APOPTOSI DELLA DEMOCRAZIA, di Massimo Morigi

Ancora una spigolatura di Massimo Morigi risalente a gennaio 2014. I fatti sono ovviamente datati, il tema attuale_Giuseppe Germinario

 

APOPTOSI DELLA DEMOCRAZIA O APTOSI DEL MITO DEMOCRATICO?

di Massimo Morigi_ COMMENTO

 

Nell’articolo “Apoptosi della democrazia” inteso a suscitare indignazione per la vicenda dell’oro della Banca d’Italia si affermava che il  furto legalizzato di quest’oro da parte del sistema bancario nazionale profilava, de facto, una morte programmata della democrazia, l’apoptosi della democrazia appunto. Ora in sede di questo auto commento all’articolo non volendo tornare sui motivi del perché la mobilitazione contro il blocco politico- finanziario nazionale non abbia avuto alcun riscontro e volendo soffermarci invece sulle affermazioni teoriche contenute in “Apoptosi della democrazia”, ci sarebbe da dire che, per coloro che abbiano seguito i ragionamenti sul “Repubblicanesimo Geopolitico” gentilmente ospitati dall ‘ “Italia e il Mondo”, dal punto di vista del “Repubblicanesimo Geopolitico” stesso sarebbe più corretto parlare, anziché  di ‘Apoptosi della democrazia’, di ‘Apoptosi del mito della democrazia’. In effetti, chi avanzerebbe questa osservazione sarebbe completamente nel giusto e sia per ulteriormente consolidare questo corretto profilo pubblico del Repubblicanesimo Geopolitico presso la platea dei suoi osservatori sia per ancora approfondirlo dal punto teorico, vedremo come alla fine anche la vicenda dell’ oro della Banca d’Italia si possa ricollegare con le considerazioni politiche e filosofiche sulla nascita e sviluppo del modello “democratico”  occidentale e sul sostegno mitologico che questo ha da subito avuto bisogno che fanno da sfondo a tutti i ragionamenti del Repubblicanesimo Geopolitico. Il mito della rivoluzione, iniziato con la rivoluzione francese –  e che stancamente si trascina fino ai giorni nostri –  sta dentro e dà forma alla modernità politica occidentale ma come ogni mito cela una realtà sotto mentite spoglie così il mito della rivoluzione è il travestimento e quindi cela e rivela al tempo stesso ciò che è stato sempre dentro e ha dato forma alla modernità politica occidentale stessa: e cioè il conflitto strategico. Questa affermazione di per sé non sarebbe particolarmente qualificante per comprendere le caratteristiche peculiari della nostra modernità politica, come abbiamo infatti più volte affermato il conflitto strategico informa ed è la natura stessa, solo per rimanere al “politico” e non trascolorare in tutte le altre  manifestazioni della realtà, della società (per chiarire per l’ennesima volta il concetto: per noi tutta la realtà è, in ultima analisi, conflitto strategico, per noi nulla è escluso dal momento pantocratore del conflitto strategico, per il quale è persino superfluo rinviare a Gianfranco La Grassa e a questo proposito ci permettiamo di segnalare, fra gli altri,  la nostra “Teoria della Distruzione del Valore” e il di prossima pubblicazione “Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico) ma nella modernità politica occidentale, a differenza che nelle forme politiche più arcaiche, dopo la soluzione di continuità della rivoluzione francese che ha comportato l’uccisione di un re consacrato non in virtù di un giudizio divino (morte in battaglia, morte naturale od anche procurata ma una uccisione che poteva essere sempre mascherata come una sorta di decreto della divinità) ma di una deliberazione tutta palesemente e manifestamente politica, c’è stata l’impellente necessità di dare una sorta di travestimento simildivino all’orrenda vicenda dell’uccisione del monarca. Da questa necessità di nascondere la natura puramente conflittual-strategica della rivoluzione, ecco allora nascere per arrivare stancamente fino ai nostri giorni il mito della rivoluzione e con questo mito nascere anche la pretesa metafisica dell’esistenza  sempre simildivina  di diritti umani e politici la cui esistenza e doverosità di applicazione andrebbe al di là di qualsiasi contingenza storica e sistema politico (e da qui l’imperialismo diritto-umanistico e democraticistico che ha sostituito il cristiano dovere di convertire le genti pagane e che è la nuova sgangherata versione del “fardello dell’uomo bianco”). Ma se il mito della rivoluzione, con tutti i suoi annessi e connessi democraticistici e dirittoumanistici (o nella versione dei defunti paesi socialisti di dittatura del proletariato) è arrivato al capolinea (mito della rivoluzione al capolinea più per i  fatti storici post caduta del muro di Berlino che per vera ed approfondita conoscenza teorica, mito dei diritti umani e politici di natura simildivina al capolinea per ora solo a livello di analisi teorica, nella quale il Repubblicanesimo Geopolitico rivendica il suo ruolo di primo piano, mentre a livello di massa si continua a praticare, anche se in forme distratte e degradate, vedi il proliferare dei diritti, specialmente quelli di genere e legati alla diversità sessuale, il culto dei diritti umani), non deve arrivare assolutamente al capolinea quello che è l’autentico lascito per il futuro di questa tradizione, vale a dire la fortissima tensione culturale, politica, filosofica e psicologica generata dalla necessità di travestire con vesti divine (lo ripetiamo: mito della rivoluzione, con complementare mito della democrazia  e dei diritti umani e politici) un conflitto strategico portato agli estremi e che ha comportato l’uccisione non giustificata da nessun intervento  divino di tipo tradizionale di un re consacrato, la decapitazione di Luigi XVI di Borbone.  Abbandonando quindi la credenza nel  mito di una rivoluzione che  permette tramite i suoi idola fori dei diritti umani e democraticistici di perpetuare  le pratiche di potere dei  sempre eterni stessi oligarchici  agenti strategici, questa tensione di occultamento del factum horribile dell’uccisione ingiustificata del re consacrato ci conduce allora alla vera origine della nostra modernità politica, e cioè al prodursi di un conflitto strategico, la cosiddetta rivoluzione francese e poi le altre che la hanno seguita, che per poter essere accettabile ha dovuto creare, visto che aveva gettato nel cesto oltre la testa del re ghigliottinato anche ogni tradizionale trascendenza, delle sub trascendenze (mito della rivoluzione, mito della democrazia e dei diritti politici ed umani) che non avendo però la blindatura a prova di realtà dell’originale trascendenza hanno generato due secoli di continue crisi politiche (e di crisi del mito stesso). Compito  del Repubblicanesimo Geopolitico è quindi cogliere l’autentico nucleo rivoluzionario ed imperituro della tradizionale rivoluzionaria occidentale sotto il duplice aspetto che si è qui cercato di enucleare. Da un lato, rendendosi conto che non tutto per tutti può essere non diciamo pubblicamente svelato  (la straussiana “ermeneutica della reticenza” anche prima dell’esplosione della rivoluzione informatica della comunicazione ha sempre avuto una sapore più di nostalgia archeologica che di vera possibile e praticabile proposta politico-filosofica) ma accettato, non rifiutare ed anzi utilizzare la tensione generata da un mito rivoluzionario e oggi democratico sempre al di sotto delle sue aspettative presso la maggioranza di vasti  e trasversali strati della popolazione (siano questi sezioni della popolazione spiccatamente non intellettuali o ceto intellettuale vero e proprio non importa: la tendenza all’illusione e a non volere vedere il conflitto strategico è equamente suddiviso in tutte le classi ed i ceti). Dell’utilizzo di questa tensione generata dalla credenza nel mito e dalla delusione della continua sua  smentita da parte dei fatti (e in cui l’analisi teorica ancora clemente concede, esplicitamente o implicitamente, l’esistenza di un tempo, non il nostro, dove il mito era forse una realtà, in un atteggiamento simile a coloro che, criticando la chiesa cattolica odierna, si rifanno miticamente alla chiesa delle origini) è un chiaro esempio l’articolo che costituisce lo spunto di questo commento, “Apoptosi della democrazia”, dove prendendo lo spunto dalla vicenda dell’oro della Banca d’Italia, si afferma che in Italia si sta assistendo all’ “Apoptosi della democrazia”, cioè alla morte programmata della democrazia, mentre se si fosse stati teoricamente ancora più affilati si sarebbe dovuto dire che si sta assistendo all’ “Apoptosi del mito democratico”. Dall’altro lato il cogliere il nucleo veramente fondante della nostra modernità politica consiste proprio nel disvelare pubblicamente che questo nucleo è un conflitto strategico che ha per sempre bruciato (o per meglio rappresentarlo storicamente storicamente: ha tagliato la testa) la possibilità di un ritorno ad una qualsiasi trascendenza politica e in cui la natura  della sua radicale immanenza sta proprio nella dialettica di una filosofia della prassi che pratichi il suo gioco politico utilizzando le tensioni generate dal mito (tentativo di questo utilizzo ma non disvelando la natura del mito, l’articolo “Apoptosi della democrazia”) e anche denunciando la natura tutta mitologica del misto stesso (il presente commento). La conclusione che non conclude è che non è certo la prima volta che una arretrata situazione politica (nel caso specifico quella italiana, evidentemente) ha dato origine ad un profondo rinnovamento teorico e a promettenti (ancorché drammatici) sviluppi politici. Ogni riferimento a personaggi storici e a situazioni che per rispetto all’intelligenza dei lettori non vengono neppure nominati è puramente non casuale. 

Massimo Morigi – 8 giugno 2016

 

Con il tentativo da parte del sistema bancario nazionale di derubare il popolo italiano dell’oro della banca d’Italia (e con le totalmente assenti reazioni da parte della politica e dei media a questa mostruosità, de facto genocidiaria contro gli italiani), le oligarchie politico-finanziarie del nostro paese hanno finalmente mostrato il loro vero volto, e cioè hanno palesato l’intenzione di instaurare un processo di morte programmata di quanto ancora rimane della democrazia italiana.

Possiamo così dire che la situazione italiana sta introducendo un’inedita variabile nei processi degenerativi delle democrazie già descritti in dottrina.
Se finora la scienza politica classificava fra i processi che pongono fine alla democrazie o violenti assalti contro l’ordine costituito o un lento scivolamento verso unità decisionali più efficienti e potenti di quelle nominate attraverso il principio della rappresentanza (in altre parole le tecnoburocrazie che prevalgono sui parlamenti e gli esecutivi, in un processo definito da Crouch postdemocrazia), oltre, come già detto, segno di un proposito di schiavizzazione e/o annientamento del popolo, il furto dell’oro della banca d’Italia non può che essere interpretato altrimenti – tralasciando ogni altra considerazione “catastrofica” per la storia del nostro paese ma limitando l’analisi su un piano meramente politologico – come la manifestazione di una volontà programmata all’uccisione della democrazia e, prendendo a prestito il concetto noto in biologia come apoptosi – che contempla un processo ove le cellule, anziché per malattia, per trauma o per senescenza possano morire in virtù di un loro specifico programma che pone termine alla loro esistenza –, come una sorta di inedita ‘apoptosi democratica’, una morte programmata della democrazia portata
Massimo Morigi, Repubblicanesimo Geopolitico Copiaincolla II dal “Corriere della Collera” e dall’ “Italia e il Mondo”, in Internet Archive da Domenica 31 maggio 2017, pagina 6 di 11

avanti per la prima volta nella storia della democrazia occidentale da parte di quelle stesse élite politiche e finanziarie che precedentemente svolgevano il ruolo di “Lord protettore” del sistema pluralistico.
A questo punto, veramente le “categorie del politico” ereditate dal Novecento si dissolvono come neve al sole e le reazioni a questo nuovo quadro devono tenere conto dell’elementare dato di fatto che l’ ‘apoptosi democratica’ non è nemmeno giustificabile come l’antidemocratico scivolamento verso un sistema maggiormente efficiente anche se non democratico (il processo postdemocratico) ma non significa altro che la riduzione in schiavitù del popolo. Che fare quindi?
In primo luogo essere consapevoli del processo e svincolarsi da qualsiasi forma di sottomissione anche mentale da un quadro politico-culturale sorto dopo la seconda guerra mondiale e che oggi non è altro che una cortina fumogena per impedire di prendere consapevolezza del definitivo (e voluto) decesso del vecchio canone politico liberaldemocratico.
In secondo luogo, sembrerà poco ma in realtà è moltissimo, contrastare democraticamente questo processo di ‘apoptosi democratica’ laddove esso si è manifestato in maniera così spudorata e violenta.
Si tratta, in altre parole, di essere presenti alla manifestazione di fine maggio in occasione della prossima assemblea della Banca d’Italia. Non è una manifestazione contro l’ennesimo scandalo politico italiano ma è il primo atto per dire che abbiamo capito che questo sistema ha esaurito il suo ciclo storico e che se si vuole non solo la sopravvivenza ma l’ampliamento della sfera delle libertà repubblicane (secondo il programma del Repubblicanesimo Geopolitico) un altro deve prendere il suo posto. E l’aurora di questo nuovo sistema repubblicano è anche cominciare a dire a chiare lettere che l’oro della banca d’Italia appartiene, come la sua cultura ed identità, al popolo italiano e che chi vuole mettergli le mani sopra deve essere trattato come i criminali processati a Norimberga, che per la loro folle volontà di potere e rapina distrussero popoli ed etnie. Come si propongono oggi di fare gli attuali ingegneri dell’ ‘apoptosi democratica’ e ladri dell’oro degli italiani.
Ma noi rinviamo al mittente queste intenzioni lottando, piuttosto, per l’apoptosi (“robustamente” assistita e sorretta dalla nostra consapevole iniziativa) di questa classe dirigente.
Nessuno escluso.
Massimo Morigi – 24 gennaio 2014

SERVE UNA NUOVA NORIMBERGA, di Massimo Morigi

Prosegue lo zibaldone, datato, di Massimo Morigi con testi e note che possono aiutare alla comprensione del suo “repubblicanesimo geopolitico”_ Germinario Giuseppe

Una chiosa allo scritto

A distanza di alcuni anni da “Serve una nuova Norirmberga” una considerazione spicca fra i vari ragionamenti che possono essere fatti e si tratta dell’elementare ammissione di un fallimento perché laddove si proponevano terribili azioni politico-giudiziarie, la nuova Norimberga appunto, e con tanto di mobilitazione popolare per impedire la rivalutazione truffaldina del patrimonio delle banche a danno dell’oro della Banca d’Italia, la proposta non ha prodotto ad oggi dal punto di vista politico alcunché di significativo, a meno che non si considerino politicamente significative le reazioni “bloggistiche” del sottoscritto e di pochi altri, ma queste, come viene naturale concludere visto il deprimente esito della vicenda “nuova Norimberga” e mobilitazione popolare davanti alla Banca d’Italia, alla fine sono più da classificare fra le invettive modello vox clamantis in deserto che fra le azioni di natura politica che, come il più elementare buon senso suggerisce, devono suscitare un minimo di seguito. Questo per quanta riguarda il fallimento politico di coloro che cercarono – e fra questi il sottoscritto – facendo leva su una indignazione popolare che mai ci fu sull’argomento di far nascere qualcosa di politicamente concreto che si lasciasse dietro alle spalle le solite truffaldine logomachie della politica che, indisturbate, sono proseguite fino ai giorni nostri. E anche se l’indignazione popolare generale verso la oscena commistione fra potere politico e potere finanziario non c’è mai stata, nel frattempo ci sono state diverse piccole indignazioni popolari dei truffati dal fallimento degli istituti di credito toscani e veneti e quindi cosa concludere su questo punto? Colpa di chi non ha saputo comunicare con i giusti mezzi e con la giusta energia il messaggio o colpa del popolo che protesta solo quando si sente direttamente toccato nei suoi interessi? Si tratta, è vero, di una domanda retorica ma la cui risposta, evitando la retorica, può fornirci anche degli schiarimenti dal punto di vista della teoria politica. In breve. Se la risposta retorica alla domanda retorica implicherebbe il dire che prima di giudicare un popolo non reattivo bisognerebbe giudicare noi stessi (insomma, si tratterebbe in questa risposta di rappresentare una sorta di paternalismo bonario e democratico dove l’autonominato intellettuale rifiuta “democraticamente” di dannare il popolo insensibile e fa questa “democratica” concessione proprio perché gli è consentito di autonominarsi guida, benché fallace e debole, delle masse), la risposta invece teoricamente più significativa abbandona il terreno dei ruoli che personalmente si rivestono (o, meglio, che si vorrebbero rivestire) per andare invece a comprendere perché azioni politiche che viste con un minimo di distacco e senso critico devono essere definite criminali non vengono percepite dalle popolazioni che vivono nelle cosiddette democrazie rappresentative come tali e comunque sono giudicate di una gravità inferiore rispetto ai crimini che vengono compiuti in tempo di guerra e dai regimi autoritari. E la risposta che dà il Repubblicanesimo Geopolitico è che la forma di governo democratica gode di una sorta di bonus ideologico che recita più o meno così: 1) In democrazia, cioè laddove è il popolo a comandare, il popolo, pur potendo fare errori sul breve periodo, non potrà mai prendere decisioni sbagliate se questa azione decisionale si proietta in tempi ragionevolmente lunghi e 2) L’intrinseca bontà delle forme di governo democratico è garantita dagli universalistici diritti politici e dell’uomo nati dalla rivoluzione francese che hanno presieduto storicamente alla nascita delle moderne democrazie e che oggi non consentono che all’interno di queste democrazie si verificano quei crimini e quei soprusi che erano prima della rivoluzione francese il marchio dell’ancien régime e nel XX secolo dei regimi autoritari e/o totalitari. Come più volte ripetuto, è chiaro che questo è un racconto che non sta più letteralmente in piedi e il Repubblicanesimo Geopolitico intende rappresentare la critica più spietata a questo obnubilamento politico e teorico. Nei prossimi interventi sul Repubblicanesimo Geopolitico che verranno ripresi dall’ “Italia e il Mondo” emergerà sempre, insomma, l’intreccio fra le illusioni ideologiche della democrazia e le concrete pratiche di potere dei grandi agenti strategici che attraverso queste illusioni ideologiche esercitano il loro potere. E il far emergere con i giusti nessi queste pratiche di potere con i loro strumentali fantasmi ideologici penso consenta, infine, anche di non rifiutare la retoricità della domanda iniziale ma di darle uno sbocco positivo che non si rifugi in una semplice algida teoria della dinamica del potere: non si tratta, allora, di autonominarsi intellettuali più o meno severi o più o meno accomodanti ma si tratta di innestare un processo politico-cognitivo – e quindi anche retorico, come Gramsci aveva ben capito quando nei Quaderni del carcere disegna la figura e il ruolo di mito del moderno Principe – che sulla conoscenza a livello di massa della natura conflittuale della politica e della società inneschi il rivoluzionamento e rovesciamento di quei rapporti di forza e di quei fantasmi ideologici che permettono di dire che quello che accade nei regimi cosiddetti democratici non è mai un crimine ed è, comunque, sempre meglio per forza di cose (per forza, cioè, diciamo noi, dell’illusione ideologica democraticistica) di tutto quello che nel bene e nel male è storicamente accaduto prima che sorgessero le democrazie. Ma nihil sub sole novum: un certo Clausewitz, un certo Hegel, un certo Marx, e, infine, un certo Antonio Gramsci. À suivre …
Massimo Morigi – 2 giugno 2017

Il testo

Per spiegare la oscena realtà che si cela dietro il proposito di rivalutazione della quote della Banca d’Italia, che è stato bocciato dalla BCE, solo poche righe. Tramite questo provvedimento squinternato verrebbe rivalutato il capitale sociale di Bankitalia finora gestito fiduciariamente al 95% dalle banche italiane ex pubbliche (valore attualmente segnato nei bilanci al prezzo di 156.000 euro). Il decreto mira a tramutarlo da quota di partecipazione con valore simbolico a quota proprietaria (da segnarsi a patrimonio) rapportata al valore reale della Banca d’Italia, valore reale rappresentato dai diritti di signoraggio e dalle sue riserve auree raccolte da sei generazioni di Italiani. Questo significa, in pratica, che il popolo italiano (NOI) non sarebbe più il possessore delle riserve auree della Banca d’Italia ma lo diverrebbero gli istituti di credito che “partecipano” al suddetto “aumento” di capitale: detto in altre parole, si tratta di un furto ai danni del popolo italiano per sostenere con una semplice scrittura contabile la tradizionale sottocapitalizzazione delle banche italiane. Ma non siamo di fronte al solito esempio di malcostume della nostra vita pubblica. Questo tentativo di furto dell’oro della banca d’Italia non è l’ennesimo scandalo politico ma, molto più semplicemente, il più grande crimine contro il nostro paese e il nostro popolo compiuto da quando ha raggiunto la sua unità; un crimine che per la sua gravità suona come il preannuncio della dissoluzione di ogni parvenza di legittimità democratica per l’attuale sistema politico oligarchico ed instaura, de facto, uno stato di eccezione (o meglio, lo conferma, perché la decisione della Consulta in merito all’incostituzionalità dell’attuale legge elettorale già delegittimava tutto il sistema politico uscito dalle ultime elezioni) e richiama l’esigenza di istituire un tribunale speciale tipo Norimberga per giudicare questi disegni criminosi. In attesa Massimo Morigi, Repubblicanesimo Geopolitico Copiaincolla II dal “Corriere della Collera” e dall’ “Italia e il Mondo”, in Internet Archive da Domenica 31 maggio 2017, pagina 4 di 11 che la magistratura si muova con i suoi riconosciuti senso dello Stato e leggendaria tempestività e che il dibattito politico riesca a produrre una decisione in merito alle coppie di fatto (o che scelga, à la carte, quale sia il migliore sistema elettorale) rimaniamo attivi e fiduciosi nella reazione degli italiani. Fate circolare questa notizia e mandate la vostra adesione a [indirizzo e. mail cancellato per questa riedizione dell’articolo, ndr] per organizzare una manifestazione in occasione della prossima assemblea della Banca d’Italia che si terrà a fine maggio. Vogliono gli azionisti? Ebbene, ci saremo. Massimo Morigi – 4 gennaio 2014

*La prima parte di Repubblicanesimo Geopolitico Copiaincolla dal “Corriere della Collera” e dall’ “Italia e il Mondo” è leggibile e scaricabile agli URL Internet Archive https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraE e https://ia801609.us.archive.org/19/items/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraE/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraEDallitaliaEIlMondo.pdf, per ResearchGate all’ URL https://www.researchgate.net/publication/315516889_REPUBBLICANESIMO_GEOPOLITICO_COPIAINCOLLA_DAL_CORRIERE_DELLA_COLLERA_E_DALL’ITALIA_E_IL_MONDO : DOI: 10.13140/RG.2.2.26753.66407 e per Academia.edu all’URL https://www.academia.edu/32001089/REPUBBLICANESIMO_GEOPOLITICO_COPIAINCOLLA_DAL_CORRIERE_DELLA_COLLERA_E_DALLITALIA_E_IL_MONDO. A pagina 11 Gepoliticus Child di Salvador Dalì.

LA NATO E L’ADDESTRAMENTO PREVENTIVO PER LE CITTÀ RIBELLI EUROPEE. (a cura di) Luigi Longo

 

Riporto due scritti sulla militarizzazione del territorio europeo attraverso la NATO. Il primo riguarda il processo di americanizzazione e di militarizzazione delle città europee a partire dal Trattato di Velsen che istituisce la Eurogendfor, la polizia continentale con ampi poteri che fa capo alla NATO e, quindi, agli USA ( per una conoscenza ufficiale della Eurogendfor si veda il sito www.eurogendfor.org ).

Il primo scritto comprende lo stralcio dei paragrafi 3 “ l’americanizzazione del territorio europeo e italiano “ e 3.2 “ la militarizzazione delle città e dei territori” tratti dal mio, l’americanizzazione del territorio ( appunti per una riflessione), pubblicato su www.conflittiestrategie.it, 29/3/2014.

