La Polonia potrebbe sfruttare la presenza di Wagner in Bielorussia come pretesto per sabotare i colloqui di pace
ANDREW KORYBKO
10 AGO 2023
La presenza di Wagner in Bielorussia è il pretesto perfetto per la Polonia e il suo alleato lituano per inasprire le tensioni con la Russia, se la sfruttano allo scopo di reimporre il blocco de facto di Kaliningrad dell’estate scorsa, in modo da precludere lo scenario della ripresa dei colloqui di pace entro la fine dell’anno, dopo la fine della controffensiva di Kiev.
Il dispiegamento di Wagner in Bielorussia, dopo le violenze, ha spinto la Polonia a dare di matto, dopo che il suo primo ministro ha temuto che questo gruppo stesse tramando per scatenare un’altra crisi dei migranti con le armi, cercando persino di infiltrarsi nel suo Paese sotto questa copertura. Non ci sono ragioni credibili per sospettare che questo sia in programma, né che Wagner voglia invadere il Corridoio di Suwalki come alcuni hanno sostenuto. In realtà, la Polonia sta sfruttando la presenza di Wagner in Bielorussia come pretesto per portare avanti tre dei suoi interessi strategici.
Il primo è che il partito al governo sta volutamente ingigantendo la minaccia immaginaria rappresentata da questo gruppo come parte della sua strategia elettorale, esattamente come ha suggerito di recente l’ex primo ministro e attuale leader dell’opposizione Donald Tusk. Nelle sue parole, “sembra che il PiS cerchi l’aiuto del Gruppo Wagner perché teme le elezioni”. Fabbricando artificialmente la percezione di una crisi senza precedenti per la sicurezza nazionale, sperano di radunare i polacchi attorno al loro governo nel tentativo di mantenere il potere dopo le elezioni di metà ottobre.
Il secondo interesse strategico avanzato con questo pretesto è che serve a giustificare il previsto rafforzamento militare della Polonia lungo il confine bielorusso. Il viceministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin ne ha parlato giovedì alla TASS, allineandosi con quanto il presidente Putin aveva già messo in guardia alla fine del mese scorso. Non è ancora chiaro se lo strisciante controllo economico della Polonia sull’Ucraina occidentale assumerà o meno una forma militare, ma questo rafforzamento potrebbe precedere e facilitare l’azione transfrontaliera, se l’ordine viene dato.
Infine, mercoledì il viceministro degli Interni polacco ha dichiarato che il suo Paese e la Lituania potrebbero isolare completamente la Bielorussia chiudendo i suoi valichi ferroviari in risposta alla presunta minaccia di Wagner. Ciò suggerisce che questi due paesi potrebbero tramare una pericolosa escalation nella guerra per procura tra NATO e Russia, imponendo un blocco de facto su Kaliningrad come quello tentato da Vilnius la scorsa estate. In tal caso, la possibile ripresa dei colloqui di pace entro la fine dell’anno potrebbe essere ritardata o del tutto deragliata.
A questo proposito, le analisi qui, qui e qui spiegano perché il fallimento della controffensiva di Kiev sarà probabilmente seguito da un nuovo ciclo di sforzi diplomatici per congelare la guerra per procura, che potrebbe coinvolgere anche la Cina e l’India insieme ad altri Paesi leader del Sud globale. In poche parole, il crescente vantaggio della Russia nella sua “gara logistica”/”guerra di logoramento” con la NATO rende questo risultato un fatto compiuto, ma questo potrebbe essere proprio il motivo per cui la Polonia potrebbe cercare di prevenire questo scenario bloccando de facto Kaliningrad.
L’intuizione di cui sopra non è una speculazione come molti media mainstream e persino la comunità degli Alt-Media potrebbero pensare a causa di quanto sono stati indottrinati dal febbraio 2022 dalla propaganda delle rispettive parti che sostiene che né gli Stati Uniti né la Russia vogliono congelare il conflitto. La prima è screditata da un articolo del Moscow Times sugli sforzi diplomatici informali degli Stati Uniti a tal fine e da un recente articolo della CNN su come la fallita controffensiva di Kiev potrebbe cambiare i calcoli strategici degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda la seconda, la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha smentito l’affermazione del suo omologo del Dipartimento di Stato all’inizio della settimana, secondo cui il Cremlino non sarebbe interessato ai colloqui di pace, seguita da Galuzin che ha poi stabilito i criteri per la loro ripresa. Secondo Galuzin, ciò è “possibile solo se il regime di Kiev interrompe le ostilità e gli attacchi terroristici, mentre i suoi sponsor occidentali smettono di rifornire di armi l’esercito ucraino”.
Ha poi ribadito le altre richieste della Russia, come il ritorno allo status di neutralità dell’Ucraina, la rinuncia all’interesse precedentemente espresso per le armi nucleari, il riconoscimento di nuove realtà territoriali, la smilitarizzazione, la denazificazione e la protezione delle minoranze. Tuttavia, la prima parte delle sue dichiarazioni sulla cessazione delle ostilità e sulla riduzione delle spedizioni di armi all’Ucraina può essere interpretata come il vero prerequisito per la ripresa dei colloqui di pace volti a raggiungere politicamente gli altri obiettivi descritti.
Queste dichiarazioni consecutive di importanti diplomatici russi, unite alla tempistica del pezzo della CNN nella stessa settimana, suggeriscono fortemente che Mosca e Washington riconoscono tacitamente che il conflitto potrebbe congelarsi entro la fine dell’anno, dopo che l’inverno avrà costretto Kiev a fermare la sua fallita controffensiva. Considerando che questo risultato non è nell’interesse del partito di governo polacco o dei suoi alleati baltici come la Lituania, ne consegue che ora hanno un urgente incentivo a compensarlo con una crisi artificiale.
La presenza di Wagner in Bielorussia è il pretesto perfetto per inasprire le tensioni con la Russia, se la sfruttano per reimporre il blocco de facto di Kaliningrad dell’estate scorsa, in modo da prevenire il suddetto scenario di ripresa dei colloqui di pace. Si tratterebbe di un’azione disonesta per sabotare i piani speculativi del loro patrono americano, che potrebbe aprire un vaso di Pandora che potrebbe esacerbare le tensioni intra-NATO con conseguenze imprevedibili per l’unità dell’Occidente nella Nuova Guerra Fredda.
SVEZIA E FINLANDIA ALLE PORTE DELLA NATO : LEZIONI, TRAPPOLE E FINZIONI
Engagement n° 138 Primavera 2023 – 15 marzo 2023
Studio e analisi
L’effetto boomerang per il Presidente Putin della prevista adesione di Helsinki e Stoccolma all’Alleanza Atlantica viene spesso descritto in questi termini: “Mosca voleva la finlandizzazione dell’Ucraina, e otterrà la finlandizzazione di Finlandia e Svezia”. Piuttosto che snocciolare per l’ennesima volta gli elementi dell’equazione già noti – ovvi o di secondaria importanza – è tempo di concentrarsi su ciò che è essenziale, cioè su ciò che si trova, per rimanere nell’universo nordico, sotto la punta dell’iceberg. Cosa rivela, insegna e nasconde il processo di adesione dei due nuovi candidati all’Alleanza? Non c’è da preoccuparsi: su ognuno di questi punti, il principale perdente è la difesa europea.
Qualche lezione di passaggio
Da quasi un anno a questa parte, la moltitudine di relazioni, audizioni e annunci che hanno costellato il processo contiene alcuni dettagli che sono molto più edificanti di quanto questo tipo di esercizio normalmente riveli. Tra i punti di forza che i funzionari della NATO elencano per sottolineare il fatto che i due Paesi nordici saranno “contributori netti” alla sicurezza degli alleati ci sono il gran numero di carri armati, l’esperienza nella difesa del territorio e… il servizio di leva, che non è mai stato sospeso in Finlandia ed è stato ripristinato in Svezia nel 2017. In breve, ciò che dagli anni ’90 ci è stato presentato come antiquato, appartenente alla “guerra di ieri”, oggi è una risorsa. Un buon promemoria, se ce ne fosse bisogno, per non prendere per oro colato tutte le dichiarazioni del momento, a partire dalla retorica concordata intorno all’adesione di Finlandia e Svezia.
L’ostruzione turca che – per ottenere concessioni da Helsinki e Stoccolma, ma anche da Washington – sta ritardando il processo da mesi ha un innegabile vantaggio. Evidenzia il fatto che nessun Paese, nemmeno il partner più stretto della NATO, ha il “diritto di entrare” nell’Alleanza. Al contrario, sono gli Stati membri che hanno, ciascuno individualmente, il diritto di autorizzare o meno l’adesione di questo o quel candidato, secondo i propri calcoli. In questi giorni, tuttavia, si levano voci entusiaste per sostenere che l’Ucraina avrebbe il “diritto” di aderire. O, per dirla un po’ più finemente, come un importante membro del Comitato per le Relazioni Estere del Senato degli Stati Uniti, Jim Risch: “Qualsiasi Paese che soddisfi le condizioni dovrebbe poter entrare nell’Alleanza”. Ciò che dimentica di dire è che la prima delle condizioni stabilite dall’articolo 10 del Trattato Nord Atlantico è l’approvazione all’unanimità. C’è da scommettere che non tutti gli alleati vedranno l’ingresso di Kiev come una garanzia di sicurezza.
Un’altra ovvia ragione per cui due Stati membri dell’UE finora neutrali chiedono di entrare nell’Alleanza è la percezione che la clausola di difesa reciproca definita nell’articolo 42(7) dell’Unione sia incredibilmente leggera. Il fatto che si stiano precipitando verso quella che considerano una garanzia molto più solida, ovvero l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica, è un chiaro rifiuto di questa disposizione europea, che è stata tenuta a distanza da Parigi. Ma c’è di peggio. Il relatore dell’Assemblea Nazionale sul tema, Jean-Louis Bourlanges, ha fatto un confronto tra i due, facendo riferimento a esperti del Ministero delle Forze Armate e del Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri. Questi avrebbero “sottolineato che l’articolo 5 è più solido dell’articolo 42.7”, poiché contiene un riferimento esplicito all’uso della forza armata[1].
Se non fosse che tale interpretazione è diametralmente opposta alla posizione tradizionale della diplomazia francese. Finora, Parigi ha sempre sottolineato l’implicita inclusione della forza armata nell’espressione “tutti i mezzi” e l’automaticità dell’impegno previsto dall’articolo 42.7 (gli Stati membri “presteranno aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso” a uno Stato membro attaccato). Ciò era in contrasto con la natura non automatica, sottilmente negoziata all’epoca da parte americana, dell’impegno di cui all’articolo 5: se un alleato viene attaccato, ciascuno degli altri Paesi dell’Alleanza “prenderà le misure che riterrà necessarie”, ovviamente “compreso l’uso della forza armata”. Se confermata, questa inversione di rotta nella visione della Francia avrebbe conseguenze di vasta portata per la difesa europea.
Retorica ingannevole
Questo gioco di specchi distorcenti e di nascondino si estende alle espressioni usate, o non usate, per parlare dell’adesione di Svezia e Finlandia all’Alleanza. Il deputato Bourlanges, presidente della Commissione Affari Esteri, contesta persino il termine “allargamento della NATO”[2], che a suo avviso dà un’immagine falsa di un’Alleanza che vuole espandersi. E non riflette adeguatamente il fatto che sono i Paesi che chiedono protezione a “prendere la decisione di aderire all’organizzazione”. Si tratta chiaramente di una battaglia di narrazioni e anche di politica.
Quando si sostiene la necessità di rafforzare la dimensione settentrionale della NATO sulla scia di quello che viene ancora definito il prossimo allargamento, il vantaggio strategico più citato è quello di aggiungere profondità strategica alla difesa del Baltico. Ma dietro a ciò si nasconde una questione molto più ampia: la regione artica. Il corollario è la competizione tra l’UE e l’Alleanza Atlantica. Dopo l’adesione dei due Paesi nordici, sette degli otto Paesi lungo la costa artica saranno membri della NATO, tutti tranne la Russia. L’Unione europea ha formulato la sua politica per la regione nel 2016 e l’ha aggiornata nell’ottobre 2021 da un punto di vista (leggermente) più geopolitico. La NATO, da parte sua, ha avuto difficoltà a definire una strategia per quello che chiama il Grande Nord, ma il rapporto dell’aprile 2021 del Comando per la Trasformazione prevede un ingresso deciso[3]. Di norma, quando un nuovo soggetto o una nuova regione rientra nella sfera di interesse della NATO, gli alleati europei subiscono un’enorme pressione per conformarsi alle priorità stabilite dall’America. Ciò riduce automaticamente il margine di manovra dell’UE.
Certo, secondo le dichiarazioni dei funzionari francesi, l’adesione di Finlandia e Svezia rafforzerà il famoso “pilastro europeo” all’interno della NATO [4], come dimostra il fatto che il numero di Paesi dell’UE passerà da 21 a 23, con la differenza che non sarà più su 30 ma su 32 alleati! D’altra parte, 23 dei 27 Stati membri dell’UE saranno ora anche membri della NATO, con le sole eccezioni di Austria, Irlanda, Malta e Cipro. Per una volta, questo esercizio contabile è importante. Più sono i Paesi dell’UE che non appartengono alla NATO, più c’è motivo di chiedere una separazione tra le due organizzazioni e la possibilità per gli europei di condurre le proprie politiche. D’altra parte, la sovrapposizione sempre più perfetta tra le due mappe serve da pretesto per abolire le barriere tra i due organismi e arruolare l’intera Europa nelle strategie “occidentali” sotto la bandiera della NATO.
Altre bombe ad orologeria
Un “punto inquietante” – per citare il relatore del Senato sulla questione [5] – del memorandum tripartito tra Svezia, Finlandia e Turchia va chiaramente nella direzione del secondo scenario. In cambio della revoca del veto della Turchia nel giugno scorso, i due Paesi nordici “si sono impegnati a sostenere la partecipazione della Turchia alle iniziative di politica di sicurezza e di difesa comune” dell’Unione Europea. L’accesso degli alleati non appartenenti all’UE alla PSDC è sempre stato uno dei temi chiave nei dibattiti transatlantici e un fattore determinante nelle relazioni UE-NATO. Parlando di rischi futuri, meritano attenzione anche altre due questioni: una riguarda le scelte di Finlandia e Svezia, l’altra deriva dal meccanismo stesso di integrazione nell’Alleanza Atlantica.
Il Presidente Putin, che vede Stoccolma e Helsinki come parte del blocco occidentale, ha convenuto che l’adesione è “affar loro”. La linea rossa per Mosca, ha detto, sarebbe il dispiegamento di contingenti e infrastrutture della NATO sul loro territorio, che provocherebbe “una risposta simmetrica”. Tuttavia, secondo le rivelazioni della stampa finlandese, i due Paesi nordici non hanno chiesto esenzioni dalla NATO, a differenza di Danimarca e Norvegia. Il primo ministro finlandese, Sanna Marin, ha ammesso di non aver posto alcuna condizione né sul dispiegamento di contingenti o basi, né sulla presenza di armi nucleari: “Non è nei nostri piani, ma non escludiamo nulla”.
C’è un pericolo più diffuso, ma che è stato osservato nel corso degli anni, nel modo in cui l’appartenenza alla NATO incoraggia il comportamento “free rider”. C’è una grande tentazione di accogliere l’ombrello protettivo americano (la cui durata è un’altra questione) e in cambio offrire solo il minimo indispensabile: eserciti potemkin, partecipazione simbolica alle operazioni, priorità per gli armamenti statunitensi e soprattutto fedeltà politica incondizionata. A lungo andare, lo spirito di difesa si diluisce e il senso di responsabilità scompare. Non a caso il generale de Gaulle decise di ritirare la Francia dalle strutture di comando integrate. Come disse lui stesso: “Ciò che accade nell’integrazione è che il Paese integrato perde interesse per la propria difesa nazionale perché non ne è responsabile. L’Alleanza nel suo complesso perde di conseguenza la sua forza e la sua resistenza”[6] e, per inciso, anche l’intera Europa.
***
[1] Esame e votazione del progetto di legge sull’adesione della Finlandia e della Svezia, Commissione per gli affari esteri, 27 luglio 2022.
[2] Rapporto sull’adesione della Finlandia e della Svezia, di Jean-Louis Bourlanges, Commissione per la difesa nazionale e le forze armate, Assemblea nazionale, 27 luglio 2022.
[3] Strategic Foresight Analysis, Region Perspectives Report on the Arctic, NATO ACT, aprile 2021.
[4] Dichiarazione di Catherine Colonna all’Assemblea nazionale, 2 agosto 2022.
[5] Relazione sull’adesione di Finlandia e Svezia, di Christian Cambon, Commissione Affari esteri, Difesa e Forze armate, Senato, 20 luglio 2022.
[Charles de Gaulle, conferenza stampa dell’11 aprile 1961.
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L’esercito ucraino sta cedendo – Michael Vlahos Compact Magazine
03.08.2023
Un esercito sconfitto e uno distrutto sono due cose diverse. Un esercito semplicemente sconfitto in battaglia può spesso ritirarsi con successo, riformarsi e ricostituire la propria forza, come fece Roma dopo l’umiliazione di Cannae, distruggendo alla fine la sua grande rivale, Cartagine. Ma quando interi eserciti si spezzano, quando perdono la volontà di combattere, anche l’intera nazione può spezzarsi. È quello che è successo ai grandi imperi nella Prima Guerra Mondiale ed è anche il destino che attende l’esercito ucraino.
Come fa una nazione in guerra ad arrivare a un punto in cui i suoi combattenti si rifiutano di combattere?
Parte di ciò che distrugge un esercito è il logoramento, che deriva sia dalle perdite che dai traumi che accompagnano le perdite sul campo di battaglia. Il trauma tra i sopravvissuti li logora. La loro vitalità come forza combattente fuoriesce tanto da coloro che non sono stati colpiti quanto dai feriti, così come continuano a fuoriuscire l’ardore e la speranza, energie da cui dipendono le prestazioni in combattimento.
