HOMO COGNITIVUM, di Pierluigi Fagan

(Revisioni e rifondazioni di paleoantropologia). L’immagine di mondo, che comprende una nostra immagine di uomo, è un tutto coerente. Ogni epoca ha la sua IDM dominante che è poi quella largamente condivisa in un sistema piramidale che dai primi livelli sociali giunge fino alla massa. Non ricordo chi sostenesse, a ragione, che ogni filosofia generale parte da una esplicita o implicita antropologia, una idea di cos’è l’uomo. L’antropologia profonda ovvero la ricerca sull’intero arco temporale della nostra esistenza di genere prima che di specie, tra 3 e 2,5 milioni di anni, è la cornice che maggiormente influisce sulla risposta.
A metà Settecento Linneo era ancora fuori l’impeto della rivoluzione industriale. Quando dovette catalogare l’intero genere umano entro il generale catalogo dei viventi, la chiamò Homo sapiens. Il genere Homo, il nostro, si caratterizzava specificatamente per la cognizione. Ovviamente Linneo era ignaro della profondità temporale del genere e la sua suddivisione in molte specie, ma gli sembrò chiaro che il concetto di umano fosse la nostra peculiare mentalità.
Lungo tutto l’Ottocento ed il Novecento che ne è la continuazione di seconda modernità, si cominciò ad esplorare la profondità temporale. In pieno impeto della Rivoluzione industriale, prima venne messo nome al lungo periodo del Paleolitico, poi il Neolitico. Qualcuno provò ad inserire un intermedio tra i due, il Mesolitico, ma inizialmente con scarsa fortuna. Qui vanno notate due cose. La prima è che il concetto di questo lungo tempo dell’ominazione, era basato sulle pietre (litico) e loro lavorazione, la seconda è che non si vedeva necessario mettere un intermedio tra il paleo ed il neo perché valeva il concetto di rivoluzione e le rivoluzioni, si sa, sono cambiamenti radicali in breve tempo, a salto.
Quindi non c’era stata alcuna transizione, non era successo nulla di rilevante fino a che l’uomo ad un certo punto s’era messo a inventare strumenti nuovi, prima di pietra poi di metallo ed a coltivare la terra, aveva fatto la sua rivoluzione agricola. Come diceva Marx “l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica” qui intesa come sussistenza. Lo schema, condiviso dalla mentalità positivistica a matrice nordeuropea ma più significativamente anglosassone (Marx vive, studia e scrive a Londra ai tempi di questa frase che è nella breve illustrazione della c.d. “concezione materialistica della storia” contenuta in “Per la critica …” 1859), quindi anche dalla tradizione liberale, era questo: a) innovazioni tecniche; b) nuovi modi di produzione; c) cambia la forma sociale e poi politica e giuridica della società.
Per questo si configurarono i tre milioni di anni del tempo profondo dell’ominazione seguendo il come scheggiavamo i sassi, fino agli anni ’60 del Novecento dove un archeologo anglosassone ma marxista, confezionò l’idea della “Rivoluzione agricola o neolitica” ovvero nuova società (civile, da civis = città) conseguente nuovi modi di produzione conseguenti innovazioni tecniche. Oggi sappiamo che non ci fu alcuna rivoluzione agricola ma una complessa storia determinata da un nugolo di variabili stesa su più di 10.000 anni prima di arrivare a vivere in città di decine di migliaia di persone.
Questa tradizione di pensiero che è un pensiero d’epoca al di là del fatto che la parte dominante (liberale) ne ha poi tratto giudizi diversi dalla parte critica (marxista), permane nella seconda metà del Novecento su base antropologica dell’homo faber, l’uomo che fa cose. Così paleoantropologi inglesi quando scoprirono quello che ritennero il primo umano gli misero nome Homo habilis ovvero con l’abilità di manipolare sassi per produrre strumenti che cambiarono il suo modo di stare al mondo. In seguito, altri ritrovamenti di Homo poco più recente, vennero definiti Homo ergaster che si può tradurre con “operaio”. Età della pietra, innovazione tecnica, modi di sussistenza, cacciatori ed operai, nuovi tipi di società che ne riflettono le forme, rivoluzioni improvvise ed eccoci qui a celebrare rivoluzioni produttive che secondo alcuni sarebbero arrivate alla versione 4.0.
