AGGIORNAMENTI E CONFERME, di Antonio de Martini

IMBARAZZANTI IMPROVVISAZIONI

Ho appena letto su Dagospia ( ripresi dal Messaggero che ha citato il rapporto di Procura) il resoconto dei fatti connessi al delitto di via Cossa.

Mi sono soffermato sul comportamento dei Carabinieri coinvolti.
Quattro che erano in libera uscita e hanno assistito alla prima fase ( il furto).

a) desistono dall’inseguimento del reo e consigliano al derubato ( pusher-truffatore) di chiamare il 112.

Sopraggiungono i due CC della stazione Farnese ( i fatti si erano svolti a Piazza Mastai), si tiene consiglio su chi continuerà ad occuparsene e decidono che siano quelli di Farnese.

Appena arrivano a via Cossa, colluttazione e morte.

Da tutto questo scenario risulta, a mio parere:

1) la demotivazione dei 4 Carabinieri è la mancanza di spirito di corpo. In altri tempi non avrebbero lasciato i commilitoni a sbrogliare la matassa per continuare la passeggiata trasteverina.

2) ruolo quasi nullo dell’ufficiale di servizio al 112 che avrebbe dovuto mantenere il controllo e passare lui l’incarico alla tenenza/ stazione Prati per competenza territoriale.
.
3) la decisione presa dal gruppetto dei CC ha tenuto conto della comodità invece che della efficienza : avrebbero almeno dovuto far partecipare uno dei quattro che era in grado di riconoscere i due americani che Rega e il commilitone non avevano mai visto.

4) il 112 ( o i quattro Carabinieri o Rega) hanno anche omesso di informare la tenenza Prati di una operazione che stava per svolgersi sul territorio di sua competenza.

Confrontato a uno scontro armato, l’altro carabiniere non ha nemmeno pensato di reagire con l’arma di dotazione nemmeno con gli avversari in fuga.

DEMOTIVAZIONE, TRASCURATEZZA, NON COORDINAMENTO, ADDESTRAMENTO CARENTE.

Esattamente quel che ho scritto nel mio testo ( “ Meditazione in morte di un Carabiniere”) a botta calda.

Il coltello lo ha usato l’americano, ma le mani che lo hanno armato avete capito di chi sono: di coloro che hanno svirilizzato e invigliacchito – con pervicacia e intenzionalità – l’Arma dei carabinieri dai tempi del generale de Lorenzo in poi.

http://italiaeilmondo.com/2019/07/27/meditazione-in-morte-di-un-carabiniere-di-antonio-de-martini/

L’ETA’ DELL’EMPATIA, di Piero Visani

RATING SEMI-SILLOGISTICO di PIERO VISANI

Carabiniere morto accoltellato: va beh, ci può stare e – al limite – se l’è cercata.
Presunto colpevole ammanettato e bendato: violenza gravissima, da Stato di polizia, che nega i diritti fondamentali a chi non è ancora stato giudicato da un tribunale
Ergo: la vita NON è un diritto fondamentale, perché “chi muore giace e chi vive si dà (molta) pace”.
E’ morto, fine della storia. La storia dei Diritti Umani, invece, continua spedita e la sua falce cerca nuove vittime innocenti. Ma volete mettere la teoria alle prese con la pratica? Dopo tutto, sì, il carabiniere è morto, ma – a parte che siamo “affranti dal dolore” – mica era un parente o un affine mio…
Comunque – e questo va detto con estrema, assoluta chiarezza – chi ha fatto la foto e chi l’ha diffusa non ha capito NULLA di guerra ibrida e ha colto un unico obiettivo: far dimenticare il collega ucciso e far diventare un eroe il presunto colpevole. Complimenti, ennesima grande impresa di chi combatte (e male, molto male) le guerre passate e SA NULLA di quelle presenti e future! E, a quanto pare, pure se ne compiace.
Continuate così, fatevi del male…