“Quanto può sopportare un esercito prima di crollare?”.
Quindi, l’attrito è “logoramento”, sia fisico che psicologico. Quanto può essere logorato un esercito prima di crollare? Nell’esercito confederato prestarono servizio circa un milione di persone: 350.000 morirono e altri 200.000 circa furono feriti. Si trattava di un logoramento davvero impressionante – la metà di tutti gli uomini che combatterono – per un esercito che, alla fine, si arrese all’Unione ancora intatto. Il loro capitano si arrese piuttosto che combattere una guerra persa, e i soldati che lo avrebbero seguito all’inferno deposero le armi.
Sempre per contrasto, dal 1914 al 1918, 6 dei 7 eserciti delle grandi potenze si ruppero, provocando ammutinamenti, arrese e rivoluzioni. Le perdite in battaglia furono impressionanti, anche se nessuna si avvicinò all’apocalisse confederata (pari al 5,38% della popolazione del Sud). La Germania perse il 3,1% della sua popolazione, la Francia il 3,6%.
Le perdite, tuttavia, sono solo una parte dell’equazione del logoramento. Con il tempo, prosciugano l’ardore e la speranza che raggiungono il culmine quando la guerra viene dichiarata per la prima volta, prima che venga versato il sangue. Tuttavia, anche un esercito esausto e scoraggiato continuerà a combattere finché i suoi soldati rimarranno impegnati nella causa. Per questo, nella Prima Guerra Mondiale, eserciti che avrebbero subito decine di migliaia di perdite in un solo giorno – la Gran Bretagna ne ha subite 60.000 il primo giorno sulla Somme; l’Italia ne ha perse 350.000 in 17 giorni a Caporetto – hanno in qualche modo continuato a combattere.
Tuttavia, l’impegno si affievolirà e poi fallirà se e quando si verificheranno altri tre fattori. Considerateli come soffi di ritorno negativi, che infiammano la già negativa angoscia del logoramento:
Il primo soffio di ritorno negativo si ha quando una guerra iniziata con grandi speranze sembra improvvisamente non poter essere vinta. Le prime vittorie sono ormai un vecchio ricordo. Si perdono più battaglie di quelle vinte e i costi della battaglia continuano a salire fino alla soglia della sopportazione umana, per poi risalire. Il secondo è quando il sostegno esterno di amici e alleati inizia a svanire. Questo è un fattore negativo particolarmente acuto se il sostegno degli alleati è il fondamento emotivo della fiducia dell’esercito nella vittoria finale. In terzo e ultimo luogo, coloro che hanno iniziato la guerra, coloro che hanno promesso una strada lastricata di vittoria e che hanno giurato che il mondo avrebbe sostenuto l’esercito fino alla vittoria – non importa quanto tempo ci sarebbe voluto – sono sempre più visti come bugiardi e ingannatori. L’esercito, l’intera nazione, è stato tradito dai suoi leader.
Tutto questo si è abbattuto sull’Ucraina nelle ultime sei settimane.
Da quasi un anno non ci sono vittorie, nemmeno sanguinose e debilitanti come nella quarta battaglia di Karkhov. I leader occidentali continuano a professare che il loro sostegno continuerà. Tuttavia, l’Alleanza Occidentale ammette ora di non aver dato agli ucraini abbastanza materiale per ottenere anche modesti guadagni tattici nella loro offensiva sacrificale in corso – e lo sapeva fin dall’inizio. E sempre più spesso i comandanti delle unità ucraine accusano i capi superiori di averli usati semplicemente come carne da cannone per soddisfare i signori della NATO. Non solo plotoni, ma anche unità più grandi si stanno arrendendo alle forze russe. Il morale sta crollando.
Questo è il logoramento che si sta realizzando. Gli imperi caduti nel 1918 – Germania, Austria-Ungheria, Russia e Ottomani – hanno avuto bisogno di quattro anni per arrivare a questo punto. In un terzo di questo tempo, l’Ucraina ha perso il 2,5% della sua popolazione. Questo calcolo equivale a ciò che gli storici sovietici chiamavano “perdite insostituibili”, ossia tutti i soldati che non sarebbero mai tornati nei ranghi.
In realtà, le perdite reali dell’Ucraina potrebbero essere più elevate. Il calcolo delle perdite è un giudizio composito basato su un mosaico di metodologie serie, nonché su incaute ammissioni della NATO, degli ucraini e dei media occidentali, tutte sincronizzate con l’incontestabile misura delle perdite provata nella Prima Guerra Mondiale: la comparazione dei colpi di artiglieria. Ciò ha favorito la Russia rispetto all’Ucraina con un fattore fino a 10 a 1. Se si aggiunge l’inflessibile dedizione delle forze ucraine agli assalti con un alto numero di vittime, e l’altrettanta dedizione della Russia alla “conservazione della forza”, il quadro si presenta del tutto fosco per Kiev. Ora si accumulano nuove prove dell’entità della catastrofe ucraina, provenienti da molti vettori: semplicemente contando i necrologi ucraini o le schede SIM morte.
Ma questo solleva una domanda: Le forze russe sono in condizioni migliori? Sì. Dopo più di 500 giorni, lo sforzo bellico russo beneficia di un numero molto inferiore di perdite irrecuperabili, con un fattore di almeno 5 a 1; la fiducia di tutto l’esercito derivante dalla resilienza nei fallimenti, dal successo nell’adattamento sotto il fuoco e da un’arte operativa in rapida evoluzione; una serie di successi lungo il fronte e un’impennata nello slancio strategico; la sensazione in tutta la nazione che la Russia abbia gli uomini, gli strumenti e l’abilità sul campo di battaglia duramente conquistata per portare a termine il lavoro; e la vista dell’ultimo esercito ucraino, costruito dalla NATO, che brucia davanti ai loro occhi. Ciò che si aggiunge per la Russia, si sottrae all’Ucraina.
Nonostante l’alto numero di vittime dell’Ucraina, alcuni sostengono che la situazione generale sia salvabile. Tuttavia, il bilancio delle vittime è il fattore decisivo, perché le perdite in guerra devono essere confrontate con la salute e la stabilità dell’intera società. L’Ucraina ha quasi il più basso tasso di fertilità al mondo e un grafico di età in salita e in discesa per coorte demografica. In parole povere, gli uomini persi negli ultimi 500 giorni non genereranno una progenie. Ecco perché è importante fare i conti con le “perdite insostituibili” dell’Ucraina. Non sono solo i morti, ma anche i mutilati tra gli uomini che possono far crollare la società. È la spirale in cui è caduta la Francia dopo la Prima Guerra Mondiale: diverse centinaia di migliaia di uomini hanno perso uno o più arti. Ora sappiamo che l’Ucraina è lo specchio dell’orrore francese. 50.000 ucraini hanno perso uno o più arti, quasi come i 67.000 della Germania nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1914, i francesi erano 39 milioni. Nel 1940 erano 39 milioni.
Nel 1994 l’Ucraina contava 52 milioni di persone. Poi è arrivata la catastrofe: Prima i giovani migliori e più brillanti hanno cercato un futuro migliore nell’Unione Europea e in Russia. Poi il terrore dopo il 2014 ha accelerato il deflusso. Ora la guerra ha di fatto allontanato geograficamente metà della popolazione dalla propria terra. All’inizio del 2022 l’Ucraina era una nazione di circa 33 milioni di abitanti. Oggi, un quarto della popolazione del Paese, già ridotta, è fuggito nell’Unione Europea e un altro quarto si trova negli oblast’ ora russi o risiede come nuovo migrante nella stessa Federazione Russa. Con 20 milioni di abitanti, l’Ucraina è un po’ più grande dei Paesi Bassi e un po’ più piccola di Taiwan.
Tuttavia, in termini di perdite per popolazione, le perdite militari ucraine, dopo più di 500 giorni di guerra, si avvicinano a quelle subite dalla Germania nella Prima Guerra Mondiale in più di 1.500 giorni. Si tratta di un tasso di logoramento catastrofico, aggravato da tutti e tre i cicli di retroazione negativa che possono distruggere un esercito e una nazione. Per tutta la primavera e l’estate, le forze ucraine sono state gettate in battaglia e ridotte al suolo. Entro l’autunno, l’esercito combattente sarà esaurito – il tragico destino dell’Ucraina migliore nel 2023. A settembre, ciò che resta si contorcerà e si piegherà verso la rottura, nel vento implacabile della guerra.
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Il 21 luglio, la banca centrale russa ha aumentato il tasso di interesse di riferimento all’8,5%, citando i rischi inflazionistici derivanti da un mercato del lavoro rigido e da una forte domanda dei consumatori. È la prima volta che la banca alza i tassi da oltre un anno e potrebbero essercene altri in arrivo. La mossa arriva pochi giorni dopo che la Russia si è ritirata dall’accordo sul grano del Mar Nero mediato dalle Nazioni Unite perché, secondo Mosca, non ha mantenuto le sue promesse, che includevano la riconnessione di una banca russa al sistema internazionale SWIFT, la riapertura di un gasdotto per l’ammoniaca e la possibilità per le navi russe di attraccare nei porti internazionali.
L’accordo sul grano è stato stabilito alcuni mesi dopo la guerra in Ucraina per garantire che la Russia e l’Ucraina – due dei più importanti produttori di grano al mondo – potessero portare i loro prodotti sul mercato in modo sicuro, contribuendo così a mantenere bassi i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale. Il Mar Nero è fondamentale in questo senso, in quanto rappresenta circa il 30% delle esportazioni globali di grano e il 20% di quelle di mais. Ma la Russia ha iniziato a perdere interesse per l’accordo. La maggior parte delle sue esportazioni di grano sono dirette in Asia e, sempre più spesso, in America Latina, e quindi non hanno bisogno di passare attraverso il Mar Nero. (Il corridoio Nord-Sud, inaugurato di recente, è diventato il primo passo di una rete globale di porti e rotte che consente alla Russia di evitare completamente il Mar Nero). Nel frattempo, Mosca ha motivo di limitare le esportazioni. In questo modo proteggerebbe i consumatori nazionali, correggerebbe gli squilibri del raccolto dovuti a fattori ambientali e alleggerirebbe la pressione sul rublo.
Quest’ultimo punto è fondamentale. Il mantenimento del rublo è il motivo per cui la Russia ha bisogno di mantenere l’accordo sul grano e per cui il collegamento della banca agricola Rosselkhozbank, controllata dal governo, al sistema SWIFT è la richiesta chiave della Russia. Sempre più spesso la Russia si affida allo yuan cinese piuttosto che alle valute occidentali. Secondo l’ultima revisione della stabilità finanziaria della banca centrale, la quota dello yuan nel mercato dei cambi è salita a circa il 40% e nelle operazioni di commercio estero ha raggiunto il 25% per le esportazioni e il 31% per le importazioni nel maggio 2023. Insieme all’aumento della quota dello yuan, anche la quota del rublo nel commercio estero ha continuato a crescere, raggiungendo il 39% delle esportazioni e oltre il 30% delle importazioni.
Questo ha complicato le cose con i tradizionali alleati russi. L’uso prolifico dello yuan, una valuta non liberamente convertibile, ha reso la politica monetaria russa dipendente da Pechino e ha contribuito all’inflazione interna. Nel frattempo, recenti notizie suggeriscono che la debolezza del rublo ha causato problemi in Asia centrale, dove la Russia ha l’imperativo di contribuire a mantenere le popolazioni sicure e stabili.
Tutto ciò spinge Mosca a voler controllare il flusso di dollari ed euro, entrambe valute convertibili. Anche se ci sono banche private occidentali che lavorano in Russia, e anche se ci sono alcune banche russe che sono ancora collegate a SWIFT, non sono controllate dal governo russo. Motivate dal profitto, queste banche manterranno il flusso in entrata e lo utilizzeranno per i loro scopi. Aumentare il tasso d’interesse è praticamente tutto ciò che Mosca può fare per affrontare l’inflazione. Ecco perché vuole ricollegare le sue banche pubbliche a SWIFT attraverso l’accordo sul grano.
Tuttavia, Mosca non è riuscita a convincere l’Occidente ad accettare le sue condizioni e gli ha dato un ultimatum di tre mesi per farlo. Per dimostrare di avere ancora una certa influenza sulle trattative, Mosca ha intensificato gli attacchi ai porti ucraini di Odesa, Mykolaiv e Chornomorsk. (Di recente, secondo i media ucraini, sono stati colpiti anche i porti di Ismail e Reni, entrambi sul Danubio, che rappresentano il primo attacco ai porti del Paese). L’Ucraina ha annunciato che avrebbe trattato tutte le navi dirette ai porti ucraini attraverso il Mar Nero come vettori di carichi militari, ha chiesto nuove esercitazioni militari e ha dichiarato di avere il diritto di bloccare le zone economiche esclusive degli Stati della regione del Mar Nero, anche di quelli della NATO.
Finora Mosca ha bloccato la costa ucraina e, secondo fonti locali, parte della zona economica bulgara, con il pretesto di tenere esercitazioni navali. Affermando di sospettare che tutte le merci dirette verso i porti ucraini trasportino carichi militari a sostegno di Kiev, la Russia afferma di avere il diritto di ispezionare le navi che transitano nel Mar Nero. Questo è probabilmente il motivo per cui la Russia ha bloccato il perimetro all’interno della zona economica bulgara: in modo che le sue navi da guerra potessero fermare le navi commerciali per ispezionarle, considerando che il perimetro è vicino alla costa occidentale del Mar Nero, dove il traffico commerciale navale è ancora attivo da e verso il Bosforo. Non è chiaro cosa farebbe la Russia se una nave commerciale non si fermasse per l’ispezione.
Ciò indica un crescente pericolo per le rotte commerciali essenziali del Mar Nero, che solleva la prospettiva di un’instabilità del mercato globale per qualsiasi cosa, dal petrolio ai prodotti alimentari ai fertilizzanti. I prezzi del grano sono in rialzo da quasi una settimana e le industrie del trasporto marittimo e delle assicurazioni stanno cercando di eliminare l’incertezza del mercato. Il mercato assicurativo dei Lloyd’s di Londra ha già inserito la regione del Mar Nero nella sua lista ad alto rischio. Tuttavia, il 18 luglio, l’assicuratore dei Lloyd’s Ascot ha dichiarato che la struttura assicurativa è in pausa, lasciando aperta la possibilità che la Russia possa rientrare nell’affare del grano. Non è chiaro cosa pensi l’assicuratore dopo giorni di pesanti attacchi alle strutture cerealicole di Odesa e degli altri porti, ma è ovvio che i premi per il rischio di guerra aumentano di giorno in giorno per tutti i corridoi di navigazione nel Mar Nero. La decisione della Russia ha di fatto ripristinato il blocco e trasformato il Mar Nero in una zona ad alto rischio di guerra.
Per l’Ucraina, questo ha costretto a trasportare un’enorme quantità di grano via fiume, strada e ferrovia, tutte vie difficili e costose. Al momento, il principale percorso alternativo per il corridoio del grano da Odesa al Bosforo è il porto rumeno di Costanza, che, come il resto delle infrastrutture rumene, è diventato sempre più importante dall’inizio della guerra. I cereali ucraini vengono spediti alla foce del Danubio e, da Sulina, il carico viene trasportato ulteriormente a Costanza (attraverso il Danubio e i suoi canali) e poi portato sul mercato via mare, ferrovia o strada. Nonostante la Romania abbia modernizzato le sue infrastrutture nell’ultimo anno – circa 2,5 milioni di tonnellate di grano ucraino transitano ora nel Paese, rispetto alle 300.000 tonnellate del marzo 2022 – i problemi logistici abbondano a causa della limitata capacità di trasporto e stoccaggio.
Pur essendo limitata, la Romania potrebbe comunque implementare diversi miglioramenti per espandere il flusso dall’Ucraina e compensare parzialmente il collasso dell’accordo sul grano. Attualmente, a causa del rischio rappresentato dalle mine sottomarine e della mancanza di segnali notturni sul Canale del Danubio Sulina, le navi navigano solo di giorno. Inoltre, il peso medio delle navi che passano per Sulina è di circa 5.600 tonnellate. Introducendo la navigazione notturna, aumentando la capacità delle navi a 15.000 tonnellate, incrementando l’uso della rete ferroviaria e delle strutture portuali di Galati sul Danubio, la Romania potrebbe movimentare fino a 3,5 milioni di tonnellate di grano ucraino in più in media ogni mese. Tuttavia, poiché la capacità di scarico rimarrà sostanzialmente invariata, il risultato potrebbe essere solo una maggiore congestione. Inoltre, con il raccolto annuale appena entrato nella stagione della raccolta, le sfide aumenteranno.
È importante notare che la Russia ha motivi per intensificare gli attacchi nell’Ucraina meridionale indipendentemente dall’accordo sul grano. Mosca preferirebbe ricollegarsi a SWIFT, ovviamente, ma flettere i muscoli militari in un momento di percepita debolezza ha anche un valore politico. Dimostra al popolo russo che le forze armate sono ancora capaci nonostante le battute d’arresto e dimostra all’Occidente che ci sono conseguenze se Mosca non ottiene i suoi risultati.
FDa parte sua, l’Occidente non ha molte risposte praticabili. La Romania e la Bulgaria hanno migliorato le capacità missilistiche antinave costiere, ma sono ancora in ritardo. I ritardi nelle forniture di difesa degli Stati Uniti hanno aumentato la pressione sugli Stati costieri nelle immediate vicinanze dell’Ucraina. La Turchia ha una capacità navale avanzata e in teoria potrebbe collaborare con la Romania e la Bulgaria (tutti Stati membri della NATO) per fornire una scorta armata alle navi commerciali nel Mar Nero. Romania e Bulgaria si stanno coordinando per il controllo delle mine lungo la costa e la NATO potrebbe anche fornire supporto a terra. Tuttavia, la NATO è un’organizzazione militare con una componente politica, in gran parte guidata dagli Stati Uniti. I Paesi del Mar Nero hanno chiesto agli Stati Uniti di adottare una strategia per il Mar Nero, nella speranza che la NATO possa seguirne l’esempio. Lo sviluppo di questo tipo di strategie richiede tempo.
