Dio è la nostra fortezza: la preghiera di Lutero che unisce i popoli, di Yari Lepre Marrani
Dio è la nostra fortezza: la preghiera di Lutero che unisce i popoli
La lotta per la vita ci porta, nei momenti più bui, a perdere vitalità e speranze, a credere che non riusciremo a superare e oltrepassare quel ponte che, ad un tempo, ci lega ad un periodo tormentoso ma può anche traghettarci verso l’altra sponda, verso la fine di una fase difficile. E’ nei momenti più oscuri dell’esistenza che sentiamo di doverci aggrappare ad una forza superiore in cui credere e confidare. Quella forza superiore e suprema che chiamiamo Dio la sentiamo viva, la vogliamo pulsante e vicina in quei momenti; talvolta affermiamo di credere in Dio ma ce ne ricordiamo solo quando la nave delle nostre vite sta per naufragare. E lo strumento che usiamo per aggrapparci alla speranza di un aiuto salvifico è la preghiera: ci rivolgiamo con la parola o il pensiero alla dimensione del sacro e gli scopi della preghiera, pur molteplici, si riassumo nella stragrande maggioranza dei casi in invocazioni d’aiuto, richieste di una grazia, di perdono,sostegno divino e morale. Parliamo più spesso a Dio, al sacro, nei momenti di tenebra che in quelli di serenità quotidiana: la richiesta di aiuto supera d’intensità e frequenza l’abitudine al ringraziamento a quel Dio onnisciente e, forse, misericordioso, in cui molti affermano di credere.
Non in tutte ma solo in determinate epoche storiche, quelle che potremmo definire “epoche storiche eroiche”, la coscienza individuale si spoglia del suo egoismo e si mescola alla coscienza collettiva così l’uomo non cessa di essere un’individualità ma vive sé stesso compartecipando emotivamente ai drammi o trionfi del proprio popolo, della propria nazione. Sono quelle grandi epoche in cui il dramma di un intero popolo diviene il dramma di ogni suo singolo cittadino, quando la coscienza individuale si fa tutt’uno con quella collettiva. In tali eroici tempi storici, la società è più compatta: la preghiera diventa così uno strumento di richiesta d’aiuto collettiva, un inno che il cittadino rivolge a Dio come individuo e parte del proprio popolo. E’ facile pensare a quante calamità possono colpire una nazione: terremoti, carestie, epidemie, guerre o invasioni straniere. La preghiera collettiva si rafforza nella comune catastrofe, inizia a diventare un inno per la salvezza di tutti. Sfogliando la Bibbia ci si imbatte nel lungo libro del Salterio o Libro degli Inni(XI – III sec. a.C.): 150 preghiere, canti sacri adoperati nella liturgia, inni verso Dio. Il Salmo 46 è particolare perché parla di Dio come rifugio e forza, “un aiuto sempre pronto nelle distrette(bisogni, necessità)”. L’autore scrive al plurale quando afferma “Perciò noi non temeremo, anche quando fosse sconvolta la terra”. Ecco che la preghiera diventa collettiva, trae forza dalla forza stessa di cui è fatto Dio.
Nel 1529 si ebbe un valido esempio della preghiera utilizzata quasi come un inno nazionale di carattere religioso: Martin Lutero(1483 – 1546) è a Wittenberg, città dove nasce la Riforma Protestante. Il momento della nazione tedesca è molto drammatico ma è altrettanto travagliato il momento che vive Lutero. Nel 1529 i turchi, invasa l’Austria, erano sotto le mura di Vienna, fu un periodo di tragici avvenimenti per la nazione e per Lutero stesso, tra lotte intestine e minacce esterne, malattie e travagli spirituali. Ecco che il dramma dell’individuo(Lutero) si mescola con il dramma della sua nazione, nasce una preghiera che abbraccia entrambi: Lutero riprende in mano il Salmo 46 della Bibbia, lo rielabora e crea un Inno evangelico stampato per la prima volta nella raccolta Inni di Wittenberg nel 1529. Potremmo definire banalmente l’Inno evangelico di Lutero come un rifacimento del Salmo 46 ma le circostanze in cui Lutero lo compose risentono di quegli anni così pieni di funesti avvenimenti per la sua nazione, e per Lutero stesso. L’Inno di Lutero si intitola “Dio è la nostra fortezza”, l’autore del Salmo 46 scrisse che “Dio è la nostra forza”: Lutero congiunge i propri tormenti personali con quelli della nazione, si fa tutt’uno con essa, usa l’aggettivo “nostra”, corrispondente al pronome personale di prima persona plurale noi. Il suo Inno è pieno di quella drammaticità che riflette le contingenze in cui fu composto tanto che, si è detto, qui la drammaticità è più forte della spiritualità. L’Inno di Lutero è quell’esempio di preghiera individuale che abbraccia la coscienza collettiva in un frangente di sciagura nazionale così da trasformarsi in preghiera comune, una preghiera che arriva a spogliarsi di intima spiritualità per diventare una preghiera nazionalpopolare. E il destino dell’Inno di Lutero fu proprio di diventare un inno popolare, e tale è rimasto: inno destinato ad essere declamato e recitato nelle crisi nazionali, come l’inno inglese Dio protegga il re, più antico e che con esso ha qualche analogia.
L’esempio dell’Inno evangelico di Lutero è un simbolo di una concezione della preghiera più ampia, empatica, collettiva, si potrebbe a buon diritto definirla nazionale non solo per le circostanze che l’hanno generata ma per quei significati universali che acquista il dialogo con il sacro quando si fa voce comune, popolare appunto. Queste invocazioni collettive e mistiche appartengono a quei rari momenti della Storia in cui il singolo uomo si sente realmente parte del suo popolo, forse meno solo, sicuramente più fraternamente legato all’intera collettività nel bene ma, soprattutto, nel male, in quelle congiunture negative nelle quali la preghiera individuale non basta ed essa si tramuta in voce di un intero popolo verso Dio. Sono quei momenti di sublime solidarietà che i popoli conoscono solo in rare occasioni di vera unità popolare, momenti altamente drammatici ma importantissimi e umanamente splendidi.
Yari Lepre Marrani
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