Le guerre e i fallimenti dell’America_Di  George Friedman

Le guerre e i fallimenti dell’America

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Sessant’anni fa, nel 1962, gli Stati Uniti presero la decisione di entrare in guerra in Vietnam, schierando per la prima volta in battaglia importanti forze aeree e di terra. Questa era una frazione degli uomini e degli aerei che sarebbero serviti lì negli anni a venire. Era una linea che l’amministrazione Kennedy si rese conto di attraversare. Ha visto il coinvolgimento degli Stati Uniti come una mossa minore, persino sperimentale. Ma quando una nazione manda i suoi soldati in guerra, una logica prende piede. Quando gli uomini muoiono, la nazione presume che sia per un interesse vitale. I leader non possono dichiarare l’esperimento un fallimento perché non possono ammettere di aver sperimentato la vita dei soldati. Una morte richiede una ragione degna, e stabilire che la morte non è stata vana è incompatibile con “tagliare e scappare”, nelle parole di Lyndon B. Johnson. L’intervento è difficile. Il ritiro sotto tiro è agonia.

Per capire la strategia americana dal 1962 ad oggi, dobbiamo capire cosa vedeva e pensava John F. Kennedy quando prese il primo grande impegno. Kennedy è stato creato dalla seconda guerra mondiale, e anche i militari più anziani lo erano. Nella seconda guerra mondiale, l’America ha capito il suo nemico. La Germania era governata da Hitler, e Hitler e i suoi subordinati erano intelligenti, spietati e come noi nel combattere una guerra di macchine e industria. Abbiamo capito che Hitler era un tiranno senza principi. Il Giappone era un impero governato da un governo brutale e, come abbiamo visto in Cina, combattenti spietati. Sapevamo anche che, come i tedeschi e gli americani, stavano combattendo una guerra industriale. Conoscevamo il nemico, non ne sottovalutavamo mai la forza, e facevamo coincidere la nostra guerra con la produzione industriale. Conoscevamo il valore degli alleati, gli usi delle portaerei e dei carri armati, e come addestrare gli uomini alla guerra. Abbiamo imparato questo e altro. E avremmo combattuto fino alla fine, senza quartiere né chiesto né dato.

Gli Stati Uniti hanno superato il Vietnam del Nord e il Viet Cong in ogni misura che ha vinto la seconda guerra mondiale. Non ci rendevamo conto di non aver capito il nostro nemico. Non erano industriali, né erano divisi tra comunisti e una serie di fazioni. Chiaramente i non comunisti del sud odiavano la tirannia del nord. La popolazione anticomunista doveva essere mobilitata e armata con le migliori attrezzature e la bandiera degli Stati Uniti, insieme a quella vietnamita, avrebbe sorvolato Hanoi. La folla nel sud si allineava sulle strade accogliendo gli americani anche se gli Stati Uniti non prendessero Hanoi. Lo scopo dell’intelligence è prevedere cosa faranno gli altri, e proprio come la CIA non è riuscita a capire le conseguenze della Baia dei Porci, non ha capito il Vietnam. Anch’esso era bloccato nella seconda guerra mondiale.

Il Vietnam non era la SS che combatteva contro i Maquis (combattenti della Resistenza francese). Il Vietnam era diviso per trattato, ma era un paese. I comunisti si erano impossessati del nord ei non comunisti governavano il sud. I non comunisti venivano in molte forme, ma l’unica cosa che condividevano con i comunisti del nord era che erano vietnamiti. Non erano scioccati da un regime comunista repressivo quanto dal pensiero di una guerra civile vietnamita, che è ciò che gli americani stavano vendendo, che la chiamassero così o meno. Non volevano combattere altri vietnamiti. Quello che volevano era essere lasciati soli. I vietnamiti non vedevano gli americani come liberatori e protettori. Li vedevano come consegnare i terrori della guerra industriale. Dopo aver sopportato l’occupazione francese e l’oppressione dei vietnamiti che i francesi avevano elevato a governanti fantoccio, non avrebbero scelto tra un nuovo imperialismo e una dittatura comunista. Ciò non significava che l’anticomunismo non fosse presente, né che molti non vedessero gli americani come una forza amica. Significava che le passioni dei vietnamiti erano divise, complesse e volubili.

Gli americani hanno commesso tre errori. La prima era che pensavano che, come in Belgio, il loro arrivo in Vietnam sarebbe stato accolto con gioia universale. Non lo sapevano perché la leadership non ha ascoltato l’intelligence.

In secondo luogo, non capivano il nemico comunista. I comunisti trassero gran parte della loro legittimità dall’aver cacciato i francesi. Il loro comunismo e nazionalismo erano legati. Questo era vero anche per il comunismo cinese di Mao e il discorso di Stalin in difesa della patria. Ci sono quelli che combattono per convinzioni astratte, ma molti di più che combattono per la loro patria. Non sono sicuro di quanti americani nella seconda guerra mondiale abbiano combattuto per la democrazia liberale o per l’America, ma sospetto che la protezione della patria abbia risuonato di più. Il Vietnam era stato governato da molti bruti, ma almeno i comunisti erano bruti vietnamiti. Erano comprensibili.

Infine, hanno combattuto la guerra dal punto di vista della percezione, in particolare della percezione del pubblico statunitense. Piuttosto che fare ciò che è stato fatto durante la seconda guerra mondiale, che era chiarire che questa sarebbe stata una guerra lunga e sanguinosa e quindi vincolare il pubblico alla verità, il governo ha cercato di allineare la strategia con l’idea che la vittoria si stava avvicinando e che le vittime sarebbero declino. Ciò significava che l’offensiva del Tet aveva infranto ogni fiducia. Si spera che mentire funzioni meglio quando la realtà collabora.

Gli Stati Uniti non hanno capito il loro nemico oi suoi amici. Temeva i comunisti meno dell’opinione pubblica americana. Nelle guerre, il momento più buio potrebbe essere appena prima del successo. Pensa alla battaglia delle Ardenne. Il momento più buio non poteva essere un momento come questo perché assurde pretese di successo non avevano preparato il pubblico americano ad esso.

Quando pensiamo di non capire il proprio nemico, di plasmare una guerra per non sconvolgere le falsità del conflitto, e di cercare di sopraffare con la guerra industriale un nemico che sta combattendo una guerra molto diversa, possiamo pensare anche alle guerre in Iraq e Afghanistan. Il nemico poteva o meno odiare il governo, ma un numero sufficiente di persone odiava gli americani perché non erano iracheni o afgani. L’ideologia e la religione hanno avuto un ruolo ma non sono state la chiave. C’era uno sconosciuto in casa loro e dovettero cacciarlo via.

Gli americani dovrebbero esserne consapevoli, perché la nostra rivoluzione è stata progettata per scacciare i superbi britannici, con le loro regole e regolamenti. La rivoluzione era impegnata nella Dichiarazione di Indipendenza, ma il vero nemico erano gli inglesi. Erano stranieri in casa nostra e dovettero essere espulsi. Il principio morale c’è, ma gli uomini muoiono per amore del proprio.

Ci sono poche guerre come la prima e la seconda guerra mondiale, grazie a Dio. Ragionare su come abbiamo vinto quei conflitti di solito porterà al fallimento in altre guerre. L’ondata di guerre americane dopo la seconda guerra mondiale e i loro risultati insoddisfacenti dovrebbero testimoniarlo. Andare in guerra e fallire rappresenta una leadership senza discernimento, con una fede irrazionale nelle proprie forze e un folle rifiuto della motivazione e dell’intelligenza del nemico. Anche se molti ci accolgono come liberatori, saranno questi fattori a determinare il nostro destino. Fortunatamente per l’America, è troppo ricca e forte per essere abbattuta da un fallimento. Ma è importante non sfidare la fortuna.

Le guerre sono necessarie e accadranno, ma dovrebbero iniziare come la seconda guerra mondiale: con paura e timore reverenziale nei confronti del tuo nemico. Qualsiasi altra cosa ti rende negligente. Come ha notato Tucidide, la guerra non può essere combattuta da una città divisa e spaventata. Ciò si è dimostrato vero in Vietnam, Iraq e Afghanistan. La domanda più importante non è mai stata posta: come trarrebbero vantaggio gli Stati Uniti dalla vittoria e quanto costerebbe la sconfitta? La sconfitta non è mai stata immaginata e il beneficio del successo è stato ampiamente sopravvalutato. Il mondo non è finito, né il potere americano. Ma temendo le conseguenze della sconfitta, rimandiamo l’inevitabile. Oggi gli Stati Uniti collaborano con il Vietnam contro la Cina. Ciò che allora era impensabile e insopportabile non lo è nemmeno oggi. Le guerre, quindi, dovrebbero essere rare e assolutamente necessarie.

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MASSIMO MORIGI LA LOGGIA “DANTE ALIGHIERI” NELLA STORIA DELLA ROMAGNA E DI RAVENNA NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE (1863 – 2003)* _________ I PARTE

Un lavoro inattuale di Massimo Morigi, quindi molto adeguato per i tempi attuali. Dalla prefazione dell’autore stesso: «Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022.»

Buona lettura.

Giuseppe Germinario

MASSIMO MORIGI LA LOGGIA “DANTE ALIGHIERI” NELLA STORIA DELLA ROMAGNA E DI RAVENNA NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE (1863 – 2003)* _________

I PARTE

*In frontespizio: Friedrich der Große nach der Schlacht bei Kolin von Julius Friedrich Anton Schrader (Federico il Grande dopo la battaglia di Kolin, di Julius Friedrich Anton Schrader, 1849)

Prefazione di inizio 2022 dell’autore ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” dopo circa un ventennio della non pubblicazione della Loggia “Dante Alighieri” nella storia della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863 – 2003 ) Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022 Massimo Morigi

La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 2

AI COMBATTENTI DEL BARKA Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 3

INDICE Pag. Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

a Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

b Capitolo 1 – GLI INIZI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

x Capitolo 2 – LA LOGGIA MASSONICA DANTE ALIGHIERI . . . . . . . . . . . . . . .

by Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … –

Capitolo 1

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INTRODUZIONE Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1

Pag. 5 PREFAZIONE

Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1

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Capitolo 1 GLI INIZI Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 7

Se neppure così ci riesci, sii almeno uno di coloro che ci credono: “Iddio innalzerà d’altri gradi coloro di voi che avran creduto e ricevuta la scienza”, e la scienza è al disopra della fede e l’esperienza al disopra della scienza. L’esperienza è emozione , la scienza è procedere per analogie, la fede è pura accettazione per conformismo. Abbi buona opinione di coloro che provano l’emozione o di coloro che posseggono la conoscenza. Sappi, ora che hai appreso quali sono i cinque spiriti, che tutti quanti sono luci, perché rendono palese ogni sorta di cosa esistente, sensibile e immaginaria. Al Ghazali, La nicchia delle luci

“PROCUL O PROCUL ESTE PROPHANI”, dovette sembrare un’esortazione molto a tono ai primi liberomuratori ravennati che intrapresero la sgrossatura della pietra grezza nei locali del monastero di S.Vitale, sulla cui architrave dell’entrata la ammonitrice formula con cui Virgilio dà voce alla sibilla che inizia Enea nel suo percorso nell’Averno respingendone però i compagni(… Via, via profani /gridò la profetessa, itene lunge / dal bosco tutto;e tu meco te n’entra.) il visitatore meno distratto (o meno intruppato nel mordi e fuggi del turismo di massa dei gruppi organizzati) può tuttora leggere traendone, come i primi massoni ravennati di inizio Ottocento ,il confortante pensiero che nella ricerca della parola perduta(o, se vogliamo esprimerci altrimenti, nella ricerca della libertà spirituale)siamo sempre da altri preceduti e guidati. Del resto, non solo le virgiliane reminiscenze poterono sembrare di buon augurio a questi ravennati “liberi e di buoni costumi” che per primi nella città degli Esarchi osarono sfidare la scomunica di Clemente XII (Papa Corsini, forse il Pontefice che attraverso i lavori di miglioramento del suo porto, più si adoperò per lo sviluppo di Ravenna, e da qui il nome di “Porto Corsini” del borgo marinaro che sorge accanto alla riva del porto canale – e di Canale Corsini – e la cui effige marmorea voluta dai ravennati riconoscenti per eternarlo, ironia della sorte, dopo essere stata collocata nell’odierna Piazza del Popolo ,vi fu, nel 1867, rimossa per essere posata proprio nel monastero di S.Vitale ,nel secondo chiostro, dove è tuttora, e da dove la sua veneranda e nobile figura sembra vegliare a che l’ex monastero- ma semel abbas, semper abbas – non debba mai più subire altre latomistiche profanazioni).Oltre alle molto profane e metalliche sollecitazioni del momento storico(la politica napoleonica favoriva la nascita di logge massoniche),di per sé forse del tutto necessarie e sufficienti a spegnere le sempre più fioche ritrosie suscitate dalla scomunica clementina in animi che, pur nella provinciale e sonnacchiosa Ravenna dello Stato della Chiesa, erano state raggiunte e plasmate dalla rivoluzione dei “lumi” e dal suo più grezzo e militare inveramento della conquista napoleonica, altri potenti e vivaci stimoli esoterici potevano promanare dal luogo eletto per le prime tornate e dalla città stessa. Dalla chiesa di S.Vitale in primo luogo. Nella basilica sorta all’inizio del sesto secolo su ordine del Vescovo Ecclesio non vi è solo da prestare attenzione ai mirabili mosaici bizantini. Pure estremamente significativa, per quanto assolutamente opaca dal punta immaginifico e perciò Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 8

inevitabilmente persa da parte del turista mordi e fuggi, ne è la struttura. Questo tempio, infatti, è a pianta centrale ottagonale, tipica peraltro delle chiese bizantine, attraverso la quale i costruttori agli ordini del supremo architetto Giuliano Argentario intesero con ogni evidenza richiamarsi al simbolismo dell’ottagono, figura geometrica che unisce la terra al cielo perché ritenuta momento intermedio fra il quadrato (che rappresenta la terra) e il cerchio (il cielo). Da qui la predilezione bizantina per lo svolgimento dei sacri offici in fabbriche con questa pianta per favorire appunto il congiungimento dell’uomo con Dio. In seguito, la pianta ottagonale fu ripresa nell’Islam (esempio classico la Moschea di Omar a Gerusalemme), nelle chiese templari e per fare un esempio di un edificio non strettamente adibito al culto ma dalle valenze strettamente simboliche, nell’enigmatico castello di Federico II che sovrasta la piana di Andria in Puglia. Un templarismo che se è discutibile che rappresenti un episodio dell’ipotetico continuum iniziatico che partendo dai misteri dell’antico Egitto ,attraversa l’ellenismo e il Medioevo per poi approdare, tramite il momento fondamentale dell’ermetismo neoplatonico rinascimentale, alla moderna liberomuratoria, rappresenta ,invece uno dei principali miti di fondazione dell’ideologia della massoneria simbolica settecentesca e che, con ogni verosimiglianza, non mancò di colpire l’immaginazione di quegli ardimentosi ravennati (non ne andava della salute del corpo ma di quella dell’anima sì, visto che in fondo, anche per spiriti educati illuministicamente, non si può mai essere sicuri cosa ci si debba aspettare una volta passati all’Oriente Eterno…)che per primi si adunarono ritualmente in luoghi così carichi di tradizioni e di insegnamenti per il futuro. Il pavimento di mezzo ,che è stato rialzato dal primo piano in proporzione del sotterramento della Chiesa, è ricoperto di scelti marmi antichi componenti de’ vaghi intrecci ,e dirimpetto al Presbiterio un Laberinto .1 Così Francesco Beltrami nel 1783 parlando di S.Vitale nel suo Forestiere instruito, ci fa capire che sul finire del diciottesimo secolo si era ben consapevoli dell’importanza(ed, ovviamente, del significato, che, pendente la scomunica di Clemente XII e non ancora arrivati i francesi a liberare o ad occupare, se si preferisce, il territorio pontificio, non poteva essere esplicitato in una guida turistica ante litteram quale Il Forestiere) del labirinto pavimentale della più importante chiesa ravennate. “Concetto simbolico proprio dell’ iniziazione massonica – che si riallaccia all’immagine di un viaggio labirintico – che riteniamo non sia soltanto della massoneria “moderna” o “speculativa”, ma probabilmente nella massoneria “antica”, c.d. “operativa” , giacché l’idea del labirinto ,associata a quella della morterinascita iniziatica, si ricollega a molteplici tradizioni ed era ben presente nel Tardo Medioevo ,come attestano molteplici opere degli antichi maestri costruttori e molte opere letterarie.”2 E dalla città stessa in secondo luogo, o perlomeno dall’idea che su di essa si era venuta formando nell’intellighenzia non clericale della città ove riposano le spoglie di Dante(altro topos fortemente identitario per gli avversari del romano pontefice, tanto che nella seconda metà del diciannovesimo secolo a Ravenna la massoneria sarà rappresentata dalla Loggia “Dante Alighieri”),promanavano profonde suggestioni, tant’è che sul Mausoleo di Teodorico, uno dei maggiori simboli “laici”,assieme alla tomba del Poeta costruita dal Morigia nel 1780,della città dell’epoca, sempre il Forestiere instruito ci informa che il mausoleo del re ostrogoto “Vedesi ideato con tal regolare ,e proporzionata disposizione di tutte le sue parti ,che il celebre Polifilo, altrove da me citato ,ne’ suoi misteriosi scientifici sogni Lib.I.cap.17 lo rassomiglia ad un sontuoso rotondo Tempio di elegante struttura da esso lui immaginato ,e descritto.”3 Ora, che nella “Bibbia” della cultura ermetica rinascimentale, l’Hypnerotomachia Poliphili appunto, nel luogo indicato da Beltrami si alluda al mausoleo di Teodorico è un’affermazione del tutto discutibile che meriterebbe ben altro approfondimento di quello che si degnò di fornirci Beltrami (o che fu possibile concedersi al Beltrami stesso, visti i profondi condizionamenti ambientali su cui è inutile ripetersi).Nel capitolo 7 dell’Hypnerotomachia si parla sì di un tempio antico e costruito con perizia architettonica, e a queste caratteristiche potrebbe conformarsi il nostro mausoleo ma la fabbrica

