Proposte di pace, propositi di guerra_con Antonio de Martini

Il mondo occidentale, patrocinato dagli Stati Uniti, continua a offrire la propria rappresentazione come quella del mondo intero. Il conflitto in Ucraina non fa eccezione. La novità consiste proprio nel fatto che la verità che ci viene offerta in Europa e negli Stati Uniti questa volta è radicalmente diversa da quella accettata nel resto del mondo. L’amministrazione statunitense rivendica a buon diritto la compatezza conseguita, al momento, nel blocco di alleanze costruito nei decenni pur con qualche crepa; glissa nervosamente sulla neutralità e sulla aperta opposizione di un gran numero di stati nazionali e della gran parte della popolazione nel mondo al suo avventurismo. Dopo la Turchia, iniziano ad emergere nuovi attori di primo piano pronti ad esercitare una azione di mediazione. Lo stesso conflitto ucraino da essere l’oggetto univoco delle attenzioni si sta trasformando con il tempo nella leva per ridefinire le relazioni geopolitiche. La proposta impropria di mediazione della Cina assume questo significato. Nelle more, ancora una volta, i soggetti che vedranno restringere il proprio campo di azione saranno i centri politici europei. La direzione obbligata sarà quella dell’Africa. Ma in una condizione di estrema debolezza e con un retaggio coloniale e neocoloniale pesante come un fardello. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Slittamento di paradigma Paradossi, nonsense e pericoli di una svolta storica, di Piero Pagliani

Su questo link http://italiaeilmondo.com/2023/02/28/la-svolta-storica-della-fase-multicentrica-di-luigi-longo/ una prima considerazione sul saggio di Pagliani. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Nell’analisi che segue enuncio quelli che mi sembrano dei dati di fatto, tiro alcune somme, pongo una domanda per rispondere alla quale avanzo un’ipotesi sull’oggi e due sul domani concludendo con un’assunzione che in modo irrituale espongo alla fine e non all’inizio. In specifico:

Primo dato di fatto: la guerra contro Kiev ha sancito la fine del monopolio statunitense della violenza planetaria.

Secondo dato di fatto: la guerra stessa ha neutralizzato le sanzioni contro la guerra perché ha ampliato istantaneamente il campo d’attrazione russo.

Terzo dato di fatto: La Russia ha trasformato in una guerra sistemica quella che per lei è alla base una guerra esistenziale.

Prima conclusione: gli Stati Uniti stanno giocando la propria egemonia globale sul terreno più favorevole al proprio avversario, quello che lo ha sempre visto vincitore.

Ipotesi dello sfasamento cronologico: Lo sviluppo ineguale e i meccanismi del circuito globalizzazione-finanziarizzazione hanno suddiviso il mondo in due parti con processi di accumulazione disallineati, cosa che ha portato a una sfasatura rispetto al loro posizionamento nella crisi sistemica: economie finanziarizzate quelle più mature (Occidente collettivo) ed economie reali quelle più giovani (Sud collettivo).

La domanda fondamentale: si tratta solo dello scontro tra blocchi con sviluppo disallineato (cosa che lo avvicinerebbe a un classico conflitto interimperialistico) o da questo conflitto sistemico uscirà (obbligatoriamente?) uno scenario socio-economico che poggia su basi diverse?

Quinto dato di fatto: una nazione oggi può essere egemone globalmente solo a costi altissimi e quindi per un periodo molto limitato di tempo.

Ipotesi sulla conseguenza del quinto dato di fatto: dallo scontro sistemico attuale uscirà un ordine multipolare, cioè non ruotante attorno a un unico centro egemone.

Ipotesi derivata: nel mondo multipolare i rapporti sociali ed economici saranno sensibilmente diversi da quelli che hanno dominato fino ad oggi, oppure il mondo multipolare si esaurirà in un nuovo e più ampio scontro.

Assunzione: Se si rimetterà al centro di questa architettura l’accumulazione senza (un) fine tutte le contraddizioni riemergeranno, ancora più gigantesche e in condizioni che renderanno la loro soluzione ancora più difficile.

 

1. L’ammiraglio statunitense Robert Bauer, presidente del Comitato militare dell’alleanza Atlantica, ha dichiarato alcuni giorni fa che la Nato «è pronta per un confronto diretto con la Russia». Questa dichiarazione segue di pochi giorni la previsione del generale a 4 stellette Mike Minihan riguardo una guerra con la Cina tra due anni. Immediatamente dopo il segretario della Nato, Jens Stoltenberg ha iniziato a preparare il terreno per trascinarci piano piano nel delirio ventilando che sebbene la Cina non sia un avversario della Nato, «la sua crescente assertività e le sue politiche coercitive hanno delle conseguenze». Parole che, in un gioco di squadra, si inserivano nella scia delle accuse di Ursula von der Leyen contro Pechino, rea di voler «rimodellare l’ordine internazionale a proprio vantaggio [così che] dobbiamo rafforzare la nostra resilienza», sottraendoci in modo crescente alla dipendenza dal commercio con la più grande economia mondiale a parità di potere d’acquisto (PPP) [1].

Seppure la minaccia di confronto diretto con la Russia e l’ipotesi di guerra con la Cina sembrino due follie o addirittura due nonsense, tuttavia hanno entrambe, separatamente e congiuntamente, una logica. O meglio una doppia logica i cui due versanti non sono sempre semplici da discernere, sia per la confusione di interessi che essi rappresentano, sia per la situazione caotica della politica statunitense.

Le due dichiarazioni hanno evidentemente degli scopi, non sono state rilasciate con leggerezza.

Uno di essi è mantenere i membri della Nato in stato di soggezione tramite una sorta di mobilitazione permanente e l’evocazione continua di nemici comuni. E’ una mossa classica, prima l’Unione Sovietica, poi il terrorismo, oggi la Russia e domani la Cina. Tuttavia ripetere la stessa mossa in condizioni drasticamente mutate può portare a risultati opposti a quelli sperati.

Io sono convinto che alle varie cancellerie europee arrivino (anche) notizie veritiere su cosa sta succedendo nel mondo e in Ucraina in specifico [2]. La domanda più immediata è allora: a parte il governo polacco benedetto da Radio Maria, quanti paesi della Nato se la sentono di fare una guerra senza speranza alla Russia per difendere gli interessi di alcune élite cosmopolite che fanno capo agli Stati Uniti e distruggere definitivamente i propri di interessi?

Ce la sentiremo di difendere la traballante egemonia mondiale di un Paese disastrato, che sta perdendo la sua ciambella di salvataggio, cioè il predominio del Dollaro, e che ci sta spingendo alla rovina assieme a lui e prima di lui? [3]

Ce la sentiremo di andare a combattere a migliaia di chilometri di distanza, in Ucraina e nel Mar Cinese Meridionale, minacciando l’integrità della Russia e della Cina nei loro stessi giardini di casa se non addirittura sul loro stesso territorio e sui loro mari? Che tradotto vuole anche dire: ce la sentiremo di sfidare per l’ennesima volta le lezioni della Storia, proprio mentre la congiuntura storica stessa è tutta a nostro sfavore?

 

2. Le risposte dipendono dal concorso di ciò che succede in varie dimensioni.

Una dimensione è legata al caso (qualche incidente può sempre esserci quando si gioca con l’alta tensione, qualche disastro naturale può sempre avvenire), mentre un’altra dimensione è legata alla personalità e alla caratura dei governanti occidentali, purtroppo drammaticamente bassa in termini di rettitudine, preparazione, capacità di analisi, e consiglieri di cui si circondano. Possiamo chiamarle “gruppo di dimensioni A” (da “aleatorie”, anche se in realtà sono semi aleatorie, dato che raramente i “disastri naturali” sono esclusivamente naturali ed è il sistema che seleziona le classi dirigenti, le coopta). Un’altra dimensione riguarda i rapporti di forza militari tra la potenza delle parti in conflitto. La chiameremo “dimensione V” (da “violenza” – credo che sia il termine più onesto). Collegata ad essa abbiamo i rapporti di forza economico-finanziari che costituiscono la “dimensione D” (da “denaro”). Infine abbiamo la differenza delle loro strutture sociali e politiche, una dimensione che non è meccanicamente deducibile dalla dimensione D, ma è ovviamente ad essa collegata; la chiameremo “dimensione T” (da “territorio”). Alla base di tutto ci sono i differenti rapporti sociali (chiamati spesso, in modo inesatto, “modelli di sviluppo”).

Collettivamente possiamo allora chiamare il compito di analisi “AVDT” e consiste nello sbrogliare il groviglio esistente individuando dove agiscono, come agiscono e come evolvono le varie dimensioni sopra accennate, descrivendo al meglio tramite esse le parti che si contrappongono, i motivi della contrapposizione (le sue origini storiche e logiche) e, infine, cercare di capire cosa uscirà da questo confronto, non per divinazione ma per applicazione della razionalità all’analisi dei processi in essere.

Un compito difficile, ma per fortuna ci sono lavori che aiutano a non brancolare del tutto nel buio. Sto parlando delle classiche analisi di Lenin, di Rosa Luxemburg, di Karl Polanyi, di Giovanni Arrighi e Samir Amin, della coppia Shimshon Bichler-Jonathan Nitzan, di David Harvey, di Jason Moore, di Gianfranco La Grassa e di Michael Hudson e, in Italia, delle recenti proposte interpretative di Raffaele Sciortino, Pierluigi Fagan, Gianfranco Formenti, del gruppo Brancaccio-Giammetti-Lucarelli, per fare alcuni nomi e, di nuovo, di Michael Hudson e di altri autori, spesso apparsi su Sinistra-in-rete, che coi loro contributi permettono di gettare luce su un aspetto o l’altro di questo complesso problema [4].

Purtroppo, non essendoci un organismo coordinante, questi contributi non riescono a consolidarsi in una lettura, per l’appunto, organica. E questo è un problema squisitamente politico. Se la guerra in Ucraina ha fornito la scusa per ampliare e approfondire l’emarginazione e addirittura la criminalizzazione delle voci dissenzienti, la nostra capacità di opporci a quello che ormai a tutti gli effetti è un regime totalitario, nel senso che impone una visione totale del mondo (sociale, politica, economica, scientifica e valoriale), è indebolita dalla suddivisione in una miriade di “voci” che non si coordinano nelle modalità di presentazione e rimangono scollegate [5]. Queste voci presentandosi prive di un moderatore politico che quanto meno le inquadri e le metta in correlazione le une con le altre, appaiono isolate anche quando concordano tra loro e anche quando sono offerte in un unico involucro, come ad esempio un medesimo portale (cosa in sé meritoria). Anche questo è un segno dei tempi.

Oltre che a rimandare alla bibliografia (che si trova agevolmente sul web) dei singoli autori sopra citati e a raccomandare la visita a portali come questi, l’esposizione che segue è in forma di note dove le varie dimensioni saranno implicite e non chiamate per nome.

 

3. La Nato che affronta direttamente la Russia e muove guerra alla Cina è un’idea folle. Tuttavia è veramente il sogno proibito dei crazy freaks neo-liberal-con al potere attualmente a Washington. Per gli ambienti statunitensi meno psicopatici è invece una minaccia per cercare di compattare gli alleati, far vedere al mondo che non si intende cedere il posto di comando e infine per spaventare Mosca e cercare di farle accettare un compromesso ed evitare il completo collasso dell’Ucraina (con eventuale spartizione tra Russia, Polonia, Ungheria e Romania) e quindi l’umiliazione dell’Alleanza Atlantica.

Una richiesta di compromesso che Mosca ha già rinviato al mittente perché giudicata poco seria, specialmente dopo l’ammissione occidentale (Hollande e Merkel riguardo gli accordi di Minsk) che noi tradiamo i patti in modo premeditato (da parte Russa potrebbe essere una scusa, o meglio un utilizzo ai propri fini della sbalorditiva provocazione franco-tedesca istigata dalla Nato).

Bisogna anche sottolineare che le politiche di sicurezza nazionale svolgono un ruolo di potente barriera unitaria protezionistica militare ed economica. Da questo punto di vista, per gli Stati Uniti il conflitto attuale è un mezzo per perseguire un fine economico più ampio dell’ovvio arricchimento dell’apparato industriale-militare: cercare di re-industrializzarsi ai danni principalmente dell’Europa.

Dualmente, l’innalzamento di una barriera unitaria protezionistica militare ed economica è stata per la Russia e la Cina una reazione obbligata all’aggressività statunitense, che ha creato ex novo percorsi che non erano previsti, ha accelerato tendenze latenti che avevano altre tempistiche o sbloccato processi che altrimenti difficilmente avrebbero visto la luce. E tutto questo si riversa e riverbera nella configurazione sociale, economica e politica dei due principali Paesi competitor degli Stati Uniti.

Siamo di fronte alla “larger picture”, cioè al quadro di quanto succede al di fuori dell’Ucraina, il quadro che spiega la guerra e che a sua volta è influenzato da ciò che avviene sui campi di battaglia. Per inserire il conflitto armato stesso nella larger picture occorre per prima cosa, accettare quanto segue:

Primo dato di fatto: la guerra contro Kiev ha sancito la fine del monopolio statunitense della violenza planetaria.

Questo è uno dei monopoli fondamentali del dominio mondiale. Gli altri sono quello dell’accesso alle fonti energetiche e alle altre risorse fondamentali (come il settore chimico-agricolo-farmaceutico), quello dei sistemi finanziari e di pagamento, quello della cultura e dell’informazione/comunicazione e infine quello dell’innovazione scientifica e tecnologica. Monopoli diversi ma collegati tra loro.

Questo collegamento spiega la famosa “resilienza” (termine che detesto) della Russia:

Secondo dato di fatto: la guerra stessa ha neutralizzato le sanzioni contro la guerra perché ha ampliato istantaneamente il campo d’attrazione russo.

E’ un’osservazione che vale in questo caso, non in generale. Un paradosso, nel senso di contraddizione reale, che non può essere né concepito né spiegato se non si ha una visione sistemica degli eventi. Infatti gli esperti occidentali di scuola canonica (economisti, politologi, geostrateghi e chiromanti d’altro tipo) si sentono spersi: “Le sanzioni non funzionano. Ma come?”. E cercano spiegazioni nelle minuzie.

Il fatto è che attorno a questa guerra tutto il sistema-mondo si muove, e velocemente, per un terzo motivo:

Terzo dato di fatto: La Russia ha trasformato in una guerra sistemica quella che per lei è alla base una guerra esistenziale.

Se non si capisce, o si fa finta di non capire, che per la Russia questa guerra è esistenziale sarà un disastro di ampiezza mai vista perché le guerre esistenziali la Russia le ha sempre vinte indipendentemente dal prezzo da pagare. Non solo dobbiamo ricordarci di Napoleone, di Hitler o dei Cavalieri Teutonici, ma è meglio che Varsavia e i Paesi baltici si ricordino di come sono finite le mire espansionistiche di Sigismondo III e della sua Confederazione Polacco-Lituana durante il “Periodo dei Torbidi” quando pure la Russia versava in stato di debolezza [6].

Ma Mosca è anche perfettamente consapevole che questa guerra si inserisce diritta nel cuore della crisi sistemica ed è quindi destinata a rivoluzionare il sistema-mondo. Basta rileggersi uno qualsiasi dei discorsi di Putin dell’ultimo anno. Anche gli Stati Uniti lo sanno perfettamente e ciò lascia sbalorditi, perché la potenza egemone non poteva concepire una strategia peggiore:

Prima conclusione: gli Stati Uniti stanno giocando la propria egemonia globale sul terreno più favorevole al proprio avversario, quello che lo ha sempre visto vincitore.

Ciò che è stupefacente è che questo esito era stato ampiamente previsto con molta precisione da uno dei maggiori geopolitici statunitensi, Georg Kennan, uno dei “padrini” della Nato, che già nel 1997 aveva avvertito: «L’opinione, per dirla senza mezzi termini, è che l’espansione della NATO sarebbe l’errore più fatale della politica americana nell’intera era post-guerra fredda. Ci si può aspettare che una tale decisione infiammi le tendenze nazionaliste, antioccidentali e militariste dell’opinione pubblica russa, abbia un effetto negativo sullo sviluppo della democrazia russa, riporti l’atmosfera della guerra fredda nei rapporti Est-Ovest, e spinga la politica estera russa in direzioni decisamente non di nostro gradimento» [7].

Durante la guerra esistenziale contro Napoleone la Russia si compattò attorno allo zar Alessandro I Romanov. Durante la guerra esistenziale contro Hitler la Russia si compattò attorno al segretario del Partito Comunista Josif Stalin. Oggi nella guerra esistenziale contro la Nato, la Russia si è compattata attorno al presidente Vladimir Putin. Difficilmente si può sostenere che non fosse prevedibile.

Questa strategia suicida dice pressoché tutto dello stato misto di disconnessione epistemologica e dissonanza cognitiva della leadership occidentale. Uno stato ormai patologico dovuto a un gioco di hubris e di disperazione che avvitandosi una sull’altra rendono impossibile l’elaborazione di un percorso alternativo, di una via di fuga non distruttiva.

 

4. Se dunque la nazione russa si compatta attorno ai suoi leader per combattere una guerra esistenziale, attorno alla guerra in Ucraina in quanto guerra sistemica la larger picture si muove.

Si pensi, ed è un solo esempio, alla recente “Dichiarazione dell’Avana” dei banchieri centrali, presidenti e parlamentari di 25 Paesi riuniti a Cuba il 27 gennaio scorso. E’ un programma per la creazione di un blocco planetario «led by the South and reinforced by the solidarities of the North».

«Il Congresso riconosce l’opportunità critica offerta dalla presidenza cubana del Gruppo dei 77 più la Cina per guidare il Sud fuori dalla crisi attuale e incanalare gli insegnamenti della sua Rivoluzione verso proposte concrete e iniziative ambiziose per trasformare il più ampio sistema internazionale». «La liberazione economica non sarà concessa ma conquistata».

Quando ci entrerà in testa che non ci sopporta più nessuno e facciamo di tutto per non essere sopportati? Quando capiremo che la maggior parte del mondo, in Ucraina ci vuole vedere umiliati, anche chi all’ONU vota secondo creanza o pressione?

La ribellione al cosiddetto “ordine internazionale” ha come protagonisti Paesi che si sentono minacciati e Paesi che si sentono soffocati dall’architettura di potere occidentale. Il verbo “sentire” è però impreciso, perché le minacce occidentali sono da tempo aperte, esplicite, spudorate, così come lo è la rapina. Dietro a questo disastro c’è l’abnorme finanziarizzazione dell’economia occidentale che è stata la via d’uscita “naturale” (in senso capitalistico) dalla crisi di sovraccumulazione degli anni Settanta. Ovviamente esiste un rapporto tra la disconnessione dell’economia dai valori reali e la disconnessione del pensiero occidentale dalla realtà. Lo studio dei suoi particolari è un tema seducente ma purtroppo non ho sufficienti conoscenze per affrontarlo e lo lascio quindi ad altri [8].

Il grosso ostacolo a una “revisione” interna all’Occidente della sua politica, suicida oltre che omicida, è dunque un blocco cognitivo e culturale connesso all’esasperante livello di finanziarizzazione raggiunto dall’economia. La bolla finanziaria incombe come un mostruoso ordigno nucleare pronto a scoppiare. Nel tentativo di depotenziare lo scoppio, le élite finanziarie obbligano l’ambiente esterno al centro capitalistico occidentale ad estrarre quanto più profitto e a sequestrare quanta più ricchezza sociale sia possibile per devolverli al centro egemone in crisi in cui la rendita finanziaria ha sostituito l’estrazione di profitto alimentando la sovraccumulazione, e parimenti obbligano l’Occidente stesso a un’operazione di auto-cannibalizzazione che consiste nell’avvitarsi in politiche di austerity e deflazione salariale e nella privatizzazione selvaggia del dominio pubblico (welfare, capitale sociale fisso, servizi).