Il secondo scritto concerne la costruzione di una città-modello per l’addestramento di truppe al fine di combattere i cittadini europei che potrebbero ribellarsi ai loro sub-agenti dominanti a causa della grave crisi d’epoca che si accentuerà, tra alti e bassi congiunturali, mano a mano che la fase multicentrica avanza. La costruzione della città-modello è in realizzazione nella parte nord-orientale dello stato federale della Sassonia-Anhalt in Germania. Lo scritto è di Peter Koenig, Germania e Nato-Repressione fascista in Europa? ed è apparso su www.comedonchisciotte.org., 21/5/2017.

 

 

L’AMERICANIZZAZIONE DEL TERRITORIO

(appunti per una riflessione)

 

di Luigi Longo

 

 

Gli Stati Uniti appaiono, nel mondo di oggi, una realtà onnipresente:                                          non solo essi sono una delle superpotenze da cui dipende l’avvenire                                             dell’umanità (e, invero, data la terrificante capacità distruttiva delle

                                               armi moderne, la sua stessa esistenza): ma le teorie scientifiche, i                                                processi tecnologici, i condizionamenti culturali, i modelli di                                                        comportamento americani penetrano, per il bene come per il male,                                              tutta la nostra vita, influenzandola assai più di quanto comunemente                                            non appaia.

Raimondo Luraghi

 

 

In questo dopoguerra non si capisce più niente, questi                                                                   americani hanno cambiato tutto […] questi americani ne                                                              combinano di tutti i colori.

Antonio de Curtis (Totò)

 

 

[…] non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive                                                 degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre in                                                abbondanza tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, vivono popoli la cui                                             vita si svolge nella mitezza presso cui la coercizione e l’aggressione

                                               sono sconosciute. Posso a stento crederci; mi piacerebbe saperne di                                            più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a                                             far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento                                            dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri                                         aspetti tra i membri delle comunità. Io la ritengo una illusione.                                                  Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono                                     uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli                                                           stranieri. D’altronde non si tratta, come Ella stessa [ Einstein, mia                                               precisazione] osserva, di abolire completamente l’aggressività umana;                                               si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione                                          nella guerra.[…] finché gli Stati e nazioni pronti ad annientare senza                                          pietà altri Stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi                                              alla guerra.

Sigmund Freud[1]

 

 

  1. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano. I segni del processo di americanizzazione del territorio, sia europeo, sia italiano, intesi come conseguenza della egemonia del modello sociale americano, che si ramifica in maniera profonda dopo il secondo conflitto mondiale ( fine della fase policentrica), con la ricostruzione e il conseguente sviluppo economico e sociale dei Paesi ( fase monocentrica), possono essere così delineati per comodità di sintesi:
  • La perdita della impalcatura urbana e territoriale europea.
  • Lo sviluppo quantitativo della città e del territorio ( la cultura quantitativa del territorio, la città diffusa, la città infinita, la ruralizzazione delle città, eccetera).
  • Il declino della città e del territorio come patrimonio sociale.
  • Le città e i territori della sicurezza e del controllo.
  • Il progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership).
  • La militarizzazione delle città e dei territori.

 

 

Tratterò brevemente gli ultimi due segni su evidenziati perché li ritengo prioritari in questa fase sociale europea e italiana che vede un aumento di temperatura della fase multipolare per le strategie di attacco degli USA – soprattutto via Siria e Ucraina – nei riguardi della Russia.

Premetto due brevi considerazioni, una storica per comprendere la nascita della potenza mondiale americana; l’altra territoriale per capire la costruzione della sovranità europea.

La prima. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano è un processo che inizia con la dottrina di Monroe[2], cioè l’alt dato alle potenze europee di interessarsi al continente America, ovviamente negli interessi degli Stati Uniti e non dell’autodeterminazione dei popoli, e si consolida con la guerra civile americana[3], che rappresenta  per gli USA la svolta che permetterà loro sia di divenire una potenza mondiale, sia di operare una de-europeizzazione del territorio americano che consentirà la costruzione e la riorganizzazione del territorio (città e campagna), a partire da una propria identità, progettualità, disegno e visione[4].

La seconda. La città e il territorio europeo e italiano devono essere oggetto di un processo di de-americanizzazione[5] a partire da un progetto di sovranità su cui innestare una strategia di relazioni sociali altre, cioè, <<[…] trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità >> >>.

 

 

3.2 La militarizzazione delle città e dei territori. Non nascondo che faccio fatica ad immaginare una Europa che si autodetermina avendo sul suo territorio una miriade di basi militari NATO e NATO-USA ( la Germania ne ha 70, l’Italia ne ha 111; sono dati da aggiornare ed escludono quelle che non si sanno)[6]. E’ fuori dubbio che gli USA sono egemoni nella NATO non fosse altro perchè è la potenza mondiale che spende in armamenti più della metà degli interi Stati mondiali ( 900 miliardi di dollari annui), e il suo presidente Barack Obama ha fatto sapere, in queste giornate europee, che<< […] «aerei Nato pattugliano i cieli del Baltico, abbiamo rafforzato la nostra presenza in Polonia e siamo pronti a fare di più». Andando avanti in questa direzione, avverte, «ogni stato membro della Nato deve accrescere il proprio impegno e assumersi il proprio carico, mostrando la volontà politica di investire nella nostra difesa collettiva». Tale volontà è stata sicuramente confermata a Obama da Napolitano e Renzi. Il carico, come al solito, se lo addosseranno i lavoratori italiani[7]>>. Così come è fuori dubbio che le strategie americane di politica estera, che ricalcano il vecchio retaggio da guerra fredda che impone supremazia militare ed economica e strategie regionali tese a proteggere incondizionatamente i Paesi alleati[8], porteranno, mano mano che avanzerà la fase multipolare, ad una militarizzazione delle città e dei territori europei che esprime capacità militare, capacità di sicurezza e di controllo, capacità economica in funzione prevalentemente anti Russia. Non è un caso che la NATO non fu abolita una volta imploso il vecchio nemico “comunista”, ma fu rifondata probabilmente per meglio prepararsi ad un cambio di politica estera fondata sugli USA come unica potenza mondiale egemone: la nazione “eccezionale” universale. Oggi, per fortuna mondiale, non è così. La fase multipolare si va delineando e le strategie di politica estera americane fanno fatica a confrontarsi con le nascenti potenze mondiali ( soprattutto Russia e Cina).

Ho già trattato, nei miei precedenti scritti, la infrastrutturazione del territorio europeo in funzione della Nato (l’intervento sulla TAV) e le città NATO ( i due interventi sull’Ilva di Taranto). Voglio qui aggiungere una riflessione che riguarda la nuova polizia continentale con ampi poteri, l’Eurogendfor, istituita con il Trattato di Velsen (Olanda) e approvata all’unanimità dalla Camera e dal Senato all’assemblea di Montecitorio del 14 maggio 2010 ( legge n.84 il “Trattato di Velsen”). Per indicare i caratteri principali del Trattato di Velsen riporterò i seguenti passi dell’articolo di Matteo Luca Andriola:<< […] la Forza di gendarmeria europea (European Gendarmerie Force), conosciuta come Eurogendfor o Egf, che viene ora a proporsi come il primo corpo poliziesco-militare dell’Unione Europea, a cui partecipano cinque nazioni, cioè l’Italia, la Francia, l’Olanda, la Spagna e il Portogallo ai quali, in seguito, si è pure aggiunta la Romania, un’istituzione, quindi, con valenza sovranazionale.[…] Fra il 2006 e il 2007 il processo di genesi dell’Eurogendfor fa passi da gigante: il 23 gennaio 2006 viene inaugurato il quartier generale a Vicenza, la stessa città dove ha sede il Camp Ederle delle truppe Usa, divenendo operativa a tutti gli effetti, mentre il 18 ottobre 2007 viene firmato il trattato di Velsen, sempre in Olanda […]All’art. 3 si legge che «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche». Quindi un’Arma che può essere a disposizione degli Stati Uniti, dato che la Nato è, a tutt’oggi, il braccio armato di Washington in Occidente.[…] Colpisce, inoltre, il fatto che l’European gendarmerie force goda di una completa immunità internazionale. L’art. 4, recita che l’«EGF potrà essere utilizzato al fine di: condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici; formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali: formare gli istruttori, in particolare attraverso programmi di cooperazione»[…] A quali casi si fa riferimento nel trattato di Velsen? A quelli inquadrati «nel quadro della dichiarazione di Petersberg». Cioè? A Petersberg, nei pressi di Bonn, si riunì il 9 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della UEO ( Unione dell’Europa Occidentale) che approvò una Dichiarazione che individuava una serie di compiti precedentemente attribuiti all’UEO da assegnare all’Unione europea, cioè le cosiddette «missioni di Petersberg», cioè le “missioni umanitarie” o di evacuazione, missioni intese cioè al mantenimento dell’ordine pubblico, nonché operazioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. Ergo, oltre all’intervento in caso di catastrofe naturale, l’Eurogendfor può intervenire per sedare delle manifestazioni in assetto da «forze di combattimento» >>[9].

Questa nuova istituzione europea di polizia continentale, che fa capo alla NATO, di controllo e sicurezza territoriale, con sede in una città NATO simbolo come Vicenza, trova comprensione in tre direzioni da approfondire: 1. Il ruolo della NATO che non è un ruolo direttamente militare ( viene sempre più velato ) ma economico, di sviluppo di territori, di sicurezza, di controllo, di penetrazione e di ampliamento di territori in funzione di contrasto delle potenze mondiali emergenti, soprattutto la Russia; 2. La perdita della peculiarità territoriale ( di città e di territori) europea trova nel modello sociale e territoriale egemonico americano, direttamente e indirettamente tramite l’egemonia nelle istituzioni internazionali, una delle cause fondamentali del suo declino e della sua specificità storica:<< L’Europa si formò con l’emigrazione, l’America con la conquista. Per usare il linguaggio dei geologi, diremo che quella procede da alluvione e questa da azione vulcanica. E’ questo un primo tratto che differenzia la vita europea dall’americana.

Eccone un altro: la civiltà dell’America fu un’opera di governo, un’impresa di Stato, un grande atto amministrativo; quella dell’Europa un’opera anonima, popolare, senza azione legislativa […] Ogni civiltà ha un’opera genuina che è la città. La città è la sintesi di una civiltà, il gesto o il ritmo che traduce la sua anima. Atene è la Grecia, come Roma è l’Impero, Firenze è il Rinascimento, Siviglia è l’anima spagnuola ( New York è la modernità:” tutto ciò che è di solido, si dissolve nell’aria”, mia aggiunta)[10] >>[11]; 3.La politica di coesione e la cooperazione territoriale europea è funzionale alla strategia americana per aprire varchi ad Est risucchiando sempre più territori dalla sfera di influenza Russa ( ultimo caso: l’Ucraina).

Un esempio: si dice che << Una pluralità di questioni è associata alla coesione territoriale: il coordinamento delle politiche in regioni estese come quella del Mar Baltico, il miglioramento delle condizioni lungo le frontiere esterne orientali, la promozione di città sostenibili e competitive a livello mondiale, la lotta all’emarginazione sociale in alcune parti di regioni più ampie e nei quartieri urbani sfavoriti, il miglioramento dell’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’energia in regioni remote e le difficoltà di alcune regioni che presentano determinate caratteristiche geografiche.[…] Il modello di insediamento europeo è unico. In Europa sono sparse circa 5 000 città piccole e quasi 1 000 città grandi, che fungono da centri di attività economica, sociale e culturale. In questa rete urbana relativamente densa le città molto grandi sono però poche. Nell’UE solo il 7% delle persone abita in città con oltre 5 milioni di abitanti, rispetto al 25% negli USA, e solo 5 città europee sono annoverate fra le 100 più grandi città del mondo.

Questo modello di insediamento contribuisce alla qualità della vita nell’UE, sia per gli abitanti delle città, che sono vicini alle zone rurali, sia per i residenti delle zone rurali, che beneficiano della prossimità dei servizi. È inoltre un modello più efficiente dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse in quanto evita le diseconomie dei grandi agglomerati e l’elevato uso di energia e di terre che caratterizzano l’espansione urbana; tali diseconomie assumeranno dimensioni ancora più preoccupanti con il progredire dei cambiamenti climatici e l’adozione di misure per adeguarvisi o per contrastarli >>[12], questo modello così delineato cosa ha a che fare con la realtà urbana e territoriale sempre più modellata su quella americana?[13].

 

 

 

 

 

[1] Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da: Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Nuova storia universale dei popoli e delle civiltà, volume sedicesimo, Torino, 1974, pag. XXI; Film: Totò, Fabrizi e i giovani di oggi, 1960; Sigmund Freud, Perché la guerra?. Carteggio con Albert Einstein, La città del sole, Napoli, 1996, pp. 24-25-28.

[2] Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.

[3] Raimondo Luraghi, La spada e le magnolie, Donzelli, Roma, 2007.

[4] Per una introduzione alla costruzione e contrapposizione politica e ideologica della concezione del territorio tra USA e URSS si veda Bernardo Secchi, La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp.63-85.

[5] Non leggo gli Usa come uno stato canaglia o una superpotenza canaglia alla Noam Chomsky (come fa nel suo “De-americanizzare il mondo”, 8/11/2013, www.comedonchisciotte.com ), ma leggo la de-americanizzazione dell’Europa come un processo che limiti l’egemonia degli USA per agevolare un mondo multipolare, possibilmente basato sull’autodeterminazione dei popoli.

[6] Sul senso del potere politico e militare dell’occupazione del territorio europeo da parte degli USA attraverso le proprie basi militari e quelle della Nato, si veda l’intervista ad Alexander Dugin, L’occupazione è occupazione, 29/01/2014, www.millennium.org.

[7] Secondo i dati del Sipri, l’autorevole istituto internazionale con sede a Stoccolma, l’Italia è salita nel 2012 al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo, con circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro annui. Il che equivale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero in Manlio Dinucci, Quando ci costa la libertà della Nato, il Manifesto, 29/03/2014.

[8] Sui limiti della politica estera degli USA collegati al vecchio retaggio da guerra fredda, sulle difficoltà di impostare una politica estera adatta alla nuova fase multipolare che si sta delineando e sulle lacune nonché sui conflitti decisionali basati su vecchi schemi cognitivi e su un modello decisionale istituzionale che esalta l’esecutivo, la natura elitaria, la lotta interistituzionale, i “groupthink”, si veda l’interessante articolo di Giulia Micheletti, Le origini interne della strategia geopolitica statunitense, 03/03/2014, www.eurasia-rivista.org.

[9] Matteo Luca Andriola, Il trattato di Velsen e l’Eurogendfor, 13/03/2014, www.comunismoecomunita.org.

[10] Per la città di New York come simbolo della modernità, si veda Marshall Berman, L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985.

[11] Giovanni B. Teràn, La nascita dell’America spagnuola ,in Leonardo Benevolo e Sergio Romano, a cura di, La città europea fuori d’Europa, Libri Scheiwiller, Credito Italiano, Verona, 1998, pag.79. Si legga Fernand Braudel, Le strutture del quotidiano. Civiltà materiale, economia e capitalismo ( secoli XV-XVIII), Einaudi Torino, 1982, volume primo.

[12] Commissione delle Comunità Europee, Libro verde sulla coesione territoriale. Fare della diversità territoriale un punto di forza, 6/10/2008, www.europa.eu, pp. 3 e 5.

[13] Si veda David Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, Milano, 2013; Mike Davis, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2006;Alessandro Petti, Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano, 2007.

NON C’ENTRA, MA C’ENTRA. TRA MACRON E LE PEN, di Roberto Buffagni

Non c’entra ma c’entra, e quindi vi propongo questa letterina pastorale.
Ieri sera ho visto il dibattito Le Pen – Macron, e ho assistito a uno dei suicidi tattici più esemplari della storia moderna, all’altezza dell’attacco frontale deciso da Lee a Gettysburgh nonostante il gen. Longstreet lo avesse implorato in ginocchio di eseguire una manovra di aggiramento sulla destra. L’ho seguito soffrendo come un cane e incazzandomi come una pantera, l’avrei presa a sberle, Marine. Marine ha sbagliato tutto. Ha attaccato frontalmente Macron, con l’intento di destabilizzarlo e farlo sbroccare, e non ci è riuscita perchè l’attacco è stato eseguito, appunto, frontalmente. Marine ha proposto una versione anabolizzata di se stessa: la pasionaria, l’estremista, la provocatrice, la sarcastica. Era la versione prevedibile della Marine figlia di suo padre, leader del Front National rinchiuso nel suo ghetto e interprete (sterile) dei risentiti e degli esclusi. Versione prevedibile, e quindi prevista da Macron e dai suoi consulenti, che senz’altro lo avevano ben preparato (come tutti i narcisisti terminali è un buon attore, sin da quando la moglie/mamma incestuosa gli teneva il corso di tecnica teatrale). Macron non si è destabilizzato per niente, ha ribattuto pan per focaccia, sulle questioni di meccanica istituzionale ed economica ha risposto con più precisione e miglior preparazione di Marine, e ci ha fatto, in confronto, una discreta se non buona figura. Sintesi ha vinto lui, Marine ha fatto il capolavoro di danneggiare seriamente la sua reputazione, di sembrare poco equilibrata mentre invece è psicologicamente ben centrata, e di regalare una patente non dirò presidenziale, ma almeno di serietà, a Macron che è invece uno psicopatico fatto e finito (vedere cercandola su google la diagnosi al volo del prof. A. Segatori, sommaria ma equilibrata).
Insomma, tale e quale a Gettysburgh: invece di fare la manovra aggirante sulla destra come certo la implorava di fare Dupont-D’Aignan/Longstreet (per parlare agli elettori di Fillon, pensionati nazionalisti moderati dei quali doveva cercare i voti) Marine/Lee ha attaccato al centro su terreno in lieve salita contro un nemico solidamente trincerato a difesa e si è ritirata con gravi perdite.
L’errore più grave e gravido di conseguenze non è la sconfitta nel dibattito e i suoi effetti sulle presidenziali. Tanto Marine avrebbe perso comunque, alla peggio questa figuraccia le sarà costata qualche punto percentuale. Il vero problema è questo: Marine non ha capito che oggi, e soprattutto domani,si tratta di rifondare la destra francese, dunque di conquistare elettori e militanti moderati nel vasto bacino del gaullismo, e il punto sarà: chi riesce a spaccare chi? I Républicains spaccheranno il FN o il FN spaccherà i Républicains? Nella decisione finale, il leader federatore della nuova alleanza/partito conterà moltissimo, e oggi Marine si è squalificata ad esserlo. Potrà forse recuperare, ma è una strada in salita quasi verticale.
Preciso: questa cosa, Marine l’avrà senz’altro capita con l’intelligenza, visto che è una donna intelligente e una politica esperta; ma non è riuscita a capirlo con tutta se stessa. Un dibattito come questo è come uno scontro corpo a corpo, dove si impegna la personalità intera, e dove non si può riflettere alle mosse da compiere e ai colpi da portare. Si agisce d’istinto, e l’istinto di Marine è ancora l’istinto di una persona che è nata dentro un partito-ghetto, estremista e rivendicante il proprio estremismo, un po’ come il neofascismo italiano (MARINE NON è FASCISTA, FACCIO SOLO UNA ANALOGIA CHE POTREBBE VALERE ANCHE PER UN PARTITO ESTREMISTA DI SINISTRA).
E qui veniamo alla lezione che chi non gradisce mondialismo, UE, euro, etc, dovrebbe trarre da questa battaglia perduta. E’ ora di darsi una regolata, e smetterla con l’estremismo. Smetterla con l’estremismo verbale, politico, ideologico e soprattutto psicologico. Se si vuole vincere, bisogna presentarsi agli altri, e se possibile anche essere, affidabili e ragionevoli. In caso di dubbi, riferirsi al modello del “buon padre di famiglia” un tempo caro al Codice civile. Il popolo ha tanti difetti, e spesso capisce l’otto per il diciotto, scambia fischi per fiaschi, lucciole per lanterne, etc. In una cosa non sbaglia quasi mai: nell’individuare chi è in grado di risolvere e chi no. Poi magari chi risolve risolve in un modo che al popolo lo frega, ma intanto ha risolto. Gli estremisti NON risolvono, e il popolo lo vede. Grida, piange,protesta e bestemmia con loro, ma quando gli si deve affidare, NON lo fa: e ha ragione.

RICAPITOLANDO, di Antonio De Martini (tratto da https://www.facebook.com/antonio.demartini.589?fref=nf&pnref=story)

Se mettiamo assieme i dati degli attentati dell’ultimo anno compiuti in Europa, appare chiaro che gli “estremisti islamici” vengono chiamati in causa, dai soliti commentatori, a sproposito.
Le erinni dei partiti populisti chiedono la chiusura delle frontiere o dicono che noi italiani siamo messi male mentre ci sono stati attentati in tutta Europa tranne che da noi.

Gli attentatori sono cittadini europei nati e cresciuti in Europa.
Quelli francesi si sono rivelati anche criminali comuni che si sono approvvigionati di armi presso la mala.

Nessuno di loro si è rivelato frequentatore di moschee, mentre tutti avevano un precedente contatto – o addirittura frequentazioni pagate- con la polizia.

Di alcuni si è scoperto che avevano poco prima degli attentati spedito alle famiglie o a parenti ingenti cifre di denaro, ma non è esagerato affermare che tutti sono mercenari prezzolati.
Disperati in cerca di sopravvivenza e soggetti psichicamente disturbati.

L’ultimo, dovrei dire il penultimo, spacciato per attentatore a Dortmund, è risultato addirittura che lo ha fatto per cercare di compiere un aggiotaggio in borsa sui titoli della squadra di calcio.

Il fatto che l’ISIS faccia rivendicazioni infondate è dimostrato anche dall’ultima comunicazione in cui il rivendicatore ha sbagliato nome, provenienza e nazionalità del reo, dato che la polizia non ha rivelato subito queste informazioni come di consueto.
.
In comune hanno tutti un passato di cattive cure psichiatriche ( anche numerosi attentatori degli USA), e il fatto di essere tutt senza eccezionei stati uccisi, mentre ormai ogni reparto antiterrorismo del mondo ha i suoi tiratori scelti e tra narcotici e proiettili con sonniferi si addormentano anche gli orsi. Finora l’unico sfuggito alla morte ( il francese rifugiatosi in Belgio) è risultato un confidente delle autorità.

Ammazzano gli attentatori per non interrogarli? La domanda è legittima anche se dolorosa.

Altra domanda: chi può disporre di un’anagrafe tanto vasta di soggetti labili dal punto di vista nervoso, patologicamente bisognosi di sovvenire alle famiglie e con un passato burrascoso di ex galeotti? Chi è il basista, insomma? Chi segnala questi sventurati agli istigatori-reclutatori?

I sospetti appartengono a due categorie: le moschee e le autorità di polizia. Ma i soggetti, lo dicono in molti , non frequentavano le moschee….

Chi ha accesso agli schedari dell’antiterrorismo? Nessuno cerca la Talpa. Nessuno previene gli attentati. Molti attentati (l’ultimo di Londra e di Parigi in specie) giungono a proposito per assecondare le svolte della opinione pubblica desiderate da elementi dirigenziali del paese.

Si fanno inchieste parlamentari su tutto ma non sul terrorismo. E’ un buon segno non riescono a mettere assieme una venina di parlamentari disposti alla complicità.

Il progetto messianico degli USA e la deriva del nostro Paese, a cura di Luigi Longo_ 3a parte

Passo al terzo punto dopo aver ripresentato il prologo

A Giuseppe Germinario, responsabile del blog “ItaliaeilMondo”.