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ammirata dal trasognato spasimante di Polia è a pianta circolare(il Mausoleo di Teodorico è, invece, a pianta centrale con due ordini sovrapposti ma decagonale l’inferiore e decagonale prima e circolare poi quello superiore, e ciò ci porterebbe ad escludere che il Polifilo prenestino abbia esemplato ,anche se solo in parte ,il suo onirico edificio dal mausoleo ostrogoto)e consacrato alla Dea Venere Genitrice(e qui il Mausoleo di Teodorico è totalmente irriconoscibile).Ma dando per scontato il pluralismo ed anche l’opacità semantica della cultura iniziatica e riservandoci ad un ulteriore studio lo sviluppo di un argomento che riteniamo di una certa importanza per la nostra storia locale, quello che qui importa sottolineare è che gli antesignani massonici della città della tomba di Dante si mossero in un ambiente che se per quanto riguarda le sollecitazioni essoteriche dovette aspettare la tutela delle armi francesi per la fondazione di una loggia massonica, era certamente aduso per sensibilità e per suggestioni storicomonumentali al discorso esoterico. Ma non vi sono solo le pur importanti – anche se timide e filologicamente discutibili- avance beltramiane nel campo ermetico e simbolico a suffragare l’idea che i reperti monumentali di Ravenna furono uno degli aspetti decisivi per l’affermazione anche a Ravenna sotto il dominio temporale del Papa della cultura esoterica che fra diciottesimo e diciannovesimo secolo investì l’Europa. Uno slancio che doveva avere realmente un gran momento se Camillo Morigia ,accettando la commessa del Cardinal Valenti per edificare il monumento sepolcrale al Divin Poeta , non si peritò d’inserire ad ornamento del timpano del tempietto una serpe che si morde la coda ,l’uroboros, simbolo ermetico-iniziatico dell’eternità del tempo e, per traslato ,dell’eternità del messaggio dantesco. Addirittura, nel progetto originario il simbolismo era ancora più denso: “nel timpano all’interno del cerchio, che si preciserà in un ouroboros, splende un esuberante sole raggiante; sui suoi lati insistono due slanciati pinnacoli piramidali che esibiscono il simbolo della città (la pigna) […] mentre ai lati della lunetta soprastante la porta d’ingresso, la lira e il serto dall’oro completano l’esibizione dei trofei del divino cantore”4 . Rispetto ai segni consentiti da Santa Madre Chiesa tutto ciò era troppo osare e infatti non si osò. Anche l’uroboros che si può considerare ad un tempo un estremo lascito dell’iniziale tessuto simbolico ed anche segno di una fortissima valenza espressiva esoterica, nel suo passaggio dall’ideazione alla realtà attenua la sua carica eversiva. L’osservatore è facilmente indotto a confondere le metalliche verdi squame del serpente con più stereotipate foglie dall’alloro, una sorta di convenzionale tributo al genio poetico al padre della lingua italiana.5 Ma la tomba di Dante non è il solo episodio che ci attesta che la Ravenna di fine diciottesimo secolo fu teatro di tensioni generate dallo scontro fra una Chiesa chiusa nell’ortodossia e la cultura esoterica della nascente massoneria simbolica settecentesca. La sfida si produsse anche all’interno di un edificio sacro, dentro la chiesa di Santa Maria Maggiore. In questa chiesa, infatti, venne sepolto Camillo Morigia, morto il 16 gennaio 1795.Sulla pietra del suo sepolcro volle fosse scritto: “Camillo Morigia ultimo di sua famiglia si raccomanda alle vostre orazioni”. Una iscrizione molto asciutta ,come si vede, con un fioco e convenzionale richiamo alla religione (le orazioni) ma che non denota alcuna palese tensione con la religiosità dominante. Ma il ricordo dell’architetto nella chiesa che accolse le sue spoglie, non è limitata all’iscrizione sulla pietra tombale ma è affidata anche ad un monumento funebre ,del quale è particolarmente significativo il busto in bassorilievo di Morigia poggiante alla base su una panoplia dei principali strumenti liberomuratori. Ora pur ammettendo che squadra, compasso e riga possano costituire un richiamo all’attività professionale del defunto, non si può peraltro non concedere, e con tanta maggiore convinzione, che dopo la scomunica clementina del 1738,la rappresentazione degli attrezzi simbolici dell’Arte Reale ,per di più dentro una chiesa, costituisse una diretta sfida contro il clementino interdetto dell’ In eminenti specula Apostolatus, una sfida ed una polemica che solo chi fosse stato iniziato e fosse profondamente impregnato di cultura esoterica poteva decidere di portare avanti anche al di là della vita terrena. E si deve anche convenire che a distanza di pochi decenni dalla scomunica e dalle conseguenti persecuzioni alla comunità liberomuratoria italiana, non solo In eminenti avesse perso ogni efficacia come deterrente secolare ma fosse pure caduta in profondo discredito presso gran parte di quel clero che avrebbe dovuto proteggere il suo gregge dal diabolico influsso degli

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scomunicati massoni ma che in pratica ,come accadde a Santa Maria Maggiore in Ravenna, aveva preferito chiudere gli occhi davanti a tanta ostentata impudenza liberomuratoria, esibita ,addirittura, dentro una chiesa di una città sotto il dominio temporale del Papa. Che lo scontro fra l’ortodossia religiosa e la cultura esoterica che aveva preso la forma della moderna massoneria speculativa fosse una vicenda che accanto a momenti di alta tensione contemplasse pure fasi di appeasement ,era del resto un portato quasi inevitabile dei cambiamenti generali (anche nel clero, specialmente in quello basso, come ci insegna l’imminente rivoluzione francese),nelle prospettive e nei gusti introdotti dalla nuova cultura settecentesca, di cui l’illuminismo costituiva ,se vogliamo, il versante maggiormente esposto sul versante politico, mentre la massoneria speculativa, ultima gemmazione dell’ermetismo rinascimentale dava spazio e possibilità di espressione a tutte quelle istanze di autorappresentazione individuale e di riconoscimento identitario di gruppo messe in crisi dalla secolarizzazione della società e alle quali il discorso troppo pubblico e razionalista dell’illuminismo non riusciva a concedere un soddisfacente ascolto. L’arte del giardino costituisce un esempio estremamente significativo della recherche di questa nuova spiritualità massonica a cavallo fra discorso pubblico prudentemente accennato, istanze private pubblicamente esposte(sempre prudentemente e con circospezione) e autorappresentazione e riconoscimento identitario di gruppo protetto dal velo del segreto(e cioè ,per rifarci ai casi menzionati: uroboros nella tomba di Dante, monumento funebre di Morigia in Santa Maria Maggiore, le riunioni massoniche che avvennero per la prima volta nel suggestivo convento di S.Vitale).Un esempio estremamente significativo che non mancò di manifestarsi anche a Ravenna. Ci stiamo riferendo al giardino del Palazzo della Provincia di Ravenna. Nonostante le varie trasformazioni e demolizioni subite ad iniziare dall’ultimo scorcio dell’Ottocento dal palazzo del conte Ferdinando Rasponi (nel 1866 il palazzo venne venduto dal suo propietario caduto in rovina, il conte Ferdinando Rasponi, ad un certo Geremia Zoli “un cameriere del circolo dei signori [che] trasformò l’intero edificio in un albergo sontuoso: l ’hotel Byron”6 . Nel 1918 ,in seguito all’incapacità dei nuovi gestori subentrati dopo la morte di Zoli ,l’edificio venne acquistato dalla federazione delle Cooperative di Ravenna ,sede che nel 1922 venne incendiata e distrutta dalle squadre fasciste e sulle sue ceneri, nella seconda metà degli anni Venti, venne edificato ,su disegno dell’Arata ,l’attuale palazzo della Provincia),nonostante queste traversie il giardino racchiuso dall’originario palazzo Rasponi ha conservato – non integralmente che sarebbe troppo pretendere – significativi tratti dell’idea originaria. Un’idea che, dicevamo, fu profondamente influenzata dalla cultura esoterica. Ad iniziare dalle piccole piramidi ornamentali collocate sulle balaustre del terrazzo intermedio(la piramide fu uno dei principali simboli della massoneria settecentesca e rifletteva la vera e propria mania culturale “egiziana” di quel secolo, la quale costituì uno dei trait d’union fra l’esoterismo in senso stretto e una moda culturale molto più affine ad un volgare esotismo, anche se è necessario sottolineare che l’ “egizianesimo” non attese il Settecento per manifestarsi ma ,ad iniziare dal mondo greco-romano, approdò nell’epoca moderna legandosi indissolubilmente all’ermetismo rinascimentale, una delle scaturigini della massoneria simbolica appunto). E cariche di simbolismo neoplatonico sono “le sfere collocate ,la prima sulla colonna del capitello corinzio all’ingresso inferiore del parterre, la seconda all’inizio della scalinata che conduce alla sommità del giardino pensile”7 . Abbiamo poi, appesa alla volta della cripta annessa al giardino, un’ulteriore sfera- vero e proprio occultum lapidem – recante la scritta “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Su questo occultum lapidem è necessario soffermarci. Abbiamo appena detto che essa è appesa alla volta della cripta ma tale ancoraggio avviene tramite un’erma posta all’esterno della stanza ,sulla sommità del giardino pensile, così da evidenziare le analogie micromacrocosmiche(microcosmo l’interiorità dell’uomo, sfera all’interno della cripta; macrocosmo l’universo esterno, l’erma sulla sommità del giardino).E non è neppure senza significato che la possibilità della sfera (il microcosmo) di rimanere agganciata alla volta sia affidata ad un’erma, che nell’antichità, e probabilmente anche in questo caso, rappresentava il dio Ermete. Trova così spiegazione il motto “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Non tanto una mesta e stereotipata considerazione sulla

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caducità dell’umana condizione stretta fra gli imprescrittibili diktat dell’Ananke o della divina provvidenza (la pesante sfera lapidea minacciosamente appesa alla volta con un legame che non si riesce ad intuire quanto solido e il motto superficialmente inteso trasmettono esattamente questo stato d’animo di precarietà che ha ben poco di esoterico ma è molto più debitore alla rassegnata Weltanschauung di Santa Madre Chiesa) ma l’orgogliosa e gioiosa affermazione della capacità dell’uomo(il microcosmo) di congiungersi al macrocosmo(l’esterno della cripta ,la sommità del giardino pensile) e che questa potenzialità è garantita sì da Dio ma non il dio che impone un cieco atto di fede (il Dio-Cristo paolino per il quale la fede è superiore alla ragione) ma dal Dio che simboleggia la vera conoscenza, Ermete simbolo della profonda conoscenza interiore. Del resto ,la semantica della continuità micro-macrocosmica è comprovata da ulteriori elementi. La pianta della cripta è ottagonale ,come pure “la sfera in pietra ,sospesa all’apice della volta, ha un decoro [una stella a otto punte ]che allude all’ottagono”8 .Sull ‘ottagono simboleggiante l’unione della terra con il cielo abbiamo già detto, solo che nella fattispecie non si tratta dell’unione della creatura (terra) con il cielo (dio creatore) ma dell’unione micro-macrocosmica assicurata dalla gnosi rappresentata da Ermete. Certamente il degrado imposto da Cronos e dalle vicissitudini della storia ,ha inevitabilmente modificato ed obliterato buona parte dei segni originariamente intesi per dare a questo luogo un senso intimo e profondo non solo legato ad una superficiale fruizione e divertissement (che è il destino ancillare di gran parte dei giardini).Ma i ruderi simbolici affioranti e allora voluti per conferire al giardino la funzione di vero e proprio percorso iniziatico non hanno perduto la capacità di ammonirci che la responsabilità di dare senso alla nostra vita è unicamente nostra ,solo se si abbia la sensibilità ed il coraggio di comprendere che non siamo monadi isolate ma parte di un tutto (rapporto micromacrocosmico).E per essere convinti di ciò basta essere uomini liberi e di buoni costumi e non altro. Ma simboli voluti da chi? Di proposito ,non essendo le nostre ricerche riuscite a svelare né il committente, né il disegnatore né il progetto originario del giardino, ci siamo limitati al commento del simbolismo strettamente archittettonico trascurando quello delle essenze del giardino, le più esposte ai rimaneggiamenti e alle cancellazioni dell’intervento umano. Il giardino esoterico, abbiamo visto, riflette un gusto tipicamente settecentesco, come in Europa ed in Italia fra fine del Settecento ed inizio Ottocento testimoniano le numerose realizzazioni di arte topiaria a sfondo simbolico .Siamo propensi a datare il giardino verso la fine del diciottesimo secolo ,quando lo scontro anche nei territori dello Stato della chiesa fra il cattolicesimo e la massoneria subiva strane pause ed obnubilamenti (ouroboros tomba di Dante e monumento funebre del Morigia docent) o tuttalpiù l’inizio Ottocento della Ravenna sotto il dominio francese(Napoleone favoriva il sorgere di logge massoniche, vista dal gran Corso come instrumentum regni e ,quindi ,in quel periodo un giardino esoterico sarebbe stato ben accetto),mentre escludiamo che ripiombata Ravenna sotto il dominio diretto del Papa (del clima dell’epoca fa testo la famigerata sentenza Rivarola ) ci fosse qualcuno che mai si sarebbe azzardato in un’impresa del genere. Ed anche se vogliamo considerare la famigerata sentenza (1825) come il momento più acuto della repressione delle istanze liberali e settarie, di tutto si può dire sul dominio temporale della Chiesa nell’Ottocento tranne che fosse rivolto ad una sorta di appeasament verso tutto ciò che non fosse riconducibile all’alleanza fra trono ed altare. (L’umanamente triste vicenda di Pio IX nel ’48 col suo iniziale apparente volgersi verso disegni più moderati rispetto ai predecessori per poi ritrarsi impaurito – giustamente – dalle conseguenze delle sue aperture, è l’inconfondibile segno del ruolo regressivo ,al di là della volontà dei singoli, svolto dalla Chiesa nell’Ottocento).E visto che non abbiamo alcuna notizia dell’edificazione dell’esoterico giardino ad unità avvenuta ed anzi dalla segnalazione di Primo Uccellini dal suo Dizionario Storico del 1855,peraltro molto scialba ed opaca9 , apprendiamo il giardino essere già esistente, non ci rimane che tornare agli anni in chiusura del Settecento nel momento dell’appeasement della Chiesa con il latomismo o imperante il dominio francese. Conclusione non molto esaltante ma che ci consente di formulare un’ipotesi d’attribuzione, almeno per quanto riguarda il progettista del giardino. Del massonismo del Morigia abbiamo detto .Non abbiamo però ancora detto

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che la nutritissima biblioteca privata di Camillo Morigia ,conservata presso la Biblioteca Classense di Ravenna, contiene oltre una preziosa copia dell’Hypnerotomachia ( ad ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, delle passioni ermetiche del Conte) ,anche diversi manuali di giardinaggio, alcuni dei quali impregnati di un forte simbolismo massonico, che ben s’inseriscono nell’ipotetico quadro degli interessi simbolico-ermetici del Conte architetto per una progettazione topiaria a sfondo simbolico. Oltre non è possibile andare e riservandoci di approfondire l’argomento in ulteriori studii, molto conviene al momento fare nostra l’ammonizione “Procul O Procul Este Prophani”, su cui dovettero riflettere i primi massoni ravennati e che, oltre ad un evidente risvolto misterico, può anche essere essotericamente intesa come un invito alla prudenza per il ricercatore storico qualora in difetto di documentazione. Documenti di cui si è però in possesso riguardo i primi massoni ravennati, lasciati all’inizio del nostro discorso a confrontarsi con ammonitori ammaestramenti all’entrata del convento dove iniziarono a riunirsi, piante ottagonali di basiliche bizantine(ma evocanti anche ottagoni di chiese templari e moschee) e labirinti pavimentali che suggerivano che l’unione fra il cielo e la terra (l’ottagono) era da conseguire attraverso una morte-rinascita di tipo iniziatico piuttosto che attraverso atteggiamenti fideistici incoraggiati da Santa Madre Chiesa. Ma oltre che cercare di instaurare con questi ardimentosi esploratori di una filosofia e mistica “più efficaci” un legame empatico basato sull’archeologia esoterica della città degli Esarchi e su quanto ci è dato sapere sulla mentalità massonica e cattolica di fine ‘700,possiamo imbatterci, attraverso lo sfoglio degli Annali di Ravenna di Padre Benedetto Fiandrini, nel primo documento ravennate che contiene l’attribuzione ad un nominativo dell’appartenenza massonica. Scrive Padre Benedetto Fiandrini di essere venuto in possesso di una “Sattira in cattivi versi”: Fu ritrovata questa mattina una Sattira in cattivi versi ,quale faceva il ritratto di tutti li Fanatici Giacobini di Ravenna :tal quale fu ritrovata la riporteremmo qui ,con la spiegazione dei diversi nomi.

Vuo’ spiegarvi in pochi versi Li Caratteri diversi De Patriotti nostri Sel permette i miei inchiostri. Costa in primis1 il sapiente. Con stupore della Gente, Da uom rio ,e scelerato, Gesù Cristo ha rinegato, La Madonna ,i Santi suoi. E ancor vive in mezzo a noi? Degno è vivere in Turchia, La tra mezzo a gente ria, E non già frà noi Cristiani Buoni ,e ver Repubblicani. De seguaci poi gran stuolo, A cotesto dietro a volo Se ne vengono portando Ogni vizio esecrando. Se conoscer li volete, Quì descritti li vedrete. Truffatore Lovatelli. 2 Un Ruffiano Maccabelli. 3 Un’Apostata il Severi. 4 Una spia Cervelieri. 5 Ignorante egli è Gambini.6 Altra spia è il Contarini. 7 Il Collina guercio audace

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8 Egli è un ver mostro triface Ignorante ,arciminchione, Che vuol far da Sacentone. Una Scimia, un Papagallo, Ve lo mostro ,ed io non fallo Il Cristino dei Rasponi 9 Vero Rege dei Coglioni. Quello poi ,che non ha pari. E’ l’indegno Montanari.10 Uccellini è un gran birbante,11 Pien di fame e protestante. Spia è Pio e farabutto.12 Un Crocìmaco Cornuto E’ la mummia Garavini , 13 Che il Preposto de Tiatini Ei sembrava. E’ un Scellerato, Un iniquo,un Sciagurato. Piavi14 avaro, ingordo, insano, Vende Cristo di sua mano. Fanticcini,o sia Casoni15 Prima feccia de’Bricconi, Questi alfine ha operato Sempre a norma del Casato, Che il proverbio dice, dà Quella botte il vin, che ha. Lovatelli Castellano16 E’ un rio Ladro, un torcimano. Valentini Prete tristo17 Che segnato è pur da Cristo Da Costui state lontani Quel nemico de’Cristiani. Del Roncuzzi la bottega,18 Io lo dico, e niun lo nega, E’ il ridotto de’ Giudei, La Nazion de Farisei; E a mostrarveli più tristi Son peggior de Calvinisti. Ve ne sono a precipizj Oltre tanti pien di vizj. L’Amador i 19,ed il Toschini20 E l’ippocrita Baldini ; 21 Se del figlio22 poi parliamo, Tutti già il lo conosciamo. Evvi il Serra23, evvi il Baroni o . 24 Evvi il Ladro de Spadoni , 25 E il più saggio ,e il più eccellente , D.Corlari26 uom valente. Certo Pampan i 27 Ex frate Valoroso in briconate. Certo Zucch i 28 Bolognese Truffatore del Paese. E Collina29 del Libraro, Magni30 ,e Fava31 van de paro Rota32 il piccolo ,e Ginanni33 D. Perelli34,e Camerani , 35 Il Fuschini Religioso36 Un Bendandi orgoglioso