L’ETA’ DELL’EMPATIA

In un’epoca altamente empatica come l’attuale, dove tutte le emozioni (anche quelle da poco, per dirla con Anna Oxa…) suscitano reazioni incredibilmente sopra le righe da parte di persone in preda ad assoluta sovraeccitazione, è del tutto EVIDENTE che la notizia nuova scaccia quella vecchia e che, se la notizia nuova riesce a produrre nuova EMPATIA, viene cancellata buona parte dell’effetto di quella vecchia.
Io non so e tanto meno pretendo di sapere se il ragazzo bendato e ammanettato sia colpevole, e neppure tocca a me stabilirlo. A me tocca capire – questo è il mio compito, anche se della cosa non interessa ad alcuno, visto che da decenni faccio un altro mestiere – come mai AD OGNI AZIONE SUBENTRA MEDIATICAMENTE UNA REAZIONE, spesso non meno efficace, a fini di innesco di emotività, dell’evento precedente.
Quello che mi chiedo – e si tratta di domande cruciali:
1) chi ha fatto le foto?
2) Perché le ha fatte? Pensava di giovare all’Arma? Allora, per essere eufemistici, è incredibilmente ingenuo.
3) Pensava di nuocere all’Arma e di farci un discreto gruzzoletto? Allora è come minimo un infiltrato, che agiva per conto terzi, oltre che per lucro personale.
Nell’ipotesi 2), il fotografante non sapeva NULLA di guerra ibrida e di conflitto mediatico, ma – nell’ipotesi 3) – la conosceva fin troppo bene e stava agendo per conto di ottimi professionisti del settore.
Al di là del dolore per il caduto, tutte le questioni si combattono e si risolvono in quest’ambito, e sono meno complicate della fisica dei quanti, se solo qualcuno avesse voglia di dedicarvisi. Ovviamente per puntare a risultati metapolitici di lungo periodo, perché i sondaggi d’opinione sono ingannevoli e al massimo producono fiammate. NON SERVE AD ALCUNCHé VOTARE IN UNA CERTA DIREZIONE, OCCORRE INVECE PENSARE PERMANENTEMENTE IN QUELLA DIREZIONE E ACQUISIRE VISIONI E VALORI STABILI E STRUTTURATI, NONCHé DOTARSI DI STRUMENTI ATTI A COMBATTERE I CONFLITTI PRESENTI E FUTURI.
In Senato siede un signore che ha avuto un consenso del 42%, poco tempo fa. Quale è la sua credibilità attuale?

ROBERTO BUFFAGNI _CI SEI O CI FAI?

Ho notato che anche nel caso di Carola è uscita una sua foto scattata in questura. L’ipotesi più semplice mi pare questa: che i giornalisti abbiano le loro fonti all’interno delle questure e delle stazioni dei carabinieri, che le suddette fonti si facciano meno scrupoli che in passato a passare informazioni riservate (motivi ce ne sono tanti, dallo svaccamento generale al “chi me lo fa fare” innescato dalla magistratura nelle FFOO). Chi ha scattato la foto al ragazzo bendato è poi molto sciocco, perchè dalla posizione di scatto è facile risalire a lui, infatti pare l’abbiano già beccato.

IL VERO E IL FALSO di Piero Visani

In riferimento alle molte polemiche sull’uccisione del carabiniere a Roma e alla “tempestiva” pubblicazione di una foto che non giova particolarmente alle pratiche adottate dagli inquirenti, mi è venuto in mente il documento che segue, che il professor Virgilio Ilari, senza ombra di dubbio il massimo storico militare italiano attuale, ha pubblicato a pagina 8 del saggio – da lui curato – “Future Wars. Storia della distopia militare”, Roma – Milano 2016.
In esso si riproduce un documento “segreto” dello Stato Maggiore Generale del 21 luglio 1940, in cui, un mese dopo la capitolazione della Francia, il maresciallo Badoglio rimanda al mittente un rapporto sulle tattiche adottate nel corso della recentissima campagna di Francia dalle forze corazzate tedesche, che gli era stato trasmesso dall’Ufficio Operazioni, con la “brillante” notazione: “lo studieremo a guerra finita”. Il documento – chiosa con malizia e ironia lo stesso Ilari – è ovviamente falso, ma “se non è vero, è ben trovato”…
Mi è venuto in mente leggendo certi “dotti” commenti sulla fuoriuscita di una fotografia che non sarebbe mai dovuta uscire dalle “segrete stanze” e mi sono chiesto come queste ultime continuino ad essere occupate non solo dai “marescialli Gargiulo”, ai quali certe sottigliezze non possono essere chieste, ma anche da supergallonati che combattono SEMPRE le guerre precedenti, rinviando forse – come fece il loro illustre predecessore citato qui – l’analisi di quanto accaduto a guerra finita, E OVVIAMENTE PERSA, senza in apparenza rendersi conto che la distinzione tra vero e falso, nella società della virtualità reale, non ha più alcun senso, perché OGGI ” E’ ” SOLO CIO’ CHE APPARE. E se questo accade per trascuratezza o per pura insipienza, cambia davvero poco rispetto agli esiti finali, a meno che non accada per dolo, ipotesi che per il momento non vogliamo prendere in considerazione, per quel microscopico residuo di “carità di patria” che resta a chi scrive.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