La Russia userà questo tempo a suo vantaggio. Colpire le coste del Mar Nero e le infrastrutture portuali ucraine serve all’obiettivo strategico a lungo termine della Russia: distruggere il settore più produttivo rimasto all’Ucraina, l’agricoltura, che costituisce circa il 40% del PIL ucraino. Ci sono circa 18 milioni di tonnellate di grano immagazzinate nei silos ucraini dall’anno scorso – più della metà della produzione annuale – perché non è stato possibile farle uscire. L’accordo sul grano ha aiutato, naturalmente, così come la creazione di nuove rotte attraverso la Romania e la Polonia, ma non è stato sufficiente.
Il blocco e gli attacchi russi alle infrastrutture portuali rendono improbabile che l’Ucraina sia in grado di trasferire presto la sua produzione sul mercato. Il risultato finale che la Russia vuole ottenere è che l’Ucraina non partecipi al mercato internazionale del grano né quest’anno né nel prossimo futuro. L’incapacità di spostare le eccedenze di grano sul mercato ha già ucciso gran parte dell’attività cerealicola ucraina di quest’anno.
Senza un’industria su cui contare (la maggior parte era situata nelle aree orientali ora occupate dalla Russia) e senza un’agricoltura funzionante, non rimane molto dell’economia ucraina. Anche se l’Occidente promette di aiutare l’Ucraina a ricostruire, non c’è nulla di facile nel processo di ricostruzione socio-economica. Per la Russia, rendere le cose difficili a lungo termine è un modo sicuro per portare Kyiv sotto la sua influenza. La Russia avrà probabilmente problemi propri, quindi la sua pressione su Kiev potrebbe essere meno aggressiva di quanto vorrebbe, ma le sue azioni attuali sono progettate per poter fare pressione su Kiev in seguito, anche se dovesse perdere la guerra cinetica.
Antonia Colibasanu is Senior Geopolitical Analyst and Chief Operating Officer at Geopolitical Futures. She has published several works on geopolitics and geoeconomics, including “Contemporary Geopolitics and Geoeconomics” and “2022: The Geoeconomic Roundabout”. She is also lecturer on international relations at the Romanian National University of Political Studies and Public Administration. She is a senior expert associate with the Romanian New Strategy Center think tank and a member of the Scientific Council of Real Elcano Institute. Prior to Geopolitical Futures, Dr. Colibasanu spent more than 10 years with Stratfor in various positions, including as partner for Europe and vice president for international marketing. Prior to joining Stratfor in 2006, Dr. Colibasanu held a variety of roles with the World Trade Center Association in Bucharest. Dr. Colibasanu holds a master’s degree in International Project Management, and she is an alumna of the International Institute on Politics and Economics at Georgetown University. Her doctorate is in International Business and Economics from Bucharest’s Academy of Economic Studies, and her thesis focused on country-level risk analysis and investment decision-making processes by transnational companies.
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Il colpo di stato in Niger è stato accolto in Europa, in Francia in particolare, con un senso di frustrazione e smarrimento dalle élites dominanti e con un anelito liberatorio di emancipazione dal giogo occidentale da parte degli ambienti di opposizione “sovranista” e “terzomondista”. Ancora una volta il riflesso condizionato di cui sono schiave le élites dominanti, ormai però sempre più arroccate, ha tentato di racchiudere l’evento nello schema fuorviante e strumentale della contrapposizione democrazie/dittature totalitarie. Segno che si vuole rimuovere ancora una volta il fatto che l’introduzione dei regimi democratico-liberali, laddove innestati, in un contesto sociale di natura tribale e clanica, non fa che riprodurre con la forza dei numeri il predominio discriminatorio di clan particolari sugli altri su base tribale. E’ il miraggio che ha ingannato in gran parte a suo tempo le nuove classi dirigenti africane a fine secolo sino a farle ricadere paradossalmente nelle logiche tribali. Segno che si continua, nel mondo occidentale, a glissare per interesse ed ottusità sul fatto che la costruzione di una forma statuale moderna in Africa, rappresentativa della composizione sociale, non può prescindere al contrario da un accordo tra queste componenti e dalla iniziativa di gruppi dirigenti e amministrativi, in primo luogo l’esercito, sul quale costruire un minimo di coesione nazionale. E’ quanto è riuscito a comporre a suo tempo con relativo successo Gheddafi, non ha caso brutalmente e tragicamente estromesso dalla coalizione occidentale nel 2011. Quello, però, è stato solo l’episodio più tragico e dirompente di una politica tuttora perseguita in quel continente dai paesi occidentali, compresa la Francia nell’area francofona. I colpi di stato in Mali, Burkina Faso e, ultimamente, in Niger rappresentano soprattutto una reazione a queste politiche, resa possibile dalla presenza nel continente di numerosi nuovi attori geopolitici in aperta competizione con i tradizionali colonizzatori francesi, inglesi e, in forme diverse, statunitensi; tra di essi senza dubbio la Cina e la Russia, ma anche l’India, la Turchia, Israele e i paesi del Golfo Persico. La presenza russa e cinese, in particolare, poggia su fondamenti politici diversi da quelli occidentali, basati pragmaticamente sull’accettazione dello stato di fatto degli equilibri politici nei paesi africani. Un principio che ha comunque prodotto pesanti attriti in quelle aree, specie con la Cina, nella fattispecie sulla gestione del debito, sullo sfruttamento dei terreni agricoli e sulle modalità di costruzione delle infrastrutture civili; attriti, però, al momento gestibili rispetto al livore suscitato dal retaggio coloniale e neocoloniale dei paesi occidentali. Attriti che le due potenze emergenti sono riuscite sinora a gestire e spesso a risolvere. Sono tutti i paesi occidentali a subire al contrario le pesanti conseguenze di questo anelito emancipatorio; soprattutto, però, la Francia. Se i suoi avversari e nemici dichiarati si sono esposti ormai alla luce del sole in queste dinamiche, non va sottovalutato l’atteggiamento sornione e subdolo degli Stati Uniti, desiderosi di stringere la morsa ed annichilire ogni futura velleità di autonomia dei propri alleati, specie in una prospettiva di confronto multipolare o bipolare. Il Niger ospita la principale base statunitense in Africa e, al momento, gli strali più duri della nuova giunta sono indirizzati alla Francia.
La brama di emancipazione e sviluppo tra i paesi africani è comunque indubbia, come pure l’esigenza di stabilizzazione dei regimi e delle società. Trova alimento ed occasioni nella presenza competitiva di numerose potenze emergenti impegnate ed interessate al continente. Può contare sul diverso approccio offerto da queste rispetto al tradizionale impegno occidentale. Sia la Cina che la Russia puntano piuttosto alla accettazione della situazione interna a quei paesi che ad una azione destabilizzatrice. Influisce certamente la tradizione diplomatica e il retroterra culturale di quei paesi, diversi da quelli occidentali a matrice anglosassone e transalpina. Il protrarsi di questa linea di condotta nel futuro prossimo, più che dal bagaglio culturale e dalla tradizione diplomatica, dipenderà dalle dinamiche geopolitiche interne a quel continente, dall’atteggiamento del mondo occidentale e, principalmente, dalla capacità di conduzione di linee politiche autonome ed indipendenti delle élites locali africane.
Queste hanno visto nell’andamento del conflitto ucraino, nella capacità russa di fronteggiare sul campo la NATO e gli Stati Uniti, nell’alternativa economica, ma sempre più politica, della Cina l’esempio di azione e la possibilità di aprire varchi anche con toni insolenti e spavaldi.
I paesi africani hanno già conosciuto questo potente anelito; ma al successo militare contro le potenze coloniali, non ha fatto seguito nella maggior parte dei casi il conseguimento di una effettiva indipendenza politica ed economica e la costruzione di regimi statuali solidi.
Una eccessiva baldanza ed una eccessiva fiducia verso gli agenti esterni, piuttosto che sulle proprie capacità di ricomposizione e di sviluppo rischia di farli ricadere nello stesso errore e ridiventare terreno di contesa di forze esterne.
Al momento sono i paesi occidentali a guida americana ed alcuni paesi arabi a riproporre in Africa politiche di istigazione alla frammentazione e conflittualità clanica e tribale, gli uni sotto la maschera del diritto individuale, gli altri dell’adesione confessionale. E’ giusto, quindi, che siano il bersaglio principale degli strali. Han voglia, anche alcuni ambienti critici francesi, come sottolineato nel secondo articolo, a lamentare l’ingratitudine degli africani ai servigi offerti dalla Francia. Il poco che le élites francesi hanno saputo offrire alle colonie non è stato un atto di generosità e, soprattutto, è venuto meno con la concentrazione degli investimenti e degli interessi economici occidentali verso la Cina, la quale ha saputo par altro farne ottimo uso. Esattamente la stessa dinamica realizzata dagli Stati Uniti con il Messico e l’intero Sud-America.
Il futuro dei paesi africani, delle Afriche, la loro emancipazione dipende dalla capacità di individuare e praticare i propri interessi e le proprie possibilità di sviluppo in un quadro di coesione sociale praticabile, di una politica demografica assennata e di impostare su di essi le indispensabili relazioni internazionali.
L’Italia avrebbe, in realtà, ancora delle carte residue da giocare sull’onda del credito accumulato negli anni ’60/’70 nel Mediterraneo esteso e nel Nord-Africa. Le sue attuali élites, si fa per dire, e l’attuale Governo Meloni, in buona sintonia con i precedenti, avrebbero alternative concrete da seguire. Lo aveva messo sul piatto Trump a suo tempo, lo ha dimostrato sul campo la Turchia di Erdogan.
Giorgia Meloni ha scelto di spendere questo credito residuo come cortina fumogena di disegni altri e in qualità di mosca cocchiera delle strategie avventuriste e guerrafondaie dei neocon-progressisti statunitensi e dei lirici europeisti al seguito.
Il “piano Mattei” di suo conio è un insulto alla memoria di quella figura. Rappresenta l’icona dietro la quale un intero paese sarà trascinato volente o nolente in questo scacchiere. Lo abbiamo ribadito più volte e in tempi non sospetti. Con quale modalità, per fare cosa, con quali conseguenze saranno gli altri a deciderlo; a meno di improbabili sussulti o eventi catastrofici, a questo punto auspicabili, nella “terra madre”.
Nel frattempo il Senato della Nigeria ha respinto l’opzione militare contro il Niger. La posizione non è ancora ben definita, ma è evidente che se vorranno intervenire, dovranno farlo probabilmente senza maschere. Gli Stati Uniti hanno inviato in Benin già tre giganteschi C17 carichi di materiale e truppe; hanno chiesto già conto al Presidente nigeriano, favorevole all’intervento, dei ritardi organizzativi dell’operazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario
UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?
Macron non si è accorto di nulla con il Niger o, come al solito, ha chiuso un occhio?
Editoriale di Gilles La-Carbona: Segretario nazionale del RPF
La repentinità dell’evento potrebbe indurre a pensare che si tratti della prima ipotesi, ma ancora una volta l’evidenza è ingannevole. In realtà, ciò che sta accadendo in Niger è semplicemente la logica prosecuzione di un processo sostenuto da anni da una politica estera deplorevole, ma accelerato dallo stesso Macron e dalla sua arroganza, costante fonte di disastri diplomatici.
Éléments magazine – Bernard Lugan: “La Françafrique è una leggenda!
Il Niger non si è trasformato in un colpo solo, conquistando tutti i presenti al Quai d’Orsay. Il 21 marzo 2023, Bernard Lugan, specialista dell’Africa, aveva previsto a casa di Bercoff quello che è appena successo, e allora perché non gli avete dato retta? Semplicemente perché va controcorrente rispetto alla doxa di Macron. Come spiega molto chiaramente, “se i nostri attuali funzionari, che sono specialisti, facessero più etnografia invece che ideologia, e se leggessero autori antichi, la Francia eviterebbe di commettere errori”. Ma Macron non apprezza le competenze e non si circonda né di intelligenza né di conoscenza.
Il suo tour in Africa è stato un fiasco, come tutto quello che fa, e anche in questo caso i media bugiardi e sovvenzionati lo hanno coperto, preferendo tenere la verità per sé ed evitare analisi approfondite, per non dover dare l’allarme. Sempre per compiacere, per conservare il denaro pubblico che li sostiene, a spese della realtà. Le menzogne sono ovunque e la verità non si trova da nessuna parte, a meno che non venga bollata come tale da queste agenzie statali. L’Africa vuole emanciparsi, ma rimane impantanata nei suoi problemi economici, etnici e religiosi, nella corruzione e nella dipendenza permanente dalla tecnologia e dagli aiuti occidentali. I cinesi e i russi stanno cercando di sostituire i francesi e gli americani sul campo. Tutto questo fa parte di una schizofrenia che vorrebbe che i francesi abbandonassero l’Africa, mentre molti giovani africani sognano di venire in Europa e in particolare in Francia.
Il recente colpo di Stato in Niger potrebbe essere il primo domino a infrangere le illusioni di potere che persistono, soprattutto per la Francia. La decisione di vietare l’esportazione di uranio e oro in Francia dovrebbe essere un test, perché Macron avrà solo due opzioni: ritirarsi in silenzio e rimpatriare i 1.500 soldati, oppure intervenire. Lui, che sogna la guerra, opterà per la seconda, ma a quale scopo? Burkina Faso, Mali e Mauritania hanno già avvertito che entreranno in guerra a fianco del Niger per difendere i suoi interessi in caso di tentativo di intervento armato straniero. Data la nostra forza militare, non abbiamo più riserve di munizioni, poco equipaggiamento perché destinato all’Ucraina, e le nostre capacità di trasporto e di rifornimento delle truppe sono ridotte al minimo, dato che affittiamo aerei cargo dalla Russia per le nostre proiezioni. I nostri 1.500 soldati faranno fatica a sostenere un conflitto che coinvolge quattro Paesi, magari appoggiati da aziende private. E non dimentichiamo che un altro dei nostri fornitori di uranio è la Russia.
Il resto del mondo si sta svegliando di fronte all’arretramento senza precedenti dell’Occidente, che non è più in grado di imporre altro che vincoli e prepotenze infinite alla propria popolazione. Un fallimento militare in Niger sarebbe una doccia fredda per Macron, oltre che un vestito adatto a lui.
Relazioni Africa-Francia: perché la Francia deve affrontare tanta rabbia in Africa occidentale – BBC News Afrique
La Francia viene espulsa ovunque in Africa e dietro questo rifiuto c’è tutta l’Europa. La domanda è: come si è arrivati a questo? Ripetendo che possiamo essere forti solo in alleanza con altri, abbiamo perso la nostra sovranità e il nostro potere. La formula era valida solo finché la coalizione europea rappresentava qualcosa di serio, una paura reale. Ma la guerra in Ucraina ha rivelato le debolezze della NATO. Circa 50 Paesi non sono riusciti a far indietreggiare la Russia, immaginate se fossimo stati da soli. La Francia non poteva più essere soddisfatta di se stessa, non era nulla secondo le nostre politiche, e doveva fondersi in tutta una serie di organizzazioni favolose senza le quali non potevamo esistere. Questo discorso disfattista conteneva i semi della decadenza. I media lo hanno propagato con forza. Il risultato è lì, non ancora accettato dai nostri cacicchi, ma la realtà dovrebbe aprire loro gli occhi. Coloro che in Francia si ostinano a pensare che dobbiamo dipendere dagli altri per far sentire la nostra voce o per sopravvivere, si sbagliano e ripetono inconsciamente la stanca formula di dire che se le cose andavano male in Francia era perché avevamo bisogno di più Europa. Ora dipendiamo totalmente dalla Commissione europea e nulla va per il verso giusto.
La realtà, tuttavia, è che non possiamo perseguire grandi disegni portando avanti le politiche che conosciamo bene, distogliendo le nostre entrate dalle missioni essenziali. Le nostre risorse sono tutte concentrate sul mantenimento di uno Stato obeso ma in crisi, che sperpera denaro in controsocietà di periferia, in coperture sociali malversate, in molteplici sussidi a organizzazioni con missioni e risultati oscuri e in pessimi piani industriali, che non sono altro che trasferimenti mascherati di denaro pubblico a interessi privati.
L’RPF è favorevole a un vero e proprio audit delle finanze pubbliche. È stato stimato che quasi 40 miliardi di euro sono stati spesi per agenzie fasulle che ingrassano gli amici dei politici e non aggiungono alcun valore. Se a questo si aggiungono i milioni regalati alla stampa, i miliardi persi per sostenere la pletora di dipendenti pubblici europei, l’evasione fiscale per oltre 150 miliardi, le frodi sociali per diverse decine di miliardi, i regali di Macron all’Ucraina e ai vari Paesi che ha visitato, i miliardi generosamente elargiti alle società di consulenza, si ottiene una somma sufficientemente grande per riorientare il bilancio dello Stato e smettere di pensare che la Francia sia solo un piccolo Paese che non riesce a farcela da solo. La Svizzera lo fa bene. Questi temi potrebbero essere ripresi dalle opposizioni, che però sembrano più interessate a vietare tutto ciò che potrebbe mettere in discussione la retorica sul cambiamento climatico o la tassazione degli alloggi ammobiliati per le vacanze, che ad affrontare i problemi reali.
L’AFRICA IN EBOLLIZIONE (Patrick Becquerelle)
Da diversi anni siamo spettatori di conflitti sia nel nostro Paese che all’estero. La Francia sembra essere nel mirino di diversi Paesi africani. Ecco una riflessione di Patrick Becquerelle basata sulla rivolta nigerina.
Françafrique
Questo continente ricco di materie prime è costantemente dilaniato.
Gli africani rimproverano agli occidentali, soprattutto ai francesi, il loro colonialismo.
Il Mali, il Maghreb e ora il Niger, insieme a molti altri, ci odiano.