 

Chiedo la pubblicazione dei seguenti tre interventi che riguardano:

1.Gli scenari che si aprono con la fine della brevissima apertura multipolare di Trump segnata dall’aggressione alla Siria. Un multipolarismo tattico, appunto, non strategico, perché gli USA amano dominare il mondo in maniera unilaterale per adempiere il loro Progetto Messianico ( << di avere una missione speciale da compiere e di essere pertanto l’unica nazione indispensabile del mondo >>). Questo significa prendere l’iniziativa di riallineare l’architettura del potere globale, nonostante l’epoca del grande giocatore (allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente) stia ormai per finire.

E’ uno scritto di Paul Craig Roberts, Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?, www.libreidee.org, 9 aprile 2017.

 

2.Il ruolo importante che assume il territorio italiano nelle strategie USA nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. L’Italia è stato lo spazio di coordinamento USA per l’aggressione alla Siria: Napoli ( Comandi: quartiere generale Napoli-Capodichino e Napoli Lago Patria), Gaeta (base Sesta Flotta), Sigonella ( base aeronavale), Niscemi (Sistema Muos).

E’ uno scritto di Manlio Dinucci, Dall’Italia l’attacco USA alla Siria, www.voltairenet.org, 11 aprile 2017.

 

  1. Il ruolo del G7; dello scritto mi interessa far rilevare le trasformazioni delle città italiane (aree urbane e rurali) in hotspot (centri decisi dalla UE per la detenzione, identificazione ed espulsione manu militari dei richiedenti asilo), in centri disumani di immigrati e in città strategiche per i comandi USA-NATO.

E’ uno scritto di Antonio Mazzeo, Il vertice G7 di Taormina, in www.sbilanciamoci.org, 10 aprile 2017.

 

Grazie                                                                                   Cordialità

 

Luigi Longo

Terzo. Nella fase multipolare le città e i territori si militarizzano sempre di più.

 

Antonio Mazzeo, Il vertice G7 di Taormina.

 

La Sicilia ha assunto un ruolo chiave nelle strategie di guerra mondiali a partire dall’installazione a Niscemi del terminale terrestre del Muos, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare delle forze armate Usa.

Un territorio duramente segnato dal dissesto idrogeologico, le frane dopo ogni temporale, la progressiva erosione delle coste. Si presenta così il comprensorio ionico compreso tra le città di Messina e Catania, per lungo tempo una perla del turismo per le sue straordinarie bellezze paesaggistiche e il patrimonio storico-culturale, da alcuni anni vittima della crisi di un modello economico insostenibile e dell’incapacità o inettitudine delle classi politiche e di governo locali. Gli investimenti per la messa in sicurezza dei territori o per il rilancio di attività socio-culturali ed economiche ecocompatibili sono inesistenti, così per uscire illusoriamente dalla crisi, il governo Renzi prima, quello Gentiloni poi, hanno pensato bene di “rilanciare” internazionalmente l’immagine di Taormina elevandola a sede del prossimo G7, il vertice dei capi di stato delle sette maggiori potenze economiche, politiche e militari occidentali (Usa, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Italia). Il 26 e 27 maggio 2017 il comune siciliano ospiterà più di mille delegati, tremila persone fra security, intelligence e fornitori, 2.500 giornalisti, 6.400 tra poliziotti, carabinieri e appartenenti alle forze armate. L’ennesimo “grande evento” che come ormai accade puntualmente in Italia non potrà non avere devastanti impatti socio-ambientali, con ricadute pari a zero in termini occupazionali, mentre di contro enormi flussi di denaro pubblico andranno alle aziende private dei soliti noti.

In vista del G7 di Taormina, il governo ha stanziato 45 milioni di euro “per l’attuazione degli interventi relativi all’organizzazione e allo svolgimento del vertice”: di questi, 30 andranno per la gestione diretta dell’evento e “solo” 15 milioni per le opere infrastrutturali nella località ospitante. Ancora una volta le modalità per la scelta delle opere prioritarie e della gestione dei bandi di gara sarà quella “emergenziale”, così da poter bypassare le procedure previste dalle normative di legge in materia di appalti e prevenzione dell’infiltrazione mafiosa. Il prefetto Riccardo Carpino è stato nominato commissario straordinario per l’evento con delega alle infrastrutture e solo da poco più di un mese è stata messa in moto la macchina organizzativa vera e propria con l’affidamento dei primi lotti di gara. A Taormina si è dato il via agli interventi che più preoccupano per i loro effetti ambientali e paesaggistici, due grandi eliporti per i decolli e gli atterraggi delle delegazioni dei capi di stato (lavori affidati all’Aeronautica militare) e l’allestimento “scenico” del teatro Greco. Affidati pure i lavori di “manutenzione ordinaria e straordinaria” di alcune strade interne al territorio comunale (in verità appena 991mila euro nonostante il grave degrado in cui versa la rete viaria locale), mentre a giorni andrà in gara il lotto per “l’abbellimento floreale” e il “miglioramento del decoro e dell’arredo urbano”, come suggerito dalla sottosegreteria Boschi nel corso della sua recente visita in Sicilia. Di ben altro spessore la tranche riservata ai “servizi” del G7 (pasti, alberghi, servizi, trasporti, ecc.), oltre 25 milioni di euro che la Consip – come denunciato in due speciali de L’Espresso e della Gazzetta del Sud – sono già stati divisi “in gran parte tra imprese e imprenditori extra-collaudati da anni di rapporti con la politica”. Come riporta il giornalista Sebastiano Caspanello, tra i vincitori dei lotti di gara “ci sono il catering ufficiale di Eataly, già saggiato nelle cene di raccolte fondi del Pd, e l’agenzia di comunicazione che ha gestito budget milionari all’Expo; ci sono l’azienda monopolistica dei grandi eventi (il G8 di Genova e L’Aquila) e con consolidate amicizie nei salotti della Capitale e il gruppo di società organizzatrici di meeting, con più di un volto noto gravitante nell’orbita del famoso giglio magico”.

Intanto cresce in tutta l’isola la mobilitazione dei soggetti e delle realtà che si oppongono al modello economico dominante e alle politiche di guerra e di devastazione dell’ambiente perpetuate dai governi G7. La parola d’ordine è di ritrovarsi tutti a Taormina il 26 e 27 maggio per manifestare contro i “Sette Grandi” e contro il “pensiero unico” che legittima alcune transnazionali a decidere sulla vita e sulla morte di 8 miliardi di abitanti della terra. “Il vertice G7 formalizza annualmente le misure di austerità neoliberiste da applicare internazionalmente o gli interventi di guerra planetaria sempre più spesso subappaltate all’organizzazione della NATO”, si legge in un appello condiviso durante le due giornate di mobilitazione internazionale Fora u G7, tenutosi a Palermo a fine febbraio.

Secondo le prime indiscrezioni, il summit di Taormina affronterà alcuni dei conflitti più sanguinosi scatenati nell’area mediterranea e mediorientale (in primis Siria, Libia, Yemen, ma con un occhio anche ai conflitti in corso nel continente africano) e l’immancabile “lotta al terrorismo (islamico)”. Altro tema caldo sarà quello delle relazioni-pressing sulla Russia dove si confronteranno due visioni opposte: da una parte chi chiede d’intensificare l’accerchiamento militare contro Mosca e suoi principali alleati nell’Est Europa e nel Caucaso (Germania e altri paesi chiave Ue); dall’altra chi vorrebbe riagganciare al G7 la potenza guidata da Putin (le lobby politiche energetiche dominanti in Italia e alcuni settori della nuova amministrazione Trump). Il G7 di Taormina sarà importante anche per comprendere chi e come avrà la guida dei comandi NATO, mentre è probabile che i nuovi piani di riamo nucleare globale e di rafforzamento delle componenti di guerra più moderne (droni, unità navali e terrestri del tutto automatizzate, cyber war, ecc.) saranno “socializzati” a tutti i paesi G7 e ai loro più stretti alleati.

In agenda poi il tema delle “emergenze” prodotte dalle migrazioni mondiali, in vista di un rafforzamento delle alleanze politico-militari per contrastare la fuga di milioni di persone dalle guerre e dai crimini socio-ambientali. Scelte scellerate che avranno innanzitutto ricadute dirette sulla vita e le libertà dei cittadini dei paesi membri del G7: dalla ipermilitarizzazione di punti strategici interni (aree metropolitane di interesse finanziario e culturale, porti, aeroporti, punti di confini) ad una sempre maggiore restrizione dei diritti di espressione e utilizzo di social network, media-strumenti informatici (è in atto una vera e propria campagna globale che enfatizza la cosiddetta cyber security, nuova frontiera del capitale finanziario e del complesso militare-industriale).

La decisione di svolgere in Sicilia il G7 non è del resto casuale. L’Isola ha assunto ormai un ruolo chiave nelle strategie di guerra mondiali: l’installazione a Niscemi del terminale terrestre del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare delle forze armate USA; la trasformazione della grande base di Sigonella in uno dei maggiori centri per la operazioni dei droni USA, NATO e UE; l’uso costante degli scali aerei di Trapani-Birgi e Pantelleria per i bombardamenti e le attività di spionaggio top secret in Nord Africa; i devastanti processi di militarizzazione che hanno investito Augusta (hub navale Usa e NATO), Lampedusa, ecc., testimoniano la portata altamente distruttiva delle infrastrutture belliche realizzate e ampliate in Sicilia negli ultimi anni. A ciò si aggiunge il ruolo di vera e propria fortezza assunto dalla Sicilia per conto dell’Unione europea e della famigerata agenzia di controllo delle frontiere esterne Frontex nelle politiche di contrasto delle migrazioni, con l’uso dei porti e degli aeroporti da parte dei mezzi militari Ue-NATO impegnati a far la guerra ai migranti nel Mediterraneo o la trasformazione di sempre maggiori aree urbane ed extraurbane in hotspot e centri-lager dove detenere in condizioni disumane chi è scampato ai naufragi e ai bombardamenti (a Trapani-Milo, Lampedusa, Pozzallo e presto anche a Messina e Mineo). “Pseudo modalità di accoglienza che rispondono esclusivamente a logiche di controllo sicuritario e che contribuiscono a dilapidare sempre più ingenti risorse pubbliche, alimentando gli affari di grandi e piccoli operatori economici (che sempre più spesso si intrecciano con i circuiti dell’economia criminale) e la precarietà per i lavoratori”, denunciano i No G7 siciliani.

EUROPA UNITA = EUROPA SOTTOMESSA, di Gianfranco La Grassa

EUROPA UNITA = EUROPA SOTTOMESSA

Tratto dal sito http://www.conflittiestrategie.it/europa-unita-europa-sottomessa

Il saggio rappresenta un breve consuntivo dell’elaborazione di analisi politica dell’autore. In particolare la ricostruzione seguita al secondo dopoguerra e la costruzione comunitaria in Europa sono il frutto anche di una elaborazione collettiva portata avanti dal sito negli ultimi sei anni cui www.italiaeilmondo.com intende riferirsi

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Il nord industriale Usa schiaccia il sud “cotoniero” nella guerra civile (o di secessione) e il paese si avvia così a divenire quella grande potenza che sarà nel XX secolo. Inizia subito l’allargamento della sua sfera d’influenza e innanzitutto batte l’ormai nettamente decaduta potenza spagnola a fine secolo XIX sottraendole Cuba e soprattutto le Filippine (1898), dove tuttavia insorsero forze indipendentiste, sconfitte a loro volta nella guerra condotta tra il 1899 e il 1902, con code fino al 1906 e poi ancora, molto debolmente, fino al 1913. Con quell’azione gli Usa si lanciano alla conquista della primazia in Asia e si scontreranno perciò a lungo con il Giappone, paese pure lui in forte crescita, che divenne una delle grandi potenze in conflitto nella prima metà del ‘900 (assieme a Inghilterra, Usa e Germania), soprattutto dopo aver vinto contro la Russia nel 1904-5 (sconfitta russa all’origine della prima grande rivoluzione antizarista del 1905, immortalata da Eisenstein ne “La corazzata Potemkin”).
Nella prima guerra mondiale, il Giappone entra al fianco della “Triplice Intesa” (Gran Bretagna, Francia, Russia) già nel 1914. Un impegno assai limitato, più che altro per togliere ai tedeschi quei pochi insediamenti da essi avuti in Asia (tipo Isole Marianne e Caroline). In ogni caso, quando gli Usa entrano in guerra nel 1917, il Giappone è ufficialmente loro alleato. In realtà, vi sarà sempre contrasto tra le due potenze per l’area del Pacifico. Ben noto è l’attacco “proditorio” giapponese del 7 dicembre 1941 a Pearl Harbor, che spinse gli Stati Uniti all’entrata nella seconda guerra mondiale. Attacco provvidenziale poiché il Congresso americano si opponeva costantemente, e pressoché all’unanimità, all’intervento in guerra, fortemente voluto invece da Roosevelt; il presidente “buono”, quello del New Deal, atto per null’affatto risolutore della crisi del ’29-’33 (come raccontano storici ed economisti), dato che dopo un paio d’anni d’attenuazione della stessa, nel 1936 (proprio quando esce la keynesiana “Teoria generale”) si è di nuovo in stagnazione; solo la seconda guerra mondiale risolverà il problema. Anche qui, le solite superficialità sull’importanza della domanda enormemente accresciuta per fini bellici, mentre l’uscita dalla stagnazione (accompagnata da intensi progressi in tema d’energia e tecnologici) dipende dalla netta supremazia statunitense conquistata in tutta l’area del capitalismo più avanzato, con coordinamento generale di tali sistemi capitalistici da parte del “centro” statunitense.
Comunque, l’attacco a Pearl Harbor viene condotto dopo una lunga serie di tensioni nippoamericane e non certo tutte dovute ai giapponesi. Inoltre, è meno noto che pochi giorni prima dell’“imprevista” aggressione, tutte le portaerei americane (e credo anche alcune corazzate) avevano abbandonato il porto poi bombardato. Difficile ormai sapere la verità. Certamente è sorprendente (comunque, qualunque sia la verità) che i giapponesi non sapessero dell’allontanarsi delle principali navi da battaglia americane e, se lo sapevano, abbiano attaccato egualmente. In ogni caso, non si sfugge all’impressione che il gruppo dirigente Usa fosse ben conscio (e lieto) dell’aggressione, l’abbia favorita in tutti i modi, per superare l’ostilità del Congresso all’entrata in guerra. E così, sacrificando i 2400 soldati uccisi a Pearl Harbor – e certamente con un numero ben più alto di altri morti, non però per bombardamenti sulla popolazione civile americana, specialità lasciata al teatro europeo e asiatico – si concluse il confronto pluridecennale per la supremazia nell’area del Pacifico.
Ancora più complicato decifrare l’andamento degli eventi nell’area europea. Fu solo un errore (e madornale) l’aggressione tedesca all’Urss nel giugno del 1941? Gli “storici dei vincitori” (quasi tutti) raccontano di una decisiva “Battaglia d’Inghilterra” (nel 1940, di carattere aereo), in cui la RAF vinse sulla Lutwaffe e così bloccò l’invasione tedesca dell’Inghilterra. Credo si tratti di un’altra grossa balla. Dopo la rapida vittoria in Francia (dove si creò inoltre la Repubblica di Vichy, che non fu proprio contrastata dall’intera popolazione francese come poi hanno raccontato i soliti storici), la Germania si sentiva sicura della vittoria. E’ facile che invece di sbarazzarsi subito dell’Inghilterra, indubbiamente boccone più difficile da “ingoiare”, abbia iniziato (ma credo soprattutto per iniziativa dell’Inghilterra) segreti contatti onde arrivare ad una qualche intesa; e in questo sappiamo che aveva qualche carta da giocare il Duca di Hamilton. E penso che lo stesso Churchill, magari senza esporsi troppo, sia stato al gioco.
Infine, nel maggio del ’41 Rudolf Hess vola in Scozia e tenta di raggiungere il Castello del Duca di Hamilton. Certo, viene arrestato e poi sempre detenuto senza che mai sia stato rivelato (nemmeno dal “viaggiatore”) il reale motivo di quella “intemerata”, attribuita a malattia mentale dell’autore o a una sua caduta in disgrazia presso Hitler (e altre menzognere chiacchiere). Nel giugno dello stesso anno parte appunto l’Operazione Barbarossa contro l’Urss, con qualche ritardo (dovuto fra l’altro al colpo di Stato in marzo a Belgrado dove presero il potere dei militari favorevoli alla Gran Bretagna, causando così l’attacco tedesco). Sarebbe iniziata l’aggressione antisovietica senza contatti tra inglesi e tedeschi? E ben precedenti al viaggio di Hess che comunque – pur messo in galera per motivi evidenti, dato che la popolazione inglese non doveva affatto sapere di “strane trattative” in corso – potrebbe aver avuto egualmente abboccamenti di rilievo. Naturalmente, l’ipotesi più semplice da avanzare è che Churchill, direttamente o meno vista la non piacevole situazione dell’Inghilterra, abbia fatto credere a Hitler la possibilità di una trattativa che avrebbe messo fine alla guerra fra loro con soddisfazione tedesca e qualche concessione al suo paese insulare.
Eppure vorrei avanzarne una in po’ differente e forse ardita. Gli Stati Uniti, per null’affatto sconvolti (parlo dei dirigenti, non della popolazione) dalla “grande crisi”, erano ormai consci d’essere il nuovo capitalismo vincente; un capitalismo senza alcun ascendente “nobiliare” con cui fare ancora i conti, in assenza completa di ogni scrupolo morale o di senso dell’onore, strettamente imbricato alla criminalità, ecc. Del resto, vorrei ricordare che nel grande documentario sovietico di Vertov (“La sesta parte del mondo” del 1926!), il paese capitalistico per antonomasia sono appunto gli Stati Uniti. In Urss l’avevano già capito; mentre in Europa no. In particolare, nemmeno Germania e Italia avevano afferrato questo epocale mutamento. E Inghilterra e Francia ancora “giocavano” ai grandi protagonisti, pur dopo la misera figura fatta alla Conferenza di Monaco del settembre 1938.
Roosevelt (cioè il gruppo dirigente americano degli anni ’30) afferra che è possibile iniziare un reale confronto per il predominio pure nell’area europea; e non solo in Asia dove, come già considerato, ci si scontra con il Giappone. Sono dunque probabilmente gli Usa – consci dell’approssimarsi della loro entrata in guerra, resa difficile dal comportamento del Congresso, ma evidentemente già si stava lavorando ad una occasione infine arrivata con Pearl Harbor – a “consigliare” Churchill circa la necessità di prendere tempo, facendo inoltre credere a Hitler che poteva scatenarsi contro l’Urss, ma senza affatto arrivare ad alcun reale accordo. E scrivo consigliare tra virgolette perché ho la sensazione che il governo inglese, se avesse deciso da solo, avrebbe magari potuto intavolare – con gradualità e metodi tali da non crearsi vasta impopolarità presso una popolazione bombardata, ormai accesa nemica dei tedeschi, ecc. – qualche trattativa pregnante. Questo avrebbe impedito agli americani di arrivare da “liberatori” in Europa e avrebbe limitato la loro egemonia all’area asiatica.
No, ormai gli Stati Uniti erano maturi per ben altro: quindi inganno, spinta all’aggressione tedesca all’Urss, ma nessuna sospensione di ostilità di alcun genere; questo pretesero probabilmente gli Usa dall’Inghilterra, promettendo il loro decisivo aiuto assai presto. Ed infatti, a fine anno, giunge la sospirata occasione dell’aggressione giapponese e il convincimento del Congresso alla guerra. E credo che si siano andati accentuando anche gli “incidenti”, ormai in atto da tempo, con navi tedesche in modo da ottenere perfino la dichiarazione di guerra da parte della Germania quattro giorni dopo Pearl Harbor. E pure in tale occasione, comunque, si constata un decisivo errore di valutazione del governo tedesco, evidentemente convinto che il Giappone avesse distrutto una buona parte della potenza statunitense e si fosse portato in posizione di vantaggio. Inoltre, lo ripeto, penso proprio che Hitler, non meno di Mussolini, considerasse ancora troppo importante l’Inghilterra, non avendo capito con che tipo di nuovo capitalismo assai potente avesse a che fare; lo spirito eurocentrico ha giocato un brutto scherzo

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Questo lungo preambolo, e tuttavia succinto nei suoi punti salienti, voleva ricordare con quale paese predominante abbiamo a che fare ormai dalla metà del secolo scorso. Si tratta di qualcosa che, non so quanto appropriatamente (ma non vedo altra scelta), possiamo definire un neocapitalismo assai più efficiente di quello borghese, prevalente nell’Inghilterra ottocentesca (e che Marx prese a modello della forma capitalistica di società), ormai in fase di sostituzione all’epoca della prima guerra mondiale. Non a caso, la teoria marxista, divenuta ideologia della “rivoluzione proletaria”, confuse quella fine con il superamento del capitalismo tout court (“imperialismo, ultima fase del capitalismo”), mentre ne veniva avanti, vittorioso, un altro ben più duraturo. L’ho denominato provvisoriamente “dei funzionari del capitale” solo in parte influenzato dall’analisi di Burnham, comunque vicino alla realtà e che parlò di “rivoluzione manageriale”. Il “funzionario del capitale” non è però semplicemente il manager – pur privo della proprietà dei mezzi di produzione, che per Marx era invece decisiva nel designare il reale dominante, il borghese capitalista – figura direttiva dei vari processi in svolgimento soprattutto nell’impresa, ma certo anche negli altri apparati non soltanto economici della società. I funzionari del capitale non sono semplici direttori, bensì più precisamente strateghi di quel conflitto mirante alla supremazia sia nel contesto dei gruppi sociali attivi in un paese sia nel rapporto con altri paesi in date aree territoriali e, in ultima analisi, nel mondo intero.
Parleremo in altra sede dell’errore commesso da Marx – e ancor più da coloro che trasformarono la sua teoria scientifica in una sclerotizzata ideologia creduta sempre più per fede – nell’ignorare la funzione sociale decisiva (e dominante) svolta dai “non proprietari dei mezzi produttivi” e strateghi d’un conflitto, da cui derivava immediatamente la “non funzione rivoluzionaria” dei non proprietari e fornitori di plusvalore (vedremo meglio altrove questo problema); errore che non è certo causa minore del fallimento definitivo della sedicente “costruzione del socialismo” con crollo dei regimi politici ostinatamente attaccati a quell’ideologia. Per il momento, limitiamoci a sottolineare come il capitalismo americano – sottovalutato pure dai regimi che tentarono di sostituirsi al capitalismo borghese, senza tuttavia mettere definitivamente fine alle sue pratiche e mire ormai storicamente superate; mi riferisco principalmente a fascismo e nazismo che di questo tentativo sono a mio avviso stati artefici – abbia avuto in ultima analisi la via aperta alla supremazia mondiale, impropriamente contrastata dal presunto “campo socialista” e soprattutto dal centro di quest’ultimo, l’Urss. Si è parlato di mondo bipolare, e di “guerra fredda” tra i centri dei due poli. Malgrado la durata di quel bipolarismo (un po’ meno di mezzo secolo, che storicamente è un “fiat”), non vi è stato affatto vero equilibrio; l’Urss non riusciva a contrastare realmente gli Usa (malgrado certe pretese vittorie, come quella così sopravvalutata e incompresa in Vietnam). E anche su questi eventi cruciali manchiamo di una qualsiasi seria analisi con gli storici contemporanei che abbiamo avuto (e abbiamo) e che hanno occupato (e occupano tuttora) i posti salienti nelle Università e in altri luoghi culturali, annientando ogni decente valutazione del XX secolo.
Resta il fatto che gli Stati Uniti hanno indubbiamente mostrato una notevole abilità e flessibilità nel dare vita alla loro mitica “grande democrazia”, che semmai ha qualche rassomiglianza con il modello elitistico-competitivo di Weber-Schumpeter; e tuttavia non può essere ridotta nemmeno a questo. In ogni caso, si formano nell’agone della politica due schieramenti (in certi casi anche di più, ma due è senz’altro meglio per una reale efficacia nell’azione) decisamente contrapposti nei progetti e aspettative che suscitano nella popolazione. La contrapposizione è in genere più violenta a parole che nei fatti; talvolta però si deve anche passare dalle prime ai secondi. Nel contrasto non possono non venire forgiandosi ed enucleandosi due vertici dirigenti (vere élites), in grado di formare attorno a loro una costellazione di organismi addetti agli svariati bisogni e modalità del conflitto; alcuni organismi devono spesso essere molto appariscenti per la conquista dei favori popolari, altri devono agire in segreto, sempre pronti a quelle circostanze in cui è necessario passare, come già ricordato, dalle parole ai fatti (magari con qualche assassinio mascherato da incidente o da azione di un pazzo, ecc.).
I due schieramenti (o talvolta più, ma con efficienza in calando quanto più aumenta il numero) entrano in contrasto acuto, esacerbandolo se e quando necessario per convincere la popolazione che, scegliendo tra i due, si effettua una vera decisione di primaria importanza. Ovviamente, la scelta non è tra gli schieramenti, ma tra i vertici degli stessi; e dunque tra i vari organismi, appariscenti o segreti, che questi hanno già creato in un lungo processo storico di formazione. La popolazione viene chiamata a esprimersi, senza effettiva conoscenza della struttura organizzativa delle parti per cui opta; essa è sicura che i progetti dichiarati saranno poi mantenuti, mentre a volte proprio mutamenti imprevisti degli equilibri, sia interni che verso l’estero, impongono altre decisioni, prese necessariamente (anche per la velocità con cui devono essere prese) dalle élites e dai nuclei strategici da esse messi in piedi proprio per cogliere simili modificazioni delle situazioni.
Le popolazioni sono soddisfatte e anche chi resta in minoranza attende la possibilità successiva di rovesciare le posizioni. Per intanto, la minoranza deve accettare le scelte di quella élites maggiormente votata. Tuttavia, non vige il famoso “centralismo democratico” dei partiti comunisti, che è indubbiamente meno gradito e dunque di fatto errato, salvo che in momenti cruciali quali un grande, rapido e squassante rivolgimento politico-sociale. La minoranza (in realtà l’élite meno votata) può continuare a darsi da fare e a criticare, cercando di dimostrare gli errori avversari e la maggiore congruità delle sue proposte (pur esse in gran parte di facciata, soprattutto perché non dovendo decidere, è più facile dedicarsi all’agitazione parolaia). In ogni caso, una delle più grandi menzogne di tutti i tempi è quella che racconta come le “libere elezioni” esprimano la volontà popolare nella scelta di coloro che dirigeranno gli affari interni e mondiali dai cui esiti dipenderà la vita e la sorte dei popoli.