Se l’inizio della crisi sistemica fu segnalato dal decennio di stagflazione (stagnazione con inflazione, superata dall’avvio della finanziarizzazione dell’economia), oggi, dopo poco più di mezzo secolo, nello show-down della crisi concorrono stagnazione, inflazione e finanziarizzazione, un triangolo devastante esasperato dallo scardinamento della globalizzazione dovuto allo scontro sistemico stesso.

Oggi la finanziarizzazione non può più essere un rimedio perché è stata utilizzata fino all’eccesso (come già avvertiva Thomas Friedman nel 2004 sul New York Times: “gli elefanti possono volare, ma solo per poco tempo” [9]). Non solo, ma il Paese dove oggi sono concentrati i mezzi di pagamento mondiali, la Cina, è largamente al di fuori del raggio d’azione politico imperiale e quindi della possibilità di far fagocitare le sue risorse dal sistema finanziario occidentale ormai fuori controllo.

Ecco allora un disperato tentativo imperiale di re-industrializzazione che essendo ostacolato dalla neo-compartimentazione dell’economia mondiale alimentata dagli scontri geopolitici, avviene ai danni dei vassalli in Europa e in Giappone e deve fare i conti con ritardi tecnologici, con mancanza di materie prime e con perdita di know how [10].

Negli Stati Uniti si rendono conto dell’impossibilità di una strategia coerente e solida per mantenere l’egemonia mondiale. Esclusa una guerra nucleare dalla quale i generali sanno perfettamente che gli Stati Uniti uscirebbero totalmente distrutti, l’unica speranza sarebbe un collasso interno della Russia e della Cina, inverosimile per mille ragioni, storiche, geografiche, antropologiche, culturali, economiche e politiche ampiamente studiate.

L’unica regione che è ripetutamente collassata nella Storia è stata l’Europa, il continente più violento del pianeta, suddiviso in mille poteri e con la possibilità idro-orografica di fare e disfare mille confini. Gli Stati Uniti si trovano in una situazione, anche geografica, più vantaggiosa di noi, ma il suo sistema economico-sociale ha assunto da subito un andamento “estrovertito”, cioè dipendente dalla conquista diretta o indiretta di crescenti spazi esterni, nonostante spesso si parli delle tendenze “isolazioniste” statunitensi. L’espansionismo è un fenomeno che era comprensibile per la piccola Inghilterra ma è abbastanza sorprendente in una nazione che nasce e si consolida su spazi enormi (“confederazione” e “impero” erano termini intercambiabili per i fondatori degli Stati Uniti). La spiegazione più verosimile è che esso sia dipeso dalla grande capacità di accumulazione degli Stati Uniti messa definitivamente in moto a livello internazionale proprio dal periodo protezionistico che seguì quella Guerra Civile in cui furono sconfitti gli interessi legati alla preminenza dell’impero britannico e alla triangolazione atlantica (manufatti inglesi scambiati con schiavi africani, schiavi africani scambiati con prodotti tropicali americani, prodotti tropicali americani scambiati con manufatti inglesi). E’ la ragione per cui considero la fine della Guerra Civile Americana l’inizio dell’era contemporanea, o meglio ancora dell’era “attuale”.

 

5. La necessità di “estroversione” degli Stati Uniti si scontra ora con la resistenza di due enormi competitor che storicamente non sono dipesi da un’esigenza simile. Ciò che sovente viene chiamato “imperialismo russo” e “imperialismo cinese” sono in realtà relazioni economiche internazionali di natura differente. Ad esse viene dato l’appellativo di “imperialismo” per pigrizia, per comodità, per incapacità di concepire fenomeni diversi da quelli che hanno caratterizzato l’Occidente nella sua particolare traiettoria storica. Le cose stanno in modo differente e non casualmente Giovanni Arrighi intitolò la sua ultima monografia “Adam Smith a Pechino” e non “Karl Marx a Pechino”. Per quanto riguarda la Russia mancano analisi precise che comunque non dovrebbero sottostimare l’influenza di oltre 70 anni di bolscevismo. La stessa reazione di Putin alla shock therapy messa in atto da Eltsin ha risentito, sebbene in modo altalenante, di quella tradizione e dell’attaccamento della popolazione russa ad essa (innanzitutto ai servizi statali e all’assistenza sociale, ma anche ideale, a giudicare dal fatto che il Partito Comunista della Federazione Russa col 19% è il secondo partito [11]).

L’ultima grande stagione di estroversione statunitense è stata la cosiddetta “globalizzazione”, «another name for the dominant role of the United States», come affermò candidamente Henry Kissinger in una conferenza al Trinity College di Dublino il 12 ottobre del 1999. Ma la globalizzazione ha avuto come esito inintenzionale proprio la crescita dei grandi competitor strategici degli Usa e dei competitor minori che attorno ad essi si stanno aggregando. Questo ha portato a un deterioramento della globalizzazione e a una neo-compartimentazione del sistema-mondo dove le economie giovani e dinamiche stanno da una parte e quelle mature e obsolescenti dalla parte opposta.

Ipotesi dello sfasamento cronologico: Lo sviluppo ineguale e i meccanismi del circuito globalizzazione-finanziarizzazione hanno suddiviso il mondo in due parti con processi di accumulazione disallineati, cosa che ha portato a una sfasatura rispetto al loro posizionamento nella crisi sistemica: economie finanziarizzate quelle più mature (Occidente collettivo) ed economie reali quelle più giovani (Sud collettivo)[12].

Il deterioramento della globalizzazione ha provocato quello dei processi di alimentazione delle prime da parte delle seconde. Se la globalizzazione serviva a sopperire a ciò che non potevano più fare le singole società nazionali occidentali né il loro assemblaggio/coordinamento nell’economia-mondo centrata sugli Stati Uniti, ovvero “pompare energia” sufficiente dai processi di creazione del valore a quelli di accumulazione monetaria, il suo scardinamento sta obbligando il centro dominante a ricorrere alla “accumulazione per espropriazione” ai danni dei suoi stessi vassalli. Ma facendo ciò gli Stati Uniti si stanno ritraendo dalla posizione di Paese “egemone” per assumere le vesti di Paese “dominante”. Se l’egemonia è sempre “corazzata di coercizione”, oggi gli Stati Uniti devono usare un massimo di forza dato che ormai godono di un minimo di consenso, pur avendo ancora una notevole presa culturale [13]. Detto in termini generali, il problema che si è trovato di fronte l’Occidente è stato l’impossibilità di inglobare altre economie-mondo nella propria, un’impossibilità di tipo geopolitico (la sconfitta nel Vietnam è forse stato il suo segnale più precoce).

Il problema che il mondo invece si trova oggi di fronte è proprio l’impossibilità dell’economia-mondo occidentale di coesistere con altre economie-mondo, un’impossibilità che ha le sue radici nella logica dei processi di accumulazione che si sono storicamente strutturatati in Occidente.

L’Occidente è quindi in preda a un giro vizioso perfetto: i tentativi di bloccare l’ascesa dei competitor inducono un indebolimento della sua economia e un approfondimento della crisi e questo diminuisce la sua capacità di contrastare i competitor. O l’Occidente cambia strategia, ovvero accetta di negoziare la propria posizione in un mondo multipolare, pagando ovviamente un prezzo in termini di privilegi, comunque destinati a sparire con la forza, o la situazione diventerà sempre più disperata. E questo è pericolosissimo. Il cambio di strategia deve quindi essere rapido.

La disperazione che serpeggia tra le élite occidentali ha infatti già fatto evaporare le loro residue capacità diplomatiche/egemoniche, quasi che si fosse ormai consapevoli che è meglio essere espliciti e brutali dato che non c’è più possibilità di far identificare il bene degli Usa col bene dell’Occidente e il bene dell’Occidente con quello di tutti.

Se si leggono i rapporti dell’FMI e delle altre istituzioni preposte all’ordine mondiale occidentale, si vede un quadro di desolazione che grazia solo pochi Paesi [14]. La maggior parte delle nazioni del mondo sono considerate un “problema”. Problema che deve essere risolto con macellerie sociali e, in definitiva, con l’aggravamento del problema stesso, in un giro vizioso a beneficio dei soliti pochissimi noti.

Se durante la reaganomics un Paese in via di sviluppo dopo l’altro dovette ricorrere ai prestiti delle banche di New York e Londra che riciclavano i petrodollari, accettando di pagare tassi d’interesse inauditi, mentre oggi invece la coda è a Pechino e anche a Mosca, il motivo è proprio questo: in Cina e in Russia non sono considerati come dei problemi e dei polli da spennare. Il BRICS, il BRICS+, la SCO, l’Unione Economica Eurasiatica, trattano i Paesi come soggetti legittimi, con esigenze e aspirazioni legittime.

Cos’altro è l’architettura monetaria che da alcuni anni viene studiata da Sergej Glazyev, il responsabile per l’integrazione e la macroeconomia della Commissione Economica Eurasiatica, l’organo esecutivo dell’Unione Economica Eurasiatica, e che provvisoriamente possiamo definire “Diritti Speciali di Prelievo Multipolari”, se non una sorta di Bancor, quella moneta orientata al debito, cioè ai Paesi che devono svilupparsi, anche in deficit, e non sottoposta a una singola nazione, proposta da Keynes a Bretton Woods e rifiutata a favore del Dollaro (il gold-dollar exchange standard), ovvero una moneta internazionale orientata al credito e al sostegno geopolitico di una parte sola, gli USA, che allora erano la più grande potenza creditrice del mondo?

Il BRICS, il BRICS+, la SCO e la UEE sono impetuosi corsi d’acqua che finiranno per confluire in un unico fiume, assieme al G77, la ridestata Organizzazione dei Paesi non Allineati. Ridestata, che lo si voglia o no, dall’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina. Un fiume rappresentabile (e non certo metaforicamente) con le Nuove Vie della Seta, la Belt and Road Initiative (BRI) cinese, alla quale già aderiscono 140 Paesi in Asia, Europa e America Latina. Un’area potenzialmente allargabile a quell’80% di Paesi che non applicano nessuna sanzione alla Russia.

 

6. Gli Stati Uniti, o meglio le sue élite, o meglio ancora le sue élite neo-liberal-con legate allo strapotere della finanza e/o a una mentalità eccezionalista, le élite cresciute, spesso anche anagraficamente, e diventate potentissime con la crisi sistemica, guardano a questi processi non capendoli, considerandoli semplicemente degli insulti a un ordine “naturale” che non poteva e non doveva essere perturbato.

E li guardano sempre più impotenti e spaventate. E questo è molto pericoloso, perché può portarle ad atti disperati di cui nemmeno riuscirebbero a calcolare tutte le conseguenze, per via della loro arroganza e dalla loro inesistente, insufficiente o inadatta preparazione culturale e intellettuale.

Che ciò sia evitato dipende soprattutto da come agirà quella parte degli Stati Uniti – e quella parte dei suoi interessi – che vede meno pericoloso e più conveniente adattarsi a un mondo multipolare che cercare di lanciarsi a testa bassa contro il muro di contraddizioni politiche, economiche e militari che la crisi e la sua gestione neoliberista hanno eretto. Si farebbe per lo meno guadagnare al mondo tempo prezioso anche se una soluzione più duratura richiederà un patto che ponga la società al centro. E lo stesso vale per l’Europa.

A questo punto si passa a un altro tema d’analisi che deve rispondere alla domanda seguente:

La domanda fondamentale: si tratta solo dello scontro tra blocchi con sviluppo disallineato (cosa che lo avvicinerebbe a un classico conflitto interimperialistico) o da questo conflitto sistemico uscirà (obbligatoriamente?) uno scenario socio-economico che poggia su basi diverse?

Innanzitutto dobbiamo domandarci se tutti questi soggetti nazionali che si stanno ribellando all’ordine globale occidentale sperano che la Russia, o la Cina se per questo, prenda il posto degli Stati Uniti come nazione egemone. La risposta molto semplice è No. Ma questo non sembra nemmeno essere nelle intenzioni. Saggiamente, perché la Storia è arrivata a un punto particolare:

Quinto dato di fatto: una nazione oggi può essere egemone globalmente solo a costi altissimi e quindi per un periodo molto limitato di tempo.

E’ un dato storico. Si pensi all’egemonia statunitense entrata economicamente in crisi dopo meno di trent’anni, e si sta parlando di una potenza di primissimo livello che alla fine della II Guerra Mondiale concentrava quasi tutti i mezzi di pagamento mondiali e aveva una produttività che surclassava il resto del globo messo assieme.

La Russia e la Cina vedono perfettamente cosa sta succedendo agli Stati Uniti (ad esempio al suo Dollaro, una volta padrone del mondo). E non vogliono ripetere l’esperienza. Comunque per la Russia i costi sarebbero inaffrontabili se volesse sostituirsi agli USA (tra l’altro litigherebbe subito col suo principale alleato, la Cina, a cui si applica lo stesso ragionamento). Ne segue un’ipotesi:

Ipotesi sulla conseguenza del quinto dato di fatto: dallo scontro sistemico attuale uscirà un ordine multipolare, cioè non ruotante attorno a un unico centro egemone.

Se ciò è confermato, come molte cose fanno pensare, ci sarà (o dovrebbe esserci) di conseguenza un drastico cambio di paradigma sia nei rapporti internazionali sia nei rapporti economico-sociali interni alle singole nazioni, due aspetti dialetticamente collegati, perché da cinquecento anni a questa parte un’economia-mondo è proceduta sempre attorno a un centro egemone, si identificava con esso.

Ipotesi derivata: nel mondo multipolare i rapporti sociali ed economici saranno sensibilmente diversi da quelli che hanno dominato fino ad oggi, oppure il mondo multipolare si esaurirà in un nuovo e più ampio scontro.

In Russia la guerra stessa sta facendo rivedere il “modello” economico. È troppo presto per un giudizio, ma le cose stanno cambiando, ad esempio riguardo al ruolo dello Stato. Sono movimenti da tener d’occhio in modo critico.

Siamo di fronte a una ribellione planetaria che obbligherà i futuri studiosi a rivedere la periodizzazione storica e qualche persona non riflessiva o con scarsa capacità di raziocinio potrebbe chiedersi se io, che sono e mi considero occidentale, faccio il tifo per una parte. Di sicuro non faccio il tifo per l’ipocrisia dei bombardatori “umanitari”, per chi ritiene che mezzo milione di bambini morti in Iraq sono “un prezzo giusto”, per chi dal 1945 ad oggi ha provocato con le sue guerre 20 milioni di morti, per chi a Washington dava l’ordine di bombardare con droni matrimoni in Afghanistan, per chi ha massacrato milioni di civili in Vietnam. E non faccio il tifo per chi sventola la svastica.

Faccio allora il tifo per il compimento di un processo storico che da oltre due decenni ritengo inevitabile? Che senso avrebbe? Sarebbe come fare il tifo per il moto di rotazione della Terra attorno al proprio asse. Sarebbe del tutto insensato. Certo, quando torna la luce del giorno si possono fare cose impossibili durante la notte al buio. Ma, per l’appunto, tutto dipende da cosa si fa.

E’ troppo presto per prevedere che tipo di architettura multipolare nascerà dalla ribellione in corso contro il plurisecolare ordine internazionale occidentale.

Posso solo fare ipotesi in base alla Storia e alla logica, ma credo che nessuno possa onestamente dire che le cose sono chiare. Ci separano ancora anni da una bozza di progetto alternativo sufficientemente precisa, e anni per implementarlo, anni che saranno pieni di eventi difficili da prevedere. Anni in cui questo conflitto si amplierà e di conseguenza si approfondirà. Un decennio? Due decenni?

Sulla carta dovrebbe uscirne un sistema più equo. Ma quali livelli di equità sono necessari?

Una cosa per me è certa:

Assunzione: Se si rimetterà al centro di questa architettura l’accumulazione senza (un) fine tutte le contraddizioni riemergeranno, ancora più gigantesche e in condizioni che renderanno la loro soluzione ancora più difficile.

Non tifo dunque perché venga il giorno. Il Sole sorgerà da solo, non ha bisogno di incoraggiamenti. Io posso solo sperare che durante la notte si smetta di uccidere, si cessi di provocare sofferenze e che prevalgano il buon senso e la pietà.

Tifo invece perché durante il giorno, per parafrasare Karl Polanyi, si riesca a trovare il modo perché la società con mercato (cosa naturale) prenda il posto della società di mercato (cosa innaturale, dove i rapporti tra esseri umani sono sostituiti dai rapporti tra merci).

Altrimenti, come si suol dire, in poco tempo saremmo da capo a quindici e tutte queste sofferenze sarebbero servite solo a mettere alla luce un essere ancor più mostruoso.

«Superare il capitalismo è dunque non soltanto “correggere la ripartizione del valore” (ciò che produce solo un immaginario “capitalismo senza capitalisti”) ma anche liberare l’umanità dall’alienazione economica»(Samir Amin).