I criminali hanno fiducia nelle istituzioni. E gli altri?, di Roberto Buffagni

I criminali hanno fiducia nelle istituzioni. E gli altri?

 

Da quanto ci raccontano gli inquirenti[1]–  almeno nella versione diffusa dalla stampa – il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega è stato ucciso così. Due studenti statunitensi in vacanza a Roma vanno a rifornirsi di droga, e il pusher maghrebino li frega: aspirina tritata invece di cocaina. Girato l’angolo i due ragazzi si fanno un tiro, si accorgono della fregatura e vanno a protestare. Il pusher fa lo gnorri, i ragazzi lo spintonano, gli rubano il borsello con dentro il cellulare e scappano. Il pusher li contatta chiamando il suo cellulare e li minaccia. I ragazzi non si spaventano e propongono un accordo: ti rendiamo borsello e cellulare ma tu ci dai la coca vera. Fin qui, tutto normale, persino banale: un piccolo episodio di criminalità spicciola.

Subito dopo, però, la vicenda entra nella surrealtà: il pusher chiama i carabinieri e denuncia il furto e il ricatto dei due ragazzi statunitensi, ovviamente omettendo il risvolto droga. Nella realtà normale a cui ero abituato a vivere, uno spacciatore di droga non chiama(va?) i carabinieri per risolvere queste faccende. Se non se la sentiva di sbrigarsela da solo, chiamava qualche amico o collega e con il suo aiuto riempiva di botte i due ragazzi, eventualmente affibbiandogli anche una bella coltellata.

Invece no. Fiducioso nelle istituzioni dello Stato italiano, il pusher denuncia il ricatto alla Stazione del Carabinieri, che invia Mario Cerciello Rega e un collega, in borghese, all’incontro con i due statunitensi. I due carabinieri si qualificano e li arrestano. Segue una colluttazione in cui uno dei due ragazzi accoltella otto volte Rega, e lo uccide.

In tutta questa vicenda non c’è nulla di strano e insolito. I carabinieri hanno agito in base a una denuncia circostanziata, e seguito la normale procedura per quel che doveva essere un arresto di routine: l’oggetto rubato era di scarso valore, né c’era ragione di pensare che i due sospettati fossero armati e pericolosi fino al punto di minacciare la vita dei due militi. Purtroppo, la vicenda si è conclusa tragicamente perché  – a quanto risulta dalle ricostruzioni – uno dei due studenti americani, per premunirsi in vista dell’incontro col pusher per lo scambio borsello – droga , si è procurato un coltello; e, forse perché sotto l’effetto di droga presa per farsi coraggio, forse perché spaventato dalle conseguenze di un arresto, o forse semplicemente perché è un violento, ha accoltellato il vicebrigadiere Rega e lo ha ucciso. Si può dire, insomma, che la morte del carabiniere è una dolorosissima fatalità in cui può incorrere chiunque svolga servizio attivo nelle FFOO: un’operazione di routine che per imprevedibili ragioni si tramuta  in un conflitto mortale.

In tutta questa vicenda non c’è nulla di strano o di insolito tranne una cosa: che per riavere il borsello rubato il pusher rinunci al classico faidate dei criminali, e si rivolga all’Arma dei Carabinieri.