Eppure tutti questi popoli si dirigono a flusso continuo verso una Francia “egemonica”.
Ma come è possibile che questo continente dalle innumerevoli risorse sia ancora così
in tale disordine?
C’è da chiederselo quando si vede il numero di africani che vengono a studiare soprattutto in Francia e non tornano mai in patria per trasmettere le conoscenze acquisite ai loro paesi.
Medici, avvocati, scienziati, ingegneri, funzionari pubblici, soldati, ecc.
Oggi si alternano per estrometterci con odio dai loro Paesi.
Eppure la Francia ha permesso loro un certo grado di autonomia, fornendo loro ottime infrastrutture e formando dirigenti che purtroppo non hanno alcuna voglia di costruire una bella Africa.
Non perderebbero il loro patriottismo venendo in Francia?
Perché non lottano per sviluppare il loro Paese?
Noi diamo loro i mezzi per farlo.
In segno di gratitudine, preferiscono trasporre il loro spirito guerriero, l’odio per i francesi e il bellicoso comunitarismo, grazie alla vigliaccheria dei nostri politici.
Ancora una volta, l’Africa sarà il bersaglio della barzelletta, ma la colpa sarà solo sua.
Avrà solo se stessa da incolpare
2 attori/predatori stanno arrivando nel loro continente
-la Russia, con i suoi mercenari wagneriani
-la Cina, con le sue notevoli risorse, soprattutto in termini di potenziale umano.
La tanto criticata egemonia francese impallidisce di fronte a questi due giganti, il cui appetito sarà difficile da contenere il loro appetito bellicoso.
Ancora una volta si dirigono verso la colonizzazione, ma questa volta è più invasiva e priva di qualsiasi democrazia.
La Francia deve, con i mezzi diplomatici e mediatici a sua disposizione, far capire loro che questi due Stati non hanno posto nel mondo. Hanno un solo obiettivo, quello di appropriarsi delle loro ricchezze perché non hanno un contrappeso democratico.
Non rispetteranno né i loro costumi né le loro religioni e non tollereranno alcuna immigrazione nei loro territori.
Dobbiamo ricordare loro questo:
-che le loro scelte avranno gravi conseguenze diplomatiche, finanziarie e migratorie.
-Che molti soldati francesi hanno dato la vita per proteggerli e che non è stato solo per loro stessi e che non è stato solo per il proprio bene.
-Che è un’adulta e che dovrà fare le sue scelte!
PIANO MATTEI, SOVRANISTI FINTI E ALTRE PRESE IN GIRO, di Elena Basile
La parola inglese accountability rende bene il significato di quel che è stato perso nella vita politica italiana. Potrebbe essere tradotta con una perifrasi: “assumersi la responsabilità e dare conto del proprio operato”.
Al cittadino appare chiaro che i politici, le istituzioni, persino i giornalisti e gli operatori culturali sono liberi da un tale fardello essenziale alla civiltà liberale e democratica.
Gli esempi potrebbero essere tanti. I giornalisti che avevano previsto il crollo economico della Russia e un cambio di potere a Mosca pontificano sulla probabile sconfitta militare della Russia, per nulla imbarazzati dalle loro precedenti errate previsioni. Romanzi premiati e pompati dal mercato non rispondono a volte ad alcun requisito letterario, ma le macchine della pubblicità, i critici, le case editrici e gli amichetti continuano indisturbati a distruggere la cultura. Il governo della destra “sovranista” di Meloni attua un programma in politica estera e in Europa che avrebbe potuto essere del Pd e del centrosinistra. Gli elettori restano fedeli nella sconcertante convinzione che la presidente non ha alternative se vuole restare al potere.
Le decisioni sono prese altrove. La finanza, le grandi multinazionali tirano i fili delle marionette politiche. Le indagini sociologiche serie hanno illustrato come il presidente degli Stati Uniti sia eletto grazie all’accordo di tali poteri forti.
Non c’è nulla di automatico e deterministico. L’azione umana è piena di imprevisti. Ma, come l’assenza di partecipazione alla politica se non per interessi settoriali e la stessa astensione dal voto dimostrano, si è rotto quel filo che fino agli anni 80 ha legato società civile e istituzioni.
Prendiamo la politica mediterranea. Diplomatici e nuovi pennivendoli si affannano a illustrare il cosiddetto Piano Mattei. Senza pudore si utilizza un nome mitico. Enrico Mattei si rivolta nella tomba. Il grande imprenditore, che ha pagato con la propria vita il coraggio di perseguire l’interesse nazionale contro quello delle “sette sorelle”, il fine politico che ha creduto nel bene comune di Stati mediterranei e africani, viene strappato alla memoria collettiva e strumentalizzato per le carnevalate odierne. La presidente del Consiglio (ma Draghi o altri di centrosinistra non avrebbero fatto diversamente) si genuflette alle richieste militari ed economiche statunitensi, rinuncia agli interessi commerciali italiani nei rapporti con Pechino, elemosina senza ottenere una politica del Fmi diversa nei confronti della Tunisia, e nomina senza alcun pudore Enrico Mattei per riferirsi al piano energetico tra Italia e l’Africa fornitrice di energia. Nessun giornalista o economista si dà la pena di spiegare come mai decenni di politica mediterranea europea (dal processo di Barcellona 1995 all’Upm 2008) siano falliti nonostante gli sforzi di partnership egualitaria, di codecisione, di approccio olistico e non settoriale. Qualche brillante collega addirittura sostiene che la Nato, data la menzione del Fianco Sud nel prolisso e illeggibile comunicato finale a Vilnius, aprirà le porte a una cooperazione differente con i Paesi nordafricani. Mattei, a partire dal 1958, aveva stipulato con l’Urss accordi energetici favorevoli allo sviluppo economico italiano contro l’oligopolio delle multinazionali. Il governo italiano strumentalizza il suo nome mentre si lega mani e piedi all’energia statunitense venduta a caro prezzo e a frammentate fonti di approvvigionamento con dittature di umore instabile.
Il cittadino ,nel leggere alcuni giornali, prova un terribile senso di presa in giro. Mieli realizza buoni programmi televisivi, recentemente una ricostruzione storica della rivoluzione cubana. Ci propina tuttavia articoli in cui racconta la fine dell’accordo sul grano come una decisione unilaterale del lupo cattivo. Dimentica di elencare le condizioni previste dall’accordo e non realizzate a partire dalla mancata revoca delle sanzioni sui pezzi di ricambio delle macchine agricole russe fino alla negata adesione della banca russa agricola al sistema di pagamenti Swift. Tace sulle percentuali di grano esportate (80% ai Paesi europei, 3% agli africani) che secondo l’Oxfam non risolverebbero i problemi dei Paesi emergenti, ma contribuirebbero a limitare l’inflazione di generi alimentari nei Paesi ricchi.
Quanti intellettuali e rappresentanti istituzionali si prestano a questi giochi in malafede con appelli moralistici a favore dei Paesi emergenti smarrendo la visione oggettiva di quanto accade sulla scena internazionale? La sensazione sconcertante è che le élite al potere in Europa e i loro ‘cani da guardia” abbiano venduto l’anima e che la politica come l’economia e la cultura siano soltanto tecnica. Viviamo ormai in un eterno Barbie, film di visualità sublime privo di contenuti e con uno script demenziale.
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Il conflitto sta sempre più assumendo quelle caratteristiche di una guerra di logoramento ed annichilimento che l’esplicita indicazione delle condizioni russe di un accordo lasciava presagire. Sempre più è l’intero territorio ucraino ad essere coinvolto; sempre più probabile che dal conflitto ne uscirà uno stato ridimensionato nei suoi confini e prostrato nelle sue condizioni. Un regime orai sempre più ostaggio dei propri mentori e delle proprie ambizioni scioviniste del tutto disconnesse dalle sue reali capacità operative autonome. Il conflitto ucraino sta svelando al mondo che la NATO a guida statunitense non è invincibile, anche in campo aperto. Una perdita di autorevolezza che muoverà vorticosamente le attuali dinamiche geopolitiche. Giuseppe Germinario il sito www.italiaeilmondo.com ha aperto un canale telegram con una ampia disponibilità di filmati oltre ai consueti articoli ed interviste https://t.me/italiaeilmondo
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Riproponiamo un articolo di Luigi Longo già apparso nel 2017 sul sito, ma ancora attuale alla luce di quanto sta emergendo sulla politica delle infrastrutture portata avanti dal governo italiano. Giuseppe Germinario
L’AMERICANIZZAZIONE DEL TERRITORIO
(appunti per una riflessione)
di Luigi Longo
Gli Stati Uniti appaiono, nel mondo di oggi, una realtà onnipresente: non solo essi sono una delle superpotenze da cui dipende l’avvenire dell’umanità (e, invero, data la terrificante capacità distruttiva delle
armi moderne, la sua stessa esistenza): ma le teorie scientifiche, i processi tecnologici, i condizionamenti culturali, i modelli di comportamento americani penetrano, per il bene come per il male, tutta la nostra vita, influenzandola assai più di quanto comunemente non appaia.
Raimondo Luraghi
In questo dopoguerra non si capisce più niente, questi americani hanno cambiato tutto […] questi americani ne combinano di tutti i colori.
Antonio de Curtis (Totò)
[…] non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre in abbondanza tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, vivono popoli la cui vita si svolge nella mitezza presso cui la coercizione e l’aggressione
sono sconosciute. Posso a stento crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri delle comunità. Io la ritengo una illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde non si tratta, come Ella stessa [ Einstein, mia precisazione] osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra.[…] finché gli Stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri Stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra.
1.Una strategia d’attacco. Questo scritto vuole ragionare sul fatto che gli Stati Uniti d’America (USA) stanno sviluppando una strategia d’attacco per bloccare il loro declino di potenza mondiale egemonica e fermare il consolidamento di nuove potenze mondiali (Russia e Cina, in particolare). Così afferma Zbigniew Brzezinski “Nel sistema unipolare ereditato dagli Stati Uniti dopo la fine della guerra fredda, le decisioni prese a Washington determinavano l’agenda internazionale, dopo 23 anni il contesto è cambiato e quel sistema oggi è giunto alla fine e non potrà più ristabilirsi per tutto il tempo che sarà destinato alla prossima generazione […] Nelle attuali condizioni nessuna delle superpotenze può ottenere l’egemonia mondiale, motivo per il quale gli USA devono scegliere meglio i conflitti ai quali partecipare, visto che le conseguenze di un errore potrebbero essere devastanti […] per gli Stati Uniti è arrivato il momento di comprendere che il mondo contemporaneo risulta molto più complicato ed anarchico di quanto lo fosse negli ultimi anni della guerra fredda, tanto che l’accentuazione dei nostri valori così come la convinzione della nostra eccezionalità e l’universalismo, sono da considerare quanto meno prematuri da un punto di vista storico”.2
La strategia d’attacco è a tutto mondo3 con particolare riguardo alla Russia che è ancora la seconda potenza militare mondiale e detiene un buon arsenale militare (soprattutto nucleare) risultato della corsa agli armamenti dell’ex URSS, la potenza mondiale dell’altro ex campo del << socialismo irrealizzato>>.
L’Europa (senza distinguere l’Europa come regione geografica comunemente considerata un continente, dall’Unione europea che comprende 28 paesi membri, da quella dell’eurozona che è l’insieme di 18 stati membri dell’Unione europea che hanno adottato l’euro come valuta ufficiale) assume un ruolo fondante per le strategie americane di penetrazione nei territori del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Est4.
L’Italia, in particolare, svolge una duplice funzione – verso i territori del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Est – sia per quanto riguarda la sua posizione geografica e il suo territorio occupato da basi strategiche USA e USA-NATO5, sia per quanto concerne il suo ruolo di contrasto nell’Unione Europea6 per qualsiasi serio tentativo di costruzione di una minima politica di autonomia7. E’ bene ricordare che non esiste una Europa di nazioni fondate da popoli che si autodeterminano ma di fatto l’Europa si configura come uno spazio geografico incardinato sugli USA e i tatticismi di alleanze di fase, come potrebbe essere il tentativo della costruzione di un asse sostanzialmente geo-economico più che geo-politico tra Parigi-Berlino-Mosca8, lo stanno a dimostrare.
E’ a partire da questa riflessione che leggerò il processo di americanizzazione del territorio italiano ed europeo come l’elemento fondante e strategico della politica egemonica9 americana che pervade anche i territori delle ri-nascenti potenze mondiali, come per esempio la Cina che, per dirla con David Harvey,<< In qualche modo […] imita quello del secondo dopoguerra negli Stati uniti, in cui il sistema di autostrade interstatali, che ha integrato il nord e il sud, e lo sviluppo delle periferie hanno svolto un ruolo cruciale nel sostenere insieme l’occupazione e l’accumulazione capitalistica[…] Anche la strategia degli investimenti in Cina rischia di avviare un percorso parimenti creatore di diseguaglianza. Un treno ad alta velocità fra Shangai e Pechino serve alla comunità degli affari e alla borghesia medio-alta, ma non rappresenta un sistema di trasporto economico che possa riportare a casa per il capodanno cinese i lavoratori provenienti dalle campagne (e non solo, mia precisazione). Allo stesso modo, grattacieli a uso abitativo, comunità recintate, campi da golf per i ricchi e centri commerciali di lusso non aiutano certo a ricostituire una vita quotidiana dignitosa per le masse impoverite.>>10
Gli USA sono una nazione con un forte potere politico, economico, scientifico – tecnologico e culturale ( sono i “quattro settori decisivi del potere mondiale”); hanno l’egemonia in tutte le istituzioni mondiali (le agenzie della governance mondiale: FMI, Banca mondiale, WTO, Nato, eccetera)11; detengono una indiscutibile supremazia militare mondiale12 con la quale creano “desolazione e la chiamano pace”; posseggono una agguerrita e spregiudicata classe dirigente dominante ( gli agenti strategici) figlia di quel grande evento che fu la Guerra civile che << […] era stata un fenomeno importantissimo sì, ma non solo americano. La sua portata mondiale nacque dal fatto che essa fu la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea, il prodromo mal studiato e incompreso dei due conflitti mondiali in cui naufragò quel“ mondo di nazioni” la cui comparsa aveva segnato l’inizio dell’età moderna.>>13; nutrono la convinzione di espandere la pace, la democrazia e la libertà nel mondo ed hanno <<[…] l’arroganza di essere il portatore di una civiltà superiore garantita addirittura da un mandato divino che legittima con la sua elezione inverificabile questa pretesa di superiorità.>>14.
La ramificazione e l’innervamento mondiale del modello economico, sociale, politico, culturale e ideologico degli USA creano enormi vantaggi strategici e di posizionamento nella fase multipolare (lentamente avviata) e nella fase policentrica (nelle accezioni lagrassiane) per la sua ri-affermazione, con un nuovo modello sociale e territoriale scaturito dall’ordine del caos15, a potenza egemone mondiale.
2. La prepotenza americana. Nel 1934 così scriveva Antonio Gramsci:<< Ma il problema non è se in America esista una nuova civiltà, una nuova cultura, sia pure ancora allo stato di << faro >> e se esse stiano invadendo o abbiano già invaso l’Europa: se il problema dovesse porsi così, la risposta sarebbe facile: no, non esiste ecc., e anzi in America non si fa che rimasticare la vecchia cultura europea. Il problema è questo: se l’America, col peso implacabile della sua produzione economica (e cioè indirettamente) costringerà o sta costringendo l’Europa a un rivolgimento della sua assise economico-sociale troppo antiquata, che sarebbe avvenuto lo stesso, ma con ritmo lento e che immediatamente si presenta invece come un contraccolpo della << prepotenza >> americana, se cioè si sta verificando una trasformazione delle basi materiali della civiltà europea, cioè a lungo andare (e non molto lungo, perché nel periodo attuale tutto è più rapido che nei periodi passati) porterà a un travolgimento della forma di civiltà esistente e alla forzata nascita di una nuova civiltà [ corsivo mio].
Gli elementi di << nuova cultura >> e di << nuovo modo di vita >> che oggi si diffondono sotto l’etichetta americana, sono appena i primi tentativi a tastoni, dovuti non già a un << ordine >> che nasce da una nuova assise, che ancora non si è formata, ma all’iniziativa superficiale e scimmiesca degli elementi che incominciano a sentirsi socialmente spostati dall’operare (ancora distruttivo e dissolutivo) della nuova assise in formazione. Ciò che oggi viene chiamato << americanismo >> è in gran parte la critica preventiva dei vecchi strati che dal possibile nuovo ordine saranno appunto schiacciati e che sono già preda di un’ondata di panico sociale, di dissoluzione, di disperazione, è un tentativo di reazione incosciente di chi è impotente a ricostruire e fa leva sugli aspetti negativi del rivolgimento. Non è dai gruppi sociali<< condannati >> dal nuovo ordine che si può attendere la ricostruzione, ma da quelli che stanno creando, per imposizione e con la propria sofferenza, le basi materiali di questo nuovo ordine: essi << devono >> trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità [corsivo mio] >> >>16
Ho riportato questo passo dell’”Americanismo e Fordismo” di Antonio Gramsci perché rappresenta, letto con gli occhiali del lagrassiano conflitto strategico, una visione d’insieme degli agenti strategici egemonici delle diverse sfere della società a modo di produzione capitalistico americana; Antonio Gramsci già vedeva gli USA come la potenza mondiale che con la sua egemonia avrebbe modellato la vita sociale complessiva dell’occidente capitalistico; oggi, possiamo storicamente affermare che essi sono la potenza mondiale vincitrice dello scontro con il blocco cosiddetto comunista rappresentato dall’ex URSS; ma l’illusione di essere diventati l’unica potenza mondiale egemonica è durata quasi un decennio, per gli strateghi dell’“arte criminale” degli agenti dominanti che hanno espresso presidenti come Bill Clinton e George W. Bush.