NOTE
[1] Qui le dichiarazioni di Bauer. Qui le dichiarazioni di Minihan. Qui le dichiarazioni di Stoltenberg. Per quelle della von der Leyen si veda qui e qui. I discorsi di Ursula von der Leyen sono casi di studio esemplari sul tema “ipocrisia”. Notevole, ad esempio, questo passaggio: «Il sabotaggio del Nord Stream ha dimostrato che dobbiamo assumerci maggiori responsabilità per la sicurezza della nostra infrastruttura di rete». Realmente fantastico: persino i sassi, anche quelli americani, sanno che questo sabotaggio (e disastro ambientale) è stato opera di Stati Uniti/Nato. Ai sassi che ancora non lo sanno consiglio l’inchiesta investigativa del Premio Pulitzer Seymour Hersch. Questa inchiesta è piena di dettagli che possono essere conosciuti solo da “insider”. Che alcune “gole profonde” abbiano permesso in questo momento a Hersh di produrre il suo “scoop”, la sua “bombshell”, è evidente sintomo di una lotta interna all’establishment statunitense. Mi è immediatamente ritornato in mente lo scandalo Watergate e la sua copertura da parte di Bob Woodward e Carl Bernstein per il “Washington Post” (da sempre legato alla CIA) e dallo stesso Hersh per il “New York Times”. In quel caso si è saputo che la “gola profonda” era niente meno che il vicedirettore della CIA, Mark Felt.
Per quanto sia incredibile, persiste ancora un mito condensato nella celeberrima frase «È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!» (Ed Hutcheson-Humphrey Bogart alla fine del film di Richard Brooks L’ultima minaccia, 1952): la (libertà di) stampa può mettere in ginocchio il potere. Vedremo in un’altra nota che fine ha fatto la libertà di stampa negli USA e in Occidente, ma anche all’epoca del Watergate ci voleva ben altro che un’inchiesta-bomba, come ha ammesso la stessa editrice del “Washington Post”, Katharine Graham: «A volte la gente ci accusa di “aver abbattuto un presidente”, cosa che ovviamente non abbiamo fatto e non avremmo dovuto fare. I processi che hanno causato le dimissioni [di Nixon] erano costituzionali». E persino dallo stesso Woodward: “La mitizzazione del nostro ruolo nel Watergate è arrivata al punto di assurdità, in cui i giornalisti scrivono … che io, da solo, ho abbattuto Richard Nixon. Totalmente assurdo”.
Per mettere in ginocchio il potere ci vuole una rivoluzione o un altro potere che vuole scalzarlo, eventualmente “utilizzando” ottimi giornalisti (o comprandone di spregiudicati o vili, cosa che avveniva fin dai primordi della professione come ci racconta Rossini nella sua opera lirica “La pietra di paragone”).
Il fine dell’estromissione di Nixon è ancoro dibattuto negli Stati Uniti (l’anno scorso c’è stato il cinquantenario dello scandalo). Io sono convinto che si volesse impedire il suo disimpegno dal Vietnam. Per altri non è così, ma è la stessa caoticità delle forze e dei decisori statunitensi che non permette una lettura univoca.
Tornando alla von der Leyen, nei suoi interventi si possono notare anche stupidaggini terminologico-concettuali come «la guerra brutale della Russia». La signora von der Leyen sa indicarci una guerra che non sia stata brutale? Forse quella del Vietnam col 67% di vittime civili? O quella in Iraq col 77%? Tutte le guerre sono brutali!
Si noti che il termine composto “guerra della Russia” è accompagnato da due tic, da due automatismi. Il primo è, appunto, aggiungere l’aggettivo “brutale”, il secondo è aggiungere l’aggettivo “non provocata” (unprovoked). Da linguista e scienziato cognitivista geniale qual è, Noam Chomsky ha subito commentato: «Of course, it was provoked. Otherwise, they wouldn’t refer to it all the time as an unprovoked invasion. By now, censorship in the United States has reached such a level beyond anything in my lifetime».
Per quanto riguarda invece la potenza economica dei contendenti, la Cina supera del 20% gli USA per PIL calcolato in PPP e di 8 volte gli UK (noi siamo al 12° posto). Ma nonostante il confronto sulla base del PPP sia più preciso rispetto a quello in base ai valori nominali, tuttavia è incompleto. Come la stessa RAND Corporation ammette «[Il] PIL fornisce solo un limitato quadro del potere. Dice poco sulla composizione dell’economia, come ad esempio se è guidata da settori di punta o è invece dominata da quelli vecchi e in declino». Lo stesso discorso riguarda il budget per la difesa (cfr. RAND Corporation, Measuring National Power”, 2005).
Ma se si prendono sul serio questi “caveat” notiamo un ulteriormente aggravamento della posizione statunitense dato l’altissimo grado di finanziarizzazione della sua economia che significa ridotte capacità produttive reali. Si pensi solo alla produzione statunitense legata all’industria militare comparata a quella Russa. Inoltre, la logica di produzione, guidata dai profitti privati e non dall’efficacia del risultato, spinge i produttori a sviluppare sistemi d’arma complicatissimi e costosissimi ma operabili con difficoltà nei conflitti reali contro un avversario alla pari.
[2] I dati catastrofici per le forze armate ucraine, ancor più allarmanti se confrontati con le perdite russe inferiori di un ordine di grandezza, fuoriescono ora non solo dagli ambienti del Pentagono ma anche da quelli del Mossad e non sono nascosti nemmeno dalla BBC. Per quanto riguarda l’economia, l’FMI ha dichiarato che nonostante la Russia sia la nazione più sanzionata della Storia il suo PIL è più alto di quello della Germania. In compenso il PIL dei bellicosi e revanscisti UK è in zona negativa. Inflazione, fallimenti, disoccupazione, collasso dei servizi pubblici, strette sulle pensioni, il quadro europeo è disastroso e con prospettive foschissime. Non oso nemmeno pensare a cosa succederà quando gli Stati Uniti ci obbligheranno alle sanzioni contro la Cina: dopo la perdita dell’energia a buon mercato russa andremo incontro alla perdita delle merci a buon mercato cinesi. Al di là di ogni altra conseguenza, la produzione di profitto in queste condizioni sarà impossibile a meno di far ritornare i lavoratori ai tempi di Dickens. E in un sistema capitalistico il profitto è la molla dell’economia reale.
Voglio far notare incidentalmente che un rapporto speciale dell’ONU sulla povertà negli UK già comparava la situazione del 2019 alle situazioni descritte da Dickens:
«Ad alcuni osservatori potrebbe sembrare che il Dipartimento del lavoro e delle pensioni sia stato incaricato di progettare una versione digitale e sterilizzata del laboratorio del diciannovesimo secolo, reso famigerato da Charles Dickens, piuttosto che cercare di rispondere in modo creativo e compassionevolmente ai bisogni reali di coloro che affrontano una diffusa insicurezza economica in un’epoca di profonde e rapide trasformazioni indotte dall’automazione, dai contratti a zero ore e da una disuguaglianza in rapida crescita» (UN Report of the Special Rapporteur on extreme poverty and human rights: Visit to the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland, pag. 5). Ed è del tutto inutile consolarci con scuse come l’uscita degli UK dalla UE: Italia, de te fabula narratur.
La situazione degli Stati Uniti non è molto più rosea, se non dal punto della forza geopolitica relativa e quindi della loro capacità di far pagare il più possibile la crisi a noi. Ma mentire è ormai una questione di vita o di morte. E si mente in modo così spudorato ed esagerato che gli esperti si grattano scettici la testa: “ ‘Too good to be true’ jobs report draws skeptics on data quirks”, titola “The Philadelphia Inquirer” il 3 febbraio scorso, un articolo che riporta le stime di Bloomberg che parlano di un aumento di oltre mezzo milione di posti di lavoro in Gennaio, cosa che porterebbe il tasso di disoccupazione addirittura ai livelli più bassi dal 1969, cioè da inizio crisi! L’Inquirer fa notare però che si tratta di un dato “aggiustato” e che la stessa Bloomberg ammette che «Su base non rettificata, le buste paga sono in realtà diminuite di 2,5 milioni il mese scorso» (“On an unadjusted basis, payrolls actually fell by 2.5 million last month).
[3] I BRICS stanno elaborando un sistema di pagamenti alternativo al Dollaro, notizia che non si trova nei media occidentali ma che potete trovare sul media outlet indiano “Business Standard”.
Comunque il “Financial Times” ci informa che le due più grandi economie dell’America Latina, Brasile e Argentina, hanno iniziato la preparazione di una moneta comune, che si dovrebbe chiamare “Sur”, per incrementare il commercio regionale e “ridurre la dipendenza dal Dollaro”.
L’Arabia Saudita sta considerando di vendere petrolio in divise diverse dal Dollaro.
La Cina sta trattando per comprare energia dai Paesi del Golfo in Yuan.
Le banche centrali di Russia e Iran alla fine dello scorso gennaio hanno firmato un accordo per connettere le banche dei due Paesi attraverso un sistema alternativo allo SWIFT.
Intanto le riserve cinesi in bond governativi statunitensi sono diminuite in un anno di 92 miliardi di dollari.
Ovviamente l’Euro non se la passerà meglio: il vice-ministro russo delle Finanze, Vladimir Kolychev ha dichiarato che entro l’anno la quota di Euro nei Fondi Nazionali Russi sarà azzerata nell’ambito di una revisione della composizione del fondo che alla fine ammetterà solo Rubli, Yuan e oro.
Per un’analisi generale recente si veda il rapporto “The Future of the Monetary System”, pubblicato niente meno che dal Credit Swiss e redatto da un team diretto da Zoltan Pozsar, un autore che consiglio di seguire.
[4] Su un versante politico-filosofico dobbiamo aggiunge Gramsci come classico (la fondamentale nozione politica di “egemonia” è sua) e Costanzo Preve come pensatore contemporaneo.
Questi autori non dicono le stesse cose, né hanno le stesse preoccupazioni. Ad esempio, se Lenin e la Luxemburg sono dei politici, Arrighi è un economista e storico, Shimshom e Bichler sono economisti, Harvey è un geografo mentre Moore si occupa di sistemi socio-ecologici. Ma se invece di dare al loro pensiero una lettura tutta interna alla dimensione delle idee, incasellando i loro ragionamenti sui rami di un albero col tronco ben piantato sottosopra con le radici nel cielo, si cercano di capire i problemi concreti, materiali, su cui si sono concentrati, e di localizzare sia i problemi che i punti di vista, (localizzare in senso storico e geografico), allora oltre ai punti di divergenza si potranno notare anche gli elementi comuni senza necessariamente rischiare di cadere nell’eclettismo. Specie se si traguarda la loro lettura coi problemi che devono essere affrontati oggi. Per parafrasare Marx, non bisogna dividere in quattro le idee, i concetti, per collocarli in una tassonomia accademica («Prima di tutto, io non parto da “concetti”, quindi neppure dal “concetto di valore”, e non devo perciò in alcun modo “dividere” questo concetto», Marx, “Glosse marginali al Manuale di economia politica di Adolph Wagner”).
[5] Riguardo lo sprofondamento in un regime da Ministero della Verità orwelliano, si pensi innanzitutto a Julian Assange. O si pensi a Seymour Hersh, il più grande giornalista investigativo statunitense, il Premio Pulitzer che svelò il massacro di My Lai e i bombardamenti segreti della Cambogia durante la guerra del Vietnam e denunciò le torture di Abu Ghraib. Autore di inchieste che comparivano in prima pagina sul “New Yorker” e sul “New York Times”, oggi è emarginato come un paria essendosi opposto alle versioni ufficiali degli attacchi chimici in Siria, del caso Skripal e del sabotaggio del Nord Stream. Si pensi ancora al giornalista britannico Graham Phillips, accusato di “crimini di guerra” per aver detto che il mercenario britannico in Ucraina Aiden Aslin era, per l’appunto, un mercenario. Gli hanno anche bloccato il conto in banca. Alla giornalista tedesca Alina Lipp oltre che congelare il conto in banca hanno sequestrato il computer e rischia la galera con l’accusa di aver “diffuso notizie false atte a turbare l’ordine pubblico” per non essersi uniformata alla copertura dei media Minculpop sulla guerra. Sorte simile per la cineasta francese Anne-Laure Bonnell, acclamata nel 2016 persino dal “New York Times” per un suo documentario sul Donbass e oggi esclusa da ogni evento cinematografico con la colpa di voler continuare a dire la verità sul Donbass. Ha anche perso il posto all’università parigina dove insegnava. Il giornalista italiano Giorgio Bianchi è entrato nella kill list dei servizi segreti ucraini che appare nel sito “Myrotvorets” (“Il pacificatore”), senza che il nostro ministero degli Esteri si sia sentito in dovere di protestare.
La cosa più inquietante è la velocità con cui siamo passati dal pluralismo all’intolleranza.
[6] «A noi non interessa un mondo senza la Russia», ha dichiarato Putin, ma questo è il sentire del 99% dei Russi e lo hanno dimostrato in 1.000 anni di storia. Che quella in Ucraina sia una guerra esistenziale, ai Russi glielo abbiamo fatto capire con abbacinante chiarezza dichiarando esplicitamente: 1. che la guerra in Ucraina è stata deliberatamente preparata per anni, tradendo ogni accordo, per indebolire la Russia; 2. che vogliamo abbattere il legittimo governo che i Russi hanno eletto; 3. che vogliamo smembrare la Russia come abbiamo fatto con la Jugoslavia; 4. che odiamo o ci è estraneo tutto ciò che è russo.
[7] George F. Kennan, “A Fateful Error”, The New York Times, 5 febbraio 1997.
[8] Riguardo questo tema posso fare solo alcune considerazioni di metodo. La classica dottrina della “verità” si basa sulla definizione aristotelica di “adaequatio rei et intellectus” dove il soggetto che parla (intellectus) è distinto dalle cose (res) di cui questo soggetto parla. In tempi moderni, questa distinzione è stata rielaborata dal logico tedesco Gottlob Frege in quella tra “Sinn”, cioè “senso”, e “Bedeutung”, cioè “riferimento”, e l’interpretazione “realistica” del concetto di “riferimento” era sottintesa anche nella semantica formale del grande logico e matematico polacco Alfred Tarski. Ma col post-strutturalismo (Jacques Derrida, Gilles Deleuze, Jacques Lacan, Michel Foucault, ecc.) il “riferimento” viene relativizzato (o “intenzionalizzato”) abbandonandone l’interpretazione “realistica”. La semiotica post-strutturalista di Umberto Eco, ad esempio, riallacciandosi alla “semiosi illimitata” di Charles Sanders Peirce, sostiene che l’enunciato “La neve è nera” è rifiutato non perché si riferisce erroneamente a uno stato di cose, ma perché altrimenti dovremmo «riorganizzare le nostre regole di comprensione”, dato che questa affermazione romperebbe una “unità culturale”» (“Trattato di semiotica generale”, Bompiani, 1975 § 2.5). L’interpretazione diventa un riferimento interno in una sorta “antinomia del mentitore” metodologica. La critica post-strutturalista, che ha lati interessanti e altri cialtroni, specialmente quando mima il rigore delle scienze esatte, ha condotto a quelle posizioni relativistiche che oggi sono sfociate nei concetti di “narrazione” e di “post-verità”.
Già nel 1994 Noam Chomsky era esterrefatto da questa deriva:
«Se finisci per dirti: “è troppo difficile occuparsi dei problemi reali” ci sono un sacco di modi per non farlo. Uno di essi consiste nel disperdersi in affari di scarsa importanza. Oppure impegnarsi in culti accademici completamente avulsi dalla realtà e che costituiscono un riparo al doversi occupare delle cose come stanno. E’ pieno di comportamenti di questo genere, anche all’interno della sinistra. … Oggi nel Terzo Mondo predomina un senso di profonda disperazione e di resa. Il modo in cui si è estrinsecato questo atteggiamento, nei circoli colti che hanno contatti con l’Europa, è stato di immergersi completamente nelle ultime follie della cultura parigina e di concentrarsi totalmente su di esse. Per esempio, se dovevo parlare di attualità, anche in istituti di ricerca che si occupassero di aspetti strategici, i partecipanti volevano che li traducessi in vaneggiamenti postmoderni. Per fare un esempio, piuttosto che sentirmi parlare dei dettagli dell’azione politica statunitense in Medio Oriente, cioè a casa loro – che è una cosa sporca e priva d’interesse – preferivano sapere in che modo la linguistica moderna fornisse un nuovo paradigma argomentativo riguardo gli affari internazionali, capaci di soppiantare il testo poststrutturalista. Questo li avrebbe davvero incantati… . Tutto ciò è deprimente.» (Keeping the Rabble in Line: Interviews With David Barsamian”. Questo passaggio è citato opportunamente da Alan Sokal e Jean Bricmon nel loro “Imposture intellettuali” (Garzanti 1999) nel loro tentativo di “mettere in guardia la sinistra da se stessa” (Nota: quasi 30 anni dopo, come stiamo vedendo, il Terzo Mondo è meno disperato e vede la possibilità di sottrarsi agli artigli dell’Occidente e alle sue “follie parigine” sempre più fuori controllo).
Non era necessario che finisse così male, ma così è stato, per questioni storiche: questo modo di concettualizzare fa comodo al Potere, perché la narrazione, la post-verità, è in mano a chi controlla i media, a chi gestisce il “soft power”. Il “politicamente corretto” fa parte di questi esiti: non è corretto dire “negro” (piano linguistico), ma ciò non evita che la stragrande maggioranza relativa di condannati a morte negli USA sia composta da “neri” (piano della realtà). Il grande sforzo ideologico di politici e mass media è convincere il pubblico a lasciar perdere lo stato dei fatti e a concentrarsi solo sul linguaggio. Le contraddizioni devono essere espunte dal linguaggio non dalla realtà. Si potrebbe pensare che quanto meno è un inizio. No! E’ già la fine, pura forma senza sostanza.
Allo stesso modo la sinistra si è progressivamente concentrata sugli aspetti più superficialmente “culturali” del conflitto, privilegiando le sottoculture e la difesa dei diritti (e dei bisogni) individuali e di gruppi specifici che non creano nessun reale fastidio, sostituendo con tutto ciò la visione materialista del mondo e la difesa dei diritti e dei bisogni sociali e alienandosi le simpatie popolari a beneficio della destra. Secondo Michael Hudson il tradimento dei propri patti costitutivi è il compito e la ragion d’essere attuale dei partiti di sinistra. Questa deriva era stata ampiamente prevista da Pier Paolo Pasolini. E’ significativo che negli eventi per il centenario della sua morte si sia glissato su questo aspetto del suo pensiero o lo si sia ridotto a fatto di costume o a polemica.
Purtroppo lo scollamento economico e culturale dalla realtà ha indotto equivoci anche in parecchi compagni che assieme ad abbagli sulla globalizzazione si sono messi a teorizzare sul “capitale immateriale”, sulla “infosfera” e sul “lavoro cognitivo” in modi che troppe volte riecheggiavano i vuoti slogan accattivanti dell’avversario.
Faccio notare che a volte persino gli studi statunitensi di geostrategia erano, anche se solo parzialmente, influenzati dall’approccio, diciamo così, “finanziarizzato-poststrutturalista” (si veda ad es. Ashley J. Tellis, Christopher Layne, “Measuring National Power in the Postindustrial Age”, Foreign affairs (Council on Foreign Relations), January 2001.
Una volta messi in circolo questi guasti culturali, agendo sulla de-concettualizzazione promossa dalla “pedagogia progressista” e sull’ideologizzazione indotta da infotainment e tecniche di marketing centrata sull’identificazione di desiderio individuale e diritto, contando sull’ignoranza imposta dalla censura e da un sistema d’informazione uniformato e normalizzato e infine garantite da un meccanismo di punizione-premiazione che obbliga al conformismo ideologico e politico, le élite dominanti hanno trascinato nel loro stato di disconnessione epistemologica e dissonanza cognitiva il corpo della società, pressoché nella sua interezza.
[9] Thomas Friedman, “The 9/11 Bubble”. The New York Times, 2 dicembre 2004.
[10] La decentralizzazione negli Usa delle industrie europee comporterà anche un’emigrazione di forza lavoro qualificata e uno avvilimento/smantellamento del ciclo istruzione-ricerca-sviluppo nel Vecchio Continente.
[11] Ovviamente occorre tener conto dei dati anagrafici. Ricordo che nel referendum del 1991 la media di chi chiese il mantenimento dell’Unione Sovietica fu di circa l’80% dei votanti. E faccio anche notare la cautela con la quale Putin ha affrontato il tema dell’aumento dell’età pensionabile (da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 per le donne).
[12] Lo sviluppo ineguale è indotto dal fatto che l’accumulazione si basa su differenziali di sviluppo (economici, finanziari, culturali, politici e geopolitici), sia all’interno delle singole società sia tra Paesi e blocchi di Paesi. Per il concetto di “differenziali di sviluppo” e il loro ruolo nei conflitti si può vedere i miei “La logica della crisi” in “Dopo il neoliberalismo”, a cura di C. Formenti, Meltemi 2021 e “Al cuore della Terra e ritorno”, 2013, in due volumi scaricabili gratuitamente qui e qui.
[13] L’espressione “pompare energia” è usata da Fernand Braudel nel suo “La dinamica del capitalismo”, Il Mulino, 1988, pag. 63: «Il capitalismo è, per natura, congiunturale, cioè si sviluppa in rapporto- alle pressioni esercitate dalle fluttuazioni economiche… .[P]enso che nella vita mercantile tendesse ad affermarsi solo un tipo di specializzazione: il commercio del denaro. Il suo successo però non è mai stato di lunga durata, come se l’edificio economico non fosse in grado di pompare energia fino a queste alte vette».
Il concetto di “accumulazione per espropriazione” è stato introdotto da David Harvey rielaborando idee di Rosa Luxemburg, Fernand Braudel e il noto capitolo del Capitale di Marx sulla cosiddetta “accumulazione originaria”, interpretata, come da altri esponenti della scuola del sistema-mondo, come un processo in realtà ricorrente. Si veda “The ‘new’ imperialism: accumulation by dispossession”. Socialist Register 40, 2004, pp. 63-87.
La fondamentale elaborazione gramsciana del concetto di “egemonia” si trova, come è noto, nei “Quaderni del carcere”.
[14] Senza contare che una nazione ricca come la Libia, la più sviluppata dell’Africa, è stata devastata deliberatamente dall’Occidente (compresa vergognosamente l’Italia di cui era la maggior alleata nel Mediterraneo).

https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/24927-piero-pagliani-slittamento-di-paradigma.html?auid=91921

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CRONACHE DEL MONDO MULTIPOLARE, di Pierluigi Fagan

