, e continuamente il terreno neutrale appena conquistato si trasforma di nuovo, immediatamente, in un campo di battaglia e diventa necessario cercare nuove sfere neutrali” (i corsivi sono miei).

Che appare proprio quanto successo negli ultimi trent’anni. Dopo una (breve) fase in cui si pensava la globalizzazione “post-comunista” come ad una era stabile e “pacifica”, stante l’egemonia planetaria degli USA, s’intravedevano i primi scricchiolii da distribuire equamente in due categorie: le guerre umanitarie e, ancor più, l’emergenza di antagonisti – nemici – dell’ordine globalizzato. Ambedue convergenti nel confortare la tesi che la storia – e i conflitti – fossero tutt’altro che finiti. Quanto alle guerre “umanitarie” per lo più denominate in inglese e qualificate come operazioni di polizia internazionale, a parte le definizioni rimanevano guerre comunque; e neppure granché apprezzabili secondo le intenzioni esternate, giacché già quattro secoli fa Francisco Suarez metteva in guardia da guerre del genere. In ordine al nemico dell’“ordine nuovo”, in un primo tempo il fondamentalismo islamico, il tutto provava che un ordine, per quanto auspicabile, non può prescindere dal fatto che qualche gruppo di uomini non lo apprezzi, e in misura così intensa da arrivare (sempre) a combatterlo politicamente, e nei casi estremi, con le armi.

3.0 Era così evidente che l’“ordine nuovo” stava generando dialetticamente nuove ostilità, nuovi nemici e nuovi conflitti.

Rimaneva, e in parte rimane, poco chiaro su quale centro di riferimento spirituale si fondi la contrapposizione, interna all’occidente euroatlantico, tra populisti e globalisti. Quello che invece è chiaro – e può servire ad individuare il centro di riferimento è che sovran-popul-identitari da un lato e globalisti dall’altro fanno riferimento a coppie di valori/idee contrapposti che elenchiamo (senza pretesa di essere esaurienti):

NAZIONE/UMANITÁ

ESISTENTE/NORMATIVO

COMUNITÁ/SOCIETÁ

INTERESSE NAZIONALE/INTERESSE GLOBALE

Dei quali la prima colonna si riferisce al sovran-populismo, la seconda alla globalizzazione.

È appena il caso di citare qualche esempio. Per esistente/normativo mi permetto di rinviare a quanto da me scritto sulla Costituzione ungherese4. Quanto alla contrapposizione comunità/società è meno evidente ma comincia ad emergere dalle dichiarazioni costituzionali dei paesi “sovranisti” (v. le Costituzioni polacca e ungherese).

Che il termine a quo e ad quem di questi sia la Nazione e non l’umanità è del tutto evidente e non ha necessità di spiegazioni.

Quando all’interesse nazionale, come obiettivo di governo è anch’esso evidente, a parte le recenti vicende della Diciotti e del Ministro degli interni Salvini, che l’hanno riportato al centro del dibattito politico. E si potrebbe parlare di un “rieccolo” perché è sempre stato la bussola dello Stato moderno (e delle sintesi politiche antiche).

A trovare una frase che sintetizzi in poche parole la posizione dei sovranisti non si può che risalire all’affermazione di Sieyès “La Nazione è tutto quello che può essere per il solo fatto di esistere”5. Affermazione che scandalizza sicuramente un globalista.

4.0 La seconda concezione da prendere in esame per la valutazione della situazione politica contemporanea è quella che emerge, tra gli scritti di Schmitt, da “Terra e mare”. Fondamento di tale scritto è che l’esistenza umana è determinata dallo spazio in cui vive, dalla percezione che ne ha e dalle opportunità che offre. Pertanto questo determina o co-determina i rapporti politici, economici e sociali. In particolare il diritto. Scriveva Maurice Hauriou che il diritto conosciuto, elaborato, applicato dai giuristi è quello di società sedentarie, basate sul rapporto con la terra (e così, anche con il territorio come elemento dell’istituzione politica, in particolare – ma non solo – dello Stato moderno). Mentre il giurista francese contrapponeva le società sedentarie a quelle nomadi e spiegava gran parte degli istituti delle prime col rapporto con la terra e con un’esistenza orientata alla produzione regolare, Schmitt approfondiva la diversità tra esistenza marittima ed esistenza terreste, e in particolare che “la storia universale è una storia della lotta della potenza del mare contro la potenza della terra…”.

La novità nella storia moderna, sosteneva Schmitt, è che la Gran Bretagna, nel XVI secolo, si decise per un’esistenza marittima, assai più di come avevano fatto in altre epoche potenze marittime come Atene o Venezia ed in parte, anche Cartagine. Da ciò derivò l’espansione commerciale (ed industriale) inglese6.

Questo fatto era considerato da Schmitt determinante sia per il diritto internazionale che per l’assetto politico europeo westphaliano. L’equilibrio che ne derivava, conseguiva da quello di terra e mare (potenze continentali e potenza marittima) e tra stati europei. Nessuna delle quali era in grado di egemonizzare le altre, perché non avrebbe avuto la forza di imporsi ad una loro coalizione, un po’ come Machiavelli notava per gli Stati italiani (e dell’equilibrio tra gli stessi) della sua epoca. In questo senso la sovranità degli Stati, costruita intorno alla parità giuridica degli stessi – prescindendo dalla parità di fatto, aveva un certo senso, proprio perché la parità di fatto tra gli stessi – o almeno tra i maggiori – non era tanto lontana; e, d’altra parte la disparità poteva essere compensata con un’accorta politica di alleanze (e all’inverso di neutralità).

Il tutto entrava in crisi con il XX secolo; sosteneva Schmitt che “nel diritto internazionale le idee generiche ed universalistiche sono le armi tipiche dell’interventismo”7; e che “Una concezione giuridica coordinata ad un impero sparso su tutta la terra (ossia quello britannico) tende naturalmente ad argomenti universalistici”8

Nello scritto “Grande spazio contro universalismo”9, il giurista di Plettemberg ribadisce, con riferimento alla dottrina Monroe, la contraddittorietà dell’interpretazione universalistica all’enunciazione originaria della suddetta dottrina. Scrive Schmitt “È essenziale che la dottrina Monroe resti autentica e non falsificata, fintantoché è fissa l’idea di un grande spazio concretamente determinato, nel quale le potenze estranee allo spazio non possono immischiarsi.

Il contrario di un siffatto principio fondamentale, pensato a partire dallo spazio concreto, è un principio mondiale universalistico, che abbraccia tutta la terra e l’umanità. Questo conduce naturalmente a intromissioni di tutti in tutto. Mentre l’idea dello spazio contiene un punto di vista della delimitazione e della divisione e per questo enuncia un principio giuridico ordinatore, la pretesa universalistica di intromissione mondiale distrugge ogni delimitazione e distinzione razionale10 (il corsivo è mio).

Ciò ha fatto sì che si è convertito “un principio di non ingerenza concepito spazialmente in un sistema generale di intromissione delocalizzata” e così è diventato uno strumento ideologico della democrazia e “delle concezioni con essa collegate, in particolare del “libero” commercio mondiale e del “libero” mercato mondiale, al posto dell’originario e vero principio Monroe”11. Combinando all’uopo status quo e pacta sunt servanda, “cioè un semplice positivismo contrattuale”, con i principi ideologici del liberalcapitalismo.

Il risultato complessivo è che la dottrina Monroe, come interpretata negli anni tra le due guerre mondiali da la misura “della contrapposizione fra un chiaro ordinamento spaziale che poggia sul principio fondamentale del non intervento di potenze estranee allo spazio a fronte di un’ideologia universalistica, che trasforma tutta la terra nel campo di battaglia dei suoi interventi e intralcia il passo ad ogni crescita naturale dei popoli viventi12 (il corsivo è mio).

La situazione oggi è diversa: l’evoluzione dell’ordinamento internazionale con l’ONU (e la Carta dell’ONU), il divieto dell’uso della forza (v. art. 2, 4 della Carta dell’ONU), i poteri del Consiglio di sicurezza, la dottrina della “responsabilità di protezione”, le operazioni di peacekeeping e soprattutto la “difesa dei diritti umani” (e non solo) hanno complicato la situazione.

A cosa può servire la lezione di Carl Schmitt e, in particolare, la dottrina dei “grandi spazi”?

Sembra di poter rispondere che due concezioni (esplicite ed implicite alla stessa) e comunque intersecantesi possono essere utilmente applicate.

La prima delle quali è il realismo politico in relazione al concetto di sovranità. Come scrive il giurista tedesco, il problema della sovranità, probabilmente il principale, è conciliare l’aspetto politico con quello giuridico.

Se infatti il connotato distintivo della sovranità è l’assolutezza giuridica (non essere condizionato dal diritto ma esserne “al di sopra”)13, occorre coniugarla con i limiti di fatto. Come scrive Schmitt “Nella realtà politica non esiste un potere supremo, cioè più grande di tutti, irresistibile e funzionante con la sicurezza della legge di naturaLa conciliazione del potere supremo di fatto e di diritto costituisce il problema di fondo del concetto di sovranità. Da qui sorgono tutte le difficoltà”14 (il corsivo è mio). Altro infatti è la sovranità degli U.S.A. o della Cina, altro quella di S. Marino o del Liechtenstein. Trasposto nella situazione contemporanea, questo significa che mentre si censurano – giustamente – le violazioni dei “diritti umani” o il genocidio (ad esempio dei curdi in Iraq) e si parte per la “guerra giusta” ai ruandesi o a Saddam, ci si guarda bene dal fare la guerra a Putin per il Dombass o la Crimea e così alla Cina per Hong-Kong. Da notare che, mentre Hong-Kong è sotto sovranità cinese – e almeno può valere il carattere classico territoriale di questa – non è così per i citati territori nell’Europa orientale, entrambi – prima di annessioni ed occupazioni – facenti parte dell’Ucraina; la quale ha così subito una violazione della (propria) sovranità – al contrario della Cina. A questo punto, dati i “due pesi, due misure” c’è da chiedersi se non valga, come criterio di comportamento e decisione concreta, quello del “grande spazio”: mentre alla Russia è stato (di fatto) riconosciuto l’intervento in una repubblica prima facente parte dell’URSS, cioè del proprio “grande spazio”, lo stesso non è stato esercitato per proteggere popolazioni, diritti umani, e nel caso dell’Ucraina, l’integrità territoriale.

Per cui il realismo intrinseco alla concezione schmittiana (registra) e regola molto più che l’idealismo di quello15.

La seconda concezione che appare alla base del concetto di “grande spazio” è quella che collega il concetto di potenza (e di potere) di Max Weber e il “diritto” inteso qui come ordine. Scrive Weber definendola, che “la potenza designa qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale, anche di fronte ad un’opposizione, la propria volontà”16. Nell’uso corrente fino a qualche decennio orsono erano chiamati potenze gli Stati, almeno quelli capaci di esercitare il comando all’interno e così tutelare la propria indipendenza, anche senza (o con minima) egemonia politica esterna. In termini fattuali è la capacità di far valere la propria volontà che determina l’essere potenza.

La quale applicando la formula di Spinoza tantum juris quantum potentiae determina i limiti fattuali delle potenze e quindi della capacità giuridica di esercitarli. Come scriveva il filosofo olandese “Se dunque la potenza per cui le cose naturali esistono e operano è la medesima potenza di Dio, è facile capire che cosa sia il diritto naturale. “… Per diritto naturale io intendo dunque le stesse leggi o regole della natura, secondo le quali ogni cosa accade, vale a dire, la stessa potenza della natura; perciò il diritto naturale dell’intera natura, e conseguentemente di ciascun individuo, si estende tanto quanto la sua potenza17 (i corsivi sono miei). E nell’ambito del “grande spazio” è relativamente facile per la potenza egemone esercitarla. Del pari, per lo più, ha l’interesse a farlo, per le connessioni e i rapporti che la congiungono ai propri vicini o satelliti. Rispettare i quali è la condizione perché si consegua facilmente uno stato di pace. Assai più che cercare di imporre un’unità del mondo, senza che tale unità si possa conseguire in pace con l’unico modo storicamente possibile: mantenendo il pluriverso, conforme all’assetto d’interessi, potenze e rayas.

Cioè limitandolo e determinandolo con criteri oggettivi e facilmente percepibili ed applicabili. Perché come scriveva Schmitt, l’unità del mondo non è l’unità dell’ecumene, ma “della organizzazione unitaria del potere umano, il cui scopo sarebbe pianificare, dirigere e dominare la terra e l’intera umanità. È il grande problema se l’umanità è già matura per sopportare un solo centro del potere politico”.

Che vi sia una religione, una teologia di sostegno a un tale ipotetico centro, la quale abbia capacità di resistenza ad obiezioni e critiche elementari, Schmitt non lo crede. Non l’ideologia del progresso, dato che progresso tecnico e morale “non camminano insieme” (né tra i governanti, né tra i governati). Né può confortare il razionalismo, non foss’altro – aggiungo – perché vale sempre il giudizio di De Maistre che l’uomo “per il fatto di essere contemporaneamente morale e corrotto, giusto nell’intelligenza e perverso nella volontà, deve necessariamente essere governato” (onde la ragione non basta); oltretutto il progresso tecnico ha l’inconveniente di accrescere il potere del governo. Come scriveva Goethe “è pericoloso per l’uomo ciò che, senza farlo migliore, lo rende più potente”18. E non la si vede neppure oggi che in quel (tentativo/progetto) di unità del mondo stiamo ancora, anche se ormai pare volgere al tramonto. Dietro l’unità di un mondo dominato dalla potenza vittoriosa nella contrapposizione borghese/proletaria, occorre riconoscere che il pensatore di Plettemberg aveva visto bene il futuro politico: una nuova contrapposizione amico-nemico, una costante dicotomia terra/mare, una pace attraverso l’equilibrio di (e tra) grandi spazi. Cioè tutto il contrario di quanto diffuso dalla propaganda mainstream.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 Trad. it. ne le Categorie del politico Bologna 1972 p. 167 ss.

2 Op. cit. p. 172

3 E prosegue “Finché al centro si trovò il dato teologico-religioso, la massima cujus regio ejus religio ebbe un significato politico. Quando il dato teologico-religioso cessò di essere il centro di riferimento, anche questa massima perdette il suo interesse pratico. Nel frattempo esso si è mutato, passando attraverso la fase della nazione e del principio di nazionalità (cujus regio ejus natio) , nella dimensione economica e ora dice: nel medesimo Stato non possono esistere due sistemi economici contraddittori; l’ordinamento economico capitalistico e quello comunistico si escludono a vicenda” op. cit. p. 172.

4 v. Attacco alla Costituzione ungherese in Nova Historica n. 67, anno 17, pp. 153-168, in particolare p. 164-165.

5 e continuando le citazioni dell’abate, tra le molte “Le nazioni della terra vanno considerate come individui privi di ogni legame sociale, ovvero, come si suol dire, nello stato di natura. L’esercizio della loro volontà è libero ed indipendente da ogni forma civile…Comunque una nazione voglia, è sufficiente che essa voglia; tutte le forme sono buone, e la sua volontà è sempre legge suprema…una nazione non può né alienare né interdire a se stessa la facoltà di volere; e qualunque sia la sua volontà, non può perdere il diritto di mutarla qualora il suo interesse lo esiga”

6 Anche Hegel sottolinea determinati diversi tipi di attività, e legando al mare lo sviluppo dell’industria e del commercio v. Lineamenti di filosofia del diritto, §247.

7 V. Il concetto di impero nel diritto internazionale, p. 27.

8 E prosegue “Una tale concezione non concerne uno spazio determinato ed unito né il suo ordinamento interno, ma in prima linea la sicurezza delle comunicazioni fra le sparse frazioni dell’impero”.

9 Trad it. Di A. Caracciolo in Posizioni e concetti, Giuffré, Milano 2007, pp. 491-503.

10 E prosegue “In effetto l’originaria dottrina Monroe americana non ha niente a che fare con i principi fondamentali ed i metodi del moderno imperialismo liberalcapitalistico. Come vera e propria dottrina dello spazio si trova anzi in pronunciata contrapposizione ad una trasformazione della terra in un astratto mercato mondiale del capitale senza tener in alcun conto lo spazio… Che una siffatta falsificazione della dottrina Monroe in un principio imperialistico del commercio mondiale fosse possibile, resterà per tutti i tempi un esempio impressionante dell’influenza inebriante di vuote parole d’ordine” Con l’interpretazione che ne dava W. Wilson “non intendeva all’incirca un trafserimento conforme del pensiero spaziale, non interventistico, contenuto nella vera dottrina Monroe, agli altri spazi, ma al contrario un’estensione spaziale ed illimitata dei principi liberaldemocratici alla terra intera ed a tutta l’umanità. In questo modo egli cercava una giustificazione per la sua inaudita ingerenza nello spazio extraeuropeo”, op. ult. Cit. pp. 493-494 (il corsivo è mio).

11 E continua che i due Roosevelt e Wilson avevano fatto “di un pensiero spaziale specificamente americano un’ideologia mondiale al di sopra degli Stati e dei popoli, essi hanno tentato di utilizzare la dottrina Monroe come uno strumento del dominio del capitale anglosassone sul mercato mondiale”

12 Op. ult. cit., p. 503.

13 Con la nota problematica su quanto l’assolutezza si applichi all’interno e quanto lo possa essere all’esterno, ossia nei riguardi dei soggetti di diritto internazionale (Stati e “ordinamento in fieri” già distinte da Bodin.

14 v. Der Begriff des Politischen, trad it. Di P. Schiera ora ne Le categorie del politico, Bologna 1972, p. 44.

15 Idealismo, che in concreto, è spesso la fusione di interessi e paternostri.

16 Economia e società, trad. it. di T. Bagiotti, MIlano 1980, p. 51. Poco dopo scrive “ Per Stato si deve intendere un’impresa istituzionale di carattere politico nella quale – e nella misura in cui – l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell’attuazione degli ordinamenti” (p. 52).

17 Trattato politico, trad. it. di A. Droetto , Torino 1958, p. 161.

18 I passi ultimi citati sono tratti dal volume L’unità del mondo ed altri saggi, curato da A. Campi, A. Pellicani Editore, Roma 1994, pp. 303 ss. Schmitt scrive, proseguendo “L’unità mondiale di una umanità organizzata solo tecnicamente fu anche per Dostoievski un tremendo incubo. Questo incubo si aggrava via via che la tecnica cresce. E che rimedio è ancora possibile oggi, date le enormi possibilità tecniche e la crescente intensità del potere politico?” .

IL CONFLITTO PERMANENTE COME CULLA DEL NUOVO MONDO MULTIPOLARE, di Pierluigi Fagan

IL CONFLITTO PERMANENTE COME CULLA DEL NUOVO MONDO MULTIPOLARE.

Le scienze sociali che usano come unità metodologica lo stato, ovvero le Relazioni Internazionali e la Geopolitica, non potendo fare esperimenti di verificazione delle teorie, si accontentano di sostenere la loro “scientificità” verificando quanto una teoria si adatti ad eventi storici pregressi. La “Storia” è l’unico dato empirico di validazione delle interpretazioni, fatto già di per sé bizzarro visto che: a) la storia è sempre una narrazione stesa su eventi ben più complessi; b) l’interpretazione ovvero la teoria è, a sua volta, un riduzione della narrazione storica.

Oltre a queste due sospensive ce ne è una ancora più determinante. Se accettiamo come quadro di riferimento macro-storico, ovvero di lunga durata,  il fatto di trovarci in una transizione epocale che ci sta portando dall’epoca moderna ad un’altra che ancora non ha nome sebbene cominci a mostrare una sostanza chiaramente complessa, questo ricorso al passato rischia di basarsi sulle pericolose “false analogie”.  Il ricorso al conforto di come si sono comportati gli stati nel passato al presentarsi di schemi di ordine di tipo multipolare è naturale vanga fatto, ma da quei confronti dovremmo trarre indicazioni molto relative, deboli, indiziali, poco probanti. Non siamo nella linea di uno sviluppo continuo della stessa traiettoria, siamo nella frattura profonda di un modo con un altro e quindi siamo in terra incognita dove la passata esperienza ha valore marginale.

Il che ci porta a dover trattare daccapo il concetto di “multipolare”, prima  in astratto, poi in concreto e nel concreto distinguendo i casi in cui applicarlo al passato o allo stato presente/futuro. Il fine è quello di trarne una interpretazione contemporanea ed una luce che tenta di fendere le nebbiosità dell’immediato futuro.

In astratto, il concetto di “multipolare” dice che in un dato spazio-tempo, si presenta una configurazione d’ordine con più di due attori statali potenti (poli), legati  tra loro da molteplici relazioni di potenziale offesa-difesa o equilibrio, equilibrio che va inteso sempre in modo dinamico. Il concetto s’inscrive nelle premesse del tipico contesto realista ovvero un mondo ritenuto anarchico (non “disordinato”, ma privo di legge superiore ed entità in grado di applicarla, anche con la forza, a tutti), competizione a somma zero (se un polo assume più potenza, qualche altro la perde), gli stati si comportano in maniera razionale, le potenze tendono a massimizzare il loro potere (fino ad oggi non si son presentate potenze che s’accontentano), nessuno stato può esser certo delle intenzioni di un concorrente, la potenza -in ultima istanza- s’intende in senso militare ed infine, il fondo “tragico” cioè la constatazione che la guerra è un modo della politica ed è storicamente una costante.

La teoria realista in Relazioni Internazionali (la dottrina liberale non la pendiamo neanche in considerazione poiché a nostro giudizio infondata e con una componente eccessivamente ideologico-normativa) ha opinioni di giudizio diverse sul sistema multipolare astratto. Per Hans Morghentau (realismo della natura umana) i sistemi multipolari tendono ad auto-stabilizzarsi e sono l’ideale per raggiungere l’equilibrio di potenza. In più, la dinamica di compensazione per la quale se un polo tende ad emergere un po’ troppo o manifesta comportamenti non equilibrati tutti gli altri si alleano per compensarlo, renderebbe questo ordine complesso ma sostanzialmente stabile o forse stabile proprio perché complesso e dinamico. Questo bilanciamento è detto “equilibrio di potenza” e se manca, porta disordine in via automatica, cioè date le premesse realiste. Kenneth Waltz (realismo difensivo) contestava decisamente questa fiducia di Morghentau, sostenendo che l’unico ordine stabile e stabilizzante è il bipolare e quello multipolare è prima o poi soggetto a rottura di simmetria, quindi catastrofe. Infine, John Mearshemeir (realismo offensivo), concorda in pratica con Waltz e poi fa una classificazione con il bipolare più stabile del multipolare ma questo poi distinto in equilibrato che è migliore della peggiore configurazione possibile ovvero il multipolare con uno o più poli superiori a gli altri, il multipolare sbilanciato. L’intera classificazione andrebbe poi dinamicizzata tra ascendenti e discendenti perché se un ordine sembra multipolare in statica ma uno dei poli era l’egemone e uno degli sfidanti sta crescendo velocemente in potenza, le cose certo cambiano. Così cambiano se si dà un occhio alle future prospettive di medio periodo. L’ordine più stabile tipo “pace perpetua” è quello unipolare dove c’è un solo polo detto “egemone”, ma è del tutto teorico in quanto non si è mai presentato nella storia del mondo con tassi demografici inferiori, figuriamoci oggi o domani con 7,5 o 10 miliardi di individui e più di 200 stati con tendenza ad aumentare. L’impero-mondo è più un fantasma metafisico, cosa che la nostra mente può pensare ma che non per questo può essere davvero.

I dolori più intensi e seri per il concetto di multipolare, arrivano però quando si passa dall’analitico al sintetico, quando si va ad applicare la teoria alla realtà empirica. Tra i casi di multipolare rinvenuti più spesso nel registro storico, compaiono l’Italia rinascimentale del centro-nord e l’Europa del XIX secolo a 5 – 7 poli (Russia, Austro-Ungheria, Francia, Inghilterra, Impero ottomano e poi Prussia/Germania ed Italia) ma si sarebbe potuto anche considerare il periodo degli Stati combattenti nella Cina del V-III secolo a.C.  o la Grecia Antica da cui invece alcuni traggono il concetto bipolare della “trappola di Tucidide” per dar lustro con tono colto ai commenti sulla competizione odierna USA (potenza di acqua quindi Atene)  vs Cina (potenza di terra quindi Sparta). Il riferimento all’Antica Grecia è oltretutto doppiamente sbagliato perché per altri versi Atene e Sparta non erano sole e quindi non era un semplice ordine bipolare ma tanto quando si prende di così gran carriera la strada dell’analogia a tutti ci costi, i costi di semplificazione si pagano in imprecisione.

Cosa c’è di così scandalosamente impreciso in questo ricorso al registro storico? La mancanza delle variabili co-essenziali per ogni ricostruzione di fase storica, il contesto e la eterogeneità degli attori.

Quanto all’eterogeneità, l’ordine multipolare diventa una costruzione strutturalista nella scuola realista americana che (si tenga conto  che tutti i pensatori e le idee che animano la disciplina delle RI, sono sempre e solo americani), come dice Mearsheimer, tratta gli stati o potenze come palle da biliardo, al limite più o meno grosse a seconda della potenza. Mearsheimer e tutti i realisti hanno buone ragioni per far diventare gli stati scatole nere di cui c’importa solo l’imput e l’output, ed è il rifiuto di seguire i liberali nelle loro assurde perorazioni sul fatto che le forme di governo interne a gli stati (democrazie vs varie configurazioni di autoritarismo) farebbero la differenza. Ma se i liberali rendono un po’ assurde le considerazioni sulla struttura a grana fine che distingue gli stati tra loro (struttura che si dovrebbe invece dettagliare per: grandi o piccoli? di terra o di mare? con che tipo di demografia, economia, mentalità e tradizioni, collocazione geografica, tradizione filosofico-religiosa e scientifica? a quale punto del loro ciclo storico? etc.), nondimeno queste strutture a grana fine vanno analizzate per capire la natura degli attori prima di portarli dentro le analogie. Gli stati non sono gli atomi della fisica realista, sono entità intenzionali ed autocoscienti.

La mancanza decisiva è però il non considerare il contesto. Tanto per dire una sola, unica e principale, questione che differenzia l’ordine multipolare del mondo di oggi rispetto a qualsivoglia porzione del mondo di ieri, è che quelle di ieri erano appunto “porzioni”, quello di oggi è un “tutto” che non ha un fuori. Non c’è un altro mondo in cui far sfogare le contraddizioni dell’attuale mondo multipolare mentre l’Italia rinascimentale era solo un ritaglio di un frame più grande in cui c’erano la Francia, la Spagna, lo Stato Pontificio, il Sacro Romano Impero ed il Mediterraneo, mentre nell’Europa del XIX secolo c’era la corsa alle colonie ed a gli imperi fuori d’Europa. Entrambe erano situazioni occorse in ambiente omogeneo (italiano o europeo) mentre oggi abbiamo attori molto più eterogenei e distanti nello spazio (tra Cina ed USA c’è un oceano, ad esempio, nonché più di due millenni e mezzo di differente longevità). Entrambe le situazioni erano a bassa interdipendenza tra gli attori mentre oggi l’interdipendenza è alta. Entrambe le situazioni erano a bassa o media demografia mentre oggi il mondo è al sua massimo storico di densità, così l’economia che con la demografia fornisce le coordinate del potere potenziale ma non ancora effettivo, ha oggi peso e dinamiche non parametrabili a ieri. E sul potere effettivo, quello delle armi, che differenza fa un multipolare atomico che ha almeno due poli legati tra loro dalla fatidica Mutual Assured Distruction (MAD) ma con un generico “rischio atomico” anche più ampio e diffuso? O anche solo la potenza annichilente dell’armamento “convenzionale” attuale rispetto a gli esempi pregressi? O come agisce il fattore reputazionale in epoca di opinioni pubbliche che fan da spettatori, prima che attori, dei giochi politici inter-nazionali ma i cui giudizi condizionano l’azione dei governi?

Insomma, siamo come detto in terra incognita, lì dove il ricorso all’esperienza precedente non è vietata ma va usata con un molto ampio beneficio d’inventario perché nell’inventario ci sono variabili che rendono falsa l’analogia.

Dirigiamoci quindi con prudenza ad esaminare la nuova versione di sistema multipolare mondiale a cui stiamo tendendo. C’è un’unica super potenza, gli USA e due potenze asimmetriche, una militare -la Russia-, l’altra economica -la Cina-. Chi usa i meccanismi tipici delle tradizioni di pensiero di RI o GP, a questo punto prevede che i poteri potenziali della demografia e della economia cinese, questione di tempo, verranno presto trasformati in potenza militare. Ma c’è qualcosa che potrebbe ostacolare questa predizione, almeno nella sua forma lineare.

Primo, memore della lezioni data dalla guerra fredda, la Cina starà ben attenta a non farsi trascinare nell’over-spending militare a scapito del reinvestimento nello sviluppo e nella ridistribuzione. Solo un analista da think tank americano può sottovalutare il problema delle eccessive diseguaglianze in un sistema di 1,4 mld di persone, errore che nessun cinese che conosca la storia cinese, farà mai.

Secondariamente, la Cina starà ben attenta a non eccitare l’altrui “dilemma della sicurezza”, ovvero quella situazione di incertezza per la quale ogni stato sa che se eccede nella crescita delle dotazioni militari, fossero anche per difesa, non essendo escludibile in alcun modo che ciò che oggi si crea per difesa domani possa esser usato per offesa, altro non fa che sollecitare pari riarmo nei vicini. Oltretutto, la Cina ha bisogno a prescindere di pace ed armonia nel suo quadrante strategico perché la sua principale linea strategica è sviluppare  reti commerciali. Inoltre è suo fine specifico proporsi come “potenza amica” in modalità “cooperazione e reciprocità” ad esempio nei confronti dell’Africa, evitando rozze intenzioni coloniali, aggressive o eccessivamente egoiste. Preoccupazione che poi andrebbe anche allargata poiché la Cina tende ad attrarre “clienti” prima nella sfera occidentale e quindi deve dare qualcosa in più o di meglio. Le dichiarazioni pubbliche di come la Cina vede le interrelazioni estere sono oggi -più o meno-  le stesse dalla Conferenza di Bandung del 1955 e per molti versi sembrano credibili, non per superiorità etica ma per intelligenza strategica di cui i cinesi sono dotati da un paio di millenni prima di von Clausewitz.

Infine, stante che la Cina non è attaccabile via mare dagli USA (potere frenante del mare) e dal Giappone, ha stretto un sostanziale accordo di cooperazione a largo raggio con la Russia (nel passato l’unico vero nemico potenziale dal punto di vista geografico e qualche volta storico) e sembra intenzionata ad avere relazioni amicali-sospettose ma in sostanziale equilibrio con l’India, la sua dotazione di potenza effettiva può limitarsi a rinforzare la marina, la presenza nello spazio, l’elettronica ed il digitale, porre qualche avamposto discreto in giro per il mondo, senza mettersi a sfornare carri armati e missili a nastro. Si tenga poi conto che la Cina è molto grande e popolosa e credo che l’ultimo desiderio dei suoi governanti sia quello di annettere altri territori e popolazioni, ingigantendo un problema già difficile di gestione della sua propria massa. Se la terra manca, meglio comprarla come stanno facendo in Africa o favorire una discreta diaspora come in Siberia orientale.

Gli altri due attori in che traiettoria stanno? La Russia, potenza di mezzo dell’Eurasia, posizione al contempo comoda e  scomoda strategicamente, è da ormai settanta anni oggetto di pressione da parte USA per rimanere avviluppata nella escalation di potenza militare che per lei si trasforma in un “a scapito” del progresso economico. Salvata dalla dotazione di energie e molte materie prime e sovrana alimentarmente, la Russia segue questa escalation per via dell’ovvio riflesso di sicurezza. Ma anche per via dell’interesse ad approfittare degli eventuali cedimenti delle vicine ex repubbliche già interne all’URSS che ha interesse a riportare sotto la sua sfera di influenza, per via del far virtù della necessità di produrre armi poiché sono anche beni per l’export (export che poi lega a sé eventuali partner), per via dell’importanza che storicamente ha all’interno del suo sistema di potere la burocrazia militare ed infine, per via della necessità di supportare alla bisogna alleati periferici a loro volta messi sotto pressione dagli americani. Fintanto che gli europei rimangono dentro il sistema occidental-atlantico, la Russia difficilmente si svincolerà da questa traiettoria. In prospettiva, in Russia si libererà molta terra (per via del riscaldamento globale), il che, in un mondo sempre più denso ed affollato e stante che la Russia è uno dei paesi a più bassa densità abitativa del mondo (nonché in assoluto il più grande), non è una cattiva prospettiva fatti salvi gli ovvi problemi di gestione, logistica ed integrazione di eventuali migrazioni. Per la stessa ragione, la regione polare prospiciente la costa settentrionale, diventa nuovo quadrante “caldo”.

Gli USA sono in una posizione di potenza effettiva, cioè militare, molto lontana dal poter esser insidiata da alcuno. Di contro, la loro pur ragguardevole demografia, è ben superata sia dalla Cina che dall’India, ma in prospettiva, insidiata  anche dalle crescite dei più periferici ovvero l’Indonesia, il Brasile, la Nigeria. Una volta che questi paesi, come sta succedendo con Cina ed India, si metteranno a convertire demografia in crescita economica, anche questo secondo aspetto che l’ha vista a lungo leader senza competitor, diventerà relativo. Si tenga poi conto di alcune altre variabili.

Una è la “rendita di cittadinanza” ovvero il contributo del più ampio sistema di cui si è polo, del sistema occidentale complessivo nella storia pregressa, del sistema asiatico e del sistema africano oggi ed in prospettiva. Il “centro del mondo” si sta già velocemente spostando verso oriente e questo tenderà a limitare le condizioni di possibilità per gli USA, a prescindere da quanto questi saranno in grado di puntellare i loro punti di forza e minimizzare quelli di debolezza.

Un’altra variabile da tener d’occhio sono  le soglie critiche, invisibili punti nei quali i sistemi che si stanno espandendo o contraendo, subiscono una accelerazione non lineare del moto tendenziale. Gli USA possono senz’altro assorbire una riduzione del loro peso di Pil sul totale mondiale ma ci sono appunto soglie oltre le quali gli effetti di contrazione non sono lineari, si pensi, ad esempio, al ruolo mondiale del dollaro ed a gli effetti a cascata che avrebbe anche solo una sua relativa limitazione.  Su questa resilienza nella contrazione, agisce poi in forma problematica, la strana configurazione della scala sociale statunitense che ha una élite assolutamente fuori norma e quindi idiosincratica ad ogni decrescita.

Poi c’è il disordine in cui chi è abituato a competere entro quadri legali e normativi, di norme visibili o invisibili ed in ambienti che per quanto anarchici hanno comunque infrastrutture ed istituzioni multilaterali, potrebbe faticare ad orizzontarsi in un ambiente molto meno regolato e supportato. Poiché -in macro- stiamo transitando da un mondo relativamente più semplice ad uno relativamente più complesso, la complessità diventa essa stessa un problema per chi intende garantirsi un potere così sproporzionato come quello a cui sono abituati gli americani. Di contro, si può anche ipotizzare un interesse ad accompagnare ed anzi, alimentare un certo disordine globale per alzare la domanda di “protezione”. Ma in questo caso, è molto dubbio il poter riuscire a prevedere e quindi governare tutte le dinamiche disordinanti che intenzionalmente si vorrebbero promuovere.

Infine, la vera palla al piede della potenza americana ovvero l’Europa, una Europa testardamente frazionata, bizantina, anziana,  viziata, sospesa in una bolla che riflette la sua eccezionale storia specifica ma la isola da un mondo del tutto nuovo che gli europei sembrano non comprendere realisticamente del tutto. A partire dall’ovvia constatazione che in un ordine multipolare così dinamico, l’Europa non è una potenza e non è neanche un soggetto in termini di politica estera oltreché essere economicamente e demograficamente frazionata, non esser cioè un “totale più della somma delle parti”. Condizione quest’ultima a cui si ritiene di poter far fronte con il vuoto slogan degli “Stati Uniti d’Europa” che non ha la minima condizione di possibilità di veder mai luce e sopratutto funzionare. Questo far fronte al grande problema adattivo di questa parte di mondo usando slogan che non vanno da nessuna parte, rinforza la diagnosi di disadattamento degli europei ai tempi che vengono.

Il mondo multipolare che si sta affermando, ha anche molte medie potenze, potenze regionali e qualche significativa piccola potenza locale in grado di ostacolare giochi che una volta i geografi imperiali britannici progettavano al calduccio dei protetti salotti londinesi sorseggiando il loro tè rituale. Per segnare le cartine del mondo, oggi servono cose un po’ più complesse che non le matite. Più in generale, questo mondo tende alla convergenza degli indici economici (veniamo dalla grande divergenza ma andiamo verso la grande convergenza tra grandi aree), crea reti regionali più dense delle reti genericamente globali, tende al pluralismo dei grandi enti internazionali (banche, investimenti, culture, tradizioni, ambiti di cooperazione, piazze finanziarie, forum diplomatici), offre alternative a quello che prima era un monopolio, pone le economie che si emancipano da posizioni primitive in grande vantaggio dinamico rispetto alle economie mature, oltre a tutte le varie e preoccupanti articolazioni del problema ambientale, semplice da citare ma molto complesso da descrivere. Infine, le grandi cornici ideologiche che legavano élite e popoli nazionali intenti nell’opera di “civilizzazione” del colonialismo e dell’ imperialismo europei, l’afflato repubblicano dei napoleonici, il fascismo, il nazismo, il comunismo ed il liberalismo con i loro antagonisti simmetrici che animarono il ‘900, sono assai depotenziate e non si vede chi altro potrebbe prenderne il posto a parte qualche gruppo di islamisti suicidi finanziati dall’Arabia Saudita. Si può come senz’altro si sta facendo con la Russia, nazificare il nemico dirigendo le fila del concerto mediatico, ma da qui a poterci far perno per convincere le opinioni pubbliche dell’inevitabilità di una guerra diretta ce ne corre.

A quale tipo di ordine multipolare ci avviamo, quindi? E come si comporterà, almeno all’inizio, il sistema multipolare in un mondo denso ed intrecciato, un sistema che per la prima volta è multi-atomico e quindi soggetto a più vincoli di “reciproca, distruzione assicurata” (sempre che si voglia continuare a sottostimare il potenziale bellico convenzionale che per molti aspetti non gli è secondo)? Il quadro prima disegnato ha sintesi nella definizione di “multipolare sbilanciato” in cui la superpotenza americana non può certo sperare di aumentare raggio ed intensità del proprio potere, non può accontentarsi di uno status quo perché comunque trascinata in basso dalla dinamica tra le parti del sistema mondiale e deve quindi resistere il più possibile nel mantenere i propri ancora significativi vantaggi, nel mentre tenta di rallentare l’ascesa degli sfidanti. Deve farlo nel quadro problematico dello stato del mondo prima accennato e con una gran proliferare di attori medi e piccoli che seguono ognuno una propria traiettoria. Ancora con una leadership solida nel potere effettivo (militare), il problema americano risiede nel potere potenziale, nel rapporto tra il suo essere meno del 5% della popolazione mondiale con un potere economico che ancora domina il 25% dell’economia mondiale anche sulla scorta di un ancor più ampio potere finanziario.

Il vincolo della reciproca distruzione assicurata, per gli USA, vale non solo verso i russi ma anche i cinesi poiché è chiaro che questi due, al di là della loro reciproca competizione per altri versi naturale essendo vicini, avendo punti di forza complementari, hanno ben chiaro il comune interesse, loro e di molti altri, a che si stabilisca un vero quadro multipolare bilanciato. La crescita della loro attuale cooperazione è di fatto un’alleanza difensiva non detta. Cina, India, Sud Est asiatico, Pakistan, le due Coree, l’Africa e il Sud America hanno tutti interesse a non imbracciare le armi nel mentre crescono economicamente e socialmente. Anche la Russia, se potesse,  avrebbe urgenza di dedicarsi di più al suo sviluppo piuttosto che dissanguarsi nella rincorsa di potenza col gigante americano. Da questo corso, non sarebbero in teoria distanti, se fossero liberi da condizionamenti di altro tipo, neanche i giapponesi e gli europei. Gli unici che davvero hanno interesse a far pesare nel quadro la super potenza di cui sono ancora proprietari sono gli Stati Uniti d’America e qualche potenza locale in Medio Oriente.  Si potrebbe leggere l’intero quadro come un film della transizione tra un assetto sbilanciato ad uno più bilanciato e quindi segnato dalla sfida economica degli ascendenti verso il discendente americano che resisterà in tutti modi. Ma come, se in ultima istanza il conflitto diretto è sconsigliato dal vincolo atomico?

Quello nel quale siamo già immersi è un sistema multipolare sbilanciato con conflitto permanente. Potremmo dar nome a questa interpretazione come nuovo “realismo complesso”, un realismo che reinterpreta le costanti storiche all’attualità del mondo di oggi profondamente diverso da quello di ieri. “Conflitto” prende qui un nuovo significato che include varie forme di confronto armato ma non è riducibile solo a quello, prende il posto della guerra tradizionale dilatando però il fronte ed il tempo della tenzone. Oggi le potenze si muovono in uno scenario multidimensionale.

Il fattore demografico, la stazza, la massa di un attore, fattore sempre importante, oggi può diventare decisivo e non solo più per alimentare la propria potenza effettiva cioè armata, ma anche per il corrispettivo di crescita economica. Diventa anche un’arma nel caso di procurate migrazioni da paesi terzi verso coloro che si vogliono mettere in difficoltà. Queste migrazioni indotte si creano facilmente con le guerre per procura che oltretutto sono un vivace mercato per la sovrapproduzione dell’industria militare di cui è dotata ogni potenza. Ogni produzione ha un mercato e se la prima è maggiore del secondo, il secondo va sollecitato ad ampliarsi e/o intensificarsi. Questo gioco periferico che non riguarda il confronto diretto tra potenze, ha poi il vantaggio di tenere occupato il nemico dietro gli alleati che combattono i nostri amici in quel specifico teatro e quindi rinforza i legami di amicizia e dipendenza interni al polo. Il mondo è pieno di minoranze, popoli senza stati, confini precari disegnati dai francesi o dagli inglesi nel periodo coloniale, il catalogo delle occasioni di conflitto potenziale è molto ampio. I popoli sono molti di più degli stati e quindi il gioco delle nazioni in cerca di sovranità è facile da attivare.  L’ideologia islamista è un potente alleato di questa strategia per chi ha lo stomaco di usarla mentre sbraita nel simularne il contenimento. Incidenti in acqua o in aria possono sempre accendere l’attenzione su qualche quadrante di mondo e mandare messaggi che sfruttano la naturale paranoia da sicurezza di qualsiasi stato, specie se potenza emergente o alleato debole del polo nemico. Gli incidenti procurati possono essere ottime scuse per elevare sdegno morale propedeutico a più prosaiche sanzioni, dazi commerciali, blocchi navali, interdizioni dello spazio aereo. Molto conflitto non è pubblico ma si avvale delle consuete reti spionistiche e contro-spionistiche ed oggi c’è tutto un campo nuovo in cui giocare a rubarsi segreti e dati, la rete di tutte le reti. C’è poi lo spazio, nuova frontiera per novelli capitani Kirk, satelliti che scrutano, lanciano raggi accecanti o distruttori, coordinano l’ingegneria e l’elettronica dei nuovi sistemi militari soprattutto missilistici e navali. Conflitto è anche mostrare nuove armi che solleticano i generali della parte avversa che chiedono fondi ulteriori per pareggiare i conti disegnando sciagure e tragedie certe ed altrimenti inevitabili, anche perché potranno far leva politica sull’opinione pubblica in stato perenne di sovreccitata paura. Anche solo nell’accezione puramente armata del “conflitto”, evitando il confronto diretto, ci sono molte occasioni in modalità indiretta. Se la linea strategica obbligata è frenare il ribilanciamento tra potenze, cosa meglio di un attrito distribuito ovunque?

Poiché però il conflitto è “multidimensionale” ecco anche la sua versione  economica e produttiva ma anche politica e di opinione. I tentativi di monopolio energetico o di materie prime tutte essenziali, anche e soprattutto quelle per lo sviluppo del digitale che ha il fronte commerciale ma anche quello militare ed aerospaziale. Seppellita la globalizzazione semplice 1.0, si va ad una rete di contrattazioni, aperture-chiusure, formazione di blocchi in un sistema dotato di vari sottosistemi, quindi più complesso. Poi c’è il conflitto finanziario, società di rating, grandi fondi in grado di scuotere il mercato a bacchetta, l’altalena dei cambi valutari, i ricatti su i debiti sovrani.

Poi c’è l’egemonia culturale, mostrarsi i migliori, i più attraenti, i più benevoli quindi far di tutto per mostrare che il nemico è tra i peggiori, fa moralmente ribrezzo, è repellente e malevolo, infingardo, non ha legittimità. Ci sono i boicottaggi, il rinserrare le fila delle proprie istituzioni multilateriali,  i propri fondi monetari, le banche per lo sviluppo, i progetti di cooperazione da cui ostracizzare il nemico ed i suoi amici. Poi c’è da far uscire scandali a ripetizione, fondi neri, paradisi fiscali improvvisamente sotto i riflettori per una settimana, uso di armi proibite, leader nemici dai dubbi gusti sessuali, storie di droghe, perversioni, bugie dette, inaffidabilità degli altrui standard, sgarbi diplomatici, fake news per avvelenare la credibilità generale di tutti indistintamente in modo da paralizzare il discorso pubblico. C’è il controllo digitale e il ricatto (quello pubblico ma molti altri di cui neanche abbiamo notizia), il divide et impera, il bait and bleed (falli scannare tra loro), il dissanguamento economico del nemico stressato in decine di micro-conflitti, il più composto bilanciamento di potenza e lo scaricabarile in cui si lascia la nemico l’ònere e l’onore di districare matasse che si sono ben aggrovigliate con le proprie mani e che si disordinano mentre l’altro tenta di metterle in ordine. Poi c’è l’arte di mettere zizzania dentro gli equilibri del nemico, militari contro politici, imprenditori contro militari, società civile contro élite, varie élite contro altre élite, eccitare i nazionalismi dormienti e poi far chiasso per ogni ingiusta repressione delle minoranze, far confliggere le diverse osservanze religiose. Sovreccitare i vicini del nemico, mettere in dubbio i legami di alleanza dentro un polo, isolarlo, stringergli le condizioni di possibilità, acuirne le contraddizioni.

