Italia e il mondo

Sylvia Demarest: Il capo del DNI Tulsi Gabbard ha deferito l’ex presidente Barack Obama al Dipartimento di Giustizia per un’indagine._di Natyliesb e Larry Johnson

Sylvia Demarest: Il capo del DNI Tulsi Gabbard ha deferito l’ex presidente Barack Obama al Dipartimento di Giustizia per un’indagine.


Da natyliesb su 19 luglio 2025
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Di Sylvia Demarest, Substack, 7/19/25

Sylvia Demarest è un avvocato processuale in pensione.

Venerdì scorso, il direttore della National Intelligence Tulsi Gabbard ha declassificato documenti che rivelano “prove schiaccianti” che dimostrano come, prima e dopo la vittoria del presidente Donald Trump alle elezioni del 2016 contro Hillary Clinton, l’allora presidente Barack Obama e il suo team di sicurezza nazionale abbiano gettato le basi per quella che sarebbe stata l’indagine sulla collusione Trump-Russia, durata anni. In una serie di post su X, il capo del DNI Tulsi Gabbard spiega l’indagine e la declassificazione di 114 pagine di documenti precedentemente top-secret che rivelano che il Russiagate era essenzialmente una bufala creata dall’intelligence. Gabbard ha dichiarato: “C’è stata una cospirazione a tradimento ai più alti livelli del governo”.

Il rilascio di questi documenti da parte del direttore Gabbard è correlato a un’operazione della comunità dell’intelligence avvenuta durante e dopo le elezioni presidenziali del 2016. Questa operazione è stata progettata per accusare Donald Trump di essere un agente russo e ha creato l’isteria Trump-Russia che ha occupato l’attenzione del Paese per anni. L’operazione è stata diffusa da fughe di notizie anonime della comunità dell’intelligence ai media aziendali che hanno saturato il Paese con quelle che ora si è scoperto essere completamente “fake news”. Non abbiamo ancora avuto notizie da questi media, che comprendono il New York Times, il Washington Post, la MSNBC, la NBC e la CNN. La copertura di questa storia falsa da parte di questi media ha fatto sì che i media e i loro reporter venissero premiati con il Pulitzer.

Ecco un esempio tratto dalle rivelazioni del DNI. L’8 dicembre 2016, i funzionari dell’intelligence erano pronti a pubblicare il President’s Daily Briefing che concludeva che “gli attori russi e criminali non hanno avuto un impatto sui recenti risultati delle elezioni statunitensi conducendo attività informatiche dannose contro le infrastrutture elettorali”:

Questo memorandum “non ha avuto impatto” non è mai stato pubblicato a causa dell’intervento di James Clapper e ciò che era contenuto in questi memorandum dell’IC era l’esatto opposto di ciò che la Casa Bianca di Obama avrebbe affermato un mese dopo.

Il 9 dicembreil il Comitato dei principali responsabili della sicurezza nazionale di Obama si è riunito e dopo questa riunione ogni membro del team ha ricevuto un’e-mail con il compito di creare una nuova “valutazione su richiesta del Presidente”. A questo punto sono iniziate le fughe di notizie anonime verso i media, fughe ora etichettate dal DNI come “palesemente false”. Le fughe di notizie riguardavano un’inesistente “valutazione segreta” secondo cui la Russia era intervenuta per influenzare “l’esito delle elezioni”. Le fughe di notizie sono continuate fino a quando Brennan ha potuto organizzare e rilasciare un Intelligence Community Assessment. Queste azioni hanno messo in moto una serie di sviluppi che hanno portato alla pubblicazione del Dossier Steele e a una raffica di storie mediatiche che collegano Trump alla Russia, e a uno scandalo senza precedenti che ha sostanzialmente accusato Trump di essere un traditore.

I materiali sono stati rafforzati da un informatore dell’ufficio dell’allora capo del DNI James Clapper. I documenti coinvolgono un’ampia gamma di funzionari della Casa Bianca, tra cui lo stesso presidente Obama, e sono stati concepiti per creare una falsa narrativa secondo cui la Russia si sarebbe intromessa nelle elezioni per aiutare Donald Trump.

Il rilascio è stato preceduto da una “riunione urgente” del Presidential Intelligence Advisory Board di Trump, in una struttura sicura che comprendeva anche funzionari del Dipartimento di Giustizia.

La bufala del Russiagate ha seriamente compromesso le relazioni tra Stati Uniti e Russia, il che sembra essere stato l’obiettivo finale.

Ecco Russia Today: “L’amministrazione dell’ex presidente Barack Obama ha deliberatamente manipolato l’intelligence per incastrare la Russia per aver interferito nelle elezioni presidenziali del 2016, secondo i documenti appena declassificati rilasciati venerdì dalla direttrice della National Intelligence americana Tulsi Gabbard. Gabbard ha svelato più di 100 pagine di e-mail, memo e comunicazioni interne, che ha descritto come “prove schiaccianti” di uno sforzo coordinato da parte di alti funzionari dell’era Obama per politicizzare l’intelligence e avviare l’indagine pluriennale sulla collusione Trump-Russia. L’ha definita “una cospirazione a tradimento per sovvertire la volontà del popolo americano”. Lo scandalo ha danneggiato gravemente le relazioni tra Mosca e Washington, portando a sanzioni, sequestri di beni e alla rottura della normale diplomazia“.

Catherine Herridge, che si era occupata della vicenda, ha dichiarato quanto segue: “I documenti appena declassificati sono un’ulteriore e convincente prova del fatto che la narrazione della collisione con la Russia del 2016 non era radicata in rapporti di intelligence credibili, ma è stata costruita per adattarsi a una narrazione politica preferita”.

L’importanza di questa azione del DNI non può essere sopravvalutata.

È la prima volta che un’operazione interna di intelligence viene smascherata dalla sua stessa leadership. Inoltre, ha messo in luce l’abuso dell’etichetta “classificato top secret” per nascondere attività illegali e potenzialmente tradimento, il che potrebbe e dovrebbe portare a serie riforme delle procedure di classificazione. Il rilascio al pubblico di documenti così altamente classificati è inoltre senza precedenti ed evita le affermazioni di “assenza di prove a sostegno”.

Il rinvio a giudizio dell’ex presidente Barack Obama non sarebbe mai avvenuto se il Dipartimento di Giustizia di Biden non avesse trascorso 4 anni a perseguire Donald Trump. Il caso della Corte Suprema derivante da uno dei procedimenti giudiziari, stabilisce le circostanze in cui un ex presidente può essere perseguito penalmente. La Corte Suprema ha affermato che “non c’è immunità” per gli “atti illegali”. Gli atti rivelati dal DNI Gabbard sarebbero parte di una contro-insurrezione interna progettata per rimuovere o impedire a un presidente debitamente eletto di svolgere i suoi compiti secondo la Costituzione degli Stati Uniti. Sono stati inoltre progettati per peggiorare le relazioni con un Paese straniero e promuovere un percorso di guerra. Se dimostrato, ciò costituirebbe un atto illegale.

Ecco cosa ha rilasciato venerdì il capo del DNI Tulsi Gabbard:

@DNIGabbard

“Gli americani scopriranno finalmente la verità su come nel 2016 l’intelligence sia stata politicizzata e armata dalle persone più potenti dell’amministrazione Obama per gettare le basi di quello che è stato essenzialmente un colpo di stato durato anni contro il presidente @realDonaldTrump, sovvertendo la volontà del popolo americano e minando o repubblica democratica. Ecco come”.

Per mesi prima delle elezioni del 2016, la comunità dei servizi segreti ha condiviso un’opinione comune: la Russia non aveva l’intenzione e la capacità di hackerare le elezioni americane.

Ma settimane dopo la storica vittoria del 2016 del Presidente Trump contro Hillary Clinton, tutto è cambiato.

Image.jpeg

L’8 dicembre 2016, i funzionari della CI hanno preparato una valutazione per il Daily Brief del Presidente, scoprendo che la Russia “non ha avuto un impatto sui recenti risultati delle elezioni statunitensi” conducendo attacchi informatici alle infrastrutture.

Prima che potesse arrivare al Presidente, è stata bruscamente ritirata “sulla base di nuove indicazioni”. Questa valutazione chiave dell’intelligence non è mai stata pubblicata.

Image.jpeg

Il giorno successivo, gli alti funzionari della sicurezza nazionale, tra cui il direttore dell’FBI James Comey, il direttore della CIA John Brennan e il DNI James Clapper, si sono riuniti alla Casa Bianca di Obama per discutere della Russia. Obama ha ordinato alla CI di creare una nuova valutazione di intelligence che descrivesse in dettaglio l’ingerenza russa nelle elezioni, anche se avrebbe contraddetto le molteplici valutazioni di intelligence rilasciate nei mesi precedenti.

Image.jpeg

I funzionari di Obama si sono immediatamente appoggiati ai loro alleati nei media per promuovere le loro falsità. Fonti anonime della CI hanno fatto trapelare informazioni classificate al Washington Post e ad altri che la Russia era intervenuta per hackerare le elezioni a favore di Trump.

Image.jpeg

Il 6 gennaio 2017, pochi giorni prima dell’insediamento del Presidente Trump, il DNI Clapper ha svelato la valutazione politicizzata diretta da Obama, una grossolana strumentalizzazione dell’intelligence che ha posto le basi per un colpo di stato durato anni e volto a sovvertire l’intera presidenza del Presidente Trump.

Secondo le email degli informatori condivise oggi, sappiamo che Clapper e Brennan hanno usato il dossier Steele, screditato e privo di fondamento, come fonte per spingere questa falsa narrativa nella valutazione dell’intelligence.

Image.jpeg

Questi documenti descrivono nel dettaglio una cospirazione a tradimento da parte di funzionari ai più alti livelli della Casa Bianca di Obama per sovvertire la volontà del popolo americano e cercare di usurpare il Presidente dall’adempimento del suo mandato.

Questo tradimento riguarda tutti gli americani. L’integrità della nostra Repubblica democratica richiede che ogni persona coinvolta sia indagata e consegnata alla giustizia per evitare che ciò si ripeta.

Sto fornendo tutti i documenti al Dipartimento di Giustizia per garantire la responsabilità che il Presidente Trump, la sua famiglia e il popolo americano meritano.

Conclusioni:

In tutto ci sono state 17 diverse indagini che Wired Magazine ha illustrato in un articolo del 2018. Queste indagini includevano un procuratore speciale, due impeachment e cause contro società russe che non sono mai andate a buon fine. Queste indagini hanno portato all’incriminazione di diverse persone che lavoravano nella campagna di Trump. A seguito di queste indagini, molte persone sono state mandate in bancarotta e le loro famiglie sono state minacciate, costringendole a dichiararsi colpevoli; altre sono state processate e condannate, e almeno due sono state incarcerate. All’epoca ho seguito l’intera saga, ho messo insieme una cronologia, ho letto i capi d’accusa, le trascrizioni dei tribunali e le deposizioni. Ho concluso che si trattava di un’operazione di intelligence anti-Russia progettata per demonizzare la Russia e per impedire al Presidente Trump di cercare di migliorare le relazioni tra Stati Uniti e Russia, ossia che si trattava di una probabile operazione di intelligence al limite del tradimento. Ora il DNI è giunto alla stessa conclusione.