CRONACHE DEL MONDO MULTIPOLARE. Negli ultimi giorni abbiamo avuto un ennesimo voto di condanna delle UN verso l’invasione russa, con l’auspicio di una pace completa, giusta e duratura ed i risultati di una ricerca di opinione condotta dall’European Council for Foreign Relation (ECFR) in Occidente più Russia, Cina, India, Turchia effettuata attraverso tre grandi istituti internazionali. Il tutto ad un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina.
In breve, il voto UN è esattamente identico a quello di un anno fa, nulla si è spostato. Quanto alla ricerca la sintesi più precisa è del Direttore dell’ECFR, Mark Leonard: “Il paradosso della guerra in Ucraina è che l’Occidente è tanto unito quanto ininfluente nel mondo”.
L’opinione di Leonard combacia con quella di altri due partner nell’indagine. Ivan Krastev (Center for Liberal Strategy) ha detto: “Lo studio rivela che mentre la maggior parte degli europei e degli americani vive nel mondo pre-Guerra Fredda, caratterizzato dal confronto tra democrazia e autoritarismo, molti al di fuori dell’Occidente vivono in un mondo postcoloniale incentrato sull’idea della sovranità nazionale”.
Timothy Garton Ash (Oxford, Hoover, Stanford) invece ha detto: “I risultati sono estremamente deludenti: l’’occidente transatlantico, incentrato su Europa e Stati Uniti, è oggi più unito, ma non è riuscito a convincere le restanti potenze principali come Cina, India e Turchia. La lezione per l’Europa e l’Occidente è chiara: abbiamo urgentemente bisogno di una nuova narrativa che risulti convincente per Paesi come l’India, la più grande democrazia del mondo”.
Forse a seguire l’idea espressa da Garton-Ash, Biden ha proposto Banga come direttore della Banca Mondiale, un indo-americano ex Mastercard ed ora Exor (Agnelli), membro associato all’élite statunitense ma anche a capo di molte istituzioni miste USA-India per lo sviluppo commerciale. Banca Mondiale fa parte dell’originario pacchetto Bretton Woods 1945 e dalla sua fondazione ad oggi, il direttore è stato sempre e solo americano. Il corteggiamento americano all’India per portarla nell’alveo occidentalista va avanti da tempo. Oltre a Banga, oggi abbiamo la capo economista del FMI ed addirittura il primo Ministro britannico di origine indiana, oltre molti CEO influenti. Curiosa anche l’espressione usata da TGA ovvero “… abbiamo urgentemente bisogno di una nuova narrativa” che denota una deriva di mentalità in corso in Occidente ormai da un po’ di tempo. TGA non crede che gli indiani siano in grado di ragionare razionalmente sul proprio interesse strategico, hanno solo bisogno noi gli si racconti la storiella giusta. La realtà non esiste, esistono solo interpretazioni, narrative appunto.
Forse è per questo che come invece fotografa Leonard, dopo un anno di guerra l’Occidente si è condensato ed estremizzato sotto la costante pressione narrativa USA-NATO mentre una buona parte del resto del mondo va da un’altra parte. Quale parte?
Il Resto del Mondo pensa che presente ed immediato futuro c’è e ci sarà un mondo condominiale, rifiuta l’idea dei due blocchi contrapposti. Astenuti, assenti, contrari alla risoluzione UN, nonostante i numeri dei voti a favore la risoluzione (141) che comprendono molti stati ininfluenti, sommano comunque più della maggioranza del mondo. Ma molti votanti a favore della risoluzione che contiene comunque auspici ecumenici, ad esempio molti soggetti centro-sudamericani (Argentina, Brasile, Messico), africani, asiatici, non per questo si possono annoverare schierati così convintamente con l’Occidente nel nuovo bipolarismo armato auspicato dagli americani. Questi voti servono solo a fare titoli sui giornali, narrative appunto.
Corretta la sintesi che viene fatta nel Rapporto ECFR: “Uno dei risultati più sorprendenti del sondaggio riguarda le idee divergenti sul futuro ordine mondiale. La maggior parte delle persone sia all’interno che all’esterno dell’Occidente crede che l’ordine liberale guidato dagli Stati Uniti stia morendo”. E questo lo diamo come condiviso. Poi però “In Europa e in America, l’opinione prevalente è che il bipolarismo stia tornando. Un numero significativo di persone si aspetta un mondo dominato da due blocchi guidati da Stati Uniti e Cina.”. Nel resto del Mondo, invece: “… al di fuori dell’Occidente, i cittadini credono che la frammentazione piuttosto che la polarizzazione segnerà il prossimo ordine internazionale. La maggior parte delle persone nei principali paesi non occidentali … prevede che l’Occidente sarà presto solo un polo globale tra i tanti. L’Occidente potrebbe essere ancora il partito più forte, ma non sarà egemonico”. Differenze tra chi è soggetto a bombardamento narrativo e chi no.
Emerge così la strategia realista americana per quanto qui da noi impacchettata da narrative idealistiche. La Russia dovrà indebolirsi in modo da non esser più un pericoloso competitor militare. Mai più un’altra Siria, ci rivediamo nell’Artico. In vista del condominio planetario, all’Europa va tolta ogni autonomia strategica in modo da permettere a gli USA di sedersi al tavolo delle varie partite in cui si giocheranno i nuovi equilibri mondiali in nome e per conto dell’Occidente Unito. Un anno fa, definimmo questa una “cattura egemonica”, mi pare si sia perfettamente compiuta, obiettivo perfettamente raggiunto. Anche per evitare che l’Europa dia in toto a parte sponda a questo nuovo gioco con tanti giocatori, va imposto il format “crociata democrazie vs autocrazie”. Gli strateghi degli Stati Uniti sanno benissimo che il gioco sarà plurale e vogliono riservarsi quanta più forza per giocarlo da posizione di primato, per quanto sempre meno esclusivo.
Quindi non solo il voto UN è esattamente uguale a quello di un anno fa, anche le mie considerazioni lo sono, un anno fa circa scrivevo le stesse, identiche cose a conflitto appena iniziato.
Una ultima considerazione andrebbe fatta sulla convenienza europea. In prospettiva multipolare, l’Europa avrebbe ben potuto appartenere al fronte non allineato, quello che gli stessi ricercatori ECFR chiamano “Stati oscillanti” (ad esempio Turchia, India etc.), ma questo non era semplicemente possibile. Europa non è, né può essere, un soggetto geopolitico semplicemente perché non è uno Stato, non avrà mai una sola logica di interesse nazionale e non si può fare una strategia a più logiche. Ma neanche nei sogni più sfrenati può auspicare di diventare uno Stato per quanto federale poiché non ha alcun grado di potenziale omogeneità per esserlo. Non ne ha neanche la volontà. Al di là delle polemiche teatrali tra europeisti e sovranisti i leader europei ed i relativi popoli sono tutti cripto-nazionalisti, nessuno pensa di sciogliere il proprio Stato in un comune con altri. Infatti “europeismo” è una nuvola di sfocati pseudo-concetti ciancicati a coprire una realtà di confederazione economica con rilievi giuridici, così è e mai potrà esser altro.
Semplicemente, popoli, intellettuali, élite degli Stati europei, arrivano ad una svolta storica nel Grande Gioco del mondo, impossibilitati a giocarlo. Gli strateghi americani questo lo sapevano e lo sanno, per questo hanno forzato la mano e con successo, perché non c’era alcuna realistica alternativa viabile. Alternative c’erano ovviamente nel mondo delle chiacchiere, non in quello del crudo realismo ed è proprio la mancanza di realismo a far sì che noi si viva e si possa vivere solo nel mondo delle chiacchiere.

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La Cina sembra ricalibrare il suo approccio alla guerra per procura tra NATO e Russia. Ecco cosa ho imparato analizzando la nuova guerra fredda per 365 giorni consecutivi, di Andrew Korybko

La Cina sembra ricalibrare il suo approccio alla guerra per procura tra NATO e Russia.

Andrew Korybko

Se le dinamiche strategico-militari dovessero spostarsi decisamente a favore della NATO a causa dell’invio di armi più moderne a Kiev a scapito delle esigenze minime di sicurezza nazionale dei suoi membri, come ha lasciato intendere Stoltenberg, allora la pace sarebbe esclusa e la sconfitta della Russia sarebbe possibile. In questo scenario, la Cina potrebbe armare Mosca per mantenere l’equilibrio di potere con la NATO, nonostante le massime sanzioni che l’Occidente potrebbe imporre nei suoi confronti per scongiurare gli scenari peggiori di escalation nucleare o di “balcanizzazione” della Russia.

Stato degli affari

Finora la Cina ha fatto del suo meglio per rimanere completamente estranea alla guerra per procura tra la NATO e la Russia che si sta combattendo in Ucraina, ma una rapida serie di sviluppi negli ultimi giorni suggerisce in modo convincente che sta ricalibrando il suo approccio al conflitto principale della Nuova Guerra Fredda. La presente analisi inizierà evidenziando i suddetti eventi prima di spiegare il contesto più ampio in cui si stanno verificando, che dovrebbe mostrare al lettore che qualcosa di grosso sta accadendo dietro le quinte.

Sviluppi diplomatici in questa direzione

Il direttore dell’Ufficio della Commissione Affari Esteri del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) Wang Yi ha incontrato la scorsa settimana il presidente russo Putin al Cremlino, dopo aver visitato diversi Paesi e partecipato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Il colloquio è stato significativo perché il leader russo raramente incontra qualcuno che non sia la sua controparte e non avrebbe fatto un’eccezione alla sua regola informale solo per discutere i dettagli dell’imminente visita del presidente Xi in primavera.

La Cina ha poi presentato il suo piano di pace in 12 punti per risolvere il conflitto ucraino nel giorno del primo anniversario dell’operazione speciale della Russia. Il piano è stato prevedibilmente elogiato dalla Russia, ma pochi si aspettavano che suscitasse anche l’interesse di Zelensky, che ha dichiarato di essere ansioso di incontrare il Presidente Xi per discuterne, nonostante Biden lo abbia snobbato. Lo stesso giorno, il Wall Street Journal (WSJ) ha riferito che Francia, Germania e Regno Unito stanno considerando un patto simile a quello della NATO con Kiev per incoraggiarla a riprendere i colloqui di pace.

Meno di 24 ore dopo, sabato, è stato annunciato che il Presidente bielorusso Lukashenko si recherà in Cina dal 28 febbraio al 2 marzo, mentre il Presidente francese Macron ha dichiarato che intende recarsi anch’egli in Cina all’inizio di aprile. Questo rapido susseguirsi di sviluppi dimostra che la Cina è seriamente intenzionata a negoziare almeno un cessate il fuoco nel conflitto ucraino, per cui il Presidente Xi probabilmente condividerà le sue opinioni in merito con le due controparti sopra citate durante le loro visite.

Speculazioni sulle spedizioni di armi cinesi alla Russia

Allo stesso tempo, tuttavia, i funzionari americani hanno iniziato ad avvertire che la Cina starebbe prendendo seriamente in considerazione l’invio di aiuti letali alla Russia. Il Segretario di Stato Blinken è stato il primo a fare questa affermazione dopo aver incontrato il Direttore Wang in Europa. Biden e il capo della CIA Burns hanno poi affermato la stessa cosa venerdì, in occasione dell’anniversario dell’operazione speciale russa, anche se il primo ha detto di non prevederlo, mentre il secondo non ha scartato questo scenario.

È difficile stabilire la veridicità di queste accuse, ma l’America è fermamente intenzionata a convincere tutti che si tratta di una possibilità reale, ed è per questo che sta considerando di condividere pubblicamente l’intelligence correlata, secondo quanto riportato dal WSJ in un rapporto pubblicato giovedì. Sebbene non sia chiaro se le informazioni che potrebbero essere divulgate siano puramente fatti, falsità artificialmente costruite o una combinazione delle due, un intrigante sviluppo di sabato getta un po’ di luce sul pensiero cinese.

Lo scandalo che circonda la dichiarazione congiunta dei ministri delle Finanze del G20

La Cina si è schierata con la Russia nel respingere il terzo e il quarto paragrafo della dichiarazione congiunta dei ministri delle Finanze del G20 dopo il loro incontro a Bangaluru. Queste due parti del documento – che facevano riferimento alle risoluzioni antirusse dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, alla divergenza di opinioni sul conflitto ucraino all’interno del gruppo e al sostegno dei principi della Carta delle Nazioni Unite – sono state tratte dalla Dichiarazione dei leader del G20 di Bali, precedentemente approvata a metà novembre.

La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Zakharova, ha dichiarato in un comunicato di condannare gli sforzi di Stati Uniti, Unione Europea e del resto del G7 nel tentativo di destabilizzare il lavoro del G20 includendo quei due paragrafi nella dichiarazione congiunta, motivo per cui è stato rilasciato solo un documento di sintesi e di risultato. La posizione di Mosca, che si oppone allo spirito dello stesso testo che aveva accettato solo un quarto d’anno fa, suggerisce che ha fatto quest’ultimo perché non poteva contare su nessun altro per sostenere il suo rifiuto in quel momento.

La “nuova distensione” e il suo inaspettato deragliamento

Per non apparire “isolata” e per non alimentare le speculazioni sul futuro della sua partnership strategica con l’Unione Europea, la Corea del Nord ha deciso di non fare nulla.

https://korybko.substack.com/p/china-compellingly-appears-to-be?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=105188555&isFreemail=true&utm_medium=email

Ecco cosa ho imparato analizzando la nuova guerra fredda per 365 giorni consecutivi

In tutta onestà, nessuno nella comunità degli Alt-Media o dei media mainstream ha pubblicato tante analisi quante ne ho pubblicate io nell’ultimo anno, che cumulativamente superano le 1.000, visto che ne pubblico in media circa tre al giorno e a volte ne pubblico anche cinque. Ho ricalibrato i miei modelli in base alle mutate circostanze per riflettere la realtà nel modo più accurato possibile, sapendo che è impossibile produrre un lavoro perfetto, ma aspirando comunque a fare del mio meglio.

Sono un analista politico americano con sede a Mosca che ha scritto sulla Nuova Guerra Fredda per gli ultimi 365 giorni consecutivi dall’inizio dell’operazione speciale della Russia in Ucraina, esattamente un anno fa. Ho iniziato condividendo i miei pensieri su OneWorld e ho continuato a farlo su Substack dopo che il primo è stato chiuso. Occasionalmente pubblico anche su CGTN, a cui ogni tanto concedo interviste radiofoniche, e su altri siti per cui lavoro come freelance. Due volte alla settimana, inoltre, realizzo brevi analisi video che condivido sui social media.

Prima di riassumere tutto ciò che ho imparato, vorrei condividere alcune delle mie cosiddette “analisi fondamentali” che sono rimaste rilevanti fino ad oggi. Esse forniranno ai lettori una visione dettagliata di alcuni dei punti che esporrò nel presente articolo. Tutti sono inoltre invitati a farmi domande su Twitter se sono interessati a saperne di più sui miei pensieri. Ecco i materiali di base che costituiscono la mia visione del mondo nella sua forma attuale:

* 25 febbraio: “Sono un orgoglioso americano con ascendenze ucraine: Ecco perché #IStandWithRussia”

* 15 marzo: “Perché gli Stati Uniti hanno dato priorità al contenimento della Russia rispetto alla Cina?”.

* 26 marzo: “La Russia sta combattendo una lotta esistenziale in difesa della sua indipendenza e sovranità”.

* 18 aprile: “Vladimir Putin: Mostro, pazzo o mente?”.

* 15 maggio: “Ciò che viene disonestamente spacciato come ‘propaganda russa’ è solo la visione del mondo multipolare”.

* 5 agosto: “Il Ministero degli Esteri russo ha spiegato in modo esauriente la transizione sistemica globale”.

* 1 settembre: “La fantasia politica di ‘decolonizzare la Russia’ è destinata a fallire a causa del patriottismo del suo popolo”.

* 5 ottobre: “La Russia vincerà strategicamente anche nello scenario di una situazione di stallo militare in Ucraina” * 29 ottobre: “La fantasia politica di ‘decolonizzare’ la Russia è destinata a fallire a causa del patriottismo del suo popolo”.

* 29 ottobre: “L’importanza di inquadrare adeguatamente la nuova guerra fredda”.

* 12 novembre: “20 critiche costruttive alle operazioni speciali della Russia”.

* 29 novembre: “L’evoluzione delle percezioni dei principali attori nel corso del conflitto ucraino”.

* 26 dicembre: “I cinque modi in cui il 2022 ha cambiato completamente la grande strategia russa”.

* 22 febbraio: “Putin ha ricordato a tutti che la Russia sta usando la forza per porre fine alla guerra iniziata dall’Occidente”.

In tutta onestà, nessuno nella comunità degli Alt-Media (AMC) o dei Mainstream Media (MSM) ha pubblicato tante analisi quante ne ho pubblicate io nell’ultimo anno, che cumulativamente superano le 1.000, visto che la mia media è di circa tre al giorno e a volte ne pubblico anche cinque. Ho ricalibrato i miei modelli in base alle mutate circostanze per riflettere la realtà nel modo più accurato possibile, sapendo che è impossibile produrre un lavoro perfetto, ma aspirando comunque a fare del mio meglio.

Per mettere a punto il mio lavoro ho applicato il processo in sette fasi che ho condiviso con i lettori quasi mezzo decennio fa, nella primavera del 2018, e che i lettori possono rivedere qui se non lo conoscono già. Spero che il mio esempio possa ispirare altri a seguire le mie orme, se lo desiderano, o almeno a saperne di più sul processo collaudato per produrre analisi di qualità. Senza ulteriori indugi, ecco cosa ho imparato analizzando la Nuova Guerra Fredda per 365 giorni consecutivi:

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* Gli Stati Uniti stanno facendo un gioco di potere senza precedenti per il dominio globale

Tutto ciò che è accaduto nell’ultimo anno dimostra che gli Stati Uniti non hanno intenzione di sedersi e lasciare che la transizione sistemica globale verso il multipolarismo proceda senza ostacoli. Stanno conducendo una guerra ibrida multidimensionale nel mondo con l’intento di ritardare indefinitamente questo processo, di cui la guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina è l’esempio più lampante. Dopo aver riaffermato con successo la propria egemonia unipolare sull’Europa, gli Stati Uniti vogliono ora espandere la propria “sfera di influenza” nel Sud del mondo.

* Né il blocco della Nuova Guerra Fredda di fatto è così unificato come potrebbe sembrare

La nuova guerra fredda può essere riassunta come la lotta tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il Sud globale guidato congiuntamente dai BRICS e dalla SCO sulla direzione della transizione sistemica globale, con i primi che vogliono mantenere l’unipolarismo e i secondi che vogliono accelerare il multipolarismo. Tuttavia, nessuno dei due è così unito come sembra, dato che i membri nominali del Miliardo d’Oro, Ungheria, Israele e Turchia, sfidano regolarmente gli Stati Uniti, mentre il Brasile, membro dei BRICS, è politicamente contro la Russia, come ho spiegato qui.

* La maggior parte di ciò che AMC e MSM producono è copione e fake news

I lettori possono essere perdonati per aver avuto l’impressione che ogni blocco de facto della Nuova Guerra Fredda sia unificato, dal momento che l’AMC e il MSM hanno falsamente spinto tali affermazioni rispettivamente sul Sud Globale e sul Miliardo d’Oro. Per promuovere la loro agenda si affidano a una combinazione di fake news e copium, che si riferisce a narrazioni artificialmente costruite per far passare sviluppi svantaggiosi come presumibilmente vantaggiosi. Entrambi sono generalmente inaffidabili e nessuno dovrebbe dare per scontate le loro affermazioni.

* La rapida ascesa dell’India alla ribalta mondiale è il principale evento del cigno nero

Tra tutti gli sviluppi inattesi emersi nell’ultimo anno, il principale evento del cigno nero è la rapida ascesa dell’India a Grande Potenza di rilevanza globale. L’India mira a costituire un terzo polo d’influenza in mezzo al duopolio sino-americano di superpotenze bi-multipolari, per accelerare la fase tripolare della transizione sistemica globale prima della sua forma finale di multipolarità complessa (“multiplexity”), motivo per cui Soros la sta prendendo di mira. I lettori più attenti possono approfondire l’argomento consultando i precedenti collegamenti ipertestuali.