Infine, per palati forti,  c’è l’angolo si dice ma non ci si crede del Dark Word, innesti uomo-macchina, psicobiologia, manipolazione del clima, agenti tossici selettivi, avvelenamenti alimentari ed epidemie progettate in laboratorio, piani segreti, oscure congreghe, centri di interesse invaginati in centri di interesse, bio-chimica aggressiva e molto molto altro che noi, pur mediamente informati, neanche immaginiamo. Prima di dubitare a priori all’entrata di questo Dark World come se il mondo fosse proprio quello proiettato sullo schermo del cinematografo che scambiamo per realtà,  collegatevi a quella vostra porzione di cervello che è inorridita a leggere il sadismo medioevale o la scientifica atrocità dei nazisti o dei khmer cambogiani, i vari stermini dei nativi, storie di schiavi, stupri, impalamenti, sqartamenti, profanazioni, eccidi, massacri, olocausti e tutta la scienza e tecnica che si è spremuta per giungere a quel risultato. L’uomo è sublime e malvagio da sempre, non c’è motivo di escludere a priori l’esistenza di una costante preparazione al conflitto anche nei dungeon del mondo degli inferi. Oltretutto, questa ricerca silenziosa del primato che darebbe qualche vantaggio non calcolato dal nemico, dà poi una cascata di benefici secondi di invenzioni sfruttabili civilmente.

lnsomma il conflitto è da intendere in forma multidimensionale e diventa permanente poiché non si apre-chiude con una guerra tradizionale, diventa la cifra stessa di un sistema multipolare che alcuni vorranno riportare a bipolare o quantomeno mantenere sbilanciato mentre altri vorranno portarlo a bilanciato per poi farsi venire l’appetito di esser loro la nuova super-potenza che lo sbilancia dandosi un vantaggio di potenza. Il vincolo atomico non porta la pace perpetua ma il conflitto permanente e diffuso a medio-alta intensità. Questa è la condizione di un pianeta a prossimi 10 miliardi di abitanti in lotta, chi per la sopravvivenza e chi per il primato gerarchico, chi per l’essere e chi per l’avere.

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Questo è il mondo multipolare a cui dovremmo adattarci, in cui ci piaccia o meno, tutte le nostre preoccupazioni ed interessi, personali e collettivi, politici ed economici, ideali e pragmatici, i nostri sogni e le paure, le speranze e le delusioni, saranno tutte per vie che molti non vedono con chiarezza e molti non vedono per niente, determinate da questo che è il gioco di tutti i giochi. Noi tutti, dentro i nostri stati, siamo le pedine. Siamo più in modalità, lunga e continua sofferenza e crescente disordine dall’esito imperscrutabile, che morte rapida e violenta da “terza guerra mondiale”. Questo è il conflitto permanente che segnerà il gioco di tutti i giochi di questa prima fase del nuovo mondo multipolare e con questo dovremmo fare realisticamente i conti scegliendo il nostro modo di stare al mondo prima che sia il mondo strattonato dai giochi di potenza, a deciderlo per noi.

Bibliografia minima:

H. Morghentau, Politica tra le nazioni, Il Mulino 1997 (introvabile)

K. Waltz, Teoria della politica internazionale, il Mulino 1987

J. Mearsheimer, La logica di potenza, UBE 2003-8

B. Milanovic, Ingiustizia globale, Luiss 2017

G. Arrighi, Caos e governo del mondo, Bruno Mondadori 2006

C. Kupchan, Nessuno controlla il mondo, il Saggiatore 2013

H. Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori 2015

La risposta democratica alla dottrina Trump 2a parte, di Maya Kandel

La prima parte di questo sondaggio in due parti può essere trovata qui .

Trump ha aperto il più grande dibattito di politica estera negli Stati Uniti da decenni, dopo essere stato eletto nel 2016 sulla sua promessa di ridefinire il rapporto dell’America con il mondo. La sua risposta, “America First”, ha sfidato alcuni postulati dell’azione estera del paese e ha posto la questione del legame tra politica estera e politica interna al centro del dibattito democratico. Dopo una prima sezione dedicata alla  dottrina Trump , questa seconda sezione si concentra sulla visione, o più precisamente sulle visioni democratiche in politica estera: la dottrina Biden non esiste ancora, e si cristallizzerà solo sotto la prova di potere ed eventi dei prossimi anni. Ma è stato costruito da un’eredità di Trump che non negherà del tutto.

Ricostruisci dopo Trump

Il campo democratico condivide la diagnosi trumpiana di una crisi nella politica estera americana. La specificità del 2016, al di là di Trump, era legata alla specificità del momento per la politica estera, cristallizzando una doppia crisi, e in particolare una crisi interna di legittimità della politica estera: il fatto che gli americani non sostenessero più, e non capiva più l’azione esterna del Paese. Le élite democratiche specializzate in politica estera hanno visto questa crisi e hanno trascorso quattro anni cercando di trarne le conseguenze. 

Così va inteso lo slogan “  Build back better  ” della campagna Biden: ricostruire meglio e in modo diverso, come dopo un disastro naturale. La frase è il filo conduttore del nuovo consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, che lo ha già assunto nel gennaio 2019. Non è un promemoria del truismo democratico che da tempo ripete che il potere esterno deve basarsi sul potere interno: l’ondata populista è passata da qui, ed è una riflessione sul 2016 e sul voto di Trump che lasciano i Democratici di oggi.

La dottrina Biden non esiste ancora e si cristallizzerà solo sotto la prova del potere e gli eventi dei prossimi anni. Ma si basa su un’eredità di Trump che non negherà del tutto.

MAYA KANDEL

Al centro della formula, portata dallo stesso Sullivan, troviamo questa  diagnosi  secondo la quale gli americani non sostengono più la politica estera perché sentono che non serve più i loro interessi: il che porta al secondo slogan del E ‘l’era Biden, già indossata da  Elizabeth Warren  durante le primarie, ovvero la volontà di fare “una politica estera per la borghesia” (americana, ovviamente). Questo è anche il titolo di un rapporto del think tank Carnegie, pubblicato a fine settembre ma frutto di un lavoro durato diversi anni lontano da Washington, per sondare gli americani nel “cuore del Paese” sulla loro visione e sulle loro aspettative. -politica estera visibile: questo rapporto, giustamente intitolato ”   Far funzionare la politica estera per la classe media  »Chiede di ripensare il ruolo internazionale del paese; tra i suoi coautori troviamo Jake Sullivan.

La nuova amministrazione democratica eredita altri elementi, grazie ancora a Trump, che lo ha reso possibile, proprio perché non era un esperto (eufemismo) e voleva scuotere il sistema, per mettere in discussione alcuni presupposti: esso È qui che troviamo l’altro slogan comune a entrambe le parti, la “fine delle guerre infinite” in Medio Oriente, un altro modo per porre fine al periodo successivo all’11 settembre 2001 (l’accelerazione degli annunci di ritiro – Afghanistan , Iraq, Somalia – dal momento che la sconfitta di Trump è adatta ai Democratici, che hanno protestato meno dei loro omologhi repubblicani). Vale anche la pena menzionare qui la messa in discussione del libero scambio su uno sfondo di critiche populiste sia da destra che da sinistra, considerando che la globalizzazioneavvantaggiavano le multinazionali e i loro profitti molto più degli interessi dei cittadini (anche se i consumatori potevano comprare a meno). Aggiunto alla fine del ruolo americano di “poliziotto del mondo”, già respinto da Obama con il pretesto di diminuire i mezzi, è infatti il ​​periodo del dopo Guerra Fredda che si chiude anche per i Democratici, con la comune constatazione del fallimento. del principio guida della politica estera americana dal 1990 che postulava l’idea che l’inclusione dei rivali nel sistema internazionale li avrebbe resi partner responsabili (anche, idealmente, democrazie liberali): Cina e Russia non sono diventate nessuno dei due, mentre la relativa potenza americana è diminuita di fronte all’ascesa dei paesi emergenti, a cominciare dalla Cina.di un “realismo” a lungo diffamato nell’intellighenzia di politica estera: ”   realismo con principi   ” nella dottrina Trump (una formula usata nella strategia di sicurezza nazionale del 2017), ”   realismo progressista   ” per la sinistra del partito democratico, il che suona in entrambi i casi come ammettere i limiti del potere americano.

La visione democratica differisce dalla dottrina Trump su due caratteristiche centrali: minacce e mezzi (il punto di partenza e il cuore della strategia). La prima divergenza strategica riguarda non solo la gerarchia delle minacce, ma anche più profondamente la loro natura. L’agenda democratica enfatizza le minacce globali e transnazionali, ampiamente ignorate dai repubblicani, e si colloca persino ai vertici come minaccia “esistenziale” – alla pari del comunismo durante la guerra fredda – non la Cina, ma il cambiamento climatico. La divergenza sui mezzi deriva principalmente da questa visione più ampia delle minacce, poiché la cooperazione internazionale diventa una condizione necessaria per affrontarle laddove l’amministrazione Trump aveva fatto dell’unilateralismo (o bilateralismo) il suo approccio unico alle relazioni internazionali. . Riscopre la tradizionale insistenza democratica sulla diplomazia e contro l’eccessiva militarizzazione della politica estera americana. Il multilateralismo nasce da questo per i Democratici, come metodo ma anche come principio, quello basato sulla convinzione che alleati e partner siano ancora il principale moltiplicatore di potere degli Stati Uniti sulla scena internazionale. Questa prospettiva non contraddice in alcun modo il fatto che un presidente americano abbia come priorità la difesa degli interessi americani, e non impedirà un approccio più nazionalista o patriottico alla definizione di questi stessi interessi; ma implica l’esistenza di una comunità internazionale, un’esistenza che il team di Trump aveva negato fin dall’inizio attraverso la voce del suo secondo segretario alla sicurezza nazionale, HR McMaster. Anche un simile approccio si opponela visione hobbesiana di uomo Trump affare , per i quali le relazioni internazionali non può essere un gioco a somma zero: i democratici ritengono che siamo in grado di proporre i propri interessi senza necessariamente danneggiare degli altri, anche spostandoli anche in avanti. Infine, Biden e la sua cerchia ristretta vogliono anche ricostruire una base bipartisan per la politica estera, al fine di garantire la stabilità dei principali orientamenti esterni del Paese: questo risponde a una preoccupazione di efficienza, ma anche al fatto che il principale  pericolo di polarizzazione  della politica estera è la perdita di fiducia dei partner di fronte alla cronica instabilità degli impegni internazionali degli Stati Uniti dalla fine della Guerra Fredda.

L’agenda democratica enfatizza le minacce globali e transnazionali, largamente ignorate dai repubblicani, e pone addirittura ai vertici come minaccia “esistenziale” – alla pari del comunismo durante la Guerra Fredda – non la Cina, ma il cambiamento climatico.

MAYA KANDEL

Ripoliticizzare la politica estera

Il filo conduttore del pensiero democratico, logica conseguenza della polarizzazione della politica estera americana, è quello della ripoliticizzazione della politica estera nel suo insieme, anche nella definizione degli interessi nazionali. Sullivan ha menzionato, nel suo articolo del 2019, uno scambio sintomatico con l’economista Jennifer Harris che gli ha chiesto perché la sua amministrazione seguisse comunque esattamente la stessa politica economica internazionale, quando la politica estera di Obama doveva essere una rottura con quella di Bush. Questa critica evoca il grilletto per la critica populista della politica estera (rifiuto di TINA,  There Is No Alternative, un altro nome del consenso neoliberista prevalente dagli anni ’80 fino alle sue recenti critiche), ricorda la necessità di studiare la base elettorale della politica estera, perché le questioni interne ed esterne sono intrecciate – ciò che i cittadini sanno. Si pone la necessità di ripensare la natura e il posto della politica economica internazionale al centro della strategia, argomento su cui hanno lavorato anche gli stessi Sullivan e Harris   in un articolo dal titolo originale premonitore ( Neoliberalism is done ), mettendo in discussione il postulati neoliberisti che hanno guidato la politica economica dall’era Reagan-Thatcher.

L’ ambizione di spazzare via quello che altri chiamano il “Washington consensus” sopravviverà ai vincoli politici americani? La domanda può essere posta, sia alla luce delle attuali condizioni politiche a Washington, sia per la molteplicità dei punti di vista democratici. Thomas Wright, analista presso la Brookings Institution di Washington, ha  proposto una dicotomia tra restaurazione o riforma come griglia per interpretare la politica estera di Biden, visto che il dibattito principale si svolge all’interno di circoli centristi, tra lealisti della linea Obama (restaurazione) e desiderio di diritti di inventario (riforma) . Siamo tentati di aggiungere “rivoluzione” per tener conto del peso dei progressisti della tendenza AOC-Sanders (i Warrenisti sono più dalla parte dei riformatori della griglia di Wright) nel dibattito di politica estera. Il fatto che la sinistra della sinistra democratica intenda influenzare il dibattito di politica estera è già un fatto nuovo che guida le scelte della prossima amministrazione. La differenza si giocherà, per il mondo come per gli americani, sulla politica economica internazionale, soprattutto sul commercio, in particolare nelle sue variazioni sulla tecnologia e sul clima. Con speronela questione cinese , come per la dottrina Trump – uno sprone che potrebbe diventare il motore o addirittura la principale continuità, a causa  delle condizioni politiche degli Stati Uniti contemporanei evidenziati dalle elezioni del 2020: una vittoria democratica molto netta a livello nazionale, ma una base elettorale trumpista consolidata e ampliata, risultante in termini politici da un equilibrio di potere quasi uguale, con forse il mantenimento di un Senato repubblicano (risposta dopo il 5 gennaio 2021 e risultati dei due secondi turni delle elezioni senatoriali in Georgia). Ma l’agenda molto ambiziosa di Biden deve passare attraverso la legislazione. Il suo margine di manovra dipenderà quindi in larga misura da questo “terzo turno” delle elezioni, i due senatori georgiani, che determineranno gli equilibri politici all’interno del Senato.

Se il suo margine di manovra fosse limitato a livello nazionale da un Senato repubblicano, Biden potrebbe essere spinto ad agire più a livello internazionale dove l’azione del Presidente è meno vincolata dal Congresso. Tuttavia, l’amministrazione dovrà fare i conti da un lato con i due poli di un partito repubblicano diviso tra tendenze trumpiste all’isolazionismo e fautori di un internazionalismo militarista ora anti-cinese, e dall’altro si scontrerà con le divisioni del Campo democratico sulla politica estera. La ricerca di un sostegno bipartisan potrebbe in particolare irrigidire la politica cinese dell’amministrazione Biden, con conseguenze per il posizionamento europeo e lo sviluppo delle relazioni transatlantiche .

L’agenda molto ambiziosa di Biden deve passare attraverso la legislazione. Il suo margine di manovra dipenderà quindi in larga misura da questo “terzo turno” delle elezioni, i due senatori georgiani, che determineranno gli equilibri politici all’interno del Senato.

MAYA KANDEL

Ridefinire la sicurezza nazionale: l’offensiva progressiva

La pandemia e l’anno 2020 hanno fatto luce sulla  portata dei movimenti  nati o decollati dall’inizio della presidenza Trump, e soprattutto hanno permesso la loro cristallizzazione in una mobilitazione di massa popolare dopo la diffusione dell’assassinio di George Floyd. Sono infatti la reclusione, la disoccupazione forzata e gli effetti della pandemia che non solo hanno alimentato la frustrazione, ma hanno anche permesso la consapevolezza e le manifestazioni massicce, insolite e storiche della popolazione americana. Le mobilitazioni riunite ben oltre gli attivisti di  Black Lives Matter , hanno illustrato i legami e le convergenze di questi movimenti (dal  Sunrise Movement  al  Working Families Party attraverso i  Justice Democrats e molti gruppi femministi, etnici, LGBTQA +, ecc.), e hanno mostrato la forza dei “nuovi attivisti” – per citare l’espressione  nell’eccellente libro di  Mathieu Magnaudeix, movimenti nati o che hanno ha acquisito uno slancio notevole durante i quattro anni di presidenza di Trump. Questi sviluppi hanno trasformato la candidatura di Biden, costringendo il candidato a coinvolgere da vicino i progressisti nello sviluppo del suo progetto, con la costituzione di gruppi di lavoro tra il suo team e quello di Sanders, e più in generale alla sua futura amministrazione, con il  reclutamento all’interno del suo stretto staff di personalità appartenenti a minoranze etnico-razziali. Senza la fine delle primarie e la rinuncia e il chiaro raduno di Sanders da marzo 2020, possiamo immaginare che il campo democratico non si sarebbe avvicinato alla campagna generale nello stesso stato, e probabilmente non avremmo conosciuto una tale collaborazione. durante la campagna tra le due ali nemiche. Questa trasformazione ha colpito per la prima volta il clima economico del  programma , incluso Biden, a metà luglio dal programma soprannominato  Sunrise Movement , che era molto critico nei confronti del piano Biden di pochi mesi fa.

La progressiva offensiva per realizzare un vero cambiamento sistemico si è manifestata anche in politica estera. Questo aspetto segna una rottura con i Democratici – un segno della fine dell’era post-Guerra Fredda – al di là anche della messa in discussione di ciò che aveva guidato l’atteggiamento della sinistra durante la Guerra Fredda almeno fino a «la guerra del Vietnam: l’accettazione di un accantonamento nella politica interna, lasciando agli esperti di strateghi la conduzione degli affari esteri a causa dell’imperativo imperativo di lottare contro l’Unione Sovietica; a quel tempo, la politica estera era destinata anche a servire le classi medie perché garantiva la crescita economica (che in genere era il caso all’epoca). Dopo il Vietnam, la sinistra di sinistra si è poi trovata in una posizione pacifista e antimilitarista, senza però investire in politica estera al di là dell’opposizione aperta. Dopo la Guerra Fredda, alcuni pacifisti storici, come il rappresentante Ron Dellums, si erano persino uniti ai sostenitori degli interventi umanitari, in particolare negli anni ’90 (Bosnia, Haiti). Nel 2016, Sanders stava ancora relativamente trascurando la politica estera. Le primarie democratiche del 2019, al contrario, sono state l’occasione per affascinanti dibattiti sulla definizione di a in particolare durante gli anni ’90 (Bosnia, Haiti). Nel 2016, Sanders stava ancora relativamente trascurando la politica estera. Le primarie democratiche del 2019, al contrario, sono state l’occasione per dibattiti affascinanti sulla definizione di a soprattutto durante gli anni ’90 (Bosnia, Haiti). Nel 2016, Sanders stava ancora relativamente trascurando la politica estera. Le primarie democratiche del 2019, al contrario, sono state l’occasione per dibattiti affascinanti sulla definizione di a politica estera di sinistra . Questo sviluppo è indicativo delle crescenti ambizioni e del peso dell’ala progressista nel dibattito sulle idee democratiche e della strategia, in particolare del gruppo  Justice Democrats , di esercitare influenza dall’interno del sistema. Dopo ulteriori vittorie progressiste alle primarie del 2020, la sconfitta a New York del rappresentante Elliot Engel (presidente della commissione per gli affari esteri della Camera) ha portato a una lettera di quasi  70 organizzazioni progressiste, di solito incentrato sulla politica interna, chiedendo alla presidenza di questa Commissione decisiva di tradurre le idee progressiste nella politica estera americana: “moderazione e realismo progressista”, rivalutazione degli strumenti di politica estera (diplomazia, interventi militari, sanzioni, ecc.) e ridefinizione degli obiettivi (lotta alla corruzione, tutela della biodiversità, trattamento di alleati e avversari, ecc.).

Le primarie democratiche del 2019, al contrario, sono state l’occasione per dibattiti affascinanti sulla definizione di una politica estera di sinistra. Questo sviluppo è indicativo delle crescenti ambizioni e del peso dell’ala progressista nel dibattito sulle idee democratiche e della strategia, in particolare del gruppo  Justice Democrats , di esercitare influenza dall’interno del sistema.

MAYA KANDEL

Alla sua nomina, Jake Sullivan ha annunciato di voler ampliare la definizione del concetto di “sicurezza nazionale” che determina gli obiettivi dell’azione internazionale del Paese. Lo sviluppo più interessante finora è la scelta di John Kerry come inviato speciale per il clima e, soprattutto, la  decisione  di dargli un seggio e quindi una voce nel Consiglio di sicurezza nazionale alla Casa Bianca. , al centro dello sviluppo della politica estera. Il segnale è chiaro ed è stato richiamato sia da  Kerry  che da  Sullivan durante le rispettive nomine: il cambiamento climatico deve essere integrato nel pensiero della sicurezza nazionale e la diplomazia climatica sarà al centro della politica estera. Se c’è un argomento in cui europei e americani dovrebbero essere alleati naturali, è quello del clima; questa considerazione del clima si può trovare anche su tutte le questioni di politica interna, dall’agricoltura ai trasporti e alle infrastrutture,     essendo l ‘” ambizione climatica ” apparentemente un criterio per il reclutamento nel team di Biden. È anche un argomento su cui la conversazione deve includere la Cina, e apre orizzonti emozionanti (chiariti qui da  Pierre Charbonnier), per trasformare il pensiero geopolitico e geoeconomico, anche per l’Europa che dovrebbe coglierlo. È qui che si gioca anche una parte dell’ambizione dell’amministrazione Biden.

Un aspetto cruciale – soprattutto per l’Europa – sarà sicuramente il ruolo di Janet Yellen, nominata alla carica di Segretario del Tesoro e che sarà responsabile come tale della diplomazia economica dell’amministrazione Biden. Il suo slogan sarà con tutta probabilità ereditato anche da Trump, che ha aggiornato i principi geoeconomici definiti da Edward Luttwak alla fine della Guerra Fredda: la sicurezza economica è sicurezza nazionale. Da questo punto di vista, la sicurezza economica ha la precedenza sulle alleanze geopolitiche, e non il contrario. Yellen giocherà anche un ruolo di primo piano nella politica cinese, dal momento che gli elementi più decisivi messi in campo dall’amministrazione Trump sono stati posti dal Tesoro (elenco di entità e sanzioni extraterritoriali in generale). fiscalità  nazionale e internazionale nel programma Biden. Avrà il controllo sul destino dei decreti e dei regolamenti messi in atto dall’amministrazione Trump dopo il voto sulla riforma fiscale da parte del Congresso repubblicano alla fine del 2017, in particolare per quanto riguarda la tassazione delle multinazionali. Il suo tandem con il nuovo capo del commercio della Casa Bianca, Katherine Tai, sarà sicuramente una parte fondamentale delle prossime relazioni transatlantiche.

Un aspetto cruciale – soprattutto per l’Europa – sarà sicuramente il ruolo di Janet Yellen, nominata alla carica di Segretario del Tesoro e che sarà responsabile come tale della diplomazia economica dell’amministrazione Biden.

MAYA KANDEL

Ripensare le relazioni internazionali nel XXI °  secolo: la sfida cinese, l’emergenza clima

La Cina  divide i Democratici  (come i Repubblicani), e questo anche all’interno del campo progressista: tra chi rifiuta una nuova guerra fredda ma intende lottare contro un asse autoritario internazionale, e chi preferisce concentrarsi sui temi della cooperazione e un disimpegno militare americano. Ci sono molti intorno a Biden, tuttavia, soprattutto nella comunità strategica, che vedono la sfida cinese alla superpotenza statunitense come la principale sfida per la politica estera degli Stati Uniti nel ventunesimo secolo   come l’unico modo per ricostruire una politica estera. solido e affidabile perchébipartisan . Alcuni vanno anche oltre, vedendo nella questione cinese il  modo migliore  per Biden, in caso di Senato repubblicano, di fare politica estera   politica interna: una forma di inversione dell’adagio del senatore Vandenberg ( politica si ferma al bordo dell’acqua, il che significava che l’interesse nazionale era superiore – e indipendente da – qualsiasi posizione politica interna e quindi di parte); La Cina, come unico punto di convergenza della politica interna, diventa così il pretesto per la politica interna (per il commercio, la tecnologia, le infrastrutture, ecc. Tutto sotto l’ombrello della concorrenza con la Cina). Ovviamente non sarebbe la prima volta nella storia americana che un evento esterno servisse da pretesto per la trasformazione interna, essendo numerosi gli esempi storici da Hamilton a Roosevelt e Reagan. Ma sarebbe anche un ritorno a una gestione “tecnocratica”, presumibilmente “politicamente neutrale” della politica estera e degli interessi nazionali – precisamente il cuore dell’attuale protesta.

In un  ottimo articolo elencando diversi lavori recenti, l’economista Adam Tooze ha ricordato che la fine del periodo post-Guerra Fredda ha chiuso anche il periodo in cui gli Stati Uniti credevano di poter considerare le sfere economiche e strategiche come separate artificialmente o indipendenti da una delle Un’altra: nella tesi di Fukuyama sulla fine della storia c’era proprio questa idea che la crescita economica grazie alla globalizzazione potesse essere “geopoliticamente neutra”. Si volta pagina su quella che non è mai stata una finzione basata sull’idea che la globalizzazione americana fosse, come l’egemonia americana, necessariamente “benevola”, e sull’euforia globalizzante legata alla fine del guerra fredda. Nella comunità strategica americana, è davvero la realtà e “l’enormità” (come la chiamava giustamente Fareed Zakaria ) del potere cinese che spiega la svolta strategica dell’era Trump, l’adozione di un atteggiamento ostile – molto più che la preoccupazione per il deficit commerciale o la scomparsa dei lavori non qualificati dei colletti blu del Rust Cintura. È così che dobbiamo intendere il rilancio del concetto di “geoeconomia”, che Luttwak  aveva avanzato  proprio alla fine della Guerra Fredda. Il Pentagono ne è consapevole da tempo e il legame tra sicurezza nazionale e sicurezza economica è onnipresente nella  Strategia di difesa 2018 . La questione della leadership tecnologica e del futuro di Internet è al centro di questo nuovo approccio.

Mentre i leader americani (ed europei) hanno appena ammesso il legame tra la globalizzazione delle democrazie di mercato guidata dalle amministrazioni Clinton e Bush e l’attuale regressione democratica nella stessa area euro-atlantica, il concorrente progetto cinese di Routes de La seta riguarda una parte crescente dell’umanità e il suo modello di governo tecno-autoritario viene esportato in tutto il mondo. Il risveglio americano è troppo tardi? Adam Tooze conclude sulla necessità di pensare e fare il passo successivo, immaginare una forma di rilassamento sullo sfondo di una nuova era segnata dalla consapevolezza della sfida esistenziale posta dall’Antropocene – la pandemia del 2020 è il segno che questa era è iniziato. La domanda quindi è se americani ed europei, che lì potrebbero svolgere un ruolo veramente geopolitico, si daranno i mezzi per diventare loro stessi quello che lui voleva dai cinesi: partner responsabili e competenti, impegnati a gestire – se non risolvere – i rischi e le sfide di questa nuova era.

ELEZIONI PRESIDENZIALI AMERICANE-AGGIORNAMENTI

QUESTA SERA PROPORREMO UNA CONVERSAZIONE A DUE CON GIANFRANCO CAMPA A COMMENTO DELLE ELEZIONI AMERICANE

CON OGGI, 4 NOVEMBRE, INTERROMPIAMO L’AGGIORNAMENTO DELLA RUBRICA. NON SI INTERROMPERA’ LA NOSTRA ATTENZIONE A QUANTO STA AVVENENDO NEGLI STATI UNITI. NON MANCHERANNO CERTAMENTE COLPI DI SCENA DEL RESTO IN QUALCHE MANIERA GIA’ PREANNUNCIATI.

Da oggi parte la rubrica con la quale cercheremo sulla base delle scarse forze disponibili di tenere aggiornati i lettori sulla competizione in corso.

 

Qualche considerazione preliminare. Prima , però, una piccola ciliegina sulla torta: secondo rumor’s attendibili Hillary Clinton sarebbe tra le papabili a Segretario alla Difesa della eventuale Presidenza Biden. Il nuovo e la pace che avanzano.

Dopo il 3 novembre scorreranno fiumi di inchiostro e di analisi sull’esito della competizione per le Presidenza Americana. Sarà comunque una battaglia cruciale di un confronto politico di rara violenza pur in uno stato e una nazione abituati a confronti accesi su temi sostanziali. Abbiamo postato qui sotto undici filmati senza nessuna finalità propagandistica. Il nostro è un sito di analisi; abbiamo un orientamento politico prevalente, ma pensiamo di essere agli antipodi da coloro i quali, in un versante politico o in quello opposto, accomunati entrambi non riescono a far di meglio che tifare per un leader straniero, spesso paradossalmente in nome del cosiddetto interesse nazionale, si chiami costui Putin, poi Trump oppure Macron, Merkel o Obama, giusto per accontentare un po’ tutti. Mancano per ora i partigiani di Biden, figura talmente scialba ed ecumenica da scoraggiare ogni ardimento. Ma non tarderanno ad apparire anche questi epigoni. Questi undici filmati sono il segno di qualcosa di nuovo che probabilmente si sta insinuando nella natura e nella qualità di quello scontro politico. Quattro anni fa l’esito elettorale e la vittoria di Trump avevano evidenziato una frattura politica delimitata abbastanza nettamente per aree geografiche, un ribaltamento dell’orientamento politico prevalente democratico degli stati del Rust Belt a favore di Trump piuttosto che del partito repubblicano e un cambiamento della natura stessa di questo partito, portato quasi a compimento con la battaglia interna vittoriosa condotta da Trump stesso. Era passato inosservato un altro aspetto. Il voto predominante del ceto medio ed operaio bianco in crisi aveva messo in ombra l’erosione incipiente, significativa anche se ridotta del voto nero ed ispanico ai danni dei democratici. Queste undici manifestazioni, avvenute anche negli stati più allineati al Partito Democratico, potrebbero essere il segnale che questa erosione comincia ad investire l’intero territorio nazionale e le varie etnie e divisioni di genere, compresa quella degli omosessuali. Trump è stato ripetutamente accusato di essere divisivo e reazionario. In realtà si sta rivelando un serio ostacolo alla frammentazione identitaria perseguita pervicacemente dal campo progressista-democratico e neocon e costruita sulle fondamenta del dirittoumanitarismo e della tutela lobbistica di minoranze di nuovo conio. Potrebbe essere piuttosto il segno della formazione di un vero movimento di unità nazionale che tenti di superare le frammentazioni su base etnica, di genere o quant’altro che stanno conducendo all’implosione di quel paese con buona pace di chi vorrebbe rappresentare Trump come esponente ed espressione di una componente razzista classica, integralista, omofoba e via dicendo; pure presente quest’ultima ma in realtà minoritaria nel movimento che si sta formando. Le presenze nello staff di Trump sono tra l’altro lì a smentire la prevalenza di queste tendenze. Non si sa se questa novità sarà sufficiente a garantire la conferma di questa presidenza e a contrastare le potenti tendenze contrarie legate all’immigrazione e alla pervasività del vecchio establishment. Sicuramente sta ponendo le basi per un confronto politico più maturo e più netto nei prossimi anni. In politica estera Trump ha lasciato sicuramente un segno. La sua resistenza all’intervento armato in Venezuela è costato il posto all’oltranzista Bolton, come pure le eccessive pressioni per un intervento in Siria e probabilmente un attacco massiccio all’Iran sono costate il posto ad altri componenti della sua amministrazione. Sarà questo, quanto segnalato prima, il segno che invece probabilmente lascerà Trump all’interno del proprio paese, a prescindere dall’esito elettorale e con buona pace di chi continua a descriverlo come un guerrafondaio, un razzista, un integralista, un suprematista e via discorrendo. I caratteri negativi di questa presidenza sono numerosi, i limiti del personaggio altrettanto, ma non sono quelli evidenziati così pervicacemente da un fronte avversario talmente compatto ed eterogeneo da destare tra i più avveduti più di qualche sospetto sulla loro genuinità. Il grande rammarico è che, a differenza delle classi dirigenti della Cina, della Russia, dell’India qui in Europa, soprattutto in Italia, non si è saputo e voluto cogliere le opportunità offerte dalle novità di quel quadro politico. Ce ne accorgeremo, forse, quando quelle finestre si chiuderanno in un senso o nell’altro, a babbo morto_Giuseppe Germinario

MAPPA ELETTORALE

https://abcnews.go.com/Politics/2020-Electoral-Interactive-Map?mapId=MjAyMDA0MTAyNjEwMTYwMzQzMTc1MzE2MTYwqUORTBgmSUhGSSNSZBKRSRKSSUgmCQ

 

 

03/11/2020 Ore 23:00

Grafici di Bloomberg che mostrano i contributi politici elargiti da aziende e dalle categorie dei lavoratori: In rosso i donatori di Trump, in blu quelli di Biden.

I principali donatori di Donald Trump includono la Polizia, i vigili, i militari, i camionisti, tassisti, elettricisti, muratori, metalmeccanici, carpentieri, piloti, contadini, etc.

Per la campagna Biden hanno donato soldi; professori, ingegneri, managers, avvocati, artisti, scienziati, dottori…In altre parole il mondo accademico, finanziario, bancario, alta tecnologia ect…

La trasformazione del partito democratico a partito degli elitisti e professionisti dell’alta finanza e delle categorie dei colletti bianchi e ora completata. Il partito Repubblicano, sotto la leadership di Trump, diventa a tutti gli effetti il partito della classe operaia, dei piccoli imprenditori, dei servitori dello stato, dei sindacati dei colletti blu.

Un mondo stravolto, sottosopra , un cambio epocale, quasi surreale..

 

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03/11/2020 Ore 22:33

Gli è stato chiesto perché non indossava una mascherina, in risposta il sostenitore di Trump ha fatto 50 flessioni dicendo di avere un sistema immunitario forte, intimidendo gli intimidatori di professione…

 

03/11/2020 Ore 22:26

I primi spogli dei seggi cominciano fra meno di 2 ore.

 

03/11/2020 Ore 22:00

Joe Biden presenta sua nipote dicendo:Questo è mio figlio, Beau BidenQuesta è mia nipote, Natalie. No aspetta, no aspetta. Abbiamo sbagliato …”  Beau Biden per chi non lo sapesse e morto di tumore la cervello nel 2015…

 

03/11/2020 Ore 21:52

Manifestazione per il presidente Donald Trump in Nigeria:

 

03/11/2020 Ore 18:00

Il campione della MMA Jorge Masvidal ha votato per Trump. La maggior parte dei lottatori MMA sono sostenitori di Trump, incluso il President dell’UFC; Dana White.

Video: President Donald Trump tells Colby Covington he’ll be watching Tyron Woodley fight

MMA News, Scores, Fantasy Games and Highlights | Yahoo Sports

MMA Legend Tito Ortiz Thanks Trump After POTUS Congratulates Him on Win | News Thud

REPORT: MMA fighter who took down anti-Trump protester becomes Antifa target on social media ...

 

03/11/2020 Ore 17:53

Scene incredibili nel Michigan rurale, lunghe file di vehicle parcheggiati da cittadini recatisi a votare. La signora che commenta il video dice che non ha mai visto una scena simile in passato per altre elezioni:

 

03/11/2020 Ore 17:44

Lunghe file ai seggi sono segnalate in tutto il paese:

Ohio:Image

Pennsylvania: Aggiornamento dello stesso seggio fotografato in precedenza. La fila ora e triplicata:

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03/11/2020 Ore 17:24

Notizie moderatamente positive per Trump in Arizona: I dati delle schede finora depositate, nella contea di Maricopa (l’unica a pubblicare i dati delle schede), vedono i repubblicani in vantaggio:

Totale: 41,604 

Repubblicani: 20.728

Democratici: 7,615

Indipendenti: 13,621

 

03/11/2020 Ore 17:11

Sono dati che lasciano il tempo che trovano; ma nel giorno delle elezioni, vedere la media sondaggi quasi alla pari nel importantissimo, fondamentale, stato della Pennsylvania e qualcosa su cui riflettere…

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03/11/2020 Ore 17:00

Aggiornamento Florida qualche minuto fa:

I Repubblicani hanno superato i democratici nel conto schede, a questo punto i Democratici devono sperare che gli indipendenti hanno votato al 60% per i Democratici, non lo sapremo fino allo spoglio delle schede. A questo punto però possiamo dire che si consolida positivamente la situazione in Florida per i Repubblicani:

Rep: 3,716,427 (+26,654)

Dem: 3,689,773 

Indipendenti : 2,231,965

 

03/11/2020 Ore 16:39

Bollettino dalle aree in Florida che nel 2016 hanno votato per Trump: Si registrano lunghissime file di persone ai seggi in attesa di votare. E un buon segno per Trump, la Florida dovrebbe andare a Trump:

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03/11/2020 Ore 16:33

The first lady arriva a votare a West Palm Beach, in Florida:

 

03/11/2020 Ore 16:05

La Guardia Nazionale arriva a Chicago:

 

03/11/2020 Ore 15:58

James Comey:

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03/11/2020 Ore 15:45

Lunghe file ai seggi sono segnalate in tutto il paese:

Kentucky:

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Pennsylvania:

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Wisconsin:

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Missouri; questa mattina presto prima ancora che aprissero i seggi:

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Illinois; prima ancora che aprissero i seggi:

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Minnesota:

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03/11/2020 Ore 07:20

SONO INIZIATE UFFICIALMENTE LE ELEZIONI; IL FATIDICO “ELECTION DAY” È ARRIVATO!

Sono finiti i pronostici, le analisi e i sondaggi, da ora in poi saranno solo i veri voti a contare… e il sovversivo programma “The Hammer” della CIA..

Abbiamo il primi risultati. Dopo la mezzanotte hanno votato in due piccoli paesi del New Hampshire. Il primo; Dixville Notch, ha vinto Joe Biden con 5 voti a zero. Nel secondo; Millisfield, Trump ha vinto 16 voti a 5. 

Aggiornamento New Hampshire: 16-10 per Trump. Trump 62% Biden 38%. 🙂

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03/11/2020 Ore 06:01

Fra qualche ora Biden potrebbe essere eletto Presidente, nel suo buongiorno Hunter ci vuole mandare un messaggio chiaro e forte: Con lui e suo padre di nuovo alla Casa Bianca, ritornerà la morale, la pace e la fratellanza. La corruzione sarà debellata e dopo 47 anni in politica, Hunter ci assicura, Joe si metterà a lavorare seriamente per risolvere i problemi della nazione e del mondo.  Per dimostrare la serietà dell’impegno preso si affiderà al meglio che l’America esprime; Clinton, Harris, Obama…Insomma un messaggio di speranza per tutti:

 

03/11/2020 Ore 05:45

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03/11/2020 Ore 05:22

La calma prima della tempesta, le citta americane si preparano:

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03/11/2020 Ore 05:05

Ufficiale: Il totale delle votazioni anticipate in Arizona ha superato il totale dei voti espressi nel 2016. 

 

03/11/2020 Ore 04:45

Hahahahahaha: “Se Trump vince, i Brain Trust ( i tecnocratici ) di Washington ponderando un’uscita di scena. Dal Dipartimento di Stato, al Pentagono ad altre agenzie, alcuni alti funzionari non possono sopportare altri quattro anni di Trump.” (Foreign Policy)

https://foreignpolicy.com/2020/11/02/if-trump-wins-reelection-2020-national-security-exodus-state-department-pentagon/

 

03/11/2020 Ore 04:06

Alla vigilia di queste elezioni del 2020, riproponiamo la mappe delle elezioni del 2016. Clinton ha vinto nei grandi centri urbani, in blu, Trump ha vinto nelle zone rurali in Rosso. L’anima dell’america e rossa, lo scontro, il contrasto e reale, avviato verso un inevitabile resa dei conti… 

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03/11/2020 Ore 04:00

Secondo il Newsweek, fabbriche di troll che assumono sockpuppets (https://it.wikipedia.org/wiki/Sockpuppet), in piccole città dell’India, sono state pagate per aumentare il seguito Twitter di Joe Biden, sopratutto da quando ha nominato Kamala Harris come suo candidato vicepresidente. Decine di migliaia di queste entità seguono l’acconto di Biden e interagiscono con lui:

https://www.newsweek.com/joe-biden-kamala-harris-got-big-social-media-boost-indian-troll-farms-1544047

 

03/11/2020 Ore 03:41

Oggi Trump avra` bisogno di tutte le preghiere possibili e immaginabili:

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03/11/2020 Ore 03:37

Queste le Città dove la Guardia nazionale e` stata schierata, altre città potrebbero seguire nella giornata e nella serata di oggi:

– Washington DC
– Chicago
– Filadelfia
– Boston
– Brooklyn, New York
– Austin, Texas
– Dallas / Fort Worth
– Houston
– Sant ‘Antonio

 

03/11/2020 Ore 02:34

Altro grafico interessante che riassume vari sondaggi (anche questo no so quanto sia attendibile): Rappresenta il  livello di approvazione del presidente nei primi 1500 giorni del suo primo mandato. Si nota la costante linea bassa di Trump che però per motivi tutti da analizzare non varia quasi durate tutto la sua presidenza. Notate invece come sia abbastanza schizofrenica la linea di approvazione degli altri presidenti. Ricordatevi che George H.W.Bush (Padre) e Jimmy Carter non furono rieletti.

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03/11/2020 Ore 02:11

Interessate grafico della American Presidency Project: I livelli di approvazione nei sondaggi dei presidenti, alla vigilia delle elezioni per il secondo mandato. In rosso i Presidenti che hanno perso e non sono stati rieletti. In verde  la linea che indica Donald Trump. Non so quanto sia attendibile questo grafico ma non e incoraggiante per Trump:

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03/11/2020 Ore 01:54

In Wisconsin Democratici avanti rispetto ai repubblicani di due punti di percentuale, gli stessi democratici sono però indietro rispetto ai numeri del 2016, che sia di buon auspicio per Trump?

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03/11/2020 Ore 00:02

American Comeback Story:

 

02/11/2020 Ore 23:39

Mettiti la mascherina e vota, lo dice Obama…

 

02/11/2020 Ore 21:18

Prepararsi al caos: Negozi e rivenditori di New York  si preparano ai saccheggi e alla battaglia che verrà del dopo elezioni, dovesse Trump vincere. 

https://www.dailymail.co.uk/news/article-8905511/Preparing-mayhem-NYC-businesses-close-fear-election-unrest.html?ito=social-twitter_dailymailus

Nigel Farage per le strade di Washington, il giorno prima delle elezioni: Scene orribili a Washington DC prima delle elezioni. La democrazia e in crisi.” 

 

02/11/2020 Ore 18:24

Se tutti i voti vengono sommati in Pennsylvania, Trump perderà. Ecco perché sta facendo gli straordinari per sottrarre quanti più voti possibili da queste elezioni.”

Sopra il tweet di Josh Shapiro, procuratore generale, responsabile di assicurare che le elezioni si svolgono in una maniera onesta e imparziale. Shapiro sarebbe il procuratore  generale dello stato della Pennsylvania. Ricordiamo che i procuratori, tecnicamente parlando, dovrebbe essere imparziali o almeno pretendere di essere imparziali.  Ma con i procuratori sponsorizzati da George Soros non c’e neanche piu la pretesa di imparzialità. Trump perderà la Pennsylvania…

https://fusion.inquirer.com/politics/clout/george-soros-josh-shapiro-larry-krasner-lisa-rau-attorney-general-district-attorney-independent-council-20190823.html

 

02/11/2020 Ore 17:13

Ultimo giorno di comizi:

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02/11/2020 Ore 17:01

Uno e un alieno, l’altro un barbone, ma tutte e due controllano molto della nostra vita privata, con il nostro tacito assenso…

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02/11/2020 Ore 16:31

Ultimo giorno di Comizi, Trump si gioca il tutto per tutto e lo fa negli stati battlegrounds:

Comizio a Fayetteville, Nord Carolina

Comizio a Scranton, Pennsylvania

Comizio a Traverse City, Michigan

Comizio a Kenosha, Wisconsin

Comizio a Grand Rapids, Michigan

 

02/11/2020 Ore 16:25

Dati pubblicati negli ultimi minuti : Record di 95 milioni di americani che hanno votato prima del giorno delle elezioni. Ciò rappresenta circa il 70% del totale dei voti 2016

 

02/11/2020 Ore 16:05

Anthony Fauci avrebbe dovuto essere licenziato molto tempo fa – Washington Times

https://www.washingtontimes.com/news/2020/nov/2/anthony-fauci-shouldve-been-fired-long-ago/

 

02/11/2020 Ore 15:36

Antifa e BLM bloccano l’ingresso ai seggi nella Carolina del Nord. E solo l’inizio ne vedremo delle belle domani:

 

02/11/2020 Ore 06:45

Buon Giorno da Hunter Biden! Lady Gaga ma sei tu nella foto?

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02/11/2020 Ore 06:37

Dal Blue Democratico al Rosso Repubblicano. Conteggio schede voto anticipato in tutti gli stati che hanno pubblicato fino ad ora i dati: 

Nord Carolina: Democratici 37% Repubblicani 32% Indipendenti 30%

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Wisconsin: Democratici 36% Repubblicani 44% Indipendenti 20%

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Washington: Democratici 58% Repubblicani 30% Indipendenti 18%

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Vermont: Democratici 58% Repubblicani 22% Indipendenti 20%

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Virginia: Democratici 61% Repubblicani 28% Indipendenti 11%

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Texas: Democratici 45% Repubblicani 45% Indipendenti 10%

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Rhode Island: Democratici 56% Repubblicani 13% Indipendenti 31%

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Pennsylvania: Democratici 67% Repubblicani 23% Indipendenti 8,4%

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Oregon: Democratici 43% Repubblicani 27% Indipendenti 23%

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Ohio: Democratici 44% Repubblicani 37% Indipendenti 19%

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Nevada: Democratici 41% Repubblicani 36% Indipendenti 18%

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New Mexico: Democratici 50% Repubblicani 34% Indipendenti 14%

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New Jersey: Democratici 45% Repubblicani 26% Indipendenti 28%

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Nebraska: Democratici 37% Repubblicani 46% Indipendenti 17%

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North Dakota: Democratici 25% Repubblicani 55% Indipendenti 20%

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Montana: Democratici 28% Repubblicani 44% Indipendenti 28%

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Minnesota: Democratici 36% Repubblicani 35% Indipendenti 29%

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Michigan: Democratici 61% Repubblicani 21% Indipendenti 9%

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Maryland: Democratici 69% Repubblicani 15% Indipendenti 15%

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Maine: Democratici 49% Repubblicani 23% Indipendenti 24%

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Kansas: Democratici 37% Repubblicani 45% Indipendenti 18%

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Iowa: Democratici 47% Repubblicani 33% Indipendenti 19%

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Indiana:  Democratici 39% Repubblicani 40% Indipendenti 20%

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Illinois: Democratici 56% Repubblicani 23% Indipendenti 21%

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Idaho: Democratici 20% Repubblicani 50% Indipendenti 29%

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Georgia: Democratici 46% Repubblicani 37% Indipendenti 16%

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Florida: Democratici 41% Repubblicani 37% Indipendenti 20%

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DC (Capitale)Democratici 84% Repubblicani 4% Indipendenti 11%

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Colorado: Democratici 34% Repubblicani 28% Indipendenti 37%

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California: Democratici 53% Repubblicani 22% Indipendenti 20%

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Arkansas: Democratici 35% Repubblicani 43% Indipendenti 22%

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Alaska: Democratici 26% Repubblicani 24% Indipendenti 28%

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02/11/2020 Ore 03:15

ATTENZIONE CAMPANELLO DI ALLARME (INASPETTATO) PER TRUMP IN TEXAS:

Osservate la mappa sotto: Le aree verdi includono Houston, Dallas, Austin, San Antonio, El Paso, il verde significa un’affluenza molto alta, siamo addirittura, in certe contee, come quella di Hays, al 135% di affluenza rispetto al passato.