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Come già detto, dopo la seconda guerra mondiale, i veri vincitori sono gli Usa. Ad essi si contrappone per un certo periodo l’altra vincitrice della guerra, l’Unione Sovietica, che però sarà sempre in tono minore malgrado varie apparenze. Gli altri pretesi vincitori tipo Inghilterra e Francia (sull’Italia stendiamo il classico pietoso velo) sono in realtà perdenti e lo dimostreranno diminuendo via via d’importanza e confondendosi con le altre nazioni nella sedicente “comunità europea”: prima quella occidentale e, dopo il crollo sovietico, tutto l’insieme. Nell’aprile 1949 nasce il patto militare, la Nato, che già sancisce la subordinazione europea agli Stati Uniti, pur se vanno concessi indubbi meriti al governo francese durante il periodo gollista, che tuttavia non è servito ad impedire il definitivo servaggio anche di questo “illustre” paese. Iniziano subito dopo la guerra le mene per l’unità d’Europa che arrivano infine alla creazione della UE (Unione Europea) nel 1993. Si potrebbero spendere molte parole umoristiche su questa unione; mi basterà ricordare che essa nel 2012 (l’anno dopo la “primavera araba”, l’aggressione alla Libia con barbara uccisione di Gheddafi, ecc.) riceve il premio Nobel per la pace, da unire, nel ridicolo, a quello assegnato ad Obama nel 2009. Con la differenza che Obama è il presidente dei “padroni”, la UE è l’unione dei “servi”.
Ho sopra ricordato che negli anni ’30, all’avvicinarsi della guerra, gli Usa di Roosevelt già compresero di poter essere i dominatori della nostra area così come di quella asiatica. E nel dopoguerra, si servirono dei cosiddetti “padri dell’Europa”, uno più vergognoso dell’altro (e non starò a ricordarli per nome, perché sono accomunati nella stessa miseria). Nel 2000 (e di anni ne sono passati da allora) un meritevole ricercatore, evidentemente diverso dagli usuali “storici dei vincitori”, Joshua Paul della Georgetown University, ha portato alla luce molteplici documenti che dimostrano come tutti questi “Padri” emeriti, e i più importanti uomini di governo europei del dopoguerra, siano stati ampiamente finanziati appunto per giungere intanto all’unione di quei paesi europei non conquistati dai sovietici, sotto il predominio statunitense. E più tardi, altri servitorelli, ancora più scadenti e meschini, hanno continuato la loro opera; la creazione della UE è solo il perfezionamento della servitù, cui si sono prestati questi ignobili europeisti ben finanziati per divenire sempre più proni agli Usa. Lasciamoli festeggiare; la loro turpitudine verrà sempre più alla luce con il passare del tempo poiché la nostra decadenza sarà sempre più evidente. E l’ultima farsa (tragica), l’accoglimento di masse di migranti – che escono dai loro paesi grazie alle malefatte americane – sarà la tomba di questi asserviti. Purtroppo, però, solo storicamente parlando; ancora per un bel po’ di tempo, questa inesistente unione europea – poiché la UE è semplice organismo collaterale alla Nato e comunque nettamente influenzata dall’esterno – continuerà ad indirizzarci verso il disfacimento della nostra civiltà e costumi.
E’ vero che adesso si sono verificati alcuni eventi nuovi e persino imprevisti – tipo la brexit, l’elezione di Trump, ecc. – che sembrano indicare una notevole stanchezza e irritazione delle stesse popolazioni, non proprio consapevoli di quanto accade, nei confronti della politica svolta dagli Stati Uniti e dai loro scherani europei in questi ultimi decenni, soprattutto dopo la fine dell’Urss e del “campo socialista”. Tuttavia, è ancora troppo presto per comprendere se e quando il percorso storico fin qui seguito dall’“occidente” muterà direzione. Per il momento, UE e governi europei continuano a svolgere la stessa politica e ad essere legati al vecchio establishment Usa, ancora ben vivo e in continuo attacco alla nuova presidenza. E’ del tutto evidente, intanto, che i dirigenti europei non sono in grado di decidere politiche diverse da quelle eterodirette. Inoltre, appare poco chiara anche la politica trumpiana; da una parte, viene contrastata in modo aperto come non mai negli stessi Usa (e con lo strumento di Cia e Fbi, i fondamentali apparati dei Servizi) perché sarebbe troppo amichevole verso la Russia; dall’altra, Trump aumenta a dismisura la spesa militare, rafforza il settore nucleare, si permette adesso di criticare, in nome della falsa “democrazia”, la politica interna russa, tesa a disarmare i gruppi che vorrebbero rovesciare l’attuale dirigenza. E in questo comportamento ostile sembra dunque in linea con il già citato vecchio establishment.
E allora? Cerchiamo anche qui di andare un po’ oltre le apparenze che ci ammanniscono questi falsificatori dell’informazione in campo “occidentale”. Come al solito, partiamo da lontano ma per veloci cenni. Dopo il crollo dell’Urss, con la fine del bipolarismo, per qualche anno sembrò in atto una tendenza al monocentrismo americano, solo contrastato – ma molto più nella propaganda avversaria, in questo unita alla stupidità degli “orfani del socialismo” – dallo sviluppo cinese. In realtà, soprattutto con l’avvento del nuovo secolo, si chiarì una precisa tendenza al multipolarismo con rinascita più che discreta della Russia (anche se ridotta di dimensioni e potenza bellica rispetto all’Urss) e della suddetta Cina; alcuni troppo ottimisti vi hanno aggiunto l’India (abbastanza legata agli Usa, pur se si vi sono stati alcuni accordi con la Russia), il Brasile (oggi in notevole crisi) e perfino il Sud Africa (qui siamo ben lontani dalla realtà). Semmai, ma nel medio periodo, farei attenzione al Giappone, per il momento comunque in qualche difficoltà e che gioca un ruolo ancora assai subordinato agli Stati Uniti.
Quando infine si compilerà un serio bilancio della storia del bipolarismo, e della conseguente “guerra fredda”, si constaterà che quella situazione mondiale assicurò al campo occidentale un periodo di notevole tranquillità e di ottimo sviluppo; e con la completa centralità statunitense, che indubbiamente riorganizzò quest’area tuttora decisiva negli affari mondiali malgrado le tante chiacchiere fatte in contrario. Se vogliamo fare un paragone storico, dobbiamo rifarci alla centralità dell’Inghilterra tra il Congresso di Vienna (1814-15) e la nascita delle grandi potenze: Usa (dopo la guerra civile nel 1861-65), Germania (dopo la vittoria della Prussia sulla Francia nel 1970-71), mentre il Giappone seguirà a fine secolo e inizio del XX (quando vincerà la Russia nel 1904-5). E anche allora quella centralità fu caratterizzata dal completamento della prima rivoluzione industriale in Inghilterra e dalla sua impetuosa continuazione in Continente, con però il seguito della “grande depressione” (1873-95) quando iniziò ad affermarsi il multipolarismo.
Il bipolarismo – decisamente imperfetto grazie al lento declino dell’Urss dopo la seconda guerra mondiale, declino in crescita negli anni ‘50 e precipitato con Gorbaciov – è stato un periodo di rafforzamento continuo degli Stati Uniti; e che sarebbe stato ancora più veloce se la dirigenza americana non avesse manifestato notevoli divergenze negli intenti strategici (salvo il comune perseguimento del predominio mondiale), come si mise in evidenza sia nei contrasti seguiti a certi accordi (ancor oggi rimasti nascosti) tra Kennedy e Krusciov sia nell’aver contrastato l’intelligente mossa di Kissinger-Nixon con “apertura” alla Cina (non caratterizzata da spirito veramente amichevole come solitamente raccontato). In ogni caso, il bipolarismo è stato un periodo florido per il “campo occidentale” centrato sugli Usa. In seguito al crollo e fine di tale “stato del mondo”, si è creduto da parte statunitense – e questa è ancora l’opinione prevalente, che guida la forte malevolenza di democratici e forti settori repubblicani nei confronti della neopresidenza – di poter passare finalmente al predominio aperto e dichiarato del proprio paese.
Il caos creato non ha prodotto i risultati sperati. Allora, si può leggere l’apparente inversione di tendenza come un tentativo di ripristinare un nuovo bipolarismo, addirittura migliore del precedente poiché adesso tutta l’Europa è sotto il tallone statunitense e la sua parte orientale è perfino più accanita in senso antirusso. Si è inoltre riusciti a creare forti tensioni contro il paese eurasiatico in Ucraina; e anche in Georgia, ecc. Si è tentato pure con le Repubbliche centrasiatiche, ma lì al momento le mosse compiute non sembrano molto riuscite. La parte “trumpiana” (con il solito suggeritore Kissinger) cerca di creare qualche maggiore ostilità nei confronti della Cina; e probabilmente tale politica vuole anche giocare sulla notoria scarsa simpatia tra questa e la Russia, che fu in piena evidenza nel passato maoista. Un periodo di nuovo bipolarismo – con la Russia decisamente meno potente dell’Urss, non però in declino e anzi, almeno a mio avviso, in rafforzamento graduale – consentirebbe, secondo l’opinione dei centri rappresentati da Trump, di meglio studiare una nuova strategia “non caotica” pur sempre tesa al conseguimento dell’agognato predominio mondiale centrato sul proprio paese.

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Se quanto ipotizzato dovesse rivelarsi anche parzialmente esatto, ne risulterà abbastanza complicata la strategia che dovranno approntare le forze oggi in contrasto netto con questa Europa comunque in difficoltà e fortemente degradata. Non ci si deve fidare troppo di un Trump, poiché persegue, come finalità di fondo, la solita supremazia americana agognata da sempre, direi fin dalla guerra civile di un secolo e mezzo fa; e comunque affermata con particolare brutalità a partire dalla seconda guerra mondiale. Nello stesso tempo, però, la politica del nuovo presidente ha la possibilità di scompaginare e mettere in crisi l’establishment della UE, che è al servizio di tale supremazia, ma si è strutturato secondo gli intendimenti dei centri strategici in auge con le ultime presidenze statunitensi seguite al crollo del mondo bipolare (i due Bush, Bill Clinton, Obama) e che la Clinton intendeva ulteriormente rafforzare.
Le cosiddette sinistre europee – inutile ricordare che ormai la distinzione storica destra/sinistra ha poco a che vedere con quanto oggi esistente in un mondo politico in totale disfacimento; e non parliamo dei partiti detti di “centro” (tipo quello “diccì” della Germania oggi guidato dalla Merkel), ben poco distinguibili dalle “sinistre” – si sono dimostrate le più adatte a servire gli interessi statunitensi negli ultimi decenni. Mi sembra comunque ancora carente la conoscenza dei percorsi tramite cui si sono formate queste fantomatiche forze politiche dette di sinistra. Quanto alle destre, vi sono quelle che si distinguono appena, quanto a politica perseguita, rispetto ai loro avversari, da cui differiscono solo in merito a certe questioni di costume e di tradizione: sulla famiglia, sui gay, sul femminismo e via dicendo. Quanto alla politica (interna ed estera), a corruzione massima, a occupazione con metodi subdoli o corruschi delle varie posizioni di privilegio negli organismi politici, economici, nell’informazione e presunta cultura (che più degenerata di così non si è mai riscontrata in nessun’altra epoca), non ci sono grandi differenze tra presunte sinistre e altrettanto presunte destre.
Vi sono però oggi, e sembrano in crescita (ma difficoltosa), alcune forze, per la maggior parte assegnate alla destra, che vanno considerate parzialmente positive per il loro atteggiamento fortemente critico nei confronti della UE. Alcune manifestano anche attenzione ai rapporti amichevoli con la Russia che, lo ripeto, benché decisamente meno potente della defunta Urss è in crescita e non in declino com’era la (multi)nazione sovietica. Occorrerà tuttavia una lucidità d’analisi che ancora ci manca (e manca secondo me a tutti) per non cadere dalla padella nella brace, favorendo il progetto degli attualmente instabili nuovi centri strategici Usa con la loro probabile tendenza a creare un secondo mondo bipolare, nuovamente cristallizzato in senso tutto sommato favorevole agli americani. Anche perché, se poi questa instabilità della neopresidenza Usa dovesse favorire il ritorno dei vecchi “marpioni”, ci troveremmo nuovamente rafforzata questa ignobile organizzazione europea, il nostro autentico nemico, con le “sinistre” da tenere quale obiettivo principale della lotta anti-UE.
Abbiamo per fortuna, come già rilevato, la Russia in crescita di forza e d’influenza e non in declino come l’Urss. Lasciamo stare la crisi economica che l’attanaglia, problema principe per tutti i limitati economisti che non vedono al di là di tale orizzonte. Gli Stati Uniti della “grande crisi” (per nulla vinta e superata con il New Deal come si narra da sempre) si dimostrarono il capitalismo vincente e, con la seconda guerra mondiale, si lanciarono verso la supremazia mondiale. La Russia odierna può farcela a crescere progressivamente; non è cosa sicura e definitiva, ma piuttosto probabile. Quanto alla Cina, ben venga il suo rafforzamento se ciò implicasse una tensione futura con gli Usa nell’area del Pacifico; questo non potrebbe che indebolire tale paese prepotente. A noi interessa però l’area europea ed è qui che non mi sembrano ancora adeguate le forze anti-UE. Bisogna far perdere di popolarità – il che implica la capacità, al momento minima, di avere in mano importanti strumenti di informazione e di creazione di consenso presso le “imbambolate” popolazioni europee – a tutti i manipolatori di tale consenso per conto dell’UE e dei governi dei paesi ad essa aderenti.
La strategia del caos, messa in atto dall’ultima Amministrazione americana (quella di Obama), ha provocato la massiccia migrazione dall’Africa e dal Medioriente verso l’Europa. Probabilmente, si è trattato, ma solo in parte, di un processo sfuggito di mano; oggi non è solo ampiamente sfruttato da autentici banditi (tipo le ONG e l’Associazione che si fa risalire a Soros) per lucro economico (e che po’ po’ di lucro). Indubbiamente le “sinistre” al governo in Europa cercano di utilizzarlo pure per mantenere il loro potere che sembra in crisi. Come detto in altra occasione, non escluderei nemmeno la segreta intenzione di formare in futuro delle bande criminali in grado di intimorire popolazioni sempre più scontente della crisi, che si va accentuando con simile afflusso a volte somigliante ad un’invasione. Tuttavia, la “mistica” dell’accoglimento, cui si sta prestando anche la nuova dirigenza ecclesiastica cattolica, è causa di divisioni fra i vari governi europei e va corrodendo il consenso un tempo goduto da certe “sinistre”.
Vedremo se nasceranno forze in grado di approfittare del momento per certi versi favorevole. Alle “sinistre” si dovrebbero riservare trattamenti “speciali”, per il momento loro risparmiati da organizzazioni politiche di debole opposizione, ancora rimbecillite dalla lunga stagione in cui si è inseguito semplicemente il favore elettorale, essendo incapaci di comprendere che oggi sarebbero indispensabili ben altri metodi di ottenimento del consenso; non della maggioranza delle popolazioni scisse al loro interno dall’attuale crisi e in cui esiste sempre una grossa quota di indecisi e di inconsapevoli, bensì della parte più incattivita delle stesse, quella in grado di giungere a sufficiente grado di consapevolezza del degrado in atto. La migrazione odierna può ben essere un detonatore di una qualche forza e tuttavia non è sufficiente. Inoltre, non ci si deve fissare sul problema dei migranti in se stesso considerato, ma farne solo motivo di accentuata ostilità contro i “buonisti” di ogni ordine e orientamento.
Per rientrare nell’alveo di una nuova “normalità” finalmente favorevole allo sviluppo (e all’autonomia) dei nostri paesi – ma andando per gradi, conquistando posizioni di potere in alcuni di essi e da lì facendo leva per aggredire le attuali organizzazioni “servili” dell’intera UE – è necessario attraversare un’epoca di violento e distruttivo attacco a queste ultime e a chi le supporta. Non si chiedano voti per traccheggiare con meschino opportunismo; si disgreghino invece le forze politiche (e quelle di manipolazione ideologica) degli avversari (anzi nemici) con il supporto deciso e privo di mediazioni di coloro che non le sopportano più. E’ indispensabile che si entri, come in altre epoche, nello stato d’animo del “o noi o loro”. E deve cadere ogni pietismo più o meno falso, devono rinascere caratteri forgiati all’uso di metodi e strumenti “non gentili” e non adusi a compromessi. Gli attuali establishment dei governi europei, asserviti alla politica americana degli ultimi 70 anni, sono pronti ad impiegare simili metodi, magari con la loro solita ipocrisia e facendo strame della nostra antica civiltà e costumi. La risposta deve essere meno ipocrita e più netta poiché deve ripulire appunto tutta la me…lma accumulata in così tanti anni e decenni. Non si appoggi comunque alcuna lotta “clandestina”, sempre utilizzata dal nemico come gli anni ’70 e ’80 hanno dimostrato. Occorre una furia aperta, un autentico ciclone che tutto spazzi via. Come al solito bisogna concludere: staremo a vedere. Molti sono i dubbi in proposito.

LE FACCE DELLA DEMOCRAZIA NELLA FASE MULTIPOLARE DI LUIGI LONGO, tratto dal sito www.conflittiestrategie.it del 14set2016

Mi fa male qualsiasi tipo di potere, quello conosciuto, ma anche quello sconosciuto, sotterraneo, che poi è il vero potere. Mi fanno male le oscillazioni e i rovesci misteriosi dell’alta finanza. Più che male mi fanno paura, perché mi sento nel buio, non vedo le facce. Nessuno ne parla, nessuno sa niente: sono gli intoccabili. Facce misteriose che tirano le fila di un meccanismo invisibile, talmente al di sopra di noi da farci sentire legittimamente esclusi. È lì, in chissà quali magici e ovattati saloni che a voce bassa e con modi raffinati si decidono le sorti del nostro mondo: dalle guerre di liberazione, ai grandi monopoli, dalle crisi economiche, alle cadute dei muri, ai massacri più efferati.

Mi fa male quando mi portano il certificato elettorale.

Mi fa male la democrazia, questa democrazia che è l’unica che io conosco.

Mi fa male la prima repubblica, la seconda, la terza, la quarta.

Mi fanno male i partiti, più che altro… tutti.

 Mi fanno male i politici, sempre più viscidi, sempre più brutti. Mi fanno male i loro modi accomodanti, imbecilli, ruffiani. E come sono vicini a noi elettori, come ci ringraziano, come ci amano. Ma sì, io vorrei anche dei bacini, dei morsi sul collo… per capire bene che lo sto prendendo nel culo. Tutti, tutti, l’abbiamo sempre preso nel culo… da quelli di prima, da quelli di ora, da tutti quelli che fanno il mestiere della politica.

Che ogni giorno sono lì a farsi vedere. Ma certo, hanno bisogno di noi che li dobbiamo appoggiare, preferire, li dobbiamo votare, in questo ignobile carosello, in questo grande e libero mercato delle facce… facce, facce, facce che lasciano intendere di sapere tutto e non dicono niente.

Facce che non sanno niente e dicono… di tutto!

Facce suadenti e cordiali, col sorriso di plastica.

Facce esperte e competenti che crollano al primo congiuntivo.

Facce compiaciute, vanitose, che si auto incensano come vecchie baldracche.

Facce da galera, che non sopportano la galera e si danno malati.

Facce che dietro le belle frasi hanno un passato vergognoso da nascondere.

Facce da bar che ti aggrediscono con un delirio di sputi e di idiozie.

Facce megalomani, da ducetti dilettanti.

Facce ciniche da scuola di partito, allenate ai sotterfugi e ai colpi bassi.

Facce che hanno sempre la risposta pronta e non trovi mai il tempo di mandarle a fare in culo!

Facce che straboccano solidarietà.

Facce da mafiosi, che combattono la mafia.

Facce da servi intellettuali, da servi gallonati, facce da servi e basta.

Facce scolpite nella pietra che con grande autorevolezza sparano cazzate!

Non c’è neanche una faccia, neanche una che abbia dentro il segno di qualsiasi ideale. Una faccia che ricordi il coraggio, il rigore, l’esilio, la galera. No, c’è solo l’egoismo incontrollato, la smania di affermarsi, il potere, il denaro, l’avidità più schifosa, dentro a queste facce impotenti e assetate di potere.

Facce che ogni giorno assaltano la mia faccia in balia di tutti questi nessuno.

E voi credete ancora che contino le idee? Ma quali idee…

La cosa che mi fa più male è vedere le nostre facce con dentro le ferite di tutte le battaglie che non abbiamo fatto.

E mi fa ancora più male vedere le facce dei nostri figli con la stanchezza anticipata di ciò che non troveranno.

Sì, abbiamo lasciato in eredità forse un normale benessere, ma non abbiamo potuto lasciare quello che abbiamo dimenticato di combattere e quello che abbiamo dimenticato di sognare.

Bisogna assolutamente trovare il coraggio di abbandonare i nostri meschini egoismi e cercare un nuovo slancio collettivo magari scaturito proprio dalle cose che ci fanno male, dai disagi quotidiani, dalle insofferenze comuni, dal nostro rifiuto! Perché un uomo solo che grida il suo no, è un pazzo. Milioni di uomini che gridano lo stesso no, avrebbero la possibilità di cambiare veramente il mondo.