* L’esito della nuova distensione sino-americana sarà decisivo

Dal vertice Xi-Biden di metà novembre, Cina e Stati Uniti stanno esplorando una serie di compromessi reciproci volti a stabilire una “nuova normalità” nelle loro relazioni allo scopo di preservare congiuntamente il suddetto ordine mondiale bimultipolare. La Nuova distensione è stata però inaspettatamente complicata dall’incidente del pallone aerostatico di inizio febbraio, che potrebbe portare Pechino ad abbandonare questi piani. L’esito di questo processo, che i precedenti collegamenti ipertestuali illustrano in dettaglio, sarà decisivo per la nuova guerra fredda.

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Spero che la visione che ho condiviso possa illuminare le persone a percepire il complesso processo che si sta svolgendo nel mondo in modi nuovi che ne migliorino la comprensione. Tutto ciò che sta accadendo è così caotico e imprevedibile, eppure ci sono alcune tendenze distinguibili, che ho identificato nel mio lavoro dell’anno scorso. Sono convinto che la transizione sistemica globale verso il multipolarismo sia irreversibile per le ragioni che ho spiegato, ma non mi aspetto nemmeno che si concluda presto.

https://korybko.substack.com/p/heres-what-i-learned-from-analyzing

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L’orribile finale in Ucraina, Di James Rickard

L’orribile finale in Ucraina

Nel numero di ieri ho affrontato l’argomento più grande e complesso del panorama geopolitico odierno: la Cina.

Ma oggi sto discutendo quello che è di gran lunga l’argomento più allarmante nel panorama geopolitico di oggi. Questa è la guerra in Ucraina ei pericoli di un’escalation.

Ho scritto ampiamente su due aspetti della guerra in Ucraina che non si sentono dai media tradizionali negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Il primo è che la Russia sta effettivamente vincendo la guerra.

I media statunitensi come il New York Times (un canale del Dipartimento di Stato) e il Washington Post (un canale della CIA) riferiscono all’infinito su come i piani russi siano falliti, su quanto siano incompetenti su come le Forze Armate dell’Ucraina (AFU ) hanno respinto i russi nel Donbass e come le armi della NATO come i carri armati Abrams degli Stati Uniti, i carri armati Challenger del Regno Unito e i carri armati Leopard tedeschi invertiranno presto la marea contro la Russia.

Questa è tutta una sciocchezza. Nulla di ciò è vero.

Controllo di realtà

Prima di tutto, le avanzate ucraine avvenute alla fine dell’estate erano contro posizioni poco difese che i russi hanno rapidamente concesso per conservare le forze. I russi erano disposti a cedere la terra pur di non perdere uomini e materiali di valore.

I russi si sono ritirati in posizioni più difendibili e da allora hanno malmenato le forze d’attacco ucraine. L’Ucraina ha sprecato quantità incredibilmente grandi di uomini e attrezzature in questi attacchi futili e sconsiderati.

In tutto, rapporti credibili indicano che le vittime dell’AFU si avvicinano a 500.000 e stanno aumentando a un ritmo insostenibile. D’altra parte, i resoconti di 100.000 morti russi sono quasi certamente esagerazioni selvagge diffuse dall’Ucraina. La BBC ha tentato di verificare questi numeri e ha potuto trovare solo circa 20.000 morti russi confermati sulla base di ricerche approfondite su avvisi funebri, registri pubblici, ecc.

Invia i carri armati – Alla fine!

E i carri armati che la NATO sta presumibilmente inviando? Bene, i carri armati non sono stati ancora consegnati e la maggior parte non lo sarà per mesi o più. I nostri carri armati M1 Abrams potrebbero non arrivare nemmeno per un anno o più.

In realtà dobbiamo costruire questi carri armati su misura in modo che non abbiano l’armatura speciale e altri sistemi avanzati che hanno i nostri M1. Il Pentagono non vuole che cadano nelle mani dei russi se vengono distrutti o catturati. Inoltre, stiamo comunque inviando solo 31 carri armati.

Quando i carri armati della NATO arriveranno, probabilmente saranno rapidamente distrutti dall’artiglieria russa, dalle armi anticarro e dai missili di precisione. Sono buoni carri armati, ma tutt’altro che invincibili. Per decenni, i russi hanno sviluppato potenti armi specificamente progettate per distruggere questi modelli di carri armati della NATO. I russi non sono particolarmente preoccupati per loro.

A parte questo, i carri armati fanno affidamento su un’efficace copertura aerea per la protezione, che manca all’Ucraina. Saranno semplici anatre sul campo di battaglia. Non ha davvero senso inviare carri armati in Ucraina a meno che non invii aerei da combattimento per dar loro copertura (ne parleremo più avanti).

La Russia vince sul campo di battaglia

Nel frattempo, le forze russe hanno quasi circondato la città di Bakhmut, che è un importante snodo dei trasporti e della logistica, con diverse strade e linee ferroviarie che la attraversano. Probabilmente ricadrà sui russi entro poche settimane.

Perdere Bakhmut sarà un duro colpo per l’Ucraina, nonostante le affermazioni dei media occidentali secondo cui in realtà non è molto importante. L’intera linea difensiva di 800 miglia dell’Ucraina probabilmente inizierebbe a sgretolarsi e non hanno posizioni pesantemente fortificate su cui ripiegare. Le truppe ucraine, pur essendo soldati coraggiosi e competenti, sono esauste e stanno finendo le scorte così com’è.

Inoltre, sembra probabile che la Russia stia preparando un’offensiva devastante con enormi quantità di uomini, carri armati, mezzi corazzati, artiglieria, elicotteri, droni e velivoli ad ala fissa.

Questo esercito russo non è lo stesso esercito che ha invaso l’Ucraina un anno fa. È molto meglio addestrato, guidato ed equipaggiato. Ha imparato dagli errori commessi durante la sua invasione iniziale lo scorso febbraio. L’Ucraina non dovrebbe aspettarsi che ripetano quegli errori.

Tutto questo significa che tifo per una vittoria russa in Ucraina? No, sto solo osservando i fatti sul campo e li consolido per eseguire un’analisi obiettiva.

Quell’analisi mi porta a credere che la Russia vincerà la guerra militarmente. L’assistenza militare occidentale può prolungare i combattimenti ma non influirà sul risultato finale. Rititerà solo l’inevitabile e farà uccidere molte più persone.

Il rischio molto più grande

Il secondo aspetto di questa guerra non riportato dai media, o almeno minimizzato, è il crescente rischio di una guerra nucleare.

Questo rischio aumenta ad ogni passo escalatorio da entrambe le parti. Gli Stati Uniti sono i leader nell’escalation spericolata fornendo artiglieria a lungo raggio, batterie antimissile Patriot, intelligence, sorveglianza e ora i carri armati. La Russia risponde ad ogni passo.

C’è una serie di passaggi prima che le due parti arrivino al livello nucleare, ma nessuno dei due mostra la volontà di fare un passo indietro.

A proposito, la Russia ha tutto il diritto legale di attaccare quei paesi della NATO che forniscono armi all’Ucraina. Fornendo armi a una parte in conflitto, hanno rinunciato alla loro neutralità e sono diventati, a tutti gli effetti, combattenti. La Russia non l’ha fatto perché non vuole coinvolgere direttamente la NATO nella lotta. Ma legalmente, può.

Dammi, dammi, dammi

Le richieste dell’Ucraina agli Stati Uniti, al Regno Unito e al resto della NATO di armi avanzate per combattere i russi non conoscono limiti. L’Occidente ha iniziato fornendo all’Ucraina contanti, intelligence e armi anticarro come il missile Javelin. Presto stavamo fornendo artiglieria a lungo raggio, droni e altro denaro.

Mentre l’avanzata russa continuava, Zelenskyj chiese e ottenne batterie antimissile Patriot in grado di distruggere i missili russi in arrivo. L’artiglieria statunitense era puntata contro la Crimea russa. Diversi droni hanno colpito all’interno della Russia basi aeree sensibili con armi nucleari nelle vicinanze.

La successiva richiesta di più armi ha coinvolto carri armati avanzati che sono in procinto di essere forniti da Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Polonia. Nell’ultima mossa, che non sorprende, l’Ucraina sta ora richiedendo aerei da combattimento F-16 dagli Stati Uniti, uno degli aerei più avanzati al mondo.

Ma la Russia ha il sistema di difesa aerea più sofisticato al mondo ed è molto capace di abbattere F-16 in gran numero.

Biden finora ha negato la richiesta di Zelensky, ma in precedenza aveva escluso l’invio di carri armati prima di cedere definitivamente. La stessa cosa probabilmente accadrà con gli aerei. Ma non invertiranno la situazione contro la Russia.

Una volta che questi sistemi avanzati dimostreranno di non poter essere d’aiuto, qual è la prossima richiesta dell’ucraino? La Russia può intensificarsi rapidamente e in modo letale quanto gli Stati Uniti

L’intero scenario è una lunga e lenta marcia verso la guerra nucleare o la completa disintegrazione dell’Ucraina.

Qualcuno è davvero preparato per questo?

Gli Stati Uniti non interromperanno le consegne di armi perché Joe Biden ha paura di perdere la faccia e i suoi più stretti consiglieri come Victoria Nuland hanno un odio irrazionale per la Russia e sono guerrafondai totali.

Ora, possiamo aggiungere un nuovo pericolo, derivante dalla disperazione. Questo è il fatto che gli stessi Stati Uniti potrebbero essere il più grande perdente della guerra.

Mentre l’Ucraina scompare sotto un massiccio assalto russo, gli Stati Uniti diventeranno sempre più disperati. La sua credibilità è in gioco dopo aver impegnato così tanto denaro, materiale e peso morale per la difesa dell’Ucraina.

L’amministrazione Biden ha sostanzialmente trasformato la guerra in Ucraina in una crisi esistenziale per gli Stati Uniti e la NATO, quando non avrebbe mai dovuto esserlo. L’Ucraina non è mai stata un interesse vitale degli Stati Uniti. Ma la guerra è esistenziale per la Russia e non si arrenderà.

Gli Stati Uniti alzeranno le mani e concederanno la vittoria alla Russia? La NATO potrebbe effettivamente disintegrarsi di fronte a un fallimento così spettacolare. Quindi, probabilmente raddoppieremo.

Forse un disperato Biden ordina truppe nell’Ucraina occidentale come cuscinetto contro una completa conquista russa del paese. Puoi immaginare cosa potrebbe andare storto. Quella situazione potrebbe rapidamente trasformarsi in una guerra diretta tra Stati Uniti e Russia piuttosto che nella guerra per procura che è ora.

Il popolo americano e gli investitori in particolare non sono preparati a tutto questo. Dovrebbero esserlo. Sta diventando sempre più probabile.

https://dailyreckoning.com/the-horrifying-endgame-in-ukraine/?fbclid=IwAR2K_7juy-XIszLfc6IrJlBrSiO-4yrklmrv-ssl8l77EpwXlVCe8LTVqmU

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L’Occidente va verso una escalation della guerra in Ucraina?_di Arta Moeini

L’Occidente va verso una escalation della guerra in Ucraina?

A distanza di un anno, non si intravede la fine del conflitto

di ARTA MOEINI

Arta Moeini è Direttore di Ricerca dello Institute for Peace and Diplomacy and direttore-fondatore di AGON. @artamoeini

 

È passato appena un giorno dalla richiesta di carri armati tedeschi Leopard-2 da parte dell’Ucraina, quando il governo di Kiev ha chiesto ai Paesi della NATO di dimostrare ancora una volta la loro solidarietà con la fornitura di caccia F-16 di produzione statunitense. Sebbene gli esperti militari dubitino che questi veicoli modificheranno in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, Kiev li pubblicizza come importanti simboli della determinazione politica dell’Occidente.

“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, scriveva Clausewitz nel 1832. A un anno dalla guerra russo-ucraina, qual è la politica dell’Ucraina? O l’America, la Germania e gli altri alleati della Nato? I ripetuti appelli dell’Ucraina per un maggiore sostegno e la risposta accomodante dell’Occidente sono un caso di sfruttamento della “pubblicità strategica”, di diplomazia performativa, di solidarietà dell’alleanza o di qualcosa di completamente diverso? Dopotutto, per quanto gli ucraini stiano combattendo contro le forze russe e subendo ingenti perdite per proteggere l’integrità territoriale dello Stato ucraino, oggi la Nato è apertamente impegnata in una guerra per procura che rischia di trasformarsi in un conflitto catastrofico tra Occidente e Russia.

Sebbene il realismo in politica estera possa aiutare a delineare, persino a prevedere, i contorni generali della guerra e a spiegare la politica di Mosca e Kiev, questa posizione realista mainstream, rappresentata da personaggi come John Mearsheimer, fornisce un resoconto incompleto del comportamento della maggior parte degli alleati occidentali, soprattutto degli Stati Uniti. Per comprendere il processo decisionale occidentale e le peculiari dinamiche interalleate della Nato, abbiamo bisogno di un realismo più radicale che prenda in seria considerazione le dimensioni non fisiche, psicologiche e “ontologiche” della sicurezza – comprendendo il bisogno di uno Stato o di un’organizzazione di superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate sul proprio senso di “sé”.

Tuttavia, i conti realisti “strutturali” – incentrati sull’anarchia sistemica, la sicurezza fisica, l’equilibrio di potere e le dimensioni politiche della strategia – possono aiutare a spiegare alcuni aspetti del processo decisionale strategico dell’Ucraina. In un recente studio per l’Institute for Peace & Diplomacy, di cui sono coautore, abbiamo analizzato le ragioni strutturali che guidano il calcolo strategico dell’Ucraina. Abbiamo suggerito che, in qualità di “equilibratore regionale”, l’Ucraina ha corso un rischio enorme sfidando le linee guida russe sul rifiuto esplicito da parte di Kiev delle offerte della Nato e sull’interruzione di qualsiasi integrazione militare con l’Occidente. Si trattava di una mossa massimalista che presupponeva il sostegno militare occidentale e rischiava di provocare attivamente Mosca a proprio svantaggio strategico.

Scegliendo la strategia più rischiosa, a somma zero, volta a ostacolare la sfera di influenza storica e geopolitica di una potenza regionale e civile vicina, l’Ucraina è stata forse imprudente, ma non per questo irrazionale. Come abbiamo scritto:

Praticamente tutte le alleanze di sicurezza americane oggi sono accordi asimmetrici tra gli Stati Uniti e gli equilibratori regionali – una classe di Stati regionali più piccoli e periferici che cercano di bilanciarsi con le medie potenze dominanti nelle rispettive regioni. In quanto grande potenza, l’America possiede una capacità intrinseca di invadere altri complessi di sicurezza regionale (RSC). In questo contesto, è ragionevole che gli equilibratori regionali cerchino di attirare e sfruttare il potere americano al servizio dei loro particolari interessi di sicurezza regionale“.

Fissare un obiettivo così elevato, tuttavia, significava di fatto che Kiev non avrebbe mai potuto avere successo senza un intervento attivo della NATO che spostasse l’equilibrio di potere a suo favore. In virtù della sua decisione, l’Ucraina, insieme ai suoi partner più stretti in Polonia e nei Paesi baltici, è diventata il classico “alleato di Troia” – Paesi più piccoli il cui desiderio di avere un peso regionale contro la media potenza esistente (la Russia) si basa sulla capacità di persuadere una grande potenza esterna e la sua rete militare globale (in questo caso, gli Stati Uniti e, per estensione, la Nato) a intervenire militarmente a loro favore. Come abbiamo notato nel nostro studio, “questo avviene con grandi rischi per l’equilibratore regionale e con grandi costi per la grande potenza esterna“. Infatti, in ultima analisi, l’accordo dipende dalla “minaccia dell’uso della forza e dell’intervento militare” da parte della grande potenza esterna, senza la quale l’equilibratore regionale fallirebbe.

L’ambizione strategica dell’Ucraina è quella di superare la Russia una volta per tutte e di staccarsi dal controllo storico di Mosca. Mettendo da parte le pretestuose e facili giustificazioni russe per l’invasione, che cercano di parodiare l’intervento militare della NATO in Jugoslavia, è lo schiacciamento di questa più grande ambizione ucraina a motivare il Cremlino. Questo spiega l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014, le sue aspirazioni agli accordi di Minsk e il ricorso finale all’azione militare.

Una volta iniziata l’invasione russa, l’obiettivo di Kiev di contrastare Mosca e mantenere intatti i propri territori è diventato impossibile senza un intervento militare occidentale. Il futuro dell’Ucraina come Stato sovrano dipendeva dalla sua capacità di organizzare con successo un’escalation. Dal punto di vista dell’Ucraina, quindi, il desiderio di ricevere forniture di armamenti sempre più sofisticati dalle nazioni occidentali più potenti non è motivato principalmente dal loro immediato impatto pratico e tattico – dopo tutto, la consegna e l’addestramento per questi sistemi saranno ancora lontani mesi. No, le richieste ucraine derivano in gran parte da ciò che l’introduzione di queste armi rappresenterebbe dal punto di vista politico e dalle conseguenze geostrategiche a lungo termine per la prossima fase della guerra.

È infatti nell’interesse di Kiev indirizzare la NATO verso un maggiore coinvolgimento nella guerra. L’Ucraina ha fatto ricorso a una combinazione di tattiche – tra cui la guerra d’informazione e lo sfruttamento del senso di colpa storico dell’Occidente – per istigare una cascata informativa e reputazionale tra i membri della NATO che assicurerebbe l’adesione alle richieste ucraine. Date le sue chiare debolezze a lungo termine in termini di truppe ben addestrate, artiglieria e munizioni, il governo Zelensky ha combattuto astutamente una guerra ibrida fin dall’inizio, sapendo che l’Ucraina non può sconfiggere la Russia senza che la Nato combatta al suo fianco. La domanda che ci si pone ora è se l’Occidente debba lasciarsi intrappolare in questa guerra, mettendo a rischio il destino del mondo intero.

Secondo la concezione materialista della sicurezza offerta dalla maggior parte dei realisti, per l’America e l’Europa occidentale non ci sono grandi vantaggi, e certamente non c’è un vero interesse nazionale o strategico, nel farsi trascinare in quella che è essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti. Da un punto di vista ontologico, tuttavia, un establishment di politica estera anglo-americano che si “identifica” fortemente con l’unipolarismo statunitense ha investito molto nel mantenimento dello status quo, impedendo la formazione di una nuova architettura di sicurezza collettiva in Europa, che sarebbe incentrata su Russia e Germania piuttosto che sugli Stati Uniti. Come ha osservato l’analista geopolitico George Friedman nel 2015: “Per gli Stati Uniti, la paura primordiale è… [l’accoppiamento di] tecnologia e capitale tedeschi, [con] risorse naturali russe [e] manodopera russa”.

Forse seguendo una logica simile, l’establishment statunitense ha lavorato per distruggere qualsiasi possibilità di formazione di un asse Berlino-Mosca allineandosi con il blocco Intermarium di Paesi dal Baltico al Mar Nero, opponendosi ripetutamente (e minacciando apertamente) i gasdotti Nord Stream e respingendo deliberatamente l’insistenza russa su un’Ucraina neutrale. In relazione all’Ucraina, l’obiettivo iniziale di un’alleanza ideologica occidentale orientata verso “valori condivisi”, come la Nato è diventata con la dissoluzione dell’URSS, era quello di trasformare il Paese in un albatros occidentale per la Russia[1], di impantanare Mosca in un vasto pantano per indebolire la sua potenza e la sua influenza regionale, e persino di incoraggiare un cambio di regime al Cremlino.