Tutte le contee che sono in verde che registrano affluenze da record sono tradizionalmente Democratiche, specialmente l’area di Austin. Fare inferenze e` rischioso, ma se tanto mi da tanto, allora questi dati sono veramente disastrosi per Trump. Per questo  motivo il partito repubblicano del Texas e andato ieri a chiedere, con una urgente istanza alla corte suprema del Texas, di rigettare 127.000 schede nella contea di Harris, una di quelle contee in verde…La corte e rifiutato la richiesta Repubblicana:

https://thehill.com/regulation/court-battles/523861-texas-supreme-court-rejects-gop-bid-to-void-100000-votes

TRUMP E NEI GUAI! Se Trump perde il Texas perde le elezioni senza se e senza ma. Non c’è strada alla Casa Bianca per Trump senza il Texas. I conservatori sperano in un alta affluenza, nelle contee Repubblicane, nel giorno delle elezioni…

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Giusto per farvi capire, in blu sono evidenziate le aree dove Clinton e Beto O’Rourke hanno preso più voti, confrontarle con le aree verdi della mappa di sopra, non bisogna aggiungere altro…

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02/11/2020 Ore 02:45

Il gruppo, che include l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, Steve Schmidt, Steve Hayes, Bill Kristol e Jennifer Rubin, fanno il tifo per Liz Cheney per ripristinare l’ideologia di neo-conservatrice dopo che Trump non ci sara` piu”.

https://www.politico.com/news/magazine/2020/11/01/liz-cheney-moment-430972

 

02/11/2020 Ore 01:17

Concentriamoci sulla importantissima Nord Carolina:

Voto in Persona + Voto per posta – I voti per Posta saranno accettati fino al 3 novembre e potranno essere conteggiati fino a 9 giorni dopo l’election day (grazie Corte Suprema).

Totale schede e voto in persona aggiornati a questa notte:

Democratici 1.694.852

Repubblicani 1.438.129

Indeipendenti 1.374.232

Democartici a circa + 5,7 %

4.531.619 di voti finora conteggiati che è il 96% dei voti del 2016, quando il totale fu di 4.741.564. Di questo passo la Nord Carolina dovrebbe vedere un’affluenza da record per il giorno delle elezioni.

Ci sono in North Carolina 7.342.553 elettori. L’affluenza alle urne nel 2016 è stata del 68,98% .

Una curiosità: 4 anni fa i democratici arrivarono al giorno delle elezioni con un vantaggio di 310,000 schede rispetto ai Repubblicani e nonostante ciò persero di 170,000 voti.  I repubblicani superarono i democratici nel giorno delle elezioni di 480,000 voti non solo recuperando lo svantaggio, ma oltrepassando i democratici di 170 mila voti, questo a testimoniare come i Repubblicani sono più propensi al voto in persona. Detto questo, vista l’affluenza da record,  in questa tornata elettorale sarà difficile fare un paragone con il 2016, poiché non sappiamo di sicuro se il numero maggiore di votanti favorirà i Democratici oppure i Repubblicani.

 

01/11/2020 Ore 23:30

Qualche minuto fa; la lunga attesa per entrare al comizio di Trump in North Carolina. La Carolina e la Pennsylvania si gioca tutto li, le presidenziali nelle mani di questi due stati: 

Per Biden e Trump la Carolina e nelle loro menti…

 

 

01/11/2020 Ore 23:26

(Ballots Requests ) Schede Richieste – (Ballots Returned) Schede Compilate e Rispedite Indietro – (Ballots Remaining) Schede non-ancora rientrate. Percentuale di schede non ancora rientrate.

 

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01/11/2020 Ore 20:10

Il colpo di stato nel 2009 in Honduras .

La maggior parte degli americani non è a conoscenza della “Guerra delle Banane“. Si trattava di una serie di interventi militari americani in America Latina un secolo fa per sostenere gli interessi economici americani. Gli Stati Uniti trattavano le nazioni latinoamericane come colonie, e lo fanno ancora usando metodi segreti. Il controllo è mantenuto con corruzione, ricatto, omicidi, sanzioni e brogli elettorali. Questo a volte fallisce ed è necessario un colpo di stato. Il ruolo degli Stati Uniti di solito rimane nascosto in questi cambi di regime, ma a volte diventa ovvio, come nel colpo di stato del 2009 in Honduras.

 

01/11/2020 Ore 20:00

NEW YORK: la polizia respinge i manifestanti in strada, la tensione aumenta prima delle elezioni.

 

01/11/2020 Ore 19:37

Eric Trump con i bikers in Pennsylvania:

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01/11/2020 Ore 19:29

E si comincia puntuali, come un orologio, ne vedremo delle belle: “Da venerdì scorso più di 320 cause legali sono state presentate in 45 stati, incluso Washington DC e Porto Rico secondo Election Law Blog. ‘Quasi tutte queste cause  sono state depositate dalla sinistra progressista e dai loro alleati nel Partito Democratico’, ha dichiarato al Daily Caller News Foundation; Hans von Spakovsky, manager della Election Law Reform Initiative della Heritage Foundation.” 

https://www.bizpacreview.com/2020/11/01/late-ballots-mismatched-signatures-drop-boxes-heres-how-hundreds-of-lawsuits-could-affect-the-elections-outcome-991498

 

01/11/2020 Ore 18:45

Grafico interessante che mostra la percentuale dei votanti: Super Voter, sarebbero quelli che voto sempre in ogni elezione. Frequent Voter, sarebbero quelli che votano frequentemente ma non sempre. Infrequent Voter, sarebbe coloro che votano raramente e Firt Time Voter, sono quelli che non hanno mai votato prima. Di solito il Forst Time Voter sono i giovani che si affacciano per la prima volta alla politica. Gli analisti e i mass media continuano a dire che queste elezione  saranno decise dai giovani che frequentano l’università ho che si sono già laureati. Però se analizziamo i dati , vediamo che nella casella del First Time voter la percentuale è molto più bassa rispetto al 2016. Ora potrebbe essere che molti giovani incuranti del Coronavirus, poiché si sentono meno vulnerabili, andranno a votare di persona Martedì, ma questa e solo un ipotesi. La mancanza fino ad ora di “entusiasmo” da parte dei giovani potrebbe risultare negativa per Biden, staremo a vedere:

 

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01/11/2020 Ore 18:06

Politico ogni tanto ci azzecca: “Il presidente Donald Trump e i suoi più fedeli collaboratori stanno pianificando un’enorme repulisti nel  governo,  se vincerà un secondo mandato. Licenzieranno funzionari in posizioni chiave legati sia al CDC (Anthony Fauci…) che all’intelligence (Christopher Asher Wray-Gina Haspel…), entità che Trump considera sleali, lenti e oppositori delle sue politiche

 

01/11/2020 Ore 17:50

Sondaggio tra …

Coloro che non hanno votato:

Trump 69%

Biden 27%

Coloro che hanno votato:

Biden 66%

Trump 32%

 

01/11/2020 Ore 06:00

Buon Giorno da Hunter Biden:

 

01/11/2020 Ore 05:20

Le facce dei sostenitori di Trump; attaccati, diffamati; calunniati, denigrati. Sono stati presi a uova in faccia, uccisi a sangue freddo in Denver, Portand e Milwaukee. Chiamati tutto e il contrario di tutto, ma sono ancora qui e rimarranno anche dopo che Trump non ci sara piu`:

Heavy.com News Breaking News Black Trump Supporter Shot to Death in Milwaukee 357.3K Views By ...

 

Denver: Trump Supporter Shot & Killed After Confrontation With Leftist Scum - Reconquista Europa

VIDEO: Agitators pelt female Trump supporter with eggs, tomatoes in San Jose - The American ...

Muslim, Sikh supporters rally for President Trump - American Politics - Jerusalem Post

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01/11/2020 Ore 04:38

Come ben sapete ai sondaggi non credo molto, lasciano il tempo che trovano. Sono utili come uno strumento, in un box di tanti strumenti, da usare per una metodologia di analisi più ampia e dettagliata. Siccome però che ricevo spesso domande sui sondaggi più attendibili da prendere come riferimento; pubblico quelli del Trafalgar Group.

I Sondaggi del Trafalgar Group sono quelli che risultano più positivi per Donald Trump. Lo erano nel 2016 e lo sono nel 2020. Anche il Trafalgar però pecca di faziosità, anche se un po`meno rispetto agli altri. Il Trafalgar non è al 100% attendibile, come del resto non lo sono i sondaggi che danno Trump indietro di 8-10 punti di percentuale rispetto a Biden. La cosa più logica da fare, se volete rendervi un’idea molto vicina alla realtà e prendere, i sondaggi del Trafalgar, togliere uno-due punti di percentuale da Trump per aggiungerli a Biden: Fatto questo avrete un sondaggio molto vicino alla reale situazione politica del momento, come potete vedera dai dati i candidati sono testa a testa negli stati Battlegrounds:

Arizona

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Nevada Image

Florida Image

Michigan Image

Minnesota Image

Wisconsin  Image

Pennsylvania  Image

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01/11/2020 Ore 03:23

Cresce l’ansia dei Democratici in Pennsylvania

https://www.washingtonpost.com/

 

01/11/2020 Ore 03:00

“Incubo per la sicurezza nazionale: il laptop abbandonato di Hunter Biden contiene i numeri di telefono dei Clinton, degli ufficiali dei servizi segreti e della maggior parte del gabinetto di Obama, oltre alle prove di dipendenze da sesso e droga, il tutto protetto dalla password Hunter02 “

https://www.dailymail.co.uk/news/article-8901193/National-security-nightmare-Hunter-Bidens-laptop.html

 

01/11/2020 Ore 02:52

Questo e il New York Times di oggi, penso che si sono confusi , questo articolo doveva essere pubblicato dopo la vittoria di Biden…

“Le ospedalizzazioni per coronavirus sono in aumento a New York ma questa volta è diverso.”

I pazienti sonoassistiti più rapidamente, trascorrono meno tempo in media in ospedale e hanno meno probabilità di finire con la ventilazione meccanica, hanno detto medici e dirigenti ospedalieri“.

https://www.nytimes.com/2020/10/30/nyregion/new-york-city-coronavirus-hospitals.html

 

01/11/2020 Ore 02:38

Come è iniziato e come e` finito:

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2020 Image

 

01/11/2020 Ore 02:28

Beverly Hills qualche ora fa:

 

01/11/2020 Ore 01:25

Si è appena concluso il più grande comizio mai tenuto, politicamente parlando, in Pennsylvania. Migliaia di persone si sono assediate per ascoltare il discorso del presidente Trump.

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https://twitter.com/T_S_P_O_O_K_Y/status/1322697133536006145?s=20

Paroganto a Biden:

 

31/10/2020 Ore 20:00

CAMBIA LA MAPPA ELETTORALE: Trump perde il Wisconsin ma acquista l’Arizona e il New Hampshire. A questo punto siamo troppo vicini all’election day per provare a fare altre previsioni. Biden dovrebbe vincere sul filo del rasoio, tutto dipenderà dalla Nord Carolina e soprattutto dalla Pennsylvania. La Pennsylvania diventa il centro dell’universo …

Joe Biden
Joe Biden
274
Donald Trump
Donald Trump
264

 

31/10/2020 Ore 19:37

Situazione allarmante per Trump in Pennsylvania, di questo passo Trump perde lo stato del “Keystone”: 

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31/10/2020 Ore 19:27

Trump e` ora in vantaggio in Arizona:

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31/10/2020 Ore 19:14

Si un buon patriota, mettiti la maschera..

 

31/10/2020 Ore 19:05

Previsioni meteo il giorno delle elezioni, freddo negli stati “Battlegrounds”, il voto in persona potrebbe essere compromesso dalla situazione atmosferica, non e` una buona notizia per Trump:

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31/10/2020 Ore 19:00

Quasi 10 milioni di persone hanno votato in California:

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31/10/2020 Ore 18:54

Importantissimo: Quadro generale di tutte  le schede, in tutti gli stati dell’unione, che hanno pubblicato i loro dati; aggiornato alla data odierna: 

Per aiutarvi a leggere i quadri ecco il significato delle abbreviazioni: VBM: Voto Per Posta – IP: Voto In Persona – N/A : Stati che non pubblicano i dati delle schede – Dem Retur: Schede Consegnate dai Democratici – Rep Retur: Schede Consegnate dai Repubblicani –  Other Retur: Schede Consegnate dagli Indipendenti – TOT RETUR: Totale Schede Consegnate – % of the 2016 vote: Percentuale delle schede consegnate rispetto al 2016 –  % Dem: Percentuale dei democratici che hanno consegnato le loro schede – % Rep: Percentuale dei repubblicani che hanno consegnato le loro schede. 

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31/10/2020 Ore 18:30

Lunghe file vengono segnalate in Pennsylvania per il comizio di Trump:

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31/10/2020 Ore 18:25

Kamala Harris è stata presentata come “Prossimo presidente degli Stati Uniti” durante un comizio in Texas:

 

31/10/2020 Ore 17:44

ATTENZIONE: IMPORTANTE AGGIORNAMENTO DELLA MAPPA ELETTORALE STASERA ALLE 20:00

 

31/10/2020 Ore 17:31

Il Collegio Elettorale e sotto assalto dai neoliberali-neoconservatori, dai democratici progressisti, ma il collegio elettorale garantisce una elezione presidenziale equa ed è legittimato dall’articolo II della Costituzione degli Stati Uniti. Gli elettori dovrebbero prestare attenzione a questo documento che è tra i cardini della costituzione e fondazione degli Stati Uniti. La parola d’ordine  e proteggere il Collegio elettorale a tutti i costi.

Gli elettori del Colorado martedì si esprimeranno su un referendum che potrebbe ribaltare la decisione del 2019, dai legislatori del Colorado, controllata dai democratici di aderire al National Popular Vote Interstate Compact (NPV compact), privando potenzialmente il movimento dei nove voti elettorali del collegio elettorale dello stato del Colorado.

Cos’e NPV Compact? Il NPV compact è un gruppo di stati che concordarono nel 2019, di assegneranno i loro voti elettorali al candidato presidenziale che vince il voto popolare nazionale, indipendentemente  dal risultato del collegio elettorale. Secondo il sito web del movimento NPV, ci sono attualmente 15 stati e Washington DC che sono nel patto, per un totale di 196 voti elettorali.

Uno di questi stati è il Colorado, che nel 2019 ha approvato la legislazione per aderire al patto. Gli elettori del Colorado martedi avranno l’opportunità di ribaltare quella legge e uscire dal patto, dopo che un gruppo anti-NPV  ha raccolto più di 225.000 firme a sostegno dell’abrogazione della legge. 

https://www.foxnews.com/politics/colorado-vote-movement-presidential-elections-popular-vote

 

31/10/2020 Ore 17:20

Sembra che tra tutti gli  stati “competitivi”, Trump sia messo meglio in Florida e Arizona, mentre è più debole in Pennsylvania.

 

31/10/2020 Ore 06:08

Buon Giorno da Hunter Biden:

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31/10/2020 Ore 06:01

ATTENZIONE ABBIAMO LA MAPPA DELLA PREVISIONE FINALE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI:

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Secondo le nostre previsione i democratici perderanno 4 seggi e i repubblicani guadagnano 5 seggi. I democratici manterranno il controllo della camera per un totale di 229 (-4) contro  206 (+5) dei repubblicani. Sono 435 in totale i seggi a disposizione.

U.S. congressional apportionment
state representatives
Alabama 7
Alaska 1
Arizona 9
Arkansas 4
California 53
Colorado 7
Connecticut 5
Delaware 1
Florida 27
Georgia 14
Hawaii 2
Idaho 2
Illinois 18
Indiana 9
Iowa 4
Kansas 4
Kentucky 6
Louisiana 6
Maine 2
Maryland 8
Massachusetts 9
Michigan 14
Minnesota 8
Mississippi 4
Missouri 8
Montana 1
Nebraska 3
Nevada 4
New Hampshire 2
New Jersey 12
New Mexico 3
New York 27
North Carolina 13
North Dakota 1
Ohio 16
Oklahoma 5
Oregon 5
Pennsylvania 18
Rhode Island 2
South Carolina 7
South Dakota 1
Tennessee 9
Texas 36
Utah 4
Vermont 1
Virginia 11
Washington 10
West Virginia 3
Wisconsin 8
Wyoming 1
Total 435

 

 

31/10/2020 Ore 05:31

Circondati e molestati: L’autobus di Kamala / Biden viene scortato fuori da New Braunfels, Texas dell’esercito trumpiano…

 

31/10/2020 Ore 05:17

Brett Lorenzo Favre; l’ex grande quarterback, ora in pensione, sostiene Trump: “Il mio voto e per chi rende grande questo paese; libertà di parola, di religione, diritto alle armi, onesti cittadini che pagano le tasse, polizia e militari. In queste elezioni abbiamo libertà di scelta, che tutti dovrebbero rispettare. Per me e per i principi sopra elencati, il mio voto va a Donald Trump

Il sostegno di Favre potrebbe aiutare Trump in Wisconsin, dove per tanti anni ha giocato nella squadra dei Green Bay Packers.

https://twitter.com/BrettFavre/status/1322154221584732163?s=20

 

31/10/2020 Ore 04:41

Signori e Signori o meglio dire masculoni (come dicono al paese dei mie genitori), sotto un editoriale del Los Angeles Times: “Opinione: Trump è un “uomo per uomini”: Perché alcuni uomini di colore sono attratti dalla mascolinità tossica del presidente” 

https://www.latimes.com/opinion/story/2020-10-28/la-ol-black-trump-voters-men

 

31/10/2020 Ore 03:34

Bloomberg News riporta che la campagna presidenziale di Biden e preoccupata per l’affluenza alle urne di neri e  ispanici. Appare evidente che le due comunità mancano dell’entusiasmo necessario per andare in massa a votare. Ciò potrebbe creare problemi a Biden il giorno delle elezioni.

https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-10-30/biden-aides-see-warning-signs-in-black-latino-turnout-so-far?sref=dCXr1Xoe

 

31/10/2020 Ore 03:16

Azione di disturbo dei sostenitori di Trump al comizio di Biden:

 

31/10/2020 Ore 02:00

Il 54% delle persone presenti al comizio del Minnesota di Trump non erano elettori repubblicani. Al comizio di Green Bay, in Wisconsin, il  52.6% dei partecipanti non erano Repubblicani. A proposito di comizi, Nigel Farage era presente a uno dei comizii e ha anche parlato alla platea.

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31/10/2020 Ore 01:24

Puntualmente sono arrivati i Democratici a smorzare l’entusiasmo repubblicano in Florida. Nelle ultime, ore visto come il panico ha cominciato ad avvolgere i democratici della Florida, il DNC, cioè i vertici del partito, hanno annunciato che sono pronti 5000 (non e un errore) avvocati da dispiegare in Florida per facilitare un eventuale riconteggio delle schede. Gli avvocati sono coordinati dalla studio legale Perkins Coie. Il famoso Perkins Coie, finanziato da George Soros.

https://www.thedailybeast.com/biden-has-4000-lawyers-on-standby-in-florida-for-possible-election-recount

 

31/10/2020 Ore 01:09

Qualcuno dalla platea, durante il comizio di Trump, si diverte a stracciare le foto dei politici democratici.

 

31/10/2020 Ore 00:33

Parata pro-Trump dei motociclisti a Gerusalemme:

 

31/10/2020 Ore 00:22

In questa pazza era politica di Trump, in molti posti degli Stati Uniti, certi meccanismi tradizionali si sono inceppati: In questo video due gruppi a confronto; da lato i sostenitori di Biden sul marciapiede opposto, tutti di colore bianco, dall’altro i sostenitori di Trump con membri della comunità nera. Fino a qualche anno fa era impensabile una cosa del genere. Che vinca o che perda il fenomeno politico Trump andrà seriamente analizzato senza incorrere nelle solite pochezze intellettuali del razziata, maschilista, suprematista bianco e stupidaggini varie…

 

31/10/2020 Ore 00:11

Qualcuno sperava che il Texas, in questo ciclo elettorale, era in gioco per i democratici, i numeri sembrano invece confermare l’onda Trumpiana che si appresta a inondare il Texas. 

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31/10/2020 Ore 00:05

ll presidente Trump ha iniziato Ottobre con la diagnosi del Coronavirus e finirà ottobre dopo aver tenuto 34 comiziin 13 diversi stati, incredibile…

 

31/10/2020 Ore 00:03

Gallup pone una domanda fondamentale al cittadino USA: State meglio di 4 anni fa? Nonostante la pandemia e i Fake News; il sondaggio mostra l’indice di approvazione di Trump al di sopra di Obama, Clinton o persino Reagan, che sono stati tutti facilmente rieletti. Che sia un presagio di rielezione per Trump…

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30/10/2020 Ore 23:45

Ultimo aggiornamento dall Florida. Che giornata incredibile! Il vantaggio dei Democratici si e ridotto di oltre 49mila schede solo nella giornata di oggi. La differenza ora è di 114 mila schede. I repubblicani hanno superato le prestazioni del 2016 in termini di schede. Trump dovrebbe vince comodamente la Florida.

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30/10/2020 Ore 18:26

Sono istrionici i sostenitori di Trump; si mettono a seguire l’Autobus della campagna di Biden con bandiere di Trump e con il carro funebre che porta la dicitura: Fondazione Clinton-Servicio Suicidi:

 

30/10/2020 Ore 06:13

Buon Giorno da Hunter Biden:

 

30/10/2020 Ore 05:40

Secondo l’Economist (da prendere con le pinze), il 41% dei sostenitori di Trump prevede di votare in persona, il giorno delle elezioni. Solo il 16% dei sostenitori di Biden dice di voler far lo stesso. Pertanto, l’84% dei votanti di Biden, avranno espresso la loro preferenza prima del 3 novembre.

 

30/10/2020 Ore 05:22

E in Arizona siamo ora alla pari! La media sondaggi tra i due candidati a 47,0%

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30/10/2020 Ore 05:17

Chi lo indossa meglio?

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30/10/2020 Ore 05:15

Anche la CNN comincia a suonare l’allarme: “I Repubblicani stanno rapidamente colmando il divario del voto anticipato in questi stati: Florida, Nord Carolina, Iowa e Nevada.” 

https://www.cnn.com/2020/10/29/politics/republicans-democrats-early-voting/index.html

Il nostro blog ha gia messo la Florida e l’Iowa nella casella di Trump, mentre abbiamo Il Nevada e la North Carolina nella casella di Biden. Ma stiamo monitorando la situazione e grazie alla nostra metodologia ci troviamo pronti, se,i dati confermano, a spostare gli altri due stati nella casella di Trump.

 

30/10/2020 Ore 05:11

Panico fra i Democratici; hanno perso la Florida e se ne accorgono solo ora, basta che chiedono al nostro blog, li avremmo potuti mettere in guardia noi…

Dobbiamo fermare l’emorragia” Intitola Politico:

https://www.politico.com/news/2020/10/29/miami-voter-turnout-democrats-433643

 

30/10/2020 Ore 05:01

Buone notizie dal Nevada per Trump; I democratici hanno avuto un’altra giornata difficile. I repubblicani continuano a sommergere di shede elttorali i democratici nelle zone rurali del “Silver State”. I democratici sono indietro del 30% nelle zone rurali. Questa contrastante, profonda differenza, fra le zone rurali e le aree metropolitane e ormai un tema ricorrente in questa americana del 21 secolo.

Detto ciò il Nevada rimane nella casella di Biden  poiché i Democratici sono ancora in vantaggio su i Repubblicani di circa 45 mila schede. Ma e un vantaggio che va assottigliandosi col passare delle ore. Rimaniamo  vigili sulla fluida situazione in Nevada.

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30/10/2020 Ore 04:41

Il muro con il Messico continua ad essere costruito senza sosta, a ritmo forsennato,  si lavora 24 ore al giorno. Se Trump vince, sarà completato entro i prossimi due anni, se perde, si andrà avanti fino al 20 di Gennaio, quando l’amministrazione Biden, al primo giorno della sua presidenza, bloccherà i lavori.

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30/10/2020 Ore 04:18

Trump ha dedicato molto tempo e sforzi nel migliorare le condizioni di vita nelle comunità Afro-Americana, più di qualsiasi altro candidato presidenziale Repubblicano. Molti artisti e figure sportive della comunità nera sono usciti allo scoperto con il loro sostegno a Trump. Fra questi ci sono Herschel Walker,  50 Cent, Ice Cube, Kanye West, Lil Wayne, Mike Tyson e molti altri. 

13 Black Celebrities Who Supported Trump | Newsmax.com

These 15 Black Celebrities Are Voting for Donald Trump in the 2020 US Election (Confession ...

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Stiamo assistendo a un cambio culturale che avrà ramificazioni rivoluzionarie nella politica a stelle e strisce, che Trump vinca o perda. Il monopolio Democratico sulle comunità nere e minoritarie si sta sfaldando e non importa quello che dice LeBron o Michelle Obama.

Molti nella comunità afro-americana sono stanchi di promesse non mantenute. Che Trump riesca a togliere ai democratici abbastanza voti da vincere le elezioni nella comunità nere e altamente improbabile, ma Trump ora viaggia intorno al 18-20% di approvazione fra i neri. Numeri così i Repubblicani non li aveva mai visti. La ragione di questo spostamento a destra non e casuale, soprattutto negli ultimi due anni. Con questi numeri, chi verrà dopo Trump, nei Repubblicani, potrà costruire qualcosa di importante. Le fondamenta sono state gettate.

https://www.latimes.com/california/story/2020-10-17/ice-cube-black-men-trump-biden-voter-cwba

Molti fra la comunità nera attribuisce, a ragione, la paternità del famoso disegno di legge sul crimine del 1994, responsabile per l’incarcerazione di moltissimi neri, a politici come Joe Biden e Hillary Clinton. La stessa Kamala Harris e stata un procuratrice distrettuale altamente prolifica, mettendo in galera un numero altissimo di membri delle comunità minoritarie. Trump ha invece, con il sostegno del congresso, passato una riforma di legge che ha annullato di fatto quella razzista e persecutoria del 1994. Il risultato è evidente; i numeri dicono che gli americani incarcerati sono scesi al punto più basso in quasi 25 anni. Un calo del 17% rispetto al 2007. Anche la quota di prigionieri neri è diminuita del 22,6%, cioè più del doppio. Andatelo a dire a qualche giornalista nostrano che fa analisi fasulle sulle elezioni americane nelle comunità nere usando propaganda democratica… 

https://freebeacon.com/policy/american-prisons-are-the-emptiest-theyve-been-since-1995-new-data-show/

Secondo un rapporto di Rasmussen quasi un terzo degli elettori neri voterà per Trump, personalmente credo che il numero sia un po esagerato però se non e un terzo e sicuramente molto più alto di quattro anni fa.

https://www.washingtonexaminer.com/news/nearly-one-third-of-black-voters-will-vote-for-trump-rasmussen-report-finds

 

30/10/2020 Ore 03:33

Lo scoppio di rivolte di massa e saccheggi in tutta l’America è allarmante di per sé, ma altrettanto agghiacciante è un nuovo sondaggio: La maggior parte degli studenti universitari americani credono che ciò sia giustificato. Lo scricchiolio dell’impero che comincia a frantumarsi…

https://fee.org/articles/65-of-college-students-say-rioting-and-looting-is-justified-new-poll-finds/

 

30/10/2020 Ore 02:17

Oltre 80 milioni di americani hanno votato fino ad ora alle presidenziali del 2020. Mancano all’appello, dei voti per posta, ancora altre 39 milioni di schede, Più i voti di chi si recherà in persona ai seggi  il 3 di Novembre.

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30/10/2020 Ore 01:30

Pioggia sul comizio di Biden questa notte in Tampa, Florida. Comizio interrotto e tutti a casa.

 

29/10/2020 Ore 18:00

La Pennsylvania! Uno degli stati che deciderà il risultato delle elezioni. Confronto media sondaggi interessante; sia Biden sia Hillary hanno/avevano lo stesso vantaggio su Trump alla vigilia delle elezioni. Confronto 2016-2020: 3,5% di vantaggio nel 2016 3,5% di vantaggio nel 2020. Cambierà questa volta il risultato finale?

2016

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2020

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29/10/2020 Ore 17:41

Importante aggiornamento in Arizona: Fino ad ora hanno votato 2,022,444 di elettori. Questo equivale al 78,6% dei voti totali del 2016. I numeri rivelano un quasi testa a testa. Poche miglia di schede separano i due partiti., bisogna vedere gli indipendenti (unaffiliated) per chi voteranno; saranno probabilmente loro a decidere il voto in Arizona.

 

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29/10/2020 Ore 17:32

Situazione in lieve miglioramento in Nord Carolina per Trump, anche se rimane la decisione della Corte Suprema di ieri a complicare la situazione. Comunque sia, ad oggi, questi sono i dati: Il vantaggio dei Democratici  è sceso a 285.000 schede. Nel 2016, quando i Democratici persero in Nord Carolina di 3 punti di percentuale, avevano un vantaggio, alla vigilia del giorno delle votazioni, di 310.000 schede. Se il trend continua si arriverà al giorno delle elezioni con un vantaggio dei democratici di 230,00 schede. Se usiamo i parametri del 2016 allora Trump potrebbe vincere la Nord Carolina di 4 punti. Detto questo senza dati più attendibili sul voto della comunità nera e con la decisione appena presa dalla Corte Suprema, teniamo la North Carolina ancora nella casella di Biden.

 

29/10/2020 Ore 17:00

Record di crescita del PIL del 33,1% nell’ultimo quarto nonostante il Coronavirus! Potrebbe avere un impatto nelle elezioni presidenziali.

 

29/10/2020 Ore 16:40

Il vantaggio dei Democratici in Florida prosegue inesorabilmente nel suo collasso. Ora è previsto intorno ai 150 mila nel giorno delle elezioni; ciò implica la vittoria di Trump in Florida.  Una curiosità; chi ha vinto in Florida, nelle ultime 6 elezioni è diventato Presidente. 

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29/10/2020 Ore 05:00

Buon Giorno da Hunter Biden:

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29/10/2020 Ore 04:45

“NO MORE LOCKDOWN
No more government overreach
No more fascist police
Disturbing our peace
No more taking of our freedom
And our God-given rights
Pretending it’s for our safety
When it’s really to enslave
Who’s running our country?
Who’s running our world?
Examine it closely
And watch it unfurl
No more lockdown
No more threats
No more Imperial College
Scientists making up crooked facts
No more lockdown
No more pulling the wool over our eyes
No more celebrities telling us
Telling us what we’re supposed to feel
No more status quo
Put your shoulder to the wheel

No more lockdown
No more lockdown
No more lockdown
No more lockdown

No more lockdown
No more government overreach
No more fascist police
Disturbing our peace
No more taking of our freedom
And our God-given rights
Pretending it’s for our safety
When it’s really to enslave
Who’s running our country?
Who’s running our world?
Examine it closely
And watch it unfurl
No more lockdown
No more threats
No more Imperial College scientists
Making up crooked facts
No more lockdown
No more pulling the wool over our eyes
No more celebrities telling us
How we’re supposed to feel
No more status quo
Gotta put your shoulder to the wheel”

 

29/10/2020 Ore 04:26

L’ex presidente Barack Obama con Joe Biden faranno un comizio congiunto Sabato in Michigan, un giorno dopo che il presidente Trump ha  programmato di visitare il Michigan. Tutte le strade della presidenza passano dal Michigan…

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29/10/2020 Ore 04:04

Come sapete non ci affidiamo solo ai sondaggi per prevedere la nostra mappa elettorale, ma in un momento così delicato, equilibrato e di difficile interpretazione nell’importantissimo stato dell’Arizona i sondaggi possono aiutare a decifrare una  situazione in costante evoluzione.

Se Trump dovesse vincere in Arizona, la presidenza potrebbe essere a portata di mano. Le  brutte notizie che arrivano della Nord Carolina sono compensate da quelle dell’Arizona. Secondo l’ultimo sondaggio ipsos Trump e Biden sono ora pari in Arizona (47% – 47%). Lo stesso sondaggio la scorsa settimana vedeva Biden in vantaggio di 4 punti: 

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29/10/2020 Ore 03:49

Biden trasmetterà un programma radiofonico di 90 minuti rivolto agli elettori neri nelle stazioni “gospel” di tutto il paese. Che il signore lo benedica:

https://thehill.com/homenews/campaign/523258-biden-to-air-90-minute-radio-programs-targeting-black-voters

 

29/10/2020 Ore 03:34

Decisione sconcertante della Corte Suprema che consentirà di ricevere e di contare le schede elettorali, per posta, nella Carolina del Nord, fino a 9 giorni dopo il 3 di Novembre; una vittoria per i democratici. Questa decisione dovrebbe sigillare il destino di Trump in Nord Carolina, che era già precario e lo vedeva in serie difficoltà. I democratici preferiscono il voto per posta; il conteggio prolungato delle schede ritardatarie vuol dire di fatto la sconfitta di Trump e di conseguenza è possibile che stiamo assistendo agli ultimi giorni della presidenza Trump. 

Con questa decisione la Corte Suprema di fatto annulla il concetto di Election Day, il giorno delle elezioni, riscrivendo un nuovo capitolo nella storia politica americana. Questa decisione è in linea con quelle presa sul Wisconsin e Pennsylvania. Thomas ha votato contro e la Barrett non si è ancora insediata, dovrebbe iniziare il suo lavoro ufficialmente lunedì.

 

29/10/2020 Ore 01:15

A proposito di Arizona; sia Kamala Harris che Trump hanno tenuto in contemporanea  comizi in Arizona; questo mentre Joe Biden è tornato oggi a rifugiarsi nella cantina di casa. Le immagini sotto mostrano due diversi modi di misurare l’entusiasmo per i candidati. Se le elezioni fossero decise solo dall’entusiasmo dei propri sostenitori, Trump allora vincerebbe in maniera travolgente, ma non sono il numero delle persone presenti ai comizi che ci danno una reale stima di chi vincerà le imminenti elezioni.

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29/10/2020 Ore 00:49

Un caccia F-16 ha intercettato un aereo che stava volando in un’area riservata durante la manifestazione del presidente Trump a Bullhead City in Arizona

I funzionari del comando della difesa aerospaziale nordamericana affermano che l’aereo è stato intercettato intorno alle 14:00, dopo che i funzionari hanno notato che era entrato nell’area di restrizione temporanea del volo che circonda Bullhead City. Nel video, durante il comizio si sente e si vede il caccia nel cielo lanciare quello che si chiama, in gergo tecnico dei flare. I flare sono  usati anche per deviare la traiettoria di un missile. Trump sente il rumore della caccia e lo scambia per una dimostrazione celebrativa dell’aviazione. Solo dopo si saprà la reale ragione dello ‘spettacolo” della F-16. 

 Questa la versione ufficiale del NORAD: “Intorno alle 14:00 un velivolo NORAD F-16 ha intercettato un velivolo dell’aviazione generale che era entrato nell’area di restrizione di volo temporanea che circondava Bullhead City senza autorizzazione adeguata. L’aereo in violazione non rispondeva alle procedure di intercettazione iniziali, ma stabiliva la comunicazione radio dopo che il caccia NORAD ha  dispiegato razzi di segnalazione. L’aereo è stato scortato fuori dall’area riservata senza ulteriori incidenti.

 

 

28/10/2020 Ore 22:25

Il NORAD ha inviato un F-16 per intercettare un aereo sconosciuto che volava vicino al comizio di Trump in Arizona: Tentativo di attentato?

 

28/10/2020 Ore 18:40

Molti uomini latini sostengono il presidente Trump in questa elezione:

https://www.npr.org/2020/10/28/928359082/many-latino-men-are-supporting-president-trump-in-tuesdays-vote?utm_campaign=storyshare&utm_source=twitter.com&utm_medium=social

 

28/10/2020 Ore 06:21

Ne avevamo già accennato in precedenza; ci sono problemi per Biden in Nevada. Ora lo conferma anche il Nevada Independent: “L’ultima analisi dimostra che i Democratici stanno perdendo punti nei loro distretti chiave“. Il Nevada rimane nella casella di Biden, ma potrebbe spostarsi in quella di Trump nelle prossime ore, attendiamo ulteriori conferme:

https://thenevadaindependent.com/article/the-early-voting-blog-3

 

28/10/2020 Ore 06:21

Biden arriva in Georgia nel luogo del suo comizio e viene accolto dai sostenitori di…Trump

 

28/10/2020 Ore 06:15

Trump ora ha scavalcato, nella media dei sondaggi, Biden in Florida. Come avevamo previsto già qualche giorno fa, la nostra metodologia ci aveva spinto a spostare la Florida nella casella di Trump, questi dati confermano quello che già noi sapevamo.

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28/10/2020 Ore 06:03

Record storico dei votanti per posta nel Mississippi:

169 mila schede richieste

146 mila schede restituite

https://mississippitoday.org/2020/10/26/mississippi-absentee-voting-continues-its-record-pace-in-2020/

 

28/10/2020 Ore 06:00

Vantaggio dei repubblicani delle schede spedite per posta e in persona; 42% contro il 36% dei Democratici. Se il Wisconsin rimane nella casella di Trump la strada per la vittoria rimane ottenibile da parte del Donald:

 

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28/10/2020 Ore 05:25

In ogni singola elezione ci dicono che i giovani americani sono finalmente molto interessati alla politica e che hanno intenzione di votare. Ogni singola elezione i mass media e gli    analisti politici ci dicono che questa volta è la volta buona, ogni singola elezione. Ma se guardiamo ai dati dal 1986, che siano le presidenziali o le elezioni medio termine,  l’impegno dei giovani rimane basso. Che quest’anno sia la volta buona?

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28/10/2020 Ore 05:25

Joe Biden sale sul podio per un comizio a Warm Springs, Georgia, ogni commento e superfluo…

Ma sì facciamolo un paragone:

 

 

28/10/2020 Ore 05:11

Con 69,4 milioni di voti espressi fino ad ora e con 6 giorni dalle elezioni, l’America ha già superato il 50% di tutti i voti espressi nel 2016. Sono numeri da record.

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28/10/2020 Ore 05:09

Ultime dalla Florida: 6.858.326 voti espressi (posta + di persona)

Democratici: 2.820.778 (41,1%)

Repubblicani: 2.572.910 (37,5%)

Indipendenti: 1.464.638 (21,4%)

Il vantaggio dei Democratici diminuisce a 247.868 e dovrebbe scomparire nel giorno delle elezioni.

Oggi sono state elaborate in totale 415.861 schede.

 

28/10/2020 Ore 05:04

Comizio “ drive-in” ad Atlanta di Biden con i rapper Common e Offset come invitati di eccellenza. Questo è il  più grande comizio che si sia visto fino ad ora di Biden da quando ha iniziato a tenere questi eventi “drive-in.”  L’unico problema è che il rapper Common è attualmente accusato di violenza sessuale da una collega che sostiene di aver cercato di costringerla a fare sesso orale. Immaginatevi Trump avere sul palco una artista accusato di violenza sessuale come rappresentante del suo movimento politico…

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28/10/2020 Ore 04:33

Qualche giorno fa ho postato delle foto di una manifestazione pro Trump della comunità` Amish. Incuriosito sono andato a procurarmi un po di numeri per capire se il voto Amish potrebbe influenzare il risultato delle votazioni soprattutto negli stati Battleground: Gli elettori Amish potrebbero influenzare il voto finale solo se le votazioni, in certi stati, sono decise su filo del rasoio. 350.665 Popolazione totale degli Amish. 

Nel battleground states la popolazione Amish e subdivisa  in questa maniera: 

  • 81.500 in Pennsylvania
  • 78.280 in Ohio
  • 22.235 in Wisconsin
  • 16.525 in Michigan

 

28/10/2020 Ore 04:22

Interstatale 27 da Seaford a Montauk, nello stato di New York. C’erano 9.604 auto nel corteo pro Trump più molti sostenitori su strade secondarie e su ogni cavalcavia della interstatale:

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28/10/2020 Ore 04:22

La campagna presidenziale di Biden, in questa ‘ultima settimana, prima delle elezioni, aveva deciso di nascondere Joe nella cantina di casa poi ha cambiato idea e lo fa uscire allo scoperto.  Cosa è successo? Sarà che i sondaggi non sono poi così favorevoli come vogliono farci credere?  Le visite in Florida  e negli stati del Rust Belt sono un segno che Biden sta avendo problemi grossi in quegli stati. Poi ci sono anche l’Arizona e il Nevada. Mentre la visita in Arizona e logica poiché si tratta di uno stato in bilico, cioè` può andare a qualsiasi dei due candidati, la visita in Nevada invece dimostra che la macchina organizzativa di Biden ha paura di perdere il vantaggio nel “silver state” :

 

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28/10/2020 Ore 03:15

Buone notizie per Trump in Nevada; i Repubblicani hanno avuto fino ad ora un rendimento di tutto rispetto. Ad oggi, hanno votato 744,203 degli aventi al diritto, che sarebbe l’equivalente del 61,1% del totale dei voti nelle elezioni del 2016. I democratici rimangono favoriti con 47,3% delle schede elaborate mentre i Repubblicani sono al 44,3 %. I democratici pero` sono indietro di molti punti rispetto alla loro prestazione, nello stesso periodo, alle elezioni del 2016, quando erano al 51,2%. Biden rimane in controllo del Nevada ma mostra segni di affaticamento.

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28/10/2020 Ore 02:49

Joe Biden, durante l’udienza al senato nel 1991 per la conferma del glorioso giudice Clarence Thomas, fece di tutto per calunniare e distruggere la carriera e la reputazione di questo mite, nobile e onesto uomo.

Flashback: Biden Rejected FBI's Clarence Thomas Report

John Roberts e il giudice capo della Corte Suprema, ma in realtà Thomas, dopo 29 anni di servizio, con l’avvento della Berrett, prende ora di fatto saldamente il controllo della maggioranza della Corte Suprema. Le elezioni del 2020 saranno molto probabilmente decise dalla Corte Suprema…Come si dice;  ciò che fai trovi? 

Biden ti manda i saluti Thomas:

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28/10/2020 Ore 02:24

Perché la JP Morgan si fa questa domanda quando tutti i sondaggi ci dicono che Trump perde? 

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28/10/2020 Ore 02:11

Lo stato del Texas pianifica di schierare fino a 1.000 truppe della Guardia nazionale in previsione di disordini post-elettorali, se il buongiorno si vede dal mattino…

 

28/10/2020 Ore 02:02

A una settimana dalle elezioni, secondo molti (quasi tutti) sondaggi, Trump e morto che cammina…

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27/10/2020 Ore 17:10

Migliaia di sostenitori di Donald Trump in attesa del suo arrivo per un comizio a Lansing, Michigan. Il Michigan e un importante stato battleground. Video registrato qualche minuto fa:

 

 

27/10/2020 Ore 15:27

Grafico interessante; alla domanda quali sono le possibilità che Trump venga rieletto?

Gli aggregatori di sondaggi contro la piazza scommesse. Anche se tutti danno la vittoria di Trump a meno del 50% vale la pena notare che i scommettitori sono più ottimistici degli aggregatori di sondaggi: 

3% per il Lean Tossup

13% per FiveThirtyEight

Piazza scommesse: circa il 35%

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27/10/2020 Ore 15:07

Il “Boston Herald” il giornale di Boston ha, questa mattina, annunciato il suo sostegno a Trump. Considerato che Boston è una roccaforte democratica e che quattro anni fa nessun quotidiano o testata giornalistica aveva annunciato il sostegno a Trump, questa decisione dell’Herald e` stupefacente. 

https://www.bostonherald.com/2020/10/27/the-herald-endorses-president-trump/

 

27/10/2020 Ore 07:24

Benvenuti in Pennsylvania; il cowboy solitario di Trump:

 

27/10/2020 Ore 07:16

Proprio mentre stavamo per spostare la Nord Carolina nella casella di Biden, buone notizie arrivano per Trump; gli ultimi dati  mostrano Trump in miglioramento nelle ultime ore su Biden.  Comunque sia, Trump in North Carolina, sta mostrando ancora una debolezza preoccupante. Per il momento la Nord Carolina rimane nella casella elettorale di Trump, con riserva…

Voto anticipato della Carolina del Nord:
Democratici 49,7% (+5,7)
Repubblicani 44%

Voto anticipato nel 2016, per fare un confronto:
Democratici 54,2% (+12,5)
Repubblicani 41,7%

 

27/10/2020 Ore 05:22

Interessante grafico che mostra un sondaggio in cui se i Democratici, i Repubblicani e gli indipendenti fossero divisi in più partiti, stile Europa, che fetta di percentuale dell’elettorato queste entità attirerebbero: Nazionalisti 16% – Conservatori 25% – Acela (centristi) 11% – Labor (liberali) 26% – Partito Verde 11% 

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27/10/2020 Ore 05:00

Mentre le presidenziali del 2020 si avviano all’epilogo, il democratico Joe Biden è in testa secondo molti sondaggi. Però se confrontiamo la media sondaggi di approvazione del presidente Trump con quella di Obama, nello stesso giorno, 26 ottobre, la media di Trump è del 52%. mentre quella di Obama era del 48% nel 2012.

 

27/10/2020 Ore 04:48

Il capo indiano della tribù del “Crow Indian Tribe” sostiene Trump: “Perché cambiare il cavallo nel mezzo della corsa?