Il passo surriportato supera la logica economicistica che lo stesso Antonio Gramsci fa poco prima nel descrivere le trasformazioni territoriali ( città e campagna) funzionali al sistema produttivo fordista << […] è stato relativamente facile razionalizzare la produzione e il lavoro, combinando abilmente la forza (distruzione del sindacalismo operaio a base territoriale) con la persuasione (alti salari, benefizi sociali diversi, propaganda ideologica e politica abilissima) e ottenendo di imperniare tutta la vita del paese sulla produzione. L’egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quantità minima di intermediari professionali della politica e dell’ideologia >>17
Secondo me occorre ripartire da questo salto gramsciano-lagrassiano per capire il processo di americanizzazione del territorio. Occorre, cioè, una visione dell’insieme della società americana( a partire dalla interpretazione che il grande americanista, Raimondo Luraghi, dà della guerra civile americana come “la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea”) che, attraverso i suoi agenti strategici dominanti, è riuscita a modellare un nuovo sistema sociale egemonico a livello mondiale (un sistema che per carenza di ricerca teorica, pratica e pratica teorica e politica multidisciplinare, continuiamo a chiamare capitalismo18) attraverso l’”arte criminale” della forza ( due guerre mondiali, una guerra fredda e una strategia d’attacco a tutto mondo) e della persuasione, per dirla con l’autore del saggio anonimo pubblicato a Canton nel 1836, perchè << […] al momento non c’è probabilmente criterio più infallibile del grado di civiltà e progresso delle società dell’abilità che ciascuna di esse ha raggiunto nell’”arte criminale”, la perfezione e la varietà dei loro mezzi per la reciproca distruzione e la perizia con cui hanno imparato a usarli >>19
Voglio dire che il suddetto salto apre a re-interpretazioni nuove riguardanti lo sviluppo economico, sociale e territoriale dell’Europa, in generale, e, in particolare, dell’Italia, soprattutto se inquadrate nelle diverse fasi del sistema mondiale capitalistico ( monocentrico, multipolare, policentrico) che sono state lette prevalentemente in una logica economico-sociale20 che privilegiava gli aspetti della produzione, riproduzione e ristrutturazione dei processi produttivi capitalistici ( taylorismo, fordismo, informatizzazione) dove il profitto è letto come l’obiettivo fondante e prioritario con le sue conseguenze sul territorio inteso come spazio omogeneo e vuoto21; nel salto gramsciano-lagrassiano, invece, il sistema sociale d’insieme è interpretato come il conflitto politico, prevalentemente tra agenti strategici pre-dominanti e sub-dominanti, nelle diverse sfere22 che compongono la società tutta, per il potere-dominio e non il profitto che resta fondante ma non prioritario23 per gli stessi agenti che gestiscono, attraverso le articolazioni dei luoghi istituzionali (flessibili o statici), in una situazione di equilibrio dinamico, la società a tutti i livelli ( nazionale e mondiale) con conseguenze sul territorio, inteso come interconnessione tra le relazioni sociali storicamente date e le relazioni naturali; in questo senso i territori sono visti nell’insieme della loro storia economica, politica, sociale e culturale. Le istituzioni (senza proporre qui un’analisi sulla creazione delle istituzioni24) sono i luoghi pubblici territoriali, con diversi pesi gestionali e decisionali, dove materialmente i decisori strategici egemonici realizzano i loro indirizzi di dominio. Le istituzioni sono parti integranti delle strategie dei gruppi dominanti non luoghi esterni alle strategie degli agenti strategici. Con questo non voglio dire che le decisioni strategiche dei gruppi dominanti vengono presi solo nei luoghi istituzionali, esse vengono prese anche nei luoghi esterni. Ma è nei luoghi istituzionali che si esplica prevalentemente il potere egemonico << […] la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come “dominio” e come “direzione intellettuale e morale”. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a “liquidare” o a sottomettere anche con la forza armata ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche “dirigente”>>25.I luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, sono luoghi dove ideologicamente (nell’accezione negativa del termine) si espleta la politica dell’interesse generale del Paese26. Il velo dell’interesse generale nasconde i reali interessi del blocco sociale egemone, formato dalla sintesi unitaria degli agenti strategici delle varie sfere sociali, che esplica il dominio sulla società in una condizione di equilibrio dinamico. Così parlò il Re di Brobdingnag a Gulliver << Avete dimostrato con molta chiarezza che quello che si richiede a un vostro legislatore è una buona dose di ignoranza, pigrizia e vizio. Che le vostre leggi sono spiegate, interpretate e applicate da coloro che hanno l’interesse e l’abilità di pervertirle, confonderle, eluderle. Vedo, sì, nella vostra costituzione, qualche aspetto che poteva essere tollerabile, ma ormai è quasi cancellato e la corruzione ha macchiato e deturpato tutto il rimanente >>27.
Le trasformazioni territoriali entrano nei disegni di supremazia degli agenti strategici delle potenze mondiali dominanti ed emergenti e il loro uso si diversifica, assume aspetti prioritari a seconda delle strategie di dominio della fase complessiva mondiale28, non dimenticando che<< la continua ridefinizione del paesaggio geografico del capitalismo è un processo violento e doloroso >>29. Intendo dire che nella fase monocentrica mondiale, quando c’è un coordinamento sia pure non perfetto (non è un teorema geometrico!) di una potenza mondiale, le sfere politico-istituzionale-economico-territoriale, dove agisce la sintesi politica degli agenti dominanti che crea egemonia nel sistema sociale prevalentemente attraverso il consenso, possono essere il fascio di luce che illumina le altre sfere ( per usare una metafora marxiana); mentre nelle fasi multipolare e policentrica, dove la potenza mondiale egemonica è in declino ed emergono altre potenze emergenti, le sfere politico-istituzionale-militare-territoriale, dove agisce la sintesi politica degli agenti dominanti che crea egemonia nel sistema sociale prevalentemente attraverso la forza, possono assumere il ruolo decisivo che pianifica e coordina le altre sfere.
3. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano. I segni del processo di americanizzazione del territorio, sia europeo, sia italiano, intesi come conseguenza della egemonia del modello sociale americano, che si ramifica in maniera profonda dopo il secondo conflitto mondiale (fine della fase policentrica), con la ricostruzione e il conseguente sviluppo economico e sociale dei Paesi (fase monocentrica), possono essere così delineati per comodità di sintesi:
La perdita della impalcatura urbana e territoriale europea.
Lo sviluppo quantitativo della città e del territorio (la cultura quantitativa del territorio, la città diffusa, la città infinita, la ruralizzazione delle città, eccetera).
Il declino della città e del territorio come patrimonio sociale.
Le città e i territori della sicurezza e del controllo.
Il progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership).
La militarizzazione delle città e dei territori.
Tratterò brevemente gli ultimi due segni su evidenziati perché li ritengo prioritari in questa fase sociale europea e italiana che vede un aumento di temperatura della fase multipolare per le strategie di attacco degli USA – soprattutto via Siria e Ucraina – nei riguardi della Russia.
Premetto due brevi considerazioni, una storica per comprendere la nascita della potenza mondiale americana; l’altra territoriale per capire la costruzione della sovranità europea.
La prima. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano è un processo che inizia con la dottrina di Monroe30, cioè l’alt dato alle potenze europee di interessarsi al continente America, ovviamente negli interessi degli Stati Uniti e non dell’autodeterminazione dei popoli, e si consolida con la guerra civile americana31, che rappresenta per gli USA la svolta che permetterà loro sia di divenire una potenza mondiale, sia di operare una de-europeizzazione del territorio americano che consentirà la costruzione e la riorganizzazione del territorio (città e campagna), a partire da una propria identità, progettualità, disegno e visione32.
La seconda. La città e il territorio europeo e italiano devono essere oggetto di un processo di de-americanizzazione33 a partire da un progetto di sovranità su cui innestare una strategia di relazioni sociali altre, cioè, <<[…] trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità >> >>.
3.1 TTIP.Il TTIP sarebbe un’immensa zona di libero scambio, corrispondente ad unmercato di più di 800 milioni di consumatori, alla metà del PIL mondiale ed al 40% degli scambi mondiali.Le conseguenze della realizzazione del TTIP sono devastanti sia dal punto di vista economico e sociale (libertà di azione delle multinazionali, ridimensionamento e ristrutturazione delle aziende agricole, peggioramento delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, peggioramento delle condizioni ambientali, allineamento delle norme europee alle norme americane, eccetera), sia dal punto di vista territoriale (ridisegno del territorio rurale con conseguenza sul territorio urbano, sul paesaggio, eccetera)34. Di fatto il TTIP ha l’obiettivo di creare un mercato comune <<[…] che dia nuovo impulso alle due sponde dell’Atlantico[…] sembra però [non funzionare perchè] le stime più ottimiste fornite dall’Eurostat, [indicano] per l’Europa un aumento del PIL solamente dello 0.5% mentre per gli Stati Uniti 0,4%. Le stime risultano modeste per un progetto così ambizioso e ciò è dovuto al fatto che i rapporti commerciali tra UE e USA sono già in uno stato avanzato >>35.
In sintesi <<[…] questo trattato, se approvato secondo le intenzioni delle Tnc ( multinazionali trans-nazionali, mia precisazione), includerà modifiche ai regolamenti riguardanti la sicurezza dei prodotti alimentari, prodotti farmaceutici, prodotti chimici, ecc; stabilità finanziaria (libertà per gli investitori di trasferire i loro capitali senza preavviso); nuove proposte fiscali, come la finanziaria tassa sulle transazioni; sicurezza ambientale (ad esempio il diritto di imporre norme più rigorose sulle industrie inquinanti) e così via. I governi non potranno privilegiare operatori nazionali in rapporto a quelli stranieri per i contratti di appalto (una parte significativa di ogni economia moderna). Il processo negoziale si terrà a porte chiuse, senza il controllo dei cittadini>>36.
La strategia geo-economica e geo-politica degli USA, attraverso la creazione di una istituzione internazionale qual è il TTIP, mira a formare una grande area economica, che ingloba anche11 paesi che affacciano sul lato del pacifico (Messico, Canada, Cile, Perù, Giappone, Australia, Malesia, Singapore, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) attraverso il TPP (Transpacific Patrnership), per contrastare sia il costruendo asse geo-politico ed economico tra la Cina e la Russia (come futuro epicentro degli equilibri mediorientali ed asiatici) sia per limitare le nuove potenze del Sud ( India, Brasile) e le macro areee regionali economiche ( come per esempio l’area Mercosur in America Latina).
La questione grave è la ulteriore perdita di sovranità degli Stati che compongono la UE (non esiste una Europa politica e militarmente autonoma) in favore degli agenti strategici americani e del declino definitivo di una possibile costruzione di politica europea autonoma capace di agevolare la costruzione di un mondo multipolare come soggetto di relazione sia con l’Occidente sia con l’Oriente. E’ lo smantellamento della << […] Unione Europea a vantaggio di un’unione economica intercontinentale, cioèrelegare definitivamente l’Europa ad un grande insieme << oceanico>> separandola dalla sua parte orientale e da qualsiasi legame con la Russia.>>37.
Credo che sia ancora parzialmente valida la riflessione di Costanzo Preve quando affermava che << Per poter perseguire la prospettiva politica, culturale e geopolitica di un’alleanza strategica fra i continenti europeo ed asiatico contro l’egemonismo imperiale americano, prospettiva che ha come presupposto una certa idea di Europa militarmente autonoma dagli USA e dal loro barbaro dominio, bisogna prima (sottolineo: prima) sconfiggere questa Europa, neoliberale (e quindi oligarchica) in economia ed euroatlantica (e quindi asservita) in politica e diplomazia. Senza sconfiggere prima questa Europa non solo non esiste eurasiatismo possibile, ma non esiste neppure un vero europeismo possibile >>38. La parzialità è data dalla mancanza dei soggetti portatori di un progetto per una Europa autodeterminata sia all’interno degli agenti strategici dei dominanti sia all’interno degli agenti strategici dei dominati che vogliono un mondo multipolare fondata sulla maggioranza dei popoli39.
3.2 La militarizzazione delle città e dei territori. Non nascondo che faccio fatica ad immaginare una Europa che si autodetermina avendo sul suo territorio una miriade di basi militari NATO e NATO-USA (la Germania ne ha 70, l’Italia ne ha 111; sono dati da aggiornare ed escludono quelle che non si sanno)40. E’ fuori dubbio che gli USA sono egemoni nella NATO non fosse altro perchè è la potenza mondiale che spende in armamenti più della metà degli interi Stati mondiali (900 miliardi di dollari annui), e il suo presidente Barack Obama ha fatto sapere, in queste giornate europee, che<< […] «aerei Nato pattugliano i cieli del Baltico, abbiamo rafforzato la nostra presenza in Polonia e siamo pronti a fare di più». Andando avanti in questa direzione, avverte, «ogni stato membro della Nato deve accrescere il proprio impegno e assumersi il proprio carico, mostrando la volontà politica di investire nella nostra difesa collettiva». Tale volontà è stata sicuramente confermata a Obama da Napolitano e Renzi. Il carico, come al solito, se lo addosseranno i lavoratori italiani41>>. Così come è fuori dubbio che le strategie americane di politica estera, che ricalcano il vecchio retaggio da guerra fredda che impone supremazia militare ed economica e strategie regionali tese a proteggere incondizionatamente i Paesi alleati42, porteranno, mano mano che avanzerà la fase multipolare, ad una militarizzazione delle città e dei territori europei che esprime capacità militare, capacità di sicurezza e di controllo, capacità economica in funzione prevalentemente anti Russia. Non è un caso che la NATO non fu abolita una volta imploso il vecchio nemico “comunista”, ma fu rifondata probabilmente per meglio prepararsi ad un cambio di politica estera fondata sugli USA come unica potenza mondiale egemone: la nazione “eccezionale” universale. Oggi, per fortuna mondiale, non è così. La fase multipolare si va delineando e le strategie di politica estera americane fanno fatica a confrontarsi con le nascenti potenze mondiali (soprattutto Russia e Cina).
Ho già trattato, nei miei precedenti scritti, la infrastrutturazione del territorio europeo in funzione della Nato (l’intervento sulla TAV) e le città NATO (i due interventi sull’Ilva di Taranto). Voglio qui aggiungere una riflessione che riguarda la nuova polizia continentale con ampi poteri, l’Eurogendfor, istituita con il Trattato di Velsen (Olanda) e approvata all’unanimità dalla Camera e dal Senato all’assemblea di Montecitorio del 14 maggio 2010 (legge n.84 il “Trattato di Velsen”). Per indicare i caratteri principali del Trattato di Velsen riporterò i seguenti passi dell’articolo di Matteo Luca Andriola:<< […] la Forza di gendarmeria europea (European Gendarmerie Force), conosciuta come Eurogendfor o Egf, che viene ora a proporsi come il primo corpo poliziesco-militare dell’Unione Europea, a cui partecipano cinque nazioni, cioè l’Italia, la Francia, l’Olanda, la Spagna e il Portogallo ai quali, in seguito, si è pure aggiunta la Romania, un’istituzione, quindi, con valenza sovranazionale.[…] Fra il 2006 e il 2007 il processo di genesi dell’Eurogendfor fa passi da gigante: il 23 gennaio 2006 viene inaugurato il quartier generale a Vicenza, la stessa città dove ha sede il Camp Ederle delle truppe Usa, divenendo operativa a tutti gli effetti, mentre il 18 ottobre 2007 viene firmato il trattato di Velsen, sempre in Olanda […]All’art. 3 si legge che «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche». Quindi un’Arma che può essere a disposizione degli Stati Uniti, dato che la Nato è, a tutt’oggi, il braccio armato di Washington in Occidente[…] Colpisce, inoltre, il fatto che l’European gendarmerie force goda di una completa immunità internazionale. L’art. 4, recita che l’«EGF potrà essere utilizzato al fine di: condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici; formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali: formare gli istruttori, in particolare attraverso programmi di cooperazione»[…] A quali casi si fa riferimento nel trattato di Velsen? A quelli inquadrati «nel quadro della dichiarazione di Petersberg». Cioè? A Petersberg, nei pressi di Bonn, si riunì il 9 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della Ueo che approvò una Dichiarazione che individuava una serie di compiti precedentemente attribuiti all’Ue o da assegnare all’Unione europea, cioè le cosiddette «missioni di Petersberg», cioè le “missioni umanitarie” o di evacuazione, missioni intese cioè al mantenimento dell’ordine pubblico, nonché operazioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. Ergo, oltre all’intervento in caso di catastrofe naturale, l’Eurogendfor può intervenire per sedare delle manifestazioni in assetto da «forze di combattimento» >>43.
Questa nuova istituzione europea di polizia continentale, che fa capo alla NATO, di controllo e sicurezza territoriale, con sede in una città NATO simbolo come Vicenza, trova comprensione in tre direzioni da approfondire: 1. Il ruolo della NATO che non è un ruolo direttamente militare (viene sempre più velato) ma economico, di sviluppo di territori, di sicurezza, di controllo, di penetrazione e di ampliamento di territori in funzione di contrasto delle potenze mondiali emergenti, soprattutto la Russia; 2. La perdita della peculiarità territoriale (di città e di territori) europea trova nel modello sociale e territoriale egemonico americano, direttamente e indirettamente tramite l’egemonia nelle istituzioni internazionali, una delle cause fondamentali del suo declino e della sua specificità storica:<< L’Europa si formò con l’emigrazione, l’America con la conquista. Per usare il linguaggio dei geologi, diremo che quella procede da alluvione e questa da azione vulcanica. E’ questo un primo tratto che differenzia la vita europea dall’americana.
Eccone un altro: la civiltà dell’America fu un’opera di governo, un’impresa di Stato, un grande atto amministrativo; quella dell’Europa un’opera anonima, popolare, senza azione legislativa […] Ogni civiltà ha un’opera genuina che è la città. La città è la sintesi di una civiltà, il gesto o il ritmo che traduce la sua anima. Atene è la Grecia, come Roma è l’Impero, Firenze è il Rinascimento, Siviglia è l’anima spagnuola (New York è la modernità:” tutto ciò che è di solido, si dissolve nell’aria”, mia aggiunta)44 >>45; 3.La politica di coesione e la cooperazione territoriale europea è funzionale alla strategia americana per aprire varchi ad Est risucchiando sempre più territori dalla sfera di influenza Russa (ultimo caso: l’Ucraina).