Non ho avuto l’opportunità di esaminare tutti i documenti che sono stati rilasciati. Ci sono diversi siti di Substack che stanno seguendo la questione, tra cui Racket News di Matt Taibbi, che consiglio vivamente.

La CIA ha avviato una guerra di intelligence e terrorismo contro la Russia basandosi su una bugia

Larry C. Johnson20 luglio
 LEGGI NELL’APP 

La CIA Direct di Biden, Bill Burns

La rivista Foreign Policy ha pubblicato la scorsa settimana un articolo di Tim Weiner, autore di “Legacy of Ashes” , dal titolo ” Quando la minaccia è dentro la Casa Bianca: cosa pensano gli addetti ai lavori della CIA delle talpe e dei leccapiedi del MAGA ora responsabili della sicurezza nazionale degli Stati Uniti” . Sebbene l’intento dell’articolo sia quello di dipingere Trump e il suo team come un gruppo di leccapiedi russi, Weiner, inconsapevolmente, dipinge la leadership della CIA come composta da agenti di parte che non conoscono la Russia… e che credono ancora di avere a che fare con uno stato autoritario comunista.

Ecco il paragrafo iniziale:

“Figlio della Nuova Rivoluzione Americana” è una pubblicazione finanziata dai lettori. Per ricevere nuovi post e sostenere il mio lavoro, considerate la possibilità di abbonarvi gratuitamente o a pagamento.

 Iscritto

Se le spie della nostra nazione sono la fanteria della nostra ideologia, come osservò una volta John Le Carré, Tom Sylvester è un milite ignoto che è diventato generale a quattro stelle. Due anni fa è stato nominato vicedirettore delle operazioni della CIA, con la responsabilità di migliaia di ufficiali impegnati in operazioni di spionaggio, operazioni segrete e paramilitari. Si è aggiudicato l’incarico grazie al suo ruolo nel furto dei piani di guerra russi per l’Ucraina, nell’avvertire il mondo dell’imminente invasione e nel fornire un supporto costante ai servizi militari e di intelligence di Kiev.

Weiner attribuisce a Sylvester il merito di aver “rubato i piani di guerra della Russia per l’Ucraina”, ma ignora completamente il ruolo svolto dalla CIA nel provocare l’invasione russa dell’Ucraina. L’intera narrazione che circonda le azioni di Sylvester è costruita sulla premessa che la Russia sia un attore cattivo e malvagio e che le sue azioni non abbiano nulla a che fare con le provocazioni occidentali, in particolare con l’espansione della NATO a Est.

Il successivo “punto saliente” dell’articolo di Weiner fornisce un ottimo esempio della parzialità e dell’ignoranza della CIA quando si tratta della Russia:

Nell’estate del 2017, Sylvester ricevette nuovi ordini da Tomas Rakusan, il nuovo capo del servizio segreto, la cui identità rimase un segreto di Stato fino a dopo il suo pensionamento. Rakusan aveva spiato la Russia fin da prima della fine della Guerra Fredda, operando in tutta l’Europa centrale e orientale. Il suo odio per i russi era innato. I suoi genitori erano cechi; aveva 9 anni quando le truppe sovietiche repressero la rivolta della Primavera di Praga nel 1968. Rakusan considerava il sovvertimento delle elezioni presidenziali da parte del presidente russo Vladimir Putin per conto di Trump l’equivalente spionistico dell’11 settembre. Per rappresaglia, mirava a infiltrarsi nel Cremlino – una delle più grandi aspirazioni della CIA fin dalla sua fondazione, un obiettivo mai raggiunto.

Odio per i russi? Una cosa è disprezzare l’Unione Sovietica, che era governata da un’ideologia comunista. Ma la “Fine della Guerra Fredda” fu segnata dal rovesciamento pacifico di un governo comunista e dalla creazione di un nuovo governo russo che enfatizzava il nazionalismo e il cristianesimo. In che modo questo può rappresentare una minaccia per gli Stati Uniti? Inoltre, durante gli anni ’90, l’esercito russo era allo sbando e la società era devastata dalla crisi economica, che includeva due periodi di iperinflazione, povertà diffusa tra il popolo russo e un drastico calo dell’aspettativa di vita tra gli uomini russi.

Questo non è invecchiato bene: ” Rakusan ha visto il sovvertimento delle elezioni presidenziali da parte del presidente russo Vladimir Putin per conto di Trump come l’equivalente spionistico dell’11 settembre “. La declassificazione di documenti di intelligence ed email di vari membri della CIA e di altri funzionari dell’intelligence da parte di Tulsi Gabbard venerdì dimostra che Rakusan o aveva la testa nel culo o faceva parte della cospirazione per attaccare Donald Trump con una bugia (o entrambe le cose). Il promemoria ha il seguente oggetto: Soppressione da parte della comunità dell’intelligence di informazioni di intelligence che dimostrano che “attori russi e criminali non hanno avuto alcun impatto” sulle elezioni presidenziali del 2016 tramite attacchi informatici alle infrastrutture. Sono sicuro che questo abbia colto di sorpresa Tim Weiner. Di certo gli toglie il fiato mentre cerca di dipingere la CIA come un’organizzazione santa e onesta minata dal presidente che è nelle mani di Putin.

I successivi paragrafi di Weiner tracciano un quadro dell’intensificarsi dell’azione dell’intelligence occidentale contro la Russia, ma mettono anche a nudo l’impotenza della CIA per quanto riguarda le risorse di intelligence umana in Russia:

Nell’estate del 2020, gli agenti della CIA lavoravano a stretto contatto con britannici, olandesi, ucraini, polacchi, cechi, estoni e molti altri servizi segreti contro i russi. “C’era la decisione strategica su come avremmo condiviso le informazioni di intelligence”, ha detto Sylvester. “Le abbiamo usate come un meccanismo di influenza, di per sé, per convincere i governi a iniziare a collaborare con noi”. Questa fiducia conquistata a fatica “ha permesso loro di aprire rubinetti di cooperazione e intelligence che fino a quel momento non avevano condiviso con noi”, ha aggiunto. La CIA e i suoi alleati stranieri stavano fertilizzando reciprocamente le informazioni di intelligence, coordinando le operazioni e, soprattutto, reclutando fonti russe.

La CIA era riuscita a “contrastare i servizi segreti russi” in gran parte “collaborando con partner di collegamento all’estero per denunciare e interrompere le attività di intelligence russe”, mi aveva detto l’anno scorso l’allora direttore della CIA William Burns. “E poi, a partire dalla primavera del 2021, abbiamo cercato di costruire su questo aspetto, ovvero la dimensione del reclutamento”, ha aggiunto. “Questa è stata davvero, soprattutto quando i tamburi di guerra hanno iniziato a suonare, un’opportunità irripetibile, data la disaffezione di alcune parti dell’élite e della società russa” nei confronti del regime di Putin.

Questa citazione mi ha colpito: in gran parte “lavorando con partner di collegamento all’estero per smascherare e interrompere le attività di intelligence russa”. È un modo educato per dire che la CIA non aveva risorse proprie e si affidava ai servizi segreti stranieri, con la maggior parte delle informazioni provenienti dall’Ucraina. E si noti l’importanza della “primavera del 2021”: Biden era appena stato insediato come Presidente e gli sforzi per colpire la Russia in modo più intenso erano stati accelerati.

Anche il commento di Burn a Weiner è piuttosto istruttivo… Dimostra una convinzione errata da parte del Direttore della CIA sulla stabilità del governo russo (vale a dire, data la disaffezione di alcune parti dell’élite russa e della società russa nei confronti del regime di Putin) ed è un’ammissione implicita che la CIA aveva avviato un programma per cercare di innescare una nuova rivoluzione colorata in Russia. Questa non è la mia opinione… L’articolo di Weiner lo chiarisce in questo paragrafo:

I servizi segreti di Kiev, ricostruiti dalla CIA dopo l’occupazione della Crimea e di altre parti dell’Ucraina orientale da parte di Putin nel 2014, erano diventati una delle migliori fonti di intelligence di Washington sui russi; la CIA stava diventando la migliore difesa degli ucraini contro di loro. “È stato probabilmente uno dei migliori investimenti che la CIA, il governo degli Stati Uniti, abbia mai fatto”, ha detto Sylvester; aveva creato “la fiducia, la sicurezza, la capacità, nei momenti di bisogno, di sentirsi come se si fosse in trincea insieme”. Entro l’autunno del 2021, la CIA aveva fornito agli ucraini un corso di laurea in spionaggio e operazioni paramilitari, insieme alla capacità di comprendere e utilizzare un flusso costante di intelligence statunitense.

Concludo con questa sorprendente, ma non sorprendente, rivelazione di Weiner. Descrive la furia di Rakusan dopo l’elezione di Trump e le sue azioni disperate e pericolose:

“I russi hanno manipolato le nostre fottute elezioni”, disse loro. “Come possiamo assicurarci che non accada mai più?” Non gli importava se non parlavano russo o se non avevano mai messo piede a Mosca. Ordinò loro di usare la loro esperienza nel colpire e reclutare terroristi e di rivolgerla contro spie, diplomatici e oligarchi russi.

Capito? “Reclutate terroristi!” Non voglio più sentire una sola parola sugli Stati Uniti che combattono una guerra al terrorismo, quando abbiamo un’ammissione da parte del massimo responsabile operativo della CIA che ordina ai suoi ragazzi di reclutare terroristi, che verranno usati per attaccare la Russia. Sono sicuro che i russi abbiano letto l’articolo del signor Weiner e se ne siano accorti. Sospetto che lo sapessero già.

Sulla base dell’articolo di Weiner, ora sappiamo che gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra di intelligence contro la Russia basandosi completamente su una menzogna. E i vertici della CIA l’hanno assecondata. A mio avviso, la CIA dovrebbe essere smantellata e abbandonata ai quattro venti. Dobbiamo ricominciare da capo con persone che abbiano effettivamente svolto attività di intelligence.

“Figlio della Nuova Rivoluzione Americana” è una pubblicazione finanziata dai lettori. Per ricevere nuovi post e sostenere il mio lavoro, considerate la possibilità di abbonarvi gratuitamente o a pagamento.

Barack Obama ora nel mirino del Russiagate

Nuove rivelazioni da un gruppo di lavoro guidato da Tulsi Gabbard puntano direttamente ai vertici, mentre l’eredità di “Hope and Change” inizia a sprofondare nel fondo dell’oceano

Matt Taibbi

19 luglio 2025

∙ Pagato

Barack Obama è entrato nella politica nazionale con un sorriso che sembrava come Speranza e cambiamento. Tra le voci di discordia familiare e di disordine all’interno del partito politico che un tempo guidava, il suo volto si è indurito. Ultimamente sembra amareggiato, risentito, esaurito dall’azione.

Sulla scia dirapporti rilasciatiIl presidente della Commissione hawaiana ed ex democratica Tulsi Gabbard ha anche un nuovo problema. Una volta sembrava certo che Obama sarebbe stato ricordato come l’eroe affascinante del ritratto di Shepard Fairey.ritratto di Shepard Faireyma i documenti di Gabbard lo pongono al centro di un atto di sabotaggio politico senza precedenti, commesso negli ultimi giorni di vita dello Studio Ovale di Obama, umiliato da un’incapacità di governo nell’inverno 2016-2017. Il nuovo direttore della National Intelligence sta prendendo di mira l’eredità di Obama e forse anche la sua libertà,dettagliandouna “cospirazione a tradimento commessa da funzionari ai più alti livelli del nostro governo”, annunciando che tutte le persone coinvolte “devono essere indagate e perseguite nella massima misura della legge”.