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37 Ed il Bezzi Capitano38 Certo Sirmen uomo insano39 Traversari Segretario,40 Pien d’umore molto vario. Un Serena ,qual penello41 Posto al vento, ha il suo cervello, Come appunto la Farfalla La sua testa or vola ,or balla. Il Cachettico Bianchini42 Si distingue fra i più fini Li più empi malandrini Perfettissimi Giacobini. Il Landoni Poetastro,43 Che nel Club è Capo Mastro. V’entra pur fra tanti sciocchi Il notaro Miserocchi44 Sono insomma tutti quanti Una ciurma di birbanti, Finti son repubblicani Son Fanatici Anticristiani. Oh Repubblica beata! Se la turba qui notata, Di color ,che non han legge, Con un’ordin di chi regge, Dal tuo seno t’estirpasser, Tutti al diavol se n’andasser, Sì ,felici allor saremmo, Tutti quanti ci ameremmo, Come cari,e ver fratelli, Senza aver timor di quelli, Che il bel nome democratico, Or confondon col fanatico; Concambiando con dispreggio, D’esser liberi il bel preggio, Con i vizj, e le sozzure, Le lordezze ,e cose impure, Questi stolti sciagurati, Viver degni frà i dannati. Dunque ,o buon repubblicani, Non fanatici ,né insani, Su la voce con me alzate, La Repubblica gridate, Viva sempre e il buon Governo, Viva sempre ,ed in eterno. E sia solo estirpati Tutti i tristi ,e scelerati. Vivan sempre i democratici, Muoian tutti li Fanatici10

Se la “Sattira” era in cattivi versi (ma abbiamo il fondato sospetto che l’autore altri non sia che il Fiandrini stesso ,il quale dà verosimilmente questo giustizio per depistare), le note biografiche che seguono la “Sattira” – che commentano i nominativi da questa citati – sono senza rischio di attribuzione proprio del Fiandrini e ,a parte di non essere in versi, mantengono lo stesso giudizio liquidatorio di questi:

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1) Costa Paolo figlio di Domenico Nob:di Rav:, e nipote di D: Vincenzo Luigi, e di d:Giulio Costa ,il pmo Parroco di San Nicandro, il secondo Rettore del Seminario .Questo giovane non scarso di talenti, ora maritato con…Milzetti di Faenza ,si guastò affatto nell’Università di Padova, e divenne il più empio tra miscredenti Ravennati, e che fù il diabolico maestro di tanta povera Gioventù. 2) Tommaso Conte Lovatelli dall’Aste figlio del qndam Ippolito Lovatelli Dall’Aste, che prese moglie … Correlli di Faenza .Questo Giovane dà saggi continuamente del più empio ,fanatico Atteismo. 3) Vitale Macabelli figlio di Giuseppe Macabelli speziale in Calzoleria, sciocco, ed ignorante fanatico. 4) D: Giuseppe Severi Sacerdote,e già canonico Lateranense ,e Lettore di Filosofia di S:a M: a in Porto ,e Confessore in Chiesa, ora Capitano della Truppa Civica di Galla Placidia, molto attaccato alle correnti massime francesi. 5) Luigi Cervelieri Orologiaro in Calzoleria ,incredulo perfetto. 6) Conte Ruggiero Gamba Ghiselli figlio dell’ottimo Conte Paolo Gamba Ghiselli, e della Religiosissima Marchesa Marianna Cavalli; ora Comandante della truppa Civica, Fanatico terrorista senza Religione. 7) Gregorio Contarini Curiale dimesso figlio del qndam Vittorio Contarini Procuratore, e Nipote del Sr d:.. Contarini Parroco di S:Agata .Ora è capitano della Truppa Civica. Fantico ignorante, ed incredulo. 8) Florio Collina figlio del qndam Marcantonio Collina Droghiere sotto i Volti della Piazza, e fratello di Filippo Centrale del Lamone ignorante irreligionario. 9) Cristino Rasponi figlio del qndam Teseo Rasponi ,e di Lucia Ginanni, che ha in moglie Maria Laderchi di Faenza. Fanatico ignorante e miscredente perfetto. 10) Domenico Montanari di Antonio ,e Rosa Montanari da S:Eufemia ,che sposò Giacinta figlia di Sebastiano Venturi; Ignorantissimo e perfido persecutore dei cattolici . 11) Luigi Uccellini figlio di Giuseppe Uccellini di Cesena Cuoco; al servizio della Stamperia Roveri,e Casali ,perfettamente empio, ed irreligionario. 12) Giambatta Pio figlio del qndam Francesco, e di Rosa Pio, Nipote del celebre d: Domenico Pio Tenore di questa Capella ,e Mansionario; Fratello del valente Antonio Pio ,morto poch’anni sono in età di 43: anni,dopo di essere stato Mro di Capella in Ravenna ,e Mro di Musica a Venezia ,ed alla Corte di Pietroburgo anni 4.Il sudetto sempre eguale a se stesso ,sempre irreligionario, ora stà in ferri a Venezia relegato all’Isola di S: Servolo. 13) Garavini Andrea figlio del valente Fabro Ferrajo Francesco Garavini .Questo Giovane ,che proseguiva la Professione del Padre prese in Moglie Barbara Montanari Sorella del Sudto Dmnco N° 10: entrò nella turba di quelli ,che atterrarono le Croci de’ Capuccini, Capucine &c:, ed era tenuto p. un buon Giovine, in paragone a Giuseppe suo fratello, ma il fatto decise il contrario. 14) Piavi Domenico fabbricatore di Bicchieri ,bocchie , Pistoni ,e Zucche ,che abita vicino al Piazzale di Porto, ora Municipalista. 15) Casoni Oste di Professione da S: Giorgio , uomo empio. 16) Conte Ippolito domnco Castellano Lovatelli ,che fù marito di Maria dal Corno, che abita a Porta Sisi, e che fù Centrale. 17) D:… Valentini Sacerdote, e Mansionario del Duomo, mezzo orbo, che prese in moglie ,op Concubina la Contessa Dejanira Lovatelli Dall’Aste, Sorella di Tommaso Lovatelli. 18) Bottega di Spezieria posta sotto il Palazzo del Sale in faccia al Suffraggio. 19) Amadori dottore… Curiale. 20) Toschini figlio di Mro Gio: Toschini marmorino. 21) dottor Gaspero Baldini Municipale ,che fù nel Cairo d’Egitto p anni 18: uomo doppio ,bacchettone ,ma di niuna Religione. Municipale. 22) Paolo Baldini figlio del sudto nato al Cairo ,che all’Università di Padova perdette il buon costume. 23) Paolo Serra figlio del qndam Antonio Mercante di Pannina sotto i Volti della Piazza. 24) Domenico Baronio figlio di Felice onorato Negoziante,e Banchiere ,che ha p moglie Geltrude Machirelli dama Imolese; quale fece grosse compre di Beni de Regolari, specialmente di Porto,e di S: Vitale. 25) Spadoni… 26) d: Andrea Corlari Sacerdote, e Mro di Rettorica delle Pubbliche Scuole, Poeta ,e factotum di Rav: a ,il primo tra i Preti ,che ponesse indosso l’abito verde Nazionale, e Parucca alla Bruta, e che fù suggeritore, ed inspettore della cassazione di tutte le Inscrizioni di marmo in Rav:a, fù Indi Secretario della Municipalità di Cesenatico ,prese in moglie Marianna Godi, dopo averla tenuta p tant’anni sua Concubina. Dopo finita la democrazia fù tradotto a Venezia in ferri relegato all’Isola di S: Giorgio in Alega. 27) Pampani… di Cervia ex frate Carmelitano ,che fù più volte veduto a far l’esercizio militare mischiato alla Truppa Civica, e specialmente nell’empia Compagnia de Granatieri; morì poscia ammazzato nel Riminese. 28) Zucchi… di Bologna Mercante di Paste di Puglia, e droghe nella Strada di Pal Serrato ;fanatico Giacobino. 29) Gasparo Collina figlio di Franco Collina Librajo nella Strada di Pal Serrato, grand’atteo Giacobino. 30) Clemente Magni ,figlio del così detto Capit: Magni da Porta Adriana perfetto Franc – Mason.

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31) Domenico Fava Nipote di Giuseppe Fava Librajo in faccia al Piazzale di S: Francesco. 32) Bartolomeo Rota figlio del qndam Benedetto, e Benedetta Rota , e fratello di Giovanni Municipale, Giovine di poco sale. 33) Conte Girolamo Ginanni figlio del qndam Con: Bartolomeo, e Vittoria Ginanni, ignorante fanatico. 34) D: Gaspare Perelli Canonico della Marca Sacerdote, detto il Capelano de Giacobini. 35) Camerani Luigi droghiere, e che fù un tempo Municipale,accerrimo contro i Regolari. 36) D… Fuschini ex Canonico Lateranense di Porto. 37) Francesco Bendandi Chirurgo ,che abitava in faccia a S. Apollinare ,e che morì appresso 1799. 38) Francesco Bezzi già Capitano sotto il Papa ,che abita in Corso, in faccia alle Monache di Santa Chiara, che si fe’ ricco coll’usurpazione delle masserizie de Luoghi Regolari, allorché furono soppressi, e de quali n’era stato egli il Sopraintendente. 39) Lodovico Sirmen ,celebre suonatore di Violino insigne fanatico anticattolico, che p sua Confessione , era da 30: anni in poi ,che non erasi accostato ai Sagramenti. 40) Pietro Traversari Segretario della Municipalità p i meriti del Padre che fù celebre Segretario, e benemerito de Magistrati di Ravenna del suo tempo. 41) … Serena Computista della Municipalità. 42) Paolo Bianchini Chirurgo figlio di Gaetano Bianchini celeberrimo Professore di Chirurgia , ora Edile ,e del Comitato di Pulizia fanatico fautore delle correnti massime Francesi, abita in faccia al Monte di Pietà. 43) Jacopo Landoni Poeta Fanatico; che poi anche in tempo di democrazia mutò costume con edificazione dei buoni. Vedi p.371. 44) Francesco Maria Miserocchi Notaro da S: Eufemia figlio di Lorenzo Miserocchi . Fù Inspettore de Beni attinenti alla Pubblica Beneficenza, Gran Fanatico, assieme col Giovin Figlio Lorenzo , e che fù fautore di D: Giuseppe Loreta Parroco di Sta M: a in Coelos eo. Altri molti ne erano in Ravenna di simil razza ,ma troppo sarìa il volerli qui annumerar tutti ad uno p uno; basterà soltanto a tempo , e luogo indicarne i nomi. Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino; ma se anche li democratici condannavano l’empietà de Sudti, e simili anonimati, cosa avran dovuto dire i buoni, che in silenzio bevevano a sorsi il Calice amaro della Persecuzione.11 La nota 30 commenta il nome di Clemente Magni che viene ritratto nella satira come “perfetto FrancMason” ,osservazione del Fiandrini che ci permette di qualificarla come la prima fonte in ordine cronologico che ci parli della Massoneria a Ravenna. Ma ancor più importante al fine di inquadrare nella giusta prospettiva il documento è l’affermazione finale di Fiandrini che “Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino”, l’estremo tentativo di Fiandrini di depistare sull’attribuzione della satira, proposito tuttaltro che deplorevole viste le convulsioni che scuotevano la Repubblica Cisalpina all’inizio del ‘ 98. “La Cisalpina produceva in quei primi mesi del 1798 il suo massimo sforzo per aggiornare il ritmo e lo stile di vita di un’intera città [Ravenna] ai dettami delle nuove idee rivoluzionarie ,ma cercava di farlo con una pioggia di provvedimenti che rischiavano seriamente di sortire l’effetto opposto.[Si assistette così] a una sorta di violenza sulla società per farle accettare, volente o nolente, la nuova situazione[…].[L’ordine] giunto da Faenza di eliminare dalle strade o coprire le immagini votive della Madonna fu percepito dal popolo come l’inizio di un odio antireligioso[…]. [Ma il] peggio doveva ancora venire: la tensione in città crebbe rapidamente […] in un crescendo di satire politiche anonime e di atti sacrileghi che culminarono nella vicenda della “crocimachia” ”12 .Nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1798 quelli che vennero subito definiti crocimachi abbatterono tutte le croci che incontrarono sul loro cammino. Lo sdegno popolare fu immenso e le reazioni agli atti sacrileghi furono tenute a freno solo dalla paura dell’eventuale reazione delle forze francesi, che non avrebbero esitato, se necessario, a compiere una durissima repressione. La “Sattira in cattivi versi” – probabilmente del Fiandrini – e le successive note biografiche – sicuramente del Fiandrini – ,si inseriscono così in un cupo quadro dove al tradizionale antimassonismo cattolico si sovrappone una torbida situazione di tumulti, spiate, delazioni e liste di proscrizione a futura memoria (anche questo sono la “Sattira” e le note biografiche), che rende completamente impossibile distinguere il torto dalla ragione e dove appare del tutto evidente l’impraticabilità di una

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storiografia vista come una sorta di tribunale penale. Essere “uomini liberi e di buoni costumi” significa anche, pensiamo, non lasciarsi abbagliare da nessuna ideologia, in primo luogo la propria, ed impiegare gli strumenti critici che ci sono concessi, e quindi anche la ricerca storica, per esercitare una profonda compassione, nel senso etimologico del termine, verso le vicende di coloro che ci hanno preceduto e, conseguentemente, verso coloro che ci circondano. Il giornale di Ravenna del Conte Pompeo Raisi ,manoscritto conservato anch’esso presso la Biblioteca Classense di Ravenna, rappresenta la seconda fonte in ordine cronologico che si occupi della massoneria a Ravenna. Il 24 agosto 1803 Raisi annota nel suo Giornale di riunioni che avvengono a Ravenna fra i giacobini più esagitati e che i convenuti si distinguono per una particolare foggia del cappello. Più che di fronte ad una riunione massonica, ci troviamo probabilmente al cospetto di assemblee politiche che del cerimoniale massonico hanno mutuato un certo formalismo nel presentarsi alle riunioni e probabilmente dei segni di riconoscimento. Passano tre anni e il 23 maggio 1806 Raisi ci segnala una vera e propria riunione massonica: Non si mette più in dubbio la Loggia dei Liberi Muratori erretta in Forlì nel locale di S. Domenico ,il di cui capo è il Sig. ex canonico Albicini ammogliato e che esigge dai suoi conserti il titolo di Venerabile .Ieri notte in detto luogo dove stettero fino a giorno fecero una ben lauta cena alla quale intervennero 150 persone colà radunate da tutto il Dipartimento , e v’erano purtroppo ancora dei nostri Ravignani.13 La Loggia in questione è la “Reale Augusta”, Loggia tipicamente napoleonica ad iniziare, in primo luogo, dal trarre il nome dalla Viceregina d’Italia, la consorte di Eugenio Beauharnais ,la Principessa Augusta Amelia di Baviera. E siccome alla piaggeria non c’è mai limite, non solo a Forlì si era scelto di dare questo nome alla locale loggia massonica ma anche a Brescia ,Treviso, Ancona ed altrove. Ma quello che interessa più sottolineare del documento è che , per quanto non fosse ancora nata una vera e propria loggia ravennate, erano iniziati dei contatti con la vicina Forlì per giungere a questo risultato. Contatti che si dovevano svolgere a ritmo alquanto serrato se Raisi in data 20 giugno 1806 annota: Il Sig. ex canonico Albicini Capo della Loggia dei Liberi Muratori che si è eretta in Forlì è venuto a Ravenna e non si è fatto vedere che dai suoi seguaci, che ha radunati di notte in San Vitale, e tosto è ripartito per la sua patria. Questi sono i preliminari, ma la loggia qui non è ancora formata, o almeno scopertamente da poterlo asserire con verità.14 E finalmente in data 3 agosto 1806 possiamo considerare fondata la prima loggia massonica ravennate: In questa notte nel locale di S. Vitale vi è stata adunanza dei Muratori in numero di 18. Si chiusero alle ore 5 pom., cenarono in due tavole una di 6 l’altra di 12 dopo la mezzanotte nella cucina grande di detto luogo senza serventi e i piatti furono consegnati al principio del primo chiostro da un incognito ,e rimandati addietro quelli che li avevano portati. Li sei principali che mangiarono nella tavola separata furono il Sig.ri Casoni, Gaspare della Scala, Santini ,uno di Bertinoro, uno di Cesena e un altro di Faenza ,ch’erano venuti per comuni affari ,dopo avere tenuto una lunga seduta fuori di Faenza nel Palazzo Conti verso Bologna. Alla sud.a ora si fecero chiudere da un servente, che portò via la chiave, e in appresso presentatosi il Sig. Uccellini non fu ricevuto ,dicendo che non era compreso fra gli invitati. Vi erano tra i principali ancora il militare Tordo , Pietro Runcaldier, etc. etc. e la cena costò sc. 10,20. Sul far del giorno soltanto ritornarono alle loro case. Il pagamento si fa per via di mandati dal Sig. Gaspare Scala, e quando sono in radunanza si danno il titolo di cavagliere (!) 15 Una curiosa notazione. Il “Sig. Uccellini” – Luigi Uccellini, padre di Primo Uccellini – non fu ammesso alla riunione perché “non era compreso fra gli invitati”. Forse una giusta misura prudenziale e di buon senso verso un individuo che piuttosto che nell’ “edificare templi alla virtù” si era distinto in qualità di crocimaco nell’abbattimento per le pubbliche vie del principale simbolo della cristianità e nel prendere a sciabolate immagini sacre ? Ma nonostante l’accuratezza delle informazioni del manoscritto di Raisi che ci dà conto del numero e dei nomi dei protagonisti

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della nascita della loggia massonica di Ravenna ed anche del suo accrescersi (2 giugno 1807 : “E’ cresciuta di molto la Loggia dei Liberi Muratori in S. Vitale ,contandosi in oggi composta di 70 individui e più”16), fino ad arrivare a segnalare la costituzione di una sorta di loggia giovanile (30 gennaio 1808: “Si parla di una Unione che si va preparando con qualche effetto detta degl’Incipienti [per selezionare nuovi giovani elementi per] i Liberi Muratori”17), il Conte non ci informa sul nome della loggia Ravennate. Nome che apprendiamo dall’ultimo manoscritto da noi preso in considerazione, conservato sempre presso la Biblioteca Classense di Ravenna il Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807 di Don Luigi Badessi. Il manoscritto, datato 17 marzo 1808, non contiene informazioni rilevanti sulla loggia ravennate e sarebbe più significativo come indice di una cieca mentalità antimassonica ( “In Ravenna fuvi pure questa funesta semenza, ed in alcune stanze del soppresso Convento di S.Vitale fù piantata la presidenza de’ Miscredenti aleati. Da medesimi si fece cuniare la dicontro delineata Medaglia coi Moti, e cogli Emblemma , che si vedono descritti”18). Ma la descrizione della medaglia consiste nel disegno originale ,allegato al manoscritto, della Medaglia della Loggia “La Pigneta” di Ravenna, rappresentando un lato della medaglia una fenice che risorge dalle ceneri ancora ardenti19 spiccando il volo verso il sole e recante inciso il motto “Sic virtus resurgit”; l’altro lato con incisa la scritta “La Pigneta Or.:di Ravenna” – il nome appunto della Loggia – con la riproduzione di tre pini intrecciati e con alla base la cifra 5806, che indica il 1806, l’anno profano di fondazione della Loggia. Ovviamente la sorte di questa loggia ravennate sarà strettamente legata alle vicende del Regno d’Italia e riuscirà a sopravvivere solo pochi mesi alla sua dissoluzione e al ritorno dello Stato pontificio. L’ultima segnalazione del manoscritto Raisi sulla massoneria ravennate è in data 17 marzo 1815: Per ordine del comandante Carlos Ardos e del Maggior Brener furono fatte alcune perquisizioni in parecchie case .Furono arrestati il Sig. Verlicchi di Lugo qui dimorante, Marcello Nardi aiutante maggiore della guardia urbana assoldata ,Agostino Triossi ,Tomaso Lovatelli di Meldola Segretario generale di Governo, e il Colonnello Pietro Runcaldier Capitano del Porto nell’ufficio del quale furono trovati 25 fucili scarichi, e 45 nella sua casa nascosti tra due muri ,e fu arrestato Bergossi casermiere di S.Vitale per certo fuoco appiccatosi ad una camera ,dicono a bella posta da lui ,per abbruciare tutto quello che apparteneva setta dei Liberi Muratori ,nella qual camera tenevano le loro conferenze.20 Su Ravenna e sulla Romagna era così scesa la notte della reazione e le attività latomistiche ,ancor più che nel resto del Paese, dovettero praticamente cessare. Non cessò, invece, ed anzi assunse toni più accesi che nel resto d’Italia, l’insofferenza romagnola verso il ritorno dell’ancien régime: in fondo la ventata d’oltralpe ,nonostante tutti i suoi difetti e contraddizioni, aveva soffiato impetuosa e il confronto con la restaurazione – in Romagna nella versione Papa Re, una delle peggiori in assoluto – risultava impietoso e senza appello. La repressione papalina non ebbe troppa difficoltà a demolire la massoneria di tipo napoleonico: troppo conosciuti ,molto dei quali con ruoli pubblici, i suoi componenti, e sovente compromessi col passato regime. Non poteva però cancellare – compito veramente sovraumano che non poteva riuscire nemmeno da chi pensava di trarre forza e legittimità da Dio stesso – il ricordo delle passate libertà, di cui le logge massoniche con le loro riunioni dove sedevano gomito a gomito i più diversi ceti furono una delle più riuscite traduzioni pratiche, una nuova ed inedita forma di socialità che rivoluzionava la caratteristica principale e più odiosa dell’ancien régime ,la rigidissima separatezza fra le classi, un vero e proprio sistema castale che non aveva nulla da invidiare con quello induista. E se la Massoneria fu facilmente demolita ,il costume massonico di riunire uomini di diversa provenienza ed esperienza, non più ora “ per edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio” – come recita un odierno cerimoniale massonico ma ben espressivo delle finalità della Massoneria sin dai suoi esordi – e nel contempo fungere da supporto per la politica del gran Corso e dei suoi proconsoli italiani , ma per , mutate le circostanze , cospirare per la libertà , era definitivamente entrato nella mentalità italiana, specialmente in Romagna. Non altra spiegazione trova l’incredibile sentenza Rivarola del 1825 .

Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 19

Uso questo termine non in riferimento alla moltitudine di persone che furono colpite dalla sentenza che porta il nome del Cardinal Legato Agostino Rivarola : “La sentenza investì più di 700 persone e fra queste 7 furono condannate a morte (sentenza che però non fu eseguita) , 6 all’ergastolo, innumerevoli altre a pene carcerarie minori ( bisogna comunque tenere nel debito conto la durezza delle carceri del Papa Re) ,fino a giungere a quasi trecento persone le quali pur variamente condannate non dovettero subire il carcere.”21 No ,incredibile non fu tanto la sentenza ma lo spaccato che essa ci presenta della situazione sociale e cospirativa di allora ( in questo senso una delle migliori dimostrazioni della teoria dell’eterogenesi dei fini nella storia: Rivarola non intese certo lavorare per gli adepti di Clio) . “ La sentenza Rivarola, infatti, colpisce indistintamente individui di tutti i ceti e di tutte le condizioni: accanto al nobile viene condannato anche il nullatenente, dediti, tutti appassionatamente, alla cospirazione secondo i loro mezzi e le loro possibilità. Una cospirazione esercitata soprattutto attraverso le sette carbonare , come nel resto d’Italia, le quali però possiamo affermare attraverso la sentenza Rivarola che in Romagna ebbero uno degli sviluppi più rigogliosi di tutto il Paese”22 , segno evidente che il costume massonico di riunire uomini diversi per condizione e per censo ma legati dalla volontà di combattere per la libertà e contro il Papa Re ( in un certo senso la versione dell’ epoca dell’ essere “uomini liberi e di buoni costumi” ) era ormai una delle caratteristiche più peculiari – e a nostro giudizio migliori – della mentalità romagnola. Una mentalità romagnola che già di per sé portata all’iperbole e innestandosi nell’indubbia propensione massonica per una certa teatralità , non paga di rappresentare una sfida terribile per la reazione ( e di pagarne quindi, come si è visto, le durissime conseguenze) , arriverà anche ad informare ad una notevole melodrammaticità ( ma mai come in questo caso absit iniuria verbo ) i nomi di questi numerosi gruppi cospirativi : Figli di Marte, Figli della Speranza, Fratelli Artisti, Maestri Perfetti, Fratelli del Dovere, Ermolaiti, Illuminati, Latinisti, Adelfia, Siberia, Turba , Federati, Americani23. La sentenza Rivarola del ’25 costituisce quindi la terribile istantanea “di un popolo che, primo in Italia, in tutte le sue articolazioni, scinde decisamente le sue sorti da quelle della restaurazione”24, come era già stato anticipato dai moti del ’21 e come sarà dimostrato dal succedersi degli eventi dopo la sentenza. Nel ’31 la Romagna verrà scossa da moti cui seguirà una dura repressione ( il più tragico epilogo di quella vicenda sarà lo scontro presso Rimini fra i patrioti del generale Zucchi e le truppe austriache, un episodio di tale drammaticità ed esemplarità che spinse Mazzini a scrivere la sua prima opera politica, la commovente La notte di Rimini, maledizione alla Francia di Luigi Filippo). Nel ‘43 e nel ’45 la Romagna sarà lo scenario di ulteriori moti . Per la Repubblica Romana cadranno 96 romagnoli e 76 saranno i feriti. Forlì, con un abitato cittadino , alla vigilia della seconda guerra d’Indipendenza, di 15000 unità ,fornì a questa guerra 800 volontari, un contingente altissimo in rapporto alla popolazione urbana (in pratica, quasi tutti gli uomini idonei alle armi ). A Monterotondo ,glorioso episodio militare dell’altrimenti infausta spedizione di Garibaldi del ’67 nell’agro romano, dei 150 caduti complessivi, 32 sono i romagnoli di Caldesi e Valzania. Ma questo suo costante essere all’avanguardia nelle lotte risorgimentali, questa partecipazione incessante e generosa contro ogni forma di oppressione ( in primis quella pontificia ma, concluso il Risorgimento, contro la soluzione moderata che era stata data della questione nazionale) trovano il suo incunabolo nella radiografia della società romagnola che emerge dalla sentenza Rivarola. Una regione povera (i condannati dalla sentenza sono rappresentativi di tutti i ceti e professioni e numerosi sono anche gli indigenti) ma che nonostante tutto e a dispetto di tutto non ha mai smesso di sognare un avvenire migliore. E gli strumenti più adeguati per iniziare concretamente a lottare per questo sogno sono quelli lasciati in eredità dalla liberomuratoria, praticamente dissolta dall’alleanza del Trono con l’Altare ma trasmutatasi, come in una sorta di processo alchemico, nella Carboneria ed in tutte quelle sette e conventicole paracarboniche di cui la lettura della sentenza Rivarola ci restituisce uno degli spaccati più impressionanti ( ma anche più rasserenanti, ché la storia degli “uomini liberi e di buoni costumi” che si associano per scaraventare in “oscure e profonde prigioni” le tirannie è sempre edificante ).

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Sotto questo punto di vista, va giudicata e condannata con tutta la severità possibile la tesi del Luzio25 tesa a ridicolizzare l’apporto della Massoneria nel Risorgimento italiano, imperniata sulla fallace inferenza che siccome nel Risorgimento non si ebbe, in pratica, alcuna attività latomistica, l’influsso della Massoneria nel processo unitario debba considerarsi inesistente. Che è un po’ come dire che il Cristianesimo perché perseguitato e ridotto per lunghi periodi in clandestinità sotto l’Impero, poté acquisire un fondamentale ruolo storico e politico per la civiltà occidentale solo dopo l’Editto di Milano del 313, col quale Costantino il Grande rese per la prima volta esplicitamente tollerato il culto soterico cristiano – paolino. In realtà la tesi del Luzio più che un errore – orrore storiografico fu un vero e proprio calcio del somaro inflitto mentre la Massoneria stava spirando sotto le amorevoli cure del Cav. Benito Mussolini, il quale con il pronto intuito che caratterizzò sempre la sua attività politica, ben aveva compreso che la trasformazione dell’Italia postrisorgimentale liberale in stato totalitario passava attraverso la demolizione della Massoneria. E per dare più peso alla sua pseudotesi storiografica, non si peritò Luzio di brandire “contro la Libera Muratoria nientemeno che la relazione con la quale Mussolini intimò alle Camere di regolamentare l’iscrizione dei pubblici dipendenti alle associazioni (cioè vietò di iscriversi alla Massoneria). Proprio allora era in pieno svolgimento il dibattito che si concluse con il forzato autoscioglimento delle Logge, preludio a quello dei partiti politici e sindacati di opposizione”26. Se la tesi di Luzio non ne guadagnò in autorevolezza, quello che era andato così perduto in credibilità fu a tutto vantaggio della deterrenza rivolta contro la Massoneria e ,in generale, contro chiunque si fosse azzardato ad ergersi contro il novello dittatore, non importa se ricorrendo ai riservati strumenti muratorii e a quelli più essoterici dei partiti politici e dei sindacati. Anche se non certo annoverabile fra gli amici della Massoneria (anzi), fu in quelle circostanze più equanime Antonio Gramsci che bollò la Massoneria come il “partito della borghesia” e come tale il nemico di sempre delle forze progressiste. Ma in questa stereotipata fraseologia, è ben possibile cogliere un grano di verità insieme ad una profondissima inquietudine che tormentava il fondatore del partito comunista d’Italia. Il grano di verità. La Massoneria non era mai stato il partito della borghesia ma certamente con la borghesia (anche se non solo con questa : Andrea Costa e tutti i socialisti che transitarono fra le Colonne molto difficilmente potrebbero essere definiti borghesi per censo e mentalità) essa fu uno dei momenti privilegiati per il formarsi dell’identità italiana. L’inquietudine. Al di là delle parole d’ordine sul socialismo prossimo venturo che avrebbe fatto dell’Italia la copia latina della Repubblica dei Soviet, Gramsci aveva capito benissimo che per molti anni i giochi erano fatti e che sarebbe scesa sull’Italia per molto tempo la cappa della dittatura mussoliniana. Definire la Massoneria il partito della borghesia, corrispose da parte di Gramsci, in quelle circostanze storiche, nient’altro che ad un esercizio consolatorio e di rimozione che consisteva nella creazione di un nemico di cartapesta ( la massoneria – borghesia ) per non vedere il nemico in carne ed ossa, il fascismo, che si stava facendo un solo boccone di Massoneria (messa fuori legge) , borghesia ( nel senso dell’Italia liberale che dopo la prima guerra mondiale ed il fascismo non riuscirà più a ritrovare sé stessa) e di socialisti riformisti o rivoluzionari che dir si voglia che, come Gramsci, dovettero scontare anni di carcere e di confino (assieme a chi socialista o comunista non lo era affatto come il Gran Maestro Domizio Torrigiani, Carlo Rosselli, Emilio Lussu e tanti altri il cui unico difetto era di amare la libertà) se non addirittura l’eliminazione fisica (come don Minzoni, Matteotti, Gobetti e Amendola, uccisi dal fascismo proprio perché nel ventaglio delle loro rispettive posizioni costituivano ,comunque, l’alternativa possibile alla rivoluzione dei soviet e alla controrivoluzione totalitaria che aveva travolto il paese). Una sorta quindi, quello di Gramsci, di omaggio postumo alla liberomuratoria, da parte di un avversario che ha intuito – ma che non ha il coraggio di esplicitare fino in fondo – che la fine di questo suo nemico, sostituito da un ben più terribile leviatano ,che non sarà mai partito di nessuno ma solo di sé stesso, significa anche la sua fine. D’ora in avanti la parola sarebbe passata ai Luzio e, ancor più, ai suoi mandanti morali. Per molti anni non l’avrebbero ceduta a nessuno.

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1 F. Beltrami, Il Forestiere instruito delle cose notabili della città di Ravenna, Ravenna, 1783, p.167. 2 E. Bonvicini, Esoterismo nella massoneria antica, vol. 1, La simbologia celata nelle regole costruttive, Roma, Atanor, 1993, p.225. 3 F. Beltrami, Il Forestiere instruito… cit., pp.193-194. 4 N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia (1743-1795). Architettura e riformismo nelle Legazioni, Imola, Santerno Edizioni, 1976, p.75. 5 Un altro uroboros con evidenti richiami simbolici è quello posto al vertice dell’ iscrizione sulla facciata del Capanno Garibaldi di Ravenna. L’iscrizione di datazione incerta – ma probabilmente risalente al periodo immediatamente successivo all’ entrata di Ravenna nel Regno d’Italia – celebra con ampollosi riferimenti al tema della natività – ma bisogna tenere conto della mentalità del tempo e degli entusiasmi per la fine del potere temporale del Papa – l’impresa dei salvatori ravennati di Garibaldi dopo la caduta della Repubblica Romana del 1849: “Questa sacra capanna/ che nel 1849 tolse alla strage/degli erodiani austriaci e di Roma/Garibaldi liberatore/i battezzati italiani/onoreranno/come quella/di Betlemme di Nazaret” 6 U. Foschi, Case e famiglie della vecchia Ravenna, Ravenna, Longo, p.55. 7 E. M. Ferrucci, Il Palazzo della Provincia di Ravenna. Suggestioni di un percorso d’architettura, Ravenna, Longo, 1997, p. 62. 8 Ibidem, p.48. 9 P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna e di altri luoghi di Romagna, Ravenna, 1855, p.343. 10 B. Fiandrini, Annali ravennati dalla fondazione della città fino alla fine del secolo XVIII, vol.III, ms. ,presso Biblioteca Classense di Ravenna , alla data 28 luglio 1798. 11 Ibidem. 12 A. Varni, L’età giacobina e napoleonica a Ravenna, in A. Varni (a cura di ) “I giacobini” nelle Legazioni. Gli anni napoleonici a Bologna e Ravenna, ( Atti dei convegni di studi svoltisi a Bologna il 13-14-15 novembre 1996, a Ravenna il 21-22 novembre 1996), Costa Editore, vol. III, p. 16. 13 P. Raisi, Giornale di quanto è avvenuto di più rimarcabile dopo l’arrivo dei francesi in Ravenna proseguito dal cittadino Pompeo Raisi dal 1798, vol. VI, ms., presso Biblioteca Classense, alla data 23 maggio 1806. 14 Ibidem, vol. VI, alla data 20 giugno 1806. 15 Ibidem, vol.VII, alla data 4 agosto 1806. 16 Ibidem, vol. VII, alla data 2 giugno 1807. 17 Ibidem, vol.VII, alla data 30 gennaio 1808. 18 L. Badessi, Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare , e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807,ms., datato 17 marzo 1808, presso Biblioteca Classense di Ravenna. 19 Molto curiosamente ,alla base della colonna sud di Piazza del Popolo di Ravenna, quella che sorregge la statua di S. Apollinare, è scolpita una fenice. Sia il basamento della colonna sud che quello della colonna nord furono scolpiti nel 1483 da Pietro Lombardo, lo stesso scultore che scolpì il bassorilievo di Dante Alighieri posto sopra l’arca che custodisce le ossa del Poeta, che fu “fedele d’amore” e quindi non ignaro di esoterismo. Forse i fondatori della Loggia “La Pigneta” si ispirarono direttamene a questo motivo per la loro medaglia, forse è un’ipotesi azzardata come molte altre che potrebbero essere formulate su questa singolare coincidenza. Certamente , tutte s’inscrivono nell’ orizzonte di quei numerosi affioramenti misterico-simbolici che- come si è visto – contraddistinguono la nostra città. 20 P. Raisi, cit.,vol. VIII, alla data 17 marzo 1815. 21 M. Morigi, Perché dalla Romagna la continuità democratica, in “Nuova Repubblica “, 11 aprile 1996, n.5. 22 Ibidem. 23 Singolare, al limite del folcloristico ma ben espressivo di una mentalità romagnola totalmente “ all’opposizione”, rispetto al nuovo ordine reazionario, è l’incontro di Byron con gli “Americani”, riportato in L. Miserocchi, Ravenna e ravennati nel secolo XIX .Memorie e notizie, Ravenna, Società Tipo-editrice Ravennate e mutilati, 1927,pp.252-253:”Nello stesso anno sorse pure in Ravenna una compagnia di cacciatori denominata “Gli Americani” (in ricordo ,sembra ,della rivoluzione d’America). Essa è così rievocata da Byron nel Diario del suo soggiorno in Romagna sotto la data del 29 gennaio 1821. ‘Cavalcando nella foresta (intendi pineta) m’inbattei in una compagnia di uomini tutti armati, i quali erano denominati “Gli Americani”; essi cantavano a tutta possa in romagnolo: Siam tutti soldati per la libertà! Sem du ,sem tri-sem tot d’un partì/semsi,sem ott – sem tot patriot! Passando ,mi salutarono. Io restituii loro il saluto e proseguii nel mio cammino’. Per questo spirito patriottico e per una cavalcata in maschera ,con gilè rosso, cappello rosso e pantaloni bianchi, organizzata dalla compagnia nel febbraio 1821, e che riuscì una clamorosa manifestazione di sentimenti liberali, il Legato Cardinale Rusconi comprese che non si trattava di una semplice società di cacciatori , ma di una nuova e pericolosa setta politica. Cominciarono quindi le persecuzioni contro coloro che fossero gravemente indiziati di appartenere alla setta degli Americani.” 24 M. Morigi, Perché dalla Romagna…,cit. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 22 25 A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna, Zanichelli, 1925, 2 voll. 26 A. A. Mola ,Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1993,

p.22. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – 

2001-2021. Quali risultati per le relazioni tra la Francia e l’Africa francofona? Yves Montenay

Continuiamo a presentare il punto di vista francese sulle dinamiche geopolitiche africane. Le posizioni dei vari analisti sono diverse e spesso contrapposte, come si arguisce dai tanti scritti di Bernard Lugan postati sul nostro sito. La Francia rimane comunque un paese dal ruolo cruciale in quell’area, anche se costretta ad appoggiarsi e richiedere sempre più il sostegno dei paesi alleati della NATO, tra cui l’Italia. Sirene alle quali si dovrà prestare molta cautela. L’atteggiamento minimizzatore del nostro ceto politico non aiuta certo a cogliere a pieno la complessità della situazione_Giuseppe Germinario

La Francia mantiene importanti legami con le ex aree colonizzate dell’Africa, legami economici e militari ma anche linguistici. Questo aiuta a creare un rapporto speciale, che si è evoluto molto negli ultimi vent’anni. Intervista a Yves Montenay.