 

27/10/2020 Ore 04:36

Il vantaggio dei Democratici in Florida e ora di +302, 811 schede. Solo oggi i Repubblicani hanno recuprato piu` 52 mila schede dal vantaggio Democratico! Secondo i calcoli che vi abbiamo spiegato nei nostri post precedenti, di questo passo, i Democratici arriveranno al 3 di Novembre con meno di 200 mila voti di vantaggio. Questo  significa che Trump vince la Florida comodamente. 

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27/10/2020 Ore 04:20

In Texas gli elettori hanno espresso fino ad ora il 77,9% del totale dei voti contati, in tutto lo stato, paragonato alle elezioni presidenziali del 2016.

Repubblicani 51,9% (+13,1)

Democratici 38,8%

Il Texas dovrebbe rimanere fermamente nella casella di Trump

 

27/10/2020 Ore 04:05

Durante il comizio di Jill Biden (moglie di Joe) si stacca il cartello, segno brutto o buono? Lo sapremo la prossima settimana, forse…

 

27/10/2020 Ore 02:25

AMY CONEY BARRETT E LA NUOVA GIUDICE DELLA CORTE SUPREMA!

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Nel giorno del compleanno di Hillary Clinton la maggioranza Repubblicana al Senato ha votato la conferma di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema degli Stati Uniti, dando di fatto ai conservatori una maggioranza di 6-3, anche se John Roberts non può essere considerato un vero conservatore.

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Amo la costituzione e la repubblica su cui si poggia” ha detto la Barrett. Un grande giorno per i patrioti americani e la costituzione. Una battaglia vinta nella guerra per il controllo dell’anima di questa Nazione. La lotta continua…

Il giuramento della Barrett è stato amministrato del Giudice Clarence Thomas che dopo la morte di Antonin Scalia era diventato l’unico vero costituzionalista della corte suprema. Da oggi la sua battaglia sarà un po’ meno solitaria.

Quasi mi dimenticavo: Buon Compleanno Hillary!:

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27/10/2020 Ore 02:05

Secondo Gallup il 51% degli americani sostiene la conferma di Amy Coney Barrett alla corte Suprema. Il sostegno è al 52% tra gli elettori indipendenti.

https://news.gallup.com/poll/322232/amy-coney-barrett-seated-supreme-court.aspx

 

27/10/2020 Ore 02:01

Mappa degli elettori nel 2020 con laurea, per distretto congressuale. Più blu è la mappa più marcata è la presenza di laureati votanti. Le grandi aree urbane come San Francisco, Los Angeles, Chicago, New York e altre, sono le più blu. Ciò significa che i laureati votano per la maggior parte partito democratico:

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27/10/2020 Ore 01:49

Interessante grafico di come è suddivisa la preferenza politica della comunità asiatica secondo i sondaggi: 

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27/10/2020 Ore 01:40

Il rosso della mappa rappresenta il numero di casi di Coronavirus, più rossa è la mappa più concentrata è la diffusione del Virus. Dalla mappa è evidente che il rosso più profondo e concentrato nella zone del Wisconsin e in generale la diffusione è più evidente negli stati del Rust Belt, i cosiddetti stati battleground. Questa situazione potrebbe avere un impatto negativo e avverso nel giorno delle elezioni per Trump.

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26/10/2020 Ore 18:55

“Mentre i venti dell’inverno si abbattono su questa grande terra, il nostro stesso futuro è in bilico. E poiché siamo una famiglia forgiata nel conflitto, conosciamo bene il grande costo della libertà. Quindi, lascia che la pace regni! Ma se preservare la pace significa fare la guerra, così sia.“ Postato ieri dai patrioti del Wyoming. 

Il dopo elezioni determinerà i tempi e i modi della prossima guerra civile in America…

 

26/10/2020 Ore 18:04

Aggiornamento Nord Carolina (Voto di persona +  Voto per posta): Democratici in vantaggio di + 354.410 schede

Nel 2016 i Democratici arrivarono al giorno delle elezioni con più di 310.000 schede di vantaggio rispetto a Repubblicani. Nel giorno della elezione Trump finì per vincere la Nord Carolina con 3,8 punti di percentuale. Se i democratici continuano di questo passo, aumentando il vantaggio, allora azzereranno quello dei Repubblicani nel giorno delle elezioni. 

Per Trump comincia a mettersi male in Nord Carolina, se continua questo trend ci vedremo costretti a spostare la North Carolina nella casella di Bidem. La perdita di questo stato sarebbe devastante per Trump.

 

26/10/2020 Ore 08:30

Nelle presidenziali del 2016 i repubblicani hanno vinto sui Democratici nelle aree rurali 56,2% contro il 34,6%. Una differenza di + 21,6% a favore dei Repubblicani.

Nell’attuale votazione anticipata del 2020, i repubblicani superano i democratici nelle aree rurali del 28,3% (58,8% contro il 30,5%).

Il vantaggio per Repubblicani nelle zone rurali e importante per compensare il voto dei democratici nelle zone urbane.

 

26/10/2020 Ore 08:09

Joe Biden è molto preoccupato per il paese che rischia di affrontare “altri 4 anni di George …George (Bush?)…” Nel video si vede dalle labbra di Jill Biden sussurrare il nome di Trump al marito che ha perso il filo del pensiero.

 

 

26/10/2020 Ore 08:03

Rumble è un’alternativa a YouTube che sta crescendo in popolarita`, una nuova alternativa nell’era della censura di YouTube.

https://reclaimthenet.org/rumble-is-a-youtube-alternative-thats-growing-in-popularity/

 

26/10/2020 Ore 08:00

Aggiornamento: La Florida rimane nella casella di Trump: I Democratici mantengono un vantaggio sui repubblicani (Voti Per Posta + Voti in Persona) uguale a 354,732; era 363,849 alle 8 di Domenica mattina. Se il trend continua si prevede che il vantaggio sarà inferiore a 200mila il giorno delle elezioni del 3 Novembre, ciò significa che Trump vincerà la Florida. 200mila voti sono ben al di sotto del numero necessario ai democratici per compensare il voto repubblicano in persona il giorno delle votazioni.

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26/10/2020 Ore 07:22

Sotto trovate il sondaggio pubblicato dall’ “The Economist”; non dico che Trump vince ma questi numeri sono da barzelletta:

Possibilità di vincere il Collegio Elettorale:

Biden 93%

Trump 7%

Possibilità di vincere i voti popolari:

Biden 99%

Trump 1%

Collegio elettorale stimato:

BIDEN 345

TRUMP 193

I sondaggi non sono gli unici parametri da usare nella metodologia di previsione del voto, ma anche se vogliamo usare, solo ed esclusivamente, i sondaggi, l’Economist e un esempio orribile da seguire. Ho postato questo sondaggio solo per mostrare un esempio di un sondaggio fatto senza una traccia di obiettività e  di scientificità. Meno male che ho smesso di sottoscrivere a questa rivista pattumiera molti anni fa. D’altronde sono gli stessi geni (anche se non gli unici) che quattro anni fa avevano previsto una travolgente vittoria di Clinton.

https://www.economist.com/graphic-detail/2016/11/08/hillary-clinton-has-got-this-probably-very-probably

A proposito della Clinton: Ogni giorno siamo riconoscenti agli dei che questa entita` non e diventata presidente

 

26/10/2020 Ore 07:10

La campagna elettorale di Joe Biden ha annunciato che Biden non ha eventi pubblici in programma per i prossimi 9 giorni, cioè fino al giorno delle elezioni. 

 

26/10/2020 Ore 07:00

Ultimo aggiornamento: 25 ottobre 2020, 14:37:01 ora del Pacifico:

A livello nazionale, gli elettori hanno espresso il 39,7% del totale dei voti conteggiati nelle elezioni generali del 2016.

Fino ad ora almeno 54.311.081 elettori hanno votato nelle elezioni presidenziali del 2020.

https://targetearly.targetsmart.com/?view_type=National&demo=Modeled%20Party&demo_val=All

 

26/10/2020 Ore 06:39

Dobbiamo essere onesti, le donazioni si sono arenate dopo dopo il dibattito televisivo…

Sotto la email spedita dalla campagna elettorale di Joe Biden agli iscritti del partito democratico nel sollecitare donazioni dopo che le stesse hanno rallentato a sequito del dibattito televisivo.

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26/10/2020 Ore 06:30

Qualche notizia comincia a trapelare dal Nevada e sono dati positivi per Trump: sotto la tabella dei votanti per partito, nello stesso periodo, nelle ultime 3 elezioni; Democratici, Repubblicani e Indipendenti. I repubblicani sono indietro di qualche punto di percentuale, ma molto meno rispetto a quattro anni, cioè rispetto alle elezioni del 2016.

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26/10/2020 Ore 06:20

Secondo un sondaggio della CBS pubblicato oggi, il 12% dei repubblicani che hanno già votato, avrebbe dato la preferenza a Biden. Non siamo sicuri se sia un sondaggio accurato; 12% e una cifra molto alta. Sarei propenso a credere che sia piu intorno al 6/8% visto che l’indice di approvazione per Trump tra i votati repubblicani e intorno al 94%. Se 12% fosse una cifra reale allora sarebbe un grosso guaio per Trump, il 12% vuol dire sconfitta certa per il Donald.

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26/10/2020 Ore 03:22

E` soprannominato il fenomeno “Bigret”: Cioe Biden+Regret (Rimpianto)

In altre parole il grafico mostra il google trend degli ultimi giorni dove si mostra che la ricerca “Posso cambiare il mio voto?” e “Hunter/Biden/Cina” hanno avuto un picco dopo il dibattito televisivo.

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26/10/2020 Ore 03:11

Green Bay, Wisconsin!

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26/10/2020 Ore 03:05

Per chi intende…

 

25/10/2020 Ore 20:45

Aggiornamento Nord Carolina: 

Democratci: 1.255.960 (40,51%)

Repubblicani: 929.324 (29,98%)

I repubblicani sono indietro di 326.000 schede totali.

Però la situazione non è così rosea per Biden come sembra: La percentuale dell’elettorato Afro-Americano che ha finora votato è del 20,5%. Il voto afro-americano rimane, soprattutto nelle Caroline, importantissimo per Biden. In paragone Obama ha vinto il Nord Carolina, nel 2008, di un 1 punto di percentuale; i neri costituiscono il 23% dell’intero elettorato della Nord Carolina. I Democratici hanno bisogno di un’affluenza alle urne della comunità nera al 22,5% o superiore per vincere la presidenza e la corsa al senato in quello stato. I neri, come ho detto prima, che hanno finora votato costituiscono il 20,5% dell’elettorato nel voto anticipato. Se rimane sotto il 21% le speranze per Joe Biden di vincere la Nord Carolina sarebbero ridotte notevolmente.

 

25/10/2020 Ore 19:15

Dobbiamo trattare le informazioni che vengono pubblicate sul laptop di Hunter Biden come se fossero un’operazione di intelligence straniera, anche se probabilmente non lo sono.” Una frase piccola, ma molto rivelatrice del Washington Post

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I mass media, al di fuori dei pochi temerari, sono sull’attenti per impedire ai loro giornalisti di menzione qualsiasi notizia sulla scandolo Hunter Biden. Per coprire le spalle ai Biden si sono lanciati in una nuova “vecchia” teoria del complottismo: si tratta di “disinformazione russa.” Inutile ricordare che le foto e le oltre 50,000 email provengono dal computer di Biden che l’ho ha dimenticato dal tecnico dove l’aveva lasciato per aggiustarlo. I russi non centrono niente, d’altronde stiamo parlando del Washington Post: 

 

 

25/10/2020 Ore 17:10

Ad oggi, oltre 60 milioni di persone hanno già votato alle elezioni presidenziali. Per fare un confronto, questo equivale a circa il 47% del totale dei voti del 2016 e quell’anno solo il 41% ha votato prima del giorno delle elezioni. Questa volta le proiezioni sono di circa 150 milioni di votanti, quindi siamo al 40% circa di questa cifra. Mancono 9 giorni dalla fine delle elezioni e con il voto di persona anticipato iniziato oggi ein  fase di svolgimento anche in California.

 

25/10/2020 Ore 06:40

13 importanti rabbini della comunità ortodossa appoggiano il presidente Trump firmando una lettera di sostegno:

 

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25/10/2020 Ore 03:30

Con il rosario e la bibbia al Comizio di Trump:

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24/10/2020 Ore 23:45

Sostenitori a confronto che si fanno i dispetti, il pazzo 2020 è anche questo:

Un gruppo di donne usa un altoparlante per “molestare” un gruppetto d sostenitori di Trump:

Un gruppo di gays, sostenitori di Trump, “osa” manifestare per le strade di Los Angeles nel quartiere omosessuale, attirando l’ira di qualche pedone:

 

24/10/2020 Ore 19:25

Una parata di sostenitori di Trump si è presentata al “comizio” di Biden in Pennsylvania e ha continuato a suonare il clacson fino a quando Biden non ha perso la pazienza e si è rivolto ai disturbatori di Trump apostrofandoli come “chumps” idioti.

 

24/10/2020 Ore 19:04

Trump ha votato oggi in West Palm Beach, Florida, prima di iniziare il suo tour de force con molti comizia già programmati.

 

24/10/2020 Ore 18:53

Dieci giorni alle elezioni e i volontari della campagna di Trump stanno bussando ad ogni porta in Ohio, niente è lasciato al caso. “Una battaglia immane contro il mostro democratico, ma non ci sono alternative…Porta per porta, strada per strada, citta` per citta`…” dice Talessia (nella foto)

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24/10/2020 Ore 18:41

Votazione anticipata in Nord Carolina:

Democratci = 1.206.995 (40,82%)

Republicani = 879.222 Rs (29,74%)

Indipendenti = 858,117 (29.0%)

Vantaggio totale dei democratici e di circa 327 mila voti.

Dall’inizio delle votazioni anticipate in Nord Carolina, i Repubblicani, per il terzo giorno consecutivo, hanno superato i Democratici di circa 13.000 voti.

Il totale di ieri e stato  94,885 per I repubblicani contro gli 81,767 dei democratici. 

Questi numeri sono problematici ma non orribili per i Repubblicani poiché, nel 2016, in Nord Carolina, i Repubblicani sono arrivati al giorno delle elezioni indietro nel conteggio del voto anticipato di circa 310 mila voti, ma nonostante ciò Trump ha vinto lo stato della Nord Carolina di circa  3,8 punti di percentuale. 

Attualmente i Repubblicani sono in ritardo nelle votazioni anticipate di circa 327 mila, con altri 10 giorni di voto anticipato prima di arrivare al fatidico 3 di Novembre.  Se il trend degli ultimi 3 Giorni continua i Repubblicani potrebbero comodamente chiudere il gap con i democratici di qualche altro migliaio di voti arrivando al giorno delle elezioni, indietro ai democratici, ma con un divario facile da colmare come fu 4 anni fa.

Il Nord Carolina per il momento rimane nella casella di Trump, seguiamo attentamente gli sviluppi in questo importante stato e ci troviamo pronti a cambiare la mappa elettorale a favore di Biden se sarà necessario.

 

24/10/2020 Ore 06:36

Voci Nere per Trump hanno tenuto una serie di incontri per coordinare la campagna presidenziale di Trump nelle comunità afro-americane:

Alveda Celeste King, la nipote di Martin Luther King Jr. era tra i presenti, una delle voci più energetiche del crescente movimento repubblicano nero:

https://en.wikipedia.org/wiki/Alveda_King

 

24/10/2020 Ore 05:55

Leslie Rossi, nel cuore della Pennsylvania occidentale, ha trasformato la sua casa in un luogo di pellegrinaggio per i sostenitori di Trump. La gente si iscrive al partito repubblicano e la maggior parte sono persone che non hanno mai votato prima,  oppure erano iscritte al partito democratico. Il cuore pulsante dell’america contadina, rurale in contrasto con l’america urbana. E qui che Trump avra` la possibilita di vincere la Pennsylvania.

 

24/10/2020 Ore 05:38

La corsa in Arizona si riscalda: I sondaggi e la nostra metodologia mostrano, nelle ultime 24 ore, dopo il dibattito televisivo, un deciso spostamento delle preferenze verso Trump e i Repubblicani. Se la situazione non cambia nelle prossime ore l’Arizona potrebbe passare nella casella di Trump. C’è` dell’altro; il National File ha ottenuto una serie di foto dall annuario scolastico del 1986 di Mark Kelly, candidato al Senato Democratico in Arizona, che lo mostrano vestito da dittatore nazista; Adolf Hitler, per una festa di Halloween, mentre frequentava l’Accademia della Marina Mercantile.https://nationalfile.com/exclusive-democrat-senate-candidate-mark-kellys-yearbook-shows-him-dressed-as-hitler/

Come risultato delle foto ora la repubblicana McSally (R-inc) 50% (+3) e favorita sul Mark Kelly (D) 47%. https://overland.amgreatness.com/app/uploads/2020/10/Toplines-ArizonaStatewide-CFAG-Oct2020.pdf

L’Arizona e diventato uno stato importantissimo sia per le presidenziali che per la corsa al senato. 

 

24/10/2020 Ore 02:06

Vittime soldati statunitensi nella guerra in Afghanistan:

Bush: 630

Obama: 1758

Trump: 63

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24/10/2020 Ore 01:50

PROSSIMI COMIZI DI TRUMP:

Sabato – Lumberton, North Carolina 

Sabato – Circleville, Ohio

Sabato – Waukesha, Wisconsin 

Domenica – Manchester, New Hampshire 

Lunedi – Lititz, Pennsylvania 

Lunedi – Martinsburg, Pennsylvania

Martedi – Lansing, Michigan 

Martedi – West Salem, Wisconsin

Martedi – Omaha, Nebraska

Nel frattempo Joe rimane nascosto nella cantina…

 

24/10/2020 Ore 01:04

Gli Ispanici, in questa tornata elettorale, dovrebbero votare per Trump intorno al 40%. Se ciò fosse vero; Trump diventerebbe il repubblicano con i voti più alti mai registrati fra la popolazione latina. 

 

 

24/10/2020 Ore 00:53

1,104,159 di persone in totale, tra voto in persona e voto per posta, hanno già espresso la loro preferenza in Wisconsin. Gli elettori repubblicani hanno votato il 4% in più dei Democratici. Il Wisconsin rimane per il momento nella casella di Trump.

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24/10/2020 Ore 00:47

Sorprendenti numeri in Ohio: 1,792,440 in totale, tra voto in persona e voto per posta, hanno già espresso la loro preferenza. Gli elettori repubblicani sono quasi il 10% in più dei Democratici. Una marea Rossa si alza all’orizzonte in Ohio… 

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23/10/2020 Ore 23:41

Weekend con il Morto (Biden…)

 

23/10/2020 Ore 23:35

Gli ascolti del dibattito presidenziale della scorsa notte sono diminuiti dell’11% paragonati al primo confronto. Si calcola che 55 milioni di spettatori si sono sintonizzati ad ascoltare il dibattito tra Joe Biden e Donald Trump.

 

23/10/2020 Ore 20:15

Le elezioni presidenziali non riguardano solo Trump e Biden, quindi la presidenza; non dobbiamo dimenticare delle importanti elezioni alla Camera e la Senato.

Il Senato degli Stati Uniti è attualmente composto da 53 repubblicani e 47 democratici (inclusi due indipendenti). Trentacinque dei cento seggi del Senato sono in gioco. 23 dei 35 seggi senatoriali in gioco sono occupati dai Repubblicani.  I democratici dovranno guadagnare solo 3 o 4 seggi per riacquistare il controllo del senato. I Repubblicani potrebbero perdere non solo la presidenza ma anche il controllo del senato.

Questi sono i posti al senato a rischio per i Repubblicani: 

ARIZONA: La senatrice repubblicana Martha Mc Sally è indietro nei sondaggi rispetto al democratico Mark Kelly (ex Astronauta).

COLORADO: Il senatore repubblicano Cory Gardner è indietro nei sondaggi sullo sfidante democratico John Hickenlooper (ex governatore).

IOWA: La democratica Theresa Greenfield è in vantaggio sul senatore repubblicano Joni Ernst di diversi punti percentuali.

CAROLINA DEL NORD: lo sfidante democratico Cal Cunningham è in vantaggio di diversi punti sul senatore Repubblicano Thom Tillis. Ultimamente però Cal Cunningham sta perdendo colpi per essere stato coinvolto in uno scandalo sessuale.

Questi sono invece i posti vulnerabili al senato per i Democratici: 

ALABAMA: Il senatore democratico Doug Jones è considerato il democratico più vulnerabile al Senato, ha vinto le elezioni per il seggio dopo che il repubblicano Jeff Sessions aveva lasciato vuota la sedia per diventare procuratore generale di Trump nel 2017. Lo sfidante Repubblicano è un ex allenatore di Football della Auburn University, Tommy Tuberville.

MICHIGAN: Il senatore democratico Gary Peters ha un piccolo vantaggio sullo sfidante repubblicano John James in uno stato che rappresenta un importante campo di battaglia per la rielezione di Trump.

MINNESOTA: La corsa per il Senato in Minnesota si è notevolmente equilibrata con la senatrice democratica in carica; Tina Smith ha perso quasi tutto il suo vantaggio che aveva sullo sfidante repubblicano Jason Lewis.

 

23/10/2020 Ore 07:44

ATTENZIONE CAMBIA LA MAPPA ELETTORALE: LA FLORIDA RITORNA NELLA CASELLA DI TRUMP:  Joe BidenJOE BIDEN 279  Donald Trump DONALD TRUMP 259

Il vantaggio dei democratici in Florida si e` ridotto da quando e iniziato il voto in persona. I dati pubblicati oggi sono i seguenti: I repubblicani sono in vantaggio nel voto in persona di +137,686 schede rispetto ai democratici. In democratici sono in vantaggio sui repubblicani di +428,286 schede in totale. Il vantaggio dei Democratici e dovuto al voto per posta.

I democratici devono arrivare al giorno delle elezioni con circa + 650,000-700,000 voti per compensare i voti dei Repubblicani, questo perché il numero dei repubblicani che vota di persona, il giorno delle elezioni e molto più alta di quello democratico. In Florida i democratici preferiscono il voto per posta, i Repubblicani quello in persona. Il numero di 650,00 viene stabilito basandosi sui dati storici. 

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Ci sono diversi parametri da calcolare nella metodologia di previsione del voto: Come menzionato precedentemente; la forza dei democratici sono i voti per posta mentre quella dei Repubblicani sono i voti in persona, cioè presentandosi fisicamente ai seggi. Tradizionalmente in Florida i Democratici arrivano al giorno delle elezioni con un vantaggio consistente. Il bersaglio da colpire per mettersi al sicuro dal voto in persona deve essere  appunto di circa 650,000-700,000 schede. Se l’attuale trend continua, abbiamo calcolato  che i democratici arriveranno al voto del 3 Novembre con un vantaggio di circa 400,000 voti. Questo numero non e sufficiente per compensare il voto in persona. Di questo passo Trump dovrebbe vincere la Florida di circa 2-3 punti di percentuale. Storicamente parlando sia nel 2016 (Presidenziali) che nel 2018 (medio termine),  i democratici hanno perso le lezioni pur arrivando alla vigilia del voto in persona con oltre mezzo milione di schede in più. 

Detto cio`, alla ritrovata forza di Trump in Florida, il presidente mostra debolezza in North Carolina e ora anche in Wisconsin. Se il trend in questi due stati continua saremo obbligati a spostare questi stati nella casella di Biden. Aspettiamo sviluppi nelle prossime ore.

Alla debolezza in North Carolina e Wisconsin si aggiunge la continua debolezza di Trump in Arizona. Senza questi 3 stati Trump deve vincere in Michigan e deve vincere almeno il Minnesota e il Nevada. In Nevada e in Minnesota Trump appare sorprendentemente forte ma non abbastanza da spostare per ora questi stati nella sua direzione. Rimane quindi la Pennsylvania: Questo stato, col passare del tempo, sta assumendo il ruolo di arbitro,  dove si giocheranno le sorti delle elezioni, lo stato “battleground” per eccellenza. Senza la Pennsylvania Trump non vincerà, questo e` un dato di fatto. I dati della Pennsylvania sono di difficile interpretazione, diventa impossibile fare previsioni.

Ha proposito di Pennsylvania; il dibattito tenutosi stanotte potrebbe favorire Trump. Biden ha detto, in diretta televisiva durante il dibattito, che se vince eliminerà i sussidi per l’industria energetica distruggendo di fatto l’economia di quei stati che dipendono la loro vitalità economica dall’industria energetica, come appunto la Pennsylvania.

 

 

23/10/2020 Ore 02:45

Trump arriva al dibattitto:

 

23/10/2020 Ore 02:37

Sta per iniziare il secondo e ultimo dibattito fra Trump e Biden, qui la diretta:

 

22/10/2020 Ore 16:45

La trascrizione dei documenti della deposizione di Ghislaine Maxwell. Non ho letto tutte le pagine, ma i nomi sono stati oscurati, impossibile capire di chi si tratta, siamo entrati in una vicolo cieco…

https://free.law/pdf/gov.uscourts.nysd.447706.1137.13_4.pdf

 

22/10/2020 Ore 16:28

La commissione giudiziaria approva la nomina del nuovo giudice della Corte Suprema  Barrett. Ora la palla passa al Senato per il voto finale. L’arrivo della Barrett alla Corte Suprema avviene in un momento cruciale visto che le contestate presidenziali del 2020 si avvicinano a grandi falcate.

 

22/10/2020 Ore 07:52

“Dal mio cuore”: Bolsonaro sostiene la rielezione di Trump. L’unico capo di stato di un paese sudamericano fino ad ora disposto a sostenere Trump. 

https://www.washingtonexaminer.com/news/from-the-heart-bolsonaro-endorses-trumps-reelection-bid

 

22/10/2020 Ore 07:40

“Fauci è diventato un narcisistico, alla ricerca sempre di attenzioni senza nulla di nuovo da offrire”

“La fine del 2020 non può che arrivare presto, ma purtroppo non ci sono promesse che il nuovo anno ci libererà del dottor Anthony Fauci.

Se l’attuale traiettoria del Coronavirus tiene, vedremo la sua faccia sugli schermi TV e sulle copertine patinate delle riviste finché ognuno di noi non sarà stato esposto al COVID-19. Siamo a 8 milioni di casi confermati. Ne mancano solo 322 milioni!

C’è stato un tempo in cui il santo Fauci, il principale esperto di malattie infettive del nostro governo, era una fonte credibile di informazioni sui rapidi sviluppi della pandemia di coronavirus. Ma quel tempo è finito circa quattro mesi fa…”

https://www.washingtonexaminer.com/opinion/fauci-has-become-an-attention-seeker-with-nothing-new-to-offer

 

 

22/10/2020 Ore 05:16

Obama sta facendo campagna elettorale in Pennsylvania per conto di un desaparecido, Joe Biden. Erano circa 12 le persone presenti. Domanda che sorge spontanea: Con una dozzina di persone presenti a che serve il megafono?

 

22/10/2020 Ore  04:45

“Borat incastra Giuliani: ripreso mentre si tocca” titola una delle testate giornalistiche italiane, copiando il testo dei mass media americani sul presunto scandalo in cui sarebbe coinvolto l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani. Giuliani sarebbe stato scoperto mentre si appartava, con una falsa giornalista, protagonista dell’ultimo film di Sacha Baron Cohen.

Un nutrito stuolo di giornalisti, tra i tanti quelli della CNN, NBC, Politico, Washington Post, c hanno impegnato tutta la settimana sostenendo che la storia del New York Post  su Hunter Biden era “disinformazione russa”; ora invece propongono la bufala su Rudy Giuliani.

Il video di Borat è una montatura. Mi stavo infilando la maglietta dopo aver tolto l’attrezzatura di registrazione. In nessun momento prima, durante o dopo la presunta intervista mi sono comportato impropriamente. Se Sacha Baron Cohen sostiene il contrario, è un bugiardo. Appena ho capito che si trattava di un trucco  ho chiamato la polizia” -Rudy Giuliani

Il presunto video si riferirebbe ad un evento dell’otto luglio scorso durante il quale Giuliani era stato adescato da Borat con il pretesto di una intervista. In quel mentre dopo aver scoperto l’imbroglio Giuliani chiamò la polizia.

Qui l’articolo: https://pagesix.com/2020/07/08/rudy-giuliani-called-the-nypd-on-sacha-baron-cohen-over-prank-interview/

Dopo la prima sbornia, col passare delle ore, a poco a poco, tutti i giornalisti e i presunti esperti di politica, una volta scoperta la bufala, hanno cominciato a cancellare i tweet; gli articoli su questa storia hanno cominciato a sparire. Questa gente sa benissimo cosa vuol dire essere  denunciati presso una corte americana per diffamazione e calunnia per poi vedersi costretti a pagare milioni di dollari per danni morali per calunnia. Consiglierei la cancellazione anche da parte dei nostri intrepidi giornalisti italiani prima che sia troppo tardi; se in dubbio chiedere ai loro modelli gi giornalismo: alla CNN, al Washington Post…

https://www.msn.com/en-us/news/crime/the-washington-post-nick-sandmann-settle-24250-million-lawsuit-out-of-court/ar-BB179ATb

https://www.foxnews.com/media/cnn-covington-nick-sandmann-settlement

 

22/10/2020 Ore  03:23

Attenzione: il Computer portatile di Hunter Biden è collegato ufficialmente ad un inchiesta dell’FBI per riciclaggio di denaro!

https://www.foxnews.com/politics/laptop-hunter-biden-linked-fbi-money-laundering-probe.amp?__twitter_impression=true

 

22/10/2020 Ore  03:23

Il Dipartimento di Stato approva 1,8 miliardi di dollari  di vendita di armi a Taiwan. Gli ultimi fuochi anticinesi sparati da Trump prima di abdicare per Biden, forse…

 

22/10/2020 Ore  03:00

Contrasto fra Trump e l’avatar di Biden; Obama, che in questo momento sta facendo campagna elettorale per conto del suo ex vice presidente in Pennsylvania…

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22/10/2020 Ore  02:51

In questo momento comizio di Trump in Gastonia, North Carolina. Nel frattempo Biden è nascosto nella cantina di casa da tre giorni…

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22/10/2020 Ore  02:39

La costruzione del muro al Confine col Messico è entrato in una fase critica; il lavoro va avanti in una maniera quasi frenetica per completare quante più miglia possibili, prima che Biden arrivi alla Casa Bianca. Al momento di una eventuale amministrazione Biden  a Washington, il progetto del muro verrebbe bloccato istantaneamente.

Aggiornamento:

360 miglia completate
221 miglia in costruzione
157 miglia in fase di pre-costruzione

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22/10/2020 Ore  02:31

Ohio:Il voto anticipato nella contea di Warren (OH) registra un numero record di elettori.

https://local12.com/news/local/early-voting-in-warren-county-sees-record-number-of-voters

Tennessee: Le aree rurali nelle zone dove le votazioni sono già in corso stanno stabilendo il record di di votanti. Ho la sensazione che le élite urbane e burocratiche non hanno idea dell’onda che li sta per travolgere…

https://www.wbir.com/article/news/politics/elections/rural-counties-setting-early-voting-records-but-lines-are-still-moving-fast/51-396d6698-f12f-4bdb-9b5a-b8e9721eab96

 

21/10/2020 Ore  21:33

Tel Aviv: ” Donald Trump, Israele ha bisogno di te per altri quattro anni”

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21/10/2020 Ore  21:30

Il senatore repubblicano Mitt Romney: “Non ho votato per il presidente Trump”

 

21/10/2020 Ore  19:00

“Se vinciamo in Pennsylvania, vinciamo la presidenza”. -Presidente Donald Trump

Il Presidente ha parzialmente ragione, ma senza la Florida e l’Arizona, anche con la Pennsylvania non sarà rieletto..

 

21/10/2020 Ore  18:08

Sono 13 i comizi fino ad ora tenuti da Trump da quando è guarito dal Coronavirus. I dati estrapolati dal Partito Repubblicano sulle persone che hanno partecipato ai comizi ci dice che oltre 167.000 erano presenti ai comizi. Di questi 167,000 partecipanti, il 25% rappresentano nuovi elettori che non hanno mai votato prima. Il 30% non si identifica come Repubblicano, sono un mix quindi fra Democratici e indipendenti.

La base degli elettori di Trump è molto più variegata di quanto i media vogliono far credere.

 

21/10/2020 Ore 16:40

Aggiornamento delle 14:29 data odierna in Florida:

321.007 repubblicani, 279.968 democratici e 111.675 indipendenti hanno votato di persona.

I repubblicani hanno superato i Democratici nei primi 2 giorni di votazioni in persona, ma i Democratici hanno un vantaggio totale di 486.797 voti se includiamo il voto per posta.

Totals: Dem: 1,708,632 (46.5%) Rep: 1,221,835 (33.2%)

Comunque sia dal 2016 ad oggi, il vantaggio Democratico in Florida, nel numero degli iscritti al partito, si è ridotto da 328,000 a 134,000; una diminuzione del 60%!

 

21/10/2020 Ore 07:03

Nuovi elettori iscritti ai partiti dalla fine delle Primarie. Stati Battleground; numeri molto buoni per i Repubblicani che potrebbero avere un impatto positivo sulle presidenziali :

Pennsylvania

Democratici  + 114, 497

Repubblicani+ 215.393

 

Florida

Democratici  + 197, 821

Repubblicani + 344,465

 

Carolina del Nord

Democratici  + 68.817

Repubblicani + 107,908

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21/10/2020 Ore 06:07

Aggiornamento Ghislaine Maxwell!

Tempistica perfetta; in molti tremano. La notizia sta mettendo ansia diversi personaggi, anche politici, e potrebbe avere un impatto sulle elezioni presidenziali: Le trascrizioni delle interviste condotte dagli avvocati con l’ex fidanzata del defunto condannato per molestie sessuali Jeffrey Epstein, devono essere rilasciate giovedì mattina.

L’ordine del giudice distrettuale degli Stati Uniti; Loretta A. Preska, consente il rilascio pubblico delle trascrizioni di due giorni di deposizioni, nel 2016, della socialite britannica Ghislaine Maxwell e dei documenti correlati, insieme alla trascrizione della deposizione di un accusatore anonimo.

https://abcnews.go.com/US/wireStory/judge-orders-speedy-release-ghislaine-maxwell-transcripts-73717681

 

21/10/2020 Ore 06:01

Anna Makanju, esperta legale e direttore “dell’integrità elettorale” per Facebook e stata consulente delle politiche dell’allora Vice presidente Joe Biden per l’Ucraina. Makanju e una pedina di Soros, piazzata dentro Facebook  per manipolare il flusso dei dati e informazioni riguardo le presidenziali del 2020.

Curriculum di Makanju:

-FACEBOOK, GLOBAL POLICY MANAGER, REGOLAMENTO DEI CONTENUTI

-CONSIGLIO NAZIONALE DI SICUREZZA, DIRETTORE PER LA RUSSIA

-MISSIONE DEGLI STATI UNITI ALLE NAZIONI UNITE, SENIOR POLICY ADVISOR

-UFFICIO DEL VICEPRESIDENTE BIDEN, CONSIGLIERE SPECIALE PER LE POLITICHE PER L’EUROPA E L’EURASIA

https://www.pdsoros.org/meet-the-fellows/anna-makanju

 

21/10/2020 Ore 05:32

I democratici sono nei guai in Minnesota: Se paragoniamo le elezione del 2016 con quelle del 2020, nello stesso periodo, i democratici sono giù di quasi 15 punti di percentuale mentre i Repubblicani sono giù solo di un paio di punti . La percentuale fra repubblicani e democratici e ora in Minnesota quasi uguale. Sono cresciuti i voti degli indipendenti. Il Minnesota vota democratico da decenni. L’ultimo repubblicano che ha vinto in Minnesota è stato Richard Nixon nel 1972. Il Minnesota rimane nella casella di Biden, ma la debolezza dei democratici in Minnesota bilancia la debolezza di Trump in Arizona.

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21/10/2020 Ore 05:13

Florida: Secondo giorno del voto in persona: dati delle (23:30) del 20/10/2020

Rep 134.574 (+38.677)

Dem 95.897

Indipendenti 45.604

Totale 276.075

 

Numeri cumulativo (giorno 1 + giorno 2): 

Republicani  287.617 (+39.105)

Dem 248,512

Indipendenti 103.831

Totale 639.960

 

21/10/2020 Ore 05:00

Soldi a disposizione per la campagna presidenziale nelle casse dei due partita da spendere fino alla fine delle elezioni

$ 78.128.419 – RNC (Partito Repubblicano)

$ 63.114.763 – Trump 2020

$ 90.306.941 – Trump Victory

$ 20.082.388 – Trump MAGA

Totale $ 251.632.511

 

$ 98.239.920 – DNC (Partito Democratico)

$ 177.259.299 – Biden 2020

$ 139,467,259 – Vittoria di Biden

$ 13,807,124 – Biden Action Fund

Totale $ 428.773.602

Il doppio dei fondi a disposizione per Biden rispetto a Trump

 

21/10/2020 Ore 04:45

Medie sondaggi negli stati battleground confrontati fra Clinton nel 20 Ottobre del 2016 e Biden il 20 Ottobre 2020 contro Trump.

Pennsylvania: Biden + 3,8  (Clinton + 6,2)

Wisconsin: Biden + 6.2 (Clinton + 6.5)

Ohio: Trump + 0,2 (Trump + 0,4)

Nord Carolina: Biden + 2 (Clinton + 2.8)

Michigan: Biden + 7.3 (Clinton + 12)

Arizona: Biden + 3.1 (Clinton + 1.5)

Florida: Biden + 1 (Clinton + 4)

Georgia: Biden + 7,6 (Clinton + 6,4)

In linea generale Biden, eccetto per l’Arizona e la Georgia, sta mostrando un rendimento leggermente sottotono rispetto alla Clinton. E questo un presagio di sventura per Biden?

 

21/10/2020 Ore 03:07

Ultima ora:

Scandalo Hunter Biden: Rudy Giuliani dice che il computer di Hunter Biden conteneva immagini di ragazze minorenni. Il laptop di Hunter è ora stato consegnato nella mani della Polizia di Stato del Delaware.

 

21/10/2020 Ore 01:15

La campaña de Trump tiene sin duda el mejor esfuerzo de contacto a latinos en la historia. ¡Excelente el nuevo anuncio! La crescente importanza del voto latino in USA…

21/10/2020 Ore 01:01

I repubblicani attualmente sono in vantaggio in Ohio. Per vincere l’Ohio deve  rimane nella casella di Trump.  Ogni dato che conferma la nostra mappa elettorale e` una buona novella per Trump, soprattutto perché, negli ultimi due giorni nell’Ohio Trump cominciava a mostrare segni di debolazza.

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21/10/2020 Ore 00:50

Se Biden dovesse vincere si ritorna al modello neoliberale-neoconservatore. Con l’annuncio dei possibili, papabili, candidati nel Gabinetto di una eventuale amministrazione Biden, tornano in gioco figure come Obama (attraverso la Harris) e Hillary Clinton.  Tra i nomi che vengono proposti ci sono anche “repubblicani” di estrazione neocon come: Meg Whitman, CEO di Qui ed ex CEO di eBay,  l’ex governatore dell’Ohio John Kasich. Menzionati anche il governatore Repubblicano del Massachusetts Charlie Baker e l’ex senatore Repubblicano Jeff Flake (R-Ariz.), così come l’ex rappresentante repubblicano della Pennsylvania, Charlie Dent. Insomma con Biden- Harris si ricostituisce la cricca che ha propinato  guerre e distruzione di intere nazioni negli ultimi 30 anni, con la buona pace di Bernie Sanders.

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20/10/2020 Ore 17:30

Media sondaggi a confronto delle presidenziali a 14 giorni dalle elezioni:

2004: Bush +3,5

2008: Obama +7.2

2012: Romney +0.9

2016: Clinton +6,4

2020: Biden: +10.3

 

20/10/2020 Ore 17:02

Dato interessante: l’indice di approvazione del presidente Trump è di 2 punti superiore a quello di Obama nello stesso periodo nel 2012. 

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20/10/2020 Ore 05:40

I “Mai Trump”,  meglio conosciuti come i “Never Trumpers”, sono un tassello importante del vantaggio di Biden. I never trumpers sono un gruppo di repubblicani che attualmente voterebbe per Biden e rappresenta il 4% di tutti gli elettori a livello nazionale. Se invece votassero per il presidente Trump, la corsa alla presidenza sarebbe in questo momento alla pari. Gente come Cindy McCain, Michael Steele, George Conway e tanti altri hanno pubblicamente affermato il loro sostegno a Joe Biden.

Con “repubblicani” del genere chi ha bisogno dei democratici?

http://politicaliq.com/2020/10/19/never-trumpers-are-key-to-bidens-lead-in-the-polls/

 

20/10/2020 Ore 05:20

Le cose stanno migliorando gradualmente in Nord Carolina per Trump; nelle ultime 24 ore i repubblicani hanno raggiunto i democratici, ma ci vediamo costretti a lasciare lo stato della North Carolina nella casella di Biden poiché attendiamo conferme di  questi dati, se questa tendenza si conferma oppure no, lo sapremo nelle prossime 24-48 ore.

20/10/2020 Ore 04:14

Primo giorno di voto in persona in Florida; alla chiusura dei seggi sono state elaborate 436.000 schede elettorali

Totale: 2.945.510 voti espressi fino ad ora(posta + voto anticipato di persona)

Partito Democratico 1.409.347 (47,8%)

Partito Repubblicano 936.197 (31,8%)

Altri (indipendenti)  520.601 (20,4%)

Gli indipendenti saranno probabilmente quelli che decideranno le sorti delle presidenziali in Florida.

Repubblicani indietro di molto rispetto ai Democratici. Vedremo gli sviluppi nei prossimi giorni. Florida rimane nella casella di Biden.

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20/10/2020 Ore 02:01

Marcia a Washington delle minoranze afro-americane che sostengono Trump. Quest’anno si prevede intorno al 16-18% il sostegno per Trump fra la comunità afro-americana.  Non sembra molto, ma considerando che Romney prese solo il 3% dei voti nel 2012  e Trump 8% nel 2016, le nuovi percentuali vicino al 20% mostrano uno spostamento consistente del voto minoritario versio Donald Trump. Questo voto potrebbe tornare utile a Trump visto che, secondo i sondaggi, Trump ha perso intorno al 15-20% di sostegno nella comunità bianca rispetto al 2016.

 

20/10/2020 Ore 01:50

A proposito di Pennsylvania, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso oggi una sentenza storica che potrebbe stravolgere il voto in Pennsylvania: Ripristina la scadenza originale di una corte inferiore che dava allo stato della Pennsylvania 3 giorni di tempo per contare, dopo la data del 3 novembre, le schede elettorali ricevute. Quindi c’è` la concreta possibilità che il risultato della Pennsylvania, uno stato importantissimo per l’esito finale, non arrivi la notte del 3 Novembre. 

 

20/10/2020 Ore 01:00

La media sondaggi di Biden in Pennsylvania è scesa dal 7,3% di una settimana fa al 3,8% di oggi. Comunque sia Biden rimane favorito in Pennsylvania.

 

20/10/2020 Ore 00:47

Situazione non ribaltata, ma in netto miglioramento per Trump negli stati battleground. La sua media personale e in miglioramento di quasi un punto di percentuale rispetto al 2016, anche se è ancora indietro rispetto al consenso di Biden. Ma qualsiasi movimento in positivo e ossigeno necessario per Trump.

 

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20/10/2020 Ore 00:31

Oggi e` iniziato in voto in persona nei seggi della Florida, stato importantissimo, Joe Biden e assente, asserragliato nella cantina di casa, così Kamala Harris ha preso il suo posto facendo campagna elettorale in Florida. Nel video non si sa chi stai salutando, ma va bene lo stesso..

19/10/2020 Ore 17:27

Aggiornamento Florida 19/10/20:

Democratici 1.227.883 (48,9%)

Repubblicani 757.694 (30,2%)

Un vantaggio di 470.189 per i Democratici

 

19/10/2020 Ore 07:04

Perle di saggezza dal nostro zio Joe: Indossa la mascherina. Lavati le mani. Non Votare Donald Trump.

 

19/10/2020 Ore 06:55

Esattamente quattro anni fa; possibilita di vincere:

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19/10/2020 Ore 06:40

Due foto sintetizzano le difficoltà che Trump sta avendo in Arizona, uno stato importante da vincere, uno stato battleground. La media dei sondaggi nel 2016 rispetto al 2020. Si vede che Trump era davanti alla Clinton in tutti i sondaggi, mentre nel 2020 solo il Trafalgar vede Trump in vantaggio su Biden. 2016 Trump + 4,0-2020 Biden +3,9:

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19/10/2020 Ore 06:18

Joe Biden e la nipote Finnegan si godono un frappè in Durham, Carolina del Nord. Si sentono le domande che i giornalisti pongono a Biden: “Che gusto hai preso?” Un giornalismo inquisitivo di alti contenuti informativi e pertinenti alle presidenziali, soprattutto in luce dello scandalo di Hunter Biden, complimenti a questi professionisti rappresentanti dei mass media…

 

19/10/2020 Ore 06:00

Sono più di 27,5 milioni di persone che hanno già votato alle elezioni presidenziali del 2020:

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19/10/2020 Ore 05:39

Comizi di Trump questa notte a Carson City in Nevada e Newport Beach in California.  Migliaia di persone si sono assiepate ai margini della strada per salutare la carovana di Trump in California.

Carson City:

https://twitter.com/DanScavino/status/1317972831603290114?s=20

Newport Beach:

https://twitter.com/DanScavino/status/1317936275815452673?s=20

 

19/10/2020 Ore 05:26

Sondaggi: gli europei preferiscono, con largo margine, Biden a Trump:

State Biden (%) Trump (%) Pollster
EU 83 17 N/A
Denmark 93 7 YouGov
Finland 88 12 Kantar TNS
Germany 87 13 YouGov
Austria 83 17 Research Affairs
Greece 83 17 ProRata
Spain 81 19 YouGov
Sweden 78 22 YouGov
France 76 24 YouGov
Italy 74 26 YouGov
Netherlands 69 31 Kieskompas
United Kingdom 82 18 YouGov

https://europeelects.eu/2020/10/18/polls-europeans-favour-biden-over-trump-by-wide-margins/

 

18/10/2020 Ore 21:45

ATTENZIONE ALTRO AGGIORNAMENTO IMPORTANTE: CAMBIA LA MAPPA ELETTORALE:

Il North Carolina passa nella casella di Biden. Totale collegio elettorale:

Biden 308-Trump 230

Ci vediamo costretti a cambiare di nuovo la mappa elettorale. I voti per posta e l’apertura dei seggi fisici nella Carolina del Nord mostrano dei numeri drammaticamente negativi per Trump che non possono essere ignorati. Quindi la North Carolina entra nella casella di Biden. Se i dati vengono confermati Trump sarà costretto a vincere in tutti e tre i più importanti “Battleground States” in gioco, cioè Florida, Arizona e Pennsylvania. Teniamo d’occhio anche la Georgia dove, anche li, i Repubblicani hanno mostrato segni di debolezza ma non siamo ancora pronti a spostare la Georgia nella casella di Biden.