Dieci giorni fa, si è diffusa la notizia che il Dipartimento di Giustizia di Donald Trumpha aperto un’indagine penalesu due dei principali vice di Obama, l’ex capo dell’FBI James Comey e l’ex capo della CIA John Brennan. Domenica scorsa, l’ODNI della Gabbard ha ospitato un “incontro urgenteper discutere di “nuove informazioni sul Russiagate” con i membri delDipartimento di Giustiziae ilComitato consultivo del Presidente per l’intelligence.

Per tutta la settimana, a Washington si sono rincorse voci sull’imminente rilascio di documenti, ma ciò che è emerso non è stato quello che molti si aspettavano. I documenti della Gabbard mostrano che la Casa Bianca di Obama ha scavalcato mesi di rapporti che sminuivano le interferenze russe e ha ordinato ai suoi subordinati di innescare una bomba a orologeria di intelligence manipolata, con l’obiettivo di tentare, come ha descritto la Gabbard, di “usurpare” un presidente entrante. Non più un personaggio terziario, Obama è ora “al centro” della truffa del Russiagate, come ha detto una fonte.

La stampa tradizionale, come ilNew York Times ePolitico hanno già pubblicato articoli in cui si citano i portavoce del Partito Democratico che liquidano i rapporti della Gabbard come “privi di fondamento” e un tentativo di “cambiare argomento”, ma la copertura potrebbe non essere importante, poiché l’indagine sulla bufala Trump-Russia non riguarda più il tentativo di cambiare i cuori e le menti. Molteplici fonti affermano che il team della Gabbard si concentra sulla “responsabilità”, raccogliendo prove per casi pronti per il tribunale. La questione potrebbe presto richiedere un procuratore speciale, mettendo Obama nella stessa posizione occupata da Trump nei primi due anni della sua presidenza, in fuga da una caccia alla volpe di alto profilo.

Le informazioni dell’ufficio della Gabbard non sono state le uniche novità sul fronte del Russiagate. L’indagine non riguarda solo “notizie vecchie di dieci anni”, come è stato detto comunemente, ma potrebbe anche coinvolgere questioni mai riportate dell’era Biden. Una fonte vicina all’indagine ha dichiarato ieri che il Dipartimento di Giustizia si sta concentrando sulle accuse di cospirazione e sta esaminando la condotta “dal 2016 al 2024”. Un’altra fonte legata all’amministrazione ha dichiarato che “il team di sicurezza nazionale del presidente Trump sta esaminando le prove che anche i membri della sua campagna elettorale del 2024 sono stati spiati”.

Tutto ciò deve ancora essere determinato.

Tulsi Gabbard rinvia al DOJ il memorandum declassificato sul Russiagate del 2016

Anthony Gonzalez da Anthony Gonzalez

 20 luglio 2025

Politica

La direttrice dell’Intelligence nazionale Tulsi Gabbard ha annunciato venerdì di aver deferito al Dipartimento di Giustizia un memo recentemente declassificato del 2016 per una possibile indagine penale.

Il memo indica che i funzionari dell’intelligence statunitense hanno concluso che la Russia non ha influenzato in modo significativo le elezioni presidenziali del 2016.

Questa valutazione contraddice direttamente le affermazioni pubbliche fatte da alti funzionari dell’amministrazione Obama, tra cui l’ex direttore della CIA John Brennan e il direttore dell’FBI James Comey.

Secondo il documento, il Presidente Barack Obama è stato informato che “gli attori russi e criminali non hanno avuto un impatto sui recenti risultati delle elezioni statunitensi conducendo attività informatiche dannose contro le infrastrutture elettorali”.

Il memo affermava inoltre che le attività criminali “non hanno raggiunto la scala e la sofisticazione necessarie per cambiare i risultati delle elezioni”.

OGGI IN PRIMO PIANO

DOJ Watchdog Uncovers FBI’s Failure to Fully Investigate Hillary’s Missing Emails

Il DOJ Watchdog scopre l’incapacità dell’FBI di indagare a fondo sulle email mancanti di Hillary

 21 luglio 2025

AI Ranks Trump’s First 6 Months as Most Successful Since FDR, Per Newsweek Analysis

 21 luglio 2025

Nonostante questi risultati, è stata avviata l’indagine sulla collusione russa. È diventata un importante punto di infiammazione politica ed è stata ampiamente considerata come un’influenza sul primo mandato di Trump.

L’indagine ha anche avuto un ruolo nella formazione dell’opinione pubblica in vista delle elezioni di metà mandato del 2018, secondo Trending Politics.

In un’intervista con Sean Hannity di Fox News, la Gabbard ha discusso le implicazioni degli oltre 100 documenti che ha declassificato e reso pubblici. Ha detto che essi dettagliano quelle che ha descritto come azioni politiche deliberate intraprese da alti funzionari statunitensi.

“Questi documenti spiegano esattamente cosa succede quando alcune delle persone più potenti del nostro Paese – il presidente Obama, James Comey, John Brennan, James Clapper, Susan Rice – decidono intenzionalmente di creare una narrazione di intelligence politicizzata”, ha dichiarato Gabbard.

Ha sostenuto che questa intelligence è stata usata come arma politica, con l’obiettivo di minare i risultati delle elezioni del 2016 e indebolire l’amministrazione del Presidente Trump. Ha anche detto che le ricadute hanno danneggiato in modo significativo gli alleati di Trump.

“L’indagine di Mueller, durata anni, è costata ai contribuenti quasi 40 milioni di dollari”, ha dichiarato Gabbard. “Ha incluso due impeachment del Congresso, diffamazioni da parte dei media e conseguenze legali per la famiglia di Trump e il suo staff”.

L’autrice ha anche osservato che le tensioni tra Stati Uniti e Russia si sono intensificate a causa della narrativa sulla collusione. “Le conseguenze della politicizzazione dell’intelligence da parte dell’alto gabinetto di Obama sono ampie”, ha dichiarato.

La Gabbard ha confermato che sta inviando tutti i documenti rilevanti al Dipartimento di Giustizia. Ha sottolineato che ritenere i funzionari responsabili è essenziale per ripristinare la fiducia dei cittadini nel governo.

“Sto inviando questi documenti al Dipartimento di Giustizia per ulteriori indagini”, ha dichiarato. “Ma non si tratta solo di indagare: si tratta di agire. La responsabilità deve avere luogo”.

Ha avvertito che la mancata azione avrebbe eroso la fiducia dell’opinione pubblica nel sistema democratico americano. “È in gioco il futuro della nostra capacità di esistere come repubblica democratica funzionante”, ha detto.

Il Dipartimento di Giustizia ha già iniziato a esaminare il ruolo di Brennan e Comey. Fonti del Dipartimento di Giustizia hanno dichiarato a Fox News che gli investigatori stanno esaminando se vi sia stata una cospirazione più ampia.

Gli investigatori si starebbero concentrando sulla testimonianza che Brennan ha rilasciato al Congresso. Un funzionario ha detto che il Dipartimento di Giustizia sta analizzando se Brennan ha mentito quando ha negato di aver usato il dossier Steele nella valutazione della comunità dell’intelligence.

Sebbene il termine di prescrizione per la falsa testimonianza sia scaduto, i funzionari del Dipartimento di Giustizia stanno valutando possibili accuse di associazione a delinquere finalizzata alla falsa testimonianza. Potrebbero seguire ulteriori indagini.

https://x.com/ConservBrief/status/1946540059328430223?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1946540059328430223%7Ctwgr%5E5df372b17e4b88223e4899fb9030f55d41377594%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fresistthemainstream.com%2Fgabbard-issues-shocking-move-after-bombshell-report%2F

Stati Uniti, primarie, inchieste e dissesto economico_con Gianfranco Campa

A leggere i quotidiani italiani la situazione del movimento repubblicano di Trump non pare essere più così solida. Di fatti del centinaio di competizioni delle primarie ben 6/7 si sono concluse con la sconfitta di un suo candidato o con la vittoria di un candidato dalla appartenenza incerta. L’inconscio di queste prefiche deve aver suggerito loro l’eventualità di un verio e proprio cappotto ai danni dei neocon. Hanno quantomeno ottenuto una testimonianza della loro sopravvivenza e questo basta a far tirare loro un sospiro di sollievo. La novità più importante di queste primarie è invece un’altra: la solidità e la consapevolezza del movimento va oltre e prescinde dagli errori di valutazione e dagli opportunismi del loro leader, Donald Trump. Segno che lo scontro politico assumerà toni ed aspetti ancora più radicali che in passato con evidenti ripercussioni nello stesso agone internazionale. Nel frattempo le inchieste a carico di Trump, in primo luogo il Russiagate, sembrano sfuggire troppo spesso di mano e ritorcersi contro gli stessi artefici di queste costruzioni. Le stesse economie, in particolare quelle occidentali, si avviano ad una fase di drammatico dissesto delle stesse catene produttive. Tutti fattori che metteranno a nudo la fragilità della arroganza e dell’avventurismo di una classe dirigente e di un ceto politico statunitense dalle cui grinfie bisognerà liberarsi per non soccombere. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1689qf-stati-uniti-primarie-inchieste-e-dissesto-con-gianfranco-campa.html

 

Stati Uniti! Azzardi pericolosi di centri in stato confusionale, con Gianfranco Campa

Due leader in difficoltà ai due lati del Pacifico, ma uno di essi messo decisamente peggio. Un ceto politico che si dimena con sprezzo del ridicolo riuscendo a trasformare le proprie vittime designate in martiri al culmine della popolarità. Un tentativo di recupero dei consensi nella vecchia base elettorale con il rilancio di una politica estera della “working class” che pare una riproposizione in un contesto inidoneo della geopolitica degli anni ’90. Una classe dirigente tentata a contrabbandare qualche concessione nell’immediato con la rinuncia strategica in un contesto multipolare, specie quello indo-pacifico, nel quale sono numerosi e potenti gli attori in grado di condizionare le scelte. Una crisi interna che è prossima a rinunciare anche alle ultime certezze, come nella gestione della pandemia. Nel mezzo alcuni giochi inquietanti e pericolosi, difficilmente controllabili, in corso nei laboratori americani. Rischiamo un’altra Wuhan, questa volta a stelle e strisce? Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vpgzxt-stati-uniti-biden-e-gli-azzardi-pericolosi.html

 

 

36° podcast_Se ne deve andare!_di Gianfranco Campa

Le campagne processuali a carico di Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America, sono e vanno avanti a prescindere. Un fatto pressoché unico nella storia degli Stati Uniti. La pervicacia e la sistematicità della tessitura sono il segno non solo della radicalità delle opzioni politiche in campo, ma anche della loro incompatibilità. Una condotta spietata che ha portato al sacrificio di due personaggi chiave dello staff di Trump, Flynn e Roger Stone, in secondo piano Manafort, colpiti da accuse pesantissime  e da decenni di duro carcere e a minacce sempre più prossime all’ultimo suo mentore, Rudolph Giuliani, il più esperto. Le oscillazioni della condotta presidenziale si spiegano in gran parte per l’ostracismo e per l’assenza di una classe dirigente alternativa sufficientemente radicata negli apparati. Non si esita nemmeno a stravolgere la finzione della separazione e della indipendenza dei poteri di uno Stato pur di proseguire nella persecuzione. Per non parlare, poi, della retorica della democrazia. Il parere e la volontà del popolo vale solo se in sintonia con l’élite dominante. Sono rari i momenti in cui un sistema di potere è costretto a gettare la maschera; quando avviene la strada verso la destabilizzazione di un paese e delle sue istituzione è ormai diretta lungo un pendio sempre più ripido. Negli Stati Uniti, vista la tempistica, tutto congiura alla presentazione del candidato unico alle presidenziali. Non male per il più fiero avversario dei regimi cosiddetti totalitari. Ascoltate la narrazione di Gianfranco Campa! Ne vale la pena.Buon ascolto_Giuseppe Germinario

dal russiagate all’ucrainagate, di Gianfranco Campa

Impeachment! Impeachment! Impeachment!  La parola  più volte sussurrata dall’establishment repubblicano e dallo stato ombra, più volte sbandierata, strillata a squarciagola dai rappresentanti politici e dal popolo democratici. In cima ai desideri l’obiettivo ultimo, mai nascosto, è la rimozione di Trump con le buone o con le cattive. Con le buone, tramite appunto l’impeachment; con le cattive… beh lascio a voi immaginare i modi e i metodi. I precedenti non mancano. Con l’annuncio dell’impeachment siamo finalmente arrivati all’epilogo di questa farsa pur con due anni di ritardo.