Ingegnere di formazione, Yves Montenay è stato consulente per molte PMI in Asia e Africa. Ha lavorato con Léopold Sédar Senghor e ha completato una tesi in demografia politica. Ha insegnato in diverse istituzioni superiori, permettendogli di visitare regolarmente diversi paesi africani.

L’arrivo della Cina e la presenza sempre più forte della Russia danno l’impressione che la Francia sia cacciata dal suo distretto africano. I soldati di Wagner sono presenti nella Repubblica Centrafricana e l’ostilità verso la Francia si manifesta in maniera ricca. Gli ultimi 20 anni non hanno segnato la fine della presenza francese nel continente africano?

Una parola in primis sulla Repubblica Centrafricana dove l’ attività concreta di Wagner dovrebbe essere maggiormente diffusa. In primo luogo, si sono distinti per la brutalità nei confronti della popolazione, che viene documentata, e in secondo luogo il loro servizio non è gratuito. Sono remunerati con una tassa del 25% sulle attività minerarie.

I maliani, abituati al “servizio gratuito” della forza Barkhane, e che sognano di vedere arrivare i “nostri amici russi”, dovranno regalare loro parte della loro produzione, soprattutto oro, il che significa che dovranno utilizzare la forza nelle miniere informali.

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Ma attenzione, questo non è colonialismo, è amicizia! E poi saranno solo poche migliaia, come i francesi. Non si dovrebbe quindi contare su di loro per occupare la terra a nord. Allora a cosa serviranno? Probabilmente di guardia del pretorio agli attuali dirigenti, che, ricordiamolo, sono stati addestrati a Mosca.

Lo noteremo non appena la popolazione chiederà un po’ di democrazia o, più semplicemente, sarà delusa dall’assenza di sicurezza o di miracoli economici.

Africa occidentale (c) Wikipedia

Ma dobbiamo parlare della fine della presenza francese nel continente africano?

La situazione è estremamente variabile da un paese all’altro, e in alcuni le difficoltà della Francia stanno aumentando a ritmi vertiginosi.

Sono piuttosto pessimista, perché si tratta di un taglio generazionale alimentato dalle potenze, Cina, Russia e Turchia per limitarsi alle principali, che sono perfettamente radicate nelle operazioni di influenza e ad essa dedicano mezzi significativi.

Tuttavia, la Francia ha pochissimi interessi economici nella regione, in particolare in Mali, e ciò sarà accentuato dalla vendita degli asset di Bolloré a un gruppo svizzero.

Inoltre, l’Africa subsahariana non è affatto un blocco. Ogni paese è molto diverso dal vicino e li classificherò in tre gruppi:

I paesi costieri , a cui si aggiungono il Congo Brazza e il Madagascar, sono prevalentemente oa cornice cristiana (tranne il Senegal). Non hanno seri problemi con la Francia, anche se certi comportamenti possono infastidire Parigi, come la tentazione del Gabon per il Commonwealth. Ciò non impedisce a questi paesi di avere gravi problemi interni, in particolare in Madagascar e Camerun, dove il governo reprime la parte anglofona (che secondo me dovrebbero dare autonomia quanto prima!). E la parte musulmana della sua popolazione non è immune da quanto sta accadendo nel Sahel (compreso Boko Aram per il Camerun) e dalla propaganda wahhabita,

La Repubblica Democratica del Congo, che è un mondo a parte, con i suoi 92 milioni di abitanti. La Francofonia sembra essersi ben radicata lì, in particolare grazie a un vasto settore scolastico cristiano, ma la politica è imperfetta e non siamo immuni da una sorpresa.

Ad esempio il padre Kabila aveva decretato l’inglese come lingua ufficiale, cosa che non aveva conseguenze pratiche, prima che questa decisione fosse cancellata (questo è stato anche il caso del Madagascar). Non conosco alcun problema particolare tra la Repubblica Democratica del Congo e la Francia che non fosse la potenza colonizzatrice.

Rimangono i paesi del Sahel , e il caso particolarmente difficile del Mali, che non riescono a far fronte all’offensiva jihadista e la cui parte più chiassosa della popolazione accusa la Francia di tutti i mali. Tuttavia, ho echi diversi da un’altra parte della popolazione che ha legami intellettuali o cooperativi o familiari con la Francia.

Negli anni ’90, le Nazioni Unite hanno stabilito gli obiettivi di sviluppo del millennio per l’Africa. La Francia è molto coinvolta nello sviluppo del continente, attraverso l’AFD e le sue numerose ONG. Eppure questi aiuti sembrano essere un pozzo senza fondo e non sembrano essere visibili grandi risultati. Abbiamo fatto 20 anni di aiuti per niente?

Tornerò a monte. Siamo passati impercettibilmente dal periodo coloniale a un periodo chiamato neocoloniale.

Il termine è tecnicamente giustificato, d’altronde la sua connotazione negativa non lo è affatto, poiché in generale questo periodo neocoloniale è stato il migliore per la maggior parte di questi paesi, come illustrato ad esempio dal Madagascar e dalla Costa d’Avorio. .

Ho assistito a questa epoca neocoloniale durante la quale molti amministratori francesi sono passati dalla carica di esecutivo a quella di consiglio.

In precedenza, e contrariamente a quanto si dice oggi, la fine del periodo coloniale fu quella dello sviluppo forse paternalistico, ma non del saccheggio, termine che peraltro ha realtà concreta solo in ambito militare e non ha senso economico.

NB: lo studio economico della colonizzazione e la critica alla nozione di “saccheggio” sono sviluppati nel mio libro  The Myth of the North-South Ditch, and How One Cultivates Underdevelopment

E sono crollati i paesi che tagliavano violentemente con le metropoli come la Guinea.

Questo periodo neocoloniale si è spesso concluso con rivoluzioni, colpi di stato o guerre civili, lasciando una situazione molto degradata.

Ciò è stato particolarmente evidente in Madagascar, che non si è mai ripreso, e in Costa d’Avorio, dove la prosperità, in parte dovuta alla presenza di PMI francesi brutalmente espulse, non è tornata del tutto.

È vero che questo periodo neocoloniale si è riflesso anche in un’influenza politica della Francia, che si è riflessa in particolare nei voti favorevoli all’ONU e nell’ingerenza nella scelta dei leader dei paesi africani. Ma è un’era che è finita da tempo e gli eredi dell’influenza politica francese, ad esempio in Gabon, Camerun o Ciad sono liberi, e inoltre il loro comportamento autocratico è disapprovato a Parigi… che però non interviene.

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Nuovo numero speciale: Army, il salto ad alta intensità

Ma la propaganda antifrancese usa questo periodo neocoloniale per proclamare: “certo, siamo mal governati, ma è perché la Francia ci ha imposto cattivi governanti”.

Dimentichiamo che le Indipendenze hanno ormai circa 65 anni e che tutti gli interessati sono scomparsi. Dimentichiamo anche i successi economici di questo periodo neocoloniale, soprattutto rispetto alla situazione odierna.

Quindi l’uso di questo argomento nella propaganda antifrancese oggi si basa sull’ignoranza delle giovani generazioni.

Questa rottura generazionale è aggravata dalla scolarizzazione nell’istruzione superiore a livello locale e non più in Francia.

C’è quindi una scarsa conoscenza di questi ultimi, per non parlare del ruolo di alcuni insegnanti che hanno cercato di “porsi opponendosi” o di dirigenti formati nei paesi ostili sopra citati, a cui si aggiungono le università islamiste, tra cui quello di Riad.

Il sentimento antifrancese degli studenti è colorato dall’ostilità verso la lingua francese (la lingua “vera” è l’arabo) e verso l’Occidente “decadente” in generale.

Nell’Africa nera, la Francia guarda soprattutto ad ovest: Costa d’Avorio, Sahel, Senegal. L’Africa orientale e quella dei Grandi Laghi sono definitivamente perse per la Francia?

La Francia non è mai stata molto presente lì, nonostante il periodo “globalista e anglofono” del MEDEF.

Inoltre, questa regione, contrariamente alla sua reputazione, si sta sviluppando piuttosto meno bene dell’Africa francofona , ad eccezione del Ghana e del Kenya. Il peso massimo, il Sud Africa, è sicuramente il paese più sviluppato dell’Africa, ma è rimasto fermo per molto tempo.

Il peso massimo demografico è la Nigeria , che teoricamente ha un guadagno inaspettato di petrolio. Ma sappiamo che questa cosiddetta manna è in realtà un handicap che esacerba le rivalità tribali, alimenta la corruzione e pesa sullo sviluppo.

Mentre la grande metà musulmana del paese nel nord rimane particolarmente sottosviluppata e in parte disorganizzata da Boko Aram e dai suoi rivali.

La Francofonia ha ancora oggi il ruolo che ha svolto nel 2001?

A differenza del Commonwealth, l’Organizzazione Internazionale della Francofonia non ha mai avuto obiettivi economici e si limita all’azione culturale.

Ciò che mi sembra importante non è questa organizzazione, ma la diffusione della lingua francese. Quest’ultimo è cresciuto notevolmente dal 2001, per tre motivi.

Il primo è il progresso della scuola in francese e in particolare nelle scuole private dalla scuola materna all’università. Certo, non ci sono scuole ovunque, e alcune sono composte solo da un’unica classe supervisionata da un insegnante mal pagato, se non del tutto e quindi alimentata dai genitori. Ma non dobbiamo dimenticare il gran numero di scuole che operano normalmente.

La seconda è che la borghesia locale è sempre più spesso nella terza generazione nell’istruzione, il che fa del francese la sua lingua madre . Il francese non è quindi più una lingua straniera per questa borghesia, ma la vera lingua nazionale.

Il terzo motivo più noto è la rapida crescita della popolazione dell’Africa. Questa crescita demografica porterà tutti i paesi francofoni a 750 milioni intorno al 2050, se gli eventi politici non interromperanno la scuola in francese.

Infine, l’ambiente letterario parigino e in particolare quello degli editori hanno a lungo sottovalutato gli scrittori di lingua francese. Questo periodo sembra finito, come dimostra l’attribuzione dell’ultimo premio Goncourt a Mohamed Mbougar Sarr.

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Ma ovviamente chi dice francofonia non significa necessariamente francofonia. Gli oppositori più virulenti della Francia parlano in francese.

Una parola sul Nord Africa

Il Maghreb si avvicina ai 100 milioni di abitanti, a cui si aggiungono circa 100 milioni di egiziani. La crescita demografica considerata molto rapida in Francia è infatti più debole lì che nel sud del Sahara, dove la sola Nigeria presto supererà l’intera regione.

È anche la parte più sviluppata dell’Africa, anche se questo confronto non ha molto senso, date le disparità regionali nel nord come nel sud del continente.

Nel Maghreb i tre paesi, umanamente e storicamente abbastanza simili, hanno continuato a divergere, ma i dati principali non sono cambiati dal 2001:

Un Marocco che parte da inferiore agli altri, ma in solida progressione con una buona base industriale e agricola a criteri europei e una libertà politica e religiosa superiore al resto del mondo arabo, eccettuata la Tunisia. L’istruzione pubblica è deplorevole, ma il settore privato, in gran parte di lingua francese, con progressi comunque in inglese, fornisce quadri intermedi. A meno che non si verifichi un incidente una tantum, i rapporti con la Francia sono buoni,

Una Tunisia che condivide molte caratteristiche con il Marocco, ma parte da più alti in termini di tenore di vita e democrazia, nonostante i recenti fallimenti,

Un Algeria , che, al contrario, sta lottando per uscire del socialismo e non di sviluppo, i proventi del petrolio in corso in gran parte confiscati. Queste entrate consentono un’economia basata sull’importazione con scarsa produzione nazionale, anche se la privatizzazione della cultura e la relativa liberalizzazione industriale hanno consentito scarsi progressi. Insomma, un flagrante fallimento economico e politico, la cui responsabilità è attribuita contro ogni evidenza alla Francia . Ciò ha comportato l’esclusione delle esportazioni francesi a vantaggio della Cina in particolare e culturalmente da pressioni sulla parte francofona della popolazione.

Quanto all’Egitto,ha praticamente chiuso il cerchio negli ultimi 20 anni: la dittatura militare di Mubarak ha lasciato il posto alla democratizzazione che ha portato al potere i Fratelli Musulmani. Il loro fallimento ha generato una nuova protesta, che si è conclusa con il ritorno al potere dell’esercito. La posizione della Francia, preponderante fino al 1956, è stata distrutta dall’affare Suez e il socialismo Nasser ha rovinato il Paese, che si è ripreso solo in parte da esso e il cui precario equilibrio economico è dovuto solo agli aiuti americani, ai canoni del Canale di Suez, del gas e del petrolio, e spedizioni espatriate in Arabia Saudita. L’immagine della Francia resta buona, ma i nostri interessi economici non sono molto importanti e la Francofonia è stata ridotta a una parte dei circoli privilegiati.

Per concludere, colpisce vedere il riemergere della demonizzazione della colonizzazione , quando quest’ultima ha 60 anni e talvolta molto di più, e quindi non ha nulla a che vedere con i problemi africani attuali.

Ma il punto è che questo argomento ha molto più successo che ai tempi dell’indipendenza, forse proprio perché i testimoni sono scomparsi. E che non possono contraddire i proclami “anticoloniali” dei concorrenti della Francia e dell’Occidente in Africa.

Questo è il periodo in cui la Russia e la Turchia sono state a lungo colonizzatori sanguinari e da allora la Cina non è stata gentile con Manciù, Mongoli e Tibetani e, più recentemente, con gli uiguri.

Covid in Africa: un po’ di raffreddore?, di Bernard Lugan

Il centro epidemiologico Epicentro annesso a (MSF) Medici Senza Frontiere, ha pubblicato il 28 dicembre 2021 un articolo intitolato “Covid-19 in Africa: il virus circola più di quanto annunciato” e, sotto la didascalia “L’epidemia di Covid 19 è stata sottovalutato? ”

Questi due titoli “allarmisti” nascondono l’interesse principale dell’articolo, che è quello di riportare il “flagello del secolo” alla sua vera realtà. Almeno per quanto riguarda l’Africa, dove la devastazione annunciata non si è verificata poiché i casi ufficiali di Covid, lì sono particolarmente bassi. Un mistero vista la sua contagiosità e il bassissimo tasso di vaccinazione.

Inoltre, per cercare di capire questa eccezione africana, sono stati condotti diversi studi sulla sieroprevalenza, questo marcatore infallibile che consente di contare il numero di soggetti che, in un momento o nell’altro, sono stati in contatto con il virus o i virus. del covid.

Lo studio, che è stato condotto in sei paesi, Mali, Niger, Kenya, Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Camerun, ha permesso ai suoi autori di stabilire che la percentuale di persone asintomatiche, cioè che non manifestano alcun sintomo, è molto alta . Così, secondo le analisi di sieroprevalenza, il 42% dei nigerini è stato infettato una volta o l’altra dal, o dal, covid, e questo senza avvertire il minimo sintomo mentre il tasso ufficiale nazionale è dello 0,02%. In Mali i rapporti sono 25% e 0,07%, in Sudan 34% e 0,08%.

Lo studio spazzando via il desiderio delle autorità di camuffare le reali figure dei pazienti, la spiegazione è potenzialmente triplice:

1) Non avendo sintomi, i cittadini di questi paesi non verranno testati.

2) Il virus circola in maniera molto importante, ma sotterranea, e senza provocare forme gravi. Tranne, come in Europa, nelle persone a rischio, i giovani non sono molto sensibili ad esso. Tuttavia, la popolazione africana è giovane. In queste condizioni, scrive il rapporto, “In Niger forse non è necessario vaccinare tutta la popolazione, la cui età media è di 15 anni”. Tanto più che lo studio ci dice che il 42% della popolazione è ormai immune da quando è stato in contatto con il virus…

3) Attraverso ciò che scrivono gli autori, ma senza che lo dicano apertamente, in Africa, l’immunizzazione naturale della popolazione sembra quindi essere una realtà,Ancrepuò essere lo stesso in Europa? Questo merita un nuovo studio.
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Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian, Di  Ekaterina Zolotova

Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian

Mosca sta facendo del suo meglio per invogliare Baku ad unirsi alla sua alleanza eurasiatica.

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La Russia ha trascorso gran parte del 2021 cercando di ristabilire i cuscinetti persi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ha dispiegato truppe al confine occidentale con l’Ucraina, ha aumentato l’integrazione con la Bielorussia, ha continuato la sua missione di mantenimento della pace nel Caucaso e ha approfondito la cooperazione con le nazioni dell’Asia centrale. Nel 2022 Mosca sposterà la sua attenzione su un Paese del Caucaso meridionale che da anni è in bilico tra Occidente e Russia: l’Azerbaigian. E lo farà utilizzando l’Unione economica eurasiatica, un blocco regionale post-sovietico che domina, come strumento di coercizione.

mano nascosta

Il mese scorso, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha visitato Bruxelles su invito del segretario generale della NATO. Durante il loro incontro, Aliyev ha affermato che l’Azerbaigian è un partner affidabile della NATO e mantiene stretti legami con gli alleati della NATO, in particolare la Turchia. Commenti come questi irritano il Cremlino, che vuole limitare il più possibile la presenza della Nato lungo la sua periferia. L’Azerbaigian è una parte fondamentale di questa strategia, poiché separa la Russia dalle forze della NATO in Turchia.

Le zone cuscinetto della Russia
(clicca per ingrandire)

Di recente, Mosca ha utilizzato una combinazione di cooperazione economica e coinvolgimento militare (nella forma della sua operazione di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh) per mantenere il suo punto d’appoggio nel Caucaso. Ma considerando i suoi crescenti problemi economici e l’assortimento di altre priorità, la capacità della Russia di competere per l’influenza economica qui si sta indebolendo. Ad esempio, rappresenta solo il 5% delle esportazioni azere, mentre l’Italia e la Turchia (entrambi paesi della NATO) rappresentano rispettivamente il 30% e il 18%. Baku sta anche aumentando la cooperazione militare con la Turchia, che ha sostenuto l’Azerbaigian nella guerra del 2020 in Nagorno-Karabakh.

Mosca, però, ha una mano nascosta da giocare. L’Azerbaigian è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas verso l’Occidente. Oggi, circa il 68 percento delle esportazioni totali del paese sono petrolio greggio e prodotti correlati e il 15,9 percento sono gas di petrolio e altri idrocarburi gassosi. Il Cremlino, che comprende meglio della maggior parte delle insidie ​​del fare affidamento così pesantemente sulle esportazioni di energia, probabilmente prevede che Baku vorrà diversificare le sue vendite all’estero per ridurre la sua vulnerabilità economica. Ma questo sarà difficile per un paese come l’Azerbaigian, considerando il livello di concorrenza e la mancanza di domanda per i suoi prodotti non energetici. Così, alla vigilia della visita del presidente dell’Azerbaigian a Bruxelles, il Cremlino ha ricordato a Baku i vantaggi della sua partnership.

Pochi giorni prima che Aliyev partisse per la riunione della NATO, il presidente onorario del Consiglio economico eurasiatico, un organismo di regolamentazione dell’Unione economica eurasiatica, ha affermato che l’Azerbaigian potrebbe ottenere lo status di osservatore nel blocco, di cui fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia. L’adesione all’unione doganale del blocco potrebbe avere vantaggi significativi per l’Azerbaigian, che riceve circa il 18% delle sue importazioni dalla Russia.