Se questo elemento della vicenda è vero, le possibilità sono le seguenti: a) il pusher è molto stupido o squilibrato: se i due studenti fossero stati arrestati, era perlomeno possibile che dalle loro deposizioni, i carabinieri apprendessero che il querelante è uno spacciatore; ed era almeno possibile che il cellulare del pusher, con il suo interessante contenuto, fosse sequestrato b) il pusher non è molto stupido o squilibrato. Anzi. L’ esperienza ha insegnato a lui e al suo ambiente che entrare in contatto con le FFOO e la magistratura italiana, ed anzi rivolgersi ufficialmente a loro per risolvere un incidente professionale, non presenta alcun rischio. Non presenta alcun rischio perché, anche nell’ipotesi che le FFOO accertino la sua professione di spacciatore,  egli non dovrà temere alcuna seria conseguenza: insomma, in prigione non ci andrà.

Nell’ipotesi b), rivolgendosi all’Arma lo spacciatore ha agito in modo perfettamente razionale. Il rapporto costi/benefici gli era favorevolissimo:  perché rischiare un incontro dagli esiti sempre incerti con due sconosciuti che già avevano dato prova di non lasciarsi intimidire facilmente? Perché chiedere un favore ad amici e colleghi che poi vogliono qualcosa in cambio? Molto più vantaggioso far correre tutti i rischi alle FFOO italiane, che lavorano gratis e in cambio non vogliono nulla. Che la valutazione del pusher fosse esatta lo dimostra al di là di ogni possibile dubbio l’esito della vicenda: al posto del vicebrigadiere Rega, a prendersi le otto coltellate poteva esserci lui.

In attesa di verificare se la ricostruzione dei fatti è corretta, da questa tragica vicenda possiamo trarre una conclusione provvisoria, questa.

I criminali hanno piena fiducia nelle istituzioni dello Stato italiano, nelle FFOO e soprattutto nella magistratura; e basano questa fiducia su solidissime ragioni.

A quanto risulta dai sondaggi e dalla conversazioni private, ne hanno di meno i cittadini italiani che non esercitano la professione di criminale. Forse , anche la loro sfiducia si basa su ragioni altrettanto solide. Chissà?

That’s all, folks.

[1] https://roma.repubblica.it/cronaca/2019/07/26/news/carabiniere_ucciso_confessione_americani-232124685/

MEDITAZIONE IN MORTE DI UN CARABINIERE, di Antonio de Martini

Non leggo i fatti di cronaca nera , ma inciampo sempre più spesso in notizie e commenti su membri delle forze dell’ordine – sarebbe più appropriato ahimè parlare di forze armate- che soccombono di fronte all’aggressività di criminali di vario conio.

Inevitabile chi lamenta , come Alga Fratini le misere condizioni economiche del militare coinvolto e chi come Luca Pardi si lancia in una filippica contro i cittadini che non hanno votato come vorrebbe lui.

Improprio prendersela con vaghe categorie dello spirito come “ la classe politica” l’immigrazione irregolare o le coltellerie di Maniago ( Solingen per gli europeisti).

Se si andasse a guardare le statistiche dell’ultimo mezzo secolo, gli unici tre anni in cui nessun carabiniere è rimasto ferito o deceduto per causa di servizio, è stato il triennio in cui a capo dell’Arma dei Carabinieri è stato il generale ingegnere Giovanni de Lorenzo.

E questo è un dato di fatto.

Si, tre anni , anche non facili e nemmeno un ferito in un incidente automobilistico.

Seguiti dall’invio – quando de Lorenzo divenne capo di Stato Maggiore dell’Esercito – di sedicimila militari a salvare Firenze da una disastrosa alluvione di cui adesso mena vanto qualche quaquaraquà con accesso in TV.

Sedicimila uomini a spalare fango e raccattar cadaveri per giorni ( leggete le cronache di quei giorni de “ La Nazione” di Firenze) e anche questa missione fu portata a termine senza un ferito un annegato o un incidente.

Si chiama arte del comando e si acquisisce negli anni e non nei cocktail o nelle cerimonie commemorative.

Le nostre Forze Armate hanno il “know how” per addestrare gli uomini ( ed ora anche le donne) a svolgere ogni compito che venga loro assegnato.

Ma cominciarono col sottrarre loro l’addestramento dei controllori di volo e conclusero con una ipocrita “ sospensione” del servizio militare.

Le FFAA. Non dovevano essere un punto di riferimento morale o professionale.

Se da così tanto tempo ci sono incidenti che sarebbero stati evitabili ( come “check point pasta” ( Somalia) Nassirya ( Irak) o Stazione Termini ( casbah) la colpa è dei comandanti che ormai giungono al vertice attraverso una tale catena di servilismi da rasentare il grottesco se non ci fosse da piangere.