Giorgio Gaber*

Perseo usava un manto di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia giù sugli occhi e le orecchie, per poter negare l’esistenza dei mostri […]

Ma qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classi.

Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale[ ?, mio interrogativo], può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi.

 

                                                                                                                                  Karl Marx*

 

 

1.Premessa

 

Stiamo entrando con sempre maggiore decisione nella fase multipolare che delinea con più chiarezza le potenze (Russia e Cina) che mettono in discussione l’attuale egemonia mondiale degli USA. Si confrontano configurazioni di poli di potenze con visioni, culture e strategie diverse nell’intendere le relazioni mondiali. Ricordo che sto parlando di potenze mondiali come espressione di capitalismi diversi e di agenti strategici dominanti con una loro visione di potere e di dominio, sia nazionale sia mondiale, storicamente dati. Non parlo di nazioni e di relazioni tra nazioni come espressione di soggetti portatori di un’altra visione di relazioni sociali e di rapporti sociali che si confrontano in una logica multilaterale e multiculturale ( i termini vogliono semplicemente indicare un confronto tra mondi e culture diversi): in questo tempo e in questo spazio storico, i soggetti portatori non esistono; forse storicamente essi non sono mai esistiti nella polis democratica di Atene né nei populares dell’antica Roma, né nella Comune di Parigi del 1871 né nella rivoluzione russa del Novembre 1917.

Comunque va sottolineato che la Russia e la Cina sono per un mondo multilaterale, per un mondo relazionale mentre gli USA sono per un mondo unilaterale e sono ferocemente determinati ( la loro strategia del caos mondiale lo sta a dimostrare: oggi, in particolare, in Siria, in Libia, in Turchia ) a contrastare l’inizio del loro declino egemonico e a rilanciare una nuova sfida con una nuova visione delle relazioni mondiali che abbia come centro di coordinamento gli USA; così Zbigniew Brzezinski: << Come la sua epoca di dominio globale finisce, gli Stati Uniti hanno bisogno di prendere l’iniziativa di riallineare l’architettura del potere globale […] La prima di queste verità è che gli Stati Uniti sono ancora l’entità politicamente, economicamente e militarmente più potente del mondo, ma, dati i complessi cambiamenti geopolitici negli equilibri regionali, non sono più la potenza imperiale globale […] Il fatto è che non c’è mai stata una vera e propria potenza “dominate” globale fino alla comparsa dell’America (gli Stati Uniti, mia precisazione) sulla scena mondiale. La nuova, determinante realtà globale è stata la comparsa sulla scena mondiale dell’America come giocatore allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente. Durante l’ultima parte del 20° secolo nessuna altra potenza gli si è nemmeno avvicinata. Quell’epoca sta ormai per finire ( corsivo mio) >> (1). Robert Kagan precisa che per gli USA il << […] “multilateralismo” indica una politica volta a sollecitare attivamente e ottenere l’appoggio degli alleati. Gran parte degli americani, persino coloro che si dichiarano “multilateralisti”, considera l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sempre desiderabile ma mai essenziale (“multilaterale se possibile, unilaterale se necessario”, corsivo mio). Si tratta, insomma, di un mezzo per raggiungere il fine, cioè l’appoggio degli alleati. Per la stragrande maggioranza degli americani il multilateralismo non è un fine in se stesso >> (2). Joseph Nye afferma << Il National Intelligence Council […] ha pubblicato un rapporto in cui si prevede che nel 2030 gli Stati Uniti saranno ancora il paese più potente al mondo, ma non ci saranno paesi “egemoni”. La fase unipolare è finita, e gli Stati Uniti non saranno potenti come in passato. Tuttavia, un certo declino relativo non significa la fine dell’era americana >> (3). Costanzo Preve chiarisce << Per dirla in modo chiaro, la speranza che in un futuro non troppo lontano i rapporti fra Europa ed USA possano passare dal nesso fastidioso e diseguale Unilateralismo/Subalternità al nesso virtuoso Partnership/Eguaglianza fra i Contraenti è a mio avviso privo di fondamento, perché l’Americanismo è un Progetto Messianico, mentre l’identità culturale europea di oggi, comunque la vogliamo declinare e comunque vogliamo elencarne le cosiddette “componenti storiche”, non è un progetto messianico, ma un Progetto Relazionale. E chi non capisce la differenza qualitativa fra Progetto Messianico, strutturalmente unilaterale, ed un Progetto Relazionale, strutturalmente multilaterale, non può effettivamente cogliere il bandolo della matassa ( corsivo mio) […]>> (4).

Nella fase multipolare il ruolo dello Stato con le sue articolazioni territoriali, inteso come luogo dove gli agenti strategici dominanti esercitano la propria egemonia di potere e di dominio in una situazione di equilibrio dinamico, diventa meno flessibile e agisce in una logica di accentramento dei poteri in tutte le sfere sociali, in particolare in quella politica, istituzionale e militare, mettendo mani formalmente alle Costituzioni nazionali.

Al contrario, nella fase unipolare, la presenza di un centro di coordinamento garantisce più libertà di movimento; né è un esempio la storia occidentale ad egemonia USA che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla fine del secolo scorso; altra cosa è la storia orientale dell’URSS durante la guerra fredda con le sue sfere di influenza, dove la rigidità del sistema a socialismo irrealizzato ha assunto ben altre caratteristiche di potere e di dominio ( sarebbe utile approfondire e produrre un’analisi comparata sulla costruzione storicamente data dello Stato da parte degli agenti strategici dominanti delle due potenze mondiali protagoniste dell’intero Novecento fino all’implosione dell’ex URSS avvenuta formalmente nel periodo gennaio 1990 – dicembre 1991) (5).

In questa fase multipolare in Italia si sta verificando quanto segue: << […] A Pisa, dove due anni fa è stato costituito il Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose), si sono intensificati da mesi i voli dei C-130J che partono per ignote destinazioni carichi di armi e rifornimenti. Tali operazioni sono segretamente autorizzate dal presidente Renzi scavalcando il parlamento. L’articolo 7 bis della legge n. 198/2015 sulla proroga delle missioni militari all’estero conferisce al presidente del consiglio facoltà di adottare << misure di intelligence di contrasto, in situazioni di crisi, con la cooperazione di forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa stessa >>, col solo obbligo di riferire formalmente al << Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica >>. In altre parole, il presidente del consiglio ha in mano forze speciali e servizi di intelligence da usare in operazioni segrete, con il supporto dell’intero apparato militare. Un potere personale anticostituzionale, potenzialmente pericoloso anche sul piano interno. […] il presidente del consiglio Renzi, nel quadro della strategia USA/Nato, porta l’Italia in altre guerre e a una crescente spesa militare a scapito delle esigenze vitali del paese. Spesa a cui si aggiunge quella segreta per le operazioni militari segrete da lui ordinate.>> (6).

Per quanto riguarda la riforma costituzionale, oggetto di referendum prossimo, Alessandro Pace afferma che << […] In definitiva il d.d.l Renzi privilegia la governabilità sulla rappresentatività; elimina i contro-poteri esterni alla Camera senza compensarli con contropoteri interni; riduce il potere d’iniziativa legislativa del Parlamento a vantaggio di quella del Governo; prevede almeno sette tipi diversi di votazione delle leggi ordinarie con conseguenze pregiudizievoli per la funzionalità delle Camere; nega, come già detto, l’elettività diretta del Senato ancorché gli ribadisca contraddittoriamente la spettanza della funzione legislativa e di revisione costituzionale; sottodimensiona irrazionalmente la composizione del Senato rendendo irrilevante il voto dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune; pregiudica il corretto adempimento delle funzioni senatoriali, divenute part-time delle funzioni dei consiglieri regionali e dei sindaci.
Mi fermo qui, ma potrei continuare ancora a lungo: dall’esclusione del Senato nella deliberazione dello stato di guerra (leggi: l’invio all’estero delle missioni militari) ai difficili raccordi del Senato delle autonomie con lo Stato, con le stesse Regioni (i governatori stanno là e non a Palazzo Madama!) e infine con l’Unione europea >> (7). Questi due esempi di accentramento dei poteri in atto vanno inquadrati nella questione di servitù volontaria italiana (ed europea) alla potenza mondiale degli Stati Uniti. Se non si affronterà la questione dell’autonomia nazionale, fondante e prioritaria, non si capiranno nè il progetto di ri-costruzione di una Europa come soggetto politico, intesa come federazione di Stati, che dialoga con l’Occidente e con l’Oriente; nè l’accentramento dei poteri in atto (sia nelle istituzioni nazionali sia nelle istituzioni mondiali) al servizio delle strategie statunitensi per ritardare il loro declino e ri-lanciare su basi diverse un nuovo disegno mondiale di egemonia che può prevedere, in una prima fase, un Progetto Relazionale ( il conflitto delle elezioni presidenziali statunitensi si gioca tra il progetto messianico di Hillary Rodham Clinton e il progetto relazionale di Donald Trump. Mi auguro che vinca Donald Trump.).

Niccolò Machiavelli scrive: << E’ non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate da la fortuna e da Dio che li uomini, con la prudenza loro, non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose ma lasciarsi governare dalla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì fuora di ogni umana coniettura, a che pensando io, qualche volta mi sono in qualche parte inclinato nelle opinioni loro. Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi. E assimiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi che quando si adirano allagano e’ piani, rovinano li arbori e li edifici, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all’impeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare. E benchè sieno così fatti, non resta però che gli uomini, quando sono tempi queti, non vi potessimo fare provvedimento e con ripari e con argini in modo che, crescendo poi, o eglino andrebbono per uno canale o l’impeto loro non sarebbe né sì dannoso né licenzioso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle e quivi volta e’ sua impeti dove la sa che non sono fatti gli argini né e’ ripari a tenerla. E se voi considerrete la Italia che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcun riparo, che, s’ella fussi riparata da conveniente virtù come è la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non arebbe fatto le variazioni grande che la ha o la non ci sarebbe venuta. E questo voglio basti aver detto quanto allo opporsi alla fortuna in universali >> (8).

 

 

  1. Facce della democrazia

 

Parlerò delle facce della democrazia nella fase multipolare attraverso due esempi.

Il primo esempio riguarda la potenza mondiale USA ad egemonia declinante con le facce dei Clinton nell’esperimento del Kosovo tratto dal libro di Diana Johnstone (Hillary Clinton, regina del caos, Zambon editore, Francoforte sul Meno, 2016, pp.146-149).

Il secondo esempio concerne l’Italia, territorio geografico espressione degli USA, con le facce del tribunale di Torino che ha condannato a due mesi di carcere con la condizionale una ex studentessa del corso di Laurea Magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica (interateneo) della Università Ca’ Foscari di Venezia per aver usato il noi partecipativo nello scrivere la tesi di laurea su << Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità >>. Il fatto è tratto dall’appello di libertà di ricerca e di pensiero << Mai scrivere “noi” >> pubblicato sul sito www.effimera.org.

Quattro precisazioni a mò di chiarezza.

La prima. Intendo le facce delle persone come espressione delle relazioni sociali ( le maschere sociali) e come funzioni che svolgono nei rapporti sociali storicamente dati (le funzioni-tipo) (9).

La seconda. Non condivido le analisi e la lotta del movimento NO TAV perché stanno tutte nella logica del conflitto capitale-economia, capitale-natura, capitale-territorio e per capire il processo di infrastrutturazione del territorio nazionale ed europeo, in questa fase multipolare funzionale alle strategie degli USA-NATO, occorre mettersi nel campo del conflitto strategico (10).

La terza. Difendo la libertà di pensiero e di ricerca, per quella che ci è concessa individualmente e per quella che si riesce a conquistare socialmente, soprattutto nelle università italiane dove, dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, è stata sempre più ridotta fino ad essere eliminata. La difendo a prescindere dal fatto che oggi nelle Università italiane non si fa quasi più ricerca.

La quarta. Non credo nella separazione dei poteri come bilanciamento delle storture e degli abusi di potere e di dominio da parte degli agenti strategici. Credo nella costituzione di agenti strategici delle sfere sociali che lottano per la propria egemonia e trovano nei luoghi istituzionali ( lo stato con le sue ramificazioni territoriali) l’equilibrio dinamico atto ad affermare la propria visione sociale, la realizzazione del modello di sviluppo sociale, la gestione del proprio potere ( le singole sfere sociali) e la strategia del proprio dominio ( l’insieme delle relazioni sociali ) sia interno (nazionale) sia esterno (mondiale).

 

 

2.1 L’esperimento del Kosovo

 

Durante la presidenza Clinton, tra il 1993 e il 2000, la Jugoslavia fu utilizzata dall’establishment della politica estera come laboratorio sperimentale per il collaudo di tecniche di controllo, sovversione e “regime change” a opera degli Stati Uniti destinate a essere poi impiegate altrove. L’uso della Jugoslavia come una mini-URSS, con la Serbia nella parte della Russia, e la frantumazione della Jugoslavia e quindi della Serbia stessa ( attraverso il distacco del Kosovo) costituirono la prova generale del processo che abbiamo recentemente visto all’opera in Ucraina, con la Russia come obiettivo.

Vi si possono ravvisare le stesse tecniche:

 

Hitlerizzazione. L’aggressione inizia come guerra di propaganda, condotta da media mainstream organicamente legati a esponenti governativi e think tank di primo piano. Nella prima fase, il paese preso di mira scompare praticamente sotto l’ombra del suo leader, bollato come “dittatore” ( anche se regolarmente eletto), che viene raffigurato come l’incarnazione del male sulla terra e che “ se ne deve andare”. La parte del nuovo Hitler è stata affibbiata alle personalità più diverse quali Slobodan Milosevic’, Saddam Hussein, Muhammar Gheddafi, Bashar al-Assad e ora Vladimir Putin.

 

Sanzioni. Le sanzioni economiche contro l’Hitler di turno servono a stigmatizzare il malvagio, a destabilizzare le sue relazioni e ad arruolare gli alleati interni che esitano ancora a ricorrere alle armi ma sono disposti ad accettare questo presunto metodo “pacifico” per fargli cambiare atteggiamento. Una volta fallite le sanzioni, l’opinione pubblica è ormai stata preparata a considerare “necessario” l’uso della forza militare.

 

Clienti locali. Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di alleanze con i peggiori elementi degli Stati presi di mira, forze che non si fermano davanti a nulla. In Serbia, gli Stati Uniti fornirono sostegno politico e militare a criminali senza scrupoli. Nei paesi musulmani, gli USA hanno appoggiato e armato fanatici islamici. In Ucraina, la campagna anti-russa poggia sul controllo delle piazze da parte di miliziani nazisti impenitenti.

 

ONG dei diritti umani. Le cosiddette Organizzazioni Non-Governative, che in realtà sono strettamente legate o perfino finanziate direttamente dal governo USA ( in particolare dal National Endowment for Democracy e dalle sue filiali), svolgono una funzione centrale nel presentarsi come l’incarnazione della vera democrazia strangolata dall’”Hitler” nel mirino, quando la polizia interviene contro i disordini provocati dai “veri democratici”. Gli scenari elaborati dal politologo Gene Sharp sulla base delle esperienze di movimenti rivoluzionari o progressisti vengono utilizzati come manuale di addestramento in vista di azioni atte a suscitare simpatia provocando la repressione dello Stato, e prive di qualunque contenuto politico al di là dell’opposizione al leader in carica. Le agitazioni messe in atto in Serbia dal gruppo giovanile “Otpor”, addestrato a Budapest da specialisti USA, costituirono un modello che venne in seguito adattato alle “rivoluzioni colorate” successive.

 

Sabotaggio della diplomazia. Per preparare la guerra in Kosovo, il Segretario di Stato Madeleine Albright organizzò falsi negoziati tra il governo jugoslavo e i nazionalisti albanesi del Kosovo nel castello di Rambouillet, mantenendo segregate le due parti, sostituendo il capo della delegazione albanese professor Ibrahim Rugova con il suo cliente, il criminale Hashim Thaci, e presentando un ultimatum (totale occupazione militare della Serbia) che obbligò i serbi a rifiutare e ad assumersi così la responsabilità del “rifiuto di negoziare”. E’ ormai un’abitudine per i rappresentanti USA alle Nazioni Unite sabotare i negoziati ricorrendo a filippiche, insulti e bugie.

 

Criminalizzazione. In relazione al conflitto in Jugoslavia, l’influenza preponderante degli Stati Uniti consentì a Washington di dare inizio alla pratica dell’uso dei tribunali internazionali per trattare i nemici alla stregua di criminali comuni invece che come avversari politici. Il concetto di “impresa criminale collettiva” (“joint criminal enterprise”), utilizzato nel diritto penale statunitense contro la mafia, fu introdotto nel Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, creato ad hoc, per essere applicato ai serbi, con il presupposto implicito che la semplice difesa degli interessi serbi costituiva un crimine. In seguito, gli Stati Uniti sono riusciti a influenzare la Corte Penale Internazionale ( alla quale gli USA stessi non aderiscono) perché incriminasse nemici quali Muhammar Gheddafi sulla base di accuse prive di fondamento. Questa procedura contribuisce a escludere a priori ogni negoziato di pace, dal momento che, si sostiene, non è possibile negoziare con un criminale sotto accusa.

 

Spauracchio del “genocidio”. Ogni qual volta gli Stati Uniti prendono posizione in un conflitto etnico o politico in atto in una data regione, la procedura abituale consiste nell’accusare la parte avversa di tramare di “genocidio”. Tale accusa esclude la possibilità che entrambe le parti stiano combattendo per raggiungere specifici obiettivi territoriali o politici che, se adeguatamente compresi, potrebbero essere oggetto di mediazioni.

 

Media e propaganda. La chiave dell’intero sistema di aggressione è costituita dalla padronanza con cui gli Stati Uniti maneggiano un enorme apparato di propaganda, incentrato sui media mainstream. La colonna sonora è fornita dall’industria dello spettacolo, in particolare da Hollywood, che sforna a getto continuo prodotti che glorificano l’uso della violenza per schiacciare il nemico. I videogiochi rappresentano un potente nuovo strumento atto a rendere normale l’istinto omicida. Realtà e finzione si fondono nelle fantasie visive di innumerevoli battaglie tra il Bene e il Male, confezionate e vendute al pubblico americano.

 

Bombardamento. Questa è l’argomentazione decisiva, la spada di Damocle che pende su qualunque controversia. Per il Pentagono, la NATO, la CIA, la NED, i media mainstream e l’establishment della politica estera USA, la guerra del Kosovo costituì un’ottima esperienza didattica, un terreno di prova, un allenamento per future avventure. Fu la “guerra per fare le guerre”.

 

Per i Clinton, il Kosovo rappresentò un diversivo rispetto ai loro scandali privati e un’occasione per salire sul palcoscenico delle grandi questioni mondiali. In Kosovo, Bill Clinton è venerato come il padre fondatore di questo piccolo protettorato USA strappato alla Serbia. Una statua dorata alta tre metri del benefattore venuto dall’Arkansas saluta i passanti in viale Bill Clinton, nei pressi di una boutique chiamata “Hillary”. Mentre nel mondo gli Stati Uniti sono sempre più odiati per i loro interventi militari e il loro incessante bullismo, questo intervento ha creato un’enclave di fanatici filoamericani. Durante la sua visita a Pristina nel 2010, il Segretario di Stato Hillary Clinton ebbe modo di crogiolarsi nell’adulazione. Il fatto che i paesi più entusiasticamente filoamericani del pianeta siano oggi il Kosovo e l’Albania la dice lunga sul declino degli USA agli occhi del mondo. Non è qualcosa di cui andare fieri.

 

 

2.2 Mai scrivere “noi”

 

Il 15 giugno 2016, il tribunale di Torino ha condannato Roberta, ex studentessa di antropologia di Ca’ Foscari, a 2 mesi di carcere con la condizionale per i contenuti della sua testi di laurea, conseguita nel 2014. Per scrivere la tesi «Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità», Roberta ha trascorso due mesi sul campo durante l’estate del 2013, ha partecipato a varie dimostrazioni in Valsusa, intervistando attivisti e cittadini. Coinvolta insieme a lei in questo procedimento giudiziario era Franca, dottoranda dell’Università della Calabria, che come Roberta era in Valle per ragioni di ricerca, che compare con Roberta nei video e nelle foto analizzati dalla procura ma che a differenza di Roberta è stata assolta da tutti i capi d’imputazione. A differenza di Franca, Roberta è stata condannata a 2 mesi di reclusione con la condizionale. Nonostante le motivazioni della sentenza saranno rese pubbliche tra 30 giorni, la ragione della sua condanna è stata attribuita all’utilizzo, nella sua tesi di laurea, del “noi partecipativo” interpretato dall’accusa come “concorso morale” ai reati contestati. Di fatto, i video e le foto scattate durante le manifestazioni parlano chiaro: le due donne sono lì, presenti, anche se in disparte. È stato dimostrato in tribunale che nessuna delle due imputate ha preso parte a momenti di tensione. Né bisogna dire che tutti i momenti di tensione contestati dall’accusa hanno trovato riscontro nel materiale video fotografico acquisito dalla procura. Durante l’azione dimostrativa tenutasi davanti alla ditta Itinera di Salbertrand che fornisce il cemento al cantiere di Chiomonte le due ragazze partecipano ma rimangono ai margini. Di sicuro il pm Antonio Rinaudo ha chiesto 9 mesi per entrambe, ma mentre Franca è stata assolta da tutti i capi d’imputazione, Roberta è stata condannata. Roberta, infatti, avrebbe dimostrato un “concorso morale” con le condotte contestate dall’accusa, non a caso in alcuni passaggi della sua tesi raccontò l’accaduto in prima persona plurale. Quello che per la difesa era un “espediente narrativo” – nella ricerca etnografica il posizionamento del ricercatore rispetto all’oggetto della ricerca è una scelta soggettiva che fa parte di ciò che si chiama storytelling – diventa, per l’accusa, la prova di collusione rispetto ai reati contestati.

Siamo indignati: che ci risulti, è la prima volta dal 25 aprile 1945 che una tesi di laurea viene considerata oggetto di reato e subisce una condanna. Ci domandiamo, increduli, quale perversione attraversi un paese che porta nelle aule di un tribunale le parole di una tesi di laurea. Ci sconvolge che tutte le tesi di laurea siano potenzialmente oggetto delle letture inquisitorie dei magistrati e che la Procura di Torino si senta legittimata a sanzionare penalmente l’uso di un pronome personale a tutti gli effetti fondante della grammatica italiana quando usato in riferimento a un tema politico ad essa non gradito. L’accusa di “concorso morale” in riferimento all’analisi situata di un problema politico va intesa come sintomo dell’accanimento contro chiunque osi raccontare quanto avviene in Val di Susa senza criminalizzare la determinazione di una comunità a lottare contro la devastazione del suolo, della salute dell’ambiente e del territorio. Ricordiamo che all’interno dello stesso procedimento altre 45 persone, tra cui 15 minorenni, sono state rinviate a giudizio. Questa storia va intesa inoltre per ciò che è: un inaccettabile atto intimidatorio contro la libertà di pensiero e la libertà di ricerca, ancor più grave in quanto portato avanti contro giovani studenti accusati di mettere troppa passione in ciò che fanno e minacciati di essere pesantemente sanzionati se prendono posizione, “partecipano” o osano fare politica.

Rivolgiamo questo appello in modo particolare al mondo universitario italiano per rompere il silenzio e denunciare la violazione della libertà di ricerca e di opinione. Nessuno dei classici difensori delle libertà democratiche si è fatto, fino a ora, sentire. Nessun esponente di rilievo del mondo accademico né del ministero dell’Università e della Ricerca ha ritenuto necessario dover rilasciare una dichiarazione. Vogliamo rivolgerci in particolare al mondo accademico per chiedere quanto a lungo intenda accettare esplicite intimidazioni e minacce di ritorsioni. Se il fine di questo processo è sigillare la colpevolezza di chi racconta le ragioni di chi lotta contro la violenza e i soprusi, siamo tutti colpevoli. “Per uno scrittore il reato di opinione è un onore” ha scritto Erri De Luca, il primo assolto per un crimine che non esiste ma che l’Italia odierna punta pericolosamente a restaurare: il reato d’opinione. Sentiamo l’esigenza di prendere parola in difesa della libertà di ricerca e di pensiero in Italia e chiediamo a tutti di moltiplicare le iniziative in questa direzione. Ribadiamo che nessuna intimidazione o minaccia di ritorsioni potrà distoglierci dalla nostra narrazione, dal nostro storytelling, dal nostro impegno di ricerca perché il nostro mestiere lo conosciamo e lo amiamo, nonostante tutto.

