La battaglia politica negli Stati Uniti sta assumendo sempre più l’aspetto di una faida grazie alla quale la criminalizzazione dell’avversario prende il sopravvento sul confronto tra le diverse opzioni politiche che in realtà continuano a sussistere; un confronto, quindi, che rischierebbe di affossare il sodalizio dell’attuale establishment neocon-democratico se condotto secondo i canoni classici della competizione politica. Da qui l’uso apertamente strumentale delle istituzioni più delicate, quali la magistratura. Una situazione ben conosciuta nel nostro paese ormai dagli anni ’90. Una conduzione dello scontro che spinge sempre più alla eliminazione dell’avversario, piuttosto che alla sua subordinazione in un crescendo che ci riserverà parecchie sorprese. Il rischio è quello di trascinare nel discredito le istituzioni chiave del paese minando ulteriormente la coesione e la capacità di controllo di quella formazione sociale. Se la guerra civile a metà ‘800 vedeva due fronti nettamente contrapposti in un quadro di acquisizione di potenza e di capacità di predominio, il conflitto attuale sta degenerando in forme frammentarie e polverizzate sempre più difficili da ricondurre ad una logica unitaria_ Giuseppe Germinario
Steve Bannon, assieme a Roger Stone, è il principale protagonista del ristretto manipolo di persone che, negli ultimi cinque anni, ha fiutato la crescente fragilità dell’imponente establishment americano dominante e portato alla vittoria presidenziale Donald Trump. Il secondo è la figura pragmatica e disincantata, apparentemente leggera, in grado di muoversi nei meandri e di cogliere a tempo le dinamiche dei centri di potere. Ha iniziato la carriera giovanissimo come assistente di Richard Nixon, guarda caso in una fase analoga di scontro acuto, anche se meno cruento, tra strategie e centri di potere ferocemente contrapposti. Bannon è invece lo stratega, capace di intercettare e orientare i movimenti di opinione e di dare respiro alle tattiche e alla contingenza politica; per questo inafferrabile, almeno sino ad ora e in grado di trasformare la propria condizione di preda in quella di predatore. Il momentaneo sospiro di sollievo dei restauratori, determinato dalla sua uscita dallo staff presidenziale, si è trasformato in inquietudine angosciosa allorquando ha ricominciato a minare, con i suoi successi alle primarie delle prossime elezioni di medio termine, le basi politiche dei neoconservatori e di quei trasformisti che non tarderanno a riaffiorare sotto nuove spoglie. La stampa e il giornalismo nazionali, con alcune rare eccezioni, si sono accontentati pigramente e beatamente di ciò che passava il convento d’oltreatlantico; ce lo hanno presentato come rozzo, razzista, approssimativo, isolazionista, retrogrado. La breve intervista, tenuta in Italia ai primi di ottobre e tradotta in italiano, farà crollare parecchi di questi stereotipi e con esso assesterà un altro colpo alla credibilità del sistema di informazione. Per approfondire sarà sufficiente rovistare nella sua testata, Breibart. Dal canto suo, Bannon appare, assieme a Stone, uno dei pochi politici americani consapevoli delle implicazioni dell’affermazione di un mondo multipolare, se non multicentrico. Uno dei pochi che vorrebbe tentare una impresa ardua, improbabile: un arretramento “ordinato” del proprio paese, in grado di preservarlo da quelle catastrofi che in altre epoche storiche più o meno recenti hanno travolto gli imperi in crisi. Non a caso la caduta dell’Impero Romano è sempre stato oggetto di attento studio negli Stati Uniti. Non è importante, al momento, comprendere se si tratta di una posizione tattica, in attesa che eventuali situazioni di conflitto aperto sempre latenti tra i paesi emergenti, ricollochi gli Stati Uniti in una condizione simile a quella della seconda guerra mondiale; oppure di una visione strategica, sino ad ora minoritaria ma storicamente pur sempre presente nel dibattito politico statunitense anche se in forme diverse, in particolare nei movimenti civici locali. Le intenzioni dei soggetti politici spesso e volentieri sono travolte e stravolte dalle dinamiche conflittuali. L’aspetto rilevante è che il prevalere o il consolidarsi di tali posizioni, non fosse che temporaneo, offre nuovi spazi ed opportunità a quelle élites nazionali che avessero intenzione di riprendere in mano il destino del proprio paese. Un proposito lungi dall’essere coltivato dalle nostre classi dirigenti, beatamente assopite. Buon ascolto_Giuseppe Germinario