Sanno servire i potenti, ma non più lo Stato.

L’Arma dei Carabinieri – continuiamo a chiamarla così , ma è diventata una FORZA ARMATA come la Marina o l’Esercito grazie a un patto scellerato -che deve essere cancellato al più presto – tra D’Alema e il generale Del Sette e pochi altri vendutisi in cambio di un’altra stelletta sulle spalline e una pletora di posizioni da “ aiutanti di campo” che un tempo erano posti riservati agli incapaci di comando.

Oggi sono invece, queste attività servili, trampolini per le posizioni di vertice dato che le nomine le fanno coloro ai quali questi signori portano a spasso il cane o la moglie quando non vanno in giro a sparlare dei concorrenti del padrone di turno.

Chi lotta contro il banditismo non va più a comandare. Ne hanno paura. Et pour cause.

Li odiano e li lasciano massacrare da magistrati che da poco cominciano a far conoscere il loro vero volto e i loro interessi reali.

Gli ufficiali e i sottufficiali bravi a comandare vengono schiacciati tra questa incudine di incapaci e il martello dei magistrati arrivisti.

I carabinieri – e non solo loro – sono quindi molto mal comandati da almeno venti anni e le conseguenze si notano nella disciplina, nel tono psicofisico; nella propaganda fatta a colpi di fiction TV; negli episodi di cronaca nera di cui sono ad in tempo guardie e ladri; nell’impiego operativo affidato a magistrati che non hanno mai udito il suono di un colpo di pistola e arrembano verso l’alto “ senza badare agli uomini né ai mezzi”.

I danni creati da Del sette e compagni dureranno per almeno una intera generazione.

Potete sfogarvi a imprecare , a chiamarli eroi , vittime o altro, ma il DNA dei Carabinieri è cambiato e non in meglio.

Per far tornare a vincere ( è di questo che stiamo parlando) i carabinieri bisogna che tornino ad essere LA PRIMA ARMA DELL’ESERCITO; ESSERE COMANDATI DA UN UFFICIALE ESTRANEO ALLE CORDATE INTERNE; E CHE IL LORO IMPIEGO NON VENGA FRAZIONATO TRA I MAGISTRATI.

I vertici operativi e di comando non vengano scelti tra chi ha fatto l’ufficiale di collegamento di ministri, sottosegretari, e compagnia bella.

Per comandare bisogna aver comandato non vagato tra gli uffici altrui.
Vedrete che miracolo di resurrezione.

Premiare , come faceva de Lorenzo: ( es. invece di tanti premi da duemila lire, un minor numero ma da ventimila) , colpire chi trescava nelle forniture. ( con lo stesso stanziamento scambiò – grazie al colonnello Tagliamonte- settemila biciclette con tremila “Giulie”).

Dare spirito di corpo ( suo fu l’ordine – ancora in vigore- di usare solo la divisa nera e non più quella cachi).
Premi di sette giorni di licenza a chi reagiva energicamente ai contrasti di chiunque .

Diventato capo di Stato Maggiore si accorse che tutte le forniture del triennio erano già state appaltate al gruppo FIAT. Gli lasciavano da comandare una scatola vuota .

Le cancellò tutte.

Gli Agnelli fecero lobby per oltre un anno e poi scatenarono prima i rivali interni e poi i cani.

Dopo uno scontro politico cruento de Lorenzo fu defenestrato e da allora iniziò il piano inclinato delle stellette, intervallato da qualche singulto, ma si indovinava già, ad ogni giro, il rantolo di un sistema morente.

Dopo il sistema muoiono i singoli. Guardate le statistiche.

CICERONE VOTA LEGA, di Teodoro Klitsche de la Grange

CICERONE VOTA LEGA

L’approvazione delle nuove norme sulla legittima difesa ha provocato una (scontata) serie di reazioni da parte del centrosinistra (e alleati).

La prima è che la riforma riguarda pochi casi, ed è quindi irrilevante. Sono d’accordo sul punto: i casi sono relativamente pochi (ma comunque non vanno dimenticati) e soprattutto meriti e demeriti di questa maggioranza dovranno valutarsi in altri ambiti.