Se si accetta la logica di questa strategia, allora sembra plausibile un limitato sostegno militare occidentale agli obiettivi di guerra ucraini – diretto a creare una guerra d’attrito congelata. Tuttavia, anche in questo scenario, l’espansione della portata e del grado di tale sostegno fino a includere sistemi d’arma avanzati, come gli F-16 o i missili a lungo raggio, non è solo imprudente, ma sempre più suicida in qualsiasi calcolo costi-benefici. Un sostegno così esplicitamente ostile potrebbe far degenerare la guerra per procura in una guerra diretta e convenzionale – uno scenario da terza guerra mondiale, che il Presidente Biden insiste di voler evitare. Inoltre, nell’improbabile caso che tale assistenza militare espansiva riesca a cacciare le forze russe dal Donbass, per non parlare della Crimea (dove la Russia possiede una grande base navale), aumenterebbe drammaticamente la probabilità di un evento nucleare, dato che Mosca considera la protezione della sua roccaforte strategica nel Mar Nero come un imperativo esistenziale.

Perché, allora, l’Occidente continua ad assecondare l’Ucraina e a cedere alle pressioni reputazionali e al braccio di ferro dei nuovi membri della Nato nel corridoio Intermarium? Le cause sono molteplici e vanno dagli interessi privati e istituzionali dell’establishment internazionalista liberale alla diffusione di una visione del mondo manichea all’interno dell’alleanza. Il più importante, tuttavia, è il fenomeno della compulsione di gruppo verso l’escalation aggravata dall’insicurezza ontologica, che si verifica quando eventi storici mondiali improvvisi e tragici come l’invasione russa sconvolgono il senso unitario di ordine e continuità nel mondo.

Esacerbata dall’allargamento e dalla trasformazione della NATO in un colosso istituzionale di circa 30 nazioni con percezioni diverse della minaccia e della sicurezza, questa coazione ha plasmato e rafforzato una “identità” unificata tra le nazioni occidentali – una narrazione del tipo “noi contro loro”. In una condizione di insicurezza ontologica, le correnti socio-psicologiche ed emotive permettono di creare cascate di reputazione, di imporre il conformismo in nome dell’unità dell’Occidente e di rafforzare la “polarizzazione di gruppo” intorno alla scelta più rischiosa, che garantisce l’adozione di politiche più estreme ed escalatorie. E, cosa fondamentale, gli alleati-cavallo di Troia usano comprensibilmente queste dinamiche per promuovere i loro reali interessi nazionali e di sicurezza all’interno dell’alleanza, che danno loro un ruolo molto più importante nel processo decisionale di quanto il loro potere relativo potrebbe far pensare.

Un’analisi più attenta del discorso interalleanza all’interno della Nato rivela anche una psicologia attivista che si cela sotto il segnale politico e ideologico. Dato che l’ideologia – in particolare l’umanitarismo e il democratismo liberali – gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell’alleanza, il suo processo decisionale è predisposto alla fallacia dell’action bias: l’idea che fare qualcosa sia sempre meglio che non fare nulla. Questa sorta di mentalità reciproca, che si rafforza a vicenda, tra i membri dell’alleanza che professano un'”etica della cura” attivista, interpreta di riflesso la responsabilità come azione, mentre rimprovera l’esitazione e la moderazione come disumane. La dinamica ricorda l’osservazione di Nietzsche ne La nascita della tragedia, secondo cui “l’azione richiede di essere avvolti da un velo di illusione“; in questo caso, il “velo di illusione” è fornito dal processo ontologico di formazione dell’identità e dalle narrazioni condivise di “responsabilità collettiva” e “unità occidentale”.

 

Nel contesto del processo decisionale interalleanza, un’etica di questo tipo non può fare a meno di assecondare le richieste che le vengono rivolte, soprattutto perché i pari più rumorosi possono mascherare questa costrizione con il presunto imperativo morale di promuovere l’unità occidentale, difendere i “nostri valori” e combattere il male reazionario. La ricerca di sicurezza ontologica di una grande potenza globale ed egemonica come gli Stati Uniti mette in primo piano la necessità di un’ideologia che le offra un senso di coerenza, che faccia apparire le sue azioni come significative e giustificate. Lo stesso fenomeno vale per la Nato, che – pur non essendo uno Stato ma un’istituzione – è oggi praticamente un alter-ego degli Stati Uniti.

Ora, questo potrebbe sembrare indicare una tensione intrinseca tra il desiderio di un racconto di ancoraggio su “chi siamo” e la più tradizionale sicurezza materiale che si basa sull’autoconservazione fisica. Ma se questo è vero in alcuni casi, soprattutto in relazione a grandi potenze ideologiche come gli Stati Uniti, la cui auto-narrazione idealistica dell’eccezionalismo americano spesso si scontra con i suoi interessi reali, la ricerca di sicurezza ontologica e fisica è più congruente negli Stati più piccoli e di medio livello, per i quali sia gli interessi che le identità sono più radicati, localizzati e reali.

Nell’Anglosfera, forse a causa dell’eredità dell’imperialismo e della realtà storica dell’unipolarismo, esiste attualmente uno scollamento tra gli autentici interessi nazionali, definiti in modo ristretto e concreto, e il comportamento del suo establishment di politica estera liberale e internazionalista, che privilegia la ricerca di una sicurezza ontologica con ramificazioni globali. Questo fatto deve essere rettificato. Fortunatamente, ci sono i primi segni che il Presidente Biden e almeno alcuni dei suoi consiglieri, tra cui il Capo degli Stati Maggiori riuniti degli Stati Uniti, Gen. Mark Milley, hanno percepito questa terribile realtà e le sue ricadute potenzialmente pericolose, e stanno iniziando a parlare della necessità di negoziati e di una soluzione diplomatica in Ucraina.

All’inizio del secondo anno di guerra, molti a Washington si sono finalmente resi conto che l’esito probabile di questa tragedia è lo stallo: “Continueremo a cercare di convincere [la leadership ucraina] che non possiamo fare tutto e niente per sempre“, ha detto questa settimana un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Per quanto si parli di agenzia ucraina, questa dipende interamente dall’impegno della NATO a continuare a sostenere lo sforzo bellico di Kiev a tempo indeterminato. Un desiderio così massimalista di “vittoria completa” non solo è altamente distruttivo e fa pensare a un’altra guerra infinita, ma è anche imprudente; il suo stesso successo potrebbe scatenare un olocausto nucleare.

Mosca ha già pagato a caro prezzo le sue trasgressioni in Ucraina. Prolungare la guerra a questo punto, in una ricerca ideologica di vittoria totale, è discutibile sia dal punto di vista strategico che morale. Per molti internazionalisti liberali in Occidente, la richiesta di una “pace giusta” che sia sufficientemente punitiva per la Russia suggerisce poco più di un desiderio poco velato di imporre a Mosca una pace cartaginese. L’Occidente ha effettivamente ferito la Russia; ora deve decidere se lasciare che questa ferita si incancrenisca e faccia esplodere il mondo intero. Infatti, a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via d’uscita che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica, questo è il precipizio verso cui ci stiamo dirigendo.

https://unherd.com/2023/02/is-the-west-escalating-the-ukraine-war/

[1] Riferimento all’albatros appeso al collo dello Ancient Mariner , in segno di maledizione, nelle celebre poesia di Samuel Taylor Coleridge, The Rime of the Ancient Mariner, 1798. https://it.wikipedia.org/wiki/La_ballata_del_vecchio_marinaio

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Romain Bessonnet: Vladimir Putin cerca “sostegno russo per la guerra”, de L’editore , Romain Bessonnet

COLLOQUIO. Dopo la visita a sorpresa di Joe Biden in Ucraina, martedì il presidente Vladimir Putin ha parlato in un discorso fluviale davanti all’Assemblea federale russa. L’occasione per sfidare ancora l’Occidente, che accusa di aver orchestrato questa guerra. Decrittazione con Romain Bessonnet, autore di Poutine da solo (a cura di Jean-Cyrille Godefroy).

Fronte popolare: perché Putin parla adesso? È una risposta alla visita di sostegno a sorpresa di Biden in Ucraina?

Romain Bessonnet: Questo discorso era stato pianificato dallo scorso dicembre. Si tratta infatti di un discorso annuale (discorso all’assemblea federale, la riunione delle due camere del parlamento russo) previsto dalla Costituzione russa dal 1993. È la copia del discorso sullo stato americano dell’Unione. Di solito si svolge a giugno. Ma quella del 2022 era stata rinviata a causa della guerra in Ucraina.

Quindi, se gli eventi sono collegati, è prima di tutto una trovata pubblicitaria americana orchestrare un’immagine di Biden come leader del “mondo libero” contro il dittatore Putin. Biden che vuole inscenarsi come un Kennedy 2.0 che schernisce la dittatura russa come aveva fatto Kennedy durante il suo discorso a Berlino nel 1961. Da qui la sceneggiatura piuttosto oscena del suo discorso a Varsavia, a poche ore di distanza dal discorso di Putin. Biden conclude il suo discorso con una miriade di bambini di tutti i colori che portano bandiere ucraine e americane.

FP: Lei che è specialista dei discorsi di Putin, cosa dobbiamo ricordare in particolare di questo? Rottura o continuità?

RB: Questo discorso è una continuazione dei precedenti per la politica generale: denuncia delle élite occidentali che vogliono imporre il loro stile di vita alla Russia e al mondo intero, “sovranità” dell’economia russa rimpatriando nel Paese attività economiche strategiche. Inoltre, è una soddisfazione che è stata data al governo per la sua gestione dell’economia di fronte alla guerra economica lanciata dall’Occidente. L’economia infatti non è crollata, come aveva promesso Bruno Lemaire, il rublo non si è “svitato” come avevano promesso Macron e Biden.

Tuttavia, l’opzione “conservatrice” in termini di riduzione dell’inflazione e controllo della finanza pubblica (molto criticata, in particolare dalla sinistra e dai comunisti che invocano una politica monetaria espansiva sostenuta dalla pianificazione strategica) viene mantenuta.

La guerra in Ucraina ha, ovviamente, portato nuovi temi, in particolare un’enfasi sul sostegno sociale ai veterani e ai feriti di guerra. Nel campo dell’istruzione, Putin ha annunciato il ritorno al sistema sovietico di istruzione tecnica e tecnologica, rompendo con la Convenzione di Bologna che aveva allineato l’istruzione superiore russa agli standard europei.

Infine, l’evento su cui molti avevano ipotizzato era l’annuncio di un’offensiva su vasta scala. Questo annuncio non ha avuto luogo. Inoltre, non è stato fatto alcun annuncio sulle operazioni militari. Ciò è in linea con la gestione delle questioni militari da parte di Putin: i militari sono responsabili della tattica e della gestione tecnica, mentre il Presidente è colui che imposta la strategia e la gestione politica della guerra.

Inoltre, si fanno così pochi annunci in merito, è per lasciare il massimo margine di manovra nella gestione politica della guerra. In effetti, Putin vuole evitare di legarsi le mani con un’opzione massimalista che è militarmente irraggiungibile, o con un’opzione minimalista che sarebbe al di sotto di ciò che potrebbe raggiungere il potere russo.

Tuttavia, l’accento è stato posto sul fatto che si farà di tutto per dare all’esercito i mezzi per vincere la guerra, ad esempio l’assegnazione di alloggi gratuiti ai lavoratori dell’industria della difesa o il potenziamento di questi.

FP: Putin ha annunciato che sospenderà la partecipazione della Russia al trattato New Start, che limita gli arsenali nucleari. Bluff o grave minaccia?

RB: Putin ha annunciato la sospensione del trattato New Start, sulle armi strategiche offensive che consentiva ispezioni russe dei siti di lancio per i vettori strategici americani e viceversa. Ciò indicava un nuovo livello nella sfida della Russia all’Occidente. Inoltre, questo accordo non fu più applicato dagli americani, che rifiutarono di accettare le richieste russe di ispezione.

Inoltre, gli obiettivi di riduzione degli armamenti sono diventati piuttosto obsoleti, dato che la Russia ha un significativo vantaggio tecnologico nelle armi ipersoniche.

Infine, questo annuncio è una pietra nel giardino della Francia, perché Putin ha menzionato la necessità di includere la Francia e il Regno Unito nell’accordo, perché il nostro arsenale è diventato, dal nostro ritorno all’organizzazione militare integrata della NATO e il nostro allineamento sistematico con Washington sul dossier ucraino, un arsenale americano. Questo fa eco al discorso di Macron prima della conferenza di Monaco che chiedeva la presenza degli europei nei futuri negoziati sul disarmo russo-americano.

FP: Come viene generalmente percepito questo discorso in Russia e nel mondo? Cambia qualcosa dal punto di vista geopolitico?

RB: In Russia, è stato generalmente percepito come un appello alla mobilitazione. È anche una tappa nell’installazione del discorso ufficiale sul tema: “La Russia non è in guerra contro l’Ucraina, ma contro la NATO. Questo discorso consente alla popolazione russa di sostenere la guerra.

Questo discorso è tanto più credibile quando i leader europei chiedono la rieducazione dei russi (come il primo ministro estone Kaja Kallas alla conferenza di Monaco), o quando il Comitato del Congresso degli Stati Uniti per la cooperazione e la sicurezza in Europa organizza un’audizione sulla tema della “decolonizzazione (leggi: smembramento) della Russia”, tema sentito anche al Parlamento europeo, durante un convegno promosso da un dignitario (la signora Anna Fotyga) del partito al governo in Polonia.

Inoltre, l’applicazione, senza eccezioni, da parte dei paesi occidentali di un maccartismo di Stato, compreso il divieto di trasmissione di tutti i media russi (indipendentemente dalla loro posizione politica altrove), la sospensione dei collegamenti aerei e ferroviari con la Russia, l’interruzione del rilascio dei visti e la graduale chiusura delle frontiere terrestri sono le manifestazioni più visibili che dimostrano che è in atto una nuova guerra fredda. In questa guerra si invertono i ruoli tra il “mondo libero” e le “dittature”: Russia e Bielorussia tengono aperte le frontiere, mantengono la cooperazione culturale, sportiva e universitaria, non censurano gli artisti occidentali ed è l’Occidente che chiude, che punisce i giornalisti (Vladimir Soloviev, Marina Kim, Margarita Simonyan…), cantanti (Grigory Leps, Aleksandr Gazmanov, …) o registi (Nikita Mikhalkov), forse per paura che il “brutto modello russo” si diffonda in Europa. Oppure, l’idea sarebbe piuttosto che il popolo russo sia incorreggibile e che gli debba essere inflitta una punizione collettiva.

Così facendo, l’Occidente è sulla strada sbagliata: la Cina esporta massicciamente in Russia, l’India investe nel Paese. Reuters la scorsa estate ha mostrato che gli acquisti di carbone russo da parte dell’India sono stati effettuati in tre valute: Yuan cinese, Euro (ancora un po’) e Dirham degli Emirati Arabi Uniti. Le sanzioni e le altre confische di beni russi hanno inviato un chiaro segnale al resto del mondo: le vostre proprietà non sono più al sicuro con noi. Qualsiasi risorsa che detieni in Occidente è un mezzo di pressione politica sul tuo paese. Con il pretesto di punire i russi, abbiamo accelerato la dedollarizzazione del mondo e l’Euro è spacciato.

La “diplomazia del bastone” mostra i suoi limiti: nessun Paese in Asia (esclusi Giappone, Taiwan e Corea del Sud), America Latina, Africa o Medio Oriente applica sanzioni alla Russia. Le pressioni su Arabia Saudita, Turchia, Cile, Colombia o Israele (finora membri attivi del campo occidentale) per attuare le sanzioni si concludono con un licenziamento, particolarmente umiliante per l’establishment americano.

La Francia, rompendo con la sua tradizione di diplomazia a tutto campo, è bloccata nel suo tete-à-tète transatlantico e non è più udibile in questa parte del mondo. Anche sotto la Quarta Repubblica, la Francia aveva resistito al maccartismo e non aveva bandito il Partito Comunista sul suo territorio e non aveva perseguito una politica di lotta contro l’influenza comunista nella società, nonostante le insistenti richieste di Washington. Nel 2022, è stato con entusiasmo che i media Russia Today e Sputnik sono stati chiusi e che tutti i principali partiti francesi si sono uniti alla logica della guerra e delle sanzioni. Mentre durante la Guerra del Golfo del 1990, ancora una volta un attacco di un paese (l’Iraq) al suo vicino (Kuwait), si levarono forti voci per chiedere l’allentamento e la negoziazione (Jean-Pierre Chevènement, Georges Marchais, Generale Pierre-Marie Gallois). Non questa volta. Anche il Rassemblement national qui non ha preso la posizione controcorrente che aveva avuto il suo fondatore durante la Guerra del Golfo (si ricordi che Jean-Marie Le Pen aveva mantenuto il suo appoggio a Saddam Hussein, al quale aveva fatto visita nel bel mezzo della guerra) .

Lo smarrimento dello spirito critico dell’intera élite francese è tale che la rivelazione di un atto di terrorismo di Stato da parte degli Stati Uniti contro un’infrastruttura europea (Nord Stream) non fa discutere, che la rivelazione di Angela Merkel e François Hollande che i negoziati di Minsk erano stati una finzione e non avevano avuto altro motivo se non quello di guadagnare tempo per rafforzare le capacità militari dell’Ucraina. E “infarinare i russi” non è oggetto di alcuna critica, mentre negoziare in malafede è un reato di diritto internazionale e ogni fiducia tra russi ed europei è stata minata.

In questo quadro, il discorso di Vladimir Putin prende solo atto di questo confronto blocco contro blocco e della marcia in avanti verso una profonda divisione del mondo.

https://frontpopulaire.fr/international/contents/romain-bessonnet-vladimir-poutine-cherche-une-adhesion-des-russes-a-la-guer_tco_19962263

“Questa guerra sarà decisa dalle risorse”

 

“Questa guerra sarà decisa dalle risorse”

Aggiornamento: 15.02.2023 ore 13:31

Secondo l’analista militare Markus Reisner, la fornitura di armi all’Ucraina non è sufficiente per ribaltare la situazione a favore di Kiev. Per questo sarebbe necessario fornire molte più risorse. Ma finora gli Stati Uniti non hanno osato farlo.

tagesschau.de: Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg l’ha definita una gara logistica: Si tratta ora di rifornire l’Ucraina di munizioni e carburante prima che Mosca prenda l’iniziativa sul campo di battaglia. Ha ragione?

Markus Reisner: Sono d’accordo al 100%. Questa guerra sarà decisa dalle risorse. Per molto tempo non si è voluto ammetterlo. Credevano di poterla vincere in pochi mesi. E ora vediamo che molte delle ipotesi fatte dall’Occidente non si sono avverate, o non si sono avverate affatto. Per esempio, abbiamo il decimo pacchetto di sanzioni contro i russi, eppure la loro economia non è crollata. Abbiamo anche fornito armi in quantità incredibili. Ciononostante, l’esercito russo sta passando all’offensiva. Chiaro segnale di espansione delle capacità

tagesschau.de: il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha annunciato nuovi ordini di munizioni. Questo è ancora utile dal vostro punto di vista?

Reisner: Sì, certo. Si tratta di una decisione molto importante, perché l’industria della difesa ha sottolineato per mesi che ha bisogno di impegni e ordini precisi per poter ricominciare la produzione. Per alcuni tipi di munizioni i tempi di consegna erano di dodici mesi, mentre ora sono di 28 mesi. Ecco perché l’annuncio del Ministro della Difesa tedesco è un chiaro segnale all’industria della difesa affinché agisca ed espanda le proprie capacità. Naturalmente, all’industria devono essere date assicurazioni di accettazione, cioè garanzie finanziarie. La produzione può quindi procedere in tempi relativamente brevi, naturalmente in quantità gestibili all’inizio. Ma si può presumere che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi l’Ucraina si farà sentire.

 

tagesschau.de: Qual è la situazione attuale delle scorte di munizioni dei Paesi partner dell’Ucraina?