Avevo scritto e narrato in molte occasioni, con podcast e articoli, che fin dal principio, cioè dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, l’obiettivo ultimo era di rimuovere Trump dalla presidenza. Avevo anche denunciato, in due podcast precedenti alle elezioni medio termine del 2018 che l’alto numero di candidati democratici alla camera di estrazione militare e di intelligence, aveva due scopi: il primo, far presa sugli elettori repubblicani, i quali con la presenza di candidati veterani, si sarebbero sentiti meno motivati a votare repubblicano, poiché lo spirito patriottico li portava automaticamente a fidarsi dei candidati ex militari indipendentemente dal colore politico. Secondo, come conseguenza del primo, le elezioni di molti candidati democratici di questa origine, la loro presenza alla Camera dei Deputati, avrebbe portato il popolo repubblicano, se non ad abbracciare la causa, almeno ad ingoiare la pillola  dell’impeachment. Infatti  c’è una certa, come posso dire, timidezza da parte dell’elettorato repubblicano nel criticare i veterani militari e i gli operatori degli apparati di sicurezza in generale, chiunque essi siano. Tutto questo  per motivi di rispetto e gratitudine verso i servitori dello stato incaricati della sicurezza della patria.

Il russiagate e il pornogate avrebbero dovuto servire da trampolino di lancio, da base per l’impeachment, inizialmente difficile da attuare per il semplice motivo che il controllo della Camera da parte dei repubblicani avrebbe reso difficile qualsiasi iniziativa in tal senso. Con le elezioni di medio termine, con la vittoria dei democratici che riprendono il controllo della Camera, l’impeachment è ora tornato al centro dello scenario politico americano. Per questo motivo la farsa del russiagate  si è trascinata oltre le elezioni di medio termine del 2018, concludendosi ufficialmente solo un paio di mesi fa con la deposizione di fronte al Congresso Americano dell’ex procuratore speciale Robert Mueller. La squadra investigativa di Mueller aveva come solo obiettivo indagare Trump fino alle elezioni del 2018 sperando che il Russiagate riuscisse ad offrire lo strumento della rimozione in mano ai Democratici, attualmente controllori del Senato e a sferrare l’attacco decisivo a Donald Trump.  Ora sappiamo tutti com’è andata finire questa farsa. Un’inchiesta maldestra e scandalosa, conclusasi con la disastrosa performance di Mueller di fronte al Congresso Americano e a milioni di telespettatori. Anche il pornogate non ha raggiunto miglior sorte, con l’arresto dell’avvocato che rappresentava la pornodiva Stromy Daniels, Michael Avenatti, per estorsione e violenza domestica. Col Russiagate e il Pornogate liquefattisi nelle fiamme degli inferi politici americani, lo stato ombra e i democratici necessitano di un’altra strategia per creare il casus belli necessario all’impeachment. Ci ritroviamo così oggi con un altro “scandalo” inventato, creato dallo stato ombra in un ennesimo tentativo di azzoppamento, l’Ucrainagate. E’ un colpo di stato strisciante, cominciato subito dopo le elezioni di Trump, riprodottosi costantemente sotto nuove forme ogni volta che risultano necessari un cambiamento di rotta o un tattica diversa. A tre anni dalle elezioni di Trump lo stato ombra, sostenuto dai mass media, non sembra aver esaurito il suo impulso sovversivo e sovvertitore.

Qualunque sia il modus operandi, la strategia dello stato ombra, mostra i propri limiti e la propria inettitudine nel creare quella forza d’urto necessaria a dare la spallata definitiva a Donald Trump. Se analizziamo l’Ucrainagate e le informazioni in merito  finora disponibili, troviamo molte analogie con il Russiagate. Proprio come il Russiagate, di cui ne avevo previsto il fallimento con abbondante anticipo, così l’Ucrainagate si incanala sugli stessi binari, finirà nel cestino della storia. Un maldestro, l’ennesimo, tentativo dei soliti accoliti di condurre la presidenza Trump verso binari morti.

Lo stampo dello stato ombra su questa nuova farsa, questa nuova caccia alle streghe è visibile e lampante, addirittura telefonata.

Offriamo comunque una analisi dettagliata; cominciamo dall’antefatto.

La lettera del fantomatico whistleblower che “denuncia” i crimini di Trump è stata consegnata  il 12 Agosto del 2019 ai deputati Adam Schiff e Richard Burr, rispettivamente Presidenti della Commissione di Intelligence della Camera e del Senato. Schiff è deputato democratico della California, Burr senatore proveniente dalla Carolina del Nord. Qui il link della lettera che ha dato inizio ufficialmente all’Ucrainagate:

https://intelligence.house.gov/uploadedfiles/20190812_-_whistleblower_complaint_unclass.pdf

La prima cosa importante che notiamo è la data della consegna della lettera di denuncia, il 12 Agosto 2019, tre settimane dopo la disastrosa testimonianza di Robert Mueller (24 Luglio) al cospetto del Congresso Americano che affondava una volte per tutte la stagione del Russiagate. La tempistica è sospetta, tre settimane; il tempo necessario a commissionare, costruire e divulgare un nuovo scandalo seguendo una trama internazionale.

Leggendo la lettera del whistleblower, mi viene subito  in mente il dossier di Christopher Steele. La tecnica di denuncia è quasi la stessa. Una serie di presunte accuse lanciate con materiale di supporto scadente usando come annotazione il cosiddetto “hearsay”; tradotto in Italiano sarebbe “per sentito dire”, in altre parole una versione piu sosfiticata per descrivere “gossip”, il pettegolezzo. “Non sono stato testimone diretto della maggior parte degli eventi descritti“, si legge nella lettera del whistleblower. In altre parole la sua denuncia , proprio come il dossier di Steele,è piena di voci di seconda mano, provenienti da fantomatici funzionari essi stessi anonimi. Quindi quanto credito si può dare ad un omonimo whistleblower che non ha conoscenza diretta dei presunti crimini di Trump.

Nel 2016 il dossier di Steele fu divulgato e propagandato dagli ambienti del giornalismo “professionale” come prova inconfutabile della connubio Trump-Putin – fino a quando la fantomatica teoria della collusione crollò come un castello di sabbia. Ho la sensazione che questa denuncia seguirà la stessa malinconica sorte. L’unica differenza è che almeno il primo dossier aveva un autore riconosciuto, Christopher Steele, ex agente britannico dell’MI6. Di questo whistleblower non conosciamo ancora le generalità, sappiamo solo che secondo il New York Times sarebbe un ex agente della CIA di stanza alla Casa Bianca. Seguendo alcuni indizi abbastanza seri, il dossier di Christopher Steele, sembra sia stato commissionato dall’ex direttore della CIA, il pericolosissimo famigerato John Brennan, commentatore politico ben conosciuto e ossequiato qui in Italia. Non mi sorprenderebbe il fatto che Brennan sia il vero architetto di questo nuovo scandalo, commissionato dallo stato ombra. Secondo alcuni indizi, questo whistleblower ha lavorato per John Carlin. Chi sarebbe John Carlin ? E’ proprio colui che usando il falso dossier Steele ha ottenuto un mandato dalla corte FISA per spiare il collaboratore di Trump, Carter Page. Gira e rigira sono gli stessi personaggi che dietro le quinte lavorano per lo stato ombra. La CIA e l’FBI sono al centro dei due “scandali” che hanno plasmato la presidenza di Trump.

Quale accusa lancia il whistleblower contro Trump?

Nella lettera di denuncia sostiene che  durante una telefonata del 25 luglio tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky; Trump ha esortato Zelensky più volte a collaborare con il suo avvocato personale, Rudy Giuliani per indagare sul figlio di Biden, Hunter Biden, e sui suoi legami con una compagnia energetica di proprietà di un oligarca ucraino.

All’epoca Biden era già entrato in corsa per le presidenziali del 2020 e probabilmente Trump considera Biden il suo principale sfidante.

La fonte dell’indagine richiesta da Trump su Hunter Biden deriva dal fatto che il figlio è stato membro del consiglio di amministrazione della società di gas naturale Burisma Holdings.

Nel 2014, mentre era ancora vice presidente sotto l’amministrazione Obama, Joe Biden  minaccia di bloccare un miliardo di dollari di prestiti statunitensi all’Ucraina nel caso il governo Poroshenko non avesse licenziato il magistrato ucraino titolare delle indagini sulle accuse di corruzione della Burisma Holdings. Quella inchiesta sollevò forti preoccupazioni per un potenziale conflitto di interessi, potenzialmente dannoso per la campagna presidenziale di Biden. Sicuramente Biden non si sarebbe presentato alle presidenziali del 2016 come candidato, lasciando spazio a Hillary Clinton, perché preoccupato delle possibili ripercussioni negative della vicenda sulla sua famiglia e sulla sua candidatura. Nel  dicembre del 2015, il New York Times pubblicò un resoconto con il quale affermava che Burisma aveva assunto Hunter Biden poche settimane dopo che il presidente Obama aveva chiesto al Vicepresidente di gestire le relazioni USA-Ucraina. In quello stesso articolo il New York Times dichiarava che  procuratore generale Viktor Shokin stava conducendo un’indagine su Burisma e sul suo fondatore, l’oligarca Mykola Zlochevsky. Biden disse a Poroshenko che se non avesse licenziato Shokin, l’Ucraina non avrebbe ricevuto il miliardo di dollari.

Shokin, riguardo al suo licenziamento e alla sua inchiesta su Burisma Holdings, ha pubblicato un documento dove denuncia testualmente “Sono stato costretto a lasciare l’incarico, a causa delle forti e dirette pressioni di Joe Biden e dell’amministrazione americana”. Qui il link della lettera di Shokin:

https://www.scribd.com/document/427618359/Shokin-Statement

Hunter Biden veniva pagato $ 50.000 al mese per il suo incarico presso la compagnia energetica. Pagato profumatamente direi, visto che Hunter Biden non possiede nessuna credenziale o titolo di studio da qualificarlo per un posto da consigliere in una azienda energetica. Hunter Biden  ha lasciato il consiglio di amministrazione di Burisma all’inizio di quest’anno.