Un esempio: si dice che << Una pluralità di questioni è associata alla coesione territoriale: il coordinamento delle politiche in regioni estese come quella del Mar Baltico, il miglioramento delle condizioni lungo le frontiere esterne orientali, la promozione di città sostenibili e competitive a livello mondiale, la lotta all’emarginazione sociale in alcune parti di regioni più ampie e nei quartieri urbani sfavoriti, il miglioramento dell’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’energia in regioni remote e le difficoltà di alcune regioni che presentano determinate caratteristiche geografiche.[…]Il modello di insediamento europeo è unico. In Europa sono sparse circa 5 000 città piccole e quasi 1 000 città grandi, che fungono da centri di attività economica, sociale e culturale. In questa rete urbana relativamente densa le città molto grandi sono però poche. Nell’UE solo il 7% delle persone abita in città con oltre 5 milioni di abitanti, rispetto al 25% negli USA, e solo 5 città europee sono annoverate fra le 100 più grandi città del mondo.
Questo modello di insediamento contribuisce alla qualità della vita nell’UE, sia per gli abitanti delle città, che sono vicini alle zone rurali, sia per i residenti delle zone rurali, che beneficiano della prossimità dei servizi. È inoltre un modello più efficiente dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse in quanto evita le diseconomie dei grandi agglomerati e l’elevato uso di energia e di terre che caratterizzano l’espansione urbana; tali diseconomie assumeranno dimensioni ancora più preoccupanti con il progredire dei cambiamenti climatici e l’adozione di misure per adeguarvisi o per contrastarli >>46, questo modello così delineato cosa ha a che fare con il TTIP che è la distruzione delle aree rurali e la creazione di squilibri territoriali europei? Cosa ha a che fare con la realtà urbana e territoriale sempre più modellata su quella americana?47
Concludo con le parole del Re di Brobdingnag che sosteneva come <<[…] gli inglesi ( oggi, gli americani, mio aggiornamento) siano la più pericolosa razza di schifosi vermiciattoli cui la natura abbia concesso di strisciare sulla faccia della terra >>48.
Fonte: La foto è tratta dalla copertina del libro: Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.
1 Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da: Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Nuova storia universale dei popoli e delle civiltà, volume sedicesimo, Torino, 1974, pag. XXI; Film: Totò, Fabrizi e i giovani di oggi, 1960; Sigmund Freud, Perché la guerra?. Carteggio con Albert Einstein, La città del sole, Napoli, 1996, pp. 24-25-28.
2 Le affermazioni di Zbigniew Brzezinski sono tratte da Luciano Lago, Zbigniew Brzezinski: L’egemonia degli USA ha i giorni contati, 2013, www.stampalibera.com. Sul declino degli USA valga per tutti il rimando a Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, il Saggiatore, Milano, 1996; Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Mondadori, Milano, 1999; Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008; Gianfranco La Grassa, Andrò girovagando, ma per favore seguitemi, quattro puntate, 2013 e Gianfranco La Grassa, Sommarie riflessioni sulla crisi, tre parti ( la prospettiva più tradizionale ( economicistica), un ripensamento complessivo, conclusione:la crisi dipende dalla politica), 2013, in www.conflittiestrategie.it.
3 << Nei periodi oramai passati della precedente amministrazione Bush, le Forze Speciali USA erano precedentemente dislocate in ben 60 nazioni sparse per il mondo, nel 2010, secondo Karen DeYoung e Greg Jaffe del Washington Post, questo numero si era gonfiato fino a 75. Per arrivare poi nel 2011, quando il portavoce del Comando Operazioni Speciali (SOCOM) Colonello Tim Nye ne annunciò che la presenza si sarebbe allargata a 120 nazioni. Questa cifra oggi è già obsoleta. Nel 2013, le forze d’Elite USA erano dislocate in 134 paesi [ su 194 stati generalmente riconosciuti sovrani a livello internazionale, mia osservazione ] , secondo il colonnello Robert Bockholt dell’Ufficio Relazioni della SOCOM (Comando Operazioni Speciali). Questo aumento del 123% durante l’amministrazione Obama dimostra come, in aggiunta ai conflitti decennali convenzionali ,alla campagna dei droni svolta dalla CIA, alla diplomazia e all’esteso controllo della cybersfera, l’America ha lanciato un ulteriore forma significante di controllo nei paesi esteri >> in Nick Turse, La guerra segreta delle forze USA in 134 paesi, 05/02/2014, www.comedonchisciotte.org.
4 Per restare agli ultimi eventi si rifletta sul ruolo di testa di ponte euroasiatica che svolge l’Europa ( in particolare la Francia e la Germania) nelle strategie USA ( via NATO) nella crisi della Siria e dell’Ucraina e nel progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership) che modella sempre più icapitalismi europei sul capitalismo della superpotenza mondialeamericana separando sempre di più l’Europa dall’Oriente, riducendo i legami con la Russia e la Cina. Duepotenze mondiali che vanno contenute sia applicando un potere forte dove prevale la sfera politico-militare ( la strategia di Zbigniew Brzezinshi per la Russia) sia applicando un potere flessibile dove prevale la sfera politico-economica (la strategia di Henry Kissinger per la Cina). Per approfondimenti si rimanda a Zbigniew Brzezinshi, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998; Henry Kissinger, Cina, Mondadori, Milano, 2011; Franco Cardini, A proposito del cosiddetto “imperialismo russo” ( e della corta memoria dei suoi stigmatizza tori), 9 marzo 2014, www.francocardini.net; Gianfranco La Grassa, Quali possibilità ancora ci si offrono?, 11 marzo 2014, www.conflittiestrategie.it; Geab83, Crisi sistemica globale, 17 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org; Ignacio Ramonet, Pericolo!Accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti, 7 marzo 2014, www.monde-diplomatic.it; Alain de Benoist, Il grande mercato transatlantico: come gli Stati Uniti continueranno a fare a pezzi l’Europa, 18 febbraio 2014, www.ariannaeditrice.it ; Lori Wallach, Il trattato transatlantico: un uragano che minaccia gli europei in “Le Monde Diplomatique”, ed. italiana, novembre 2013; Alessandro Di Liberto, L’ipotesi dell’Unione Transatlantica: breve analisi, 8/10/2013, www.ariannaeditrice.it.
5 << […] l’instabilità dell’Europa centrorientale e dei Balcani, la conflittualità politica del Nord Africa e del Medio Oriente, le minacce al controllo delle risorse energetiche dell’area caucasica e del Golfo, l’accesso alle quali passa per l’Adriatico e per il Mediterraneo, e la libertà di navigazione in quest’ultimo […] fa dell’Italia la “sentinella” dei Balcani e del Medio Oriente[…] La nuova organizzazione di comando della NATO assegna al nostro paese 4 comandi, fra regionali e sub regionali, pari solo a quelli degli Stati Uniti contro, invece, i 2 della Germania – il punto di fuga della guerra fredda – e della Gran Bretagna. E, mentre molte delle basi collocate in altri paesi europei sono in via di smantellamento, la Nato continua a investire in quelle italiane.>> in Marco Clementi, La Nato. Dal mondo diviso in due alla minaccia del terrorismo globale, il Mulino, Bologna, 2002, pag.110.
6 Per queste ragioni gli USA ( specialmente gli ambienti strategici che esprimono Barack Obama) stanno pressando il loro fiduciario Giorgio Napolitano affinché porti a compimento, in tempi brevi, la realizzazione di quel progetto di costruzione ( iniziato nel lontano 1992-‘93 con l’operazione “mani pulite”) di un formale bipolarismo-bipartitismo ( destra e sinistra, termini che non spiegano più niente), di derivazione americana (che nulla ha a che fare con la tradizione politica italiana), armonioso, pratico, affidabile, disponibile e ubbidiente alle strategie USA. Per adesso il suddetto progetto si è fermato all’operatore di marketing politico, Matteo Renzi. Su questi temi si rimanda alla originale e interessante analisi di Gianfranco La Grassa. Segnalo alcuni suoi interventi: Piccole memorie, Pantomima continua, una “Monarchia ecclesiastica” e L’Entrata in campo, 2013, www.conflittiestrategie.it.
7 Si leggano di Giorgio Napolitano il messaggio alla Camera dei Deputati del 22 aprile 2013 ( rielezione a Presidente della Repubblica) e il discorso al Parlamento europeo del 4 febbraio 2014 (omaggio al Parlamento europeo per la rielezione a Presidente della Repubblica) inwww.quirinale.it ; si veda il Fiscal Compact adottato dal Parlamento dove tra gli impegni assunti con la legge 23 luglio 2012 n.114 spicca l’obbligo di ridurre al 60% dell’incidenza del debito pubblico sul Pil lungo un arco di vent’anni a partire dal 2015. Per le ricadute devastanti sul Pil rinvio al modello, creato su base ottimista delle variabili considerate, di Giorgio Gattei, Antonino Iero: L’insostenibile rimborso del debito, 11 marzo 2014, www.economiaepolitica.it; per non parlare dei richiami del presidente della Bce, Mario Draghi, e della stessa Bce, attraverso il bollettino di marzo, che sottolineano come l’Italia non si attiene alla: <<… raccomandazione della Commissione del novembre 2013[che] indicava la necessità di ulteriori misure di risanamento per assicurare l’osservanza del Patto di stabilità e crescita (cioè per conseguire l’obiettivo di medio termine di un bilancio strutturale in pareggio nel 2014 e assicurare progressi sufficienti verso il rispetto del criterio per il debito durante la fase di transizione). Finora, tuttavia, non sono stati compiuti progressi tangibili per quanto riguarda la raccomandazione della Commissione. In prospettiva, è importante effettuare i necessari interventi affinché siano soddisfatti i requisiti previsti dal meccanismo preventivo del Patto di stabilità e crescita, soprattutto per quanto riguarda la riconduzione del rapporto debito/PIL su un percorso discendente, come segnalato anche di recente dalla Commissione europea nel contesto dell’esame approfondito sull’Italia >>, Banca Centrale Europea, Bollettino mensile marzo, n.3/2014, pag.86, www.bancaditalia.it.
8 Per una lettura geo-economica si veda l’analisi di Immanuel Wallerstein, Cosa intendono gli Stati Uniti per Europa in “Il Manifesto” del 18 febbraio 2014. Per una conferma ultima della subordinazione dell’Europa alle strategie USA nella crisi Ucraina si rimanda a Manlio Dinucci, Le armi dell’economia, Il Manifesto, 11 marzo 2014; Gianni Petrosillo, La spar(t)izione dell’Europa, 10 marzo 2014, www.conflittiestrategie.it; Jacques Sapir, Crimea e diritto internazionale, 11 marzo 2014, www.sinistrainrete.it ( lo scritto non è condivisibile nella sua interezza, soprattutto per quanto riguarda la mancata chiarezza sulla non autonomia dell’Europa dalla strategia USA e sulla politica del divide et impera americana in Europa); Pepe Escobar, Il nuovo grande (rischioso) gioco in eurasia,18 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org.
9 Intendo il concetto di egemonia nella accezione gramsciana prevalente e cioè:<< L’esercizio “normale” dell’egemonia nel terreno divenuto classico del regime parlamentare, è caratterizzato dalla combinazione della forza e del consenso che si equilibrano variamente, senza che la forza soverchi di troppo il consenso, anzi cercando di ottenere che la forza appaia appoggiata sul consenso della maggioranza, espresso dai così detti organi dell’opinione pubblica – giornali e associazioni – i quali, perciò, in certe situazioni, vengono moltiplicati artificiosamente >> in Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 13, Einaudi, Torino, 1975, pag.1638.
10 David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città, Ombre Corte,Verona, 2012, pp.92-93. E’ da sottolineare con Costanzo Preve, che << la Cina è un paese capitalistico che non tollera il formarsi dei partiti capitalistici soprattutto quelli di tipo americano[…] l’instaurazione di un sistema politico di tipo americano, il che vorrebbe dire praticamente la fine del controllo statale sull’economia cinese e pertanto la totale omogeneizzazione della Cina al sistema capitalistico occidentale>> in Costanzo Preve, Democrazia, oligarchia e capitalismo, intervista di Andrea Bulgarelli, 23/1/2013, www.ariannaeditrice.it.
11 Su questi temi rimando a Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010.
12 L’ammontare totale della spesa militare mondiale per il 2012 è pari a 1756 miliardi di dollari. Gli USA con una spesa militare, in declino, pari a 684,3 miliardi di dollari (39% di quella mondiale), confermano il loro primato nel settore, seguito dalla Cina con una spesa militare, in forte aumento, pari a 166 miliardi di dollari ( 9,4% di quella mondiale) e dalla Russia con una spesa militare, in forte rialzo, pari a 90.7 miliardi di dollari ( 5,8% di quella mondiale). Cfr SIPRI Yearbook 2013, Armaments,disarmament and International security in www.sipriyearbook.org ; Istituto di Ricerche Internazionali “Archivio Disarmo”, Le spese military mondiali nel 2010 in www.archiviodisarmo.it .
13 Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR Rizzoli, 2013, pp.7-8.; Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana. Da John Brown ad Abraham Lincoln, Bur Rizzoli, Milano, 2013; Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Torino, 1974, Nuova storia universale dei Popoli e delle Civiltà, volume sedicesimo; Nico Perrone fa risalire la ferma determinazione politica della classe dirigente alla dottrina di Monroe del 1823:<< Le risorse interne e quelle dei domini geografici e politici via via acquisiti, sono state gli strumenti materiali per far crescere la grande potenza americana. E dietro tutte le risorse materiali c’è stata sempre la capacità degli americani di sentirlo come proprio quel progetto, e di farlo durare al di sopra di ogni interna divisione politica.[…] Occorrevano anche una chiarezza di obiettivi […] e una ferma determinazione politica, che fossero sostenute da una corale volontà nazionale. Dopo sarebbero venuti la potenza delle armi, il potere economico, la tecnologia, e soprattutto il sapere elevare a dogma di respiro mondiale i propri interessi e il proprio sistema economico-politico >> in Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli, pag.198.
14 Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2005, pp.38-39. Si veda anche Alain de Benoist, L’impero del “bene”. Riflessioni sull’America d’oggi, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2004; Domenico Losurdo, Democrazia o bonapartismo, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pp.167-172.
15 Su questi temi rimando a Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli squilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003. Rilevo, an passant, che nel citato libro vi è una forte lettura economicistica del dis-ordine mondiale.
16 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2178-2179.
17 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2145-2146. Si veda Franco Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, Torino, 2003, pag.187.
18 Se si esclude il lavoro di forte impronta tecnico-economica del 1941 del passaggio dalla società capitalistica a quella manageriale di James Burnham, La rivoluzione manageriale, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
19 Riportato in Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli squilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003, pag.267. Per una applicazione dell’arte criminale da parte degli USA durante la seconda guerra mondiale (liberazione-occupazione dell’Europa) si veda HS, Mondo Criminale – il paradigma “siculoamericano”: gli albori, 17 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org; Giuseppe Casarrubea, Mario J. Cereghino, Lupara nera. La guerra segreta alla democrazia in Italia 1943-1947, Bompiani, Milano, 2009.
20 E’ da ri-costruire l’analisi storica dell’assenza del territorio nell’analisi marxista: quando esso è stato trattato non si è andato oltre la logica economicistica marxista ma non marxiana (con ciò non voglio esimere Karl Marx dalle sue responsabilità).
21 Si veda David Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993; David Harvey, L’esperienza urbana. Metropoli e trasformazioni sociali, il Saggiatore, Milano, 1998.
22 Le sfere sociali sono astrazioni con cui si cerca di comprendere la realtà (ricordando sempre che la realtà è più avanti noi siamo sempre indietro, come cantava Giorgio Gaber) e sono individuate a seconda delle esigenze teoriche degli studiosi. Per esempio Gianfranco La Grassa ne ha individuato tre (economica, politica, ideologico-culturale); David Harvey ne utilizza sette (le attività tecnologiche e forme organizzative, rapporti sociali, ordinamenti istituzionali e amministrativi, produzione e processi lavorativi, rapporti con la natura, riproduzione della vita quotidiana e della specie, concezioni mentali del mondo).
23 Così interpreto i capitoli ventitreesimo (la legge generale dell’accumulazione capitalistica) e ventiquattresimo (la cosiddetta accumulazione originaria) di Karl Marx, Il capitale. Criticadell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, libro primo, pp. 753-877 e pp. 879-938. Il potere è la relazione più stupida e terrificante che il genere umano si sia costruito, dalla famiglia allo Stato. William Shakespeare (Re Lear) e Svetonio (Vite dei Cesari) hanno scritto cose memorabili sull’essenza devastante del potere. Tant’è che sin dai tempi antichi tutte le società con le loro istituzioni, storicamente determinate, si sono poste il problema del controllo e del limite del potere attraverso l’equilibrio (il bilanciamento) dei soggetti del potere. La dottrina costituzionale della separazione dei poteri richiede un bilanciamento di poteri fra il ramo esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario. Un bilanciamentoflessibile e storicamente dato. Per esempio, << La crisi delle concezioni di nazione prodotta dalla guerra civile (americana, mia precisazione) divenne la base di una nuova scienza politica e giuridica cheriposizionò stato, sovranità e diritto pubblico lontanodall’enfasi del XIX secolo su autorità locale, autogoverno e democrazia partecipativa >> in Saskia Sassen, Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, Bruno Mondadori, Milano, 2008, pag.165.