Reisner: La produzione bellica sembra ancora impensabile in Europa. Ma il problema è che tutte le scorte sono state svuotate. Recentemente è stato detto che l’esercito britannico potrebbe sostenere una guerra nella forma in cui viene condotta in Ucraina solo per cinque giorni. Alcune forze hanno in magazzino poco più di 10.000-15.000 proiettili d’artiglieria. Questo è quanto è stato sparato dalla parte ucraina nei giorni di punta dell’estate del 2022. A quel tempo, la parte russa ha sparato fino a 80.000 proiettili al giorno. L’Europa non è più preparata a questo. Dopo la fine della Guerra Fredda, tutto è stato riorganizzato. Le scorte sono state progettate per le operazioni di controinsurrezione in Afghanistan o in Iraq, ad esempio. Sono pochi i Paesi che mantengono ancora una produzione di armi veramente potente. La produzione di carri armati propri era riservata solo a pochi Paesi: La Germania è riuscita a creare un successo di esportazione con il “Leopard”, che è il motivo per cui è così centrale nella discussione. Gli inglesi hanno il loro Challenger, i francesi il Leclerc, gli italiani l’Ariete, e lo stesso vale per la produzione di munizioni, che molti Paesi hanno esternalizzato ad altri Paesi. Questo è anche il motivo per cui ora si fa tanta pressione sulla Svizzera affinché rilasci tipi speciali di munizioni da consegnare. Perché la Svizzera possiede proprio alcune delle cose di cui c’è urgente bisogno e che molti altri Paesi non sono più in grado di produrre autonomamente.

Il colonnello Markus Reisner delle forze armate austriache ha conseguito un dottorato in storia e diritto. L’analista militare è a capo del dipartimento di ricerca e sviluppo dell’Accademia militare Teresiana

https://www.tagesschau.de/ausland/europa/munition-ukraine-101.html

“Questa guerra si deciderà sulle risorse”

Stato: 15.02.2023 13:31 Uhr

Le forniture di armi all’Ucraina non sono sufficienti per ribaltare la situazione a favore di Kiev, sostiene l’analista militare Markus Reisner. Per questo sarebbe necessario fornire molte più risorse. Ma finora gli Stati Uniti non hanno osato farlo.

tagesschau.de: Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg l’ha definita una gara logistica: Si tratta ora di rifornire l’Ucraina di munizioni e carburante prima che Mosca prenda l’iniziativa sul campo di battaglia. Ha ragione?

Markus Reisner: Lo condivido al 100%. Questa guerra si decide sulla base delle risorse. Per molto tempo non si è voluto ammetterlo. Credevano di poterla vincere in pochi mesi. E ora stiamo scoprendo che molte delle ipotesi fatte dall’Occidente non si sono avverate, o non si sono avverate affatto.

Wir haben zum Beispiel das zehnte Sanktionspaket gegen die Russen, trotzdem ist deren Wirtschaft nicht in die Knie gegangen. Wir haben auch Waffen in unglaublichen Mengen geliefert. Trotzdem geht die russische Armee jetzt in die Offensive.

Markus Reisner
Zur Person

Il colonnello Markus Reisner delle Forze armate austriache ha conseguito un dottorato in storia e diritto. L’analista militare è a capo del dipartimento di ricerca e sviluppo dell’Accademia militare di Theresian.

“Un chiaro segnale per espandere le capacità”

tagesschau.de: Il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha annunciato nuovi ordini di munizioni. È ancora utile dal suo punto di vista?

Reisner: Sì, certo. Si tratta di una decisione molto importante, perché l’industria degli armamenti ha sottolineato per mesi che ha bisogno di impegni e ordini precisi per poter ricominciare a produrre. Perché i loro impianti di produzione sono ancora impostati per le operazioni in tempo di pace.

Alcuni tipi di munizioni avevano tempi di consegna di dodici mesi, ora sono di 28 mesi. Ecco perché l’annuncio del Ministro della Difesa tedesco è un chiaro segnale all’industria della difesa affinché agisca ed espanda le proprie capacità. Naturalmente, all’industria devono essere date assicurazioni di accettazione, cioè garanzie finanziarie.

La produzione potrà quindi procedere in tempi relativamente brevi, naturalmente in quantità inizialmente gestibili. Ma si può presumere che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi la situazione si farà sentire sul versante ucraino.

NATO-Generalsekretär Stoltenberg | REUTERS

15.02.2023

Riunione della NATO sulla guerra in UcrainaTroppe poche munizioni, troppi pochi carri armati

Il Ministro della Difesa Pistorius è scettico sul fatto che i carri armati “Leopard” promessi saranno presto disponibili.

“La produzione bellica in Europa è ancora impensabile”.

tagesschau.de: Qual è la situazione attuale delle scorte di munizioni dei Paesi partner dell’Ucraina?

Reisner: La produzione bellica sembra ancora impensabile in Europa. Ma il problema è che tutti i magazzini sono stati svuotati. Recentemente è stato detto che l’esercito britannico potrebbe sostenere una guerra come quella in corso in Ucraina solo per cinque giorni. Alcune forze hanno in magazzino poco più di 10.000-15.000 proiettili d’artiglieria. Questo è quanto è stato sparato dalla parte ucraina nei giorni di punta dell’estate del 2022. La parte russa ha sparato fino a 80.000 proiettili al giorno in quel periodo.

L’Europa non è più preparata a questo. Dopo la fine della Guerra Fredda, tutto è stato riorganizzato. Le forniture sono state progettate per le operazioni di controinsurrezione in Afghanistan o in Iraq, ad esempio.

Es gibt wenige Länder, die noch wirklich potente Rüstungsproduktionen aufrechterhalten. Die Produktion eines eigenen Kampfpanzers war nurmehr wenigen Staaten vorbehalten: Deutschland gelang mit dem “Leopard” ein Exportschlager, darum steht er auch so im Zentrum der Diskussion. Die Briten haben ihren “Challenger”, die Franzosen den “Leclerc”, die Italiener den “Ariete”.

Das Gleiche gilt für die Munitionsproduktion: Viele Staaten haben sie an andere Staaten ausgelagert. Das ist etwa auch der Grund, warum jetzt so ein großer Druck auf die Schweiz ausgeübt wird, spezielle Munitionsarten für die Lieferung freizugeben. Denn die Schweiz hat teilweise genau das, was gerade so dringend gebraucht wird und viele andere Staaten selber nicht mehr herstellen können.

Paletten mit Munition, Waffen und anderen Ausrüstungsgegenständen für die Ukraine werden von Mitgliedern der U.S. Air Force in ein Flugzeug geladen (Archivbild). | AP

14.02.2023

Vor NATO-TreffenGeht dem Westen die Munition aus?

Munitionsfabriken kommen dem Verbrauch der Ukraine kaum hinterher: Die Lieferzeit liegt bei 28 Monaten.

“Hauptwaffe der Russen ist die Artillerie”

tagesschau.de: Wie sehen die Munitionsbestände der Ukraine im Vergleich zu jenen Russlands aus?

Reisner: Die Ukrainer haben in den ersten Monaten einen sehr erfolgreichen Manöverkrieg geführt. Die Russen haben ihnen dann im Sommer einen Stellungskrieg aufgezwungen, einen Abnutzungskrieg. Daraufhin ist die Ukraine wieder in die Offensive gegangen – aber jetzt haben die Russen die Lage wieder in einen Abnutzungskrieg gewandelt. Und der wird vor allem durch Ressourcen entschieden, also Munition. Im Militär gibt es den Begriff des Munitionshungers. Und dieser Munitionshunger, der tritt jetzt massiv in der Ukraine ein.

Die Hauptwaffe der Russen in der Abnutzungskriegsführung ist die Artillerie. Nach Schätzungen hatten die Russen vor Kriegsbeginn circa 17 Millionen Artilleriegranaten. Von denen haben sie bis jetzt unglaubliche sieben Millionen verbraucht. Ihre Eigenproduktion wird auf circa 3,4 Millionen Granaten pro Jahr geschätzt. Das heißt, für dieses Jahr haben sie noch immer circa knapp 13 bis 14 Millionen Granaten verfügbar, also ausreichend, um diesen Weg weiterzuführen.

Die Munitionsbestände der Ukrainer waren zu Beginn des Krieges sehr viel geringer. Es wird oft übersehen, dass es zudem schon in der Vergangenheit auch immer wieder Angriffe der Russen auf Munitionslager der Ukrainer gab. Die eigenen Munitionsmengen waren also schnell verbraucht, sodass der Westen dann versucht hat zu liefern.

Das konnte er auch relativ rasch. Doch die westlichen Bestände leeren sich nun auch, sodass hier jetzt die Produktion gesteigert werden muss. Wo man das schon gut erkennen kann, ist etwa bei den Entscheidungen der USA. Die USA hatten bislang eine überschaubare Jahresproduktionsrate. Doch etwa die Produktion der 155-Millimeter-Munition soll nun von 15.000 auf 90.000 Stück monatlich erhöht werden, damit so massiv geliefert werden kann.

Ein US-Soldat überprüft zwei Paletten mit Granaten. | AP

31.01.2023

Munition für die UkraineUSA müssen Munitionsdepots plündern

Um der Ukraine die zugesagte Munition zu liefern, greifen die USA auf Depots in Israel und Südkorea zurück.

“Russland hat sich jahrelang vorbereitet”

tagesschau.de: Kommt Russland denn mit der Produktion von Waffen und Munition hinterher?

Reisner: Russland hat sich jahrelang vorbereitet. Ich nenne ein Beispiel. Nach den ersten Wochen Krieg hatten die Russen circa 530 Marschflugkörper eingesetzt, soviel wie die Amerikaner am Beginn 2003 insgesamt im Irak eingesetzt hatten. Mittlerweile haben die Russen in wiederholten Angriffswellen über 5.200 Stück verschossen. Dazu kommt der Einsatz von mit Sprengstoff beladenen Drohnen.

Zwar leeren sich die Lager der Russen, aber da sie zum Beispiel mit den Iranern ins Geschäft gekommen sind und eine Anschlussversorgung aufgebaut haben, können sie immer wieder neue Angriffe auf die strategische und die kritische Infrastruktur fliegen. Wir haben jetzt vor einigen Tagen die 13. Angriffswelle gehabt, und die Ukraine tut sich sehr schwer, sich mit der verfügbaren Flugabwehr zur Wehr zu setzen.

In Kiew (Ukraine) suchen Menschen in einer U-Bahn-Station Schutz, nachdem Luftalarm ausgelöst wurde | AFP

13.02.2023

Krieg gegen die UkraineKein Tag ohne Luftalarm

Seit fast einem Jahr bestimmen Luftalarme den Alltag der Ukrainer im Krieg.

Die russischen Attacken sind zudem sehr viel günstiger als die ukrainische Verteidigung. Eine deutsche Iris-T-Flugabwehrrakete hat im Sommer 400.000 Euro gekostet, jetzt circa 750.000 Euro. Eine iranische Drohne kostet 20.000 US-Dollar. Es ist ein enormes finanzielles Missverhältnis.

Darum ist es so wichtig, dass man sich jetzt durchringt, die Entscheidungen zu Produktions- und Liefersteigerungen zu treffen, auch, wenn sie kostspielig sind, weil der Ukraine sonst einfach die Zeit davon läuft. Denn genau darauf setzt Russland.

NATO-Generalsekretär Jens Stoltenberg spricht auf einer Pressekonferenz. | AFP

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Flugzeuge für die UkraineStoltenberg schließt Jetlieferung nicht aus

Die Unterstützung der Ukraine wandle sich wie der Krieg selbst, sagte der NATO-Generalsekretär.

“A Bachmut, la tattica dei russi sembra funzionare”.

tagesschau.de: L’offensiva russa di cui ha parlato all’inizio è già iniziata?

Reisner: L’offensiva è iniziata. Ma i russi lo stanno facendo in modo molto intelligente. Stanno esercitando un’enorme pressione in molte aree del fronte. Da un lato con un massiccio fuoco di artiglieria, dall’altro con attacchi di compagnie e battaglioni.

Finora gli ucraini hanno resistito con successo. Ma a Bachmut, per esempio, ora ci sono grossi problemi; le tattiche dei russi sembrano funzionare anche qui.

Naturalmente, i russi sono cauti nell’annunciare questa offensiva in grande stile, per non creare pressioni per il successo. Vogliono invece creare fatti. Oppure, se l’offensiva non avrà successo per il momento, continueranno semplicemente la loro guerra di logoramento.

Orthodoxe Christen vor der Allerheiligenkirche in Bachmut. | AFP

05.02.2023

Guerra di aggressione russaL’Ucraina teme una nuova offensiva prima della fine di febbraio

L’Ucraina ritiene possibile che la Russia lanci un nuovo grande attacco questo mese.

La simmetria delle forze come obiettivo

tagesschau.de: Un maggior numero di consegne di armi può portare a un reale spostamento dei rapporti di forza nella guerra?

Reisner: Il problema è che entrambe le parti sono ancora convinte di poter raggiungere i propri obiettivi. Per i russi, l’obiettivo è la distruzione dell’Ucraina. Per l’Ucraina, invece, è la sopravvivenza come Stato e la riconquista dei territori occupati, compresa la Crimea.

Le armi fornite dall’Occidente sono sufficienti solo per consentire agli ucraini di difendersi, ma non per permettere agli stessi ucraini di passare all’offensiva su vasta scala. Il motivo è, ovviamente, la preoccupazione per l’armamento nucleare dei russi.

Ciò significa che ogni volta che una situazione simmetrica diventa asimmetrica, cioè quando la Russia ha il sopravvento, gli americani cercano di sostenere l’Ucraina in modo tale che torni ad essere una situazione simmetrica.

Ma cercano di non reagire oltre, perché il timore è che la Russia si senta messa alle strette e reagisca in modo irrazionale. In altre parole, stanno cercando di logorare i russi anche sulla linea temporale.

Per dirla metaforicamente: I russi stanno strangolando gli ucraini sperando che finiscano l’aria. E gli americani stanno strangolando i russi sperando che finiscano l’aria prima degli ucraini. La tragedia è che la guerra non può essere conclusa rapidamente in questo modo.

Ci sono solo due opzioni per l’Occidente se vuole porre fine alla guerra in tempi brevi. La prima opzione è il sostegno massiccio all’Ucraina. Con tutte le risorse necessarie per vincere una guerra di logoramento di questo tipo – e ben oltre quanto è stato fatto finora.

Tuttavia, se l’Occidente ritiene che questo massiccio sostegno all’Ucraina sia troppo rischioso o non è in grado di farlo per mancanza di risorse o per disunione, si deve tentare di consentire alla Russia un’uscita di scena dall’attuale corso della guerra. Tuttavia, ciò equivarrebbe a una sconfitta per l’Ucraina – e per l’Occidente.

L’intervista è stata condotta da Katja Keppner e Christoph Schwanitz, tagesschau.de

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Da raccoglitore di terre a becchino: Una valutazione politica della guerra di Putin all’Ucraina, di John Tefft, Bruce McClintock, Khrystyna Holynska

A un anno dalla guerra. Qualche bilancio_Giuseppe Germinario

La Rand Corporation è una voce importante per comprendere l’orientamento dei centri decisori più influenti all’interno della amministrazione statunitense. Oltre a questo articolo, Italia e il mondo vi offre qui sotto il testo tradotto dell’ultimo rapporto strategico della fondazione, molto utile a comprendere le strategie e gli adeguamenti tattici dei centri egemonici. Buona lettura, Giuseppe Germinario

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di John TefftBruce McClintockKhrystyna Holynska

13 febbraio 2023

A un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, può essere difficile prevedere con precisione l’impatto duraturo della guerra sull’ordine internazionale, ma ci sono passi che gli Stati Uniti e l’Occidente possono compiere per contribuire a scolpirne l’esito: mantenere l’impegno nei confronti dell’Ucraina, trovare un equilibrio tra il sostegno e l’escalation e iniziare a considerare il miglior futuro a lungo termine della Russia e il modo in cui l’Occidente può sostenerla.

Nel 2015 Arkady Ostrovsky, redattore per la Russia dell’Economist, ha pubblicato L’invenzione della Russia, dalla libertà di Gorbaciov alla guerra di Putin. Nel capitolo conclusivo di questo brillante resoconto del corso della Russia moderna, Ostrovsky inserisce Vladimir Putin nella tradizione storica russa di usare “l’aggressione e l’espansione territoriale come forma di difesa contro la modernizzazione”:

“Putin si è presentato come un raccoglitore di terre russe e un restauratore dell’impero russo. In realtà, è probabile che passi alla storia come il suo becchino”.

La guerra in Ucraina potrebbe aver insegnato a Putin e al popolo russo che l’uso della forza militare, soprattutto di un esercito con gravi carenze, ha i suoi limiti di fronte a un popolo che combatte una battaglia ispirata per salvare il proprio Paese. La guerra e l’ideologia imperiale non sostituiscono il duro lavoro di modernizzazione della nazione. Ogni Paese, in particolare la Russia, deve concentrarsi sull’adozione di una riforma economica sensata, sulla diversificazione della propria economia e sulla preparazione dei propri giovani a competere nel nuovo mondo competitivo e altamente tecnico in cui viviamo.

Raddoppiando il suo sforzo per conquistare l’Ucraina, Putin sta ipotecando il futuro della Russia per soddisfare i suoi sogni imperialistici.

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Putin ha invece opposto resistenza alle necessarie riforme economiche e ha costretto all’esilio un gran numero dei migliori e più brillanti giovani russi, in fuga dal servizio di leva e da una Russia in cui pochi credono. Raddoppiando il suo sforzo per conquistare l’Ucraina, Putin sta ipotecando il futuro della Russia per soddisfare i suoi sogni imperialistici.

L’Ucraina sta vivendo un brutale inverno di guerra. Avendo fallito sul campo di battaglia, il Cremlino ha lanciato missili e droni contro i sistemi elettrici, idrici e di riscaldamento dell’Ucraina. La Russia sta cercando di mettere alle strette l’Ucraina distruggendo le infrastrutture civili per rendere la vita così miserabile durante l’inverno che la popolazione ucraina spingerà il suo governo a chiedere la pace.

Il prezzo è stato orribile. Decine di migliaia di soldati russi uccisi. Migliaia di soldati ucraini e di civili ucraini innocenti uccisi. Danni alle abitazioni e alle infrastrutture ucraine per centinaia di miliardi di dollari. L’UNHCR ha riferito che, al 31 gennaio 2023, 8 dei 44 milioni di ucraini sono stati registrati come rifugiati in Europa, e molti altri sono sfollati internamente o in luoghi diversi dall’Europa.

Tuttavia, a detta di quasi tutti, il popolo ucraino non è pronto a cedere. La rabbia nei confronti della Russia cresce a ogni nuovo attacco missilistico. Così come la determinazione del popolo ucraino a spodestare la Russia. L’Ucraina ha sorpreso il mondo con la sua determinazione, il suo ingegno e i suoi successi sul campo di battaglia, recuperando, secondo le stime, il 55% del territorio ucraino che la Russia ha conquistato quando ha lanciato la sua invasione.

La politica di Putin nei confronti dell’Ucraina è stata in gran parte una storia di fallimenti negli ultimi due decenni. Ha sostenuto direttamente Viktor Yanukovych nelle elezioni presidenziali ucraine del 2004 e si è prontamente congratulato con lui per una “vittoria schiacciante”. Il popolo ucraino, indignato per la sostanziale corruzione elettorale, ha chiesto un nuovo voto che Yanukovych ha perso a favore di Viktor Yushchenko. Sulla scia della “rivoluzione della dignità” ucraina del 2013-2014, Putin ha invaso e annesso la Crimea e ha lanciato una campagna di sovversione nel Donbas. Oltre 14.000 persone sono morte e 1,4 milioni sono state sfollate, ma Putin è stato ostacolato nel suo tentativo di annettere la regione del Donbas e di ottenere il controllo del governo ucraino attraverso l’accordo di Minsk del febbraio 2015 , in stile “cavallo di Troia “. Infine, ha lanciato la massiccia e catastrofica invasione dell’Ucraina su tre fronti il 24 febbraio 2022.