Strana storia quella della Burisma Holdings; oltre alla trascorsa presenza di Hunter Biden nel suo consiglio di amministrazione,  l’azienda ha conosciuto un altro losco personaggio, dal 2017, come membro attivo del consiglio di amministrazione, Joseph Cofer Black

Chi e`Joseph Cofer Black? E’ stato consigliere per la sicurezza nazionale di Mitt Romney nella sua campagna presidenziale del 2012. Nell’ottobre del 2011, l’allora candidato alla presidenza Mitt Romney,annunciò che Joseph Cofer Black (conosciuto anche come “Cofer Black”) era stato scelto come consigliere sulla strategia di politica estera, questioni di difesa, questioni di intelligence, antiterrorismo e politica regionale.

L’esperienza di  Black, inizia dal suo lungo curriculum alla  CIA, dove iniziò a lavorare nel 1974 fino a diventare direttore del National Counterterrorism Center dal 1999 al 2002. Per pura coincidenza, questo fu il periodo in cui al-Qaeda pianificò e realizzò l’attacco del 11 settembre, senza che trovasse ostacoli dall’apparato di controspionaggio della Comunità di Intelligence nazionale. Nonostante il clamoroso fallimento, Black non solo non fu penalizzato ma fu addirittura promosso e nominato a coordinatore per l’antiterrorismo dal presidente George W. Bush nel dicembre 2002. Sempre per puro caso il signor Black fu accompagnato nel suo ruolo come direttore del National Counterterrorism Center da John Brennan.

Torniamo alla denuncia del whistleblower. Dopo la lettera pubblicata con la quale questo personaggio anonimo denuncia i crimini di Trump, la Casa Bianca ha pubblicato per intero la trascrizione della chiamata tra Trump e Zelensky, qui il link della trascrizione:

 

https://www.scribd.com/document/427409665/Ukraine-Call-Transcript#from_embed

Nella trascrizione si legge che durante la telefonata del presidente Trump con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avvenuta il 25 Luglio scorso, Trump aveva chiesto di riaprire le indagine sulla Burisma e quindi su Hunter Biden. Quello che invece non risulta confermato nella telefonata sono invece le accuse lanciate contro Trump da parte del whistleblower e dai democratici: il presunto ordine di Trump di aver ordinato al suo staff di congelare quasi 400 milioni di dollari di aiuti all’Ucraina annunciati pochi giorni prima della telefonata con Zelensky. Un’accusa strumentale tesa a giustificare la chiamata all’impeachment, portando alla fine Nancy Pelosi ad annunciare un’indagine formale sull’impeachment.  La trascrizione mostra che Zelensky alla fine suggerisce a Trump che la questione Biden sarebbe stata esaminata da un nuovo procuratore.

Veniamo all’impeachment. Prima di tutto stiamo parlando di un cosiddetto Impeachment inquiry non una procedura, un processo di Impeachment? Qual’è la differenza? In un processo di impeachment si va direttamente dalla testimonianza al voto.

In questo caso, essendo l’impeachment di Trump non condiviso da circo il 58% degli americani, la decisione di Pelosi potrebbe ritorcersi contro i democratici; proprio per calmare i bollenti spiriti della base democratica Pelosi concede loro un contentino sapendo benissimo che anche  se la Camera arrivasse a votare a favore dell’Impeachment, il Senato sotto il controllo dei repubblicani, lo annullerebbe. A quel punto però Pelosi potrà addossare la colpa ai Repubblicani sollevando i rappresentanti democratici da ogni critica di elusione.

Fra tutti i candidati democratici alla presidenza solo Tulsi Gabbard si è espressa contro l’impeachment del presidente Trump, sostenendo, non ha torto che un impeachment contro Trump dividerebbe ancora di più la ormai tanto fratturata società americana, rischiando una divisione incolmabile e pericolosa per il paese. È la sola a indicare Ia strada per battere Trump nei seggi elettorali, non con i trucchi sovversivi dello stato ombra.

Una ultima riflessione su questa storia del whistleblower e dell’impeachment, in attesa di scoprire il nome di questo fantomatico personaggio della CIA. Questa storia dell”Uncrainagate coinvolge più Biden che Trump. Non vorrei che i Democratici non avessero innescato tutta questa faccenda per far fuori Biden piuttosto che Trump. Sanno che Trump potrebbe distruggere Biden durante le presidenziali, usando le connessioni con l’Ucraina come materiale di scandalo. Negli ultimi tre giorni, da quando è cominciato L’Ucrainagate, la Hillary Clinton ha rialzato la testa. Coincidenza? Forse sono io che che fantastico troppo. Intanto si è concessa una lunga vacanza in Italia. Tutta la corte di postulanti di grido accorsi al suo cospetto lascia intendere che non si è trattato di sola ricerca di relax. Lo stesso Bill Barr è appena giunto a Roma e in Italia; c’è da scommettere che il segugio stia seguendo le tracce di Mifsud, uno dei protagonisti e inventori del filone italiano del Russiagate. Frenesie e fibrillazioni che lasciano intendere che la trama ordita da questi mestatori non sia poi così perfetta; l’ipotesi che arrivi addirittura a ritorcersi contro gli stessi tessitori non è poi così peregrina. Il Trump di oggi, sia pure spossato e irretito, non è più il Trump donchisciottesco di tre anni fa; soprattutto non è più così solo.

Sarebbe bene che gli attuali inquilini del Governo Conte lo tenessero in considerazione, almeno per contenere e controllare queste scorribande purtroppo così usuali nel Belpaese così ospitale ed aperto, sin troppo.

 

34°podcast_Un epilogo inglorioso, di Gianfranco Campa

Per anni abbiamo assistito ad una campagna martellante che avrebbe dovuto condurre inesorabilmente e repentinamente alla defenestrazione, se non peggio, di Donald Trump dalla Presidenza Americana. L’inchiesta ha rispettato esattamente le attese più volte espresse da questo sito sin dall’inizio. Si è rivelata un castello di carte, anzi una vera coltre di vapori mefitici che hanno appestato il clima politico negli Stati Uniti e nei paesi occidentali. Una campagna che ha resistito per due anni solo ed esclusivamente per la potenza e la pervasività dei centri di potere protagonisti della macchinazione. Ha creato guasti e conseguenze enormi i cui effetti sono ancora ben lungi da essere integralmente dispiegati: ha compromesso le relazioni tra USA e Russia con quest’ultima sempre più indotta a rafforzare le relazioni cooperative con la Cina; ha compromesso la credibilità delle istituzioni e dell’intero sistema mediatico americani. Ben presto, se il mandato presidenziale di Trump dovesse essere confermato, salteranno fuori le connivenze internazionali, comprese quelle riguardanti il ceto politico ed i servizi di intelligence italiani, nell’organizzare la macchinazione. Quel che è certo è la impressionante pochezza di alcuni dei protagonisti del proscenio, nella fattispecie Mueller; come pure che lo scontro continuerà con modalità ancora più virulente ma sotto mutate spoglie. I due recenti attentati stragistici negli Stati Uniti ne sono l’annuncio. Il podcast di Gianfranco Campa mi pare un grande contributo alla comprensione. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

VIP E CICISBEI, di Giuseppe Germinario

La settimana ormai all’epilogo è stata caratterizzata dal via vai. È iniziata con il viaggio di Matteo Salvini negli Stati Uniti; si è conclusa con l’arrivo di Obama a casa Clooney, sulle rive del Lario. Nel mezzo il soggiorno del Presidente del Consiglio Conte a Bruxelles, al Consiglio Europeo.

Una coincidenza di eventi, probabilmente casuale, comunque sorprendente dal punto di vista simbolico. Sembra offrire, sotto traccia, qualche barlume di verità su alcune dinamiche nello scacchiere geopolitico europeo e mediterraneo.

La gran parte degli addetti all’informazione però sembra sempre più attratta, se non accecata, dagli aspetti mondani di questi appuntamenti. Da produttori e portatori di informazione si stanno trasformando irreversibilmente in moderni cicisbei, maestri di colore, di costumi e di pettegolezzi.

Tra i tre, paradossalmente, chi ci ha rimesso in efficacia di immagine è stato Giuseppe Conte, notoriamente maestro in bon ton e passi felpati. In un Consiglio Europeo impegnato a concordare le nomine della Commissione Europea, della Presidenza del Consiglio Europeo e della BCE, si è trovato nella condizione di dover rintuzzare la procedura di infrazione annunciata proditoriamente dalla Commissione Europea uscente. Tra le due opzioni opposte di una reazione d’orgoglio a un atto strumentale e provocatorio e un atteggiamento pragmatico teso a contenere i danni accettando logica e spirito della lettera, ha prevalso la seconda e con esso qualche atteggiamento di troppo da questuante verso i pari grado più potenti, pur se ormai sempre meno autorevoli. Non lo ha certo aiutato una consuetudine pluridecennale di totale accondiscendenza e complicità di un ceto politico ed una classe dirigente nazionale; accondiscendenza che ha disabituato a trattative serie le varie élites europee. Peggio ancora, come insegna il mercimonio truffaldino operato dal “rottamatore” Renzi tra la resa sottobanco sull’approdo in Italia di immigrati (Operazione Triton) e la concessione di pochi decimi di deficit, le ha incoraggiate ad operazioni di vera e propria corruttela utile ad alimentare un sottobosco di attività assistenziali e parassitarie necessarie a garantire la sopravvivenza politica del sistema. Non lo ha sostenuto in autorevolezza, per altro, il suo comportamento deludente e rinunciatario seguito al promettente avvio e alla conclusione della Conferenza sulla Libia, tenutasi a Palermo l’autunno scorso. Un appuntamento organizzato con il beneplacito del Presidente Americano, accettato a denti stretti da Francia e Germania e conclusosi addirittura trionfalmente, con l’investitura di Conte a mediatore ad opera del Ministro degli Esteri russo, Lavrov. In quel momento Conte avrebbe dovuto comprendere l’insostenibilità della figura di al Serraji come Presidente capace di unire le varie tribù della Libia, in quanto privo di forza propria e mantenuto a galla da una delle tre principali fazioni in lotta. Avrebbe dovuto puntellare la sua sopravvivenza per impedire il pieno successo del Generale Haftar, espressione delle tribù di Cirenaica e nel contempo favorire l’emersione di una figura terza, capace di mediare e riunire il paese. Questa figura può emergere con migliori possibilità, dalla tribù più numerosa e centrale di quel paese e non è escluso che, ad osservare i fatti, possa essere uno dei superstiti dei figli del colonnello Gheddafi. Una operazione certamente ardua e complessa, che richiederebbe grandi capacità diplomatiche e sufficienti coperture militari. Ipotizzabile sotto la Presidenza di Trump, ma decisamente più traumatica se il rospo dovesse essere offerto ad eventuali epigoni di Obama, Sarkozy e Macron. Con l’offensiva in corso di Haftar, fortunatamente esauritasi, l’atto più significativo di Conte è stato la sua richiesta di aiuto americano, evitando così il disastro ma perdendo così ogni parvenza di autonomia verso i vari contendenti libici ed esterni e gran parte della credibilità verso il suo stesso principale estimatore, Trump. Alla luce di ciò, il memorandum con la Cina e la posizione sul Venezuela, di per sé poco rilevanti nell’agone geopolitico, hanno assunto un significato dirimente per l’amministrazione statunitense. Il cerchio si è chiuso quasi del tutto con il suo progressivo avvicinamento a Mattarella e la gestione partigiana, piuttosto che calmieratrice, del conflitto giallo-verde durante l’ultima campagna elettorale.