Già, ma perché l’uomo fa cose che gli altri animali non fanno? E soprattutto, dopo un secolo e mezzo di scavi, affinamento delle tecniche che ci fanno trarre informazioni dai reperti fossili ed interpretazioni, questa impostazione vale ancora? È questa l’essenza umana?
L’essere umano deriva da stadi precedenti di cui eredita il percorso ed il nostro stadio precedente è nelle scimmie antropomorfe bipedi. Oggi troviamo resti di utilizzo della pietra da parte di queste scimmie, alcune sbozzate ovvero lavorate e spesso provenienti da siti di molti chilometri distanti da dove le troviamo ovvero dove erano lavorate prima che usate. In alcuni casi, la loro quantità suggerisce la possibilità che questo lavoro sulle pietre fosse collettivo. Questo ultimo fatto mostra una differenza sostanziale dall’utilizzo di strumenti rispetto gli altri animali. In questo secondo caso lo strumento è trovato o creato (ad esempio pulire un ramo di foglie in modo da farlo diventare una bacchetta da infilare in un termitaio) sul posto, nessuno va in giro diversi chilometri portandosi appresso strumenti da utilizzare alla bisogna, nessuno lo fa con le pietre, nessuno le lavora, nessuno lo fa in gruppo. La sequenza “prendo queste pietre assieme ad altri e le porto lontane all’accampamento per esser lavorate in gruppo in vista di successivo utilizzo” è mentale. Presuppone uno spazio mentale che prefigura l’azione prima di agire, prefigura la cognizione.
Tutto ciò, bipedismo e facoltà cognitive distinguenti sono correlate e compaiono come anche prima di 3 milioni di anni fa a livello di scimmie antropomorfe. Per più di un milione di anni abbiamo sbozzato pietre per ricavarne schegge, per poco più di un altro milione e mezzo di anni lo abbiamo fatto con una tecnica poco più sofisticata di modo da avere due lati taglienti, poi le tecniche hanno avuto una proliferazione più recente (30-40.000 anni fa). Il paradigma litico è confermato? Niente affatto.
In questi due milioni e mezzo di anni abbiamo conquistato definitivamente la posizione eretta e ci siamo messi a camminare invadendo l’intero pianeta dai ghiacci ai deserti, le terre, le acque ed i cieli. La nostra scatola cranica è triplicata in volume e con essa il cervello, si è evoluta la corteccia e la neocorteccia sede delle nostre facoltà mentali e cognitive più sofisticate e propriamente umane. Abbiamo sviluppato una “teoria della mente” che è una facoltà di intellezione sociale.
La retorica narrativa sulla caccia grossa paramilitare è falsa se presa come paradigma, gli ultimi cacciatori-raccoglitori hanno solo il 30% della loro sussistenza dalla caccia che in molti casi è caccia di piccole o medie prede. Il più antico dipinto murale non è francese ma indonesiano e non mostra grandi alci e mammut ma un grasso maiale selvatico.
Prima dell’ultima deglaciazione il mare era 90 metri meno profondo, oggi a nessuno viene in mente di andare a scavare a mare a cento metri di profondità per cercare fossili e tracce di vita umana. Ci sono buone ragioni per ritenere che la gran parte dei gruppi umani abbiano vissuto in prossimità della costa e pescato e frutti di mare hanno avuto un ruolo proteico fondamentale.
Avremo evoluto chissà quanto e come gli strumenti in legno molto più utili, versatili e lavorabili di quelli in pietra, abbiamo trovato lance di legno e strumenti composti di più di 300.000 anni fa, ma trovare legno del tempo profondo è un puro caso visto che per lo più si degrada. Abbiamo noiosissime catalogazioni sulle lavorazioni sapiens delle pietre in Francia, ma nessuno spiega come abbiamo fatto a coprire 80 chilometri di oceano per arrivare in Australia 50.000 anni fa.