 

18/10/2020 Ore 20:11

Media nazionale sondaggi delle presidenziali a 16 giorni dalle elezioni, paragonata alle precedenti elezioni: 

2004: Bush +4

2008: Obama +5

2012: Obama +0.2

2016: Clinton +6,3

2020: Biden: +10.6

La media riflette la nostra mappa elettorale che vede Biden in testa nel conto dei seggi elettorali: Biden 293-Trump 245

 

18/10/2020 Ore 06:37

L’ultimo posto dove ci si aspetta di trovare sostenitori di Trump è Beverly Hills in California, ma contro ogni evidenza esistono dei temerari che sfidano la bestia democratica-liberale nella propria tana…

 

18/10/2020 Ore 06:20

In questa stagione schizofrenica delle presidenziali del 2020, dove tutto e il contrario di tutto pare possibile, non dovrebbe sorprendere se certi ruoli si sono invertiti.

Nel 2012 e nel 2016, i democratici avevano aperto centinaia di sedi di partito in più rispetto ai repubblicani, uffici sparsi sul territorio a sostegno della campagna presidenziale.  Obama aveva 791 uffici nel 2012 rispetto ai 283 di Mitt Romney e Clinton ne aveva aperti 538 nel 2016 contro i 165 di Trump .Nel 2020, Trump ha oltre 300 uffici operanti sul campo, mentre Biden non ne ha quasi nessuno.

La completa mancanza di uffici della campagna elettorale di Biden è spiegata dalla pandemia di coronavirus e non è priva di logica. Secondo un sondaggio il 63% degli elettori è a disagio con i volontari che bussano alla porta di casa. I volontari di Biden inviano sms e chiamano gli elettori tramite telefono; nelle parole della organizzazione di Biden siamo di fronte, “all’operazione di contatto elettorale più innovativa, digitale e tecnologicamente avanzata di sempre.

I volontari di Trump d’altra parte, stanno bussando porta per porta forte dei suoi 307 uffici in 22 stati. Il maggior numero di uffici si trovano in Wisconsin (49), Florida (44) e Pennsylvania (42),

La strategia di Trump nel 2020 sembra chiara: mantenere un’ampia rete di uffici nei tre stati che deve assolutamente vincere. Altri stati con un numero consistente di uffici sono il Minnesota (18), seguito dal Michigan (17), dal Texas (15), Iowa (14), Colorado (14) e Arizona (13). 

Se questa strategia funzionerà oppure no lo sapremo solo dopo il 3 di Novembre…

Sotto, la mappa con i puntini rossi dove sono collocate le sedi della campagna di Trump:

 

18/10/2020 Ore 02:55

ATTENZIONE ALTRO AGGIORNAMENTO IMPORTANTE: CAMBIA LA MAPPA ELETTORALE:

Wisconsin e Ohio vanno nella casella di TrumpNuovo responso dei collegi elettorali: Biden 293-Trump 245

Notte di passione fra sondaggi e metodologie che cominciano a capovolgere la mappa elettorale:

Wisconsin e Ohio vanno nella casella di Trump. Anche in questi stati, come per il Michigan, il voto per posta presenta una sorprendente forza dei Repubblicani. La mappa elettorale del 2016 si sta lentamente ricomponendo nel 2020, con gli stati del Rust Belt che cominciano ad allinearsi in favore di Trump. Detto questo, Trump è ancora indietro e ha bisogno di non perdere nessuno degli stati che sono attualmente dalla sua parte, ma in aggiunta deve raccogliere il collegio elettorale di altri due stati fra la Pennsylvania, la Florida e l’Arizona. Qualsiasi combinazione di due di questi tre stati a favore di Trump cambierebbe la mappa elettorale in maniera decisiva, portando Trump oltre la soglia dei fatidici 270 seggi elettorali necessari alla vittoria. La Pennsylvania, l’Arizona e la Florida vanno delineandosi come gli stati “battleground” per eccellenza. Qui sarà terra di fuoco, dove verrà combattuta la battaglia per la presidenza fino all’ultimo voto.

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18/10/2020 Ore 01:00

ATTENZIONE AGGIORNAMENTO IMPORTANTE: CAMBIA LA MAPPA ELETTORALE:

Il Michigan passa nella casella di Trump. Totale collegio elettorale Biden: 321-Trump 217

Il ritorno delle schede elettorali per posta vede il vantaggio inaspettato dei repubblicani. Più repubblicani hanno votato per posta finora in Michigan che Democratici. Uno shock poiché i democratici per azzerare il voto di persona, preferito dai repubblicani, dovrebbe essere in vantaggio di migliaia di schede per posta.

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18/10/2020 Ore 00:30

In migliaia oggi hanno partecipato a Washington DC alla marcia per le donne. Una marcia anti-Trump che di solito si tiene a Gennaio ma anticipata perché ci sono le presidenziali e in concomitanza con l’udienza per la nomina del nuovo giudice della Corte Suprema.

 

18/10/2020 Ore 00:21

Bruce Springsteen ha minacciato di lasciare gli Stati Uniti e andare a vivere in Australia se Trump dovesse vincere le elezioni. In risposta alle affermazioni di Springsteen, i vigili del fuoco di Miami hanno improvvisato una manifestazione pro-Trump, su barca con il sottofondo di un classico di Springsteen…Born in USA

 

17/10/2020 Ore 23:56

Secondo una ricerca di Rasmussen, in questo ciclo di votazioni presidenziali, gli elettori più silenziosi sono quelli non affiliati a nessuno dei due principali partiti politici. Il 21% di loro afferma che è meno propenso a far sapere agli altri come intende votare. Questo 21% degli aventi diritto al voto, potrebbe essere decisivo nel consegnare la vittoria finale a uno dei due candidati.

 

17/10/2020 Ore 19:00

Ci mancavano solo gli Amish per Trump in Pennsylvania! Il numero di Amish non dovrebbe influire più di tanto sul risultato in Pennsylvania, ma è interessante sapere che il sostegno di Trump include un variegato mondo di culture, razze e religioni. 

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17/10/2020 Ore 17:45

Comizio di Trump a Muskegon, Michigan. Il Michigan è importantissimo per Trump, con le difficoltà di Trump in Arizona, Florida e Pennsylvania, una vittoria in Michigan diventa imperativa per Trump.

 

17/10/2020 Ore 17:37

Le schede elettorali restituite in Florida:

Aggiornamento di oggi; 17/10/20:

Democratici = 1.185.892 (49,1%)

Repubblicani = 726.797 (30,1%)

Democratici in vantaggio di 459.095 schede

Una settimana fa il vantaggio era 55% per i Democratici contro il 29%, i Repubblicani quindi lentamente stanno colmando il gap e i Democratici rallentano. Detto ciò lo stato “battleground” della Florida rimane nella casella Biden.

 

17/10/2020 Ore 17:14

Il direttore della campagna del candidato presidenziale democratico Joe Biden ha messo in guardia dal fidarsi dei numeri dei sondaggi nazionali rilasciati questa settimana che mostrano Biden in vantaggio di doppie cifre sul presidente Trump: “E` un dato di fatto che non siamo avanti di due cifre” ha detto Jen O’Malley “Questi sono numeri gonfiati dai sondaggi pubblici nazionali“.

I sondaggi pubblicati questa settimana da NPR / PBS NewsHour / Marist e NBC News / Wall Street Journal mostrano Biden davanti a Trump dell’11% nei sondaggi nazionali.

 

17/10/2020 Ore 04:12

Trump sembra essere una trottola con le batterie cariche, d’altronde non ha più niente da perdere e si gioca il tutto per tutto in questi ultimi 17 giorni prima delle elezioni. Dopo il townhall, la scorsa notte Trump ha tenuto due comizi; il primo a Ocala in Florida, il secondo a Macon, in Georgia.

Foto degli eventi: 

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La consulente di Trump; Hope Hicks, ritorna in scena dopo il Coronavirus, eccola salutata dalla folla in Florida :

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Il deputato della Georgia, Vernon Jones, che qualche mese fa ha lasciato il partito democratico per unirsi a Tramp, viene portato trionfante a onda dai sostenitori del presidente prima del comizio:

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17/10/2020 Ore 03:26

Una dato che potrebbe avere ramificazioni sulle elezioni presidenziali; l’attuale tasso di disoccupazione è più alto negli stati blue, cioè quelli democratici, rispetto a quelli rossi repubblicani: 10,5% contro il 6,6%. Chiaramente l’economia soffre ancora della crisi economica artificiale, come conseguenza dei lockdown-coronavirus. Prima della pandemia la disoccupazione in america era al tasso di 2,9%.

 

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17/10/2020 Ore 03:00

Annuncio stampa della campagna presidenziale di Joe Biden: L’ex presidente Barack Obama, sarà presente in Pennsylvania il 21 di Ottobre partecipando a comizi di sostegno per Biden-Harris. Questo annuncio lascia pensare che Biden sia meno forte di quanto si pensi in Pennsylvania, di conseguenza vengono dispiegate tutte le armi a disposizione.

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16/10/2020 Ore 20:25

Cominciano a venir fuori i retroscena dei due Townhall: I mass media oggi sono un susseguirsi di apprezzamenti sulla performance di Biden e dall’altro lato critiche pesanti su quella di Trump. La verita però e più complessa della propaganda democratica; per chi ha ascoltato i due incontri il comportamento dei giornalisti mediatori è stato agli antipodi: George Stephanopoulos nei confronti di Biden è stato molto più accondiscendente rispetto a quello della giornalista Savannah Guthrie, accusata di comportamento ostile nei confronti di Trump durante tutta la durata della townhall. Quello che i mass media e la macchina propagandistica democratica non menzionano è che il marito di Savannah Guthrie è stato capo del personale dell’ex vicepresidente Al Gore, durante il ciclo delle elezioni presidenziali del 2000. 

Altro aspetto interessante, almeno due degli “elettori” nella townhall scelti per fare domande a Joe Biden non potevano certo definirsi “disinteressati”; un ex scrittore dei discorsi di Obama, un certo Nathan Osbourn e la moglie di un ex democratico della Pennsylvania di alto profilo, la signora Mieke Haeck. 

Altro punto; George Stephanopoulos, è stato direttore delle comunicazioni per la Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton.

Insomma questi townhall sono stati concepiti e manipolati per mostrare Biden sotto una luce positiva e Trump sotto una negativa.

 

TODAY -- Pictured: Savannah Guthrie on Tuesday Jan. 9, 2018

 

16/10/2020 Ore 19:17

Numeri interessanti da estrapolare ed analizzare. Abbiamo il totale dell’audience che si è sintonizzata a guardare i due confronti televisivi. Biden ha vinto quello sui canali televisivi; la ABC townhall ha attirato 2,3 milioni di spettatori in più rispetto al townhall di Trump sulla NBC. Biden ha raccolto 12,7 milioni di spettatori totali mentre Trump ha raccolto 10,4 milioni nelle stessa (21:00-22:00) fascia oraria. Durante l’intero periodo, la townhall di Biden ha registrato una media di 12,3 milioni di spettatori. Detto questo i numeri degli ascoltatori in streaming favoriscono Trump, 4,7 milioni di spettatori in più rispetto a Biden, un dato questo interessante poiché dovrebbe essere in teoria il contrario, cioè gli spettatori dei canali televisivi tradizionali tendono ad avere una età media più alta rispetto a quelli che guardano in streaming. Questi numeri vanno contro la logica che i sostenitori di Trump hanno un’età media più alta rispetto ai sostenitori di Biden.

 

16/10/2020 Ore 07:30

In attesa di conoscere il numero di spettatori televisivi delle Town Hall di Trump e Biden trasmesse in contemporanea, abbiamo già i primi risultati del numero di spettatori sintonizzati sui canali youtube che hanno trasmesso gli incontri in diretta; il risultato e assolutamente a favore di Trump. Molte più persone si sono sintonizzate a guardare Trump su youtube che Biden. La differenza è abissale e deve essere tenuta conto nel quadro della metodologia che predice il vincitore delle elezioni. Il numero più alto di spettatori su youtube per Biden è stato 28,000 mentre per Trump e stato di 712,000. 

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16/10/2020 Ore 05:25

Video della campagna elettorale di Trump che fa appello alla comunità cubana della Florida. Trump per vincere in Florida ha bisogno di tutti i voti latini possibili.

 

16/10/2020 Ore 05:17

Aggiornamento voto per posta: Democrati avanti a tutta velocità, repubblicani indietro di molto. Si spera per i Repubblicani che il voto di persona bilanci il voto per posta.

Nord Carolina:

Rep: 96,051

Dem: 269,844

Indipendenti: 165,857

 

Pennsylvania:

Rep: 82,468

Dem: 393,233

Indi: 39,193

 

Maine:

Rep: 24,000

Dem: 77,990

Indi: 27,094

 

Iowa:

Rep: 88,366

Dem: 189,066

Indi: 47,231

 

16/10/2020 Ore 04:45

La scorsa notte, un cartellone pubblicitario sul Sunset Boulevard a Hollywood e stato hackerato e trasformato in un mostruoso pezzo di propaganda anti-Biden.

Il gigantesco cartellone pubblicitario si trova in cima al nightclub Whiskey a Go Go, e pubblicizzava Swamp Thing, una serie televisiva di orrore. Lavorando tutta la notte un gruppo segreto di artisti di strada noto come “The Faction” ha sopraposizionato la faccia di Biden su quella della “vera” creatura del Swamp Thing. La scritta dice “Joe Biden e il mostro della palude, nascondete i figli e le mogli”

Joe Biden as Swamp Thing

 

16/10/2020 Ore 04:06

Questa notte, al posto del dibattito che si sarebbe dovuto tenere e poi cancellato dal fatto che Trump e risultato positivo al coronavirus, si sono tenuti due cosiddette “TownHall”, dove sia Trump sul canale NBC, sia Biden sulla ABC, allo stesso momento, si sono confrontati con un moderatore e domande fatte dal pubblico presente in studio. 

Quando saranno disponibili, sarà interessante vedere i numeri di ha raccolto più ascoltatori fra le due contemporanee, anche questo e un modo di fare sondaggio.

Screen Shot 2020-10-15 at 9.15.22 PM

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15/10/2020 Ore 19:35

Brutte notizie per Trump: In Georgia i numeri alti di votanti, soprattutto nelle città e il numero alto di schede elettorali completate e rispedite, sembrano favorire Joe Biden. Fino ad ora i partecipanti al voto sono, in numero più alto, quelli iscritti al partito democratico che a quello Repubblicano. La perdita della Georgia comporterebbe per Trump un ostacolo difficile da superare. 

Ora le notizie positive: Secondo i dati da noi elaborati, Trump sta mostrando vitalità sia in Michigan sia nel Nuovo Messico. In particolare il Michigan sembra decisamente spostarsi nella casella di Trump. Ecco i dati elaborati per il Nuovo Messico:

Statistiche degli iscritti ai partiti:

 

2016

Democratici =599813 (47%)

Repubblicani =399930 (31%)

Altri = 289.677 (22%)

 

2020 a partire dal 30/09/2020

Democratici = 503.039 (45,4%)

Repubblicani = 413.605 (31,1%)

Altri =312.231 (23,5%)

 

Guadagno netto Democratici 2016-2020: +3.226

Guadagno netto Repubblicani 2016-2020: +13.675

Altri Partiti 2016-2020: +22.554

 

Risultati delle ultime 3 elezioni

2008: D= 56,91%, R = 41,78%

2012: D= 52,99%, R =42,84%

2016: D= 48,26%, R =40,04%, 

 

Il voto per i  Democratici è sceso nelle ultime 3 elezioni consecutivamente. Nel 2016 il libertario Gary Johnson (ex governatore del Nuovo Messico) ha ricevuto 74.541 voti. I voti di Trump più quelli di Johnson hanno superato il voto di Clinton.

Clinton ha battuto Trump di 65.567.

L’affluenza alle urne nel 2016 nel Nuovo Messico è stata del 55% della popolazione con diritto di voto (al 45 ° posto più alto negli Stati Uniti).

Il Nuovo Messico ha una percentuale più alta di residenti latini rispetto a qualsiasi altro stato.

Mentre il Nuovo Messico ha orbitato dalla parte di Biden, non è da escludere una sorpresa a Novembre. Aspettatevi che i risultati siano molto più vicini rispetto al 2016 con Johnson non presente nella scheda elettorale. Probabilmente parliamo di 1-2 punti di differenza fra Biden e Trump. In altre parole il Nuovo Messico è alla portata di Trump.

Ora un aggiornamento dalla Florida:

Ecco i numeri delle schede del voto per posta rispedite indietro dagli elettori. Il vantaggio per i Democratici è alto; per questo motivo al momento attuale non possiamo considerare la florida appannaggio di Trump. Epperò due considerazioni da tenere presente: la prima, con il passare dei giorni il vantaggio dei Democratici sta diminuendo; secondo il vantaggio del voto per posta può essere compensato dai Repubblicani da quello nei seggi di persone, il modo di votare preferito dai Repubblicani in Florida. 

In Totale il  33,9% delle schede Voto Per Posta (VPP) a questo punto  è stato rispedito indietro .

Il 31,9% delle schede Repubblicane è stato restituito mentre il 37,7% delle schede Democratiche è stato restituito.

14/10/20: REP – 564.361, DEM – 967.036, vantaggio di 402.675 per DEM,  50,4% – 29,4%

13/10/20: REP – 519.876, DEM – 904.217, vantaggio di 384.341 per DEM,  50,7% -29,2%

12/10/20: REP – 487.754, DEM – 850.328, vantaggio di 362.574 per DEM, dal 50,9% al 29,2%

11/10/20: REP – 483.090, DEM – 841.355, vantaggio di 358.265 per DEM, dal 50,9% al 29,2%

10/10/20: REP – 450.447, DEM – 791.730, vantaggio di 341.283 per DEM, dal 51,1% al 29,1%

09/10/20: REP – 396.499, DEM – 707.505, vantaggio di 311.006 per DEM, dal 51,6% al 28,9%

08/10/20: REP – 337.927, DEM – 612.982, vantaggio di 275.055 per DEM, dal 52,0% al 28,7%

07/10/20: REP – 269.817, DEM – 497.324, vantaggio di 227.507 per DEM, dal 52,4% al 28,5%

06/10/20: REP – 197.449, DEM – 372.096, vantaggio di 174.647 per DEM, dal 53,0% al 28,1%

05/10/20: REP – 157.855, DEM – 305.982, vantaggio di 148.127 per DEM, dal 53,5% al ​​27,6%

04/10/20: REP – 145.798, DEM – 282.169, vantaggio di 136.371 per DEM, dal 53,7% al 27,7%

03/10/20: REP – 126.799, DEM – 244.806, vantaggio di 118.007 per DEM, dal 53,5% al ​​27,7%

02/10/20: REP – 92.935, DEM – 183.972, vantaggio di 91.037 per DEM, dal 54,0% al 27,2%

01/10/20: REP – 65.516, DEM – 126.602, vantaggio di 61.086 per DEM, dal 53,4% al 27,7%

30/09/20: REP – 36.075, DEM – 70.349, vantaggio di 34.274 per DEM, dal 53,3% al 27,3%

29/09/20: REP – 9.330, DEM – 18.190, vantaggio di 8.860 per DEM, dal 53,5% al ​​27,5%

28/09/20: REP – 2.272, DEM – 3.555, vantaggio di 1.283 per DEM, dal 47,7% al 30,5%

27/09/20: REP – 2.165, DEM – 3.411, vantaggio di 1.246 per DEM, dal 47,9% al 30,4%

26/09/20: REP – 1.983, DEM – 3.184, vantaggio di 1.201 per DEM, dal 48,2% al 30,0%

25/09/20: REP – 754, DEM – 1.673, vantaggio di 919 per DEM, da 55,0% a 24,8%

 

15/10/2020 Ore 07:42

Comizio elettorale di Trump questa notte a Des Moines in IOWA, tra i presenti c’era anche Abraham Lincoln:

https://twitter.com/i/status/1316585625919860738

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15/10/2020 Ore 05:30

Interessante mappa che mostra gli appuntamenti in campagna elettorale di Donald Trump: 

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In rosso tutte le località dove i volontari sono più attivi nel contattare i cittadini e dove i soldi della campagna stessa sono spesi in maniera più consistente. 

Dalla mappa si notano delle certezze e delle stranezze: Chiaramente si nota come gli stati del “Rust Belt” sono ricoperti di puntini rossi. Ciò indica che la vittoria di Trump dovrà passare gioco forza per questi stati (Michigan-Wisconsin-Ohio-Pennsylvania).

La Florida, dalla folta presenza di puntini rossi è chiaramente considerata uno stato “battleground” che vede Biden in vantaggio e che richiede ulteriori sforzi da parte dei Repubblicani per cercare di riportare la Florida nel campo repubblicano. 

Di rosso sono coperti anche gli stati della Nord Carolina e della Georgia, questo significa che la campagna di Trump considera questi stati in pericolo. 

Altro stato dove lo scontro si è fatto aspro e` il Texas che in questi anni si è trasformato da stato conservatore a stato in bilico. 

Gli stati in bianco, cioè senza rosso, sono gli stati dove Trump è sicuro di vincere,  oppure è talmente certo della sconfitta che perdere tempo e denaro in questi stati non vale il risultato possibile. Le risorse a disposizione possono essere riversate ed indirizzate su altri stati.

Quello che sorprende sono il Nuovo Messico e l’Arizona. Il Nuovo Messico in quanto dovrebbe essere uno degli stati sicuri in mano democratica; ma se i repubblicani spendono denaro e risorse umane, vuol dire che il Nuovo Messico è in gioco. 

Il rosso in Arizona non sorprende e conferma che questo stato non è più al sicuro per i repubblicani e di conseguenza richiede la massima attenzione della campagna di Trump. 

C’e molto rosso anche in Nevada. Il “Silver State” è in mano ai democratici che hanno vinto negli ultimi anni le elezioni, ma la pesante presenza della macchina elettorale di Trump in Nevada vuol dire che i Repubblicani sono convinti di avere la possibilità di catturare parte dell’elettorato Democratico.

Il Rosso in California può ingannare,  non vuol dire che lo stato del “Golden Gate’ sia in gioco; vuol dire piuttosto che pure nella democraticissima California ci sono elezioni locali alla Camera papabili per i Repubblicani.

 

14/10/2020 Ore 19:34

Questa mattina è scoppiato lo scandalo Hunter Biden (figlio di Joe Biden); il New York Post ha pubblicato una serie di email e foto che compromettono la famiglia Biden.

Hunter Biden presentò suo padre, l’allora vicepresidente Joe Biden, a un alto dirigente di una società energetica ucraina meno di un anno prima che l’anziano Biden facesse pressioni sui funzionari del governo ucraino affinché licenziassero un procuratore che stava indagando sulla società, secondo le e-mail ottenute da Il Post.

L’incontro, mai rivelato prima, è menzionato in un messaggio di apprezzamento che Vadym Pozharsky, un consigliere del consiglio di Burisma, avrebbe inviato Hunter Biden il 17 aprile 2015, circa un anno dopo che Hunter era diventato membro del consiglio di Burisma con uno stipendio di  $ 50.000 al mese.

“Caro Hunter, grazie per avermi invitato a Washington e per aver dato l’opportunità di incontrare tuo padre e di aver passato [sic] un po ‘di tempo insieme. È una realtà [sic] un onore e un piacere “, si legge nell’email.

I maggiori network stanno cercando di coprire lo scoop ma il danno per la famiglia Biden è fatto. Al di là delle email, le foto pubblicate di Hunter sono a dir poco imbarazzanti: 

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https://nypost.com/2020/10/14/email-reveals-how-hunter-biden-introduced-ukrainian-biz-man-to-dad/

https://www.dailymail.co.uk/news/article-8838939/Joe-Biden-met-son-Hunters-Ukrainian-energy-contacts.html?ito=social-twitter_dailymailus

 

 

14/10/2020 Ore 16:15

Continua l’udienza per la conferma del giudice Amy Coney Barrett alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Ricordo che la Corte Suprema potrebbe avere un ruolo determinante nella scelta del presidente degli Stati Uniti qualora le elezioni si rivelassero contestate. L’eventuale conferma della Barrett porterebbe il numero dei giudici conservatori della corte a 6, consegnando ai conservatori di fatto una maggioranza a tenuta ermetica

Siamo al terzo giorno di testimonianze, potete seguire la diretta su youtube: 

 

14/10/2020 Ore 06:04

Questo è un video di cittadini in fila a votare nel paese di Suwannee nello stato della Georgia, non lontano da Atlanta, dove si può già votare di persona. Si parla di oltre sei ore di attesa. Il numero di persone è enorme ed è una ulteriore prova che queste presidenziali vedranno una partecipazione storica degli elettori americani: 

Secondo il giornale di Atlanta; circa 128.000 elettori si sono recati alle urne lo scorso lunedì con un’affluenza maggiore rispetto a qualsiasi precedente elezione in Georgia. La Georgia è uno degli Stati dove si può votare già di persona. 

Il numero di votanti lunedì ha superato quello delle elezioni del 2016, nello stesso periodo infatti, quattro anni fa, l’affluenza alle urne aveva raggiunto 91.000 votati, un ulteriore segno che queste saranno delle elezioni storiche. 

A proposito di elettori; un numero alto di votanti nei centri urbani, dove il sostegno a Biden è più sostenuto di quello per Trump, potrebbe essere un fattore negativo per the Donald, un presagio di sconfitta: 

https://www.ajc.com/politics/start-of-georgia-early-voting-brings-in-high-turnout-of-128k-voters/3WJRO2L4I5CPNDH6JVL42VQUNE/

 

14/10/2020 Ore 05:50

I vertici del Partito Repubblicano, prima di ogni comizio di Trump, fanno un censimento di chi partecipa al comizio stesso. Dati interessanti vengono estrapolati e pubblicati per rendere più chiaro il profilo dei partecipanti:

In Pennsylvania secondo le RNC:

Il 26,8% si è dichiarato NON repubblicano

Il 19,9% dei presenti erano Democratici

Il 22,5% dei presenti non ha votato nel 2016

Il 15,3% non ha votato nelle ultime 4 elezioni

Sono dati interessati che ci danno una idea di quanto variegato sia il sostegno a Trump nonostante i mass media cercano di sopprimere l’idea di un Trump che cresce fra gli elettori indipendenti e democratici.

 

14/10/2020 Ore 05:26

Comizio di Trump questa notte a Johnstown, Pennsylvania, uno stato importantissimo per le elezioni, uno stato che insieme ad altri 3-4 stati incarna il concetto di stato “battleground”. Il risultato delle presidenziali passa, nel bene o nel male, dal Keystone State.

Alcune foto del comizio di questa notte:

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Trump super-fan dresses boy as president at rally in Johnstown, Pa., where an estimated 10,000 supporters showed up. (Photograph by S.A. Miller/The Washington Times)

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13/10/2020 Ore 18:27

L’entusiasmo per zio Joe Biden e dirompente e contagioso, non ci sono parole per descrivere l’atmosfera di festività che circonda il candidato democratico…

 

13/10/2020 Ore 18:11

Buone notizie per Trump arrivano dal Nevada:Secondo nuovi dati pubblicati oggi sul “The Nevada Poll”, il presidente Donald Trump e il candidato democratico Joe Biden sono testa a testa in Nevada. Il sondaggio, condotto da WPA Intelligence per conto del Review-Journal e AARP Nevada, ha intervistato 512 probabili elettori del Nevada dal 7 all’11 ottobre, con il 44% che ha dichiarato che avrebbe scelto Biden e il 42% a sostenere Trump. Il vantaggio di Biden rientra nel margine di errore del sondaggio di 4,4 punti percentuali. 

Questo sondaggio mi piace perché è condotto da una testata giornalistica locale. I sondaggi condotti a livello locale sono più attendibili di quelli condotti da grosse agenzie nazionali poiché comportano una conoscenza molto più dettagliata e intima del territorio e della popolazione locale.

https://infogram.com/nv-poll-q4-10-20-1h7z2lyx0p9y4ow

Comunque sia per il momento la nostra proiezione del collegio elettorale non cambia: 337 per Biden- 201 per Trump.

 

13/10/2020 Ore 5:13

E stato un weekend di passione (all’incontrario) anche per Biden costellato da una gaffe dopo l’altra:

 Biden dimentica il nome di Mitt Romney:

Mi sono messo nei guai quando stavamo (Biden-Obama 2012) correndo contro il senatore che era un mormone, il governatore..” ha detto Biden riferendosi a Romney.

https://twitter.com/TrumpJew/status/1315685979668312070?s=20

Qui invece si dimentica che sta correndo per la presidenza non il senato:

Joe Biden: “Mi candido come un orgoglioso democratico per il Senato

Nella notte si e tenuto in Florida, di fronte a 20,000 persone, il primo comizio di Trump da quando si e ammalato di Coronavirus. L’entusiasmo è alle stelle e Trump sembra in grand forma:

 

 

https://twitter.com/DanScavino/status/1315845267376218118?s=20

 

Foto dell’evento:

Poll: The Shy Trump Vote Is Bigger This Year...And Who Falls into This Category Should Terrify Democrats

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Non sono mancati neanche gli insulti al giornalista della CNN; Jim Acosta, i sostenitori di Trump cantano “la CNN fa schifo” in diretta televisiva :

 

12/10/2020 Ore 19:11

E stato un fine di settimana pieno di cortei pro-Trump sparsi per l’america incluso in stati estremamente liberali come le Hawaii e la California. Non sono mancati neanche i Gay per Trump, le comunità degli ebrei ortodossi, i vietnamiti, i Sikhs e tanti altri:

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E non mancava il sostegno a Trump style Wyoming…

 

C’erano anche i TIR per Trump in Oklahoma:

https://twitter.com/jacobkschneider/status/1315006502428647426?s=20

 

12/10/2020 Ore 17:48

Continua il voto anticipato in Virginia; foto che provengono dalle emittenti locali mostrano un numero altissimo di persone in fila a votare. L’attesa sarebbe almeno di due ore. Tutto ciò fa pensare che, nonostante il Coronavirus, queste presidenziali del 2020 saranno le lezioni con la partecipazione più alta della storia americana.

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12/10/2020 Ore 06:07

Riprende la corsa a pieno ritmo di Trump dopo la guarigione a tempi record dal Coronavirus. Riprendono di conseguenza i comizi pubblici del Donald di fronte a migliaia di sostenitori. Oggi Trump sara in Florida ma non solo: 

Lunedì – Sanford, Florida

Martedì – Johnstown, Pennsylvania

Mercoledì – Des Moines, Iowa

Giovedì – Greenville, North Carolina

 

12/10/2020 Ore 05:44

Altro sondaggio interessante; alla domanda “Chi pensi i tuoi vicini sostengono per la presidenza?” Ad Agosto 2020, il 39% delle pesone interpellate pensava che il vicino di casa avrebbe votato per Trump, oggi la percentuale è cresciuta al 49% mentre Biden riceve solo il 38%. Tutti i sondaggi ci dicono che Biden sta vincendo la corsa alla presidenza, ma per qualche motivo la gente ha l’impressione che la maggior parte dei suoi vicini voterà per Trump. Potrebbe essere questo dovuto al fatto che le persone interpellate dai sondaggi non abbiano voglia di esprimere un parere diretto su chi intendono realmente votare? Può questo sondaggio essere una ulteriore conferma di un sostegno sotterraneo, nascosto, sopresso, nei confronti di Trump?

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12/10/2020 Ore 05:16

Nelle analisi di previsione sull’esito delle presidenziali si notano dei miglioramenti da parte di Donald Trump. Il fatto che si sia prima ammalato di Coronavirus e poi si sia ripreso velocemente contribuisce ad alimentare una reputazione da duro, da tenace, che associata ad una buona prestazione da parte del vicepresidente Mike Pence nel confronto televisivo con Kamala Harris fa salire l’indice di gradimento dell’attuale amministrazione. In particolare la Florida sembra essere di nuovo in gioco per Trump. Le nostre analisi non tengono solo conto dei sondaggi ma se dobbiamo includere i soli sondaggi; quelli fatti da entità locali sono più attendibili di quelli fatti da grosse organizzazioni a livello nazionale. Sotto un sondaggio condotto da una stazione locale della Florida (canale Fox35 di Orlando); Trump e avanti di 3 punti:

 

11/10/2020 Ore 04:33

Dopo essere guarito dal Coronavirus in tempi e modi quasi miracolosi, grazie alla cure di nuovi rivoluzionari trattamenti come il  REGN-COV2, riparte la rincorsa di Trump verso il traguardo presidenziale. 

Il REGN-COV2 è una combinazione di due anticorpi monoclonali; è stato progettato specificamente per bloccare l’infettività di SARS-CoV-2, il virus che causa il Covid-19.   REGN-COV2; è un farmaco sperimentale sviluppato dalla società biotecnologica americana Regeneron Pharmaceuticals.

Come risultato della ritrovata vitalità Donald Trump riprenderà i comizi pubblici, così tanto amati dal presidente americano. Prima tappa lunedì 12 ottobre a Sanford, in Florida. La Florida è uno stato importantissimo per conseguire la vittoria; senza la Florida e la Pennsylvania Trump non ha modo di raggiungere il fatidico numero di 270 seggi elettorali necessari a vincere le elezioni. A proposito riportiamo dei dati interessanti che potrebbero influire sul voto finale in Florida: 

2008-Vantaggio degli iscritti al partito Democratico rispetto a quello Repubblicano: 694.147. Risultato elettorale: Obama vinse per 236.148 voti

2012-Vantaggio iscritti al partito Democratico rispetto a quello Repubblicano: 558.272. Risultato: Obama vins per 74.309

2016-Vantaggio iscritti al partito Democratico rispetto a quello Repubblicano: 330.428. Risultato: Trump vince per 112.991

2020-(Dati del 09/10/2020) Vantaggio iscritti al partito Democratico rispetto a quello Repubblicano: 136.294. Risultato: ???

Se il trend continua dobbiamo dedurre che Trump potrebbe vincere in Florida con un vantaggio di circa 250 mila voti. Staremo a vedere.

 

10/10/2020 Ore 08:30

Ci sono voluti un paio di giorni per valutare l’impatto che il dibattito tra Mike Pence e Kamala Harris ha avuto nei sondaggi e nella metodologia di previsione del collegio elettorale: Grossi spostamenti non sembra essercene stati, quindi possiamo dire che il dibattito tra i vicepresidenti non ha spostato di molto l’ago della bilancia nelle nostre previsioni sui collegio elettorale. Però qualcosa di positivo per Trump negli ultimi due giorni si è notato.

Sotto vi presento dati non direttamente legati alla preferenza del voto, piuttosto sondaggi che riguardano delle opinioni a margine della corsa presidenziale, però se analizzati bene questi dati potrebbero aprire una finestra alternativa sul reale sostegno di cui Trump gode fra gli elettori americani. Da notare quando il soggetto non include direttamente la corsa fra Biden e Trump i numeri sembrano favorire Trump.

Fonte Gallup:

 

  1. Il 56% degli americani afferma di stare meglio ora rispetto a 4 anni fa
  2. Il 56% degli americani pensa che Trump vincerà la rielezione
  3. Trump ha il 45-50% di approvazione sull’economia, il tema più importante per gli elettori.
  4. Il tasso di disoccupazione è del 7,9% (in calo dal 14,2% di aprile). Obama aveva  lo stesso tasso nel 2012 senza il COVID19
  5. Il tasso di crescita del PIL sarà pubblicato alla fine di questo mese. La Fed di Atlanta prevede un + 32% (un record)
  6. Il 56% degli americani afferma di stare meglio ora con Trump rispetto a quattro anni fa con Obama- Biden.

 

Se questo sondaggio dovesse rivelarsi accurato, ciò significherebbe un livello di sostegno molto più elevato per Trump fra gli elettori di quanto possa sembrare. Detto questo la nostra previsione della mappa elettorale al momento attuale rimane immutata: 337 per Biden- 201 per Trump.

 

10/10/2020 Ore 08:06

Nel bene o nel male la vittoria per Trump passa dalla Pennsylvania; senza una vittoria nello stato del “Keystone” per Trump è quasi impossibile vincere. I sondaggi favoriscono ancora Biden ma i dati sulla iscrizione a i partiti lascia i democratici indietro rispetto ai Repubblicani. Dal 2016 i Repubblicani hanno guadagnato +75,281 nuovi iscritti mentre i Democratici hanno perso -91,567 iscritti. Hanno guadagnato anche gli indipendenti con  +42,035 iscritti.

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08/10/2020 Ore 05:59

Dovremmo aspettare qualche ora per sapere se il dibattito vice presidenziale ha spostato l’ago della bilancia nei sondaggi a favore di un candidato o di un altro. La mia opinione e che in questa calcificata, asserragliata, pazza stagione politica americana, le divisioni sono talmente profonde che il dibattito non abbia influito granché nello smuovere l’opinione degli elettori. 

 

08/10/2020 Ore 04:43

Il dibattito tra Mike Pence e Kamala Harris e` terminato. E stato un dibattito molto più efficace, meno confusionario, di quello presidenziale fra Trump e Biden. Sia la Harris che Pence hanno avuto ampio spazio di manovra per spiegare le loro politiche, trovando anche il modo di sferrarsi qualche pugno sotto la cintura. Comunque sia il dibattito non e mai degenerato ed è rimasto su binari civili.

 

08/10/2020 Ore 01:50

I dettagli del dibattitto fra Pence e Harris:

La durata e di 90 minuti, diviso in nove segmenti e ogni candidato avrà due minuti per rispondere alle domande

Pence e Harris saranno separati da un divisorio in plexiglass.

Il dibattito come ho detto prima è moderato da Susan Page, capo dell’ufficio di Washington per il USA Today

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08/10/2020 Ore 01:20

Mancano meno di due ore al dibattito televisivo in Utah tra il vicepresidente Mike Pence e l’aspirante vice presidente Kamala Harris. Sara l’unico dibattito tra i candidati alla vicepresidenza. Un dibattito questo che assume una importanza enorme per due semplici motivi: Il Primo; gli elettori sono curiosi, dopo il disastroso dibattito fra Trump e Biden, di conoscere meglio l’agenda e le differenze politiche e geopolitiche delle due potenziali amministrazioni. Secondo; con la salute mentale e fisica in fase di declino di Joe Biden, si presume che la Harris assumera` un reale potere decisionale nella nuova amministrazione, potrebbe addirittura diventare la Presidente, quando fra un paio d’anni, Biden abdicasse per motivi di salute.

Dato curioso che lascerà` sicuramente  molti strascichi il dopo dibattito: La moderatrice del di questa sera e Susan Page. I repubblicani temono che la Page non sarà` imparziale visto che sta scrivendo una biografia su Nancy Pelosi…

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07/10/2020 Ore 18:20

Gli elettori che hanno votato negli Stati dove il conteggio e gia inziato sono 5.515.612. In Blue gli stati dove sono gia` in corso le votazioni: 

 

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07/10/2020 Ore 18:06

Secondo delle analisi fatte;  l’11,7% degli elettori repubblicani afferma che non riferirebbe le proprie opinioni politiche sul candidato alla presidenza ritenendo troppo pericoloso qualsiasi espressione di sostegno a Donald Trump, per questo motivo qualsiasi sondaggio che non  prende in considerazione il fatto che quasi il 12% dell’elettorato repubblicano non esprime pubblicamente il suo sostegno per Trump e carente nella metodologia.

 

06/10/2020 Ore 11:55

Confronto medie dei sondaggi nei cosidetti “Battleground States”:

6 Ottobre 2016
• Florida: Clinton +2,5
• Pennsylvania: +5,7
• Michigan: +7,0
• Wisconsin: +6,6
• Nord Carolina: +1,7

6 Ottobre 2020
• Florida: Biden +3.4
• Pennsylvania: +6,6
• Michigan: +7,3
• Wisconsin: +6,9
• Nord Carolina: +2,1

 

06/10/2020 Ore 10:10

Di solito una  metodologia seria per prevedere il risultato delle presidenziali non si deve esclusivamente basare su i sondaggi, però vorrei lo stesso menzionare questo sondaggio per due motivi: Il primo e uno dei più attendibili, seri e migliori in circolazione, condotto da una compagnia che pubblica dati storici attendibili (Suffolk / USA Today), secondo apre una finestra sulla ripartizione demografica del voto:

Uomini
Biden: 42%
Trump: 47%

Donne
Biden: 49%
Trump: 44%

Bianchi
Biden: 41%
Trump: 57%

Neri
Biden: 81%
Trump: 3%

Ispanici
Biden: 46%
Trump: 42%

 

06/10/2020 Ore 01:35

Sotto trovate le precedenti medie storiche dei sondaggi a 29 giorni dalle elezioni presidenziali. Eccetto per Clinton 2016, tutte le altre si sono rivelate precise:

2020: Biden +8,3

2016: Clinton +5,8

2012: Obama +0,5

2008: Obama +6,2

2004: Bush +1,8

 

05/10/2020 Ore 23:55

Buone notizie per i Repubblicani nel numero dell’iscrizione ai partiti di nuovi votanti nell’importantissimo stato “Battleground” della Pennsylvania: Nel periodo che va dal 28 di Settembre ad oggi, cioè 05 Ottobre, i numeri sono positivi:

Democratici +24,217 nuovi iscritti

Repubblicani +27.997nuovi iscritti

I repubblicani hanno un guadagno netto di 3,700 nuovi elettori.

La nostra previsione della mappa elettorale però per il momento non cambia, la Pennsylvania rimane nella casella democratica: 337 per Biden – 201 per Trump.

 

05/10/2020 Ore 18:30

Buone notizie per Trump: Aggiornamento della iscrizione ai partiti nella contea di Maricopa in Arizona. Maricopa e la contea dove si trova la città di Phoenix ed la contea con la  più alta incidenza di elettori Democratici dell’Arizona:

(Dal 4 di Agosto al 4 di Ottobre)

Dem. +34.405

Rep.  +48.180

Guadagno Netto: Repubblicani +13.875

Nonostante ciò manteniamo per il momento l’Arizona nella casella elettorale di Biden in attesa di altri dati, ma Trump si sta avvicinando a grandi falcate. Vi ricordo che senza l’Arizona per Trump e quasi impossibile vincere: L’Arizona e uno stato importantissimo nella matematica del collegio elettorale soprattutto ora che Trump dimostra molta debolezza in Florida.

La mappa del collegio Elettorale rimane per il momento immutata: 337 per Biden- 201 per Trump.

 

05/10/2020 Ore 18:10

L’addetto stampa della Casa Bianca; Kayleigh McEnany e`risultata positiva al COVID.

 

05/10/2020 Ore 02:55

Brutte notizie per Trump arrivano dalla Florida. Il conteggio delle schede elettorali inviate per posta è già cominciato e i numeri per i Repubblicani sono negativi. Ricordo che senza la Florida per Trump la strada verso la vittoria è praticamente sbarrata.

I dati si riferiscono al 01/10//2020: 

Totale Repubblicani = 65,51  

Democratici = 126,602. 

I Democratici sono in vantaggio di 61,086 voti.

Totale percentuale:  53.4% per i Democratici – 27.7% per i Repubblicani. 

Detto questo due fattori attenuano la negatività dei numeri: primo, i dati storici del voto della Florida ci dicono che tradizionalmente i Democratici, con il voto per posta, partono avvantaggiati. Con il passare del tempo però i Repubblicani tendono a ridurre o addirittura azzerare, nel giorno delle elezioni del voto in persona, lo svantaggio nel conteggio dei voti. Secondo fattore mitigante; un consistente numero dei ballottaggi  finora restituito per posta proviene dalla Contea di Broward, un caposaldo del partito Democratico. Quindi i dati sono per il momento negativi ma lasciano degli spiragli di luce per i Repubblicani. Nonostante ciò ci vediamo costretti a cambiare la Florida da Repubblicana a Democratica e di conseguenza la nuova mappa elettorale e la seguente: 337 per Biden, 201 per Trump.