Di queste difficoltà sembra approfittare a piene mani Matteo Salvini. Il suo viaggio a Washington ha assunto l’aspetto di una vera e propria investitura a leader. L’incontro con Mike Pompeo, Segretario di Stato e Pence, Vicepresidente sono un riconoscimento che va certamente oltre lo status proprio di un Ministro dell’Interno. È un lustro che, se prematuro ed improprio, espone il personaggio ad un rischio da non sottovalutare. Quello di apparire come uno dei tanti pellegrini che hanno dovuto recarsi a Washington per ottenere una investitura che dovrebbe essere in realtà prerogativa esclusiva delle istituzioni e del popolo italiano; viandante dotato magari di una aura più fulgida e lucente, ma sempre di luce riflessa più che propria. L’intero sistema mediatico ha indugiato sulle dichiarazioni di Salvini, tanto su quelle di politica economica, quanto soprattutto quelle in politica estera, riguardanti il Venezuela e il memorandum con la Cina. Queste ultime sono di fatto una sconfessione delle posizioni ufficiali del Governo Conte ed un allineamento pedissequo e a buon mercato alle posizioni dell’Amministrazione Trump. Pedissequo, perché acriticamente allineate, a buon mercato perché esulano dalle competenze del suo ministero. Risulta quindi evidente l’apparente e impropria investitura di leader politico da parte di esponenti di un governo straniero. Il mancato incontro con il Presidente Trump non è solo la residua cautela sulle esigenze di etichetta e di correttezza istituzionale. Rivela soprattutto una persistente diffidenza di Trump verso una forza politica che non ha superato del tutto i retaggi delle proprie origini secessioniste; poco importa se sia una diffidenza di tipo culturale e/o di mero interesse politico, legato a possibili ritorni di fiamma filobavaresi, nemmeno filotedeschi nel prossimo futuro. Visto lo spessore e le funzioni di uno degli ospiti e del pellegrino è probabile che la parte più succosa e pertinente, prosaica dei colloqui riguardi l’implicazione, pur in filoni secondari, di tanta parte del ceto politico e dei funzionari di settori nevralgici dello Stato Italiano nella costruzione del Russiagate. Nei blog e in numerose testate americane circolano da tempo apertamente numerosi nomi di politici ed alti funzionari italiani. Segno di insofferenza e volontà di rivalsa verso gli artefici di una caccia alle streghe congelata malamente al prezzo però di paralisi politica e di numerose vittime. A questo riguardo le prossime elezioni presidenziali americane potrebbero essere il prodromo ad una definitiva resa dei conti nella quale Trump non avrebbe più l’esclusiva della figura di vittima designata.

Il soggiorno di Obama, famiglia e seguito similpresidenziale, presso la sontuosa residenza sul lago di Como, ospite del suo amico e attore George Clooney, sembra assecondare la bramosia dei cicisbei più accaniti; non ha in realtà, probabilmente, un esclusivo carattere mondano e godereccio. Accecati dal gossip e dalla vacuità, i nostri pennuti cicisbei si sono dilettati sulle frivolezze le più varie del soggiorno, compresi i fuochi d’artificio di borbonica memoria. In realtà Obama, abbandonata a malincuore la Casa Bianca e il suo orto, già altre volte ha pedinato e tampinato, sovrapponendosi con appuntamenti ed itinerari paralleli, il proprio odiato successore. Poiché uno dei bersagli grossi di un possibile ribaltamento della direzione delle inchieste sul Russiagate potrebbe essere, ancor più della Clinton, proprio lui, quanto meno come responsabile politico, il suo interesse per l’Italia si arricchirebbe di ulteriori aspetti, questa volta più politici. Alcuni giornali italiani sussurrano di un incontro con Matteo Renzi, ma solo per affinità elettiva. Alcuni giornali inglesi, invece, più smaliziati, ipotizzano una investitura di Clooney a prossimo candidato democratico Presidente. Non si conosce il grado di superstizione di Obama. Tenuto conto che l’ultima consumazione alla Casa Bianca tra i due, Renzi e Obama, da sanzione di investitura reciproca si è risolta repentinamente in una sorta di “ultima cena” con scarse possibilità di resurrezione, si presume che gli incontri politici, quantunque riservati, riguarderanno personaggi più titolati e meno predisposti a naufragi fragorosi.

Ipotizzando temerariamente cotante intenzioni, a Matteo Salvini si presenterebbe una occasione d’oro, per quanto rischiosa, per garantirsi un futuro da leader riconosciuto.

La concomitanza di interessi con l’attuale inquilino d’oltreatlantico potrebbe rendere più praticabile una azione di riforma istituzionale, a cominciare dal ruolo e dalle competenze della magistratura e una operazione di rinnovamento del personale, specie dirigenziale, degli apparati di sicurezza. Se e come riuscirà a portarla avanti, potrà fare di lui un personaggio politico di statura, capace di sostenere alla pari un confronto con alleati ed avversari o piuttosto, in caso di sopravvivenza, l’ennesimo emissario di una delle fazioni in lotta nei centri decisionali che contano; uno dei tanti che con valigia o borsello, vuoti o pieni che fossero al ritorno, hanno costellato le vicende italiche dal dopoguerra.

Il contesto è proibitivo, le qualità soggettive, se esistono, appaiono dissimulate sin troppo bene, lo scetticismo prevale, ma………………….chissà!?

Julian Assange e le colonne (i colonnisti) infami, di Giuseppe Germinario

È sicuramente presto per stilare una graduatoria, ma di sicuro l’arresto di Julian Assange sarà in ottima posizione per conquistare il primato dell’evento più infame dell’anno. Si spera in qualche copertina alternativa al Time o al Financial Time. Anche il lato oscuro deve meritare almeno una lama di luce caravaggesca.

È la conferma di una amara constatazione. Il potere consolidato solitamente sa e può aspettare meglio di chi gli si oppone nel decidere tempi e modi di azione.

Perché tanto accanimento su Julian Assange?

In fondo, in questi dieci anni, è stato solo il punto terminale, dedito alla diffusione imparziale di un flusso immane e sorprendente di informazioni riservate e segrete rilasciate da ambienti specifici dei servizi di “intelligence” americani.

La Ragion di Stato del resto aveva individuato e neutralizzato i trafugatori e messaggeri di quel tesoro: Edward Snowden, rifugiato in Russia e Chelsea Manning, condannata, graziata da Obama e reincriminata recentemente con Trump. I pesci in realtà, a prima vista, paiono troppo piccoli per gestire da soli una simile impresa.

Pare che il destino, piuttosto che la Giustizia o la faida interna, abbia sentenziato provvidenzialmente la sorte di Rich Seth, il probabile vero responsabile di quelle fughe. Morto di una morte violenta, rimasta oscura nella dinamica e negli autori soprattutto per la frettolosità e il disinteresse con i quali sono state archiviate le indagini.

Perché, quindi, continuare nella persecuzione?

Le divergenze di strategie tra i diversi centri decisionali statunitensi si stanno rivelando inconciliabili sino a ridurre la lotta politica sullo scenario istituzionale ad una guerriglia pretestuosa e senza regole con una fazione disposta a prediligere, in mancanza di argomenti, l’arma giudiziaria e la diffamazione come strumento di eliminazione dell’avversario; le conseguenze distruttive sulla credibilità, la autorevolezza e la capacità di sintesi degli apparati e delle istituzioni sono disastrose. La traduzione operativa degli indirizzi da parte degli apparati si è trasformata in una lotta di potere senza esclusione di colpi sempre più ostentata e sempre meno propensa alla riservatezza necessaria a rendere l’esercizio del potere presentabile ed accettabile. Siamo alla parziale emersione dello stato profondo e della disarmonia della sua azione tipica delle crisi di sistema.

Da qui le crisi di coscienza di alcuni e l’ostentata arroganza e sicumera di altri. Uno dei motivi di tanta protervia nasce quindi dalla consapevolezza che le schegge impazzite e i grilli parlanti sono destinati a proliferare e diventare sempre più incontrollabili. Non rimane quindi che tentare di stringere ulteriormente la morsa sul sistema mediatico e di eliminare le voci dissenzienti, specie quelle non schierate, almeno apertamente e quindi più esposte.

Il grande merito di Julian Assange e della sua squadra è di aver creato un sistema di acquisizione e diffusione delle informazioni schermato in modo tale da rendere difficoltosa l’individuazione delle gole profonde.

Inizialmente la sua attività di divulgazione sembrava orientata ai danni della componente neocon repubblicana e delle sue avventure militari in Afghanistan e Iraq. Da qui la tolleranza e la popolarità negli ambienti democratici americani e progressisti in Europa. La condizione di Assange da paladino della libertà e della democrazia a strumento di potere e burattino nelle mani di Putin e dei suoi utili idioti si è ribaltata con la divulgazione delle malefatte del clan dei Clinton ai danni degli avversari interni al Partito Democratico e dei presunti suoi avversari repubblicani in grado di minacciare le sue ambizioni presidenziali. Trump non era tra questi ultimi; era ritenuto, anzi, l’avversario più debole e di comodo. Alle malefatte di piccolo cabotaggio si è aggiunta la pubblicità su quelle di calibro più pesante legate al suo ruolo di segretario di stato, in particolare durante l’intervento in Libia e nell’intreccio di relazioni con i sauditi.

In realtà lo straordinario patrimonio di informazioni detenuto da Wikileaks, composto da centinaia di migliaia, se non da milioni di file, non copre il solo spazio prettamente politico ed istituzionale americano; ospita diversi ambiti di azione strategica nei più vari angoli del mondo, compresi quelli di altri stati e delle multinazionali, in particolare quelle impegnate nel campo della elaborazione e gestione dei dati, sempre più sorprese  a colludere e fare affari mettendo a disposizione i propri dati. Si deve dar atto ad Assange e Wikileaks della veridicità di tutte le informazioni sino ad ora diffuse e della trasparenza di accesso ad esse.

Si sa però che l’informazione non è mai neutra. È soggetta alle pratiche di divulgazione, di interpretazione rispetto ai contesti e di manipolazione. Il dato viene individuato è costruito all’interno di queste dinamiche.

L’ulteriore contributo di wikileaks è stato quello di distribuire in pacchetti le informazioni. Sono il sistema mediatico e i singoli organi di informazione ad interpretare, selezionare, contestualizzare e diffondere i vari contenuti di wikileaks. Il loro problema, però, è che da almeno dieci anni non dispongono più del monopolio dell’informazione grazie alla diffusione delle reti social, a cominciare da Facebook e Twitter. Se queste reti da una parte, assieme alle agenzie di stampa, liberano in gran parte dall’onere, dai rischi e dalla gratificazione del lavoro di inchiesta gli organi di informazione, dall’altra consentono la proliferazione di canali alternativi spesso alternativi ed in competizione con quelli classici, almeno sino a quando i furori censori e la manipolazione sapiente della disponibilità dei dati avrà preso compiutamente il sopravvento. Sono dinamiche che assieme al potere di formazione della opinione pubblica stanno erodendo irreversibilmente le basi economiche del sistema e svelando pericolosamente i cordoni ombelicali e i meccanismi che legano la stampa libera e i centri di potere. Un arretramento che produce il riflesso incondizionato della partigianeria tanto settaria quanto più avulsa e dell’ulteriore perdita di autorevolezza.