 

 

3.Conclusioni

 

La democrazia e la libertà sono relazioni sociali che vanno conquistate e costruite quotidianamente in tutti i luoghi del vivere sociale ( dalla famiglia allo Stato). La quotidianità non è il pragmatismo rozzo del vivere biologico dell’umanità storicamente dato, essa è la sintesi pratica e teorica di tutti i livelli della società: dal microcosmo del singolo individuo al macrocosmo dei sistemi sociali e delle visioni culturali che li sottendono. E’ un processo di democratizzazione della vita quotidiana nell’accezione lucacciana del termine. Viviamo in una società capitalistica dove la democrazia è asimmetrica e vi è un terribile scarto tra la forma e la realtà. Quando c’è lo scarto tra forma e sostanza siamo in un processo di rapporti sociali dove vengono meno, per la maggioranza della popolazione, gli elementi fondamentali del vivere sociale. Lo scarto storicamente assume forme di flessibilità a seconda delle varie fasi storiche ( unipolare, multipolare, policentrica). Mai si annulla. Per annullarlo occorre un processo di cambiamento dei rapporti sociali che ha come obiettivo reale la partecipazione della maggioranza della popolazione alle decisioni inerenti il suo vivere sociale. La democrazia non è solo partecipazione come cantava Giorgio Gaber ma è autocoscienza critica sessuata che conosce, interpreta e progetta in maniera aporetica un’altra idea di società.

La democrazia capitalistica può diventare un vettore verso vere e reali forme di libertà e di democrazia. Anche se la storia ha dimostrato che così non è mai stato qualunque sia stato il processo rivoluzionario messo in atto. E con questo non voglio negare i vantaggi per l’umanità intera che questi grandi cambiamenti hanno apportato in tutti i settori della vita sociale:<< Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche d’interpretarlo. E, ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinchè il mondo non continui a cambiare senza di noi. E, alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi.>> (11).

Viviamo in una triste fase storica come tutte le fasi multipolari e policentriche storicamente determinate ( con questo non voglio dire che le fasi unipolari sono gioiose ma quantomeno non prospettano un orizzonte di guerre ( regionali e mondiali) che sono comunque mezzi della politica; anche se nell’era nucleare la guerra come continuazione della politica va ripensata: ahinoi!).

Né le finestre che la storia può aprire, soprattutto nelle fasi policentriche ( per esempio la rivoluzione del Novembre russo del 1917), possono far intravedere per la grande maggioranza della popolazione cose buone perché il problema centrale è come si arriva all’appuntamento delle finestre storiche.

Vladimir Ilic Lenin, intelligente uomo rivoluzionario, ebbe una intuizione significativa quando affermò che lo Stato << potrà essere diretto da una cuoca >>. L’affermazione va inquadrata nel contesto teorico di elaborazione della fase di estinzione dello Stato e di trapasso alla fase del comunismo (12). E Gianfranco La Grassa dà una corretta interpretazione della questione quando sostiene che << L’idea della “cuoca” capace di gestire gli affari di Stato è la meno felice di quelle maturate nel geniale cervello di Lenin. Certo, egli si riferiva ad uno Stato ormai quasi estinto, quasi arrivato alla fine del socialismo in quanto fase di transizione al comunismo. Poiché tuttavia tale fase non si è mai vista, né mai si sarebbe potuta riscontrare nel presunto “socialismo” dell’Urss, essa è stata sfruttata per sostenere tesi cervellotiche >> (13). Gianfranco La Grassa, però, non coglie il particolare, sfuggito anche a Vladimir Ilic Lenin, che è quello della soggettività femminile ( la donna come soggetto altro dall’uomo) restando così nel limite dell’uguaglianza e della emancipazione femminile velate ed annullate nel concetto di classe; ovviamente parlo di quando esistevano le classi non di oggi dove esiste una ammucchiata di gruppi sociali (14). Lascio parlare una delle madri del pensiero femminile << In una donna la grandezza c’era da prima, era sua da prima, non appariscente, come un’avventura segreta, come un abito di tutti i giorni ma disegnato da Valentino. Occorre però che lei accetti il suo privilegio e lo coltivi, come hanno fatto i nobili in certe epoche e in certi paesi. Se lo sa portare, allora cattedra o cucina non fa una differenza sostanziale, le fiabe lo insegnano. C’era questa intuizione nella celebre immagine usata da Lenin per far intendere che cos’è il comunismo, la cuoca che diventa capo di Sato? O, al contrario, mancava proprio questa intuizione e la sua era fede nell’emancipazione? E’ naufragato per questo il movimento comunista, per non aver saputo misurare la fortuna che le donne sono per l’umanità, ossia per aver suscitato energie femminili che sono straripate dai suoi confini, e non averle seguite in quell’andare oltre?. >> (15).

Il problema resta sempre la costituzione di soggetti sessuati di cambiamento che possono deviare il flusso oggettivo della storia che è sempre sedimentazione delle relazioni umane date. Perché, come ci ricorda Gianfranco La Grassa, i cambiamenti reali non avvengono solo con le idee.

 

Le epigrafi riportate sono tratte da:

 

Giorgio Gaber, Mi fa male il mondo in Album “ E pensare che c’era il pensiero”, 1995, www.giorgiogaber.it .

Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, libro primo, pag.6.

 

NOTE

 

  1. Zbigniew Brzezinski, Toward a global realignment, Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido., 17/4/2016. Stralci dell’intervista sono compresi anche nell’articolo di Mike Whitney, La scacchiera spezzata. Brzezinski rinuncia all’impero americano, www.megachip-globalist.it, 28/8/2016.
  2. Robert Kagan, Il diritto di fare la guerra. Il potere americano e la crisi di legittimità, Mondadori, Milano, 2004, pp.46-47. Si veda anche la parte dell’intervista a Henry Kissinger compresa nell’articolo di Umberto Pascali, La disperazione degli USA e il ritorno di Kissinger, www.controinformazione.it, 24/8/2016.
  3. Joseph Nye, Fine del secolo americano?, il Mulino, Bologna, 2016, pag. 99. Si segnala la lettura critica del libro perché analizza l’egemonia reale degli Stati Uniti sia nelle sfere fondanti (produzione, ricerca, tecnologia, cultura, armamenti) sia nelle istituzioni mondiali della cosiddetta governance.
  4. Costanzo Preve, Il marxismo e la tradizione culturale europea, editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2009, pag.110. Sull’unilateralismo americano si veda Charles A. Kupchan, La fine dell’era americana. Politica estera americana e geopolitica nel ventesimo secolo, Via e Pensiero, Milano, 2003, Capitolo V.
  5. Su questi temi rimando agli atti del seminario di Conflittiestrategie su “Stato, interesse nazionale. Perché scegliamo in questa fase l’autonomia nazionale”, tenutosi a Bologna il 16-17 aprile 2016 e pubblicati in www.conflittiestrategie.it .
  6. Manlio Dinucci, Le macerie della democrazia, il Manifesto del 6 settembre 2016.
  7. Alessandro Pace, Le insuperabili criticità della riforma costituzionale Renzi-Boschi, Cosmopolitica del 20/2/2016 e ripresa da Micromega ( www.micromega.it, 1/3/2016) e da Megachip ( www.megachip-globalist.it, 9/9/2016). Si veda anche Alessandro Pace, La riforma Renzi-Boschi: le ragioni del no, www.rivistaaic.it, 17/6/2016.
  8. Niccolò Macchiavelli, Il Principe, a cura di Ugo Dotti, Feltrinelli, Diciasettesima edizione, Milano, 2011, pp.220-222.

9.Per questi temi rimando a Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975; Luigi Pirandello, I vecchi e i giovani, Mondadori, Milano, 1973; Luigi Russo, Personaggi dei promessi sposi, Laterza, Bari, 1965; Gyorgy Lukacs, Saggi sul realismo, Einaudi, Torino, 1976.

  1. Luigi Longo, TAV, corridoio V, Nato e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 23/12/2012.
  2. Gunther Anders, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita dell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, pag.1.
  3. Vladimir Ilic Lenin, Stato e rivoluzione, Editori Riuniti, Roma, 1974, Capitolo V, pp.157-179.
  4. Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorica, Mimesis, Milano-Udine, pag. 87.

14.Vladimir Ilic Lenin è stato in relazione con le donne. Una relazione significativa l’ha avuta con Inessa Armand. Ha scritto sulle donne, per esempio, L’emancipazione della donna ( Editori Riuniti, Roma, 1977). Ma, come Karl Marx, non è andato oltre un ragionamento di emancipazione e di uguaglianza.

  1. Luisa Murarro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, Roma, 2011, pag.16.

TAV, CORRIDOIO V, NATO E USA. DALLA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA AL CONFLITTO STRATEGICO; DI LUIGI LONGO

un saggio del dicembre 2012 tratto dal sito www.conflittiestrategie.it sulla sussunzione delle scelte di politica economica al gioco delle strategie dei centri potere e come parte integrante delle strategie stesse attraverso la disamina di un esempio concreto di investimento infrastrutturale

 

Carducci non è mai riuscito a valicare i confini della terza Italia e parlare al mondo, il suo sogno umano fu nutrito di provinciali polemiche scolastiche e anticlericali; Lee Masters guardò spietatamente alla << piccola America >> del suo tempo e la giudicò e rappresentò in una formicolante commedia umana dove i vizi e il valore di ciascuno germogliano sul terreno assetato e corrotto di una società la cui involuzione è soltanto il caso più clamoroso e tragico di una generale involuzione di tutto l’Occidente. Per questo le spettrali, dolenti, terribili, sarcastiche voci di Spoon River ci hanno tutti commossi e toccati a fondo. E’ la voce di una società che non pensa più << in universali >>. Disse Lee Masters a un giornalista :<< Ogni due o tre anni ho fino a poco tempo fa riletto tutte le tragedie greche. La civiltà dei Greci fu la grande meraviglia del mondo. Essi pensavano in universali. Così i drammaturghi elisabettiani…

Pensare in universali significa far parte di una società dove non siano, come credono gli sciocchi, aboliti il dolore, l’angoscia spirituale o fisica, la problematicità della vita, ma esistono gli strumenti per condurre una comune concorde lotta contro il dolore, la miseria, la morte. E Lee Masters testimonia con l’Antologia che la società in cui si è trovato a vivere manca di questi strumenti, di questi << universali >> – in altre parole, ch’essa ha perso il senso e la guida dei suoi atti. Di qui le futili e atroci tragedie che hanno riempito il cimitero sulla collina.

Cesare Pavese *

 

Questo lavorio continuo per sceverare l’elemento << internazionale >> e << unitario >> nella realtà nazionale e localistica è in realtà l’azione politica concreta, l’attività sola produttiva di progresso storico. Esso richiede una organica unità tra teoria e pratica, tra ceti intellettuali e masse popolari, tra governanti e governati. Le formule di unità e federazione perdono gran parte del loro significato da questo punto di vista, mentre conservano il loro veleno nella concezione burocratica, per la quale finisce col non esistere unità ma palude stagnante, superficialmente calma e << muta >> e non federazione ma << sacco di patate >>, cioè giustapposizione meccanica di singole << unità >> senza nesso tra loro.

Antonio Gramsci *

 

Sacrificare i dettagli per realizzare disegni più vasti

Proverbio cinese *

 

 

1. Il 3 dicembre 2012 il presidente del Consiglio dei Ministri italiano Mario Monti e il presidente della Repubblica francese Francois Hollande si sono incontrati a Lione  per ribadire, all’interno del trentesimo vertice bilaterale tra i due Paesi, l’importanza strategica della rete infrastrutturale Torino-Lione, più nota come TAV ( fa parte della rete ferroviaria dell’Alta Velocità formata dalla “ grande T ”: le linee da Torino a Venezia e da Milano a Napoli a cui si aggiungerà in seguito la Milano-Genova; oggi è detta “Alta Capacità” ), considerata << un’infrastruttura prioritaria non soltanto per i due Paesi, ma per l’Unione europea nel suo insieme >> (1).

Perché è una infrastruttura prioritaria? E cosa vuol dire l’Unione europea nel suo insieme?.

Leggerò la questione TAV, tratto Torino-Lione, cercando di rispondere alle due domande e proporrò una lettura della TAV tenendo presente l’intero Corridoio V( di cui fa parte), che unisce Lisbona (Portogallo) e Kiev (Ucraina), con particolare attenzione all’Italia e al suo territorio strategico in direzione dell’Est – Europa, del Mediterraneo e del Medio Oriente.

Dirò subito che l’intero Corridoio V non è strategico per l’Unione europea, perché l’Europa non è un soggetto politico unitario, né costituisce un polo di potenza con una propria strategia, quanto per gli USA, via Nato (Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord), per penetrare ad Est dell’Europa, contrastare le potenze mondiali emergenti (soprattutto Russia e Cina) e ritardare le lagrassiane fasi, multipolare e policentrica, per l’egemonia mondiale ( insieme ad altre acquisizioni di territori per gli obiettivi di lunga strategia di conflitto con i poli di potenza emergenti). Non a caso Zbigniew Brezezinski, con chiarezza imperiale, ritiene che l’area attraversata dai Corridoi I, V e “dei due mari” sia il centro critico della sicurezza europea per: << L’obiettivo strategico fondamentale dell’America in Europa [ che] consiste quindi, molto semplicemente, nel rafforzare, attraverso una più stretta collaborazione transatlantica, la testa di ponte americana sul continente euroasiatico, in modo che un’Europa allargata possa servire a estendere all’Eurasia l’ordine

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Zbigniew Brzezinski (1998).

Mia Sovrapposizione dell’area critica (linea nera) sui corridoi transeuropei programmati sul territorio italiano.

 

democratico e il sistema di cooperazione internazionale >> (2).

 

2.Vediamo cosa sono queste grandi opere.

Per l’ Unione Europea (UE) il Corridoio V fa parte dei dieci corridoi Paneuropei ( nel frattempo sono diventati 30! ) i cui tracciati sono stati definiti nelle conferenze di Creta (1994) ed Helsinki (1997), quindi dopo la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’ex URSS. E’ un asse di trasporto multimodale ovest-est che collega il Portogallo all’Ucraina. Il corridoio è multimodale in quanto interessa strade, ferrovie, porti, aeroporti (3). L’UE ha assegnato all’Italia un ruolo strategico rispetto al processo di integrazione verso quei Paesi che dal 1° maggio 2004 (4) sono entrati a far parte dell’Unione Europea. All’urgente necessità per l’Italia di un collegamento rapido, per merci e passeggeri, coi Paesi dell’Europa centro- orientale, risponde appunto il Corridoio V, che partendo da Lisbona arriva sino a Kiev in Ucraina (5). E’ utile sottolineare che << Nei dieci anni passati la spesa in infrastrutture europee è andata calando, anche perché i singoli Stati sono poco inclini agli investimenti transeuropei. È aumentata invece la regolamentazione per rendere operativo il mercato unico. Lo stesso non potrà tuttavia essere realizzato appieno se mancano interconnessioni infrastrutturali tra Stati, tra centri e periferie della Ue.
Per superare queste barriere le Istituzioni europee hanno predisposto il mega-progetto «Connecting Europe Facility» (Cef) per aumentare ed accelerare gli investimenti nei «Trans-European networks» (Ten) mobilitando finanziamenti pubblici e privati… Nell’ambito del mega-progetto Cef-Ten, che rientra nella Strategia «Europa 2020» e nel bilancio Ue fino al 2020, sono state identificate tre grandi filiere di investimenti infrastrutturali che è bene richiamare…1) energia…2) trasporti…3) telecomunicazioni [(6)]… il Ten-T riguarda soprattutto ferrovie, vie navigabili interne e trasporti marittimi, porti, aeroporti e sistemi di trasporto aereo, nodi urbani. La Ten-T è strutturata in «rete globale» da realizzare entro il 2050 e in «rete centrale» per realizzare entro il 2030 i collegamenti multimodali. I corridoi della rete centrale sono 10 e l’Italia è direttamente interessata da quattro ( tra cui la Torino Lione, mia precisazione) >> (7). Il Vicepresidente della Commissione Siim Kallas, responsabile per i trasporti, ha dichiarato: “Mettendo a disposizione un finanziamento di questa importanza, la Commissione mira a un rilancio competitivo dell’economia europea per sostenere e favorire la crescita. Indirizzando questi fondi verso le infrastrutture TEN-T, contribuiamo inoltre alla realizzazione dell’intera rete TEN-T, offrendo vantaggi concreti ai cittadini e alle imprese che potranno usufruire di un sistema di trasporti più efficiente, sostenibile ed efficace” (8). Il programma di lavoro pluriennale finanzia le priorità della rete TEN-T. Il bando pluriennale del 2012 è incentrato su sei settori ( tra cui quello della rete ferroviaria europea ) per i quali è messo a disposizione un bilancio indicativo totale pari a 1,015 miliardi di euro. Quindi, da una parte, si dà la priorità al finanziamento di determinati investimenti infrastrutturali TEN-T per i Paesi importanti per l’integrazione dei Paesi dell’Est europeo; dall’altra si riducono le risorse finanziarie, così come è chiaramente sostenuto da Perry Anderson: << In tutti i paesi in cui sono state somministrate, le misure tese a restaurare la fiducia dei mercati finanziari nell’affidabilità dei governi locali si sono accompagnate anche alla riduzione delle spese sociali, alla deregolamentazione dei mercati e alla privatizzazione dei beni pubblici: ossia al repertorio neoliberista classico, corredato da un’accresciuta pressione fiscale. Per vincolarli, Berlino e Parigi hanno deciso di imporre l’obbligo del pareggio di bilancio nella costituzione dei diciassette membri della zona euro – una nozione che negli Stati Uniti è da tempo screditata come l’idea fissa di una destra folle >> (9). L’Italia è stata oggetto di entrambe le decisioni, apparentemente europee, ma, nella sostanza, americane. La mancanza di strategia unitaria della UE – i progetti strategici del trasporto multimodale sono una sommatoria dei progetti dei singoli Paesi che rafforzano le economie dei Paesi forti ( Germania in primis) –  favorisce la flessibilità e l’adattabilità delle esigenze di fase della strategia USA ( per i dei Paesi della UE e per la penetrazione dei Paesi euroasiatici ) (10). Tant’è che << Il potenziamento nei trasporti e la creazione di un sistema di rapido dispiegamento, di uomini e mezzi, rende differente la relazione tra basi continentali e basi estere. La facilità e la rapidità di dispiegamento militare rendono infatti le installazioni continentali in grado di fornire una pronta risposta alle crisi locali ed alle necessità di intervento che si verificassero. Il dispiegamento rapido nelle aree di crisi non necessita quindi di una rete di installazioni e di una presenza stabile sul territorio quanto piuttosto di accordi di utilizzo delle installazioni in caso di necessità ed altre facilitazioni. La presenza militare all’estero assume quindi un’importanza soprattutto locale, maggiormente connessa al controllo territoriale ed alla possibilità di influenzare le politiche di difesa dei paesi ospitanti. La presenza militare estera degli Stati Uniti assume quindi un dispiegamento su scala globale, estendendosi a gran parte dei paesi mondiali, ed un’attività a scala macro-regionale, essendo destinata a risolvere problematiche che potrebbero svilupparsi contemporaneamente ed in differenti paesi >> (11)

L’Europa non è ancora la Schicksalsgemeinschaft, quella comunanza di destini della nazione weberiana, che lega governanti e governati in un ordine politico comune, in cui i primi paghino a caro prezzo la loro totale ignoranza dei bisogni esistenziali dei secondi, richiamata da Perry Anderson; né la confederazione di Stati auspicata da Zygmunt Bauman; né, tantomeno l’Unione dei popoli e delle loro tradizioni pensata da Franco Cardini; né quella dell’Unione delle nazioni auspicata da Gianfranco La Grassa; né, infine, il progetto dell’”Idea Europa” ( di tutta l’Europa) di Jacques Sapir (12).

Per l’Italia il progetto preliminare approvato dal CIPE ( deliberazione del 3 agosto 2011) prevede di realizzare l’opera per fasi:prima realizzare il tunnel di base e gli interventi di adeguamento del nodo di Torino e, solo dopo, qualora le dinamiche del traffico dovessero evidenziarne l’effettiva necessità, la tratta in bassa Valle di Susa (Bussoleno-Avigliana).

La FASE 1, il cosiddetto progetto “low cost”, consiste nella realizzazione prioritaria del tunnel di base e delle tratte di connessione alla linea storica esistente a Susa e S. Jean de Maurienne, comprese le due stazioni internazionali; il costo complessivo ammonta a circa 8,2 miliardi di euro, da ripartire tra i due Paesi. Il nuovo accordo conferma anche, come parte della prima fase, la ripartizione dei costi:l’importo delle opere verrà corrisposto per il 42,1% dalla Francia e per il 57,9% dall’Italia. Inoltre l’UE potrebbe erogare un finanziamento fino all’ammontare del 40% del costo complessivo dell’opera che è pari a 8,2 miliardi di euro.

Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2012.

 

La linea ferroviaria Torino Lione – corridoio est-ovest della “Rete ferroviaria trans-europea” è una componente essenziale del progetto europeo che ha come obiettivo la realizzazione di grandi direttrici ferroviarie che attraversano gli Stati Membri dell’Unione.

La tratta costituisce un investimento strategico per il futuro del nostro Paese in termini di maggior competitività, di abbattimento delle distanze, di prospettive di sviluppo.

L’idea di sviluppo infrastrutturale non riguarda solo gli assi strategici principali, ma anche il sistema di interconnessione con le reti a livello regionale e, soprattutto, con gli interporti e le piattaforme logistiche che sono in grado di generare valore aggiunto dai traffici e non si limitano a gestire i flussi in transito (13).

La posizione e le argomentazioni del governo italiano fanno parte, per dirla con Jacques Sapir, della “letteratura senza vergogna”. Il Governo nulla dice sulle questioni territoriali presenti nel Corridoio V : a) le problematiche diverse tra il Nord Est e il Nord Ovest ( per il nord-est la problematica del passaggio dai distretti industriali ai sistemi locali; per il nord-ovest la riconversione del territorio del triangolo industriale del boom economico ), b) le relazioni del sistema urbano e insediativo delle città in relazione al progetto ESPON (European Statial Planning Observation Network), c) la riorganizzazione dal Nord – Ovest al Nord – Est con una nuova configurazione dell’Italia settentrionale dal resto del Paese, d) lo sviluppo sbilanciato e non bilanciato dei territori che pongono domanda di infrastrutture diverse per la competitività delle imprese nel processo di mondializzazione, e) la mancanza di un briciolo di strategia su quelle che Federico Butera definisce “innovazioni senza sistemi”, eccetera (14).

Quanto fin qui detto è la conseguenza di una Italia che ha perso la propria sovranità e ha ridotto il proprio territorio a uno spazio geografico ad uso e consumo degli agenti strategici pre-dominanti(USA) e sub-dominanti europei ( Inghilterra, Germania, Francia ), annullando il proprio territorio ricco di storia, di cultura, di ricchezze, di intraprese ( in alcune parti della mia regione Puglia non si parla più la lingua italiana ma quella angloamericana! E molte parti di territorio e di città pregiate sono state e vengono vendute ad americani, inglesi, tedeschi. Solo per restare in Puglia!).