Mosca ha anche fornito sottili accenni altrove sui vantaggi della sua cooperazione. Diverse pubblicazioni dei media russi hanno recentemente propagandato i forti legami tra l’Azerbaigian ei membri dell’EAEU. Ad esempio, l’affiliato azero del sito web russo Sputnik News ha pubblicato un articolo il mese scorso evidenziando i vantaggi dell’adesione. Secondo la pubblicazione, l’adesione dell’Azerbaigian alla EAEU aumenterebbe le esportazioni del settore agricolo e non petrolifero del paese di 280 milioni di dollari. Ha inoltre affermato che l’adesione potrebbe aumentare il prodotto interno lordo dell’Azerbaigian dello 0,6 percento rispetto ai livelli attuali e che ogni residente dell’Azerbaigian trarrebbe profitto di 1.013 dollari, un importo sostanziale in un paese il cui PIL pro capite è di soli 4.202 dollari.

Il Cremlino ha anche recentemente menzionato un sondaggio del 2018 del Centro analitico per il governo della Federazione Russa che ha rilevato che quasi il 40% della comunità imprenditoriale dell’Azerbaigian accoglierebbe con favore relazioni economiche più strette con l’UEE. Questi numeri, spera il Cremlino, suoneranno allettanti in un paese la cui economia si sta riprendendo dalla pandemia, ma lentamente. Sebbene l’Azerbaigian abbia sofferto meno degli effetti economici della pandemia rispetto ai suoi vicini, in gran parte a causa delle sue esportazioni di energia, la disoccupazione, la povertà e l’emigrazione (principalmente verso la Russia) rimangono problemi significativi.

Il commercio dell'Azerbaigian
(clicca per ingrandire)

Tuttavia, la Russia sa che non può fare affidamento esclusivamente sul mercato interno dell’UEE per attirare l’Azerbaigian, poiché anche le economie di alcuni degli altri membri del blocco sono in difficoltà. Pertanto, l’EAEU è in trattative per un accordo di libero scambio permanente con l’Iran. (Le due parti hanno firmato un accordo commerciale provvisorio nel 2018.) Il blocco ha anche accordi di libero scambio con Serbia, Vietnam e Singapore, e entro il 2025, India, Israele ed Egitto saranno aggiunti all’elenco. Ciò significa che unendosi al blocco, l’Azerbaigian avrà accesso a una serie di mercati aggiuntivi, non solo a quelli dei suoi cinque membri.

Un altro vantaggio è che aiuterebbe a domare le ostilità con il rivale storico dell’Azerbaigian, l’Armenia. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che il suo paese non si opporrà all’adesione dell’Azerbaigian se contribuirà alla pace regionale. La dichiarazione è un chiaro ramoscello d’ulivo visti i frequenti scontri tra i due Paesi.

Ostacoli

Ma ci sono anche ostacoli nel percorso della Russia per trascinare l’Azerbaigian nell’UEE. In primo luogo, acquisire l’appartenenza, o anche lo status di osservatore, può essere un processo lungo che richiede il consenso tra tutti i membri dell’EAEU. Dati i requisiti legali per l’adesione al blocco, nonché le tensioni in corso con l’Armenia, i negoziati potrebbero complicarsi. Mosca potrebbe dover provvedere per un po’ all’Azerbaigian per mantenerlo interessato, il che è difficile da fare data la concorrenza nella regione.

In secondo luogo, Baku deve considerare le reazioni degli altri suoi alleati. L’Azerbaigian sta aumentando il commercio con i paesi europei e stringendo alleati con la Turchia. Preferisce trovare un equilibrio tra Occidente e Russia, piuttosto che schierarsi.

In terzo luogo, l’EAEU ha problemi interni propri. Gli Stati membri non sono d’accordo su una serie di questioni e non sono sempre disposti a concedere per colmare le loro divisioni. È anche in competizione per l’influenza con la Comunità degli Stati Indipendenti, un’altra istituzione guidata dalla Russia che consiste di nazioni post-sovietiche. Inoltre, il mercato comune della UEE è ancora in evoluzione, con problemi sul funzionamento del mercato comune del gas e dell’energia e la migrazione dai paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati.

In definitiva, l’Azerbaigian deve vedere i vantaggi dell’adesione; gli azeri medi devono sostenere il processo di integrazione; e non ci devono essere limiti alla libera circolazione delle merci, anche attraverso la regione del Nagorno-Karabakh, piena di conflitti. Senza che queste condizioni siano soddisfatte, è improbabile che l’Azerbaigian voglia unirsi al blocco. Sarà difficile da raggiungere nel medio termine, ma per Mosca questo è il momento migliore per fare la sua mossa, poiché Baku cerca partner affidabili per rilanciare la sua economia e i suoi partner tradizionali sono impantanati nei propri problemi. Tirare l’Azerbaigian nell’UEE sarebbe una vittoria per il Cremlino. Non è un percorso facile, ma è quello che Mosca seguirà per tutto il prossimo anno.

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Libia: offuscamenti democratici sulla realtà, di Bernard Lugan

In Libia, le elezioni del 24 dicembre 2021 sono state cancellate e “rinviate”.

Gli ingenui  avevano assicurato che avrebbero chiuso la parentesi del caos aperta nel
2011 da un Nicolas Sarkozy molto mal ispirato da BHL. Un fallimento in più per il benpensante democratico-occidentale. Da quando nel 2011, rifiutando di prendere in considerazione le realtà umane, quest’ultima anzi pretende di ricostruire la Libia intorno

a prerequisito elettorale incompatibile con il sistema politico tribale. Quindi un vicolo cieco

sulla base di quattro grandi errori:
1) Il postulato dell’esistenza di una nazione libica. Ordunque, non esiste identità Libica. La costante storica è piuttosto la debolezza del potere centrale in relazione alle tribù. Le basi demografiche dei gruppi tribali sono certamente scivolato verso le città, ma il legami tribali non si sono certo allentati. Raggruppate in alleanze o confederazioni le tribù hanno loro proprie regole interne di funzionamento che non coincidono con la democrazia individualista occidentale basata su “Un uomo, un voto”.
2) Non aver visto che il colonnello Gheddafi aveva fondato il suo potere sull’equilibrio tra le tre principali confederazioni libiche.
Or dunque, eliminato il colonnello eliminò, queste ultime hanno riacquistato la propria autonomia in relazione al potere centrale.

3) Avere privilegiato politici di ritorno dall’esilio e ignorato le vere forze del paese

Ora, insediati dagli occidentali, questi politici non rappresentano che solo se stessi e

non le reali forze del paese che sono le tribù.

Il 14 settembre 2015, il Consiglio delle tribù della Libia aveva dichiarato a questo proposito che solo il figlio del colonnello Gheddafi, Seif al-Islam era autorizzato a parlare in loro nome.

4) Hanno imposto il prerequisito elettorale prima di ricostruire lo stato

La priorità però non sono le elezioni.
Come dopo il 1945, fu necessario stabilire un nuovo patto sociale partendo dalla realtà  tribale e regionale. Tutto al contrario, ingabbiati dalla loro ideologia, gli occidentali hanno postulato che le elezioni avrebbero permesso di raggiungere un consenso nazionale
tra le fazioni libiche.

Nel 2012 e 2014, tre elezioni sono state poi organizzate con un forcipe e hanno permesso di eleggere un Congresso Generale, un’Assemblea Costituente, poi una Camera dei Rappresentanti.
Nell’agosto 2014, minacciata dalle milizie, queste ultime si rifugiarono a Tobruk, in Cirenaica.
Invece di costruire consenso, queste tre elezioni hanno al contrario accentuato le divisioni locali, ampliato il divario tra Tripolitania e Cirenaica e provocato una guerra civile all’interno della guerra civile, specialmente in Tripolitania. Di conseguenza, una guerra di tutti contro tutti senza via d’uscita, punteggiato di accordi internazionali mai rispettati sul terreno e alla fine l’interferenza della Russia e della Turchia.
Oggi, e più che mai, la Libia è tagliata in due, messa male se non attraverso un sistema confederale in grado di riportare la Cirenaica e i Tripolitani a inventarsi un destino comune. Ma la “comunità internazionale ” si ostina ad esigere che la data delle elezioni sia

fissata …

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logica capitalistica e logica geopolitica, di Roberto Buffagni

Spunto di riflessione: logica capitalistica e logica geopolitica, loro compatibilità e incompatibilità.
Secondo me: a) dopo la sconfitta del socialismo realmente esistente, oggi nessuno, ripeto nessuno ha un’idea complessiva, coerente e praticabile di come uscire, con un salto di paradigma, dalla logica sistemica capitalista. b) dunque, oggi la logica sistemica capitalista si identifica con la società industriale avanzata (se vuoi “la gabbia d’acciaio” weberiana, o la Tecnica heideggeriana). Da questa logica nessuna potenza statuale può prescindere, per il semplice motivo che essa sviluppa una potenza tecnologico-scientifica incomparabile, senza la quale tu vieni spazzato via da chi invece ne dispone c) la logica sistemica capitalista, però, è sotto alcuni aspetti confliggente e incompatibile con altre logiche, non meno cogenti, quali anzitutto la logica geopolitica, che guida il conflitto tra le potenze. d) la logica geopolitica, infatti, ha come suoi principali criteri elementi, quali la posizione geografica, la demografia, la cultura, la coesione sociale, etc., che esistevano prima della logica sistemica capitalista ed esisteranno anche dopo la sua fine (niente è eterno). La logica sistemica capitalista, invece, dopo l’implosione dell’URSS e la conseguente globalizzazione economica, che è solo un aspetto dell’egemonia mondiale USA, si globalizza anch’essa, tende ad esplicarsi globalmente, e a non tener conto delle differenze tra Stati, culture, popoli, etc.: la sua conclusione logica sarebbe il governo mondiale, che però non si verifica mai perché le differenze continuano ad esistere, e il conflitto è la caratteristica permanente della dimensione politica, la quale a sua volta è insita nella costituzione antropologica dell’uomo (la concordia universale non si darà mai, è un obiettivo escatologico, non storico) e) il conflitto tra logica sistemica capitalista e logica geopolitica, e la loro reciproca parziale incompatibilità, si vede chiarissimo nel fatto storico macroscopico della massiccia delocalizzazione delle manifatture USA in Cina seguito all’implosione dell’URSS. Dal pdv della logica capitalista è una mossa razionale (teoria dei costi comparati di Ricardo), dal pdv della logica geopolitica è una follia, perché così gli USA hanno fornito alla Cina, una potenza del loro stesso ordine di grandezza, i fattori di potenza economici, scientifici, tecnologici di cui mancava: fattori necessari perché essa potesse divenire il loro nemico principale, e minacciare la loro egemonia mondiale f) quindi le potenze anti-egemoniche, Cina e Russia, per resistere all’egemonia USA e contrastarla, che cosa devono fare? Devono da un canto obbedire alla logica sistemica capitalistica, ossia sviluppare la potenza economica, accettare il mercato, etc.; dall’altro devono obbedire alla logica geopolitica, ossia dare al Politico la supremazia sull’Economico. Ecco perché sono entrambi, in forme diverse, Stati autoritari (nel senso di non liberali) ed ecco perché e come limitano la logica sistemica capitalistica. Per concludere: né Cina né Russia superano il capitalismo, impiantando un sistema sociale qualitativamente diverso; ma entrambe vi pongono limiti politici e culturali, perché vogliono e devono seguire la logica geopolitica per difendersi dagli USA e, in prospettiva, soppiantarli.
Emiliano Laurenzi

Roberto Buffagni grazie a te. Diventa sempre più difficile individuare uno spazio di riflessione e critica: la bolla mediale all’interno della quale esistiamo pare voler “tatuare sugli occhi e sulla coscienza” delle persone un’unica visione, un’unica verità. Ed a questa pretesa dal chiaro sentore religioso – che però della religione non ha né teologia, né escatologia, ma solo la dimensione culturale del consumo, un dimensione, per altro, radicalmente nichilista – è difficile rispondere con le armi del pensiero perché ci si ritrova davanti a persone indottrinate, sia per essersi nutrite ed imbevute di certe credenze tanto da scambiarle per “la” realtà, sia per il continuo e radicato formarsi di lobbies e di interessi professionali ed economici mirato ad escludere chiunque la pensi diversamente.
Giampaolo Zanaboni

Il presupposto a) andrebbe rivisto: da «nessuno» a “quasi nessuno”. Infatti esiste una proposta del sottoscritto, che si declina nel documento “Cenni di un Nuovo Sistema Economico, Monetario, Fiscale e di Giustizia”, a disposizione sul mio profilo FB. Tale documento costituisce un passo avanti, che si pone trasversalmente rispetto al capitalismo, al socialismo e al comunismo, e in generale a ogni “ismo” apparso finora sul pianeta.
Massimo Manassero

Bravissimo Roberto Buffagni… inizi l’anno con un post egregio, da quale si potrebbero trarre spunti, più che per un saggio, per una intera biblioteca. Il punto e) è quello che mi affascina da una 10na di anni, ossia l’apparente autolesionismo della scelta Usa di delocalizzare ecc. ecc., con successive ridicole lacrime -di coccodrillo- sulla Cina cattiva che si impadronisce dei brevetti – servitile su un piatto di platino, manco argento! Se la Cina fosse comunista (non solo nominalmente) verrebbe da citare Lenin ‘i capitalisti ci venderanno anche la corda con cui li impiccheremo’, ma sappiamo che non è così che funziona. In realtà la scelta Usa fu una scelta del capitalismo Usa, o della nazione Usa? Entrambe, perchè la nazione Usa è occupata dai capitalisti Usa; e il capitalismo sostanzialmente se ne frega delle nazionalità, perchè è una (pessima ed economicistica) forma di universalismo, e nei suoi esponenti più sinceri lo dice chiaramente – il famoso ‘flat world’ di Thomas Friedman. Inutile aggiungere che discorsi simili in un Paese come il nostro, accucciato su un atlantismo servile, con piccole eccezioni di antiamericanismo ridicolo alla 68, risultano comprensibili come l’etrusco arcaico.
Roberto Buffagni

Massimo Manassero Grazie. Sì, l’idea di traslocare in Cina una quantità enorme di manifatture, comprese industrie indispensabili per la sicurezza militare, lascia a bocca aperta. Non mi è noto un episodio autolesionista di queste proporzioni, nella storia umana. Si può spiegare con la marea di hybris che ha ubriacato la classe dirigente USA dopo l’implosione dell’URSS, con tanto di proclami accademici sulla fine della storia e altre amenità. Certo che l’hanno fatta grossa.
Massimo Manassero

Roberto Buffagni non grossa, enorme. Alla base ci fu, secondo me, la presunzione sborona texana unita al disprezzo verso tutto ciò che è ‘non americano’ : ‘Ma sì, dai, diamo pure un po’ di tecnologia ai musi gialli, tanto, prima che arrivino al nostro livello, hai voglia! 😊 ‘ Pensavano di poterli sfruttare come confezionatori di smartphone per chissà quanti anni ancora. Imbecilli. Hanno creato un mostro che creerà guai grossi a loro ma ancor più a noi, eterno vaso d’argilla.
Persio Flacco

L’intervento merita una lettura approfondita, però in prima battuta mi permetto di contestare questa tua affermazione:
“nessuno ha un’idea complessiva, coerente e praticabile di come uscire, con un salto di paradigma, dalla logica sistemica capitalista. “
Penso invece se ne possa uscire in diversi modi, dei quali tutti in primo luogo richiedono il forte impegno nella (ri)affermazione del metodo democratico. Ci siamo adagiati troppo a lungo nella comoda tolleranza della delega.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni Severino articola il suo ragionamento per arrivare a concludere che la potenza tecnica soppianterà tutte le altre. Nel farlo mette a confronto le grandi forze della storia occidentale (Cristianesimo, Comunismo, Capitalismo e Democrazia) e ne evidenzia gli obiettivi costitutivi. Per esempio, se il capitaliamo ha come obiettivo la crescita indefinita del profitto, il comunismo ha invece quella dell’uguaglianza degli uomini (indifferente se ciò si sia realizzato o meno). Queste forze competono per la supremazia e per affermarsi dato che i loro obiettivi sono confliggenti. Tutte queste forze tuttavia si servono della tecnica per affermarsi (vedere guerra fredda, che e stata sostanzialmente una corsa decennale alla tecnologia che conferisse la supremazia definitiva). Severino dice che queste forze credono di servirsi della tecnica perchè considerano la tecnica un semplice mezzo (da notare secondo me come questa idea di tecnica come mezzo sia il luogo comune di molti intellettuali oggigiorno) senza rendersi conto che è anche la tecnica una delle potenze di cui sopra. La tecnica persegue l’espansione indefinita della nostra capacità di generare scopi. Dovendo ricorrere alla tecnica per affermarsi, le altre potenze ricorrono alla tecnica rendendosi dipendenti da essa. L’unico argine all’espansione della tecnica sono quei limiti assoluti che da secoli vengono rimossi (qui Severino fa un discorso sull’uomo etico che secondo me è potentissimo e descrive perfettamente l’uomo etico contemporaneo).
Perciò le potenze ricorrono alla tecnica per affermare la loro supremazia e nel farlo non si rendono conto che la tecnica si serve di esse per perseguire i propri scopi. In questo senso tutti i paesi sono tra loro indistinguibili nel lungo periodo: essi diventeranno meri gestori della potenza tecnica e la loro esistenza si giustificherà in base a quanto saranno efficaci nel promuoverne lo scopo. Se l’obiettivo della geopolitica è la supremazia delle nazioni, esse si servono della tecnica per perseguirla.
Nicolò Bragazza

Nello specifico perchè capitalismo e tecnica sono in contrasto? Perchè capitalismo ha come obiettivo crescira indefinita del profitto. E questo dipende in ultima analisi dal mantenimento di una certa scarsità. La tecnica mantiene la scarsità solo fintantochè essa è funzionale al perseguimento del suo scopo (che ha come corollario l’eliminazione della scarsità).
Nicolò Bragazza

Sulle radici antropologiche della questione tecnica, credo che sia Heidegger che Anders abbiano scritto della natura intrinsecamente tecnica dell’uomo.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Grazie della sintesi. Nei limiti della mia ignoranza (totale) degli scritti di Severino, un piccolo commento. In questa visione, l’eventuale punto di arresto o di contraddizione non superabile è la natura umana. Se non esiste, la dinamica da lei sintetizzata non ha punto d’arresto. Se esiste, come è costituita? In particolare, è costituita anche in rapporto alla trascendenza, o no?
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Allora articolo meglio la domanda, così lei può rispondere più precisamente. Se la natura umana non esiste, e l’uomo è indefinitamente trasformabile (dalla storia, dalla tecnica, dall’ingegneria sociale, dai marziani, etc.) salvo i limiti (ignoti) che gli impone la biologia, allora l’estensione totale della Tecnica e della logica che la informa non incontra limiti. Se la natura umana esiste, e non esiste in forma di dato ad esempio biologico, ma in forma di rapporto – per esempio, di rapporto con il trascendente comunque inteso, o di rapporto con il mistero, inteso come quanto non è conosciuto e non è conoscibile mai – allora la Tecnica intesa come la intende Severino incontra un limite assoluto. Il limite assoluto è il conflitto tra una logica che si pretende totale, e un’altra logica che con essa è incompatibile e che le è, in linea di principio, sovraordinata, perché è la logica dell’uomo. Così che si giunge all’alternativa: o logica dell’uomo, o logica della Tecnica.
Nicolò Bragazza