Queste strategie e dinamiche, nella loro individuazione oggettiva, sono comunque il frutto di scelte soggettive degli attori in campo; di uomini con la loro intelligenza e con la loro stupidità, con il loro senso di opportunità e con la loro incomprensione dei tempi, con i loro propositi e le loro rivalse, con la loro generosità e la loro cattiveria, con la loro schiettezza e infine la loro infamia.

Julian Assange è caduto purtroppo nella morsa costrittiva della rivalsa dei centri di potere più cinici e dei detrattori, i più meschini dei quali sono proprio quelli che hanno fruito sino ad un minuto prima delle sue informazioni.

Le schiere di avversari livorosi si sono infoltite paurosamente offrendo agli strateghi della persecuzione nuovi strumenti e coperture per procedere nel loro disegno di annichilimento fisico e psicologico. Tanto più la fetta di privilegio da difendere è risicata tanto più il gelido cinismo si trasforma in livorosa rivalsa ed infamia.

Appena un anno fa abbiamo apprezzato il ventriloquo Soros lamentare l’eccessiva libertà e il pericolo conseguente di manipolazione dei social network. Appena un mese dopo è scattata l’operazione di rigorosa normalizzazione  dell’azione di questi, i cosiddetti GAFA i quali ovviamente pretendono il necessario lucro dal mercimonio. Una pratica che ha messo però a nudo la superiorità strategica legata alla straordinaria capacità di controllo e manipolazione dei dati delle aziende statunitensi e la diretta connivenza con gli apparati di intelligence. Un mondo che Assange aveva iniziato a disvelare. Un mondo che non tollera scorribande, in grado di presentare la vendetta su un piatto freddo.

IL GELIDO CINISMO

Hanno atteso sette anni. Con le dovute pressioni sono riusciti a trasformare l’asilo politico nell’ambasciata equadoregna a Londra in una prigionia sempre più insostenibile e sofferente sino al tradimento della revoca dello status di rifugiato. Dal cinismo delle alte sfere si passa quindi all’infamia da kapò del Presidente Moreno. Un primo obbiettivo è stato raggiunto: consegnare Assange alla Gran Bretagna; un paese che consente l’estradizione di fatto per decisione politica e che permette al paese richiedente, nella fattispecie gli Stati Uniti, di ricalibrare nel tempo i capi di accusa. Il modo meno compromettente per prolungare a tempo indeterminato le detenzioni ritardando la chiusura dei processi dalle costruzioni probatorie improbabili e dall’esito incerto.

IL RISENTIMENTO RANCOROSO E IMPOTENTE

Il caleidoscopio dei cattivi sentimenti si arricchisce a questo punto di un altro elemento: il risentimento rancoroso. In prima linea Hillary Clinton; non ha ancora introiettato il fiele della sconfitta. Lungi dal giustificare e riconoscere le proprie malefatte, rivelatesi alla fine così disastrose per gli interessi stessi del suo paese, non riesce a far altro che riversare la propria collera isterica e impotente ai danni del malcapitato che le ha svelate. Una anziana puerile e capricciosa che non riesce a rassegnarsi all’oblio. Una manifestazione per altro tanto rumorosa ma tutto sommato la meno nociva

IL VILE TRADIMENTO

Scendendo di un gradino la scala delle gerarchie di influenza subentra la viltà del tradimento. Tocca ai tanti giornalisti fruitori a buon mercato dei servizi di WikiLeaks e lesti voltagabbana pronti a spalleggiare e sostenere al momento opportuno gli argomenti capziosi degli inquisitori. Si distinguono tra questi Luke Harding e David Leigh, giornalisti del Guardian i quali hanno costruito la propria fortuna e reputazione su un libro e su un film costruito sui file di Assange per poi non solo avallare la tesi infondata dei legami tra WikiLeaks e Putin, ma addirittura passare a Scotland Yard le crittografie con le quali Assange riusciva ad acquisire le informazioni e che incautamente aveva trasmesso ai due paladini dell’informazione.

LO SCIACALLAGGIO

Buon ultima per importanza, primeggia per meschinità la vigliaccheria degli sciacalli. Una qualità presente in quell’area estesa del giornalismo di periferia che ha certificato il proprio servilismo di passatori di veline, ignorando elegantemente la mole di informazioni compromettenti a carico dei politici e delle classi dirigenti del proprio paese offerta di WikiLeaks. Primeggiano su tutte la quasi totalità delle testate italiane, ormai in gran parte impegnate a riportare più che altro i titoli e le interpretazioni delle testate estere, con alcuni manutengoli di alto rango dell’informazione a fungere da maramaldi. Si passa dalla perfida compostezza di un editorialista della Stampa, transfuga dal Corriere, al commento saccente di un critico di regime del Corriere, all’attacco sbracato di firme del Giornale sempre pronti ad assecondare le badogliate del loro finanziatore. A ciascuno il proprio stile, ma concordi e solidali nella missione. Un discorso a parte meritano i giornalisti di Repubblica. Stranamente rinunciano alle filippiche, ma stigmatizzano la parabola discendente di Assange, in debito di autorevolezza e popolarità dal momento in cui ha scelto come bersagli Obama e Clinton. Un giudizio viziato dall’accecamento ideologico che induce all’identificazione della fazione democratico-progressista con quella di popolo.

Nell’affare Assange rimane comunque una zona grigia tutta da esplorare: il silenzio di Trump e dello staff a lui più vicino. Il Presidente americano avrebbe potuto prolungare, probabilmente con una semplice telefonata al presidente equadoregno, la segregazione nel rifugio dell’ambasciata.

Il costo politico con il Russiagate in dirittura d’arrivo ma non concluso avrebbe potuto essere pesante. Potrebbe essere in corso un tentativo di portare Assange negli Stati Uniti, ma di farlo uscire dalla condanna all’esilio senza fine con una condanna simbolica simile a quella subita dalla Manning. Un disegno reso impalpabile dall’incertezza e dalla ferocia dello scontro politico in corso negli States. Rimane l’altra ipotesi, la più inquietante: che il sacrificio di Assange sia l’obolo in cambio del sacrificio di qualche pesce minore tra gli artefici della macchinazione del Russiagate. Trump ha pagato un prezzo molto alto con il sacrificio di Flynn in avvio di presidenza. Buona parte della vecchia guardia che lo aveva portato alla vittoria si era defilata e solo di recente si era riconciliata. Le veementi proteste di quell’area per l’arresto di Assange lasciano intuire che un altro cedimento di Trump della stessa natura rischia di creare una frattura irreparabile nella propria compagine in cambio di una tregua del tutto improbabile con i nemici. Un dilemma  che si scioglierà probabilmente nei prossimi mesi.

Nelle more la posta in palio è particolarmente importante. Passa dalla pretesa di extraterritorialità della giurisdizione statunitense al tentativo di restringere drasticamente le possibilità di accesso alle fonti della stampa, all’arbitrarietà della costruzione giuridica necessaria all’estradizione. Una costruzione che sta suscitando qualche perplessità, non si sa quanto sincera, anche in quella stampa che negli ultimi tempi ha perso ogni ritegno nella faziosità della propria narrazione.

Russiagate, un evento epocale sorprendente!_di Gianfranco Campa

 

Il rapporto finale sul Russiagate redatto dal procuratore speciale Robert Mueller è stato consegnato al procuratore generale, il ministro della giustizia Bill Barr. Il testo rappresenta l’atto conclusivo dell’inchiesta sul Russiagate durata due anni, costata ai contribuenti americani più di trenta milioni di dollari, anche se la cifra esatta non è ancora stata ufficializzata. Leggo direttamente dal sommario del Ministro della Giustizia Bill Barr “L’inchiesta stabilisce che i membri dello staff elettorale di Trump non hanno cospirato nè si sono coordinati con il governo russo nelle sue attività di ingerenza elettorale “. L’intero rapporto di Mueller verrà reso pubblico entro la metà di Aprile.

Per due anni i media e gli opinionisti politici ci hanno martellato con la farsa del Russiagate, senza mai tentare realmente di accertare che le illazioni scritte sui giornali o recitate di fronte alle  telecamere fossero veritiere, verificabili, serie e inconfutabili. L’odio cieco verso Trump e il desiderio di vederlo spodestato dal trono di Washington hanno fatto perdere qualsiasi logica nei resoconti di molti giornalisti e politici, trasformandoli in pupazzi in mano allo stato ombra. Sono diventati casse di risonanza, propagandisti di frasi e concetti costruiti su misura a sostegno del Russiagate. Questi personaggi sono in fin dei conti gli elitisti di Washington, persone nate per vivere all’interno di una gerarchia di potere e di posizioni disconnessa da qualsiasi realtà esterna alla bolla in cui vivono. Il loro senso di onnipotenza è incoraggiato dallo stato di perenne egocentrismo in cui sono immersi.  Confessano, attraverso la loro condotta quotidiana, la negazione dell’esistenza stessa di una realtà al di fuori del mondo in cui operano. In altre parole gli elitisti di Washington, New York , Los Angeles, San Francisco non riconoscono e non condividono nulla con i mandriani del Texas, i minatori del West Virginia, gli agricoltori della California.

Per tutti però è ora arrivata la resa dei conti; soprattutto per i mass media tradizionali e i cosiddetti esperti politici e geopolitici. Queste entità sono state ingannate e strumentalizzate, consapevolmente o inconsapevolmente, nell’inseguire la fantomatica costruzione del Russiagate, l’accusa cioè che Trump avrebbe colluso con i Russi per vincere le elezioni presidenziali del 2016. Un fallimento giornalistico di proporzioni colossali , senza precedenti nella storia del giornalismo moderno. I giornalisti della MSNBC, della CNN, della CBS, NBC, ABC e via dicendo hanno ingannato se stessi e il loro pubblico soprattutto per il modo approssimativo e propagandistico con cui hanno diffuso le bugie del Russiagate. Sicuramente molti di loro sapevano che la trama del Russiagate era stata partorita negli angoli più profondi dello stato ombra – nei quali sono annidati  elementi del l’FBI, della CIA, del Dipartimento di Giustizia e altre componenti della cosiddetta “Intelligence Community.” Questo relazione, questa unità diabolica di intenti e di odio verso Donald Trump ha creato la triade, diventata protagonista principale, dello scandalo Russiagate, cioè: mass media, servizi segreti, entità politiche e governative.

È giusto anche chiarire che Trump ha agito, per inesperienza politica e per l’emotività del personaggio, in maniera maldestra e incompetente  agevolando le trame dello stato ombra. Quindi anche lui dovrà prendersi le sue responsabilità. Una fra tutte il licenziamento del Generale Flynn in un momento cruciale nella tessitura delle trame dello stato profondo. Il licenziamento di Flynn fu il buco call’origine della falla nella diga (già insufficiente) di sbarramento allo stato ombra.