Invadendo l’Ucraina, Putin ha violato il diritto internazionale e ha di fatto strappato numerosi impegni russi di lunga data per mantenere la sicurezza ucraina ed europea. Come nel 2014, Putin ha nuovamente violato una delle regole fondamentali che ha in gran parte preservato la pace europea per oltre 70 anni: l’uso dell’aggressione militare per modificare con la forza i confini di Stati europei sovrani. La campagna revanscista di Putin ha anche causato gravi danni collaterali nelle forniture internazionali di energia e cibo.

Questa carneficina è stata causata dall’ossessione di Vladimir Putin di diventare uno degli storici “raccoglitori di terre” della Russia, come scrisse Ostrovsky anni fa e come Putin stesso ha lasciato intendere in recenti dichiarazioni. Vuole passare alla storia con gli zar Alessio III, Pietro il Grande, Caterina la Grande e Stalin come governanti che hanno ampliato i confini e l’influenza politica della madre Russia. Invece di adottare misure per costruire uno Stato moderno e integrato nell’economia globale, Putin sta cercando di riportare indietro le lancette dell’orologio a un’epoca mitica e passata del potere russo. È molto più probabile che l’eredità di Putin sia quella di un governante il cui errore strategico di invadere l’Ucraina ridurrà la Russia, la sua influenza e il suo stile di vita per i decenni a venire.

Oggi la Russia si trova a un punto di svolta. È un paria in gran parte del mondo, mentre l’Occidente rimane fermo nel suo sostegno militare ed economico all’Ucraina. Abbandonando pubblicamente la finzione di una “operazione militare speciale” e arruolando a forza soldati nell’esercito, Putin ha simbolicamente attraversato il suo “Rubicone”. In precedenza aveva cercato di minimizzare il costo del conflitto in Ucraina e di proteggerlo dalla vista del popolo russo attraverso un’attenta campagna di propaganda. La Russia ha nascosto la verità delle sue perdite sul campo di battaglia. Ora, con mariti e figli arruolati nelle forze armate e molti uccisi sul campo di battaglia, il Cremlino non può più fingere che questa guerra non abbia ripercussioni sulla vita della Russia stessa. Gruppi di madri di soldati stanno iniziando a parlare , proprio come fecero durante le guerre cecene degli anni Novanta. Il Cremlino sta cercando di paragonare la guerra alla difesa della patria russa durante la Seconda Guerra Mondiale. Il problema è che la Russia ha iniziato questa guerra, e la maggior parte dei russi informati lo sa.

La Russia è sulla strada della rovina economica. Finora è sopravvissuta alla guerra grazie a un’attenta gestione macroeconomica e alle continue entrate derivanti dalle vendite di petrolio e gas. Le sanzioni occidentali hanno avuto un certo effetto, in particolare tagliando alla Russia le importazioni critiche di alta tecnologia dall’Occidente. La Russia ha perso la sua reputazione di fornitore affidabile di energia. Circa l’80% delle importazioni di gas dalla Russia sono già state sostituite. Molti dei migliori e più brillanti russi, soprattutto quelli che lavorano nei settori dell’alta tecnologia, sono fuggiti dalla Russia per evitare il servizio di leva o per cercare migliori opportunità all’estero. Prima della guerra Putin ha dato priorità alla stabilità, rafforzando il suo controllo e rinunciando alle riforme raccomandate dai suoi consiglieri economici. Ironicamente, l’invasione dell’Ucraina sta aumentando proprio l’instabilità che Putin aveva cercato di evitare a tutti i costi.

Il dissenso politico sta iniziando a crescere. Il regime di Putin ha stretto la morsa sugli oppositori liberali della guerra, come Ilya Yashin, ma ha permesso agli oppositori di destra di parlare apertamente e criticamente del fallimento militare della Russia, a patto che non critichino Putin stesso. Senza dubbio i suoi sostenitori e consiglieri della linea dura condividono la sua frustrazione per il fallimento strategico della Russia in questa guerra. Ma molteplici fonti indicano che le élite russe stanno iniziando a contemplare la possibilità che la Russia perda la guerra in Ucraina.

Putin continua a nutrire profondi rancori nei confronti dell’Occidente su una serie di questioni e il sostegno occidentale all’Ucraina ha probabilmente solo aggravato la sua rabbia.

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Non sappiamo come finirà questa guerra. Mentre il conflitto si impantanava nel fango di un rigido inverno ucraino, la posta in gioco è aumentata da tutte le parti. Ora, l’Ucraina e il mondo stanno monitorando da vicino quelli che molti ritengono essere i segnali di un’imminente grande offensiva. Alcuni ritengono che sia già in corso, in quanto i russi si affrettano a precedere l’arrivo di nuovi equipaggiamenti militari occidentali, mentre gli ucraini sono più propensi ad aspettarsi che, conoscendo l’amore della Russia per il simbolismo, una massiccia campagna inizierà probabilmente in prossimità del primo anniversario dell’invasione del 2022. Putin sembra determinato a continuare, anche se non ha mai affrontato una sfida come questa durante il suo governo della Russia. Continua a nutrire profondi rancori nei confronti dell’Occidente su una serie di questioni, e il sostegno occidentale all’Ucraina ha probabilmente solo aggravato la sua rabbia. Sarà facile per lui vedersi di nuovo come una vittima del potere occidentale.

Con Putin sempre più alle strette, che sta perdendo terreno in Ucraina e che deve affrontare crescenti interrogativi in patria, ci sono molte domande senza risposte ovvie. Per quanto tempo l’élite russa continuerà a sostenere una guerra senza una fine in vista e con il deterioramento della posizione economica e sociale della Russia in patria? Quando i leader russi si renderanno conto che il futuro della Russia dipende dalla modernizzazione della nazione e non da sogni imperiali che non saranno mai realizzati?

Questa guerra solleva una domanda importante: “Che cosa significa per gli Stati Uniti?”.

In primo luogo, sarà importante che l’America perseveri nel sostenere l’Ucraina a lungo termine. Putin spera di superare la determinazione dell’Occidente, anche se non può piegare la volontà dell’Ucraina. Questo conflitto che sta cambiando il secolo è una prova di volontà. Da quando Zelenskyy ha detto che aveva bisogno di munizioni, non di un passaggio, il presidente ucraino continua a sottolineare che il sostegno degli Stati Uniti è fondamentale, per aiutare non solo a difendere il Paese, ma anche per “arrivare a un punto di svolta” sul campo di battaglia. Le forze armate russe vengono ripetutamente sconfitte, ma imparano e si adattano. La determinazione ucraina e il sostegno occidentale sono due fattori cruciali per la capacità dell’Ucraina di resistere ai brutali attacchi della Russia. Nel corso dell’ultimo anno, i media russi hanno ripetutamente predetto una prossima e imminente fine degli aiuti militari occidentali. In realtà, i limiti di ciò che l’Occidente e gli Stati Uniti sono pronti a fornire all’Ucraina si stanno estendendo e includono sistemi militari che in precedenza non erano nemmeno presi in considerazione, come quelli che potrebbero aiutare l’Ucraina a riprendere la Crimea. Ogni decisione di questo tipo viene festeggiata in Ucraina e fornisce un’ulteriore spinta al morale ucraino.

I leader statunitensi di entrambi gli schieramenti dovranno continuare a ribadire che questo aiuto senza precedenti all’Ucraina non è “un progetto altruistico”. La capacità dell’Ucraina di contrastare l’aggressione russa avrà probabilmente un impatto duraturo non solo sulla Russia, ma anche su altri Stati revisionisti. La stabilità dell’Europa è un interesse vitale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che può essere raggiunto al meglio fermando Putin.

In secondo luogo, un risultato complessivamente positivo è più probabile se gli Stati Uniti troveranno un modo per continuare a trovare un equilibrio tra il sostegno all’Ucraina e l’impegno a evitare un’escalation diretta con la Russia. Pur impegnandosi a sostenere l’Ucraina “fino a quando sarà necessario”, l’amministrazione Biden dovrà anche evitare di chiudere la porta ai negoziati con la Russia, anche se aggiunge nuove e più sofisticate armi all’arsenale ucraino. L’amministrazione vuole chiaramente mantenere la stabilità nucleare nella guerra in corso e ha segnalato la disponibilità a nuovi negoziati sul controllo degli armamenti nucleari. Putin potrebbe voler fare un accordo con il presidente americano. L’autocrate russo desidera da tempo negoziare un accordo del tipo “Yalta II”, in cui le superpotenze impongano una soluzione agli ucraini. Potrebbe voler costringere gli Stati Uniti a riconoscere la posizione della Russia nella sua periferia. Gli Stati Uniti cercheranno probabilmente di evitare di essere trascinati nella trappola dei negoziati per il cessate il fuoco, rassicurando al contempo la Russia che non intende minacciare la Russia o Putin personalmente.

Putin ha di fatto chiuso le prospettive di un serio negoziato. Il 30 settembre ha chiesto all’Ucraina di cessare immediatamente il fuoco e di tornare al tavolo dei negoziati. Allo stesso tempo, ha escluso un prerequisito fondamentale per il successo dei colloqui, rimanendo determinato a costringere l’Ucraina ad accettare i suoi sequestri territoriali e a capitolare. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che Kyiv deve tenere conto delle “nuove realtà” delle annessioni russe. Non sorprende che il Presidente Zelenskyy abbia escluso i negoziati su questa base. Il popolo ucraino non lo accetterebbe mai dopo tanti sacrifici per difendere il proprio Paese. I leader occidentali hanno concordato che non avrebbero imposto un accordo all’Ucraina.

Una pace sostenibile richiederebbe un attento bilanciamento per continuare a sostenere l’Ucraina e dissuadere Putin da un’ulteriore escalation. Tale escalation avrà probabilmente un costo enorme per la Russia e per lo stesso Putin. Tuttavia, questa guerra di scelta si è trasformata in una minaccia esistenziale per la sopravvivenza del regime. Le decisioni dell’élite russa potrebbero gradualmente invertire la tendenza. Ma anche se Putin alla fine si dimettesse tra qualche anno, il putinismo e i suoi sostenitori potrebbero rimanere potenti ancora per qualche tempo. Il processo di abbandono dei sogni imperialistici di Putin a favore di una strategia di modernizzazione economica si protrarrà probabilmente anche nell’era post-Putin in Russia.

In terzo luogo, gli Stati Uniti dovrebbero lavorare a stretto contatto con gli alleati europei per considerare il miglior futuro russo possibile per il prossimo secolo e il modo in cui l’Occidente può sostenere, ma non decidere, tale futuro. Gli estremi che l’Occidente deve contemplare sono il collasso della Russia e una Russia che si isola a tal punto da seguire il corso della Germania del primo dopoguerra, risorgendoanni dopo per creare un’altra crisi internazionale. Anche se la guerra dovesse concludersi con una vittoria militare dell’Ucraina o attraverso un negoziato, ricostruire l’ordine di sicurezza europeo (e internazionale) che Putin ha cercato di distruggere sarà un compito monumentale. La strada per ripristinare le relazioni occidentali con la Russia sarà lunga e difficile. La fiducia è andata in frantumi.

La strada per ripristinare le relazioni occidentali con la Russia sarà lunga e difficile. La fiducia è andata in frantumi.

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Prima della guerra, Putin ha di fatto distrutto il sistema di sicurezza europeo post-1991, chiedendo alla NATO di sottoscrivere un accordo legale in cui si impegnava a non allargare la NATO in futuro e a ritirare le forze dal territorio dei nuovi membri della NATO. L’Occidente ha respinto in larga misura questa posizione per ragioni valide e ovvie. È difficile capire come Putin sarà disposto a tornare allo status quo ante. Abbiamo uno scontro di fondo su quali saranno le regole internazionali, ed è difficile vedere un’area di compromesso. Ancora più difficile potrebbe essere ristabilire una certa stabilità nel dispiegamento delle forze convenzionali dopo la guerra.

La guerra di Putin in Ucraina sta già ridefinendo l’intero ordine internazionale. Come in un caleidoscopio giocattolo, la scena sembra cambiare ogni giorno. Xi Jinping rimane il miglior amico internazionale di Putin, ma la guerra non è andata come Pechino voleva. La NATO ha trovato una nuova ragion d’essere. I vicini della Russia in Asia centrale e nel Caucaso hanno visto la Russia indebolita e stanno pensando a un nuovo futuro. L’India potrebbe emergere come nazione più forte e influente dopo la guerra. Gli Stati mediorientali e africani potrebbero riconsiderare le loro relazioni con una Russia indebolita. Nessuno può prevedere con precisione l’impatto duraturo della guerra sull’ordine internazionale. Ma se gli Stati Uniti agiscono ora, possono essere in grado di influenzare la forma del terreno geopolitico del dopoguerra.


John Tefft è un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia e membro aggiunto dello staff della RAND Corporation, organizzazione non profit e apartitica. Bruce McClintock è un ex addetto alla difesa degli Stati Uniti in Russia, responsabile della RAND Space Enterprise Initiative e ricercatore politico senior presso la RAND. Khrystyna Holynska è una studentessa di dottorato nel corso di ricerca, analisi e progettazione presso la Pardee RAND Graduate School e assistente di ricerca politica presso RAND.

I commenti offrono ai ricercatori RAND una piattaforma per trasmettere intuizioni basate sulla loro esperienza professionale e spesso su ricerche e analisi sottoposte a revisione paritaria.

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    Bruce McClintock

    Responsabile dell’iniziativa sulle imprese spaziali; ricercatore politico senior

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    Khrystyna Holynska

    Assistente ricercatore politico, RAND, e studente di dottorato, Scuola di specializzazione Pardee RAND

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L’Occidente non ha più tempo, di Irina Alksnis

Importante. Se questo report dell’agenzia Bloomberg rilanciato da Ria Novosti risponde al vero, gli Stati Uniti stanno preparando il quadro giuridico e politico per l’intervento in Ucraina della “coalition of the willing” proposta dal gen. (a riposo) David Petraeus nel settembre 2022. Sintesi: l’Ucraina non è più in grado di fornire le truppe sufficienti a resistere alla pressione russa. Dunque, intervento nella guerra ucraina di truppe di paesi membri della NATO, sotto la propria bandiera ma senza coinvolgere l’Alleanza atlantica, in seguito a richiesta di aiuto militare del governo ucraino. Truppe polacche, rumene, baltiche, etc., che entrano in conflitto con la Russia in Ucraina. Viene messo a rischio il territorio europeo, ma non il territorio statunitense. Ovviamente, questa decisione obbliga i russi a decidere se rispondere soltanto sul territorio ucraino, oppure anche sul territorio dei paesi che mostreranno la propria bandiera sul campo di battaglia ucraino. Dal pdv militare, è vantaggioso per la Russia colpire anche fuori dal territorio ucraino, per esempio i centri logistici polacchi, rumeni, etc. Dal pdv politico, è estremamente pericoloso farlo, perché sarebbe altrettanto difficile limitare il conflitto a interventi chirurgici: a colpi russi sul territorio polacco seguirebbero, incoraggiate dagli USA, ritorsioni polacche sul territorio russo, e così via in una serie di azioni e reazioni che potrebbero dar luogo a una escalation difficilissima da controllare. Roberto Buffagni

 

“L’Occidente non ha più tempo”. La NATO prepara l’Europa per l’invio in guerra

di Irina Alksnis*

L’agenzia Bloomberg, citando proprie fonti, ha riferito che uno di questi giorni i ministri della Difesa dei Paesi membri della NATO firmeranno un documento segreto che illustrerà le azioni dell’alleanza in condizioni di coinvolgimento simultaneo in un conflitto ad alta intensità ai sensi del quinto articolo della statuto dell’organizzazione, e anche – cosa più interessante – in eventi non coperti da questo paragrafo.

L’articolo 5 della Carta della NATO è il famosissimo paragrafo sulla difesa collettiva, quando l’aggressione contro uno dei membri dell’alleanza è considerata come un attacco all’organizzazione nel suo insieme, che comporta una risposta congiunta all’aggressione.

Il fatto che in realtà questo articolo sia una lettera fragile e che la NATO, se lo si desidera, avrà sempre l’opportunità di eludere l’intervento in qualsiasi conflitto, è stato detto a lungo e da molti. Ma l’insider di Bloomberg indica che Bruxelles sta attivamente gettando le basi proprio per un tale sviluppo di eventi – quando alcuni membri dell’alleanza saranno coinvolti in alcune ostilità in relazione alle quali la NATO non utilizzerà il quinto articolo.

Non ci vuole molto per cercare la causa di questi movimenti, si trova in superficie. Tanto più è chiaro che l’Occidente è caduto in una trappola lì: ha puntato tutto su una vittoria militare sulla Russia , ma chiaramente non torna. Nelle ultime settimane, le risorse mondiali più influenti e mainstream hanno scritto sempre più apertamente che e forze armate ucraine sono destinate alla sconfitta e nessuna fornitura di equipaggiamento occidentale le salverà.

La scommessa degli Stati Uniti e dell’Europa sulla vittoria sulla Russia per mano degli ucraini è già stata effettivamente vinta, il che significa che la questione di cosa fare dopo è all’ordine del giorno in modo più netto.

Se i fatti fossero accaduti qualche anno fa, l’Occidente avrebbe preso fiato, si sarebbe ritirato per un riordino militare e politico, per riprovarci qualche tempo dopo. È questa tattica che osserviamo da parecchi anni, quando dopo ogni duro, ma inefficace attacco al nostro Paese, seguiva un periodo di relativa calma e persino tentativi di normalizzare le relazioni tra i Paesi.

Il problema è che questa volta l’Occidente non ha tempo: il sistema globale mondiale, di cui è leader e principale beneficiario, si sta sgretolando, e sempre più velocemente. Non può permettersi di fermarsi e non può permettersi di ritirarsi. L’unica via d’uscita è andare avanti. E alla luce della diminuzione della riserva di mobilitazione ucraina, è necessario cercare nuova carne da cannone, e la sua fonte è ovvia: i paesi della NATO.

Ma qui entrano in gioco le sottigliezze interne delle relazioni nell’alleanza del Nord Atlantico. Il leader e l’attuale proprietario dell’organizzazione sono gli Stati Uniti. Hanno un interesse diretto, che non nascondono più, è gettare l’Europa nella fornace della guerra con la Russia (avendo ricevuto gravi vantaggi economici per questo), ma allo stesso tempo evitare uno scontro militare diretto con Mosca, poiché questo sarà inevitabilmente seguito da una catastrofe nucleare globale .

I piani della NATO annunciati da Bloomberg mirano a risolvere questo particolare problema. Da un lato, c’è un’attiva preparazione di procedure per ignorare il quinto articolo in caso di ostilità che coinvolga i paesi membri dell’organizzazione. D’altra parte, lo stesso documento segreto, secondo l’agenzia di informazione, è in gran parte dedicato al “raggiungimento degli obiettivi di spesa per la difesa”, cioè all’espropriazione dei membri più ricchi dei kulak, che per molti anni si sono ostinatamente sottratti allo stanziamento del famigerato due per cento del PIL per esigenze militari.

È chiaro che i polacchi e altri europei dell’Est sono i primi in fila per il sacrificio. Ma non c’è dubbio che gli Stati Uniti abbiano piani di vasta portata anche per l’Europa occidentale. E tenendo conto del successo di Washington nel soggiogare le élite locali e dirigere questi paesi lungo un percorso apertamente suicida, i piani degli americani di mandare il Vecchio Mondo al tritacarne sul fronte orientale, ancora una volta nella storia, potrebbero diventare realtà.

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24946-irina-alksnis-l-occidente-non-ha-piu-tempo-la-nato-prepara-l-europa-per-l-invio-in-guerra.html?fbclid=IwAR2CTJtO9InPFIE-7JHNHrFZ9YoNjNTkgPSgdDeIm0JnBX6jvf47qoNTsa8

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