La questione sul punto d’arrivo ha a che fare con l’ontologia di Severino, cioè sul fatto che tutto è eterno e il divenire non è altro che un illusione. La tecnica ci condurrà a questa “scoperta”, cioè che tutti gli enti sono eterni. In questo scenario la nostra dimensione esistenziale perde di significato perchè se siamo eterni non esiste più la paura della morte ecc ecc. A quel punto immagino si arresterà anche la nostra necessità di generare scopi. Perchè bisogna ricordare che in Severino la tecnica non è altro che la manifestazione più autentica della nostra follia, cioè la pretesa di condurre le cose dall’essere al non essere o viceversa. Se questa è un’illusione allora la tecnica è folle.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Ah ecco. Mi sembra un po’ tanto ma magari ha ragione lui, chissà. In effetti con questo presupposto tutto fila logicamente, l’apocalissi è il risveglio alla realtà che non ce n’era bisogno, la Gerusalemme celeste era già qui.
Nicolò Bragazza

A livello più “basso”, venendo alla tua ultima domanda, direi che la questione sulla natura umana è la vera questione dei prossimi decenni. E questo perchè le tecnologie oggi (in particolare quelle genetiche) rendono impellente un ragionamento su ciò che ci rende “umani”. La tecnica ci umanizza o ci disumanizza? Questa è la vera questione. Perchè se l’uomo è un essere intrinsecamente tecnico, allora la tecnica è “umanizzante”. Come mai sentiamo che questo stride con la nostra intuizione (cioe che la tecnica disumanizza)? Beh, credo che qui sia il punto di partenza di una riflessione politica nuova, che lasci indietro gli schemi novecenteschi
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Qui concordo al 100%. Ti faccio notare che persino il presidente cinese, nel suo ultimo discorso al Plenum del partitone, ha rilevato un paio di fatterelli importanti, su questo tema: che l’espansione della ricchezza è una buona cosa ma compromette la formazione della personalità, specie nei giovani, e la coesione sociale: e ha predisposto alcuni rimedi (campagna pedagogica di massa alla cinese). Al di là della ricetta del dott. XI, è notevole che abbia diagnosticato il morbo così in fretta.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni interessante. In ogni caso in questo vedo una preoccupazione mediata dal punto di vista di essere “classe dirigente”. In un certo senso è la stessa delle nostre classi dirigenti occidentali. Il timore non mi sembra essere sulla direzione di marcia, ma sugli ostacoli che si possono trovare nel tragitto. Di qui il fondamento emergenziale della politica neoautoritaria odierna: abbiamo moltissimo da perdere, sia nel presente che nel futuro, e per evitare imprevisti dobbiamo aumentare il controllo. Lo sviluppo tecnico ha dato troppo potere ai singoli: dobbiamo bilanciare con maggiore controllo.
Claudio Valisi

Nicolò Bragazza direi che Tolkien ha intuito artisticamente (anche se non solo, essendo uomo di grande cultura) questo dilemma. Il centro di tutto è il potere indefinito, il cui simbolo (l’anello) va distrutto, perché la potenza, come tale, è nulla e nullifica. A ciò si aggiunga che, in maniera secondo me corretta, Tolkien sa che l’uomo non è eterno, ha il dono della morte e, quindi, del limite: se riesce a porlo anche alla realtà, dando cioè un ordine ad essa, sopravvive, altrimenti viene sopraffatto. La sua eternità deriva da altro da sé, da Qualcuno che lo trascende. Certo in una prospettiva immanentistica quale quella di Severino ciò cade e la stessa potenza coincide con l’atto, nullificandolo. Spero di non aver detto stupidate, ma il tema è centrale e volevo aggiungere qualcosina. Buon anno!
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Sì. E contemporaneamente, più si aumenta il controllo, più aumenta la complessità sistemica, che a sua volta esige maggior controllo, e così via.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni secondo principio della termodinamica
Stefano Vaj

Per questo io penso che sistema occidentale e “tecnocrazia” siano fondamentalmente tecnofobi ed antitecnologici, perché la tecnica ha intrinsecamente la capacità di destabilizzarne potere e valori, così che l’unico mezzo per esso di autoperpetuarsi è l’utilizzo della tecnologia stessa per impedire e prevenire il cambiamento. Ma Huxley nel Brave New World, libro poco capito, offre già una ricostruzione abbastanza realistica del processo, che richiede un controllo sociale *e* internazionale sempre più assoluto. http://www.biopolitica.it/biop-xiii.html
Stefano Vaj

L’uomo è sì indefinitamente trasformabile, e rappresenta solo un fotogramma arbitrario di un processo, non una “essenza” in qualche modo speciale. Non lo è d’altronde *infinitamente*, nel senso che in ogni fase i tratti costitutivi della sua storia evolutiva, della sua etologia e della sua dotazione organica rappresentano il materiale con cui abbiamo inevitabilmente a che fare, e che tentano automaticamente a frustrare il tentativo di ignorarli da parte di cose come il marxismo o il cristianesimo…
Nicolò Bragazza

Stefano Vaj si, la tecnica è una forza contrapoosta alla democrazia o ai sistemi politici occidentali. Quello che secondo me è il punto di debole di Huxley (non è una critica al libro, fantastico e consigliatissimo) è che sostanzialmente assume che lo sviluppo tecnico sia prevedibile e predicibile e come tale esso possa essere scoraggiato o stoppato quando minaccia la stabilità. Questa mi sembra un’ipotesi abbastanza inverosimile. Gli ultimi decenni dimostrano che il progresso tecnico è sostanzialmente imprevedibile ed impredicibile. L’unico sistema “robusto” rispetto al progresso tecnico è quello che ne abbraccia l’ideologia sottostante. Qualsiasi altro sistema dovrà ricorrere alla tecnica per stoppare la tecnica. È la grande contraddizione del nostro tempo. Le nostre società sono già fondate sulla tecnica e la dimostrazione è che l’uomo tecnico, cioè quello che vuole superare i limiti, è anche uomo etico (ethos, alleanza) perchè si è alleato con la potenza dominante (vedere come gli uomini progressisti vengano rappresentati come persone esemplari, buone…). Semplicemente, al momento, non vi è ancora consapevolezza di questo fatto sia negli intellettuali che nella popolazione.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Mi accorgo adesso che quanto dici a proposito dell’alleanza uomo-tecnica, con l’uomo progressista e buono in quanto alleato della Tecnica, è la stessa identica conclusione a cui giunge, sebbene in tono emotivo opposto, Oswald Spengler nel suo celebre “Tramonto dell’Occidente”. Dove, dopo aver lamentato per centinaia di pagine la decadenza dei valori tradizionali e dell’uomo occidentale proprio a cagione della tecnica (più altro) conclude con l’ esortazione ai giovani a dedicarsi interamente alla tecnica, e alla politica come tecnica della potenza. Curioso.
Emiliano Laurenzi

Roberto Buffagni grazie a te. Diventa sempre più difficile individuare uno spazio di riflessione e critica: la bolla mediale all’interno della quale esistiamo pare voler “tatuare sugli occhi e sulla coscienza” delle persone un’unica visione, un’unica verità. Ed a questa pretesa dal chiaro sentore religioso – che però della religione non ha né teologia, né escatologia, ma solo la dimensione culturale del consumo, un dimensione, per altro, radicalmente nichilista – è difficile rispondere con le armi del pensiero perché ci si ritrova davanti a persone indottrinate, sia per essersi nutrite ed imbevute di certe credenze tanto da scambiarle per “la” realtà, sia per il continuo e radicato formarsi di lobbies e di interessi professionali ed economici mirato ad escludere chiunque la pensi diversamente.
Giampaolo Zanaboni

Il presupposto a) andrebbe rivisto: da «nessuno» a “quasi nessuno”. Infatti esiste una proposta del sottoscritto, che si declina nel documento “Cenni di un Nuovo Sistema Economico, Monetario, Fiscale e di Giustizia”, a disposizione sul mio profilo FB. Tale documento costituisce un passo avanti, che si pone trasversalmente rispetto al capitalismo, al socialismo e al comunismo, e in generale a ogni “ismo” apparso finora sul pianeta.
Massimo Manassero

Bravissimo Roberto Buffagni… inizi l’anno con un post egregio, da quale si potrebbero trarre spunti, più che per un saggio, per una intera biblioteca. Il punto e) è quello che mi affascina da una 10na di anni, ossia l’apparente autolesionismo della scelta Usa di delocalizzare ecc. ecc., con successive ridicole lacrime -di coccodrillo- sulla Cina cattiva che si impadronisce dei brevetti – servitile su un piatto di platino, manco argento! Se la Cina fosse comunista (non solo nominalmente) verrebbe da citare Lenin ‘i capitalisti ci venderanno anche la corda con cui li impiccheremo’, ma sappiamo che non è così che funziona. In realtà la scelta Usa fu una scelta del capitalismo Usa, o della nazione Usa? Entrambe, perchè la nazione Usa è occupata dai capitalisti Usa; e il capitalismo sostanzialmente se ne frega delle nazionalità, perchè è una (pessima ed economicistica) forma di universalismo, e nei suoi esponenti più sinceri lo dice chiaramente – il famoso ‘flat world’ di Thomas Friedman. Inutile aggiungere che discorsi simili in un Paese come il nostro, accucciato su un atlantismo servile, con piccole eccezioni di antiamericanismo ridicolo alla 68, risultano comprensibili come l’etrusco arcaico.
Roberto Buffagni

Massimo Manassero Grazie. Sì, l’idea di traslocare in Cina una quantità enorme di manifatture, comprese industrie indispensabili per la sicurezza militare, lascia a bocca aperta. Non mi è noto un episodio autolesionista di queste proporzioni, nella storia umana. Si può spiegare con la marea di hybris che ha ubriacato la classe dirigente USA dopo l’implosione dell’URSS, con tanto di proclami accademici sulla fine della storia e altre amenità. Certo che l’hanno fatta grossa.
Massimo Manassero

Roberto Buffagni non grossa, enorme. Alla base ci fu, secondo me, la presunzione sborona texana unita al disprezzo verso tutto ciò che è ‘non americano’ : ‘Ma sì, dai, diamo pure un po’ di tecnologia ai musi gialli, tanto, prima che arrivino al nostro livello, hai voglia! 😊 ‘ Pensavano di poterli sfruttare come confezionatori di smartphone per chissà quanti anni ancora. Imbecilli. Hanno creato un mostro che creerà guai grossi a loro ma ancor più a noi, eterno vaso d’argilla.

Intervista con il professor David Arase dell’Università di Hong Kong e dell’Hopkins-Nanjing Center Di SCOTT FOSTER

Belt & Road Phase 2 va oltre l’infrastruttura
Intervista con il professor David Arase dell’Università di Hong Kong e dell’Hopkins-Nanjing Center
Di SCOTT FOSTER
29 DICEMBRE 2021
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Il corridoio economico Cina-Pakistan da 60 miliardi di dollari è una parte importante della Belt and Road Initiative cinese. Immagine: CPEC/Facebook
Tieni d’occhio la Belt & Road Initiative della Cina nel nuovo anno. Sta succedendo più di quanto generalmente si creda.

Belt & Road non è solo la costruzione di “corridoi” di trasporto terrestre e marittimo attraverso e intorno all’Asia verso l’Africa, l’Europa e oltre per facilitare il commercio; non solo porti e porti costruiti dai cinesi lungo le coste dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che potrebbero essere trasformati in basi navali; non solo una “diplomazia della trappola del debito” volta a trascinare le nazioni in via di sviluppo in un ordine internazionale cinese emergente.

David Arase, professore onorario presso l’Asia Global Institute presso l’Università di Hong Kong e professore residente di politica internazionale presso l’Hopkins-Nanjing Center della Johns Hopkins University School of Advanced International Studies, affronta questi punti in modo molto dettagliato.

Dettagli più che sufficienti per smentirci dall’idea che – i suoi metodi e i suoi scopi essendo stati chiamati in causa dalla rumorosa diplomazia americana – Belt & Road sia in svantaggio.

In un saggio pubblicato , Arase scrive che i cinesi sono da tempo consapevoli delle carenze dell’originale Belt & Road Initiative (BRI) incentrata sulle infrastrutture fisiche – compreso il rischio di credito, ambientale e reputazionale – e se ne stanno occupando in modo completo , modo lungimirante:

Con il secondo Belt and Road Forum (BRF) nel 2019, la Cina aveva reagito alle prospettive di rischio-rendimento negative della fase iniziale di cooperazione annunciando una nuova era “verde e sostenibile” per la Belt and Road…

Meno notato, ma forse più significativo, è stato il nuovo focus sull’armonizzazione di diversi regimi legali, politici e di standard tecnici tra i paesi BRI collegati. Nel suo discorso al BRF del 2019, [il presidente cinese] Xi ha sottolineato che “dobbiamo promuovere la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, dire no al protezionismo e rendere la globalizzazione economica più aperta, inclusiva, equilibrata e vantaggiosa per tutti”. In termini concreti, ciò significava promuovere standard uniformi per le zone di libero scambio, la protezione della proprietà intellettuale, le regole sul trasferimento di tecnologia, la riduzione delle tariffe, la stabilizzazione del tasso di cambio, l’applicazione dei trattati commerciali e la risoluzione delle controversie commerciali e di investimento…

Mentre sarebbe ancora necessaria la cooperazione in progetti di infrastrutture pesanti per aggiornare la connettività dei corridoi, la cooperazione BRI si è espansa nella tecnologia: tecnologie digitali ad alta intensità di conoscenza (la “via della seta digitale”), industrie legate alla salute (la “via della seta della salute”) e complesse Progetti di Internet of Things (IoT) basati sul 5G come le città intelligenti (“cooperazione per l’innovazione”).

Con questo come sfondo – e non potendo incontrarmi a causa del virus – ho intervistato via e-mail il professore di Tokyo. Ecco la prima parte dell’intervista modificata in due parti:

D: Hai parlato prima del fatto che la Belt & Road cinese non è solo una questione di promozione del commercio attraverso le infrastrutture, ma una geostrategia completa con una componente militare. Potresti approfondire?

I progetti infrastrutturali Belt & Road creano una testa di ponte per il commercio, gli investimenti, la finanza, la tecnologia e la logistica cinesi per entrare nelle economie dei paesi in via di sviluppo molto più piccoli e per modernizzare e dominare i settori in cui possono operare con profitto.

Se l’economia modernizzata di un paese raggiunge un punto in cui non può essere mantenuta senza le imprese cinesi e l’accesso alla finanza, al commercio e alla tecnologia cinesi, i governi messi in questa situazione sarebbero soddisfatti, corrotti o costretti a seguire le richieste e le preferenze cinesi per garantire le proprie interesse per la stabilità economica e politica.

Potrebbero persino essere persuasi a richiedere la cooperazione con l’Esercito di liberazione popolare e i ministeri della sicurezza civile cinese per proteggere e difendere i loro investimenti congiunti in infrastrutture e connettività Belt & Road con la Cina.

Se questo tipo di situazione si diffondesse in tutta l’impronta della Belt & Road, con le loro future prospettive economiche e politiche in gioco, i governi di tutta l’Eurasia non avranno altra scelta che cooperare con le agende di governance economica, politica e di sicurezza della Cina, anche se queste minano e sostituiscono quelle degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

La BRI promuove questo tipo di strategia geo-economica fornendo “hardware” o impianti fisici, attrezzature, trasporti, energia e infrastrutture digitali finanziate da banche statali e costruite e gestite da imprese statali cinesi.

Queste entità di punta dello stato di partito portano un intero ecosistema di esportatori cinesi, subappaltatori, fornitori di servizi di lavoro, imprese private e piccoli imprenditori ovunque siano costruiti i progetti Belt & Road.

D: Ma questo processo non crea sempre più risorse all’estero che la Cina deve proteggere?

Esattamente. Quando uno stato accumula interessi acquisiti all’estero, deve provvedere alla loro protezione. L’ordine [internazionale] basato su regole ha stabilito norme concordate a livello multilaterale e giuridicamente vincolanti che disciplinano l’acquisizione e la protezione degli interessi esteri.

Ma affinché il sistema funzioni in assenza di un governo mondiale, tutte le parti contraenti devono rispettare le norme che si sono impegnate a sostenere.

Secondo l’ordine attuale, ci sono due ragioni diverse per sviluppare capacità armate e reclutare alleati per difendere i tuoi interessi all’estero. Uno è quello di difendere i tuoi diritti legittimi secondo l’ordine basato sulle regole. L’altro è rivendicare con forza nuovi diritti e imporre nuove norme di governance per migliorare i propri interessi a spese delle norme esistenti e dei diritti di altri attori.

L’accumulo di interessi all’estero è ciò che la Belt & Road Initiative fa in grande stile attraverso e intorno all’Eurasia. Mentre la Cina costruisce porti, piantagioni, miniere, ferrovie, parchi industriali e zone commerciali, nuovi mercati, nuove rotte di trasporto e comunità di cittadini d’oltremare, non può essere criticata per aver cercato modi per proteggerli.

D: Significa che ciò che è iniziato come attività economica è ora collegato alla difesa nazionale della Cina?

Al contrario, lo è stato fin dall’inizio.

La Belt & Road Initiative è stata lanciata nell’autunno 2013 insieme a iniziative diplomatiche, politiche e istituzionali complementari per costruire un nuovo tipo di ordine internazionale incentrato sulla Cina. Queste iniziative dei partner includevano la “diplomazia della periferia”, la costruzione di una “comunità di destino comune” e l’Asian Infrastructure Investment Bank.

L’infrastruttura Belt & Road deve essere costruita in conformità con i mandati legali e politici formali della Cina che implementano l’integrazione o la fusione militare-civile. La legge sulla mobilitazione della difesa nazionale del 2010 stabilisce che i progetti di infrastrutture civili “strettamente correlati alla difesa nazionale devono soddisfare i requisiti di difesa nazionale e possedere funzioni di difesa nazionale” e devono essere consegnati per uso militare quando necessario.

Le guardie di sicurezza camminano davanti a un cartellone per il Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale a Pechino il 13 maggio 2017. Foto: AFP / Wang Zhao
Il 13 ° Piano quinquennale (2017-21) prevede progetti integrati di sviluppo civile-militare nelle regioni marittime d’oltremare. Il libro bianco sulla difesa del 2015 richiede uno sviluppo di infrastrutture che tenga conto sia dell’uso civile che militare che sia “compatibile, complementare e reciprocamente accessibile”.

E la legge nazionale sui trasporti del 2017 richiede “pianificazione, costruzione, gestione e utilizzo delle risorse nei settori dei trasporti come ferrovie, strade, corsi d’acqua, aviazione, condutture e porti allo scopo di soddisfare i requisiti della difesa nazionale”.

Le imprese statali cinesi che progettano e costruiscono infrastrutture BRI devono agire in conformità con queste leggi.