Il russiagate è ora archiviato, ormai negli annali della storia politica americana e mondiale. Ci vorranno mesi, anni per decifrare e comprendere l’entità, le trame e il peso degli attori di questo gigantesco scandalo, al cui confronto il Watergate appare ben poca cosa. Probabilmente tutta la verità sulle trame del russiagate non verrà mai completamente alla luce.  La terra bruciata lasciata dal Russiagate sarà difficile da risanare. Un solco profondo, probabilmente incolmabile, è stato scavato nelle dinamiche geopolitiche, in particolare nei rapporti fra gli Stati Uniti e la Russia. Rapporti difficilmente ricucibili, avviati ormai verso una guerra fredda ancora più pericolosa di quella precedente

Nella memoria di questa Russiagate rimarranno i nomi gli attori che hanno indossato le vesti da protagonisti e da comparse. Nomi conosciuti, meno conosciuti e invisibili, che hanno agito dietro le quinte in questo tentativo, che il professore Victor Davis Hanson, della Hoover Institution, ha descritto come un fallito colpo di stato giuridico e burocratico.

Con il Russiagate si chiude anche la fase della Republica imperialista americana monocratica. Il Rubicone è stato attraversato: James Comey, John Brennan, James Clapper, Sally Yates, Andrew McCabe, Bruce e Nellie Ohr , Lisa Page, Peter Strzok , Robert Mueller, Rod Rosenstein, Jeff Sessions, Loretta Lynch, Hillary Clinton, fino a finire a Barack Obama sono l’equivalente di un Giulio Cesare in versione moderna, ma senza la sua grandezza.  Per questo motivo, quando questa guerra sarà terminata, nel futuro remoto i libri di storia non saranno certo benevoli con i cospiratori e carnefici della Repubblica Americana; repubblica che con le crescenti minacce interne ed esterne, si sta lacerando e indirizzando verso un percorso dall’esito incerto.

Lo scandalo del  Russiagate non solo ha esposto i Mass Media , l’establishment politico, larghi settori governativi e la comunità dell’intelligence nella loro credibilità e autorevolezza come entità corrotte e compromesse; il Russiagate è stato soprattutto la  ripetizione di un film già visto. Il russiagate è stato definito dal giornalista del “Rolling Stone” Matt Taibbi, come la versione moderna, di una  delle più colossali bugie mai  perpetrate ai danni dei cittadini americani; cioè la stessa della fantomatica narrazione di Saddam Hussein possessore di armi di distruzione di massa. Balla colossale, costruita in laboratorio, sempre dai soliti perversi attori che hanno fabbricato il Russiagate.  La falsità della versione delle armi di distruzione di massa  portò alla guerra in Iraq che costò centinaia di migliaia di vittime, la destabilizzazione e la distruzione di un paese, di un’intera area geografica e infine un ingente sperpero di denaro pubblico dei contribuenti americani. Il Russiagate, quindi, è stato orchestrato secondo la stessa formula vista nel 2002-2003; una formula che possiamo definire élitista neo conservatrice, interventista liberale. A differenza della costruzione fasulla delle armi di distruzione di massa,  questa volta sono stati i liberal democratici a posizionarsi al centro di questa farsa assumendo il ruolo di attori principali, relegando i neoconservatori ad un ruolo di comprimari. Per questo i democratici di oggi sono esattamente come i neocon del 2003 e proprio come i neocons che si rifiutarono e si rifiutano tuttora di scusarsi e di riconoscere i danni che ha causato la bufala delle armi di distruzione di massa, oggi i democratici si rifiutano di scusarsi per aver perpetrato e alimentato quella del Russiagate. Questo quindi conferma per l’ennesima volta come i neocons e i liberali democratici altro non sono che due facce della stessa medaglia.

Ora l’attacco a Trump abbandona la palude del Russiagate e passa alle accuse generate dal Pornogate e dal reato di Ostruzione della Giustizia che dovrebbe aprire la strada all’impeachment. Il Russiagate non è la conclusione, ma segna solo la fine di una fase nel contesto dello scontro in atto all’interno della compagine politica e della società americana. La transizione al prossimo capitolo è già iniziata. Dopo la sconfitta del Russiagate, pur spostando e riposizionando il bersaglio, la strategia di guerra da parte dello stato ombra e dei democratici rimane essenzialmente la stessa; a differenza di qualche giorno fa ora però i rischi per nemici di Trump aumentano esponenzialmente. Queste entità avverse a Trump, pur mantenendo un potere enorme, da ora in poi dovranno stare molto attenti a come si muoveranno e come giocheranno e gestiranno le loro mosse. Sono molti i pericoli che i nemici di Trump dovranno affrontare. Con la fine del russiagate Trump acquisisce più autorità e autorevolezza; molti sondaggi infatti, dopo l’annuncio della fine dell’inchiesta del Russiagate, ci dicono che oltre il 58 % degli americani sono stufi del Russiagate e desiderano che i democratici si concentrino su altre tematiche più importanti, soprattutto quelle dei programmi politici. Di conseguenza con l’acquisto di una maggiore legittimità cresce anche il suo potere all’interno delle istituzioni di Washington e come conseguenza la capacità di contrastare lo stato ombra. C’è da aspettarsi un possibile capovolgimento di fronte, dove lo stato ombra si trasforma da cacciatore a preda. Questi attori sovversivi e sinistri rischiano di diventare simili a un veicolo impantanato nel fango, dove le ruote girano freneticamente a vuoto alzando detriti in aria ma senza muoversi di una millimetro. Possiamo considerare lo stato ombra e I democratici come Il generale Lee nella battaglia di Gettysburg quando ordinò la carica di fanteria su larga scala verso il centro della linea dell’Unione. I soldati Confederati dovettero marciare per oltre un miglio senza copertura, su campi aperti, esposti all’artiglieria e al fuoco di moschetto dei soldati dell’Unione. Sappiamo tutti come andò a finire. E’ proprio di ieri la notizia che Il Dipartimento  di Giustizia, sotto la ferma guida di Bill Barr sta considerando la nomina di  un procuratore speciale per indagare sugli elementi che hanno contribuito alla creazione dello scandalo Russiagate. Sarebbe un decisione che ha dell’incredibile; darebbe anche una risposta all’eterno dilemma:  Quis custodiet ipsos custodes? Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?  Comunque sia questo tira e molla fra Trump e i suoi nemici continuerà fino a quando uno trionferà sull’altro oppure se Trump verrà sconfitto alle elezioni del 2020. Considero la possibilità di un’azione eclatante e destabilizzante altamente  probabile soprattutto se i democratici e lo stato ombra dovessero ritenere probabile la vittoria di Trump alle elezioni del 2020. Se dovesse vincere, Trump consoliderebbe il suo potere e avrebbe quattro anni a disposizione per annientare tutti i suoi cecchini, uno alla volta fino al vertice stesso;cioè Barack Obama. Una possibilità terrificante per molti. Mi aspetto da qui al novembre 2020 una o più operazioni sovversive di alta drammaticità, tipo un attacco militare o terroristico provocatorio che porterebbe a sabotare la presidenza di Trump. Una provocazione in Venezuela, una in Ucraina, oppure una con l’Iran.  In alternativa un’operazione stile Dallas può sempre tornare opportuna.

Vi lascio con alcune statistiche inerenti l’inchiesta del Russiagate :Di tutti i soggetti perseguiti da Mueller, quindi  Paul Manafort, George Papadopoulos, Carter Page, Michael Flynn, Michael Cohen e Roger Stone, nessuno è accusato del crimine di collusione Trump-Russia. Ricordo che l’unica ragione della nomina del procuratore speciale Robert Mueller era quella di indagare e smascherare il complotto fra Trump e Putin teso a manipolare le elezioni presidenziali, appunto la fantomatica collusione. Sono 10,000 i funzionari governativi obamiani rimasti nei settori chiave ad operare ancora dopo l’uscita di scena di Barack Obama. Un esercito sovversivo versione Gladio contemporanea.La squadra del procuratore speciale Mueller era composta da 19 avvocati tutti iscritti al partito democratico, eccetto lo stesso Robert Mueller, l’unico del gruppo iscritto al partito repubblicano. Anche se Muller è un repubblicano stile vecchio establishment.

40 agenti FBI a disposizione

22 mesi di inchiesta

34 imputazioni

230 autorizzazioni a procedere

500 mandati di perquisizione eseguiti

500 testimoni intervistati

2,800 mandati di comparizione

Più di 35,000,000 di dollari a carico dei contribuenti americani.

L’agenzia indipendente del Tyndall Report ha quantificato il tempo speso, solo nell’anno 2018, dai telegiornali serali di ABC, CBS e NBC in 332 minuti dedicati esclusivamente al Russiagate. La copertura mediatica su Donald Trump è stata negativa per il 93 percento dei casi. Il Russiagate è diventata una delle narrazioni mediatiche più citate e riportate nella storia del giornalismo americano. Di seguito il numero di narrazioni dedicate all’inchiesta di Mueller da settembre 2018 fino a oggi, senza neanche prendere in considerazione le statistiche riguardanti il resto del 2018,  tutto il 2017, indietro fino al 2016:

Washington Post: 1,184

The New York Times: 1,156

CNN: 1,965

MSNBC 4,202

Dal settembre 2018 fino ad oggi ci sono state in media 3 report al giorno dedicati al Russiagate, tenendo conto solo di quattro entità mediatiche: Il Washington Post, Il NYT, la CNN e infine la MSNBC.

Sarà necessaria una dettagliata disamina del Russiagate e dello scontro Trump-stato ombra per decifrare e comprendere, passo per passo, tutto le dinamiche dello scandalo del Russiagate. Ci aspetta un lavoro tedioso, difficile che richiederà mesi, se non anni, per arrivare a comprendere gli aspetti, i dettagli e le trame su come sia nata, cresciuta e alimentata questo mostruosa creatura del Russiagate.

32° podcast_Inizio della fine o fine dell’inizio?_di Gianfranco Campa

La pantomima del Russiagate si avvia alla mesta conclusione. A crederci non ostante l’evidenza sono rimasti solo Macron in Francia e la sedicente grande stampa in Italia. Il bersaglio di tante attenzioni è rimasto inaspettatamente in piedi anche se al prezzo del sacrificio di tanti fedeli e di pesanti, a volte disastrosi, compromessi. La grande novità è che Trump sembra aver assunto un discreto controllo del Partito Repubblicano e di alcuni settori degli apparati di sicurezza, grazie probabilmente alla pervicacia e alla sapienza in particolare di Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York. L’opposizione sembrerebbe vittima della stessa sindrome di Napoleone in Russia. A differenza dei suoi generali però, i quali per salvarsi dovettero abbandonare al gelo il bottino di guerra durante la rotta. Al contrario, nella loro campagna di Russia il vecchio establishment americano, sotto le spoglie dei democratici, con qualche eccezione e dei neocon, il bottino più importante, frutto del saccheggio proditorio del Procuratore Muller, sono riusciti a conservarlo: il carteggio degli ultimi dieci anni tra Trump e il proprio avvocato Difensore Cohen. Si annunciano ancora anni di guerriglia a suon di rivelazioni e di inchieste ai danni di Trump. Se non si riuscirà a detronizzarlo, cercheranno di paralizzarlo. Per i democratici, almeno per la vecchia guardia la possibilità di rinviare di qualche anno la propria estinzione. Per gli Stati Uniti una iattura che non farà che allargare le fratture interne. Per i nuovi protagonisti nello scacchiere geopolitico altri spazi di azione da sfruttare, ma anche nuove rivalità in via di emersione. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

1 2 3