Abbiamo poi ristretto la definizione di “sapiens” alla nostra singola specie, ma abbiamo poi scoperto che anche i Neanderthal o forse anche l’Homo heidelbergensis (700.000 – 200.000 a.f.) avevano forme di cognizione superiore ed usavano pigmenti colorati o producevano strumenti composti di parti.
Ci siamo anche raccontati fossimo gli unici a poter comunicare col linguaggio (poiché l’IDM prevede anche “In principio era il Verbo” da Giovanni a Derrida è un attimo) ma oggi sappiamo che anche l’Homo ergaster e l’erectus (1,8 milioni di anni fa) ne avevano facoltà sebbene limitata.
Il nostro apparato di dentizione e di digestione rimane stretto parente degli erbivori ma ci siamo fatti una immagine di barbecue miglior amico dell’uomo, ovviamente previa caccia, laghi di sangue e massacro indiscriminato. Per carità, tutte cose vere e provate ma che non fanno “paradigma”. Ci siamo raccontati di un uomo primitivo hobbesiano ma abbiamo prove provate di super-cooperazione interindividuale e sociale addirittura a livello Neanderthal.
Nel Paleolitico superiore vediamo una improvvisa crescita delle popolazioni nelle unità sociali e nella densità territoriale, ma la variabile demografica ci è ignota nelle descrizioni poiché l’intera immagine di uomo è centrata sull’individuo che inventa cose per produrre cose. In più il registro fossile rimane terribilmente scarso, pieno di buchi riempiti con vere e proprie narrazioni che riflettono solo i principi dell’immagine di mondo e di uomo moderna, stile anglosassone, come anglosassoni sono gran parte degli studiosi del campo.
Non compare nessuna rivoluzione, nessun salto particolare, solo un molto lento crescere di facoltà evolutesi su basi molto antiche ed espressesi in modalità molto più ampie che non la tecnologia litica. Molti nostri cambiamenti sono stati risposte a novità ambientali, ecologiche e climatiche, il nostro cambiamento è stato il risultato di vari tipi di adattamento al cambiamento del mondo e forse la nostra specie emerge come ibridazione tra molte altre.
Siamo le bestie più generaliste del vivente e per questo siamo diventati gli immaturi dominatori del mondo perché non ci siamo mai legati ad “un” modo di essere. E siamo le bestie più generaliste perché il nostro organo adattivo è un grande cervello plastico. Siamo in essenza generalisti ma le nostre forme di conoscenza attuali sono tutte specialistiche. Siamo l’animale cognitivo ma osserviamo solo i frutti delle nostre prassi.
Noi non siamo l’animale che fa, siamo l’animale che pensa prima di fare, come farlo e se farlo. Il nostro posto nel catalogo dell’antropologia profonda è quello di animali cognitivi. Aveva ragione Linneo. La revisione tassonomica dice che noi siamo Homo sapiens da circa 200.000 anni e facciamo parte del genere Homo cognitivum che deriva da Australopithecus habilis. Questo è un paradigma e si sa, è dal cambio di paradigma, a cascata, si produce una diversa immagine di mondo e noi oggi abbiamo disperato bisogno di una nuova immagine di mondo e di uomo.
Fino a che rimarremo intrappolati nell’IDM della Rivoluzione industriale, dell’economicismo positivista, dell’assurda dicotomia tra idea e materia, del fare senza pensare, rimarremo schiavi di un incanto che tra l’altro incanta sempre meno.
[Questa l’ultima scoperta. Erano bipedi, creavano strumenti di pietra, avevano un cervello un terzo più piccolo del nostro ed erano scimmie]

https://www.reuters.com/lifestyle/science/whodunit-mystery-arises-over-trove-prehistoric-kenyan-stone-tools-2023-02-09/?fbclid=IwAR0lvL2IfGm117ITUECxuO7rHq_vwG_QaWXoLGNEGFkqGWE0uuW707kE8vk

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