L’Italia, come ponte tra la penetrazione a Nord-Est e la proiezione mediterranea verso l’area mediorientale ed il nord Africa, si sta avviando a diventare una nazione “piattaforma militare” degli USA e della Nato.

 

 

3.Gli agenti sub-dominanti europei, con le loro corti di politici, giornalisti e intellettuali e le loro articolazioni in blocchi di potere, ritengono che le grandi opere pubbliche, sopratutto quelle collegate alle infrastrutture multimodali, siano importanti per la costruzione di un piano per la fuoriuscita dell’Europa dalla crisi: una sorta di New Deal americano che fu capace di far uscire il Paese dalla grande crisi del 1929 (15). Come se la grande crisi mondiale del ’29 fosse stata risolta con un bel programma di lavori pubblici o con il finanziamento della spesa pubblica in deficit di bilancio ( sistemata teoricamente post festum da J.M. Keynes nel 1933 con la pubblicazione de “ i mezzi per la prosperità” e nel 1936 con la pubblicazione de “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”) e non con il conflitto della seconda guerra mondiale quando venne sancito il passaggio dall’egemonia dell’impero inglese a quello americano per il mondo dell’occidente capitalistico << Alla fine del XIX secolo gli Stati uniti presentavano già delle caratteristiche che li rendevano possibili successori della Gran Bretagna. Ma ci vollero più di mezzo secolo, due guerre mondiali e una depressione catastrofica prima che essi sviluppassero le strutture e le idee che, dopo la Seconda guerra mondiale, li misero in grado di assumere veramente l’egemonia >> (16).

Oggi vogliono far credere, gli agenti sub-dominanti di cui sopra, che un ripensamento di un nuovo New Deal “americano-europeo”, proprio di quelle opere pubbliche necessarie alle strategie dei dominanti USA per consolidare la loro “testa di ponte” nello spazio ( non territorio ) sul continente euroasiatico, paragonando erroneamente l’attuale crisi a quella del ’29 (17), sia in grado di risolvere la crisi attuale che è una crisi d’epoca dove l’emergere dei grandi attori strategici mondiali ( in primis Russia e Cina) indicano l’inizio della fase multipolare (di preparazione a quella policentrica) dove la politica sarà sempre accompagnata dalle guerre << La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi >> (18).

Per iniziare a togliere il velo ideologico dell’importanza delle opere pubbliche infrastrutturali per lo sviluppo e l’uscita dalla crisi dell’Europa e dell’Italia, bisogna uscire dal campo della teoria keynesiana, attraversare con passo pensante il campo della critica dell’economia politica per fermarsi nel vivaio del conflitto strategico che permette di disvelare la funzionalità delle infrastrutture, per gli agenti strategici pre-dominanti USA ( attraverso l’egemonia nelle agenzie della governance mondiale utilizzati come luoghi per l’economia, per la finanza, per il consenso e per la forza : G20, ONU, NATO, FMI, BM, WTO, eccetera), per la preparazione della fase multipolare soprattutto in direzione della Russia e del Medio Oriente in particolare di quell’area – chiave che Nicholas J. Spykman (1893-1943) ha definito come Rimland: <<…Il Rimland dell’Eurasia comprende le terre della fascia esterna: l’Europa costiera, i deserti d’Arabia e del Medio Oriente, l’Asia dei Monsoni. E’ uno spazio cerniera tra le potenze di mare e quelle di terra, che può essere attaccato da entrambe ma che, nello stesso tempo, consente di dominarle, dato che rappresenta il teatro di scontro. Il controllo del Rimland può garantire la possibilità di neutralizzare il potere dello Heartland…chi domina il Rimland domina l’Eurasia. Chi domina l’Eurasia ha in mano i destini del mondo. >> (19). E’ un caso l’accelerazione dell’attuale strategia USA nel pacifico asiatico ?.

Paradossalmente, la concezione delle opere pubbliche (tralascio per motivi di spazio e di non rilevanza ai fini del presente scritto la definizione di opera pubblica nelle varie teorie neoclassica, keynesiana, sraffiana e marxiana) nella teoria keynesiana e nella marxiana critica dell’economia politica, convergono nella loro logica economicistica ( anche se quella marxiana, che legge il capitale come un rapporto sociale complessivo della società a modo di produzione capitalistico, è una lettura critica e di cambiamento della società capitalistica) e annebbiano il significato diverso che l’approntamento delle opere pubbliche può assumere in determinati territori, in determinate aree di influenza, in determinate fasi dello sviluppo capitalistico ( soprattutto nella fase multipolare con la nascita delle potenze mondiali ). Occorre togliere la cortina fumogena che nasconde il reale scopo delle strategie politiche – militari – territoriali che diventano prioritarie, nella fase multipolare, per gli attori strategici globali, rispetto a quelle economiche e sociali.

Attraverso il conflitto strategico è possibile destrutturare il rapporto territorio – politica – potere, simboleggiato nelle rappresentazioni geografiche che tendono a raffigurare, e quindi a riprodurre il territorio in modo conforme ai rapporti sociali e di potere esistenti (20), e leggere l’asservimento del territorio italiano ed europeo ai desiderata degli USA, attraverso l’egemonia nelle agenzie della governance mondiale soprattutto quella della Nato, per le sue strategie di dominio in direzione dell’Est Europa, del Mediterraneo e del Medio Oriente.

In estrema sintesi si può sostenere che solo attraverso il conflitto strategico ( soprattutto il ruolo della sfera politico-militare) si può capire l’uso delle infrastrutture del Corridoio V in funzione delle strategie territoriali degli agenti strategici USA. Al contrario, se rimaniamo all’interno della critica dell’economia politica non andiamo oltre la lettura economicistica delle infrastrutture, come capitale fisso sociale, della fase di produzione e riproduzione della società a modo di produzione capitalistico ( il secondo libro de Il Capitale di Karl Marx).

 

 

4.La TAV Torino – Lione è stata oggetto da più di venti anni di: a) studi ( penso all’Università di Venezia, al Politecnico di Milano, al Politecnico di Torino); b) mobilitazione popolare “NO TAV” che ha prodotto inchieste, analisi, saperi popolari; c) apertura di diversi siti web; d) documentazione delle istituzioni locali di area vasta; e) inchieste di denunce del malaffare ( a livello di rete nazionale dei trasporti i primi e gli unici a denunciare e a capire la stortura e il malaffare dell’Alta velocità furono Luigi Preti in qualità di Presidente del PSDI e Nino Andreatta in qualità di ministro della DC); f) scelte errate dei modelli di riferimento europeo [ si è preferito, infatti, il modello francese ( la lobby con capofila la Fiat!) di nuove linee ferroviarie “dedicate”, senza curve o con raggi di curvatura molto ampi per il collegamento veloce tra le aree metropolitane, anzichè quello tedesco e svizzero, più vicino alla struttura del nostro Paese, alla nostra geografia urbana, all’assetto del territorio e alle esigenze della mobilità ]; g) strumenti finanziari ( project financing, project bond) per l’acquisizione delle risorse pubbliche senza nessun rischio per le imprese private con architettura progettuale, finanziaria, contrattuale ed economica strutturata su un grande sfruttamento finanziario delle finanze dello Stato con forti conseguenze sul territorio ( rete ferroviaria, nodi di penetrazioni nelle città, stazioni, eccetera); h) solite cordate di imprenditori che si accaparrano le risorse pubbliche ( i “cotonieri” di Gianfranco La Grassa: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti, dalla Lega delle cooperative al capofila Impregilo della Fiat) (21). La TAV è stata studiata da tutti i punti di vista: economia dei trasporti, valutazioni ambientali e strategiche, relazioni territoriali, inquinamento ambientale, dissesto idrogeologico, eccetera.

Non c’è una ragione seria e scientifica perché la TAV Torino – Lione si debba fare!.

Allora, perché la TAV va fatta? Perché si ripete quello che è successo a Sigonella con la costruzione del nodo europeo del sistema di comunicazione globale?; a Vicenza con la costruzione della più grande base USA in Europa (sui terreni dell’ex aeroporto “Dal Molin”), che insieme a quella della Nato di Aviano costituiscono una sorta di hub dell’area mediterranea?; a Taranto dove la situazione si sta indirizzando sempre più verso la trasformazione da polo siderurgico di livello europeo a polo USA-NATO?; a Niscemi ( Caltanisetta) con la costruzione del Muos ( Mobile User Objective System ), un potentissimo sistema di comunicazione militare di ultima generazione messo a punto dal dipartimento della Difesa degli Stati Uniti?; per non parlare della riconsiderazione e del riposizionamento della base di Gaeta e dei comandi USA di Napoli e Taranto. Non è un caso che le basi Nato e Usa in Italia siano oggetto di interventi di elevato valore che corrisponde ad una elevata importanza delle stesse per le strategie USA.(22)

 

 

5.Per capire perché i nostri decisori hanno decretato la realizzazione della TAV Torino – Lione del Corridoio V, in esecuzione delle strategie dei pre-dominanti americani e sub-dominanti europei, occorre situarsi, per quanto detto sopra, nel vivaio del conflitto strategico, per leggere l’insieme del Corridoio V, in particolare, e, in generale, i corridoi europei che sono infrastrutture per lo sviluppo e l’integrazione dell’Unione dei 27 Paesi. In questa fase multipolare, essi nascondono l’uso politico militare degli agenti strategici (23): la penetrazione ad Est per chiudere il cordone militare alla Russia, attraverso il tentativo di fare entrare nella Nato un paese importante come l’Ucraina. << Come è noto, il rafforzamento delle relazioni con gli USA crea continui motivi di conflitto con Mosca, che teme ovviamente la cosiddetta “cintura speciale” degli stati membro della NATO attorno alla Federazione Russa, dall’Ucraina alle Repubbliche Baltiche, al Caucaso, con la chiusura o la riduzione di tutti gli accessi al mare, dal Baltico al Delta del Danubio, fino al Caspio e il problema dei gasdotti >> (24).

 

Fonte: “Limes” 2009.

 

I corridoi trans europei programmati sul territorio italiano ( Corridoi: V, I e dei “due

mari” ) sono al servizio di tutte le basi Nato ed USA. L’innervamento delle basi americane sul territorio italiano, per l’importanza che esso assume nelle strategie di dominio, è la continuazione di quel lungo processo di strategia globale iniziato con la liberazione e l’occupazione dell’Italia nella seconda guerra mondiale, con lo sbarco in Sicilia nell’estate del 1943 (25); allora, in funzione delle strategie contro il comunismo ( quando la Russia era una promessa, la Cina una poesia e il comunismo il paradiso terreste, cantava Giorgio Gaber), oggi, in funzione delle strategie di conflitto contro gli attori globali emergenti ( soprattutto Russia e Cina ) per il dominio mondiale.

Fonte: “Limes” 2007, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Mia sovrapposizione dei corridoi transeuropei sulle localizzazioni delle basi USA e Nato in Italia.

La carta non è aggiornata soprattutto per quanto riguarda le basi italiane in concessione d’uso agli USA.

 

Il loro approntamento accelera la lenta e costante americanizzazione del territorio italiano ed europeo. Il declino delle città storiche europee ed italiane verso una configurazione di città MEGA (26) comporta una nuova idea di città e di territorio europeo sul modello americano ( penso, per esempio, alle mutazioni che hanno subito le città di Barcellona, Lione, Torino, tanto per rimanere in tema di Corridoio V) che contagia anche le città e i territori dell’Asia ( Cina meridionale in primis) (27) con le loro peculiarità storiche, culturali e sociali ( i capitalismi) che si innervano con gli elementi universali del capitalismo.

Le città e i territori incorporano l’immagine del mondo funzionale all’impero americano e al suo progetto di strategia di dominio mondiale. La politica di potenza americana non è fondata soltanto sulla semplice espansione territoriale, ma è altresì fondata sulla diffusione della visione americana del mondo e si appoggia sull’esportazione e sull’imposizione di modelli esemplari, a partire appunto dal modello più vistoso e imponente, quello urbano ( così come è stato per gli imperi ateniese e romano) (28).

 

 

6.La Nato, dopo la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’ex URSS, è stata ricalibrata per affrontare la nuova strategia USA che, liquidata la breve fase unipolare durata più o meno un decennio, si prepara al lungo conflitto per l’egemonia mondiale contro le nuove potenze emergenti soprattutto Russia e Cina. Essa si trasforma da strumento di difesa contro la minaccia sovietica a strumento di attacco “fuori area” per le strategie egemoniche americane ( la Nato Response Force) e, quindi, le basi devono essere pronte ai diversi impieghi nei possibili teatri di guerra ( azioni flessibili delle basi, possibili con le nuove tecnologie informatiche e satellitari) (29). La Nato è uno strumento di politica estera degli USA. Con la Nato si superano le difficoltà connesse alle installazioni militari ( con il suo ruolo di alleanza politico-militare, volta a proteggere gli stati membri da attacchi esterni, con una maggiore interoperabilità degli strumenti militari, sia tramite lo sviluppo di progetti industriali congiunti che favoriscono le economie di scala, sia tramite la formazione e l’addestramento condivisi); si controlla militarmente e socialmente il territorio (risorse energetiche, attività economiche, alleanze diplomatiche per allargare la sfera di influenza, pressione territoriale); si ottiene la contribuzione finanziaria dei Paesi della Nato che sono importanti nell’affrontare le crisi che affliggono le varie aree del mondo (30); si coordinano le politiche di difesa( le armi nucleari trasformano l’Europa in una realtà macroregionale e gli USA si espandono e si rafforzano curando gli aspetti della sicurezza dei singoli stati); si impedisce la nascita di una organizzazione di difesa autonoma dell’Unione Europea; si attua la prevenzione dei conflitti; si realizza il sostegno alla stabilizzazione, alla ricostruzione post – conflitto, agli interventi umanitari; si applicano le strategie di intervento che integrano la dimensione militare e quella civile, compresa la ricostruzione economica e istituzionale ( istitution – building), per fare ciò la Nato si coordina con l’Unione Europea, l’Onu, l’Ocse e con le altre organizzazioni che intervengono nelle situazioni di crisi [ si pensi alla strategia per reintegrare l’Europa Balcanica con i poli del subsistema adriatico (poli 1, 3, 4), il polo del subsistema danubiano (polo 2), i poli del subsistema balcanico continentale ( poli 5°, 5b, 5c e sistema multipolare), i poli di sviluppo per la sostenibilità economica del fianco meridionale eurobalcanico ( poli 7a, 7b, 7c, 7d )]; si interviene con la militarizzazione delle grandi città (MEGA), a seguito della concentrazione della popolazione che sarà sempre più massiccia ( si calcola che entro l’anno 2020 il 70% della popolazione mondiale vivrà all’interno di zone urbane), per reprimere e controllare le contraddizioni sistemiche più pesanti ( povertà, scontri e tensioni sociali ) (31).

<< L’idea dei corridoi nasce con la caduta del Muro di Berlino per favorire la cooperazione economica fra Europa e i paesi dell’Est e predisporre le basi della loro futura integrazione nell’Unione Europea…i corridoi transeuropei rappresentano l’ossatura portante del disegno [ USA, mia precisazione] geopolitico e di integrazione economica tra l’Europa comunitaria e quella del Sud-Est ( corsivo mio). Infatti i corridoi vengono qualificati oggi come “multimodali”, indicando così che essi non corrispondono semplicemente ad un tracciato ma sono dei connettori globali (corsivo mio) attraverso cui passa il trasporto di merci, di persone, di energia e di sistemi di telecomunicazione. I corridoi multimodali dovranno altresì incentivare la creazione o il potenziamento di poli di sviluppo nelle aree da essi attraversate, al fine di rendere il progetto, nel tempo, economicamente sostenibile >> (32).

La strategia degli USA per l’allargamento della loro sfera di influenza ad Est dell’Europa si articola attraverso un diverso ruolo che la Nato si è dato dopo l’implosione sovietica. La Nato non ricopre più solo il ruolo militare con la militarizzazione territoriale e sociale italiana ed europea, ma anche quello politico ed economico, in “coordinamento” con le agenzie della governance mondiale ad egemonia americana.

Il problema che i corridoi multimodali transeuropei pongono, riguardano soprattutto l’autonomia e l’autodeterminazione delle nazioni (e di una Europa delle nazioni) che sappiano contrastare l’egemonia degli agenti strategici della potenza imperiale americana favorendo la fase multipolare dell’attuale crisi d’epoca.

<< In questo periodo di sventura, quando l’Italia correva incontro alla sua miseria ed era il campo di battaglia delle guerre che i principi stranieri conducevano per impadronirsi dei suoi territori, ed essa forniva i mezzi per le guerre e ne era il prezzo; quando essa affidava la propria difesa all’assassinio, al veleno, al tradimento, o a schiere di gentaglia forestiera sempre costose e rovinose per chi le assoldava, e più spesso anche temibili e pericolose – alcuni dei capi di esse ascesero al rango principesco – ; quando tedeschi, spagnoli, francesi e svizzeri la mettevano a sacco ed erano i gabinetti stranieri a decidere la sorte della nazione ( corsivo mio)…>> (33).

Parafrasando William Shakespeare posso chiedermi:<< che ammasso di immondizie, pattume e rifiuti è l’Italia, se serve da vile materia per illuminare una cosa indegna come i nostri agenti sub-decisori ? >> (34).

 

 

 

 

 

 

 

 

*Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

  • Edgard Lee Masters, Antologia di Spoon River, a cura di Fernanda Pivano, Einaudi, Torino, 2009, pag. XLV.
  • Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Volume III, quaderno 13 (XXX), Einaudi, Torino, 1975, pag. 1635.
  • Pierre Fayard, Vincere senza combattere, Ponte alle Grazie, Milano, 2010, pag. 85.

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

1.La dichiarazione congiunta è riportata in Marco Moussanet, Tav, una priorità per noi e per la UE in “Il Sole 24 ORE” del 4/12/2012. A proposito di alta velocità per le merci, riporto una affermazione del Presidente della Camera di Commercio locale di Algeciras, Don Carlos Fenoy, << Alta velocità per le merci? Lei è matto! Il consumo energetico e l’usura dei carri oltre gli 80 chilometri orari aumentano esponenzialmente i costi. E poi i treni veloci e i nodi inadeguati significano intasamenti nell’ultimo chilometro: pensi a una grande autostrada con piccoli caselli >>. La dichiarazione è riportata da Luca Rastrello, Corridoio 5. I fantasmi dell’alta velocità in “La Repubblica” del 28/5/2012. Quelli, che di ferrovie ne capiscono, sanno che chi fa viaggiare le merci con il treno non è interessato alla velocità, ma all’affidabilità e ai costi bassi.

2.Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998, pag. 119. Indirettamente Robert Kaplan conferma l’importanza dell’Ucraina per la testa di ponte americana sul continente euroasiatico di Brzezinski, si veda Robert D. Kaplan, Il fattore Russia dell’Europa in www.conflittiestrategie.it, maggio 2012.

3.Per ulteriori approfondimenti riguardanti le diramazioni, le interconnessioni delle reti e dei porti, dei collegamenti con gli altri corridoi europei, le congiunzioni tra i paesi dell’Ovest con i paesi dell’Est dell’ex URSS, si rimanda al sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (www.infrastrutturetrasporti.it) e alle varie Decisioni del Parlamento Europeo e del Consiglio in merito agli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete trans europea dei trasporti, nonché al libro verde “Verso una migliore integrazione nella rete trans europea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti” della Commissione delle Comunità Europee ( www.europa.eu) .

4.Dal 1° maggio 2004, dieci nuovi paesi e quasi 75 milioni di abitanti sono entrati a far parte dell’Unione Europea. L’UE a 25 membri costituisce ormai uno spazio politico ed economico di 450 milioni di cittadini e comprende tre ex repubbliche sovietiche (Estonia, Lettonia, Lituania), quattro ex Stati satelliti dell’URSS (Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Slovacchia), un’ex repubblica iugoslava (Slovenia) e due isole del Mediterraneo ( Cipro e Malta) in www.europa.eu .

5.Anna Marino, Il corridoio 5: storia e stato dei lavori in “ Il Sole 24 ORE” del 13/6/2007.

6.Per la definizione delle tre grandi filiere di investimenti infrastrutturali si rimanda a Rete Transeuropea dei Trasporti in www.europa.eu; la Comunicazione della Commissione Europea, Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, 3/3/2010, in www.europa.eu.

7.Alberto Quadrio Curzio, Investire sulle reti per riunire l’Europa in “Il sole 24 ORE” del 26/9/2012. Per l’elenco dei corridoi della rete centrale si rinvia a List of pre-identified projects on the core network in the field of tran sport in www.europa.eu. Per una sintesi complessiva degli aspetti progettuali e finanziari delle reti transeuropee di trasporto che coinvolgono l’Italia si veda Redazione, Le reti transeuropee di trasporto: il quadro evolutivo europeo in www.mobilityconference.it, 2011.

8.La dichiarazione del Vicepresidente della Commissione Siim Kallas è tratta da Commissione Europa, Infrastrutture di trasporto: la commissione sbocca più di 1,2 miliardi di euro per finanziare progetti essenziali TEN-T in www.europa.eu, novembre 2012-12-20.

9.Perry Anderson, L’Unione europea nella morsa dell’egemonia tedesca in “Le monde diplomatique/il Manifesto”, dicembre 2012, pag.21.

10.E’ opportuno precisare che le infrastrutture e la loro realizzazione necessitano di accordi internazionali stabili e di tempi di costruzione lunghi; la localizzazione delle infrastrutture non risponde quindi re attivamente alle evoluzioni dello scenario globale e della relativa strategia militare.

11.Daniele Paragano, Le basi militari degli Stati Uniti in Europa: posizionamento strategico, percorso localizzativo ed impatto territoriale, dottorato di ricerca in geopolitica, geostrategia e geoeconomia, Università degli Studi di trieste, 2007-2008, pag. 70.

12.Perry Anderson, L’Unione Europea,…op.cit; Zygmunt Bauman, Al bivio tra sopravvivere o disgregarsi. Per questo serve una confederazione, intervista a cura di Paolo Valentini, in “Corriere della sera” del 20/10/2012; Franco Cardini, Europa, la civiltà prima di sacrifici in www.eurasia-rivista.org, aprile 2012; Gianfranco La Grassa, Quanta sopportazione ci vuole in www.conflittiestrategie.it, novembre 2012; Jacques Sapir, Europa: fine della partita? In www.sinistrainrete.info, dicembre 2012.

13.La conferenza stampa di presentazione del progetto e dell’analisi dei costi benefici della Nuova Linea Torino Lione tenuta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 26/4/2012 a Roma. La documentazione completa della conferenza è disponibile sul sito www.governo.it.

14.Per un approfondimento delle tematiche si rimanda a Paolo Perulli e Angelo Pichierri, a cura di, La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi, Torino, 2010.

15.L’Unione Europea è allo sbando. Da una parte si vincolano i singoli Paesi al pareggio di bilancio ( in Italia solo grazie alla chiusura anticipata della legislatura forse non verrà approvata la legge per l’attuazione del pareggio di bilancio da introdurre nella Costituzione ), dall’altra si invita ad un nuovo New Deal ( noto per la sua attuazione in deficit di bilancio) europeo, un programma di opere pubbliche per l’uscita dell’Europa dalla crisi. Per una interpretazione del New Deal americano, delle sue implicazioni nella società capitalistica e della sua sistemazione teorica post festum, si rimanda al bel affresco sintetico ed efficace di Gianfranco La Grassa, Sommarie riflessioni sulla criis. Parte prima: la prospettiva più tradizionale (economicista) in www.conflittiestrategie.it, dicembre 2012.

16.Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010, pag.40. Il premio nobel per l’economia Peter North così dichiara << Non siamo usciti dalla depressione grazie alla teoria economica, ne siamo venuti fuori grazie alla Seconda guerra mondiale >> in Peter North, Una nuova economia di guerra, intervista, “Il Sole 24 ORE” del 10/10/2001.