Il mistico Steve Bannon, di Rod Dreher

Qui sotto un interessante articolo che offre una prima analisi dei fondamenti culturali ed ideologici che guidano l’azione di Steve Bannon. Da circa tre anni la figura di Bannon ha suscitato una crescente curiosità in Italia; a questo non ha corrisposto nessun tentativo serio di analizzare il filo conduttore che ha guidato i suoi atti; ci si è affrettati piuttosto ad etichettarlo frettolosamente di volta in volta come ideologo della destra più retriva e razzista, come alter ego di Trump, come suo consigliere ed ideologo, come suo uomo ombra. La tentazione di affibbiare le etichette più estreme, come quelle di “suprematista” rappresenta un comodo rifugio per sopravvalutare movimenti al momento del tutto minoritari ed esorcizzare e demonizzare l’avversario. Etichette che rivelano in realtà la scarsa conoscenza delle dinamiche politiche statunitensi, il provincialismo nostrano e soprattutto la scarsa propensione ad individuare le dinamiche che consentirebbero alla nostra classe dirigente una maggiore autonomia di azione. L’avvento ed il successo di Trump ha risvegliato negli Stati Uniti gli ambienti più diversi ed eterogenei da anni annichiliti dal predominio neocon e democratico globalista; come solitamente accade, alcuni di questi lo hanno sostenuto convintamente, altri ne hanno preso atto, altri ancora ci si sono infilati con obbiettivi opposti e contrari ai propositi presidenziali. In una situazione così confusa e caotica, comune ai due schieramenti politici, Trump ha rivelato una certa sagacia tattica ed una notevole capacità di resistenza; non è stato in grado per evidenti suoi limiti di amalgamare queste realtà ed offrire loro una prospettiva politica sufficientemente coerente. Trump è certamente un leader politico, ma è anche una immagine utilizzata ad uso e consumo di amici e nemici. In questo contesto va inserita la figura ed il ruolo di Bannon. In Italia e in Europa l’abbiamo conosciuto meglio dopo la sua emarginazione dallo staff presidenziale. Prima di rientrare negli Stati Uniti per un paio di anni ha avviato una vera e propria campagna di fondazione politico-culturale in Europa, partendo da Svizzera, Italia e Germania con propaggini in Francia che però, a differenza dei primi, non hanno ricevuto buona accoglienza dalla leader del Front National, attualmente RN. La sua finalità dichiarata è quella di facilitare lo sviluppo e il consolidamento del cosiddetto “sovranismo” nei vari paesi; il suo retroterra culturale  pare più compatibile con una rifondazione di quell’occidentalismo che ha costituito l’amalgama necessario al mantenimento del sistema di alleanze e di dominio del secondo dopoguerra. L’accostamento a Dugin posto dall’intervistato può sembrare avventato; non bisogna però dimenticare che lo stesso Dugin ha trovato ospitalità, accoglienza e terreno fertile negli ambienti dei tea-party in anni non lontani. Ad una contrapposizione geopolitica tra Occidente ed Eurasia, ancora da definire esattamente proprio per il ruolo controverso della Russia nel contesto della contrapposizione Sino-Statunitense, non corrisponde necessariamente una incompatibilità culturale_Giuseppe Germinario

Il mistico Steve Bannon

Foto di JOEL SAGET / AFP tramite Getty Images)

Per la maggior parte delle persone, Steve Bannon è uno stratega politico rauco che (se ti piace) ha aiutato a eleggere Donald Trump e sta lavorando per catalizzare i movimenti nazionalisti, o se non lo fai, è un Svengali di alt-right che apre la strada all’autoritarismo. Ciò che la maggior parte delle persone perde è il profondo interesse di Bannon per il tradizionalismo, chiamato anche perennialismo , una scuola filosofica che insegna che tutte le religioni del mondo insegnano una versione delle stesse verità universali. Per un po ‘di tempo, Benjamin R. Teitelbaum ha studiato il tradizionalismo e le connessioni di Bannon con addetti ai lavori politici tradizionalisti politicamente potenti. Nel suo nuovo libro War For Eternity: Inside Bannon’s Far-Right Circle of Global Power Brokers, Teitelbaum, professore presso l’Università del Colorado – Boulder, si basa su interviste con Bannon e altre figure chiave per illuminare le idee detenute da una sorprendente rete di pensatori e strateghi. Recentemente ho intervistato Teitelbaum sul libro via e-mail.

RD: Prima di iniziare, definiamo i termini. Cos’è il tradizionalismo, con la T maiuscola? Come dovrebbero distinguerlo i laici dal tradizionalismo minuscolo?

BT: Sì, vorrei che le idee insolite di cui ho scritto avessero un nome altrettanto insolito, piuttosto che apparentemente familiare. Ahimè … il Tradizionalismo con la T maiuscola è una scuola filosofica e spirituale eccezionalmente arcana, appena conosciuta, una delle tante varianti di spiritualità alternativa che potresti (potresti!) Trovare sugli scaffali di una libreria New Age. Cerca di scoprire verità sull’universo attraverso lo studio e occasionalmente la conversione alle ali esoteriche di varie religioni, il più delle volte l’Islam sufi e l’induismo. Solo secondariamente, e solo per alcuni dei suoi seguaci, il tradizionalismo è anche un’ideologia politica. E come ideologia politica, la sua agenda è sia vaga che grandiosa: opporsi alla modernità e al modernismo.

Evidenzierò tre caratteristiche del tradizionalismo che modellano il suo rapporto con la politica. Il primo è che i tradizionalisti credono nel tempo ciclico piuttosto che lineare; che invece di progredire da una storia di depravazione verso un futuro di gloria, le società si allontanano costantemente e poi ritornano alla loro gloria eterna.

Il secondo è la convinzione che le società virtuose si formino attorno a una gerarchia di caste indoeuropee con una piccola élite di Sacerdoti in cima a una piramide che discende ai Guerrieri, ai Mercanti e infine a una massa di Schiavi. Quando i tempi sono buoni, la gerarchia è intatta e la spiritualità dei Sacerdoti regna, ma quando i tempi sono cattivi, il materialismo di Schiavi e Mercanti regna e la gerarchia stessa si dissolve quando l’umanità viene livellata in una singola massa.

Il terzo principio che menzionerò è quello chiamato “inversione”, attraverso il quale i tradizionalisti credono che, quando i tempi sono cattivi e l’umanità è ridotta a una massa umile, inizieremo anche a scambiare le cose per il loro opposto: ciò che pensiamo sia buono è in realtà cattivo, qualcuno ufficialmente devoto alle questioni spirituali è schiavo del materialismo, i professori diffondono l’ignoranza piuttosto che la conoscenza, i giornalisti disinformano, gli artisti creano bruttezza, ecc. È una società di false simulazioni. I tradizionalisti affermano che in questo momento stiamo vivendo nella fase avanzata del ciclo temporale, verso la fine di un’età oscura definita dall’omogeneizzazione del materialismo e solo simulazioni di virtù, e che solo più oscurità ci farà avanzare oltre il punto zero del ciclo alla rinascita di un’età dell’oro.

Quindi, se si considera ciò che tutto ciò ha a che fare con il tradizionalismo a T minuscola nel modo in cui usiamo casualmente il termine – con qualcuno a cui piacciono le cose nel modo in cui erano in una determinata ricerca o preoccupazione – potrebbe esserci qualche sovrapposizione accidentale, come un scetticismo generale verso il cambiamento o celebrazione del passato per il suo apparente ordine. Ma le differenze tra questo e il tradizionalismo con la T maiuscola vanno oltre il fatto che quest’ultimo offre una spiegazione elaborata per le sue opinioni: la dottrina del tempo ciclico rende il pessimismo dei tradizionalisti di un tipo completamente diverso da “Back-in-my-day” di Dana Carvey personaggio di Saturday Night Live. Per quanto distruttivo sia il cambiamento agli occhi dei tradizionalisti, potrebbero benissimo accogliere la distruzione in uno spirito di malinconia e masochismo, come segno che il collasso e la rinascita ringiovanente sono vicini. In altre parole, quello che hanno i tradizionalisti, e manca un nonno scontroso, è un’apocalittica latente.

RD: Chi sono le figure storiche più importanti del tradizionalismo? 

BT: Per capire cosa sta succedendo oggi, devi davvero conoscere tre figure: il patriarca del tradizionalismo era un francese di nome René Guénon (1886-1951) che morì musulmano sufi rispondendo al nome di Abd al-Wāḥid Yaḥyá. Quelli di Guénon erano densi trattati filosofici e religiosi, che condannavano l’individualismo e l’omogeneizzazione della società, ma per il resto evitavano la politica.

Sarebbe un suo seguace, Julius Evola (1898-1974), tentato di forgiare la politica dal tradizionalismo. Evola era uno scrittore e teorico che ha infuso nella scuola razzismo, antisemitismo e sessismo espliciti (il processo di declino sociale, nella sua mente, ha comportato la scomparsa degli ariani puri e la perdita dei valori mascolinisti). Ma pensava anche che il declino non fosse il destino, che l’umanità potesse essere in grado di spingersi indietro nel corso del tempo, e questo ha motivato i suoi tentativi di collaborare con Mussolini e Hitler: entrambi sembravano incarnare una modalità militarista più antica, pensò, e se solo potessero essere impregnati di più vitalità spirituale, potrebbero forgiare autentiche teocrazie ariane e viaggiare a ritroso in un’età dell’oro.

Una terza figura le cui visioni siamo meno palesemente sinistre, ma che nondimeno ha creato un culto avvolto nel sospetto e nello scandalo, è stato un pensatore tedesco / svizzero di nome Frithjof Schuon (1907-1998), che ha seguito il suo mentore Guénon nella conversione al sufismo. La sua pratica e scrittura arrivarono a sostenere più sincretismo rispetto ad altri tradizionalisti, tuttavia, fondendo Islam, Induismo, Cristianesimo e persino spiritualità dei nativi americani, così come credenze più idiosincratiche come la nudità sacra e la propiziazione pseudo-erotica delle figure materne in varie tradizioni religiose. Ma Schuon è noto per l’istituzione che ha fondato, una rete di scuole sufi – o tariqas – che durante gli anni ’70 e ’80 erano geograficamente relativamente diffuse, con il centro che era un complesso nella sua casa adottiva fuori Bloomington, nell’Indiana.

RD: Cosa ha a che fare il cristianesimo con il tradizionalismo? Voglio dire, ci sono “cattolici tradizionalisti”, vale a dire, cattolici che favoriscono la messa in latino e che hanno una visione debole del Concilio Vaticano II, ma non è il genere di cose di cui parliamo con il tradizionalismo, giusto?

BT: No, è generalmente sicuro dire che i due non sono molto più vicini del tradizionalismo e del tradizionalismo small-t, tranne per un avvertimento importante. Tra i tradizionalisti che sono cristiani, praticamente tutti sono ortodossi orientali o cattolici. Parte della giustificazione per trattare il cattolicesimo come legittimo sono i suoi elementi che potrebbero essere visti come precedenti e trascendenti Cristo. Il suo paganesimo, la sua gerarchia, il suo investimento sociale e teologico in precedenza e continuità, ecc.

Un argomento simile è fatto a favore del sufismo, che sebbene il sufismo sia islamico, serviva come veicolo per preservare le virtù arcaiche e pre-islamiche nella società islamizzata e quindi poteva essere usato per intravedere ciò che era una volta.

I problemi con il cristianesimo per alcuni tradizionalisti, così come gli ideologi adiacenti nella nuova destra francese, sono caratteristiche che ritengono costituiscano un’antitesi dei valori che difendono: non la gerarchia ma un universalismo livellante e omogeneizzante comunicato nel dogma che il messaggio di Cristo è il verità ultima e ultima per tutte le persone, la sua teleologia e la visione implicita del progresso incline a trascendere un passato di peccato in un futuro di salvezza, e la sua embrionale riluttanza verso la teocrazia e l’approvazione di uno stato secolare contenuto negli editti di “rendere a Cesare”.

Non sono rimasto sorpreso quando Steve Bannon una volta mi ha detto che, sebbene sia cristiano, non gli piace l’evangelizzazione.

RD: Due figure chiave contemporanee nella tua storia sono Aleksandr Dugin e Olavo de Carvalho. La maggior parte degli americani non ne ha mai sentito parlare. Chi sono e perché sono importanti?

BT: Entrambi sono agenti politici che hanno tentato di plasmare leader politici anti-liberali nei rispettivi paesi, ed entrambi hanno legami con il tradizionalismo.

Aleksandr Dugin è un filosofo / giornalista / diplomatico e un agitatore politico in Russia. Uno dei primi a tradurre Evola in russo e autoproclamato devoto di Guénon, vede l’opposizione del Tradizionalismo tra modernità e Tradizione in termini geopolitici, con l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare che rappresentano la modernità e l’Eurasia che preserva la Tradizione. Nonostante non abbia mai ricoperto una posizione formale al Cremlino, ha tentato – in modi a volte pateticamente inefficaci, altre volte di impatto – di portare avanti la sua visione per il contenimento del potere occidentale e la riaffermazione dell’influenza russa, cinese e iraniana nella politica globale. Secondo l’intelligence statunitense, ha contribuito a facilitare i colloqui tra Russia e Turchia dopo che i due sono entrati in conflitto in Siria.

Olavo de Carvalho ha guadagnato influenza in politica solo di recente. Nato a San Paolo, era un eccentrico astrologo / filosofo che insegnava corsi universitari ed è stato iniziato nientemeno che nella tariqa Sufi Islam di Frithjof Schuon a Bloomington e gestiva un satellite a San Paolo negli anni ’80. In seguito è emigrato per diventare un cattolico dalla linea dura e ha rinunciato all’organizzazione di Schuon, anche se ha continuato a scrivere e insegnare su Guénon.

Dopo una carriera come giornalista, un curioso trasferimento negli Stati Uniti all’inizio degli anni 2000 e una fiorente esposizione sui social media grazie alle sue offese piene di volgarità contro politici, personaggi dei media e accademici brasiliani, alla fine ha stretto un legame con Rio il populista Jair Bolsonaro. Quando nel 2018 Bolsonaro ha vinto la presidenza brasiliana, Olavo e il suo seguito enorme sui social media sono stati accreditati come un fattore importante. Bolsonaro gli ha offerto e ha rifiutato l’incarico di Ministro della Pubblica Istruzione, sebbene abbia suggerito chi potrebbe ricoprire alcune posizioni di governo (incluso il ministro degli Esteri Ernesto Araujo che considero un apparentemente tradizionalista, e che Olavo considera un “più tradizionalista di se stesso ”). Oggi mantiene un’influenza intangibile ma potente sul presidente brasiliano come consigliere non ufficiale,e insieme a quei ministri da lui promossi, costituisce oggi una fazione del governo assediato di Bolsonaro.

RD: Come entra in scena Steve Bannon? 

BT: Per quanto ne so, Steve Bannon ha incontrato per la prima volta Aleksandr Dugin nel novembre 2018 e Olavo de Carvalho nel gennaio 2019. Come loro ha avuto un’influenza a volte formale, a volte informale sul suo leader anti-liberale locale, e come loro lui affiliato al tradizionalismo. Non ho mai capito esattamente come Bannon abbia scoperto il tradizionalismo (curiosamente, come Dugin e Olavo, il suo percorso verso la scuola è passato attraverso o vicino a persone legate al mistico armeno George Gurdjieff).

È cresciuto e continua a identificarsi come cattolico, ovviamente, ma sembra che abbia avuto il bisogno di guardare oltre il cattolicesimo standard e in spiritualità alternative sin dalla giovane età: quando aveva vent’anni in Marina, conosceva la strada per la maggior parte delle librerie metafisiche nelle città portuali dove attraccava il suo cacciatorpediniere. Il pensiero religioso che mi ha presentato nelle nostre interviste mi ha colpito come molto più sconcertante ed eccentrico di quello della maggior parte dei cristiani, e così è stato il profilo politico che avrebbe sviluppato in seguito sulla base della sua lettura di Evola e Guénon.

Nel mio libro ripercorro la sua versione del Tradizionalismo, una in cui afferma di aver abbandonato l’investimento di Evola nella razza e nel mascolinismo, mantiene l’ostilità al materialismo e alla modernità e afferma che l’obiettivo finale della sua politica è consentire agli altri di completare un processo di progresso spirituale – come individui e come nazione. Segue ancora la dottrina del ciclo temporale e mi ha persino fatto notare come questa credenza divergesse dal cristianesimo per come la intendeva. Ha tentato di allineare il tradizionalismo con le narrazioni americane dell’auto-fatto-uomo e della mobilità sociale, ma il prodotto e le sue fonti provengono ancora da un mondo che probabilmente sconcerterebbe, forse respingerà o spaventerebbe il tuo repubblicano americano medio.

RD: Una cosa che spicca davvero nel tuo libro è come Bannon abbia davvero tentato di far funzionare un’Internazionale tradizionalista, ma ha fallito. È uscito dalla Casa Bianca e da allora non ha più trovato la sua posizione. Che cosa è andato storto?

BT: Il tradizionalismo in realtà non è una dottrina politica – non delinea un’agenda politica con molta specificità, e una delle conseguenze di ciò è che gli attori politici che affermano di essere affiliati alla scuola divergeranno nella loro comprensione di ciò che dovrebbero difendere . In effetti, le figure più importanti oggi hanno concezioni abbastanza diverse di cosa significhi lottare per la Tradizione e contro la modernità liberale, come ciò dovrebbe manifestarsi nella politica e nella geopolitica, e in particolare come dovrebbero essere intese Cina, Russia e Stati Uniti.

Rivelo nel libro come Bannon incontrò segretamente Dugin sperando di persuaderlo – su basi tradizionaliste – a iniziare ad agitarsi in Russia per una nuova politica estera filo-occidentale e anti-cinese. Dugin era e rimane resistente all’idea. E niente di tutto questo arriva alla questione più profonda, che il tradizionalismo non crede davvero nell’attivismo, nella popolarità e nella vittoria di una competizione politica moderna. Nella misura in cui uno come Bannon cerca di costruire una simpatia di massa per un programma politico sufficiente a conquistare il potere in una democrazia, sta rompendo la dottrina che lo legherebbe a qualcuno come Dugin. Quindi le prospettive sembrano negative all’inizio, anche se si potrebbe dire che questo rende il tentativo ancora più audace e volatile.

RD: Nel quadro tradizionalista, almeno come interpretato da Bannon e Olavo, la virtù risiede nella gente comune, quella esclusa dai circoli e dalle istituzioni d’élite. Dovrebbero essere i depositari dei veri valori spirituali. Quanto è realistico questo, però, anche in termini tradizionalisti? Negli Stati Uniti, la classe operaia è meno religiosamente rispettosa della classe media. Comprendo le critiche trad-populiste alla corruzione spirituale delle élite e ne condivido molte, ma non vedo un terreno solido per questa valorizzazione del Popolo. Mi sembra più un’astrazione ideologica, il modo in cui i bolscevichi strumentalizzarono le “masse” e i nazisti usarono “das Volk”.

BT: Sì, in questi ultimi casi si vede una visione descrittiva o prescrittiva per trattare una parte di una popolazione come definitiva del tutto. Queste popolazioni sono state tipicamente astrazioni e immaginazioni: l’accusa contro i nazionalisti romantici, per non parlare dei nazisti, era che avevano inventato il “popolo” integrale della campagna che popolava le loro storie, i dipinti e le canzoni, proprio come i marxisti si erano allontanati. trovare un proletariato quando una popolazione così ben definita raramente esisteva. La maggior parte dei tradizionalisti originali vedeva invece nell’élite sacerdotale i “creatori di cultura” della società, quelli che dovrebbero plasmare le masse secondo i propri ideali.

Nella versione capovolta di Bannon e Olavo vediamo qualcosa che assomiglia più al nazionalismo romantico standard à la Herder, dove un settore della società ritenuto più isolato dalla corruzione della modernità (spesso rurale, istruzione meno formale, stazionario) era visto come una nave per il senza tempo valori e identità. E la domanda per quei romantici sarebbe la stessa per Bannon, ed è la domanda che poni: su quali basi parli di quelle persone nel loro insieme, e come sei sicuro che possiedono le qualità che pensi che abbiano?

Non cercherò di rispondere a questa domanda per loro, ma dirò che Bannon in particolare probabilmente rifiuterebbe i metodi che usiamo per valutare chi è e chi non è “osservante religioso”. Sostenuto in parte dalle sue letture del Tradizionalismo (il concetto di inversione che ho citato prima), ed esposto nei suoi confronti con la Chiesa cattolica, è pronto a considerare le istituzioni religiose come invalide in questi giorni, come simulazioni di ciò che dovrebbero essere. Non credo che sarebbe molto difficile anticiparlo pensando che i veri “preti” sono nascosti alla religione istituzionalizzata e ai sondaggisti.

RD: Che ruolo giocano i confini nella metafisica tradizionalista di Bannon?

BT: Bannon, come Dugin, pensa ai confini in modo più espansivo della maggior parte delle persone. Sostiene il rafforzamento dei confini nazionali, sì, ma nella sua mente sono assediati confini di ogni genere: confini tra civiltà e identità, nonché confini all’interno delle società che governano il modo in cui le persone si comportano l’una verso l’altra e organizzano le loro vite.

L’assenza di confini è un segno distintivo della modernità, che si riflette, secondo i primi tradizionalisti, nella disintegrazione della gerarchia e nella sua sostituzione con una società di massa e senza confini priva di qualsiasi collettività tra l’individuo e la totalità. Far rivivere i confini di tutti i tipi è un comportamento antimoderno. Significa introdurre l’ordine laddove esisteva in precedenza il caos e segmentare e stabilizzare il mondo. Questo è il filo conduttore che motiva il conservatorismo sociale di Bannon, il suo nazionalismo culturale (alcuni direbbero etno-), il suo non-interventismo, il protezionismo economico e l’opposizione all’immigrazione.

RD: Mi è capitato di leggere il tuo libro contemporaneamente alla storia del modernismo di Modris Eksteins del 1986, Rites of Spring .Eksteins dice che appena prima della prima guerra mondiale, la Germania si considerava la paladina dei veri valori spirituali e la Gran Bretagna (così come la Francia) come esponenti di una civiltà che poneva il primato sul fare soldi e sul materialismo. Sappiamo anche cosa fecero i nazisti con lo stesso concetto generale. Ci sono davvero solidi motivi storici per preoccuparsi di una recrudescenza. Detto questo, la critica che il Team Bannon fa del vuoto della società commerciale e della capacità della modernità di dissolvere le particolarità nazionali e culturali è solida e accattivante. Riuscite a immaginare un modo in cui gli attori politici potrebbero promuovere la parte migliore del tradizionalismo – difendendo le culture locali e nazionali dall’assorbimento nella massa globalista – senza soccombere alle parti malvagie?

BT: Qui mi chiedi di parlare per me stesso piuttosto che per le persone che ho studiato, ma cercherò di lavorare con la domanda: penso che le persone abbiano le migliori possibilità di derivare qualcosa di buono dal tradizionalismo quando lo trattano, non come una guida per l’azione, ma invece come una narrazione per ispirare nuove analisi della società, che in seguito potrebbero funzionare come base per l’azione.

In particolare, mi chiedo se non ci sia posto per riflettere su una catena di corrispondenze che la scuola propone, vale a dire che la comunanza più significativa detenuta dalla sinistra e dalla destra politiche moderne è la loro particolare attenzione all’economia; che il relativo disinteresse per gli aspetti immateriali della vita sociale potrebbe essere alla radice della nostra tacita avversione a consentire alle persone e alle comunità di essere significativamente diverse l’una dall’altra; che l’insistenza nel costruire una comunità basata su visioni di un futuro condiviso piuttosto che su un passato condiviso – che ha così tante virtù ovvie e che è quasi una necessità in paesi come gli Stati Uniti – sottovaluta l’importanza che le narrazioni di una storia comune giocano nel forgiare solidarietà sociale.

Penso che la “malvagità” del tradizionalismo derivi non solo dal contenuto delle gerarchie che a volte propone (razza, genere, ecc.), E non solo dal modo in cui potrebbe incoraggiarci a ignorare o assaporare le difficoltà contemporanee, ma anche perché di ciò che non dice – il fatto che la sua grande narrazione della storia umana e la battaglia del bene e del male lascia così tanto non specificato. Quegli spazi vuoti possono e sono stati riempiti di demagogia. Un modo per evitarlo è non aderire al tradizionalismo come religione, ovviamente, ma consentire alle sue intuizioni occasionali e qualificate di vivere in un più ampio complesso di valori e programmi, compresi quelli che diffama.

RD: Sono stato in corrispondenza con un giornalista nazionale che sta cercando di capire perché alcuni conservatori americani (come me) sono attratti dall’ungherese Viktor Orban. Questo giornalista è un liberale e può vedere Orban solo come un cattivo. Ho cercato di spiegare che le persone come me di certo non approvano tutto ciò che fa Orban, ma vediamo in lui una figura di resistenza a George Soros e ciò che Soros rappresenta. Cioè, Soros è l’epitome di un ricco e influente globalista che crede che le istituzioni e le narrazioni localiste e nazionaliste siano problemi da risolvere. Non mi aspetterei che un liberale occidentale appoggi un politico come Orban, ma dimmi, perché è così difficile per i liberali occidentali capire che politici come Orban fanno appello a profondi desideri nelle persone – perché, come dici tu, “comunità, diversità, [e] sovranità,”Che non può essere ridotto a” razzismo “?

BT: Penso che sia comune temere rappresentazioni complesse di persone che ti minacciano, e la sinistra liberale ha certamente paura di Orban (come lo sono in una certa misura, devo ammettere): la sua trasformazione dei processi elettorali, il suo trattamento dei media , e la sua autoproclamata opposizione alla democrazia liberale, ecc. Non sto dicendo niente di nuovo a te o ai tuoi lettori nel notare come quell’ultimo pezzo in particolare – l’opposizione di Orban alla democrazia liberale – stia squalificando molti commentatori occidentali.

Ma la caratteristica aggiunta qui è che personifica una causa che può apparire in ascesa nella politica globale. Ciò spinge alcuni commentatori a passare dalla semplice critica alla guerra, e quindi al regno del pensiero noi-contro-loro, del bianco e nero, del dire alla gente che sono parte della soluzione o parte del problema. Infangate quelle acque con discorsi di qualifiche, imprevisti e interpretazioni parallele, e – il ragionamento sembra andare – potete anche essere un apologeta del nemico. E quando ti trovi di fronte a un racconto inaspettato o strano di qualcuno come Orban – uno, diciamo, che lo inquadra come una forza di destra per il localismo e la comunità piuttosto che per l’individualismo libertario – e saresti fortunato a essere definito “politicamente incoerente” come Thomas Lo ha detto recentemente Chatterton Williams.Più probabilmente l’istinto sarà quello di accusarti di aver modellato una facciata per oscurare ciò che, presumibilmente, conta di più.

Una parte di me lo considera una strategia politica. In teoria capisco perché qualcuno direbbe che la posta in gioco politica è così alta in questi giorni che potrebbe essere necessaria una tattica di linea per mobilitarsi. Quello che voglio come minimo, tuttavia, è che le persone siano oneste con se stesse se scelgono questa strada. Voglio che riconoscano che dividere il mondo in termini di tutto o niente, adottando e mantenendo strenuamente definizioni uniformi l’una dell’altra e coltivando paura e disprezzo per l’inconsistenza e il non ortodosso costituisce ignoranza autoimposta; una subordinazione dell’indagine e della conoscenza nell’interesse dell’opportunità politica.

RD: Il tradizionalismo ha un futuro politico? Trump è stato inutile nel portare avanti i suoi obiettivi. A mio avviso, per lui non è stato altro che un kitsch performativo. Cosa succederà ai Trad se Trump vincerà un secondo mandato? Se perde?

BT: Penso che le narrazioni tradizionaliste di Trump potrebbero assumere una serie di forme a seconda di ciò che accade. Il valore potenziale di Trump per questi attori risiede nella sua capacità di ribaltare lo status quo; se vince e arriva a rappresentare un nuovo status quo, allora potrebbe presto apparire come un avatar della decadenza modernista che detestano. L’enigma dei tradizionalisti assomiglia a quello del populista anti-establishment standard in questo senso. Ma se perde a novembre, i tradizionalisti potrebbero vedere retrospettivamente la sua ascesa come nient’altro che una pausa momentanea (e profetizzata) nel ciclo del declino, proprio come Mussolini apparve a Julius Evola dopo la seconda guerra mondiale.

Ma come puoi vedere, si tratta principalmente di narrazioni piuttosto che di politiche. Una delle sfide che ho dovuto affrontare nello scrivere il libro è distinguere quando il tradizionalismo funziona come un programma d’azione e quando funziona come una lente per l’interpretazione.

Il suo fatalismo – la sua convinzione che la storia stia seguendo un programma e che ci troviamo a vivere verso la fine di un’età oscura e vicino all’alba di un collasso e di una rinascita – non ha bisogno di stimolare molta azione oltre ad adottare un atteggiamento celebrativo o indifferente di fronte a distruzione e apparente caos. Questo non vuol dire che questi pensatori non possano identificare politiche particolari che incarnano i loro valori più di altri: il rafforzamento dei confini e il restringimento delle sfere politiche è un esempio di tale causa, e le sue prospettive in una battaglia contro tutte le forze di la globalizzazione sembra povera.

Ma i tradizionalisti trovano incoraggiamento anche in posti che non ci aspetteremmo. Bannon era piuttosto eccitato dalla breve candidatura di Marianne Williamson, una candidata alla presidenza democratica spiritualista che ha parlato della necessità di affrontare “forze psichiche oscure”. Sembrava rappresentare una politica dell’immateriale, e se avesse affrontato Trump, non sono sicuro che Bannon si sarebbe preoccupato del risultato, perché avrebbe potuto vedere una vittoria più ampia nell’intero spettro politico essendosi allontanato dal materialismo. .

Ma la tua domanda non riguardava solo i tradizionalisti, ma anche il tradizionalismo. E mi chiedo ancora cosa dica sul nostro presente e futuro. Non sto intrattenendo l’idea che i cicli temporali cosmici e cose simili siano effettivamente in gioco, ma piuttosto che l’ascesa di Bannon, Dugin e Olavo testimonia una più ampia spinta sociale ad allontanarsi dallo status quo sociopolitico. Per ragioni del tutto mondane, le comunità sembrano cercare un cambiamento radicale e questo può mantenere vivo il tradizionalismo come una delle molteplici alternative.

[Il libro di Benjamin Teitelbaum è War For Eternity: Inside Bannon’s Far-Right Circle of Global Power Brokers (Dey Street Books)]

https://www.theamericanconservative.com/dreher/traditionalism-steve-bannon-benjamin-teitelbaum/?fbclid=IwAR2RND-hMgGq4_MeNxM-V0aUzr7U1b3DmzfZ6jhcXTKmewvXfTJlQ7CLESw

La fine dell’illusione americana, di Nadia Schadlow

Il presidente degli Stati Uniti Trump in Wisconsin, giugno 2020
Tia Dufour / Ufficio stampa della Casa Bianca

Dalla fine della Guerra Fredda, la maggior parte dei politici statunitensi è stata ingannata da una serie di illusioni sull’ordine mondiale. Sulle questioni critiche, hanno visto il mondo come vorrebbero che fosse e non come è realmente. Il presidente Donald Trump, che non è un prodotto della comunità di politica estera americana, non lavora sotto queste illusioni. Trump è stato un disgregatore e le sue politiche, informate dalla sua prospettiva eterodossa, hanno messo in moto una serie di correzioni attese da tempo. Molti di questi aggiustamenti necessari sono stati travisati o fraintesi negli odierni dibattiti al vetriolo e di parte. Ma i cambiamenti che Trump ha avviato contribuiranno a garantire che l’ordine internazionale rimanga favorevole agli interessi e ai valori degli Stati Uniti ea quelli di altre società libere e aperte.

Mentre il primo mandato dell’amministrazione volge al termine, Washington dovrebbe fare il punto sullo sgretolamento dell’ordine post-Guerra Fredda e tracciare un percorso verso un futuro più equo e sicuro. Non importa chi sia il presidente degli Stati Uniti a gennaio, i politici americani dovranno adottare nuove idee sul ruolo del paese nel mondo e un nuovo modo di pensare sui rivali come Cina e Russia, stati che hanno a lungo manipolato le regole dell’ordine internazionale liberale per conto loro. vantaggio.

Una nuova serie di ipotesi dovrebbe sostenere la politica estera degli Stati Uniti. Contrariamente alle previsioni ottimistiche fatte sulla scia del crollo dell’Unione Sovietica, la diffusa liberalizzazione politica e la crescita delle organizzazioni transnazionali non hanno mitigato le rivalità tra i paesi. Allo stesso modo, la globalizzazione e l’interdipendenza economica non sono state merci incontaminate; spesso hanno generato disuguaglianze e vulnerabilità impreviste. E sebbene la proliferazione delle tecnologie digitali abbia aumentato la produttività e portato altri vantaggi, ha anche eroso i vantaggi delle forze armate statunitensi e posto sfide alle società democratiche.

Date queste nuove realtà, Washington non può semplicemente tornare ai comodi presupposti del passato. Il mondo è andato oltre il “momento unipolare” del periodo post-Guerra Fredda e in un’era di interdipendenza e competizione che richiede politiche e strumenti differenti. Per navigare adeguatamente in questa nuova era, Washington deve lasciar andare le vecchie illusioni, superare i miti dell’internazionalismo liberale e riconsiderare le sue opinioni sulla natura dell’ordine mondiale.

TUTTI INSIEME ORA?

Mentre il ventesimo secolo volgeva al termine, il numero crescente di paesi che abbracciavano ideali democratici ispirò orgoglio in Occidente e grandi speranze per il futuro. Si è formato un consenso sul fatto che una convergenza sulla democrazia liberale avrebbe portato a un ordine politico internazionale stabile. Mentre l’Unione Sovietica si inaridiva e la Guerra Fredda finiva, il presidente degli Stati Uniti George HW Bush ha chiesto un “nuovo ordine mondiale”, una “Pax Universalis” fondata su valori liberali, governance democratica e mercati liberi. Diversi anni dopo, la Strategia per la sicurezza nazionale del 1996 del presidente Bill Clinton ha articolato una politica di impegno e allargamento democratico che avrebbe migliorato “le prospettive di stabilità politica, risoluzione pacifica dei conflitti e maggiore dignità e speranza per le persone del mondo”.

Questa presunzione di convergenza liberale ha motivato la decisione di consentire alla Cina di aderire all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel 2001. Come disse Clinton all’epoca, tale apertura avrebbe “un profondo impatto sui diritti umani e sulla libertà politica”. Il resto del mondo avrebbe avuto accesso ai mercati cinesi e alle importazioni a basso costo, e la Cina avrebbe avuto la possibilità di portare prosperità a centinaia di milioni, il che, secondo molti a Washington, avrebbe migliorato le prospettive di democratizzazione. È stata una vittoria per tutti.

Ma la Cina non aveva intenzione di convergere con l’Occidente. Il Partito Comunista Cinese non ha mai inteso giocare secondo le regole dell’Occidente; era determinato a controllare i mercati piuttosto che ad aprirli, e lo fece mantenendo il suo tasso di cambio artificialmente basso, fornendo vantaggi sleali alle imprese di proprietà statale ed erigendo barriere normative contro le società non cinesi. I funzionari delle amministrazioni George W. Bush e Obama erano preoccupati per le intenzioni della Cina. Ma fondamentalmente, sono rimasti convinti che gli Stati Uniti dovessero impegnarsi con la Cina per rafforzare il sistema internazionale basato su regole e che la liberalizzazione economica della Cina avrebbe portato alla liberalizzazione politica. Invece, la Cina ha continuato a trarre vantaggio dall’interdipendenza economica per far crescere la sua economia e potenziare le sue forze armate, assicurando così la forza a lungo termine del PCC.

La Cina non ha mai avuto alcuna intenzione di convergere con l’Occidente.

Mentre la Cina e altri attori hanno sovvertito la convergenza liberale all’estero, la globalizzazione economica non è riuscita a soddisfare le aspettative interne. I sostenitori della globalizzazione hanno affermato che in un’economia lubrificata dal libero scambio, i consumatori trarrebbero vantaggio dall’accesso a beni più economici, i posti di lavoro persi nel manifatturiero sarebbero sostituiti da posti di lavoro migliori nel settore dei servizi in crescita, gli investimenti diretti esteri fluirebbero in ogni settore e le aziende ovunque lo farebbero diventare più efficienti e innovativi. Organizzazioni come l’OMC, nel frattempo, aiuterebbero a gestire questo mondo più libero e integrato (per non parlare delle sue 22.000 pagine di regolamenti).

Ma la promessa che la marea crescente della globalizzazione avrebbe sollevato tutte le barche è rimasta insoddisfatta: alcune sono salite a livelli estremi, alcune hanno ristagnato e altre semplicemente sono affondate. Si è scoperto che la convergenza liberale non era vantaggiosa per tutti: c’erano, infatti, vincitori e vinti.

Una reazione populista contro questa realtà ha colto di sorpresa le élite. Questa reazione si è intensificata quando il comportamento scorretto a Wall Street e le politiche monetarie sbagliate della Federal Reserve statunitense hanno contribuito a provocare la crisi finanziaria globale del 2008. I generosi salvataggi che banche e società finanziarie hanno ricevuto sulla sua scia hanno convinto molti americani che le élite politiche e aziendali stessero giocando con il sistema, un tema su cui Trump si è impegnato nella sua campagna del 2016. Anni prima della vittoria di Trump, tuttavia, molti americani comuni avevano già capito che la globalizzazione li stava danneggiando. I lavoratori hanno sperimentato direttamente come il libero scambio potesse svuotare le comunità mentre i posti di lavoro e gli investimenti di capitale sono fuggiti all’estero. Anche il capo economista del Fondo monetario internazionale, Gita Gopinath, ha riconosciutonel 2019 il commercio internazionale era stato molto costoso per i lavoratori manifatturieri negli Stati Uniti. Tra il 2000 e il 2016, il paese ha perso circa cinque milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero .

SLOUCHING VERSO LA BAIA DELLE TARTARUGHE

Una seconda illusione che ha affascinato i politici statunitensi è l’idea che Washington possa dipendere dalle organizzazioni internazionali per aiutarla ad affrontare le grandi sfide e che la “governance globale” emergerebbe con l’aiuto della leadership americana. Poiché i paesi stavano presumibilmente convergendo sulla liberalizzazione politica ed economica, era naturale pensare che sfide transnazionali come la proliferazione nucleare, il terrorismo e il cambiamento climatico avrebbero sostituito la competizione interstatale come principale punto focale per i leader statunitensi. L’opinione comune riteneva che tali minacce potessero essere gestite al meglio dalle istituzioni internazionali.

Questo punto di vista presumeva che, poiché altri paesi stavano progredendo inesorabilmente verso la democrazia liberale, avrebbero condiviso molti degli obiettivi di Washington e avrebbero rispettato le regole di Washington. Questa convinzione tendeva a minimizzare l’importanza della sovranità nazionale e il fatto che i paesi differiscono nel modo in cui organizzano le proprie comunità. Anche tra le democrazie esiste un alto grado di variazione quando si tratta di valori culturali, istituzionali e politici.

Tuttavia, le istituzioni internazionali sono diventate più espansive e ambiziose. Nel 1992, l’ Agenda per la Pace del Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali immaginava un mondo in cui le Nazioni Unite avrebbero mantenuto la pace mondiale, protetto i diritti umani e promosso il progresso sociale attraverso l’espansione delle missioni di mantenimento della pace. Tra il 1989 e il 1994, l’organizzazione ha autorizzato 20 missioni di mantenimento della pace, più del numero totale di missioni che aveva svolto durante i quattro decenni precedenti.

Il perseguimento della missione si è esteso anche alle singole agenzie delle Nazioni Unite. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, creata nel 1948 per prevenire la diffusione di malattie infettive, è stata la pioniera di una serie dei più grandi successi delle Nazioni Unite, tra cui l’eradicazione del vaiolo e la quasi eradicazione della poliomielite. Ma nel corso degli anni, la sua portata è cresciuta notevolmente. Nel 2000, aveva iniziato a emettere avvisi su tutto, dalla sicurezza alimentare all’uso del telefono cellulare alla qualità dell’aria. Dinamica che ha distribuito il personale e le risorse in modo troppo dispersivo, paralizzando la capacità dell’organizzazione di rispondere a crisi autentiche, come la pandemia COVID-19 in corso. Durante lo scoppio iniziale, l’OMS fu relegata ai margini mentre i governi nazionali correvano per assicurarsi le attrezzature mediche.

Funzionari dell’OMS a Ginevra, Svizzera, maggio 2020
Christopher Black / Who / Dispensa / Reuters

Tuttavia, i guai all’ONU andavano ben oltre l’OMS. Nel 2016, Anthony Banbury, un funzionario di carriera delle Nazioni Unite che aveva recentemente servito come assistente segretario generale per il supporto sul campo, ha scritto che la burocrazia dell’organizzazione era diventata così complessa che era incapace di fornire risultati, creando un buco nero in cui scompariva “innumerevoli tasse dollari “, così come una lunga lista di” aspirazioni umane, da non vedere mai più “. Tali opportunità perse hanno portato al cinismo e hanno indebolito l’ordine internazionale liberale dall’interno.

NON PIÙ INVINCIBILE

Sebbene l’internazionalismo liberale incoraggiasse l’interdipendenza e il multilateralismo, si basava anche sulla fiducia nella capacità di Washington di mantenere indefinitamente la superiorità militare incontrastata di cui godette nell’immediato dopoguerra della Guerra Fredda. In realtà, il dominio militare degli Stati Uniti è ora sfidato praticamente in ogni dominio. Gli Stati Uniti non sono più in grado di operare liberamente nelle sfere tradizionali di terra, mare e aria, né in quelle più nuove come lo spazio esterno e il cyberspazio. La diffusione di nuove tecnologie e sistemi d’arma e il perseguimento di strategie asimmetriche da parte degli avversari hanno limitato la capacità delle forze armate statunitensi di trovare e colpire obiettivi, rifornire e salvaguardare le proprie forze all’estero, navigare liberamente nei mari, controllare le linee di comunicazione marittime e proteggere la patria . È probabile che nulla possa invertire queste tendenze.

Dagli anni ’90, gli Stati Uniti sono diventati più dipendenti dallo spazio per la loro sicurezza nazionale, perché così tante funzioni militari e di intelligence dipendono da risorse, come i satelliti, che hanno sede lì. Ma la Cina, la Russia e altri stati ora hanno la capacità di mettere in campo sistemi d’arma antisatellite. Nel frattempo, anche le attività commerciali private nello spazio sono aumentate in modo esponenziale. Dal 2014, la maggior parte dei lanci di satelliti è stata condotta da paesi diversi dagli Stati Uniti, principalmente Cina, India, Giappone e membri dell’UE, erodendo ulteriormente la capacità degli Stati Uniti di manovrare liberamente nello spazio e aumentando la quantità di detriti in orbita attorno alla terra, che minaccia tutte le risorse spaziali.

Il dominio militare degli Stati Uniti è ora sfidato praticamente in ogni ambito.

Nel cyberspazio, sono emerse vulnerabilità hardware e software attraverso le catene di approvvigionamento militari, riducendo potenzialmente l’efficacia di piattaforme importanti. Nel 2018, David Goldfein, il capo dello staff dell’aeronautica americana, ha descritto l’F-35 Joint Strike Fighter come ” un computer che per caso vola ” e quindi, come tutti i computer, è vulnerabile agli attacchi informatici. Nello stesso anno, il Defense Science Board ha avvertito che poiché erano collegati così tanti sistemi d’arma, una vulnerabilità in uno potrebbe influenzare anche gli altri.

Allo stesso tempo, i requisiti burocratici hanno reso più difficile per i militari innovare. Sono passati più di 20 anni da quando è stato concepito il programma Joint Strike Fighter a quando è stato dichiarato operativo il primo squadrone da combattimento di F-35. I militari richiedono livelli di prestazioni irrealisticamente elevati, che le aziende, affamate di contratti, promettono di fornire. L’ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Robert Gates si è lamentato della riluttanza delle forze armate ad accontentarsi di una soluzione dell ‘ “80%” che potrebbe effettivamente essere costruita e messa in campo in un lasso di tempo ragionevole. Data la rapidità con cui si sviluppano le tecnologie controbilanciate, questi attriti nell’industria della difesa statunitense pongono seri interrogativi sulla capacità del paese di combattere e vincere guerre, soprattutto contro concorrenti di pari livello.

Nel frattempo, Pechino e Mosca hanno sviluppato i cosiddetti sistemi d’arma anti-accesso / negazione di area, che riducono la capacità di Washington di proiettare potere in Asia orientale e in Europa. La Cina ha sviluppato e modernizzato le sue armi nucleari strategiche e tattiche e ha investito molto in tecnologie per migliorare le sue forze convenzionali. La Russia ha costruito una serie di esotiche “armi apocalittiche” e armi nucleari tattiche a basso rendimento, nonostante gli accordi sul controllo degli armamenti con gli Stati Uniti. Ed entrambi i paesi stanno anche riversando risorse in armi ipersoniche la cui velocità e manovrabilità rendono inefficaci i sistemi di difesa missilistica convenzionali.

Inoltre, rivali minori come Iran e Corea del Nord hanno continuato a sviluppare e perfezionare i loro programmi nucleari. Nonostante le visioni di un mondo in cui nessuno poteva sfidare la forza americana, l’era del dominio militare statunitense si è dimostrata relativamente breve.

TECNOLOGIA UNFRIENDING

La fede mal riposta nei vantaggi delle nuove tecnologie non si è limitata agli affari militari. Quando è iniziata la rivoluzione digitale, i responsabili politici e gli imprenditori erano ottimisti sul fatto che queste tecnologie avrebbero accelerato la diffusione dei valori democratici liberali – che “l’era dell’informazione può diventare l’era della liberazione”, come ha detto il presidente George HW Bush nel 1991. Alcuni anni dopo, Clinton predisse che “la libertà [si sarebbe] diffusa tramite telefono cellulare e modem via cavo”.

Nel corso del tempo, tuttavia, è diventato chiaro che le stesse tecnologie che connettono e danno potere alle persone possono anche mettere in pericolo la libertà e l’apertura e limitare il diritto di essere lasciato solo, tutti elementi di una fiorente democrazia. I paesi autoritari hanno impiegato tecnologie digitali per controllare i propri cittadini, con l’assistenza (a volte inconsapevole) delle aziende occidentali. Il PCC ha sviluppato il sistema di sorveglianza più sofisticato al mondo, ad esempio, utilizzando tecnologie di riconoscimento vocale e facciale e sequenziamento del DNA per creare un sistema di “credito sociale” che monitora 1,4 miliardi di persone in Cina e le ricompensa o le punisce in base alla loro lealtà percepita lo stato-partito.

Queste pratiche non sono limitate ai governi autoritari, in parte perché Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni, ha esportato strumenti di sorveglianza in 49 paesi, inclusi strumenti che utilizzano l’intelligenza artificiale (AI). Secondo l’ AI Global Surveillance Index del Carnegie Endowment , praticamente tutti i paesi del G-20 hanno implementato la tecnologia di sorveglianza abilitata dall’intelligenza artificiale, compresi i programmi di riconoscimento facciale. Nel frattempo, anche se il PCC ha bandito Twitter nel proprio paese, Pechino e altri governi lo hanno utilizzato e altre piattaforme per condurre campagne di disinformazione all’estero volte a indebolire le democrazie dall’interno.

Occhiali intelligenti con intelligenza artificiale degli agenti di polizia a Luoyang, Cina, aprile 2018
China Stringer Network / China Out / Reuters

MYTHBUSTERS

Trump, nella sua campagna e presidenza, ha offerto alcuni correttivi alle illusioni del passato, spesso senza mezzi termini e talvolta in modo incoerente. Le sue deviazioni dai modi tradizionali di parlare e condurre la politica estera derivano dall’abbraccio della scomoda verità che visioni di globalizzazione benevola e internazionalismo liberale di costruzione della pace non sono riuscite a concretizzarsi, lasciando al loro posto un mondo che è sempre più ostile ai valori americani e interessi.