24 Giuseppe Papagno (1979), Istituzioni in AaVv, Enciclopedia Einaudi, Vol. VII, Torino, Einaudi. Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorico, Mimesis, Milano, 2012, pp.195-212. E’ da riflettere, in maniera più approfondita e sistematica, sui meccanismi istituzionali nelle strategie degli agenti dominanti tenendo chiaro due punti: 1. Le istituzioni sono parti integranti del conflitto strategico degli agenti dominanti; 2. La burocrazia è un concetto vuoto, superficiale che non fa capire i processi di produzione, gestione, programmazione utili per raggiungere gli obiettivi strategici dei dominanti (Honorè Balzac qualcosa del genere l’aveva intuito nel suo libro “Gli impiegati”).
25 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 1975, volume terzo, quaderno 19, pp.2010-2011.
26 La Costituzione italiana definisce, nella parte seconda, i luoghi territoriali dell’ordinamento della Repubblica: parlamento (camera e senato), presidente della repubblica, governo della repubblica, pubblica amministrazione, organi ausiliari, magistratura, regioni- province- comuni, corte costituzionale.
27 Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Oscar Mondadori, Milano, 2013, pag 144.
28 Il territorio è articolato, è materiale, è trascendente, è ricco di relazioni umane sessuate e naturali. La sua articolazione è il risultato delle relazioni intese << come unità inscindibile dell’elemento naturale e dell’elemento storico>>. La sua costruzione (il paesaggio) è data dai cicli della natura con le sue leggi (non molto conosciute) e dal modo di produzione e riproduzione sociale (molto aggressivo) che il genere umano sessuato si dà storicamente. I meccanismi della produzione e riproduzione sociale di una società, basata sul modo di produzione capitalistico, non hanno tenuto, non tengono e non terranno conto sia della libera autodeterminazione umana sessuata sia delle leggi e degli equilibri naturali. Si rimanda a Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975; Karl Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma, 1976; Costanzo Preve, Marx inattuale, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.
29 David Harvey, L’esperienza urbana. Metropoli e trasformazioni sociali, il Saggiatore, Milano, 1998, pag. 227.
30 Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.
31 Raimondo Luraghi, La spada e le magnolie, Donzelli, Roma, 2007.
32 Per una introduzione alla costruzione e contrapposizione politica e ideologica della concezione del territorio tra USA e URSS si veda Bernardo Secchi, La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp.63-85.
33 Non leggo gli Usa come uno stato canaglia o una superpotenza canaglia alla Noam Chomsky (come fa nel suo “De-americanizzare il mondo”, 8/11/2013, www.comedonchisciotte.com ), ma leggo la de-americanizzazione dell’Europa come un processo che limiti l’egemonia degli USA per agevolare un mondo multipolare, possibilmente basato sull’autodeterminazione dei popoli.
34 Per una comprensione approfondita sulla portata distruttrice del TTIP sulla campagna, si legga l’interessante libro sulla questione agraria mondiale di Silvia Perez-Vitoria, Il ritorno dei contadini, Jaca Book, Milano, 2007. Riporto da I quaderni di Attac di Torino, n.7 – Gennaio 2014 – alcune gravi conseguenze nefaste sul settore agricolo: << L’impresa agricola USA è circa 13 volte più grande della sua omologa europea (169 ettari negli USA rispetto ai 12,6 ettari nella UE) e poiché si è venuta progressivamente concentrando in grandi complessi agroalimentari, gli agricoltori negli Stati Uniti sono oggi appena 2 milioni contro i 13 della UE. Oltre ad essere molto più piccole, le imprese agricole della UE sono anche gravate da norme uniche nel loro genere, riguardanti l’ambiente e il benessere sociale e animale, norme dalle quali sono invece esenti le loro molto più grandi controparti americane. Ecco perché è generalizzata tra gli agricoltori europei lapreoccupazione che, se il TTIP aprisse i mercati UE e USA ad un’ulteriore concorrenza, loro non sarebbero più in grado di competere con le controparti USA. Temono infatti che i consumatori europei, che pure richiedono severi limiti nell’uso di pesticidi e il mantenimento dei paesaggi campestri in Europa, scelgano poi di riempire i carrelli della spesa con prodotti USA a buon mercato. Se procedesse come ora previsto, il TTIP potrebbe davvero vanificare il progetto di riforma dell’agricoltura europea su basi più sostenibili dal punto di vista economico, sociale e ambientale, insieme con l’obiettivo di creare circuiti commerciali a filiera corta tra produttori e consumatori, e di rafforzare i sistemi alimentari locali e regionali.
La concorrenza con gli agricoltori americani porterà invece un’accelerazione nella concentrazione dell’agricoltura nelle mani dei grandi gruppi agroalimentari, una diminuzione dei lavoratori agricoli attivi e, di conseguenza, l’aumento della disoccupazione. Come ha rilevato la Commissione Europea nella sua Valutazione di Impatto del TTIP: “In agricoltura,alcune conseguenze di breve periodo di un accordo commerciale USA-UE, possono essere ladiminuzione della produzione europea, in particolare in alcuni settori di produzione delle carni… certi comparti agricoli UE potrebbero quindi essere spinti a licenziare i lavoratori.”>>. E’ utile ricordare, per esempio, che il made in Italy agroalimentare è in mano di investitori stranieri (dati Inea-Infocamere) e che l’Italia importa grano americano, messicano e canadese. Abbiamo perso la sicurezza alimentare nazionale, ma questo è un altro ragionamento.
35 Alessandro Di Liberto, L’ipotesi dell’Unione Transatlantica: breve analisi, 8/10/2013, www.ariannaeditrice.it.
36 Susan George, Poteri occulti. L’intero pianeta è sotto scacco in il manifesto, 4 ottobre 2013.
37Alain de Benoist, Il grande mercato transatlantico: come gli Stati Uniti continueranno a fare a pezzi l’Europa, 18 febbraio 2014, www.ariannaeditrice.it
38 Costanzo Preve, I referendum sulla “Costituzione europea” in Eurasia-rivista di studi geopolitici n.3/2005.
39 Tratterò questa questione all’interno del mio prossimo scritto che avrà il seguente titolo: Il conflitto strategico, una buona base per la costruzione dell’ordine simbolico sessuato. Appunti di riflessione.
40 Sul senso del potere politico e militare dell’occupazione del territorio europeo da parte degli USA attraverso le proprie basi militari e quelle della Nato, si veda l’intervista ad Alexander Dugin, L’occupazione è occupazione, 29/01/2014, www.millennium.org.
41Secondo i dati del Sipri, l’autorevole istituto internazionale con sede a Stoccolma, l’Italia è salita nel 2012 al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo, con circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro annui. Il che equivale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero in Manlio Dinucci, Quando ci costa la libertà della Nato, il Manifesto, 29/03/2014.
42 Sui limiti della politica estera degli USA collegati al vecchio retaggio da guerra fredda, sulle difficoltà di impostare una politica estera adatta alla nuova fase multipolare che si sta delineando e sulle lacune nonché sui conflitti decisionali basati su vecchi schemi cognitivi e su un modello decisionale istituzionale che esalta l’esecutivo, la natura elitaria, la lotta interistituzionale, i“groupthink”, si veda l’interessante articolo di Giulia Micheletti, Le origini interne della strategia geopolitica statunitense, 03/03/2014, www.eurasia-rivista.org.
44 Per la città di New York come simbolo della modernità, si veda Marshall Berman, L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985.
45 Giovanni B. Teràn, La nascita dell’America spagnuola, in Leonardo Benevolo e Sergio Romano, a cura di, La città europea fuori d’Europa, Libri Scheiwiller, Credito Italiano, Verona, 1998, pag.79. Si legga Fernand Braudel, Le strutture del quotidiano. Civiltà materiale, economia e capitalismo ( secoli XV-XVIII), Einaudi Torino, 1982, volume primo.
46 Commissione delle Comunità Europee, Libro verde sulla coesione territoriale. Fare della diversità territoriale un punto di forza, 6/10/2008, www.europa.eu, pp. 3 e 5.
47 Si veda David Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, Milano, 2013; Mike Davis, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2006; Alessandro Petti, Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano, 2007.
48 Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Oscar Mondadori, Milano, 2013, pag.144.
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Ecco come la Polonia sta subdolamente prendendo il controllo dell’Ucraina occidentale
ANDREW KORYBKO
28 LUGLIO 2023
Il suo potere politico è stato consolidato la scorsa estate dopo che la Rada ha concesso ai polacchi praticamente gli stessi diritti degli ucraini, in conformità con la promessa fatta da Zelensky a Duda nel maggio 2022, mentre l’aspetto economico è stato anticipato dall’apertura a metà luglio del primo ufficio del “Servizio di ricostruzione dell’Ucraina” a Lvov. Stando così le cose, non c’è nemmeno bisogno, a parte il prestigio, che la Polonia schieri formalmente truppe in Ucraina, anche se questo non significa che non accadrà.
Il “Servizio di ricostruzione dell’Ucraina” della Polonia
La plenipotenziaria polacca per la cooperazione allo sviluppo polacco-ucraina Jadwiga Emilewicz ha inaugurato il primo ufficio del “Servizio di ricostruzione dell’Ucraina” (URS) di Varsavia a Lvov il 17 luglio, in un evento che ha attirato scarsa attenzione da parte dei media internazionali al di fuori dei due Paesi. La Polskie Radio, finanziata con fondi pubblici, ha riferito qui del seminario che ha tenuto quel giorno sotto gli auspici dell’Istituto delle Imprese di Varsavia e di quello del giorno successivo nella vicina Lutsk, capoluogo della regione di Volyn.
In breve, la Emilewicz ha annunciato che presto verranno aperti altri uffici in Ucraina e che “stiamo preparando strumenti assicurativi e di credito per le aziende polacche”. Ha aggiunto che “vogliamo essere presenti sul territorio per sostenere gli imprenditori polacchi nello stabilire contatti e monitorare le esigenze di investimento… Stiamo creando una piattaforma di dialogo tra le imprese polacche e ucraine, coinvolgendo le istituzioni di sviluppo e le autorità nazionali e locali”.
Entrambi i seminari hanno visto la partecipazione di personalità influenti. Quello di Lvov ha visto la partecipazione del governatore regionale Maxim Kozitsky, che ha condiviso i dettagli delle attività dell’URS in quella regione sul suo canale Telegram qui. Nel frattempo, al seminario di Lutsk ha partecipato il capo dell’amministrazione militare della vicina regione di Rivne, Vitaly Koval, che ha invitato le aziende polacche a investire subito in quella regione. È importante notare che tutte e tre le regioni – Lvov, Volyn e Rivne – facevano parte della Polonia del periodo interbellico.
Due sviluppi interconnessi
Le attività di URS in queste zone dell’Ucraina occidentale, che la maggior parte dei polacchi considera ancora una parte inestricabile della loro civiltà millenaria, sono la naturale conseguenza di due sviluppi interconnessi avvenuti nel maggio 2022. Il Presidente polacco Andrzej Duda ha visitato Kiev e ha parlato alla Rada il 22 dello stesso mese, durante la quale lui e il suo omologo ucraino Vladimir Zelensky si sono impegnati ad accelerare l’integrazione globale dei loro Paesi.
Le trascrizioni integrali in lingua inglese dei loro discorsi possono essere lette sui rispettivi siti web presidenziali ufficiali qui e qui. Nell’ambito della presente analisi, il discorso di Duda è stato caratterizzato da una condivisione dei piani di miglioramento della connettività stradale, ferroviaria e di altre infrastrutture. Nel frattempo, Zelensky ha detto che creeranno un controllo congiunto dei confini e delle dogane. Ha anche dichiarato che Kiev darà ai polacchi praticamente gli stessi diritti che hanno gli ucraini nel suo Paese.
Inoltre, le osservazioni di Duda sul fatto che “il confine polacco-ucraino dovrebbe unire, non dividere” e quelle di Zelensky sul fatto che “non ci dovrebbero essere confini o barriere tra di noi” hanno suggerito fortemente l’intenzione di fondersi in una confederazione de facto, come è stato valutato in questa analisi all’epoca qui. Il giorno successivo, il 23 maggio 2022, Zelensky partecipò virtualmente al World Economic Forum (WEF) di Davos di quell’anno e tenne un discorso che può essere letto integralmente in inglese sul suo sito ufficiale presidenziale qui.
In quell’occasione ha annunciato che “offriamo un modello di ricostruzione speciale, storicamente significativo. Quando ciascuno dei Paesi partner o delle città partner o delle aziende partner avrà l’opportunità – storica – di assumere il patrocinio di una particolare regione dell’Ucraina, città, comunità o industria”. In sostanza, Kiev intende ripagare i suoi padroni concedendo loro privilegi postbellici nelle regioni che preferiscono, che nel caso della Polonia sono le parti dell’Ucraina occidentale che controllava.
Perfezionare i piani economici della Confederazione di fatto
Questi due sviluppi interconnessi del maggio 2022 hanno portato la Polonia ad aprire il suo primo ufficio URS a Lvov 14 mesi dopo. Sono stati quindi compiuti progressi tangibili nei piani sottilmente mascherati dei loro leader di fondersi in una confederazione di fatto attraverso il “modello speciale – storicamente significativo” che Zelensky ha descritto durante il suo discorso al WEF. Sebbene all’epoca Kiev abbia concesso alla Polonia il “patrocinio” sull’Ucraina occidentale, è stato necessario attendere fino ad oggi perché Varsavia avviasse il suo meccanismo economico associato.
Questo ritardo si spiega con la necessità di condurre studi sull’attualità e di riunire tutte le parti interessate, in modo che tutto possa procedere a un ritmo accelerato dopo l’apertura del primo ufficio URS. Il post di Kozitsky su Telegram citato in precedenza riguardava tre particolari progetti infrastrutturali che fanno avanzare la visione di Duda di snellire la connettività polacco-ucraina. Se abbinati ai piani per la creazione di uno spazio doganale condiviso, ciò equivale essenzialmente alla dimensione economica della loro confederazione de facto.
Le richieste di aiuti militari e garanzie di sicurezza della Polonia
Anche l’aspetto della sicurezza di questi piani sta avanzando. Nel marzo di quest’anno, il ministro delle Finanze polacco ha annunciato che Varsavia ha fornito all’Ucraina aiuti militari per circa 6,2 miliardi di euro nel 2022, facendo della Polonia il terzo finanziatore statale della guerra per procura tra NATO e Russia. Dall’inizio dell’operazione speciale russa sono circolate anche notizie di mercenari polacchi che combattono per Kiev, e il “Corpo dei volontari polacchi” si è persino preso il merito di un’incursione nella regione russa di Belgorod a maggio.
Le ripetute richieste della Polonia di “garanzie di sicurezza” per l’Ucraina potrebbero essere il filo conduttore per il dispiegamento formale delle sue forze convenzionali nel caso in cui queste venissero estese, sia a livello multilaterale attraverso la partecipazione di Varsavia a questo schema, sia a livello bilaterale con Kiev, anche se quest’ultimo è raggiunto in segreto. Il rapporto di Politico dello scorso novembre sull’accumulo militare senza precedenti della Polonia suggerisce che la Polonia sta pianificando di avere la capacità in eccesso necessaria per un dispiegamento estero su larga scala in futuro.
Verso un intervento convenzionale della Polonia in Ucraina
La spesa per la difesa sarà portata al 5% del PIL, avrà 300.000 soldati attivi entro il 2035 e sta acquistando miliardi di dollari in attrezzature moderne dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud. Tuttavia, la Polonia è un membro della NATO con garanzie di mutua difesa ai sensi dell’articolo 5 da parte della superpotenza nucleare americana, quindi tutti questi passi sono eccessivi se Varsavia volesse solo proteggersi da un ipotetico attacco russo. Questa osservazione suggerisce che la Polonia si sta effettivamente preparando per un intervento militare convenzionale in Ucraina.
Anche se ci vorranno ancora molti anni prima che completi i suoi ambiziosi piani militari, il fatto di essere un membro della NATO significa che la Polonia può in teoria dispiegare all’estero tutto ciò che è attualmente disponibile in patria senza temere un attacco da parte della Russia, poiché l’ombrello nucleare degli Stati Uniti impedisce che ciò accada. Le leadership russa e bielorussa stanno prendendo molto sul serio questo scenario, come dimostrano le dichiarazioni dei loro rappresentanti a fine luglio, pochi giorni dopo l’apertura del primo ufficio URS della Polonia a Lvov, il 17 dello stesso mese.
Russia e Bielorussia avvertono dei piani polacchi per l’Ucraina
Il capo dei servizi segreti russi Sergey Naryshkin ha messo in guardia dall’accumulo militare della Polonia vicino al confine ucraino il 21 luglio durante una riunione del Consiglio di sicurezza la cui trascrizione in inglese può essere letta integralmente sul sito ufficiale del Cremlino qui. “Putin ha esposto i piani regionali della Polonia nel tentativo di dissuaderli”, ma ha anche detto che “se [Kiev] vuole cedere o vendere qualcosa (alla Polonia) per pagare i suoi capi, come fanno di solito i traditori, sono affari loro. Noi non interferiremo”.
La sua unica linea rossa a questo proposito è che la Polonia non attacchi la Bielorussia, poiché ciò “significherebbe lanciare un’aggressione contro la Federazione Russa. Risponderemo con tutte le risorse a nostra disposizione”. Per quanto riguarda il membro dell’Unione, il Presidente Alexander Lukashenko ha visitato San Pietroburgo due giorni dopo, il 23 luglio, meno di una settimana dopo che la Polonia aveva aperto il suo primo ufficio URS. In quell’occasione, ha anche lanciato l’allarme sui piani della Polonia in osservazioni che possono essere lette sul sito ufficiale del Cremlino qui.
Il leader bielorusso, tuttavia, la pensa diversamente dal suo omologo russo, che lo ha definito “inaccettabile” per la minaccia alla sicurezza che potrebbe rappresentare per i confini meridionali dello Stato dell’Unione. A parte le divergenze di vedute, queste dichiarazioni confermano che le leadership russa e bielorussa ritengono che la Polonia potrebbe presto avviare un intervento militare convenzionale in Ucraina per integrare il suo controllo economico sulla parte occidentale del Paese.