17.Per una analogia, da prendere con le dovute cautele, dell’attuale crisi d’epoca con quella del periodo 1873-1896 ( di lunga stagnazione) si veda Gianfranco La Grassa, Sommarie riflessioni sulla crisi. Parte seconda: un ripensamento complessivo in www.conflittiestrategie.it, dicembre 2012; S. Amin, Il capitalismo entra nella sua fase senile, intervista a cura di Ruben Ramboer, in www.sinistrainrete.info. Per il ruolo del capitale che svolge nell’approntamento delle infrastrutture e nella riorganizzazione delle città a partire dall’ascesa di Napoleone III ( la Parigi del secondo impero) si veda David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città, Ombre Corte, verona,2012, pp.7-39.

18.Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano, 2007, pag.38.

19.Per l’egemonia degli USA attraverso le agenzie della governance mondiale si veda Giovanni Arrighi e Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003. La citazione di Nicholas J. Spykman è tratta da Elena dell’Agnese, Geografia politica critica, Edizioni Guerini e Associati SpA, Milano, 2005, pag.51.

20.Giuseppe Dematteis, Le metafore della terra. La geografia umana tra mito e scienza, Feltrinelli, Milano, 1986; Franco Farinelli, Geografia. Un’interpretazione ai modelli del mondo, Einaudi, Torino, 2003; Claudio Minca e Luiza Bialasiewicz, Spazio e politica. Riflessioni di geografia critica, Cedam, Padova, 2004.

21.L’elenco delle pubblicazioni è lungo, ne cito solo alcuni per dare il quadro complessivo delle questioni: Virginio Bettini, Tav: i perché del NO, Utet, Torino, 2006; Maria Rosa Vittadini, Rileggendo Zambrini: l’alta velocità e la verifica parlamentare in “ Archivio di Studi urbani e Regionali” n.85-86/2006; Antonio Calafati, Dove sono le ragioni del si, Edizioni SEB, Torino, 2006; Donatella della Porta e Gianni Piazza, Le ragioni del no. Le campagne contro la Tav in Val di Susa e il Ponte dello Stretto, Feltrinelli, Milano, 2008; Mario Cavargna, 150 ragioni contro la Torino Lione in www.informarexresistere.fr ; Ivan Cicconi, Il libro nero dell’alta velocità, edizioni Koinè, Roma, 2011; Ferdinando Imposimato, Corruzione ad alta velocità, Koinè edizioni, Roma, 1999.

22.Mi interessa evidenziare due cose: 1) la partecipazione delle donne nei movimenti popolari ( in special modo quello di “NO Dal Molin”) si è distinta solo per le tematiche oggettive della differenza di genere e non per una soggettività femminile altra dal pensiero maschile su un tema sensibile per la storia del pensiero femminile di qualsiasi orientamento quale la militarizzazione del territorio; si veda Antonella Cunico, Per un’altra città. Storie e percorsi nel movimento NO Dal Molin in Diotima, Potere e politica non sono la stessa cosa, Liguori, Napoli, 2009; 2) le basi Nato sono utilizzate dagli USA, si rimanda all’intervista rilasciata dal prof. Natalino Ronzitti ( ordinario di diritto internazionale alla Luiss “Guido Carli” di Roma) dove viene evidenziata la confusione e l’ambiguità tra basi Nato e basi USA in Natalino Ronzitti, Il ruolo della Nato dopo la caduta del muro di Berlino in www.docenti.luiss.it, febbraio 2009; Natalino Ronzitti, a cura di, Le basi americane in Italia- problemi aperti, Dossier n. 70/2007, Servizio Affari Internazionali del Senato della repubblica, in www.senato.it .

23.Per lo scontro tra le diverse anime delle strategie di potere per la supremazia interna ma compatte nel portare avanti gli interessi complessivi della potenza imperiale USA si rinvia a Robert Kaplan, La classe imperiale americana in www.conflittiestrategie.it, dicembre 2012; Janine Wedel, Shadow Elite, ( l’elite nell’ombra) pubblicato in lingua inglese dalla Basic Group e recensito da Marcello Foa su “il Giornale” del 20/10/2010.

24.Per una introduzione alle politiche USA e Nato, con l’intreccio dei Gruppi Finanziario-Industriali (GFI) ( il gruppo di Kiev, il gruppo di Donetsk e il gruppo di Dnipropetrovsk), nell’Ucraina in Yuliya Rubans’ka e Gianfranco Franz, Geografia del potere e grandi progetti urbani in una città dell’Ucraina in “Archivio di Studi Urbani e Regionali” n.104/2012.

25. E’una peculiarità dell’impero americano, affinata col tempo, la capacità di disordine, di caos, di disaggregazione messa in atto, su scala mondiale, per la sua strategia di dominio ( gli esempi recenti sono eclatanti: Libia, Siria, la cosiddetta primavera araba). Sul territorio italiano – intrecciando mafia, banditismo e nazifascismo – risale alla seconda guerra mondiale, periodo 1943-1947, finalizzato strategicamente al contenimento del blocco URSS, si veda  Giuseppe Casarrubea, Mario J. Cereghino, Lupara nera. La guerra segreta alla democrazia in Italia 1943-1947, Bompiani, Milano, 2009.

26. << Il progetto ESPON ( European Spatial Planning Observation Network) individua nel Nord Italia quattro città cosiddette MEGA ( Metropolitan European Growth Areas), fra le sei presenti in Italia: Milano, denominata “motore europeo”; Torino, area “forte”; Bologna, MEGA “potenziale”; e Genova, MEGA “debole”. Sulla carta delle città europee, esse contribuiscono a configurare l’asse centrale storico dell’urbanizzazione europea, la cosiddetta “banana blu”, che va dalla Pianura Padana centrale ai Paesi Bassi fino a Londra. In un secondo ordine, sono individuate dieci città denominate “ Aree urbane funzionali a carattere transnazionale e nazionale”: Bergamo, Brescia, Verona, Trento, Padova, Venezia, Udine, Trieste, Parma e La Spezia. Queste città, accostate alla forte densità di aree urbane di terzo ordine, dette Aree Urbane Funzionali Regionali e Locali, trasmettono comunque un messaggio di forte strutturazione urbana della macroregione del Nord. >> in Roberto Camagni e Nicola Francesco Dotti, Il sistema urbano in Paolo Perulli e Angelo Pichierri, La crisi italiana…op.cit., pp. 41-42.

27.Per esempio si veda Richard Walker e Daniel Buck, La via cinese in Giovanna Vertova, a cura di, Lo spazio del capitale. La riscoperta della dimensione geografica nel marxismo contemporaneo, Editori Riuniti, Roma, 2009, pp. 255-295; Paolo Perulli, La città. La società europea nello spazio globale, Mondadori, Milano, 2007.

28.Lewis Mumford, La città nella storia, Bompiani, Milano, 1997, Volume primo.

29.Istituto Affari Internazionali, La Nato e la difesa europea: sviluppi recenti, scenari e ruolo dell’Italia, a cura di Riccardo Alcaro et alii, aprile 2009, Senato della Repubblica-Camera dei Deputati in www.senato.it. ; Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999.

30.Si sottolinea che gli USA nel 2010 risultano essere il paese che ha investito maggiori risorse nelle proprie Forze Armate, allocando 698 miliardi di dollari, apri al 43% delle spese militari complessive a livello mondiale. Nel secolo nuovo Cina, Gran Bretagna e Francia hanno mantenuto i propri valori pressoché costanti al 2% del PIL, gli Stati Uniti ( e la Russia) hanno rapidamente incrementato le proprie spese, fino a superare il 4% del PIL. Per approfondimenti si rimanda a Andrea Locatelli, Le risorse militari dell’egemonia americana, ISPI-Analysis, gennaio 2012, in www.ispionline.i ; Giuseppe Belardetti, Le ambizioni strategiche della Nato dopo il vertice di Chicago, ISPI-Commentary, giugno 2012 in www.ispionline.it .

31.Sulle nuove competenze della Nato si rinvia a Servizi Affari Internazionali e Servizi Rapporti Internazionali, Il vertice Nato di Chicago, 20-21 maggio 2012, Senato della Repubblica e Camera dei Deputati in www.senato.it; Daniele Paragano, Le basi militari…,op.cit.; Manlio Dinucci, Geopolitica di una “ guerra globale” in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, 2005, pp.11-112; Adriaticus, Italia – Europa – Usa: la grande partita della ricostruzione in “Limes” n.2/1999; Adriaticus, La strategia dei poli per reintegrare l’Europa balcanica in “Limes” n.4/1999; Alfonso Desiderio, Paghiamo con le basi la nostra sicurezza in “Limes” n.4/1999; RTO( Organizzazione per la Ricerca e la Tecnologia della Nato), Rapporto Nato Operazioni Urbane 2020 in www.rta.nato.int .

32.Adriaticus, Italia – Europa – Usa…op.cit.,pp.57.58.

33.George W.F. Hegel, Il “Principe” di Macchiavelli e l’Italia in Niccolò Macchiavelli,, Il Principe, a cura di Ugo Dotti, Feltrinelli, Milano, 2011, pp.246-247.

34.William Shakespeare, Giulio Cesare, Mondadori, Milano, 2009.

Repubblicanesimo Geopolitico. 3a parte Alcune Delucidazioni Preliminari Di Massimo Morigi

Se però l’analisi del potere di Hannah Arendt risulta essere assolutamente realistica (il potere non è il male ma è la benzina della società), la filosofa politica ebrea tedesca naturalizzata statunitense non fu altrettanto puntuale nell’analizzare le problematiche del potere relative alla moderne democrazie rappresentative, in quanto il suo punto di riferimento della polis greca se assolutamente illuminante per quanto riguarda l’analisi fenomenologica del potere, non è assolutamente proponibile come modello per le moderne società industriali (e la Arendt ne era assolutamente consapevole) e la sua mitizzazione della rivoluzione americana – con l’idea di una riproposizione come futuro soggetto politico, mutatis mutantis, delle piccole comunità americane di origine che erano state alla base della voglia di libertà e laboratorio politico della rivoluzione e delle prime forme di democrazia del nuovo continente –, se ancora fondamentale per capire le dinamiche dominio-potere-libertà risulta ancora una volta improponibile come reale modello alternativo alla democrazia rappresentativa. Arrivo quindi rapidamente alla conclusione intorno alla domanda di cosa sia il Repubblicanesimo Geopolitico. Il Repubblicanesimo Geopolitico intende riempire questa lacuna nella consapevolezza molto elementare ma fondamentale che la partita della libertà non si gioca né in astratti enunciati (libertà come non interferenza di matrice liberale o libertà come non dominio del (neo)repubblicanesimo) ma nei concreti rapporti di forza (e quindi nei concreti spazi di libertà) che si sviluppano all’interno della società. Con questa enfasi sui rapporti di forza fra le classi, sembrerebbe però essere dalle parti di una riedizione del
marxismo vecchia maniera. Errore e per due semplici motivi. Primo perché nel Repubblicanesimo Geopolitico l’accento è messo sul potere come energia generatrice di libertà mentre il marximo classico vuole una società dove i rapporti di forza siano estinti (fine della storia, estinzione dello stato). Secondo perché se per il marximo l’agente generatore di una società più libera è il proletariato, per il Repubblicanesimo Geopolitico l’agente per una maggiore libertà sono proprio quelle forze ed energie (quindi anche il proletariato ma pure le forze che vi si contrappongono) che scontrandosi originano una dialettica del potere che è alla base per un concreto e non astratto ampliamento della sfera della libertà (sottolineo che questa della conflittualità come origine della libertà e/o della forza di una comunità politica non è certo molto originale discendendo direttamente da Machiavelli e dalla sua spiegazione della forza militare degli antichi romani, la quale, secondo il Segretario fiorentino, discendeva direttamente dalla lotta fra patrizi e plebei che trovava una sua valvola di sfogo nella espansione territoriale di Roma). E queste forze ed energie per il Repubblicanesimo Geopolitico possono trovare la loro piena espressione solo a condizione che il quadro geopolitico in cui questa comunità vive la sua esperienza storica sia favorevole a che questa comunità possa irrobustire la sua identità e, di conseguenza, progettare e lottare per sempre maggiori spazi di libertà. Dove Mazzini parlava di una missione dell’Italia una volta che fosse stata riunificata geograficamente e spiritualmente, sarebbe assai singolare non vedere in queste parole la consapevolezza che una nazione non può vivere – e quindi essere libera – senza che abbia un’idea della sua collocazione fra le altre comunità politiche del mondo, senza che possa disporre di un suo Lebensraum, non solo geografico e materiale ma anche culturale e spirituale (quello di Lebensraum, cioè spazio vitale, è un concetto che venne coniato da Friedrich Ratzel e sviluppato dalla geopolitica tedesca e per questo ha subito una sorta di damnatio memoriae. Ora il fatto che il nazismo abbia sviluppato una sua
versione criminale del Lebensraum non significa che questo concetto non sia fondamentale per la geopolitica e quindi per il Repubblicanesimo Geopolitico, tanto che il Repubblicanesimo Geopolitico potrebbe anche essere chiamato Lebensraum repubblicanesimo se non fosse per il fatto che il concetto di Lebensraum è ancor oggi appaiato all’imperialismo guglielmino e al male assoluto del nazismo e – per ironia della storia, se pur rifiutato dalle accademie politologiche e filosofico-politiche del secondo dopoguerra – impiegato come strumento di analisi fondamentale per dirigere l’azione geopolitica delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale. Il Repubblicanesimo Geopolitico, invece, intende impiegarlo per i suoi scopi di libertà). Quando Mazzini criticava Marx questo non avveniva per una sorta di cecità nei confronti delle condizioni della classe operaia ma avveniva nella consapevolezza che la dinamica dello scontro delle classi sociali – e quindi della libertà – non poteva essere compressa nelle formulette che si riassumevano nella credenza parareligiosa della classe operaia come “classe intermodale” e quindi come unico agente per la trasformazione rivoluzionaria della società. Mazzini fu sempre accusato di misticismo. In realtà non era affatto un mistico ma, piuttosto, un dialettico che era consapevole che la partita della libertà poteva essere vinta solo con una generale crescita culturale (e quindi politica) di tutta la società. Quando Mazzini preconizzava l’edificazione per la sua nuova Italia di “scuole, scuole, scuole”, non designava per sé il ruolo di futuro ministro della pubblica istruzione ma era semplicemente consapevole che la libertà italiana doveva passare attraverso l’innalzamento culturale del popolo. Oggi questa dimensione culturale è entrata a pieno vigore nel lessico della geopolitica e si chiama noopolitik, quella noopolitik che presa molto sul serio dal Celeste Impero, rischia di qui a pochi anni, assieme ai suoi fattori di eccellenza economica, di rendere la Cina la prima superpotenza a dispetto degli standard terribilmente mediocri, almeno se comparati a quelli delle cosiddette
democrazie rappresentative occidentali, nel campo dei diritti politici. Ora, senza voler ripercorrere tutti quegli autori e personaggi storici in cui il momento geopolitico fu fondamentale (Garibaldi fu un geopolitico “pratico”, il nazionalismo italiano ebbe una sua versione di destra tipicamente autoritaria mentre la matrice democratica del nazionalismo è impensabile senza considerare il Maestro di Genova, l’interventismo democratico era mazzinianamente animato da una profonda, anche se rudimentale, consapevolezza repubblicana e geopolitica che la libertà del nuovo Stato – e quindi dei suoi cittadini – non era al sicuro senza la demolizione degli Imperi centrali, l’impresa fiumana ben lungi dall’essere stata uno stolto rigurgito del peggior nazionalismo come da certa stereotipata storiografia, diede voce – ed azione – alla consapevolezza geopolitica di matrice mazziniana diffusa fra gli strati più umili della popolazione – ma non per questo non certo politicamente meno avvertiti –, che l’astratto wilsonismo era un attentato non solo contro la potenza di una nazione, l’Italia, che aveva vinto la guerra ma anche contro la sua libertà nel consesso delle nazioni e, quindi, al suo interno, anche contro il suo sviluppo in una società sempre più libera. E quanto fossero avanzate le concezioni politiche e sociali dei “fiumani” guidati da D’Annunzio, volentieri si rimanda alla misconosciuta Carta del Carnaro), la tragedia dell’Italia attuale è che la sconfitta nel secondo conflitto mondiale, assieme alla giusta ridicolizzazione del fascismo, trascinò nel disastro anche quel Repubblicanesimo Geopolitico che era stato una delle componenti fondamenti del suo Risorgimento e della sua riunificazione e che aveva ben compreso che la libertà non poteva essere scissa dalla sua componente spaziale-geografica (2). Rimane da rispondere al quesito posto da Roberto Stefanini sulla rappresentazione della situazione che si fa il Repubblicanesimo Geopolitico. Se per rappresentazione della situazione s’intende il quadro delle relazioni internazionali, il Repubblicanesimo Geopolitico sente una profonda affinità, e prende robusti spunti oltre che dai già
citati padri della geopolitica, dalla dottrina delle relazioni internazionali che oggigiorno va sotto il nome di costruttivismo e che ha per caposcuola Alexander Wendt. Famoso il titolo del saggio di Alexander Wendt Anarchy is What States make of it, e cioè che l’anarchia del sistema internazionale non è una meccanica legge di natura ma dipende dalle scelte, a loro volta influenzate dalla storia e dalla cultura, che le singole nazioni compiono di volta in volta. Il costruttivismo, insomma, sottolinea l’importanza dei cosiddetti dati “sovrastrutturali” e volitivi nel determinare la dinamica del sistema internazionale. Da questo punto di vista, il Repubblicanesimo Geopolitico è completamente d’accordo col costruttivismo ma con una piccola rivendicazione, non per sé stesso – ci mancherebbe – ma per chi prima ancora del costruttivismo e con feroce volontà attuativa pensò in questi termini: il solito Giuseppe Mazzini. Se per rappresentazione della situazione si intende, invece, il giudizio sullo stato di salute della democrazia in Italia e nelle altre cosiddette democrazie rappresentative, il giudizio è già stato espresso in altri interventi sul “Corriere della Collera” ma, in estrema sintesi, si riassume nella conclusione che quello che i media – ed anche un pensiero politico asservito a necessità che con la ricerca della verità e dell’espansione della libertà hanno poco a che spartire – oggi chiamano democrazia non è altro che un regime ove le oligarchie finanziarie sostengono e foraggiano un teatrino dove ancora si consente di scegliere attraverso formalmente libere elezioni la rappresentanza politica ma in cui questa rappresentanza politica è totalmente irresponsabile rispetto al suo elettorato ed è spogliata, de facto, di qualsiasi potere decisionale (questo teatrino del potere e della falsa libertà politica è comune a tutte le cosiddette democrazie rappresentative occidentali. Proseguendo con l’immagine, possiamo dire che, allo stato attuale, la democrazia è una recita fatta dai politici su un palco gentilmente fornito dalle oligarchie finanziarie. In Italia poi, per non farci mancare niente, gli attori sono pure degli scadenti
guitti). Questo giudizio, peraltro, non è proprio un’esclusività del Repubblicanesimo Geopolitico ma è condiviso anche dalla parte meno corrotta dell’attuale mainstream della scienza politica (Colin Crouch, Robert Dahl tanto per citare qualche autore). Al contrario però di coloro che vedono la postdemocrazia e/o la poliarchia come un destino inevitabile per le democrazie rappresentative occidentali, il Repubblicanesimo Geopolitico non si rassegna all’avvizzimento della democrazia per il semplice motivo che se gli uomini per pigrizia possono essere sordi sulla loro libertà, la storia è un’ottima sveglia e che, se inascoltata, può portare a traumatici e tragici risvegli. È la storia del nostro paese che è tutto un susseguirsi di momenti alti e di altri di tragica miseria. È persino inutile dire in quale momento il Repubblicanesimo Geopolitico ambisca a collocarsi. Sembrerebbe, è vero, una missione impossibile, per non dire connotata da un’assoluta ed insopportabile hubris. Se il Repubblicanesimo Geopolitico fosse una semplice nuova elaborazione di scuola sui temi (neo)repubblicani ciò sarebbe assolutamente vero. Ma ovviamente la pretesa – o meglio la speranza – del Repubblicanesimo Geopolitico non è di essere la solita accademica variazione sul tema (neo)repubblicano ma modestamente, anche se con molto orgoglio, è di non essere altro che l’ennesima espressione di quel moto profondo che nasce dal cuore della nostra storia e civiltà e che si riassume nella ricerca di una sempre maggiore espansione della libertà. Ora e sempre.
Ravenna-Coimbra, 26 novembre 2013

NOTE
(1) In questa risposta [sul “Corriere della Collera”] sul Repubblicanesimo Geopolitico ho originariamente omesso qualsiasi citazione dei vari Nozik, Friedrich von Hayek, Dworkin
e Rothbard come autori di riferimento in merito al canone liberale. La ragione è molto semplice. Tutti questi autori, chi più da “sinistra” chi più da “destra”, ci restituiscono un’immagine talmente caricaturale del liberalismo – e talmente priva di qualsiasi riferimento alla nozione di “conflitto strategico” (concetto coniato da Gianfranco La Grassa nell’ambito del suo fondamentale rinnovamento del marxismo e dell’interpretazione del filosofo di Treviri ma il cui campo semantico rimanda direttamente a Machiavelli) – che da parte di un pensiero, come il Repubblicanesimo Geopolitico, che intende seriamente e radicalmente superare il pensiero liberale è consigliabile, almeno in sede divulgativa come può essere quella di un blog, piuttosto che lasciarsi andare a facili, scontate – seppur giustificate – ironie, lasciar perdere ed ignorarli del tutto. Insomma, i lettori dei blog politici (o, meglio, tutti coloro che vogliono costruirsi una vera cultura politica e comprendere quindi anche la grandezza, seppur da superare, del liberalismo) se vogliono “perdere” tempo, affrontino Tucidide, Machiavelli, Hobbes, Adam Smith, Ricardo, Carl von Clausewitz, Hegel, Marx, Mazzini, Mosca, Pareto, Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville, Carl Schmitt, Sorel, Lenin, Antonio Gramsci, Hannah Arendt, Friedrich List, Schumpeter, John Maynard Keynes, per finire con i padri della geopolitica Alfred Thayer Mahan, Halford John Mackinder e Friedrich Ratzel piuttosto che i moderni pedestri, feticistici ed irrealistici propagandisti nominati sopra di un liberalismo visto come una sorta di sistema eterno, immutabile e al di sopra della storia (e di un individuo come una sorta di onnipotente Robinson sociale), servi sciocchi di quegli agenti strategici, che coperti dalle enunciazioni ideologiche (un tempo socialiste e liberali oggi solo liberali) ad usum della manipolazione del consenso hanno inteso le varie organizzazioni socioeconomiche in cui venivano ad operare (socialiste e liberaldemocratiche e oggi solo liberaldemocratiche) come il campo di battaglia sul quale scontrarsi per ottenere la supremazia. Agenti strategici che,
insomma, da veri propri leviatani hobbessiani hanno fatto sempre un sol boccone, strumentalizzandoli e trattandoli come carne da cannone, dei vari Robison sociali del liberalismo e dei vari Stakanov del socialismo reale. È inutile aggiungere che il Repubblicanesimo Geopolitico sia dal punta di vista conoscitivo che da quello politico è unicamente inteso a far uscire dal loro “stato di minorità” questi illusi Robinson liberali e i tuttora persistenti – e perdenti – cultori del fu Stakanov del defunto socialismo reale.
(2) Fondamentale per comprendere sul piano teorico questa dialettica spazio/libertà, Democratic Ideals and Reality. A Study in the Politics of Reconstruction, London, 1919 di Halford Mackinder, il fondatore accanto a Thayer Mahan della geopolitica, e al quale si deve la comprensione che la democrazia è nata e si sviluppata grazie all’insularità della Gran Bretagna e che quindi il wilsonismo – oggi si direbbe l’esportazione della democrazia – era un assoluto non senso,

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