Trump sottolinea il ruolo degli Stati nell’ordine internazionale, sfidando una tendenza americana dalla fine della Guerra Fredda a trasferire il potere alle organizzazioni internazionali. Ciò non ha significato ridurre unilateralmente il ruolo degli Stati Uniti nel mondo; piuttosto, ha significato segnalare il rispetto per la sovranità degli altri. Si consideri, ad esempio, la strategia dell’amministrazione per una regione indo-pacifica libera e aperta, che consiste nel contrastare le pretese territoriali eccessive e illegali della Cina nel Mar Cinese Meridionale e nel rafforzare la sicurezza marittima di altri paesi della regione, come il Vietnam, fornendo loro con attrezzature. Tali misure sono in contrasto con gli sforzi di Pechino per creare relazioni sottomesse nella regione e stabilire sfere di influenza.

Più in generale, l’amministrazione Trump ha applicato il principio di reciprocità a varie istituzioni e norme internazionali. Ciò ha significato esortare altre potenze ad assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza e contribuire maggiormente alla forza dell’ordine guidato dall’Occidente. L’attenzione di Trump alla condivisione degli oneri ha ” reso la NATO più forte “, secondo il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg. Tra il 2016 e il 2018, la spesa per la difesa dei membri della NATO diversi dagli Stati Uniti è aumentata di 43 miliardi di dollari e Stoltenberg ha previsto che entro il 2024 tale spesa aumenterà di altri 400 miliardi di dollari.

Trump ha offerto alcuni correttivi alle illusioni del passato.

Nel commercio e nel commercio, la reciprocità ha significato lanciare l’allarme, più forte che in passato, sulla riluttanza della Cina ad aprire il proprio mercato ai prodotti e servizi statunitensi e alle pratiche sleali di Pechino, come i trasferimenti forzati di tecnologia e il furto di proprietà intellettuale. Gli esperti stimano che dal 2013 gli Stati Uniti abbiano subito danni economici per oltre $ 1.2 trilioni a causa degli abusi eclatanti della Cina.

L’uso dei dazi da parte di Trump come tattica commerciale ha sottolineato la sua disponibilità a correre dei rischi. I critici hanno denunciato le tariffe come deviazioni radicali dall’ortodossia. In realtà, l’uso di tariffe di ritorsione per esigere la reciprocità è una tradizione americana che risale alla presidenza di George Washington. Sono anche utilizzati dai paesi di tutto il mondo per applicare le decisioni dell’OMC o contrastare le sovvenzioni ingiuste fornite da altri stati. I dazi di Trump hanno contribuito a produrre un accordo iniziale con la Cina che, a differenza di qualsiasi precedente accordo bilaterale USA-Cina, include impegni significativi da Pechino per limitare il furto di segreti commerciali, ridurre i trasferimenti tecnologici forzati e aprire i mercati cinesi ai servizi finanziari e ai prodotti agricoli statunitensi.

I negoziati in corso con la Cina fanno parte del più ampio sforzo dell’amministrazione Trump per mitigare gli aspetti negativi della globalizzazione, come le vulnerabilità create dalle catene di approvvigionamento “just in time” e la deindustrializzazione del cuore degli Stati Uniti. Nelle parole di Robert Lighthizer, il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, in queste pagine, l’obiettivo è sostenere “il tipo di società in cui [gli americani] vogliono vivere” riconoscendo la dignità del lavoro e tenendo sempre presenti i lavoratori americani e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti quando si elaborano le politiche economiche. In questo senso, una misura importante è stato il rafforzamento da parte dell’amministrazione del Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti, che esamina i principali investimenti in società statunitensi da parte di entità straniere e ha contribuito a impedire alle società cinesi di utilizzare gli investimenti per accedere alle tecnologie chiave sviluppate dalle aziende statunitensi. .

In accordo con l’obiettivo di rafforzare il potere americano, Trump ha mantenuto la promessa della sua campagna di invertire il declino delle forze armate statunitensi e ha aumentato la spesa per la difesa di quasi il 20% dal 2017. I fondi per la modernizzazione nucleare e la difesa missilistica sono tornati dopo anni di abbandono e l’amministrazione Trump ha istituito la Space Force. Il Dipartimento della Difesa ha dato la priorità alla ricerca di tecnologie avanzate, come i missili ipersonici e l’intelligenza artificiale, come parte di un focus generale sulla competizione con altre grandi potenze. Il Pentagono e le organizzazioni di intelligence statunitensi hanno anche avanzato l’importante concetto operativo di “difendere in avanti” nel cyberspazio, che guida gli Stati Uniti a identificare in modo più proattivo le minacce, prevenire gli attacchi e imporre costi al fine di scoraggiare e sconfiggere le campagne cibernetiche dannose.

Le politiche di nessuna amministrazione sono prive di difetti o incongruenze. L’amministrazione Trump ha mostrato una tendenza, condivisa da molti dei suoi predecessori, a fare troppo affidamento su partner regionali che non sono sempre all’altezza del compito. Un esempio è la confusione sulla misura in cui Washington potrebbe ritirare le sue forze dall’Iraq e dalla Siria a seguito della vittoria guidata dagli Stati Uniti sullo Stato Islamico (noto anche come ISIS). Consolidare i guadagni degli Stati Uniti ha richiesto la comprensione delle capacità limitate dei partner di Washington in Siria, le motivazioni contrastanti dei leader in Iraq e Turchia e il pericolo di lasciare il campo aperto al regime di Assad, Iran e Russia. In definitiva, proteggere gli interessi degli Stati Uniti ha richiesto un ruolo americano diretto, anche se modesto.

Anche il presidente e i membri della sua amministrazione sono stati sfacciati al punto da alienare in modo controproducente gli alleati, soprattutto in Europa. E le tariffe non sono sempre state applicate in modo strategico. Sarebbe stato meglio cercare l’unità nella competizione contro la Cina piuttosto che combattere con alleati e partner imponendo loro tariffe su acciaio e alluminio nel 2018.

FARSENE UNA RAGIONE

Indipendentemente da chi viene eletto presidente a novembre, tornare a una serie di ipotesi strategiche progettate per il momento unipolare danneggerebbe gli interessi degli Stati Uniti. La concorrenza è e rimarrà una caratteristica fondamentale dell’ambiente internazionale e l’interdipendenza non lo ovvia. Se un democratico vince la Casa Bianca, probabilmente richiederà di convincersi che la rivalità è una caratteristica inalterabile del sistema internazionale e che sarebbe un grave errore tornare alle premesse di un’epoca passata.

Se Trump vince un secondo mandato, la sua amministrazione deve concentrarsi sulla migliore attuazione dei cambiamenti politici che ha avviato, inviando messaggi più coerenti e costruendo coalizioni più forti sia in patria che all’estero. Chiunque occupi la Casa Bianca a gennaio dovrà capire che le rivalità multidimensionali di oggi non finiranno con le vittorie convenzionali. Più in generale, i responsabili politici e gli strateghi devono superare la loro enfasi sul raggiungimento di particolari stati finali, poiché ciò deriva da una visione meccanicistica e astorica di come funziona la politica. In realtà, come ha sostenuto lo storico Michael Howard, gli atti umani creano nuove serie di circostanze che, a loro volta, richiedono nuovi giudizi e decisioni.

La geopolitica è eterna. Ecco perché la concorrenza persiste, non importa quanto gli idealisti potrebbero desiderare diversamente. Un obiettivo principale della strategia statunitense, quindi, dovrebbe essere quello di prevenire l’accumulo di attività e tendenze che danneggiano gli interessi e i valori degli Stati Uniti, piuttosto che perseguire grandi progetti come cercare di determinare come la Cina o altri paesi dovrebbero governarsi. Per fare questo, gli Stati Uniti devono elaborare politiche che mirino a mantenere gli equilibri di potere regionali e scoraggiare l’aggressione da parte dei poteri revisionisti.

La geopolitica è eterna. La concorrenza persiste, non importa quanto gli idealisti potrebbero desiderare altrimenti.

Molti di destra che sono favorevoli alla moderazione o alla restrizione saranno riluttanti ad abbracciare l’idea di una competizione costante perché tendono a scartare le aspirazioni di altre potenze. Se gli Stati Uniti saranno frenati, dicono le loro argomentazioni, altri seguiranno l’esempio. La storia suggerisce il contrario. Molti a sinistra saranno riluttanti ad accettare l’idea di uno stato finale rotolante perché tendono a credere che l’arco della storia stia progredendo verso una convergenza liberale e vedono la spinta e l’attrazione di un mondo competitivo come eccessivamente aggressiva e probabile che conduca a guerra.

Ma riconoscere la centralità della concorrenza non significa favorire la militarizzazione della politica estera statunitense, né significa una spinta alla guerra. Una più ampia accettazione della natura competitiva della geopolitica richiede effettivamente una base di potere militare, ma accentua anche la necessità di strumenti diplomatici ed economici di governo. Proprio perché gran parte della concorrenza internazionale odierna avviene al di sotto della soglia del conflitto militare, le agenzie civili devono assumere un ruolo guida nel mantenere l’ordine e plasmare un panorama favorevole agli interessi e ai valori degli Stati Uniti. Ma ciò accadrà solo quando la mentalità e la cultura delle agenzie governative statunitensi cambieranno per consentire un più ampio riconoscimento della competizione ora in corso.

In futuro, il successo della politica estera statunitense dipenderà da un approccio chiaro alla cooperazione. Piuttosto che considerare la cooperazione con altri paesi come un fine in sé, i responsabili politici dovrebbero riconoscerla come un mezzo per elaborare una strategia competitiva più forte. Devono anche comprendere che una vera cooperazione richiede reciprocità. Margrethe Vestager, il commissario europeo per la concorrenza, ha forse espresso il meglio di sé quando ha espresso l’essenza di questa politica: “Da dove vengo – sono cresciuto nella parte occidentale della Danimarca – se continui a invitare le persone e loro non ti invitano a tornare , smetti di invitarli. ”

Inoltre, Washington deve accettare che i problemi globali non sono necessariamente risolti al meglio dalle istituzioni globali, che devono rendere conto principalmente alle burocrazie interne piuttosto che ai collegi elettorali esterni. Tali istituzioni possono svolgere un ruolo utile come convocatori e centri per la condivisione delle informazioni, ma mancano della capacità operativa per agire su larga scala; la complessità burocratica impedisce loro di compiere missioni più ampie.

Riconsiderare la governance globale non richiede il rifiuto dei principi liberali o l’abbandono di un ordine basato su di essi. Ma poiché solo una manciata di paesi è impegnata in questi principi, l’obiettivo dovrebbe essere quello di promuovere ciò che lo studioso Paul Miller ha descrittocome un “ordine liberale più piccolo e più profondo” di democrazie industrializzate che difenderebbe i valori liberali e servirebbe scopi strategici ed economici. L’attenzione potrebbe essere sulla creazione di coalizioni guidate dalla missione che potrebbero costruire catene di approvvigionamento ridondanti, finanziare la ricerca nelle tecnologie emergenti, promuovere un commercio equo e reciproco e cooperare su questioni di sicurezza. Tali coalizioni sarebbero aperte a nuovi membri, a condizione che condividano interessi e valori statunitensi e potrebbero portare capacità per affrontare problemi chiave. L’ordine basato sulle regole dell’era della Guerra Fredda è iniziato più o meno allo stesso modo: come un gruppo guidato dagli Stati Uniti di stati che la pensano allo stesso modo che cercano di vincere una competizione strategica e ideologica contro un avversario comune.

Washington ha anche bisogno di rinfrescare il suo pensiero sull’economia politica e migliorare la capacità delle agenzie governative degli Stati Uniti di affrontare l’interazione tra politica ed economia. Gli Stati Uniti non saranno mai in grado di integrare le loro politiche economiche e strategie politiche come fa la Cina, mettendo la sua economia di comando direttamente al servizio degli obiettivi del PCC. Ma Washington dovrebbe investire di più nell’intelligence economica e rendere più facile la condivisione di tali informazioni tra i dipartimenti e le agenzie istituendo un centro nazionale per l’intelligence economica, forse modellato sul National Counterterrorism Center, come sostenuto dallo studioso Anthony Vinci .

Inoltre, il governo degli Stati Uniti deve contrastare i massicci investimenti della Cina nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie emergenti. Il Congresso deve finanziare la ricerca del settore pubblico e privato in AI, calcolo ad alte prestazioni, biologia sintetica e altri settori tecnologici strategicamente importanti. E il Dipartimento di Stato dovrebbe anche mettere l’economia in primo piano e al centro dando ai funzionari economici maggiori responsabilità nelle ambasciate e aprendo più consolati in tutto il mondo, per promuovere meglio gli affari e le relazioni commerciali.

Infine, i politici statunitensi devono accettare che nel mondo contemporaneo la velocità è una componente vitale del potere. La capacità di rispondere rapidamente alle minacce e di cogliere le opportunità accresce l’influenza di un paese. Le risposte lente minano la governance democratica, poiché riducono la fiducia dei cittadini che il loro governo possa soddisfare i bisogni entro un ragionevole lasso di tempo. Questa verità è stata sottolineata dall’attuale pandemia, all’inizio della quale, a causa in gran parte dell’iniziale insabbiamento della Cina, i governi di tutto il mondo hanno agito troppo lentamente. Le agenzie governative statunitensi devono introdurre un nuovo calcolo: il tempo per il risultato. Armato di questa misura, un politico potrebbe avere una speranza di identificare gli ostacoli che devono essere rimossi per portare a termine le cose.

CHE TRUMP SAW

Gli obiettivi dell’ordine internazionale liberale erano lodevoli e, in molti casi, sono stati raggiunti contro scoraggianti probabilità. Il mondo è più sicuro, più prospero e più giusto di una volta. Ma le conseguenze inaspettate della globalizzazione e le promesse non mantenute della governance globale non possono essere trascurate.

In un mondo di concorrenza tra grandi potenze, disuguaglianza economica e capacità tecnologiche abbaglianti, dove ideologie e agenti patogeni si diffondono con ferocia virale, la posta in gioco è troppo alta e le conseguenze troppo disastrose per restare semplicemente con ciò che ha funzionato in passato e sperare il migliore. Trump ha riconosciuto questa realtà prima di molti nella comunità della politica estera statunitense. Anche chi lo segue, sia nel 2021 che nel 2025, dovrà riconoscerlo.

  • NADIA SCHADLOW è Senior Fellow presso l’Hudson Institute e Visiting Fellow presso Hoover Institution. Nel 2018 è stata vice consigliere per la sicurezza nazionale per la strategia negli Stati Uniti.

Sovranisti e globalisti: la battaglia tra due ideologie perdenti, di Andrea Muratore e Marco Giaconi

Una interessante intervista a Marco Giaconi tratta dal sito Osservatorio Globalizzazione su un tema più che mai attuale

Sovranisti e globalisti: la battaglia tra due ideologie perdenti

Oggi col professor Marco Giaconi, che torna ospite delle nostre colonne e che ringraziamo per la grande disponibilità, dialoghiamo delle culture politiche dell’era contemporanea. Quanto è reale la polarizzazione tra “sovranisti” e “globalisti”?

Professor Giaconi, una forte narrazione mediatica e politica, soprattutto in Europa, immagina l’attuale dialettica politica come uno scontro tra sovranisti, fautori della sovranità nazionale, e “globalisti”, aperti alle ricadute ideologiche, politiche ed economiche dei trasferimenti di sovranità. Parliamo di una contrapposizione reale o strumentale?

Le contrapposizioni semplici, adatte al basso livello attuale dei mass-media, sono sempre strumentali e spesso inesatte. L’Italia è sempre stata divisa tra una pressione strategica dal Nord Europa, che data almeno dall’inizio della Prima Guerra Mondiale, alla quale l’Italia partecipa repentinamente e un anno dopo, ma alla fine in funzione anti-tedesca, e una pressione strategica mediterranea, che riguarda anche i detentori attuali dell’egemonia nel Mare Nostrum, Usa e Gran Bretagna, ancora loro.

  Certo, con qualche new entry e con la Francia che non demorde affatto. Fino a che l’Italia, quindi, non si doterà di una Strategia Globale all’altezza dei tempi e della “realtà effettuale della cosa”, come diceva Machiavelli, questa polarizzazione rimarrà e produrrà la morte cerebrale e strategica dell’Italia, forse ormai anche quella economica, e la polarizzazione para-politica a cui Lei, nella Sua domanda, accenna. Mi ricordo che in Banca d’Italia, negli anni di Antonio Fazio governatore, c’era chi diceva che bisognava deindustrializzare “di brutto” l’Italia, fare cassa, come si era fatto con la svendita determinata dall’operazione “mani pulite” e successivamente ridurla a grande area turistica. La destrutturazione del nostro Paese è uno sport al quale, da molto tempo, si sono addestrati in molti, alcuni dei quali a livello professionistico e olimpionico. Ecco, i due quasi-schieramenti che Lei cita sono entrambi portatori di formule molto abborracciate e spesso contraddittorie.

 Sia il centro-destra “sovranista” (al quale non si può più  aggregare Forza Italia, partito molto legato al PPE, che lo finanzia visto che Silvio Berlusconi lo usa poco per i suoi affari, che tratta direttamente con i Capi di Stato EU) fa anche riferimento all’ultra-liberismo di matrice thatcheriana, con proposte come la flat tax o anche con la simpatia per le idee di Steve Bannon, già consigliere della comunicazione di Trump, quindi questo destra dovrebbe essere per conseguenza, chi ti paga comanda, filo-britannico e quindi inevitabilmente antitedesco; ma poi il medesimo schieramento si rifà allo statalismo di marca post-bellica e, detto senza polemica, fascista. Ricordo poi qui che la Thatcher fu disarcionata dal suo stesso partito proprio per aver proposto la poll tax, nel 1990,comunale a un solo scaglione. Il vecchio testatico medievale. Ci fu anche un affaruccio del suo oppositore, Heseltine, con degli elicotteri, ma questo è un altro discorso. Delle due l’una: o si è liberisti, o si è filo-fascisti. Sempre detto senza polemica alcuna. Poi, la simpatia della Lega per i siloviki (“uomini della forza”) di Vladimir Putin, allora, non dovrebbe mai trovare posto in una forza confusamente liberista e filo-americana, gli Usa hanno da sempre una memoria di ferro e una vendetta inevitabile, che gustano sempre freddissima.

O stai con l’amico o con il nemico. Con la tua faccia. Allora sei sempre rispettato, e da entrambi, come accade quando la X MAS di Junio Valerio Borghese si arrese alle forze Usa con l’onore delle armi. Poi Borghese, con la divisa da colonnello della US Army Forces, arrivò a casa sua, a Roma, accompagnato dal futuro Capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale. Delle vendette Usa, ne sa qualcosa anche Silvio Berlusconi. Un ingenuo quanti mai ce ne furono a Palazzo Chigi. Vedremo questo attuale, ma siamo sulla stessa linea dell’infanzia. Chi non sa scegliere non sa governare. Ma lo stesso discorso vale anche per la vasta area “globalista” tra il Centro e la Sinistra. C’è lo statalismo pasticcione, da Totò onorevole, dei Cinque Stelle, che tornano alla sinistra dalla quale sono in gran parte nati, e sembrano, nella loro propaganda, equiparare gli imprenditori a dei distributori di mazzette, con gli effetti che è facile immaginare. C’è poi il Partito Democratico, che si è attaccato all’Europa in modo irriflessivo, come i vecchi comunisti che, quando c’era la partita Italia-Urss, facevano il tifo per Mosca. Aspettano unicamente un aiuto, propagandistico e magari anche finanziario, ma al loro Partito, dall’Europa, come peraltro le altre forze politiche della destra, che aspettano di essere sostenute dai russi, dagli americani, o da qualche altro, magari gratis. Perché sono belli? Ma lo sanno come si ragiona, da sempre, nelle cancellerie UE o non UE? Si può facilmente immaginare cosa accadrà.Le altre forze del centro-sinistra sono partiti personali (Italia Viva di Matteo Renzi, le aree alla sinistra del PD, il gruppo di Carlo Calenda) ma comunque tutto l’arco parlamentare italiano si sta frazionando in gruppi personali e “cordate”, come accade anche nella fin troppo famosa, e comunque hegeliana, società civile. Nella somma impotenza e incompetenza di quasi tutta la nostra classe dirigente, oggi la politica è quasi ovunque, come diceva Frank Zappa, “il dipartimento spettacoli del complesso militare-industriale”. La politica, ma questo vale anche per gli altri Paesi occidentali, è ormai regolata secondo i canoni della pubblicità e deve fare poco o nulla, salvo che dividersi le tifoserie e portarle, talvolta, al calor bianco.

Entrambi i modelli sembrano avere una chiara connotazione anglo-sassone e americana. I sovranisti riprendono diversi temi tipici del neoconservatorismo americano e dell’ideologia trumpiana “America First”, mentre il cosiddetto “globalismo” appare funzionale all’interesse delle èlite liberal di Oltre Atlantico. Parliamo di un successo ideologico statunitense?

Come Le dicevo per rispondere alla Sua prima domanda, i due modelli hanno certo, entrambi, tratti dell’ideologia attuale e recente Usa, e probabilmente la diplomazia coperta, che è gran parte della politica estera dei due schieramenti nordamericani, opera molto in questo campo. Certi viaggi di politici italiani della “Prima Repubblica” erano sostenuti dalla diplomazia talvolta dei Repubblicani (Piccoli, per esempio) o dagli apparati centrali (Napolitano, che poi ne farà buon uso) o dai democratici (i socialisti, soprattutto).

L’Italia è il Paese, ancor oggi, più filoamericano della UE, malgrado certi rigurgiti di nazionalismo che, senza militari autonomi e finanze ugualmente autonome, fanno solo ridere. O fai la tua Force de Frappe autonoma, e ti levi dai santissimi del Comitato Politico Ristretto della NATO, al quale, comunque, Parigi si è sempre seduta, in via privata. Oppure fai gli interessi degli altri, e allora sono cavoli tuoi.  Gli Usa, comunque, non abbandoneranno mai l’Italia, sia per la loro profondità strategica nel Mediterraneo, che si rafforzerà ulteriormente, sia perché vogliono un contrappeso all’area tedesca e la marginalizzazione strategica della Francia. Certo, cambiando solo un poco il discordo, la cultura anglosassone è penetrata, ma è spesso la peggiore, comunque in gran forza in Italia, anche nelle accademie e nella ormai residua università. E’ semplice, è piena di slogan che passano come risultati scientifici, è oggi perfetta per la massificazione ulteriore delle università e della mass culture. C’è oggi, al Sant’Anna di Pisa, scuola molto prestigiosa, chi insegna che la filosofia è “maschilista” e bisogna “femminilizarla”. Roba da ridere, certo, ma si tratta pur sempre di una vittoria del paradigma culturale americano, dove ci sono docenti ad Harvard che affermano che “bisogna farla finita con la cultura dell’uomo bianco”. Un impero che sta cadendo, gli Usa, si riafferma all’estremo con le sue cazzate etniciste. Sperando di sedurre l’Africa, dove ormai laCina la fa da padrona da oltre 14 anni, e la Russia sta entrando in forze. Auguri. Parafrasando Freud, dove prima c’era Marx oggi c’è la cultura liberal-radical Usa. Anche il ’68 fu sostanzialmente una operazione Usa-Cina per destabilizzare i partiti comunisti, ma l’operazione è riuscita e comunque il paziente è morto.  Per il collante del sovranismo, c’è oggi il cattolicesimo popolare dei Family Day, ma per il centro-sinistra c’è l’immigrazionismo, anch’esso irriflessivo, che però lo rimette in collegamento con la Chiesa di Papa Francesco. Staremo freschi, tra questi due fessi matricolati, ovvero destra e sinistra.

A proposito di letture “religiose”, figure come Steve Bannon tentano di ammantare di spirito apocalittico la battaglia sovranista, presentata come quesitone di vita o morte per la civiltà “giudaico-cristiana” contro il nemico di turno. Che può essere, di volta in volta, l’Islam, la Cina, il Vaticano. Quanto influiscono in questa lettura le fondamenta calviniste ed evangeliche degli Stati Uniti?

Steve Bannon, comunque, viene dai ceti popolari di origine irlandese e cattolica, ma questo, in una America in cui la cultura, anche quella non di massa (e lo fa ormai anche qui in Italia) è solo uno strumento primario di segmentazione per gruppi della popolazione, quindi sempre una forma di controllo sociale, vuole pure dire qualcosa. La sua biografia politica lo definisce, senza dubbio alcuno, ma per un tecnico, un vero e proprio “agente di influenza”. Con la sua struttura in Europa, finanzia oggi tutti i movimenti di destra o di centro-destra, anche quelli più distanti tra di loro. Teorizza una rivolta mondiale dei popoli contro le élite, rivolta che sarebbe già in corso. Facile capire quindi cosa vuole davvero: adeguare alla politica estera Usa, anche a quella che verrà dopo Trump, tutta l’area filo-tedesca della UE, e poi sovvenzionare, ma sempre fuori dal controllo russo, i movimenti come il Rassemblement National della Le Pen e la Lega di Matteo Salvini. Giocare due parti in commedia, per permettere a Washington ampia libertà di manovra. L’Europa crede, Dio la perdoni, di essere sfuggita alle regole, scritte e non, che sono state definite dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ma la caduta del Muro di Berlino è stata appunto solo un episodio di quegli accordi, non la loro scenografica rottura. Il “partito americano”, in Italia, lo ricordo qui, andava da una parte del PCI fino al MSI tutto intero, passando per i cattolici, riferimento primario di Washington fin dai tempi dello special envoy Myron Taylor con Papa Pacelli. Pio XII fu un costante riferimento degli Usa durante il fascismo e la guerra, ma poi Mons. Montini fu successivamente un vero “amico” per gli americani.

Il modello politico e culturale di Bannon, tornando all’oggi, ovvero il popolo contro le èlite, è divenuto un refrain di tutti i populisti, ma è tecnicamente sbagliato. Un paretiano come me risponderebbe che ogni settore della società secerne naturalmente delle élite, anche i rapinatori di banche, i gelatai o i geometri. Sempre che non si confondano tra di loro. Non è mai esistita una società senza classi dirigenti, debitamente separate, et pour cause, dal resto della popolazione. Tulle le società sono gerarchiche, ma si tratta solo di vedere quanto c’è di merito personale, nell’ascesa, e quanto di eredità (non ereditarietà) tra i figli di papà. Lo dico sempre ai mei amici comunisti, le rivoluzioni non servono, aspettate una o due generazioni che il famoso “capitalista” si distrugge da solo. Studi drogatissimi in America, vita spericolata, e poi l’ovvio fallimento. I venditori di utopie sono comunque come i venditori di almanacchi, e io sono un fan, come direbbero proprio gli americani, di Giacomo Leopardi. Soltanto che la destra italiana crede di essere “popolo”, o il suo megafono, cosa che peraltro Mussolini non fece mai, aggregando i nazionalisti prima, nel 1923, e qui c’erano Giovanni Verga, D’Annunzio, Alfredo Rocco e molti altri. Dopo, Mussolini farà perfino la coda ai grandi “commessi di Stato”, tra cui Raffaele Mattioli della Banca Commerciale e poi Alberto Beneduce, 33° della massoneria scozzese antica e accettata, Primo Sorvegliante del GOi, amico e “fratello” di Ernesto Nathan, primo sindaco ebreo e massone di Roma e, inoltre, parlo di Beneduce, militante socialista riformista. Sua figlia, Idea Nuova Socialista Beneduce, si sposerà con Enrico Cuccia. La classe politica è quindi una parte irrinunciabile della élite, come tutte le classi politiche, e questo vale per i populisti della destra, mentre invece il centro-sinistra crede di essere quasi automaticamente èlite, ma è spesso proprio “popolo”, perché non conta niente, proprio come molti dei suoi dirimpettai del centro-destra. Nella irrilevanza, le due tifoserie si assomigliano, ma è tutto politica-spettacolo.

Il sovranismo pare la retorica ideale per coprire posizioni politiche che non riescono a gestire appieno la sovranità, stato di fatto che è problematico ridurre a un’ideologia: molto spesso, anzi, esso si risolve in uno sciovinismo pseudo-nazionalista. Quali sono i vulnus principali dei cosiddetti sovranisti?

Certo, il ritorno alle sovranità nazionali è oggi impervio e, talvolta, ridicolo, viste le dipendenze della nostra economia del Nord, e non solo, dalle Catene del Valore che arrivano in Germania e poi vanno oltre. Quando, lo ricordo, perfino un caro amico di Cossiga, Helmut Kohl, era convinto di far entrare l’Italia solo al secondo turno dell’Euro, ci fu una telefonata notturna, piuttosto dura, del capo della Confindustria tedesca, che fece fischiare le orecchie al Presidente tedesco. Credo che una simile telefonata sia arrivata, di recente, anche ad Angela Merkel, e con gli stessi toni, proprio quella allieva di Kohl che però, quando la vedova di Helmut si è avvicinata per salutarla, alle esequie del marito, nel 2017, si è ritratta e le ha detto: “manteniamo le distanze”. Gli aneddoti, di cui era ghiottissimo Churchill, erano invece odiati da Hitler, vegetariano, analcoolico, ma pieno di droghe e di farmaci omeopatici, la famosa “medicina tedesca”. Chi ha vinto? Certo, c’è da ricostruire una dignità nazionale italiana, e questo è il vero problema, in politica estera e di difesa, ma questo è un altro e ben più complesso discorso. È questo, il concetto strategico ben declinato, il vero biglietto da visita che viene valutato nei veri consessi internazionali. È come nel Fight Club: prima regola,non parlate mai del Fight Club, quarta regola, quando qualcuno dice basta, fine del combattimento. La civiltà giudaico-cristiana da difendere? Mah! È un modo per unificare le politiche estere di EU e Israele, che però ha la sua e non sente certo altre ragioni. Anzi, l’Ue è, per i dirigenti di Israele, compresi i Servizi, una sentina di antisemiti e filo-arabi, per i loro grassi investimenti in UE e per il loro petrolio. Israele ha, della politica estera UE, una opinione perfino peggiore della mia.  È per questo che c’è ancora. L’Europa è ormai, comunque, antisemita.

A quanto ammontano, Professore, i numeri dell’antisemitismo in Italia?

In Italia, secondo l’Osservatorio Solomon, e sono dati del gennaio 2020, il 14% pensa che Israele sia l’autore del “genocidio palestinese”, l’11,6% pensa che gli Ebrei abbiano un potere economico eccessivo, che, per il 10,7% gli Ebrei non si occupino della società in cui vivono, ma solo della loro comunità, per l’8,4% l’italiano medio crede che si sentano superiori agli altri e, in ogni caso, il 6,3% si è dichiarato apertamente antisemita. La vedo male, quindi, con la questione della civiltà giudeo-cristiana. I negazionisti della Shoah sono, sempre in Italia, ancora pochi, l’1,3% ma certamente non diminuiranno in futuro.

E sul fronte del rapporto tra Europa e Islam, molto spesso visto come fumo negli occhi dai sovranisti, qual è la sua posizione?

L’Islam è in Europa da moltissimo tempo. Al Andalus, l’Andalusia, fu rivendicata come territorio dell’Islam nel 2002 da Osama Bin Laden. Anzi, l’Europa identitaria nasce dalle sconfitte dell’Islam sui Pirenei e nel Sud dell’Italia, dopo, peraltro, lunghe convivenze pacifiche. Il Sultano di Istanbul, dopo la cacciata dei Mori dalla Spagna, ma anche e soprattutto degli Ebrei, dal 1609 al 1614, pochissimi anni dopo la scoperta dell’America da parte di un esploratore genovese ingaggiato da Isabella di Castiglia, affermò pubblicamente che ringraziava il Re di Spagna Filippo III per la gran quantità di studiosi, mercanti, medici, sapienti, artigiani, banchieri che erano arrivati nel suo Regno grazie alla cacciata dei “mori”. Insomma, la questione è più complessa, come al solito. Ma non bisogna nemmeno dimenticare che, tra pressione demografica interna e esterna, la radicalizzazione del jihad della spada, che sta all’Islam tradizionale come il post-moderno plastificato sta a Kant, oltre all’espansione del mondo arabo, è sempre e scientemente un atto di guerra contro gli infedeli, come ha anche detto l’Emiro del Qatar, Tamim, nel 2007, tramite la rete Al Jazeera in mano alla Fratellanza Musulmana, e operante dal Qatar, ed ecco il testo dell’Amir, il “comandante dei credenti” nel Qatar:  “la Conquista di Roma si farà con la guerra? Non, non è necessario. La conquista dell’Italia e dell’Europa significa che l’Islam tornerà in Europa ancora una volta, ma c’è oggi una conquista pacifica e prevedo che l’Islam tornerà in Europa senza la spada, la conquista si farà attraverso la predicazione e le idee”. E gli affari, aggiungo. E proprio in un albergo di proprietà dell’Emiro di Doha, ma non a Roma, si riunisce sempre con i suoi referenti internazionali un ex-primo ministro italiano, che proprio niente sa, lo dico per esperienza, di queste questioni. Quindi, l’UE avrebbe certo bisogno di un Israele che le desse una mano in Medio Oriente, dove si decidono molti dei suoi destini, e parlo solo della UE, per evitare la seduzione affaristica e ideologica islamista. Gerusalemme farà comunque da sola, ovviamente, credo che ritengano l’UE un caso di malattia mentale e strategica senza medicine possibili. I Paesi europei, soprattutto dopo la pandemia da Covid-19, saranno per lungo tempo alla canna del gas. Qui non c’è da parlare di  una teoria un po’ farlocca del rapporto tra ebraismo e cristianesimo, c’è invece l’urgenza della strategia.

Ironia della sorte che i nemici dichiarati dei sovranisti siano, molto spesso, leader e Paesi che dell’indipendenza e dell’autonomia di scelta fanno, nel bene o nel male, la loro stella polare. Pensiamo all’Iran, alla Cina di Xi Jinping, ma anche allo stesso Papa Francesco, tra i più severi critici dell’ideologia neoliberista mai messa veramente in discussione dai sovranisti. Segno di una necessaria biforcazione tra retorica sovranista e sovranità?

Noi, in Italia, abbiamo realmente abdicato a una vasta quota di sovranità che era comunque necessaria. Non perché è arrivata la sola UE, ma perché abbiamo seduto, nei consessi della UE, parteggiando ingenuamente per quello o quell’altro, senza una chiara e applicabile visione dell’interesse nazionale che è, come diceva Benedetto Croce del liberalismo, “né statalista né liberista, ma sceglie tra le varie medicine quella che serve al momento”. Rileggere la “Storia d’Italia dal 1871 al 1915” di Don Benedetto, al più presto. E a Casa Spaventa, dove Croce crebbe dopo aver perso i genitori e la sorella nel terremoto di Casamicciola del 1883, egli si avvicinò al marxismo di Labriola, che conosceva molto bene i sacri testi. Magari li rileggessero con lo stesso criterio, oggi. Strano a dirsi, ma un discendente diretto degli Spaventa fu anche il capo di Gladio-Stay Behind a Milano e in Lombardia, era il mio amico e maestro Francesco Gironda. La Cina ha un rapporto debito/Pil è del 25%, oggi dopo o durante il coronavirus, mentre il debito non estero delle imprese cinesi non finanziarie è sul 155%. Il debito pubblico russo è oggi al 15% circa del Pil. Il sesto più basso al mondo. Ecco la soluzione, chiaramente affermata da Vladimir Putin al Summit di Monaco del 2017. “Se non ho molti debiti, sono libero dai condizionamenti esteri”. Semplice, ma è proprio così che funziona, da sempre.

Veniamo al mondo liberal/globalista ora. Esso ha pensato, molto spesso, che accettare ogni fattispecie della globalizzazione fosse una scelta inevitabile in un contesto di crescente interconnessione politica, economica e sociale del mondo. Quanto ha influito l’ascesa di leader liberal di sinistra nell’accelerazione, forse impropriamente cavalcata, della globalizzazione e dei suoi problemi negli Anni Novanta?

Devo essere, almeno inizialmente, brutale. Con la globalizzazione inizia la applicazione dei modelli della pubblicità dei prodotti di largo consumo alla politica e, soprattutto, ai processi elettorali, che già prima la loffia Political Theory anglosassone, la Rational Choice, aveva santificato, dicendo che l’elettore fa quasi sempre una scelta ottima tra i programmi contrastanti. Bravi! Bischerata somma, come tutti possono osservare, ma che è servita come tappeto rosso per la globalizzazione. I russi ridotti alla fame dalla folle scelta di Yeltsin, la Voucher Privatization del 1992-1994, fu una distribuzione dei sistemi produttivi post-sovietici alla mafia, già all’opera con Stalin, peraltro, e anche alla nomenklatura del Partito, che era ormai quasi la stessa cosa.

In un suo vecchio libro, Kissinger racconta che un ministro dell’URSS gli raccontò, con dovizia di particolari, che la grande raffineria di petrolio che era sulla carta del CC del PCUS non esisteva, ma i finanziamenti da Mosca venivano divisi tra tutti coloro che l’avevano “creata” dal nulla. 15.000 aziende furono privatizzate con i voucher, la mafia e il “partito” comprarono i voucher dei poveri per il classico e spesso realistico tozzo di pane, mentre la Federazione Russa stata passando la maggior crisi economica del dopoguerra, comparabile solo al disastro agricolo del 1930-’31 in Crimea e Ucraina. Putin, uomo pratico come tutti quelli che escono dai Servizi, ma dal KGB si usciva davvero solo con i piedi davanti, seleziona la parte dei nuovi ricchi che si accorda con lui e il suo gruppo degli “oligarchi”, poi manda al macero tutti gli altri. Quando viene assassinato Litvinenko a Londra, che è in rapporto con un oligarca che non si è messo d’accordo con Putin, Boris Berezkovsky, il FSB faceva addestrare al tiro i suoi operativi con sagome che erano ricalcate sull’immagine di Litvinenko. I liberal di sinistra sono quelli che giocano su questa nuova e immaginaria cornucopia, che farà arrivare al Welfare europeo quei soldi che nascono dalla espansione globalizzatrice. Staremo ben freschi.  I soldi della spoliazione russa, ed era per questo che i dirigenti cinesi del PCC ridevano quando arrivò, nelle more della rivolta di Piazza Tien An Mien, nel 1989, Gorbaciov a Pechino. “Bravo-immagino dissero i dirigenti di Deng Xiaoping-vuoi tenere in mano il tuo Paese immaginando che arrivino i capitalisti “buoni” e che non ci saranno rivolte sociali come quella che stiamo fronteggiando?”.

Insomma, il mondo globalista, come lo ha chiamato giustamente Lei, è una accolita di ingenui che hanno operato con tecniche economiche e finanziarie sbagliate, e spesso dannosissime, pagando quasi unicamente i loro politicanti di riferimento, scelti sempre con criteri da testimonial pubblicitario, e poi facendo operazioni economiche e finanziarie semplici e sempre più a breve. “Mordi e fuggi” finanziario, giocando sulle valute, sui futures artificiali per i prezzi delle materie prime, sulla ingenuità delle popolazioni che avrebbero seguito il loro pifferaio magico o leader politico fino in fondo. Sbagliato. Il cosiddetto Terzo Mondo è molto più evoluto, politicamente, del contadino dello Iowa, che comunque piace molto a Xi Jinping. Una riedizione, quindi, dello spaccio di carta commerciale spesso di serie B o C, come fecero gli Usa in Francia poco prima che De Gaulle si rompesse le palle e ordinasse il pagamento delle partite bilaterali con franchi svizzeri, oro o sterline-oro, nel 1966.

De Gaulle, l’unico statista europeo degno di questo nome, altro che i “sovranisti” tutti chiacchiere e distintivo, credeva che il progetto di alleanza franco-tedesca non fosse solo contro l’URSS, ma potesse toglierci dai santissimi anche gli Usa. Peccato di ingenuità? Non credo. Comunque, il primato della politica è inevitabile, l’economia e, soprattutto, la finanza, fanno tutto con operazioni organizzate, in frazioni di secondo, con i loro computer quantici e ben dotati di algoritmi aggiornati. Poi, il gioco degli asset contro altri Paesi, se ne vanno a far danni altrove. E sul momento. L’unica politica che può adattarsi a questa economia, quasi del tutto finanziarizzata, è l’”olio lenitivo” che Nietzsche, già “pazzoide”, ma non troppo, che egli vede scendere sui futuri “cinesini” addetti alla produzione. Ora, i veri cinesini sono nella gig economy, nella “economia dei lavoretti”, nel terziario straccione (non voglio certo offendere questi lavoratori, ovviamente) e nelle classi politiche, come per esempio in Italia, che non favoriscono l’emigrazione delle imprese, salvo che per un fisco demente, ma vogliono “buscar el levante per l’occidente”, come diceva Cristoforo Colombo. Ovvero vogliono adattare l’industria che è rimasta in Patria alla concorrenza sul costo del lavoro e tutto il resto messa in atto dal Terzo Mondo, che incamera ancora aziende come se piovesse.

Una scelta, a dir poco, autolesionista…

Non faremo mai concorrenza a questi Paesi, è impossibile. Ma, certo, possiamo ridurre la nostra classe operaia al nulla salariale, e gli imprenditori non ritorneranno lo stesso, anche se c’è, per l’alto di gamma, una quota di ritorni. Le imprese italiane delocalizzate, tra il 2009 e il 2015, sono aumentate del 12,7%, fonte Teleborsa, con un totale, ma qui le statistiche sono molto difficili, di 36.000 imprese almeno che se ne vanno stabilmente. E qui si tratta di PMI di successo, mica di patacche piemontesi con la erre moscia, salvate almeno quattro volte (e sulla quinta ci sarebbe molto da discutere) dal contribuente italiano. La concorrenza globale sui costi del lavoro e sulla sua precarizzazione è andata oltre ogni limite, in Italia. Per fare cassa nel pagamento, quando occorra, dei titoli di Stato e per sostenere la spesa pubblica, ormai incomprimibile. Dobbiamo quindi inventare una formula produttiva del tutto nuova, fatta di nuovi prodotti, di adattamento rapido ai mercati, di prodotti globalizzati bene, come fecero, a loro modo, i manager di Stato che, dal Codice di Camaldoli del 1943, poco prima che il Gran Consiglio del Fascismo sciogliesse il fascismo, si costruirono una loro autonomia strategica di area cattolica, spesso garantita bene dai Servizi, altro che “deviazioni” dei miei stivali, nel nostro mercato naturale. Ovvero, il Mediterraneo. Moro, Fanfani, Piccoli, poi Craxi, capirono, in modo diverso ma parallelo a De Gaulle, che nella lotta tra i Due Imperi c’era molto spazio anche per noi. E, allora, lo sfruttammo molto bene.

Insomma, Professore, oltre la retorica sovranismo/globalismo la via è ben segnata: serve tornare a coltivare e pensare l’interesse nazionale, mettendo l’azione davanti a ogni retorica.

Ecco, una politica nazionale attenta ai suoi interessi strategici ed economici, un governo che è un po’ liberale, nel senso che non rompe troppo i santissimi alle imprese, ma che le indirizza in modo sensato e talvolta protetto verso i loro “mercati naturali”. Che sarebbero tantissimi, se solo li si volesse studiare bene. Oggi, la SACE-SIMEST è ancora una buona struttura, ma avrebbe bisogno di una bella rinnovata. Gli strumenti quindi li abbiamo, la dottrina del nostro interesse nazionale ancora no. Che non è sempre opposto agli altri, anzi, talvolta, accade il contrario. È  qui il luogo naturale, per dirla con Aristotele, dove dovrebbe cadere la nostra politica estera, fuori dalla chiacchiere neo-nazionaliste o anche globaliste da Inno alla Gioia di Schiller-Beethoven. Come se i nostri concorrenti UE ci dovessero togliere tutte le castagne dal fuoco. Sarà da ridere. E, comunque, il musicista lo modificò non poco, l’Inno. Penso a un ritorno delle strategie nazionali o anche di area, ma senza stupidi nazionalismi, dopo che le tensioni dell’Islam e del jihad della spada saranno regionalizzate o sedate. Si ritornerà a pensare in grande, finalmente.

http://osservatorioglobalizzazione.it/interviste/sovranisti-globalisti-giaconi/?fbclid=IwAR14b9IIQdE8uSfC0fb93TM6pjHnuewW84ll_ULM0VBobCmW9RDdWj78oHc

Attenti a quei due, di Giuseppe Germinario

La videoconferenza del duo Merkel-Macron del 18 e la relazione della von der Leyen al Parlamento UE del 27 maggio scorso rappresentano probabilmente un punto di svolta nelle linee di condotta della Unione Europea, almeno nelle intenzioni dei due principali protagonisti dell’agone comunitario. Un punto di svolta, ma nella continuità. Lo stile adottato nelle due iniziative non poteva essere più stridente. Alla esposizione asciutta, insolitamente sintetica rispetto alla ricorrente tentazione logorroica di Macron, dei primi, confacente al pragmatismo di due capi di stato ha corrisposto la stucchevole e rozza retorica intrisa di lirismo della seconda, nelle vesti consapevoli di una facente funzioni. Paradossalmente l’iniziativa non ha goduto del clamore di tanti precedenti dal tono ben minore. È l’indizio che è in corso una battaglia politica vera tra i vari paesi europei e all’interno degli schieramenti politici nazionali; battaglia la cui virulenza sta affievolendo la antica sicumera delle classi dirigenti più europeiste. In Italia la reazione degli schieramenti politici dominanti all’evento è stata più chiassosa, ma ha confermato una volta di più l’attendismo e la passività del ceto politico e della relativa classe dirigente nostrani. Gli uni hanno plaudito soddisfatti con la sola riserva della sollecitazione sui tempi di attuazione troppo lunghi; gli altri hanno mostrato scetticismo sulla sincerità e sulla attuabilità della proposta, visti il contesto politico dell’Unione e la tempistica legata alle procedure e ai canali di finanziamento e distribuzione. Toccare moneta per credere!

Il tempo in effetti è un fattore di grande importanza. Lo è per i paesi particolarmente più esposti con il debito pubblico, privi di sovranità monetaria e legata ai vincoli dei trattati e delle decisioni comunitarie, l’Italia in primo luogo. L’urgenza espressa dal nostro paese rientra nell’ordine dei mesi colti dalle dita di una mano o poco più. La crisi di liquidità delle imprese, l’interruzione istantanea della rete di relazioni economiche in un contesto in cui la fluidità dei circuiti era già compromessa dagli sconvolgimenti geopolitici e dalle innovazioni tecnologiche stanno compromettendo l’esistenza di un numero enorme di aziende non necessariamente decotte. Il tempo richiesto dall’impegno finanziario del “recovery fund”, del “sure”, dei finanziamenti della BEI (Banca Europea degli Investimenti), con l’eccezione non casuale del MES, rientra nell’ordine degli anni (sei) con elargizioni per di più rateizzate e legate al rispetto e verifica dei protocolli. Un criterio quest’ultimo, per altro, particolarmente virtuoso nelle procedure rispetto a quelle di concessione ed esecuzione dei lavori adottate dalle amministrazioni pubbliche italiane così come illustrate in particolare a suo tempo da Fabrizio Barca.

