Il papa, l’innocenza delle vittime e la logica del regime, di Leonardo Lugaresi
L’altro giorno papa Francesco ha pronunciato parole di cristiana pietà per Darya Dugina: nel contesto di una generale condanna della “pazzia della guerra”, di ogni guerra e di questa guerra in particolare (e Dio sa quanto ce n’è bisogno!), l’ha chiamata “povera ragazza” e “vittima innocente”. Credo siano state in particolare queste espressioni a scatenare la rabbia che è montata contro di lui in questi ultimi due giorni. Lasciando perdere, nella loro inanità, i tanti che sui social hanno inveito contro il papa e l’hanno insultato – non solo ignoti e irrilevanti leoni da tastiera ma anche personaggi con un profilo pubblico e una qualche notorietà – colpisce soprattutto la dura reazione del regime di Kiev, che ha fatto un passo ufficiale come la convocazione del nunzio pontificio per esprimere quella che, in sostanza, si pone come una condanna morale della posizione del papa.
Poiché con la morte non si scherza – infame chi lo fa! – bisogna essere rigorosi nella formulazione dei concetti, quindi è necessario chiarire bene il senso dell’espressione vittima innocente, sulla quale c’è invece, e non certo da oggi, una pericolosa confusione. Mi pare che esistano due significati, che non si escludono a vicenda ma che debbono restare distinti, di “innocenza” e di “vittima”. In senso stretto, vittima innocente è solo chi, non avendo alcuna responsabilità per il male del mondo, di quel male subisce ingiustamente le conseguenze, fino a quella estrema della morte per mano altrui. In questo senso, a parte i bambini, che non sono responsabili di nulla nella misura in cui non sono pienamente capaci, di vittime innocenti io tra gli adulti ne conosco una: nostro Signore Gesù Cristo, il solo giusto, il quale è morto appunto per “pagare il conto” di tutte le ingiustizie del mondo. La fattura, dice Paolo, l’ha inchiodata alla croce (IVA inclusa). In tutti gli altri casi, la condizione di vittima, per quanto grave e intollerabile sia l’ingiustizia che la determina, non rende automaticamente innocenti, come invece un diffuso e radicato errore cognitivo ci porta a pensare. Noi proviamo compassione per la vittima, solidarizziamo con essa, “stiamo dalla sua parte” e perciò vogliamo anche che sia “innocente”, che non abbia difetti, che abbia sempre e solo ragione. Ma non è così
I torti delle vittime, i peccati che hanno commesso, piccoli o grandi che siano, pertinenti o meno alla sorte che le ha colpite, non giustificano però in alcuno modo la loro ingiusta sofferenza e morte (se noi crediamo al comandamento “Non uccidere”). C’è quindi un secondo senso, valido quanto il primo e per nulla incompatibile con esso, in cui le vittime, ma questa volta tutte le vittime!, sono innocenti. L’innocenza della vittima, in questo caso, consiste nel fatto che essa non meritava di morire. Coloro che si indignano perché papa Francesco ha definito vittima innocente Darya Dugina, si riferiscono presumibilmente al suo pensiero e alla sua attività nel campo dell’informazione (o disinformazione, o propaganda o quel che volete voi: non mi interessa). Questi tali devono – per decenza, perché se non lo fanno sono infami che irridono alla morte (altrui) – dichiarare apertamente che chiunque “pensa e parla male” merita di essere dilaniato da una bomba messa da un attentatore.
Tale deve essere, a quanto sembra, anche la posizione ufficiale del governo ucraino, che sopra ho definito regime perché quella appena esposta è appunto la logica di un regime, cioè di una forma di governo che non ammette opposizioni, conosce solo sostenitori o nemici da eliminare e rivendica per sé – in quanto vittima di un’ingiusta aggressione – uno status di innocenza assoluta che invece non gli spetta, come sopra abbiamo detto. Mi si obietterà che il presidente Zelensky fu a suo tempo eletto democraticamente, il che è vero. Però non mi risulta che attualmente nel suo sfortunato paese vi sia libertà di opposizione, il che fa del suo governo tecnicamente un regime autoritario. Si replicherà che anche questa è una conseguenza dello stato di guerra e che la guerra l’ha scatenata un altro regime, quello di Putin, che dunque è il colpevole ultimo di tutto il male. Non discuto; però sta di fatto che non solo quello russo ma anche quello che c’è adesso in Ucraina è un regime autoritario, che, in quanto tale, si sente offeso perfino dalla cristiana pietà di papa Francesco per la vittima di un attentato.
Una “povera ragazza”, ha detto lui, e qui c’è in gioco una terza semantica cristiana che purtroppo ha bisogno di essere spiegata, perché ormai le persone parlano una lingua bastarda che non capisce più neanche le parole ereditate dai padri. Oltre a quella sorta di “innocenza” di cui ho appena parlato, che è di ogni vittima in quanto non meritevole di essere uccisa, esiste anche una speciale “dignità dello sconfitto”, un’aura di decoro e di rispettabilità, per non dire di sacralità, che avvolge ogni perdente, ogni caduto nel momento della sua fine, per quanto cattivi siano stati i suoi costumi pregressi e orribile la sua condotta passata. È quell’aura che un cristiano come Renzo Tramaglino, nei Promessi sposi, riconosce subito attorno al corpo agonizzante di don Rodrigo nel Lazzaretto. Quella che rende tutti “poveri” i morti (i “poveri morti”, diceva infatti il popolo, accomunando tutti, di default, in questa sorta di ordine cavalleresco).
Io non so praticamente nulla di Darya Dugina, barbaramente assassinata a 24 anni qualche giorno fa: vedo che per alcuni era una creatura meravigliosa, mentre altri la considerano una persona pessima. Qui e ora non mi importa: quello che so con certezza è che il popolo cristiano di un tempo non avrebbe esistato un minuto a chiamarla, proprio come ha fatto Francesco, “povera ragazza”, senza neanche voler sapere che cosa avesse fatto in vita. Perché il popolo cristiano di un tempo dava d’istinto a ogni defunto il titolo, massimamente onorifico, di “povero” (il più cristologico di tutti, a ben vedere). Bastava morire, e anche il più detestato degli avversari diventava “il povero x”.
Dunque sì: «vittima innocente» e «povera ragazza». Francesco ha parlato cristiano.