D: E questo, presumo, porta inevitabilmente all’espansione delle attività cinesi legate alla sicurezza all’estero?

Sì. La Cina non riconosce alcuna connessione formale tra Belt & Road e l’Esercito di Liberazione Popolare. Ma in realtà, l’estensione degli interessi di investimento all’estero tramite Belt & Road richiede che i ruoli e le missioni di protezione all’estero dell’esercito stiano al passo.

Secondo i pianificatori strategici dell’esercito, “dove gli interessi nazionali si espandono, deve seguire il supporto della forza militare”. Pertanto, l’influenza geopolitica della Cina avanza con l’Iniziativa Belt & Road all’avanguardia e con l’Esercito di Liberazione Popolare che fa da retroguardia per proteggere gli investimenti Belt & Road e le rotte commerciali da potenziali minacce.

Nello svolgere le sue missioni di protezione all’estero di Belt & Road, l’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe trovare governi partner di Belt & Road disposti ad accettare istruzione, addestramento e attrezzature militari che migliorano la propria sicurezza nazionale e la sicurezza degli investimenti cinesi.

L’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe anche trovare il porto di Belt & Road e le infrastrutture di trasporto accessibili, familiari e facili da usare in caso di emergenza, se necessario.

Con l’avvio della Belt & Road Initiative dal 2013, non è casuale che la legge antiterrorismo del 2015 abbia autorizzato la polizia armata popolare a svolgere missioni antiterrorismo all’estero e che il white paper della difesa del 2015 abbia aggiunto la salvaguardia della sicurezza degli interessi cinesi all’estero. e mantenere la pace regionale e mondiale per le missioni strategiche dell’Esercito di Liberazione Popolare.

Il white paper della difesa del 2019 descrive “interessi all’estero” come operazioni e supporto militari all’estero migliorati, strutture logistiche all’estero, operazioni di protezione delle navi, sicurezza strategica delle rotte marittime e operazioni di evacuazione all’estero e di protezione dei diritti marittimi.

Nel 2020, la legge sulla difesa nazionale è stata rivista per aggiungere “salvaguardia degli interessi cinesi all’estero” e ha autorizzato l’Esercito di liberazione popolare a “mobilitare le sue forze” per “difendere i suoi interessi nazionali e interessi di sviluppo e risolvere le differenze con l’uso della forza” come aggiunte. alle “missioni e compiti” dell’esercito.

Le attività della Belt & Road e gli investimenti commerciali e gli interessi commerciali successivi costituiscono ovviamente interessi di sviluppo all’estero, quindi ora l’Esercito di Liberazione Popolare, aiutato dalla diplomazia cinese, deve sviluppare cooperazione e capacità per difendere questi interessi se ordinato dal Partito Comunista Cinese. .

Non è che l’esercito cinese si sia fatto cogliere impreparato. La marina cinese completerà una terza portaerei (e nuovo modello) entro l’estate 2021 e ha iniziato a costruirne una quarta. Ha anche sviluppato una forza antiterrorismo in grado di dispiegarsi all’estero, un corpo di marina di spedizione e un corpo di paracadutisti con grandi nuovi tipi di navi da trasporto marittimo e aereo per dispiegare queste forze.

Con una sola base d’oltremare ufficialmente riconosciuta a Gibuti, la protezione all’estero degli interessi di sviluppo di Belt & Road richiederà la negoziazione di accordi con i paesi ospitanti per la transizione di porti, aeroporti e zone di sviluppo che fino ad ora erano esclusivamente civili in strutture a uso doppio o parallelo disponibili per supportare un livello rafforzato di presenza strategica dell’Esercito di Liberazione del Popolo per garantire gli interessi di sviluppo dei paesi partner cinesi e Belt & Road.

D: In che modo questo cambia il calcolo della geostrategia Belt & Road?

Oltre ad assicurare il sostegno alle operazioni dell’Esercito di Liberazione Popolare, i dividendi includono la definizione dell’agenda nei forum di governance regionale; la conquista dei mercati e l’approvvigionamento di risorse critiche; Belt & Road cooperazione con i partner militari e di polizia dello stato del partito per garantire interessi e aumentare l’influenza con i partner; e l’influenza politica attraverso l’istruzione e la formazione di politici, funzionari governativi, soldati e poliziotti e giovani nei paesi partner. Per un partito-stato dedito all’agenda del sogno cinese, tali guadagni politici e strategici potrebbero superare di gran lunga il costo finanziario delle cancellazioni del prestito del progetto Belt & Road.

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Scott Foster, laureato alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies di Washington, DC, è un analista presso LightStream Research a Tokyo. Seguilo su Twitter: @ScottFo83517667

FASCISMI VECCHI E NUOVI, di Antonio de Martini

FASCISMI VECCHI E NUOVI
Talleyrand, commentando la fucilazione del duca d’Enghien, spiegò che era più grave di un delitto: era un errore.
Sono d’accordo e invece di soffermarmi sui delitti del fascismo ( lo fanno ormai anche i fascisti), mi soffermerò sul suo errore: il disprezzo del consenso.
Non parlo, ovviamente, della ricerca del consenso a tutti i costi, sport favorito delle mezze tacche, ma del consenzo che nasce dal confronto che forma la volontà generale.
Il fascismo trasformò i comizi in riti, i giornali di opposizione, chiusero, fu creata l’EIAR, la radio che diffondeva il pensiero unico del capo e l’Agenzia Stefani che “notiziava” il popolo d’Italia.
Tutti presidiati da fidi omuncoli con l’obbiettivo di rendere impossibile qualsiasi alternativa.
La logica conseguenza fu la creazione disorganica e spontanea di una cultura divergente che guardava al passato ( la monarchia) o al futuro ( un nebbioso utopico socialismo).
Questa considerazione affiora alla mente, vedendo più che ascoltando, la diffusione televisiva del trentottesimo “discorso di addio” di Sergio Mattarella mentre la popolazione era ancora scioccata dai catastrofici aumenti delle utenze più indispensabili al vivere.
Il disprezzo degli italiani che costui millanta di aver servito, traspare dall’aver parlato solo bene di sè, col pretesto di fare l’identikit del prossimo presidente; con platee plaudenti a successi economici, salutistici e morali che abbiamo visto…
Ha portato avanti unicamente l’argomento della sua successione usando disinvoltamente persino la citazione di un pensionato deceduto – suprema gaffe- a causa di un esplosivo difetto nella fornitura di gas aumentato del 55% mentre la sua pensione – se fosse vissuto – avrebbe avuto un incremento dell’1,5%.
Cambiamenti dai tempi di “ Duce dacci la luce” ne abbiamo avuti e non solo nelle insegne dei tabaccai come insinuò quel disfattista di Salvemini.
L’EIAR ora ha invertito l’acronimo e si chiama RAI; la STEFANI si chiama ANSA, i giornali invece di assaltarli vengono riempiti di denari dalla presidenza del Consiglio di cui dovrebbero essere i controllori.
Questa riciclata fabbrica del consenso annidata al Quirinale promette “l’immancabile vittoria finale” fidando nel “ potente alleato” mentre gli italiani, specie i giovani guardano al passato ( il fascismo) che, per fortuna non hanno conosciuto, e al futuro ( un nebbioso cosmopolitismo).
Siamo di fronte a nullità che ci ripropongono il nulla parlando del nulla con una opposizione che vale ancor meno arrocata nei suoi neo acquisiti attici.
Pensare solo a sè non è un delitto .
È il solito errore.
Ci hanno negato il diritto di comunicare con la pubblica opinione.
Errore pagato dai vecchi fascisti.
Non saranno questi nuovi melliflui fascistelli a fare eccezione.

Crisi ambientale, catastrofismo climatico e avventurismo energetico_di Giuseppe Germinario

Il 29 dicembre scorso abbiamo pubblicato un breve articolo di Piergiorgio Rosso, apparso su www.conflittiestrategie.it, riguardante lo stato dell’arte, in casa ENI, sulle prospettive di ricerca del processo di fusione nucleare e un lungo articolo, dal carattere prevalentemente agiografico ma comunque interessante, del sito IndustriaItaliana, sulla partecipazione della piccola e media industria italiana allo sviluppo delle moderne tecnologie nucleari. http://italiaeilmondo.com/2021/12/29/fusione-nucleare-e-eni-perche-conta-di-piergiorgio-rosso/ Un testo, il primo, sintetico e incisivo, tipico dell’approccio di un tecnico professionista, che offre numerosi spunti di riflessione, in particolare, nell’economia di questo commento, nei punti 1° e 3°.Riguardo al 1° vale la pena sottolineare la costante irrilevanza del tema della sovranità ed autonomia nazionali, sia in forma individuale che condivisa con altri stati affini specie in un contesto multipolare come l’attuale e la sudditanza remissiva ed irriflessiva del sistema mediatico alle campagne allarmistiche e modaiole lanciate di volta in volta dai veri facitori di opinione pubblica più o meno discreti.

il 3° punto è in realtà propedeutico al 1° e per rendere evidente tale caratteristica occorre riprendere il principio informatore del recente articolo di Roberto Buffagni sulla gestione della pandemia http://italiaeilmondo.com/2021/12/19/sulle-strategie-di-approccio-alla-pandemia-da-coronavirus-tiriamo-le-fila_di-roberto-buffagni/ : la gestione positiva di una crisi sistemica complessa ed imprevista non può essere affidata ad un’unica soluzione salvifica, in pratica ad una scommessa. Un approccio unidimensionale all’apparenza occasionale, ma che viene riproposto pedissequamente, in realtà, in analoghe situazioni di reale o presunta crisi sistemica. Il segno a questo punto dei limiti di visione e di realistica ambizione di classi dirigenti ottuse e decadenti, prive di autonomia strategica; la causa prima dei comportamenti paradossali e incoerenti, dozzinalmente manipolatori di queste man mano che devono sbattere con l’evidenza della realtà. Lo abbiamo già visto nella crisi pandemica in corso; cominciamo ad intravederlo negli altri tre ambiti segnalati da questo articolo. Le questioni ambientale e climatica da una parte ed energetica dall’altra sono, quindi, tre delle vittime più illustri di questo approccio.

La questione ambientale/climatica si è trasformata rapidamente nella sua forma dogmatica e moralisticheggiante di ambientalismo catastrofico nel momento in cui ha attribuito all’UOMO, alla sua avidità e al suo delirio di potenza, la responsabilità prima e determinante dei cambiamenti climatici. Un assioma ancora tutto da dimostrare al quale seguono altre certezze più simili a dogmi indiscutibili che ad argomentazioni inoppugnabili, quali l’origine e la responsabilità antropica del cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse della terra.

Assiomi i quali, per essere inquadrati criticamente, necessitano intanto di due precisazioni preliminari:

  • la questione ambientale andrebbe prima separata nettamente da quella climatica per poi procedere all’individuazione delle correlazioni tra di esse;
  • la tematica ambientale/climatica non è un mero movimento culturale pregno di motivazioni idealistiche solo in un versante, ma un tema politico sostenuto in entrambi i versanti da lobby, dinamiche geopolitiche e gruppi di interessi, uno dei quali, in quanto allo stato nascente e intrinsecamente più limitato, dal carattere maggiormente assistito e parassitario e con alcuni attori di prima grandezza impegnati contemporaneamente nei due fronti. Uno per tutti il solito Soros, impegnato a finanziare i vari “gretini” per il mondo e nella partecipazione azionaria di CFS, impegnata nella ricerca applicata sulla fusione nucleare.

 

Il cambiamento climatico, per meglio dire i cambiamenti climatici, quando rilevati lungo tempi ragionevoli ed appropriati, hanno effetti opposti e non necessariamente negativi secondo la latitudine, il carattere e la morfologia dei terreni, la cura del territorio, il livello di antropizzazione incontrollata e squilibrata, sia in condizione di spopolamento che di inurbamento caotico ed incontrollato.

Ammessa e non concessa la determinante responsabilità antropica nei cambiamenti climatici, più che di “UOMO” si dovrebbe parlare di uomini nelle loro diverse aggregazioni sociali, nei loro vari gruppi di interesse e di visione delle cose, nelle loro diverse dinamiche legate al soddisfacimento delle necessità.

Conseguenze e problemi diversi in diversi contesti, ma anche e quindi approccio multidimensionale nella individuazione e circoscrizione dei problemi ed adozione di provvedimenti ed indirizzi secondo il criterio cautelativo del multirischio (AHP), tipico di azioni in contesti complessi e non sufficientemente controllabili.

Se, a titolo di esempio, i cambiamenti climatici possono innescare processi di desertificazione, l’intervento dell’uomo può contribuire a rendere irreversibile, contenere o a far regredire il fenomeno: lo sono, però, in un senso e nell’altro, tanto l’introduzione dell’allevamento estensivo, specie di ovini, come nel Sahel, quanto l’uso indiscriminato di fertilizzanti e anticrittogamici nelle coltivazioni intensive e specializzate; tanto la sovrappopolazione rispetto alla capacità dei bacini idrografici e alle tecnologie ivi disponibili di uso razionale delle risorse idriche, quanto l’abbandono e lo spopolamento di territori bonificati e trasformati dal paziente, millenario intervento dell’uomo; tanto i repentini processi di industrializzazione e sfruttamento dei terreni, come avvenuto nell’Asia sovietica, quanto la loro repentina interruzione. Per non parlare del problema delle risorse idriche e dei contenziosi geopolitici ad esse legate ( http://italiaeilmondo.com/2018/03/16/geopolitica-dellacqua-verita-controcorrente-di-aymeric-chauprade-traduzione-di-roberto-buffagni/ ). Si potrebbe continuare all’infinito. Come si potrebbe sindacare sugli sconvolgimenti ambientali ed economici provocati dall’interruzione repentina e senza alternative dell’uso di sostanze chimiche, ma rimossi da quegli ambientalisti così altrimenti sensibili ai mutamenti.

Ad un tale livello di complessità ed articolazione delle problematiche intrinseche ai sistemi ecologici si deve aggiungere l’ulteriore complicatezza di quelle estrinseche in azione in questo ambito, a cominciare dalle dinamiche geopolitiche, dalle esigenze di coesione e dinamicità delle formazioni sociali, dalla costante pressione esercitata dall’accumulazione capitalistica, dal modello di sviluppo e di progresso che informa le diverse strategie politiche delle classi dirigenti.

Da qui il carattere irrealistico delle ipotesi di governo mondiale di questi fenomeni, tanto più in una fase multipolare delle dinamiche geopolitiche. Si potrebbe pervenire tutt’al più alla definizione di indirizzi e di qualche strumento finanziario e di incentivazione a patto che si passi dalla velleità del contrasto all’obbiettivo più praticabile dell’adattamento, principio accettato in coabitazione solo dopo quattro decenni di proclami apocalittici quanto sterili.

Troppo poco rispetto all’annuncio drammatico della imminente catastrofe; sufficiente, però, a spingere alla soluzione salvifica e al discrimine moralistico rispetto al posizionamento dei vari attori; esattamente come è successo per la crisi pandemica, per il discrimine umanitario dei regimi e via dicendo.

Non poteva non cadere nel mirino il principale bersaglio predestinato: la produzione ed il consumo dell’energia fossile; non potevano non essere il principale soggetto promotore e la vittima suicida di queste scelte i paesi europei e la loro sintesi politica di impotenza e subordinazione, l’Unione Europea. Nel nostro piccolo, gli artefici ed apologeti del PNRR.

L’obbiettivo di conversione integrale e subitanea alle fonti di energia rinnovabile è di per sé irrealizzabile per i limiti fisici di trasformazione delle fonti originarie e di estensione territoriale degli impianti necessari. Imposta come soluzione salvifica e redentiva induce a sottovalutare i problemi di inquinamento e di dipendenza geopolitica derivati dall’estrazione e dalla lavorazione delle materie prime, del tutto analoghi a quelli delle fonti fossili; spinge a rimuovere il problema dell’intermittenza della produzione e dell’accumulazione e trasporto di questi prodotti; sopprime di fatto ogni obbiettivo di ricerca delle fonti fossili, di miglioramento delle loro rese proprio nella fase più delicata di questo processo, quella della transizione; impedisce una realistica politica integrata e diversificata delle fonti e delle modalità di produzione ed espone, con la fretta nell’adozione ed i ritardi nella capacità di produzione, alla dipendenza tecnologica. Il mix perfetto per perpetuare la propria dipendenza geoeconomica e geopolitica e per esporsi pericolosamente a crisi drammatiche quanto prevedibili ampiamente preannunciate e già in corso. Crisi non cagionate dal fato, ma da precise responsabilità e ottusità politiche, aggravate per di più da scelte economiche come quella di affidarsi, in tempi così incerti, alle contrattazioni hot spot nel mercato delle fonti fossili e dalla subordinazione geopolitica come accade sulle vicende south-stream, north-stream 2, della gestione schizofrenica dei giacimenti nell’Mediterraneo Orientale, del mancato sfruttamento delle risorse proprie per ragioni avulse da quelle del mantenimento di riserve strategiche proprie.

Un mix esplosivo e inconfessabile in grado di mettere assieme sodalizi improbabili ed apparentemente inconciliabili, laddove il dogmatismo di gran parte dei movimenti ambientalisti, la subordinazione e passività politica e geopolitica delle classi dirigenti europeiste e dei paesi europei, la natura speculativa di quegli ambienti finanziari adusi a trarre profitto dalle situazioni di crisi e di transizioni sgovernate, l’indole assistenziale e parassitaria di quelli capaci di fondare il proprio successo su incentivi massicci e procrastinati indefinitamente, incapaci di gestire i tempi necessari alla sperimentazione e alla applicazione industriale delle scoperte scientifiche trovano un humus comune nel quale coltivare utopia millenaria ed interessi prosaici.

Non è solo, purtroppo, un problema di buon senso, ma quello di un continuo tentativo di procrastinare situazioni più o meno reali di emergenza tali da giustificare l’esistenza e la legittimità di classi dirigenti altrimenti improbabili e da rendere schizofrenici i necessari bagni nella realtà ai quali si è costretti a cedere, come nel caso del riconoscimento dell’energia nucleare come fonte indispensabile alla transizione, quando in realtà necessaria strategicamente e in più campi.

La notizia evidenziata da Piergiorgio Rosso, nel nostro testo del 29 dicembre scorso, rappresenta un barlume positivo, ma ancora tutto da interpretare nella sua consistenza; il successivo articolo di Industria Italiana, nello stesso testo, valorizza la capacità manifatturiera della piccola e media industria nel settore nucleare, ma glissa elegantemente sul carattere complementare dell’industria italiana nella catena del valore. Non a caso è totalmente assente, nell’articolo, un qualche accenno sul ruolo, pur esistente e resistente, della residua grande industria strategica italiana.

Un provincialismo ed economicismo consapevole perfettamente in linea con la vacuità e la passività della nostra classe dirigente ma del tutto inadeguati l’uno e l’altra ai frangenti che dovremo affrontare.

Il PNRR, del quale si celebrano quotidianamente i fasti, rappresenta la summa di queste modalità operative ed opacità, ad essere generosi, degli obbiettivi. Un argomento che sarà necessario approfondire proprio per trovare conferme in sede di bilancio, dovesse essercene l’opportunità.

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