Lo è anche per i centri decisionali europei di quei paesi che detengono il pallino della definizione e del controllo dei meccanismi europei. Il fattore tempo è uno strumento fondamentale nel confronto geopolitico e geoeconomico, nella ridefinizione quindi delle gerarchie e delle posizioni. Lo è anche per un altro motivo, probabilmente ancora più importante. La sopravvivenza della Unione Europea nella sua attuale conformazione e progressione dipende in gran parte dall’esito del confronto politico negli Stati Uniti con i suoi riverberi in Europa; in subordine dall’acceso confronto politico interno agli stessi paesi motori del processo di integrazione, Francia e Germania.

Agli occhi dei critici più o meno istituzionali assume per la verità importanza sostanziale un altra caratteristica dell’intervento europeo: la grave insufficienza degli stanziamenti rispetto alle necessità, solo in parte mitigata dagli interventi provvidenziali ma circoscritti sulla liquidità corrente della BCE.

Sarebbero due ambiti di critica realmente dirimenti se fossero fondati i presupposti sui quali poggiano. Che la finalità dell’Unione Europea sia quella di garantire la coesione e lo sviluppo equilibrato delle economie e delle regioni in un ambito di cosiddetto libero mercato; che gli strumenti normativi, procedurali ed amministrativi di cui dispone la UE siano idonei al perseguimento di quegli obbiettivi.

La finalità ultima e dirimente della UE è in realtà il processo di integrazione all’interno del quale si predeterminano gerarchie, controlli e controllori sulla base di scontri, confronti, occupazione ed infiltrazione nei posti di comando che vedono regolarmente gli stessi deus ex-machina, attori principali e comparse. Le compensazioni previste sono solo una forma di redistribuzione parziale che non intaccano minimamente le dinamiche. Le rendono in realtà più tollerabili ed agevolano la fluidità del circuito domanda/offerta del mercato; le istituzionalizzano e le perpetuano con l’indebitamento.

Gli strumenti, compresi i fondi strutturali, sono stati tutti indistintamente costruiti in funzione di quella dinamica principale.

Il duo Merkel-Macron, da comprimari quali sono, a differenza di gran parte della nostra classe dirigente e del nostro ceto politico che le ignora o finge di ignorale, conoscono benissimo questa narrazione e le susseguenti implicazioni.

Sanno benissimo che passano attraverso un indebolimento progressivo delle prerogative e delle capacità di controllo e di intervento degli stati nazionali di cui sono essi stessi vittime rispetto agli altri attori geoeconomicopolitici; ma in misura molto minore, è questo infatti il loro ambito di azione prioritario, rispetto ad altri quali la Spagna e l’Italia. Di fatto l’UE agisce strutturalmente per garantire la libera circolazione finanziaria e per impedire la formazione di grandi imprese paragonabili in dimensioni e qualità a quelle americane ed ora cinesi, specie nei settori strategici dell’alta tecnologia e della difesa. I pochissimi settori nei quali Francia e Germania si sono ritagliati uno spazio, come nell’aereonautica (Consorzio AIRBUS), lo hanno acquisito a dispetto della UE e ora rischiano di perderlo grazie al mercimonio dei tedeschi i quali, forti della loro supposta “integrità morale”, dopo aver acquisito il controllo di una tecnologia francese a loro estranea, hanno recentemente cercato si svenderla agli americani in cambio di un loro benestare nell’acquisizione nel campo della chimica. Acquisizioni in cui sono compresi fardelli legali e risarcitori talmente pesanti da rivelarsi fatali per il colosso tedesco della Bayer. Il riferimento è alla ex-americana Monsanto. Altri, come il progetto Galileo, hanno goduto di un sostegno europeo parziale ma con pesanti limitazioni legate all’uso esclusivamente civile di una tecnologia di fatto superiore a quella americana. La conferma ulteriore di come i vincoli politici dai quali è legata la costruzione europea determinano le dinamiche e le scelte economiche.

Se il duo ha tanto insistito nel loro discorso sul carattere a fondo perduto di buona parte del “recovery fund”e sul “sure” e sull’interlocuzione diretta della UE con i beneficiari e le regioni, ma glissando elegantemente sulle necessarie garanzie pubbliche, è perché conoscono benissimo la frammentazione del panorama politico, lo scarso attaccamento alla nazione e allo stato nazionale di buona parte dello zoccolo duro dell’elettorato leghista e la propensione assistenzialista della componente grillina e progressista. Come le sirene con Ulisse, il loro di fatto è un richiamo alle origini di una Lega, possibilmente dimentica delle sue ambizioni di partito nazionale e nuovamente attratta dalle suggestioni di un polo eurobavarese, proprio nel momento in cui tra l’altro questo avrebbe meno da offrire.

Non è un caso altresì che il duo, accompagnato dieci giorni dopo dalla loro ventriloqua, abbia insistito sull’uso del canale dei fondi strutturali nella gestione del fondo. Non ostante l’ampia letteratura a disposizione, in Italia non riesce ad insinuarsi nemmeno il sospetto che quei fondi possano costituire il principale veicolo dell’integrazione, piuttosto che della coesione. Potenzialmente un veicolo di ulteriore esposizione alle dinamiche di squilibrio e di dipendenza delle zone depresse o a sviluppo intermedio rispetto ai centri politicoeconomici. Con il criterio del cofinanziamento vincolano, se non tutti, almeno la gran parte dei fondi statali al rispetto dei criteri europeistici, di quelle regole di concorrenza che impediscono il sorgere, con il necessario sostegno e la copertura pubblica in qualche maniera protezionistica, di realtà imprenditoriali autoctone. Una dinamica tanto più consolidata quanto meno sono disponibili risorse nazionali aggiuntive ed autonome per gli investimenti, quanto meno è presente l’ambizione a scelte autonome di una classe dirigente. Una ulteriore spinta al regionalismo, vecchio cavallo di battaglia della UE e di tante forze politiche non farebbe che accentuare tale predisposizione. È una tendenza fattiva che ha trovato tanto spazio e compromesso, nelle modalità di esercizio, paesi come l’Italia e la Spagna con i risultati ormai evidenti, ha intaccato la solidità della Francia, ha assunto una maschera simile ad una finzione nei paesi dell’Europa Orientale, indossata con il solo scopo di poter accedere ai fondi europei. La lezione degli anni ‘90 che ha portato, contestualmente al trasferimento all’Europa Orientale di gran parte dei fondi europei, allo smantellamento repentino in Italia delle agenzie nazionali e di tutto il relativo apparato tecnico-amministrativo in grado di progettare opere strategiche e processi di industrializzazione, nonché del sistema di incentivi non è stata appresa, pur considerando le grandi pecche di quel sistema. Solo la Germania è sembrata immune dalle conseguente di tali scelte, ma solo perché, risorta sotto impulso americano con una impronta federalista, esentata in quanto paese occupato da scelte di politica estera dirimenti e perché in possesso di una rete associativa e corporativa, direttamente coinvolta nelle scelte, tale da garantire sufficiente omogeneità politica tra i laender della federazione; soprattutto perché, grazie al suo progressivo e certosino controllo diretto ed indiretto delle leve politiche e burocratiche della UE, in questo ben avvallato dalla paterna accondiscendenza degli USA sino ad un paio di anni fa, ha saputo prepararsi e predeterminare gli indirizzi e la gestione di essa.

È arrivato il momento di chiarire un altro aspetto della natura particolare dell’azione delle strutture della UE in funzione dei due interventi oggetto di attenzione. Si parla costantemente di leggi e giurisprudenza europea. La produzione della Commissione Europea è fatta in realtà di norme frutto di trattative e pressioni degli Stati Nazionali ed espressione della immane attività lobbistica di aziende ed associazioni accettata e riconosciuta dagli organismi comunitari senza nemmeno i bilanciamenti che l’analoga legislazione americana, alla quale si è ispirata, ha creato a tutela dei cittadini e delle decisioni politiche; suscettibile quindi delle più svariate pressioni, interpretazioni e modifiche. Una dinamica che penalizza fortemente gli attori del panorama economico italiano. Che la UE non goda di uno statuto internazionale particolare è dimostrato dal fatto che organizzazioni internazionali come l’OMC non la riconoscano. Due aspetti che mettono all’angolo una volta per tutto il lirismo europeista della nostra classe dirigente utile a nascondere la propria assenza di protagonismo ed autorevolezza e il proprio fallimento; l’assenza di sagacia nelle continue contrattazioni in sede europea.

Alla luce di quanto detto le due novità più importanti degli interventi del duo e del commissario europeo assumono una luce particolare. La prima è che, almeno nelle intenzioni, la Unione Europea potrà diventare soggetto di imposta e quindi esattore diretto. La seconda è che comincia a farsi strada il concetto di tutela ed autonomia della produzione industriale. Due tabù cominciano ad essere messi in discussione. Il primo è l’acquisizione di una prima prerogativa statuale della UE, la riscossione delle tasse. Saremmo ben lontani dall’acquisizione della massa critica di risorse, stimata in un 20% del PIL, tale da dare corpo alla prerogativa; ma è un principio che comincia ad insinuarsi. La seconda appare una messa in discussione della verità assoluta del dogma del libero mercato. In quanto dogma, ben lungi ed impossibile da essere praticato coerentemente nell’azione quotidiana, quando si tratta in effetti di tradurlo in norme, comportamenti e sanzioni. Ma un’arma comunque necessaria da brandire alla bisogna in mano al censore investito e abilitato. Apparentemente parrebbe finalmente un sussulto di ambizione verso i potenti del globo. Non bisogna dimenticare però che uno dei protagonisti, Macron, è stato il cofautore della crisi del complesso nucleare francese, della cessione del settore delle turbine alla americana GE, strategico nel settore navale e nucleare, della produzione dei treni alla Siemens e di pericolosi tentennamenti nella vicenda AIRBUS. La seconda appare come la paladina di un primato industriale su prodotti maturi disposta a mantenere questa posizione sacrificando settori strategici altrui. Di una esposizione rischiosissima ai venti speculativi della finanza. Per non parlare della permeabilità esterna del proprio apparato istituzionale. Una coppia quindi molto poco credibile. Tanto più che l’obbiettivo strategico dell’economia verde può risolversi tranquillamente in un paravento per nascondere la residualità e la subordinazione nelle scelte strategiche, quello più corposo del 5G allo stato appare del tutto velleitario.

Allo stato l’iniziativa potrebbe assumere due significati non necessariamente alternativi.

Il primo potrebbe essere quello di gettare il cuore oltre l’ostacolo visto l’incalzare degli avversari interni ed esterni al progetto europeo e i punti fermi ormai stabiliti dalla Corte Federale tedesca che inibiscono ulteriori traccheggiamenti. Il secondo è che il vero obbiettivo è un riassetto definitivo degli equilibri interni che prevedono l’annichilimento definitivo di alcuni stati europei, l’Italia in primis; la definizione della Francia come partner politico-economico sostitutivo dell’Italia, come fornitore quindi dell’indotto, vista la crisi della sua grande industria. Un progetto però ancora tutto da definire e da costruire con parecchi terzi incomodi all’interno, soprattutto tra i paesi dell’Europa Orientale, legati del tutto strumentalmente ed opportunisticamente alla costruzione europea e molto più sensibili politicamente alle sirene americane; con numerosi e particolarmente influenti osservatori esterni, in primis gli Stati Uniti. I due potrebbero coltivare l’illusione, con la sconfitta di Trump, ad un ritorno al passato. Speranza mal riposta. Con il direttore d’orchestra che comincia a perdere colpi, il loro appare certamente un progetto foriero di conflitti distruttivi nel continenti piuttosto che un sussulto capace di costruire un nucleo politico di paesi europei in grado di partecipare attivamente alle dinamiche geopolitiche. Più che un oggetto di contesa, il nostro paese, con la sua attuale classe dirigente, appare in proposito, in questo contesto, una pallina da ping pong sballottata a piacimento senza alcuna considerazione. Dal punto di vista storico, in Europa ogni tentativo interno di posizione egemonica o di dominio continentale diretto si è risolto in catastrofi foriere di nuovi equilibri sempre precari. Non è detto che la storia si ripeta pedissequamente, ma gli ingredienti per una nuova disfatta si intravedono tutti.

https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2020/05/18/initiative-franco-allemande-pour-la-relance-europeenne-face-a-la-crise-du-coronavirus

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/about_the_european_commission/eu_budget/2020.2139_it_04.pdf

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it#documents

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it

Le prospettive del sovranismo. Una conversazione tra Vincenzo Costa, Andrea Zhok e Roberto Buffagni

Conversazione sulle prospettive del “sovranismo”

Pubblichiamo una lunga conversazione sulle prospettive del “sovranismo” tra Vincenzo Costa (Università del Molise), Andrea Zhok (Università Statale di Milano), e il nostro collaboratore Roberto Buffagni. La conversazione si è sviluppata in questi giorni sulla pagina Facebook di Vincenzo Costa. Sono intervenuti molti altri interlocutori, che spesso hanno dato un contributo importante al dialogo. Non pubblichiamo tutti gli interventi per ragioni di ordine e brevità. Invitiamo i lettori interessati a leggere l’intero scambio di opinioni sulla pagina del prof. Costa.

 

Il post di Vincenzo Costa che ha dato inizio alla discussione è questo:

Vincenzo Costa

La fine del sovranismo e l’orizzonte della sinistra a venire

Con le decisioni di ieri della UE si chiude una fase. Il crollo della UE non ci sarà. La UE ha molte criticità ma non tali da portare al suo crollo. Consegnerebbe i paesi europei a potenze estranee, e questo nessuno lo vuole, non lo vuole il popolo e non lo vogliono le élites.

Finisce l’epoca del sovranismo, di destra e di sinistra. Epoca che ha consumato energie e forze intellettuali, senza produrre niente se non strabismo e cecità rispetto alle trasformazioni reali e ai bisogni effettivi del paese.

L’orizzonte della sinistra a venire è un altro: le diseguaglianze crescenti, le lacerazioni del tessuto sociale, una cultura di sinistra arretrata e attardata su un liberalismo da anni ‘80, la riduzione di democrazia e di sovranità popolare, che va distinta dalla sovranità nazionale.

Rimarranno piccole sacche unificate dall’antieuropeismo, dall’odio contro i crucchi, etc., sempre più espressione di nazionalismo che di aderenza alle esigenze popolari e del paese. Estranee alla tradizione socialista e con la faccia rivolta all’indietro invece che verso il futuro

Viene l’ora di una sinistra socialista, riformista, positiva, che non aspetti né l’apocalisse né la rigenerazione. E che traduca esigenze reali in idee, invece di fossilizzarsi attorno a idee astratte che poco interessano le persone reali.

Non nascerà domani, sarà un lungo cammino, ma bisogna iniziarne uno nella direzione giusta. Quello sovranista si è rivelato essere solo un vicolo cieco.

A volte piccoli segni marcano cambiamenti profondi, che bisogna sapere cogliere.

Ps. Questo non è un post polemico. Anzi.

Andrea Zhok

Senza polemica, a mio personale e fallibilissimo giudizio, credo che non sia una buona analisi, Vincenzo, qualunque sia il senso che diamo a un termine scivoloso come “sovranismo”.

Se “sovranismo” vuole intendere quella sorta di neoliberismo nazionalista brandeggiato da Salvini (e da parecchi altri in Europa) non credo affatto che sia morto, tutt’altro. E’ e resta quasi ovunque forza dominante, perché la profondità e multifattorialità del fallimento della sinistra non si cancella in un giorno e questi vivono del discredito della sinistra.

Se “sovranismo” vuole intendere “antieuropeismo”, dubito molto che la manovra annunciata di millemila miliardi arriverà ad essere ciò che pretende di essere. Di fatto i veti incrociati ci sono e continuano ad essere robusti. Inoltre non siamo affatto in presenza né di una mutualizzazione del debito, né di una corresponsabilità fiscale, neanche lontanamente. Infine le cifre coinvolte, visto che si continua ad operare senza monetizzazione del debito ma in forma di offerta di titoli sul mercato dei capitali, saranno alla fine piuttosto modeste. Un calcolo di ieri sul Corriere (fonte entusiasticamente europeista) diceva che potremmo avere a che fare con un 0,7% del Pil per anno, per 6 anni, a fronte di una perdita di oltre il 9% solo quest’anno. Diciamo che vedervi un’operazione epocale è mero wishful thinking. E tacciamo la questione delle condizionalità legate all’erogazione del credito, condizionalità ancora molto vaghe, ma che finora hanno sempre rappresentato il punto dirimente. Qui non si è superato ancora nessun problema, ma proprio neanche mezzo.
In tutto questo quadro l’unica cosa ad essere cambiata è che la Germania ha accettato il principio di poter operare una redistribuzione interna all’UE. Il principio è significativo e idealmente potrebbe essere il segno di una riforma dell’UE a venire. Ma dopo 12 anni di fallimento profondissimo mi sa che i tempi per un ribaltamento della direzione non ci siano più. Diciamo quanto meno che siamo molto lontani dal poter dire che l’antieuropeismo sarebbe morto perché l’Unione Europea avrebbe dimostrato di essere madre e non matrigna. Francamente prematuro.

Se “sovranismo” è un altro modo dire “ritorno alla centralità dello Stato nazione”, credo che a fronte degli esiti catastrofici della pandemia sugli ordinamenti dell’iperglobalizzazione contemporanea, questo ritorno in auge è appena agli inizi e proseguirà per lungo tempo. Le catene di produzione del valore iperestese si sono dimostrate fragili e il ruolo difensivo degli Stati nazionali si è dimostrato cruciale. Lo Stato nazione è destinato a ritornare durevolmente al centro della scacchiera (che in verità aveva lasciato solo sul piano propagandistico e ideologico.)

Non so se ci sono altre accezioni di “sovranismo” di cui dare conto. A me queste paiono le principali, e nessuna di queste parla di un ‘de profundis’ del “sovranismo” (anche se magari la parola potrebbe andare fuori moda.)

Vincenzo Costa

Caro Andrea grazie del tuo commento, che come sempre sopra porta un contribuito di riflessione importante. E mi offre la possibilità di precisare. Certo, è probabile che le nostre analisi divergano profondamente, e di conseguenza anche la direzione dell’agire politico. E probabilmente ci troveremo a fare scelte politiche diverse. Ma spero che la discussione tra noi rimanga aperta, perché rappresenta per me uno stimolo importante. le posizioni sono appunto divergenti.

Io credo che il sovranismo socialista o di sinistra sia finito. Per sovranismo di sinistra intendo l’idea secondo cui l’obbiettivo principale è uscire dalla UE, e che questa è una precondizione per porre sul tavolo le esigenze del lavoro e dei diritti delle classi meno abbienti, per non dire che è la precondizione per parlare di riforme in senso socialista democratico (nei commenti al post molti lo hanno osservato esplicitamente).

Questo sovranismo è defunto, e non per gli accordi di ieri, ma perché è sterile. Non vi sarà alcuna implosione della UE, né alcuna uscita dall’Euro. Almeno, allo stato attuale sembra molto improbabile. Quindi è un’idea sterile, senza prospettiva politica, che si è dimostrata incapace di sviluppare egemonia nelle classi lavoratrici. Al massimo trova accoglienza presso qualche intellettuale.

Nel caso in cui avvenisse sarebbe gestita da una classe dirigente pessima, e sarebbe pagata interamente dalle classi popolari. Ne abbiamo già parlato: uscire dall’euro significa un 30% di svalutazione, un’inflazione di circa 7-8%. Quindi la ricchezza privata nazionale, di cui tanto si parla, sarebbe erosa. Praticamente si farebbe una patrimoniale pazzesca. Facciamo prima a fare un patrimoniale del 2% e siamo a posto, ci costa meno.

Questa svalutazione e inflazione sarebbero pagate interamente dalle classi popolari, dato che i grandi capitali si sposterebbe molto prima (come hanno fatto già durante questa estate e come fanno ogni volta che 4tira aria cattiva). Pietro Ingrao, tempo fa, dichiarava lo stato nazione troppo ristretto per tutelarsi contro il capitale internazionale. Io non starò certo a cercare di convincerti, ma vi fu e vi è tutta una letteratura per cui gli stati nazionali erano vasi di argilla tra vasi di ferro. Se vuoi farti un’idea del dibattito nella sinistra dell’epoca prova a guardare Dockès, L’internazionale del capitale e Michalet, Il capitalismo mondiale, come anche Crisi e terza via di Ingrao. Tutti editori riuniti. Non che si debba sottoscrivere quelle tesi, datate, ma solo per dire che la narrazione sulla Banca d’ Italia e il divorzio col Tesoro, e la svendita di un paese magnifico è una semplificazione bestiale, e sta producendo, secondo me, accecamento. Fanatismo. Le cose stavano diversamente e stanno diversamente. Un piccolo stato come il nostro sarebbe divorato dai ricatti di multinazionali e altri grandi stati. Dalle grinfie dell’odiata Germania alle grinfie di chi? Questo bisogna dirlo.

Ma insomma, così ho detto troppo, e non sono cose da FB, a meno che non si voglia volgerle in chiave propagandistica o fare la sfida all’OK corrall, cosa di cui non ho molta voglia. Il punto è che l’uscita dalla UE è un salto nel buio, che se si andasse a votare non avrebbe alcun seguito (secondo me), non appena le persone capiscono che dei loro risparmi in banca perderebbero il 30%. Dal punto di vista macroeconomico una follia, una distruzione di ricchezza nazionale. Tutto opinabile, per carità, ma non credo sia opinabile che il sovranismo, nel modo che ho specificato prima, si è rivelato sterile. Ha portato solo un poco di acqua e di argomenti alle destre. Questi i fatti.

La UE può venire meno solo perché implode per le sue contraddizioni interne. Questo non è escluso, ma è improbabile. La sua dissoluzione consegnerebbe i paesi europei alla forza di altri, e questo non conviene a nessuno. Il punto non è allora uscire dalla UE ma avere una classe dirigente che, come legittimamente fanno gli altri, sappia fare gli interessi del paese. Si può fare un altro percorso.

L’idea di un debito comune non è praticabile, e fossimo noi tedeschi ci guarderemmo dall’accettarla. Tu fai debiti e io me li accollo? Dai. Quello che si sta facendo non è moltissimo, ma non è niente. Sono passi avanti importanti, che non vanno enfatizzati come fanno i governativi ma neanche minimizzati. Sono cose importanti.

In ogni caso, per come la vedo io si tratta di concentrarsi su questioni concrete: la rivoluzione tecnologica e la ristrutturazione del mondo del lavoro, la disoccupazione, la mobilità sociale etc. Un intero orizzonte di problemi che bisogna giocarsi stando DENTRO la UE, perché a questo ci consegna la storia. La UE è diventata il drappo rosso che fa infuriare il toro e lo inganna, distogliendolo dai veri problemi. Almeno io la vedo così. Alla fine, il post non aveva un tono o un fine polemico. Voleva solo dire che secondo me una fase si chiude perché mi sembra che non porti a niente, e che vale piuttosto la pena seguire altre strade, sia dal punto di vista teorico che pratico. Come dire, era una sorta di confessione pubblica, poi ognuno segue quello che crede vero e giusto.

Infine, lo stato-nazione tornerà, sta tornando, ma non sarà quello di prima. Tornasse quello di prima sarebbe lo zimbello di grandi imperi finanziari e industriali. Oppure vuoi mettere i dazi alle frontiere e fare una bella politica mercantilista? Magari prendiamo Fichte e lo stato commerciale chiuso a modello? Credo che siamo entrambi d’accordo che non possono essere quelle le soluzioni.

Grazie della discussione, Andrea.

 

Andrea Zhok

Sono d’accordo con un paio di cose (lo sono sempre stato, peraltro). Primo, non credo che porre in testa all’agenda politica l’Italexit sia produttivo. L’Italexit è un mezzo, non un fine, e bisogna tener fermo il fine, e renderlo plausibile (e molto si può fare senza puntare senz’altro sull’Italexit, in termini di proposte politiche socialiste). In effetti sono uscito da una forza politica che proponeva l’Italexit come tema primario e preliminare proprio per un disaccordo su questo punto.

In secondo luogo è vero che un’uscita unilaterale sarebbe un’operazione di grande complessità, che dovrebbe essere gestita dalla stessa classe dirigente che finora non è riuscita a fare cose ben più semplici, come riprendere in mano un po’ di industria strategica in mano statale.

Detto questo sono invece in netto disaccordo con quasi tutte le altre analisi particolari.

La tua analisi degli effetti dell’inflazione è a mio avviso, perdonami, proprio sbagliata. Dove si abbatte l’inflazione dipende da decisioni politiche molto semplici da gestire (se non lo si vuole gestire è una scelta politica, ma certo non è qualcosa da ascrivere ad un problema tecnico intrinseco all’inflazione. Inoltre un’inflazione moderata in un contesto come quello italiano sarebbe una benedizione, perché costringerebbe gli ingenti capitali immobili a rimettersi in circolazione, ad investirsi, e simultaneamente abbatterebbe il debito pubblico reale. Un’inflazione moderata per qualche anno per un paese come l’Italia, se gestita decentemente (un’indicizzazione parziale dei salari?) sarebbe una benedizione, non un problema.

La questione dell’isolamento fuori dall’UE è a mio avviso mal posta. L’UE è una struttura definita da certi trattati. Al posto di quei trattati si possono stipulare trattati diversi, magari tra paesi con maggiore omogeneità di interessi. Al momento l’UE è un sistema votato alla paralisi (lo ha dimostrato costantemente per anni), e che dunque non è d’aiuto per nessuno. Poi, come dico sempre, se vogliamo credere ai miracoli, per me va bene: se domattina con accordo unanime si chiama “Unione Europea” un sistema di collaborazione istituzionale su basi keynesiane, bene, mi farò piacere il vecchio nome per un nuovo oggetto. Ma al momento è solo una pastoia neoliberale.

La questione del “debito comune” poi è, temo, di nuovo mal posta. Se hai una moneta comune e una politica economica comune, definite dai trattati, allora mantenere competizione fiscale illimitata e responsabilità separata dei debiti è una follia suicida. Non può funzionare, perché non è né carne né pesce. Questo arrangiamento istituzionale era stato proposto come passo intermedio verso gli “Stati Uniti d’Europa”, dunque verso un orizzonte di unificazione della legislazione fiscale e del debito pubblico. Oggi moltissimi hanno enormi dubbi rispetto a questa prospettiva, ma è almeno una prospettiva internamente coerente. Se però non si va avanti bisogna andare indietro.
(Per inciso, i sovranisti duri e puri non vogliono affatto la mutualizzazione del debito, perché essa sarebbe un passo ulteriore verso un’unificazione europea. Però l’argomento che guarda alla mutualizzazione del debito come se fosse un dettaglio indipendente, e non fosse correlato con la comunanza della moneta, del mercato e della fiscalità, è semplicemente un errore: un europeista deve volere la mutualizzazione anche del debito, un sovranista deve volere la separazione anche della moneta, ma volere la moneta comune + robe come l’Olanda che gioca al paradiso fiscale e senza mutualizzazione del debito, beh, questo può volerlo solo un masochista.).

Molto altro sarebbe da dire, ma un’altra volta.

 

Roberto Buffagni

Nel loro dialogo, a mio avviso, Vincenzo Costa e Andrea Zhok prendono in considerazione i due versanti della questione “sovranismo”/europeismo”, e per così dire procedono in parallelo con le loro argomentazioni. Provo a integrare. Dice Vincenzo Costa che “il sovranismo è sconfitto” (personalmente concordo). Dice Andrea Zhok che no, perché a) il “sovranismo realmente esistente”, cioè “quella sorta di neoliberismo nazionalista brandeggiato da Salvini (e da parecchi altri in Europa)” è tutt’altro che sconfitto”, perché “E’ e resta quasi ovunque forza dominante, perché la profondità e multifattorialità del fallimento della sinistra non si cancella in un giorno e questi vivono del discredito della sinistra.” b) i problemi e le contraddizioni della UE, questo ferro di legno, sono tutt’altro che risolti o in via di soluzione (concordo anche su questo). Concordo con entrambi i dialoganti, che pur dissentono tra loro, per i seguenti motivi.

1) Il “sovranismo realmente esistente”, cioè “quella sorta di nazionalismo neoliberista brandeggiato da Salvini” (Zhok) è l’unico realmente esistente, in tutta Europa e per il vero in tutto l’Occidente, perché il vasto e articolato benché confuso e confusionario movimento che s’usa etichettare sotto il nome “sovranismo” (che è poi parola che a scopo cosmetico sostituisce la più corretta “nazionalismo”) è una reazione al “globalismo” o “mondialismo”, ed essendo una vera e propria reazione, è il negativo fotografico del suo nemico. Chi sono le forze politiche che hanno costruito e governano la UE? Sono le classi dirigenti europee (e statunitensi): liberals, cattolici, socialdemocratici; gli eredi legittimi delle classi dirigenti antifasciste che hanno vinto, sul campo di battaglia o nelle urne elettorali, la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra. Dalla grande alleanza antifascista mancano solo i comunisti sovietici, ma sono rappresentati dai loro eredi: eredi legittimi anche loro, anche se dopo l’estinzione del ramo principale è un ramo cadetto (i maligni dicono, un ramo bastardo) a portare il titolo.
Dopo la grande vittoria comune di settant’anni fa, queste grandi Case si sono aspramente combattute per decenni. Oggi governano insieme il Consiglio della Corona del (falso) Re e la Camera dei Lord dell’Unione Europea. Come hanno fatto ad accordarsi? Per il potere, si dirà. Certo, per il potere: ma questa risposta, che è sempre vera, non spiega tutto, e anzi forse non spiega niente. Qual è il minimo comun denominatore che ha consentito alle grandi Case, un tempo in lotta per il potere, di trovare un durevole accordo, e così porre la corona sul capo del falso Re?
Il minimo comun denominatore delle grandi Casate americane ed europee che sostengono il falso Re (l’Unione Europea) è l’universalismo politico. L’universalismo è una cosa sul piano delle idee, dei valori, della spiritualità (nella cristianità europea, l’istituzione delegata a incarnarlo era la Chiesa, il primo “sole” del De Monarchia dantesco). Se tradotto sul piano politico, però, l’universalismo non può che incarnarsi in forze inevitabilmente particolaristiche: perché esistono solo quelle, nella realtà effettuale.
Volendo, chiunque se ne senta all’altezza può parlare in nome dell’universale umanità; ma non può agire politicamente in nome dell’universale umanità senza incorrere in una contraddizione insolubile, perché l’azione politica implica sempre il conflitto con un nemico/avversario.
Senza conflitto, senza nemico/avversario non c’è alcun bisogno di politica, basta l’amministrazione: “la casalinga” può dirigere lo Stato, come Lenin diceva sarebbe accaduto nell’utopia comunista. A questa contraddizione insolubile si può (credere di) sfuggire solo postulando come certo e autoevidente l’accordo universale, se non presente almeno futuro, di tutta l’umanità: “Su, lottiamo! l’ideale/ nostro alfine sarà/l’Internazionale/ futura umanità!” (il “governo mondiale” è un surrogato o avatar della “futura umanità” dell’inno comunista).
Lenin, e in generale il movimento comunista (o anarchico) rivoluzionario, vuole risolvere la contraddizione con la forza. Nella classificazione machiavelliana, Lenin è un “leone”.
L’universalismo politico delle grandi Casate nobiliari nordamericane ed europee che sostengono l’UE non è meno radicato di quello leniniano, perché discende dalla stessa radice illuminista. Esse però vogliono/devono risolvere la contraddizione con l’astuzia; Machiavelli le definirebbe “volpi”. Scrivo “devono”, perché a prescindere dalle intenzioni soggettive, le grandi Case non potrebbero essere altro che “volpi”: entrambi i “federatori a metà”, USA e Germania, non possono portare a compimento con la forza la loro opera.
Come l’URSS comunista, anche l’UE postula l’accordo universale, se non presente almeno futuro: accordo anzitutto in merito a se medesima, e in secondo luogo in merito al governo mondiale legittimato dall’umanità universale, che ne costituisce lo sviluppo logico, e giustifica eticamente sin d’ora l’obbligo di accogliere un numero indeterminato di stranieri, da dovunque provenienti, sul suolo europeo. Per questa ragione è impossibile definire una volta per tutte i confini territoriali dell’Unione Europea, che qualcuno, ai tempi dell’entusiasmo europeista, pretendeva di estendere alla Turchia, e persino a Israele: perché ha diritto di far parte dell’UE chi ne condivide i valori universali (cioè virtualmente tutti, dal Samoiedo al Gurkha al Masai), non chi ne condivide i confini storici e geografici.
Il passaggio tra il momento t1 in cui l’accordo universale è soltanto virtuale, e il momento t2 in cui l’accordo universale sarà effettuale, non avviene con il ferro e il fuoco della “volontà rivoluzionaria”. Le volpi oligarchiche UE introducono invece nel corpo degli Stati europei, il più possibile surrettiziamente, dispositivi economici e amministrativi – anzitutto la moneta unica – che funzionano, secondo la celebre definizione di Mario Draghi, come “piloti automatici”. Questi piloti automatici provocano crisi politiche e sociali, previste e premeditate, all’interno degli Stati e delle nazioni, ai quali impongono o di insorgere in aperto conflitto contro la Corona, o di addivenire a un accordo universale in merito al “sogno europeo”: per il bene degli europei e dell’umanità, naturalmente, come per il bene dei russi e dell’umanità Lenin ricorreva al terrore di Stato, alle condanne degli oppositori per via amministrativa, etc.
A quest’opera va associata, inevitabilmente, una manipolazione pedagogica minuziosa e su vasta scala, in altri termini una lunghissima campagna di guerra psicologica. La dirigenza UE conduce questa campagna di guerra psicologica da una posizione di ipocrisia strutturale formalmente identica a quella della dirigenza sovietica, perché non è bene e vero quel che è bene e vero, è bene e vero quel che serve alla UE o alla rivoluzione comunista: in quanto Bene e Verità = accordo dell’intera umanità, fine dei conflitti, pace e concordia universali. Le élites, necessariamente ristrette, di “pneumatici” e di “psichici” che conoscono questo arcano della Storia, hanno il diritto e anzi il dovere morale di ingannare e manipolare, per il loro bene, le masse di “ilici” che invece lo ignorano.
Il leone Lenin accetta solo provvisoriamente il conflitto politico, e anzi lo spinge a terrificanti estremi di violenza, in vista dell’accordo universale futuro: dopo la “fine della preistoria”, quando diventerà reale il “sogno di una cosa” comunista e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in URSS poi nel mondo intero. Le volpi UE celano l’esistenza effettuale del conflitto (in linguaggio lacaniano lo forcludono), e da parte loro lo conducono, solo provvisoriamente, con mezzi il più possibile clandestini, in vista dell’accordo universale futuro, quando diventerà reale il “sogno europeo” e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in Europa poi nel mondo intero.
In questo grande affresco romantico proposto alla nostra ammirazione con la colonna sonora dell’Inno alla Gioia (forse non è un caso che il Beethoven delle grandi sinfonie fosse anche il compositore preferito di Lenin) c’è solo una scrostatura: che nella realtà, l’accordo universale di tutta l’umanità non si dà effettualmente mai. Ripeto e sottolineo due volte: mai, never, jamais, niemals, jamàs, etc.

Dunque, la “reazione sovranista” non poteva che venire da una cultura politica di destra, perché solo nella cultura politica di destra esistono elementi, già prefabbricati, in grado di contrapporsi all’universalismo politico: nazione, popolo, comunità e (Deus avertat) razza.

2) Ma la “reazione sovranista al mondialismo” incontra necessariamente, sulla sua strada, un’altra per così dire Entità che non è una forza politica bensì una vera e propria forza di sistema impersonale, un criterio, una logica, ed è, per dirla con de Benoist, la Forma Capitale, la quale è ordinata alla logica più universalista di tutte. La incontra necessariamente per il banale ma non trascurabile motivo che se il “sovranismo” non interpreta e rappresenta gli interessi del Lavoro, perde. E’ in effetti lo stesso identico problema che si trovarono ad affrontare i fascismi negli anni entre deux guerres del Novecento, e anche stavolta la soluzione è estremamente difficile. La soluzione sarebbe, in linea teorica, quella del superamento della contrapposizione destra/sinistra, e dell’alleanza strategica tra nazionalismo e socialismo. Le condizioni oggettive ci sarebbero tutte. Mancano le condizioni soggettive, vale a dire: a) sul piano teorico, manca una articolazione sufficiente dell’universalismo. E’ possibile un universalismo che integri in sé non solo la possibilità, ma la legittimità permanente delle differenze? Differenze tra popoli, culture, regimi politici, etc.? Sì che è possibile. Ne offrirebbe una, anzi ne offrirebbe diverse il pensiero del realismo politico cristiano, se ci fosse ancora, come forza culturalmente e politicamente attiva, il realismo politico cristiano (non c’è più) b) mancando una cultura politica e non solo politica abbastanza coerente da integrare universalismo e particolarismo delle differenze, manca anche il punto di contatto tra cultura politica “di sinistra” (che non può non essere universalista) e cultura politica “di destra” (che non può non essere particolarista). Dunque i tentativi di alleanza “al di là della destra e della sinistra”, che pur sono stati esperiti, e anche con una certa buonafede, in Francia e (con meno buonafede) in Italia, sono falliti. Falliti per ragioni contingenti (infinite) ma falliti anche per questa ragione, non contingente ma essenziale o strutturale, che costituisce un colossale ostacolo alla formazione di un soggetto politico in grado di contrapporsi alle forze mondialiste ed europeiste in modo davvero efficace, il che significa “contrapporsi alle forze europeiste e mondialiste integrando la parte decisiva delle loro ragioni“. La parte decisiva delle ragioni delle forze mondialiste e europeiste è l’universalismo spirituale, cioè a dire il concetto filosofico e religioso di “umanità”, di partecipazione di tutti gli uomini a un medesimo Logos.

Se non viene integrata questa ragione del mondialismo, e ricompresa con una articolata e coerente legittimazione delle differenze all’interno della comune umanità, si abbandona tout court la radice della civiltà europea e letteralmente si regredisce alla barbarie identitaria, tribale o, peggio (Deus avertat, di nuovo) razziale/razzista.

3) Quindi, per quanto ho esposto sopra, che cosa è successo? E’ successo che il “sovranismo realmente esistente”, nato da una cultura politica di destra, fallita l’alleanza con le culture politiche (minoritarie) di sinistra che si contrappongono a mondialismo ed europeismo, è regredito. Non è regredito alla barbarie, per fortuna, ma è regredito alla Guerra Fredda. Ha tirato fuori dal baule del nonno tutti i vecchi stilemi e riflessi condizionati della guerra fredda: americanismo perinde ac cadaver, tirannide comunista con la Cina al posto dell’URSS, statalismo e sindacalismo egualitarista come Babau, liberismo da poveracci con la partita IVA martire dei comunisti e Briatore come modello di vita, e come ciliegina sul gelato, la gestione imbecille della pandemia in corso, con il “virus comunista” e il suo corteggio di allucinanti scemenze complottiste e di mascherina totalitaria (ciò, si noti bene, quando era facile per una opposizione decente fornire il massimo appoggio al governo per l’emergenza sanitaria, e fare la massima opposizione alla gestione dell’emergenza economica).

Ora, siccome la Guerra Fredda non c’è più e il nemico non è il comunismo, va da sé che il “sovranismo realmente esistente” è condannato a perdere, anche se sicuramente resterà una forza politica molto rilevante e potrà anche andare al governo, in Italia e altrove.

4) Che fa intanto il nemico, vale a dire le forze mondialiste/europeiste? Il nemico si dimostra più bravo, più capace di imparare dai propri errori, di integrare le ragioni dell’avversario e di prendere l’iniziativa. In Francia, con l’esperimento Macron, ha dimostrato di sapere, lui sì, stringere un’alleanza strategica fra destra e sinistra: ha infatti alleato le borghesie (termine improprio, facciamo per capirci) di destra e di sinistra contro populismo e sovranismo, in una riedizione aggiornata del compromesso louis-philippard del 1830; e ora, con il Recovery Fund, il quale sul piano empirico sarà sicuramente una fregatura per i paesi mediterranei, ma sul piano qualitativo è una svolta che può rivelarsi decisiva, ha forse saputo dare inizio a una vera e propria integrazione economica europea.

5) Per riassumere. Penso che abbia ragione Andrea Zhok quando espone le mille ragioni oggettive, strutturali, della precarietà e contraddittorietà della UE; e del fatto che essa non può che essere un nemico dei popoli e dei lavoratori europei. Esse ci sono, ci sono eccome, e per il solo fatto di esserci attestano che la partita NON è chiusa, e che si spalancano intere autostrade a venti corsie per una opposizione efficace. Penso che abbia ragione Vincenzo Costa quando dice che “il sovranismo è sconfitto”, perché è sconfitto il “sovranismo realmente esistente”, il quale si è in buona sostanza sconfitto da sé, per le gravi insufficienze soggettive delle quali ho tratteggiato un abbozzo ai punti precedenti.

Insomma, la partita non è chiusa perché non sono chiuse le contraddizioni e i conflitti reali; ma il primo tempo è finito con la sconfitta dell’opposizione all’europeismo e al mondialismo, perché non basta che le contraddizioni e i conflitti vi siano: bisogna anche sapervisi inserire nel modo opportuno.

Vincenzo Costa

Grazie del contributo. Un’analisi accurata che da molto da pensare.

Andrea Zhok

Roberto Buffagni. Analisi molto bella e articolata, di cui ti ringrazio.
La trovo convincente sul piano dell’analisi della parabola del “sovranismo realmente esistente” identificato con la Lega e i suoi cespugli.
La trovo affascinante, ma meno convincente per quanto riguarda la macroanalisi storica.

Nello specifico la categoria storica decisiva, quella di ‘universalismo’, è a mio avviso troppo indeterminata per esaminare la storia successiva alla Rivoluzione francese.

La vera lotta degli ultimi due secoli è stata solo in piccola parte lotta tra universalismo e particolarismo, ma molto più spesso è stata lotta tra tipi radicalmente diversi di universalismo. Nel movimento comunista e socialista, accanto ad un universalismo scientista e livellatore, positivista ed imperialista, è sempre esistito (in considerevole confusione concettuale, va detto) un universalismo che dichiarava diritto dell’intera umanità l’autogoverno e la sovranità dei popoli, la loro autodeterminazione, cioè un universalismo che riconosceva e legittimava le nazioni, le culture, le diversità territoriali. Questo non è particolarismo, è universalismo, ma non del tipo astratto formulato dal primo illuminismo. (Incidentalmente, avendone il tempo potrei mostrare come solo questo universalismo è concretamente sostenibile).

La seconda questione, correlata alla prima, su cui (in un altro momento) vorrei approfondire il discorso è legata al nesso tra universalismo e capitalismo. Nel quadro che proponi si giunge alla conclusione paradossale che imperialismo, comunismo, illuminismo, capitalismo ed europeismo sono solo aspetti di un medesimo Moloch concettuale, l’universalismo. Però capisci bene che trattare Lenin come alleato del capitalismo – e qui si arriva – opera una semplificazione concettuale davvero troppo ardua da metabolizzare.

Arrivato qui il dovere mi chiama, ma ti rimando – secondo l’indecente costume accademico – al mio libro sulla ragione liberale, dove cerco di mettere a fuoco proprio al differenza tra l’universalismo liberale, legato alll’evoluzione del capitalismo, ed un universalismo democratico (talvolta socialista) che diverge dal primo molto precocemente, e che non è senz’altro assimilabile alla ‘destra’ (l’eredità dell’Ancien Regime).

Roberto Buffagni

Grazie a te. In effetti dire che il comunismo leninista è un alleato segreto del capitalismo è un po’ forte, non ci sarebbero arrivati neanche i geni dell’Ufficio Falsi Politico-Letterari dell’Okhrana, quelli del “Protocollo dei Savi di Sion”. Il tuo libro lo leggerò volentieri. Come sai la mia cultura politica è di destra e non sono né storico né filosofo di professione, quindi, in mancanza di dovere d’informazione esaustiva professionale, tra le mie letture di dilettante ci sono più opere “di destra” che opere “di sinistra”; però conosco anche io, anche se non abbastanza bene, che è effettivamente esistito un “universalismo democratico, talvolta socialista” che fa ampio spazio alle differenze, pur senza rinunciare all’universalismo, anzi. Basta fare il nome di Giuseppe Mazzini, l’Apostolo le cui severe sembianze riprodotte in busti di marmo o bronzo tuttora costellano i giardinetti italiani, per la gioia dei piccioni (ci scherzo un po’ ma lo rispetto molto, eh?). Io sono persuaso che sia certamente possibile, anche oggi, una articolazione dell’universalismo che comprenda e legittimi la permanenza delle differenze particolari, e delle gerarchie di valori che ne conseguono. Non mi risulta che essa via sia in misura sufficiente e sufficientemente egemonica, da un canto; e dall’altro, ho l’impressione (è solo un’impressione ma è molto forte) che ad essere in questione nell’arena politica e filosofica, oggi, siano questioni antropologiche di fondo che rinviano alla radice del problema; e la radice del problema è vecchia se non antica, vale a dire l’illuminismo e la rivoluzione francese, e probabilmente anche le guerre di religione intracristiane. L’impressione si fonda anzitutto sul fatto (perché questo mi pare un fatto) che, per farla cortissima: il segreto o il trucco liberalcapitalistico di fondo è: far sì che la gerarchia e il comando, indispensabili per la sussistenza di ogni società, siano quanto più possibile depurati dal comando dell’uomo sull’uomo. Comando impersonale sulle cose e sulle procedure, e comando impersonale delle cose e delle procedure sugli uomini. Ora, se tu vuoi limitare il capitalismo liberale, e restringerlo nel recinto dell’Economico, dovrai di nuovo giustificare e legittimare il comando dell’uomo sull’uomo; e come fai, se non giustifichi e legittimi una gerarchia che NON risponda al criterio democratico del denaro? Ci sono i voti, un altro criterio quantitativo e democratico. Bastano? Non lo so (sul serio non lo so, e mi fermo qui perché non so proseguire).

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