La seconda che Salvini avrebbe una mentalità da sceriffo del Farwest: rozzo, ignorante e violento. La predilezione per l’uso delle armi e l’autodifesa denoterebbe addirittura una sottovalutazione dello Stato E perché? Perché facilitando i cittadini a difendersi da soli andrebbe a confliggere con la funzione dello Stato che è quella di dare protezione ai diritti (in primis, quello alla vita) di tutti i componenti la comunità. Ossia trascurerebbe (almeno) quattro secoli di Stato moderno che tra tutte le sintesi politiche è quella che più ha enfatizzato (e strutturato) detta funzione. Con ciò Salvini è dai politici ed intellos bocciato.

Ma è proprio vero che la legittima difesa è così in contrasto alla concezione dello Stato e che coloro che se ne sono occupati erano dei rozzoni dal modesto quoziente d’intelligenza? A fare qualche riscontro pare proprio di no.

Cominciamo da Cicerone. Questi difendendo Milone fece la più grande difesa dell’istituto. Definì legge naturale il diritto di difendersi “Esiste dunque, o giudici, una legge non scritta ma naturale, da noi né appresa né ereditata né letta, ma attinta dalla natura stessa, una legge che conosciamo non per insegnamento ma fin dalla nascita, non per educazione ma per istinto”, e la legge naturale (nel De re publica) per il grande oratore era “conforme alla natura, la si riscontra in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna”; a questa “non è lecito apportare modifiche né toglierne alcunché né annullarla in blocco, e non possiamo esserne esonerati … non sarà diversa da Roma ad Atene o dall’oggi al domani, ma come unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli ed in ogni tempo”. Questa legge è naturale perché conforme alla natura umana; è immutabile ed eterna e non dipende dalle decisioni di chi detiene il potere. Essendo, nel caso sia in pericolo la vita, l’unica possibilità di conservarla è rapportabile al conatus di Spinoza, per cui ogni vivente tende a “in suo esse perseverari”, ossia a conservare la propria esistenza.

Se poi passiamo al filosofo che più ha teorizzato lo Stato moderno e la funzione di protezione del potere politico, cioè Hobbes, il quadro non cambia. Il filosofo scriveva che né l’uomo può rinunziare a difendere se stesso, né il sovrano può pretendere l’obbedienza ad un tale precetto; così il suddito ha diritto, nel caso, a rifiutare obbedienza. E potremmo continuare ad elencare le legislazioni, le più varie, le quali, per quanto se ne sa, non dispongono di porgere l’altra guancia, ma, per continuare con Cicerone a legittimare che, in casi estremi, vim repellere licet. Perché in sostanza sono quei casi in cui non è possibile al sovrano assicurare protezione. Ed è tragicamente comico che un uomo, minacciato da energumeni armati, li possa fermare minacciandoli di “fargli causa”. Neppure i teologi cristiani pretendono ciò: resistere o non resistere è una scelta morale, ma difendersi è un diritto.

Anzi secondo taluni, come Jhering, chi difende il proprio diritto è un buon cittadino, perché collabora (attivamente) all’attuazione del diritto oggettivo.

C’è da chiedersi per quale ragione, a parte la evidente necessità di propaganda, in certi ambienti politici si sostengano tesi così contrarie a qualche millennio di pensiero e così ragionevoli (se non razionali).

Probabilmente perché – per un vizio congenito della “sinistra” – questa ha l’abitudine di paragonare la realtà socio-politica non con altre realtà ma con le proprie idee e aspirazioni. Raffronto cioè tra realtà ed immaginazione, in cui questa è sempre vincente proprio perché svincolata dal “fattuale”, ossia dal concreto. Non conoscendo la fantasia i limiti della realtà, è possibile fantasticare di mondi e società perfetti dove gli uomini si vogliono tutti bene, oppure in cui lo Stato è così efficiente da impedire il compimento di qualsiasi delitto. Come in un film di fantascienza di successo, dove il tutto era affidato a mutanti con capacità di pre-cognizione (cioè da profeti); gratta, gratta si parte dal rivendicare utopie come “ragione” e si finisce per affidarsi a Nostradamus o alla Sibilla. Cioè a film, maghi, indovini (e ciarlatani). Diversamente da Cicerone, Hobbes e gli altri che si accontentavano della ragione umana e della realtà dei fatti.

Teodoro Klitsche de la Grange