Il pretesto che la Polonia potrebbe sfruttare per attuare i suoi piani egemonici potrebbe essere uno sfondamento russo attraverso la linea di contatto o un attacco a bandiera falsa contro i progetti polacchi nell’Ucraina occidentale, attribuito ai Wagner bielorussi, anche se sono possibili altri “eventi scatenanti”. C’è anche la possibilità che Kiev inviti apertamente questo intervento durante o dopo l’apparentemente inevitabile cessate il fuoco e/o i colloqui di pace con la Russia come parte di una “garanzia di sicurezza” bilaterale o multilaterale.
Riflessioni conclusive
Allo stato attuale, la Polonia ha già preso furbescamente il controllo dell’Ucraina occidentale senza dover sparare un colpo. Il suo potere politico è stato consolidato l’estate scorsa, dopo che la Rada ha concesso ai polacchi praticamente gli stessi diritti degli ucraini, secondo la promessa fatta da Zelensky a Duda nel maggio 2022, mentre l’aspetto economico è stato anticipato dall’apertura a metà luglio del primo ufficio dell’URA a Lvov. Stando così le cose, non c’è nemmeno bisogno, a parte il prestigio, che la Polonia schieri formalmente delle truppe in Ucraina.
Tuttavia, è proprio per questo motivo che potrebbe accadere, sia perché potrebbe aumentare le prospettive del partito al governo in vista delle elezioni del prossimo autunno, sia perché mostrerebbe al mondo che la Polonia sta ripristinando con successo il suo status di Grande Potenza, da tempo perduto. Detto questo, l’integrazione formale dell’Ucraina occidentale nella Polonia non è un fatto compiuto, anche se ciò accadesse, poiché rischierebbe di provocare un forte furore da parte delle forze nazionaliste su entrambi i lati del confine.
Tenendo conto di queste preoccupazioni, che hanno implicazioni politiche molto serie e anche di sicurezza latente, lo scenario di formalizzare un giorno l’attuale confederazione polacco-ucraina de facto è molto più realistico di quello di Varsavia che morde la parte occidentale dell’ex Repubblica sovietica. In questo modo si raggiungerebbe lo stesso obiettivo strategico di espandere la “sfera di influenza” della Polonia in una porzione del suo ex Commonwealth senza rischiare grossi contraccolpi. A dire il vero, questo scenario potrebbe essere inevitabile.
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In tutto il mondo si stanno verificando eventi importanti dal punto di vista geopolitico, soprattutto in Africa. Un colpo di Stato ha fatto cadere il presidente del Niger, un Paese di importanza cruciale per la Francia e il blocco NATO. Gli atlantisti sono ora molto preoccupati:
La Francia è il primo Paese al mondo per percentuale totale di utilizzo del nucleare per la produzione di energia e il secondo per numero totale di centrali nucleari. Ho visto dati secondo i quali il Niger fornisce circa il 40% dell’uranio francese, anche se secondo alcuni si aggira tra il 15 e il 25%, oltre al 25% per la stessa UE.
Ora, il leader del colpo di Stato Abdourahamane Tchiani avrebbe vietato le esportazioni di uranio e oro in Francia, il che potrebbe devastare le loro industrie energetiche, anche se potrebbe essere solo una tattica per rinegoziare:
Naturalmente, l’Ucraina incolpa la Russia:
Podolyak si riferisce al fatto che Mali, Burkina Faso e Niger hanno immediatamente rilasciato dichiarazioni in difesa del Niger, affermando che qualsiasi tentativo da parte di altri Paesi di intervenire contro il “governo di transizione” del Niger sarebbe stata una dichiarazione di guerra:
Nota: la traduzione automatica intendeva scrivere Niger e non Nigeria.
In precedenza molti mi hanno chiesto che cosa fa o farà la Russia contro gli Stati Uniti o l’Occidente in generale, come risposta a fatti come i bombardamenti del Nord Stream. Ho detto che la Russia ha molti programmi “asimmetrici” in corso.
Ora si apprende che il Mali ha abbandonato il francese come lingua ufficiale del Paese, compiendo un altro grande passo verso la decolonizzazione.
Il francese è escluso dalle lingue ufficiali del Mali. In questo modo, il Mali si ritira ufficialmente dall’Africa francofona. Si noti che oltre al Mali, l’influenza francese è ripristinata nella Repubblica Centrafricana e in Burkina Faso. L’uscita del Niger da questa struttura significherà il crollo definitivo dell’ex sistema coloniale francese che esisteva nell’Africa nord-occidentale dagli anni ’50-’60 del XX secolo. Per la regione, questi processi sono di natura tettonica. La decolonizzazione dell’Africa continua, il nostro Paese è un attore importante che contribuisce ad accelerare i cambiamenti in corso che mirano a formare un nuovo ordine mondiale multipolare. Da qui l’isterismo in Occidente per le azioni della Russia in Africa. Dopo tutto, queste azioni minano la modalità di sfruttamento da parte dell’Occidente delle sue ex colonie e dei Paesi dipendenti. Allo stesso tempo, non imponiamo il nostro diktat agli africani, ma, come ai tempi dell’URSS, agiamo come liberatori che aiutano la popolazione locale a liberarsi dei colonialisti. Siamo dalla parte giusta della storia.
Allo stesso tempo, la Cina sta lentamente riducendo le forniture occidentali di metalli preziosi e terre rare essenziali per l’industria dei chip. Nuovi rapporti affermano quanto segue:I controlli cinesi sulle esportazioni di germanio e gallio sono entrati in vigore tra i timori che ciò significhi microchip, pannelli solari, automobili e persino armi più costose. Le restrizioni alle terre rare della Cina sono entrate ufficialmente in vigore martedì; le misure, annunciate il mese scorso dopo che Pechino aveva dichiarato di dover proteggere la propria “sicurezza nazionale e i propri interessi”, dovrebbero causare un forte aumento del costo di una serie di prodotti avanzati, in particolare dell’elettronica.
“La Cina produce l’80% del gallio mondiale e il 60% del germanio, e gli esperti prevedono che gli Stati Uniti potrebbero impiegare “generazioni” per sostituire la capacità cinese perduta”.Questo rappresenta un uno-due da entrambe le parti: Russia e Cina stanno facendo il doppio gioco con l’Occidente in modo asimmetrico. Ho già scritto a lungo di come all’Occidente piaccia dipingere se stesso come indipendente, mentre la Russia è quella che dipende dalla sua “elettronica”, eppure è l’Occidente stesso a dipendere enormemente dalle risorse naturali che la Russia e la Cina producono, così come da quelle che si trovano in Africa.Per esempio, un piccolo assaggio:
Anche questo è un grafico rilevante:
Abbiamo anche esplorato da tempo come la Russia abbia già preso il controllo della maggior parte delle vaste risorse di terre rare dell’Ucraina, la maggior parte delle quali si trova nella regione del Donbass e dintorni.
Il modo in cui le cose si stanno sviluppando potrebbe portare a circostanze assolutamente disastrose per l’Occidente, in particolare per l’Europa, fino al suo definitivo collasso o dissoluzione. Un altro scrittore accorto ha delineato esattamente questo scenario in un nuovo articolo che vi invito a leggere:
TrendCompass di Alex Krainer
L’UE sta per iniziare a disintegrarsi?
L’etica predefinita del commentario mainstream sembra essere quella di non aspettarsi mai sorprese (a parte le pandemie, cioè). Tuttavia, nei prossimi mesi potrebbero esserci molte sorprese. Una di queste potrebbe essere l’accelerazione della disintegrazione del progetto europeo…
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2 giorni fa – 96 mi piace – 78 commenti – Alex Krainer
Ha un punto di vista interessante, anche se forse un po’ ottimista. Tuttavia, è importante aggiungere a questi sviluppi la saga del grano in corso. Anche la Russia sta mettendo il bastone tra le ruote alle forniture di grano. Se si considerano gli sviluppi africani insieme a quelli in corso per quanto riguarda il corridoio del grano, si può parlare di un colpo di stato contro l’Occidente, anche se le conseguenze potrebbero non essere immediatamente percepite o viste.
Un’ondata di sentimenti filo-russi e anti-occidentali sta attraversando l’Africa proprio in concomitanza con l’imminente vertice dei BRICS. Il presidente eritreo Isaias Afwerki ha riassunto perfettamente la situazione. Guardate:
Alle sue parole fa eco il nuovo articolo di Foreign Policy che afferma che l’America sta erodendo il suo potere e la portata del sistema finanziario globale a causa della sua dipendenza dalle sanzioni:
L’articolo trasmette il grave timore dell’Occidente che tutti i Paesi stiano iniziando a salire a bordo del carro guidato da Russia e Cina, che sta creando un “sistema finanziario parallelo” in grado di competere con quello occidentale/americano:
Questi accordi finanziari paralleli guidati dalla Cina comportano rischi sistemici significativi per gli Stati Uniti e i suoi alleati. Uno è il numero crescente di Paesi non sanzionati del Sud globale che si stanno unendo a un’economia mondiale parallela anti-sanzioni. Di ritorno dal suo viaggio di aprile a Pechino, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha ribadito il suo sostegno a una moneta commerciale tra i Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Nel sollevare l’iniziativa, Lula ha citato le sue preoccupazioni per un’economia globale dominata dal dollaro, dove gli Stati Uniti fanno leva sul dominio del dollaro per la loro politica estera punitiva.
Il movimento è ormai inarrestabile: Le forze antimperialiste si stanno radunando, incoraggiate dal successo della Russia nel bloccare gli strumenti del terrorismo finanziario occidentale, prima molto temuti. La guerra in Ucraina sarà un vero e proprio momento spartiacque che segnerà la divisione di epoche come quella a.C. e d.C.. Il mondo intero si è già reso conto che la guerra non riguarda solo l’Ucraina, ma che la Russia sta lottando per tutti, per la liberazione dell’intero mondo diseredato e colonizzato. Questa guerra è la ribellione finale contro l’egemonia e l’impero dell’Occidente atlantista e, più in particolare, del cartello finanziario – per usare le parole di G. Edward Griffin – che controlla l’Occidente.
Patrushev ha dichiarato che l’operazione speciale ha segnato l’inizio di un fenomeno – una maggioranza globale che mostra di essere pronta per la sovranità, libera dall’egemonia occidentale. La vittoria della Russia sull’Occidente in Ucraina servirà come un potente impulso per spostare ulteriormente l’equilibrio globale a favore di un ordine mondiale multipolare, ha sottolineato il Segretario del Consiglio di Sicurezza russo.
In giro per le nuove sale del potere.
Ci sono ancora molti trucchi asimmetrici e tattiche dilatorie che l’Occidente stesso ha nella manica per rispondere a queste ultime incursioni, quindi non dovremmo essere troppo ottimisti sui risultati immediati. Ma, come ho detto, lo slancio si sta chiaramente accumulando ed è già inarrestabile: l’Occidente può solo lanciare bastoni e ramoscelli sulla strada del masso che rotola, sperando di rallentarlo marginalmente.L'”offensiva” ucraina entra nella fase 2
Ora, volevo passare a una nuova discussione sulle catastrofiche perdite in corso in Ucraina, alla luce di alcune recenti nuove rivelazioni in merito. Poi passerò ad alcuni aggiornamenti sul campo di battaglia.In primo luogo, riconosciamo il fatto che giorni fa, dopo aver trascorso un paio di settimane di lavoro preparatorio, che comprendeva vari tentativi di colpire le retrovie della Russia e di degradare la logistica, l’Ucraina ha iniziato la fase 2 ufficiale della sua offensiva. È stata persino annunciata dai mezzi di comunicazione di massa.NYTimes:
L’Ucraina ha lanciato la fase principale della sua controffensiva, inviando migliaia di truppe di riserva, molte delle quali addestrate ed equipaggiate dall’Occidente, hanno dichiarato mercoledì due funzionari del Pentagono, ore dopo che funzionari russi avevano riferito di importanti attacchi ucraini nella regione meridionale di Zaporizhzhia.
L’Ucraina ha ora gettato in battaglia il suo 10° Corpo, dopo aver precedentemente esaurito il 9° Corpo nella prima fase dell’offensiva. I primi giorni della battaglia sono descritti da alcuni come le più grandi perdite di corazzati per l’AFU dall’inizio del conflitto. Sono entrati sfacciatamente nelle posizioni preparate, sperando che la disperazione di dimostrare un minimo di successo ai loro responsabili occidentali li portasse alla vittoria, ma sono stati brutalmente respinti come prima.
Secondo alcune voci della lobby ucraina, le perdite delle Forze Armate ucraine dopo i primi 50 giorni della campagna offensiva estiva sono state di oltre 11.000 soldati e ufficiali. Tali dati sono stati forniti dal canale telegrafico ucraino “Donna con la falce”. A suo avviso, questo è ancora il dato più positivo. Molti chiamano i numeri molto peggio. Ad esempio, il nemico ha perso 81 dei 185 BMP Bradley che gli erano stati forniti, o 66 dei 145 Leopard che gli erano stati forniti. L’elenco potrebbe continuare a lungo.
Hanno conquistato un piccolo nuovo territorio a Rabotino, ma al momento in cui scriviamo è già stato ripreso. Staromayorsk, vicino a Velyka Novoselka, è l’unico posto in cui le forze russe hanno dovuto ritirarsi. La guerra di artiglieria ha semplicemente distrutto l’intero piccolo villaggio, non lasciando alcun posto dove nascondersi, così sono state costrette a ritirarsi. Tuttavia, la buona notizia è che i soldati stessi affermano di aver subito poche o nessuna perdita. Ascoltate il resoconto di questo combattente di Kaskad Ballation, che include la rivelazione che l’Ucraina stava usando anche un’arma chimica simile al cloro nella zona:
Staromaiorske è stata l’unica decisione giusta da prendere. Dopo settimane di bombardamenti, non è rimasta una sola casa completa. Questo villaggio non può più essere difeso. Perché non esiste quasi più. Le nostre forze effettuano piccoli contrattacchi, ma questi non servono a riconquistare il villaggio, bensì a tenere occupato il nemico e a non farlo ruotare. Sì, abbiamo delle perdite, ma le perdite del nemico negli ultimi giorni sono davvero brutali. Ho già perso il conto delle perdite di veicoli blindati. Per non parlare della perdita di personale. Per fortuna in questi giorni ci sono alcuni soldati UA che si arrendono invece di morire. Il nemico sta cercando di fare di tutto e a tutti i costi per raggiungere la prima (!) vera linea di difesa prima di agosto. Il tempo sta per scadere, lentamente ma inesorabilmente. Agosto sta arrivando, così come la fine dell’estate. Presto tornerà a piovere molto e renderà le azioni offensive molto difficili. Ecco perché gli ucraini non si preoccupano delle sconfitte al momento. Devono ottenere successi significativi prima della fine dell’estate per poter ottenere il sostegno dell’Occidente.
I resoconti ucraini secondo cui avrebbero “catturato” Staromayorsk sono comunque menzogne. Il villaggio è ora in una zona grigia con entrambe le parti che si scontrano con piccoli gruppi solo per scontri posizionali, ma nessuno lo controlla ora. Quando le forze ucraine cercano di entrare, vengono martellate dall’artiglieria.
A questo proposito, c’è un aspetto importante che vorrei trattare. Gli opinionisti hanno parlato molto del fatto che la Russia non ha abbastanza capacità di “controbatteria”, sia per la mancanza di barili o di radar CB sul fronte, sia per l’affermazione che l’artiglieria occidentale è semplicemente superiore per gittata e precisione a quella russa. Ci sono alcuni rapporti qua e là che danno credito a questa affermazione, ma poi viene amplificata fino all’assurdo da 6° colonnisti e schizopatrioti per far sembrare che la Russia sia completamente sopraffatta in questo senso.
Ecco un resoconto su questo argomento, direttamente dal fronte, che dà una visione del tutto opposta, inviato da un soldato al rispettato canale militare russo “Two Majors”:
Il nostro compagno, un soldato di prima linea, ci scrive: “Brevemente sulla situazione nella direzione Orekhovsky di fronte a Rabotino. Non è un segreto per nessuno che in questa zona si stia combattendo pesantemente. Il nemico sta cercando con tutte le sue forze di aprire una breccia in questa direzione per raggiungere l’autostrada Melitopol-Chongar-Dzhankoy, ma finora senza successo. In un paio di giorni, il nemico ha perso più di 30 pezzi di equipaggiamento, per non parlare delle perdite di personale.Vi racconterò attraverso gli occhi dell’artiglieria di questa direzione, che è tenuta da una delle migliori e combattive divisioni dell’esercito, la divisione obici del 71° reggimento. Fin dai primi giorni della controffensiva delle Forze Armate dell’Ucraina nel settore di Rabotino-Verbovoye, questa divisione è rimasta radicata sul posto, non permettendo al nemico di fare nemmeno un passo, mentre ha spezzato di punto in bianco ogni equipaggiamento e fanteria nemica. Per due mesi si sono svolte numerosissime battaglie di controbatteria con cannoni nemici simili, in cui non si è ottenuta una sola vittoria. Il nemico ha opposto al nostro Msta-b 2a65 l’obice americano M-777. Vista l’impossibilità di vincere il duello di artiglieria, il nemico ha arretrato i suoi cannoni a una distanza di oltre 40 km, utilizzando i nuovi proiettili Excalibur della NATO. Ma anche qui, naturalmente, c’era una super soluzione sotto forma dei nostri eroici Lancet. Dopo aver distrutto tutti gli obici del nemico in quest’area, abbiamo iniziato a lavorare sull’equipaggiamento del nemico.Parlando oggi della situazione in quest’area, il nemico ha iniziato a utilizzare in massa le munizioni a grappolo, che non lo hanno aiutato molto. Ma il nemico oggi è andato anche oltre e ha iniziato a usare gli Himar americani contro gli obici, il che è effettivamente un problema per qualsiasi tipo di equipaggiamento e di ripari.Osservando queste azioni del nemico, voglio dire che si tratta di passi estremi e disperati per sfondare le nostre difese.I nostri ragazzi sono in spirito di combattimento e mantengono il massimo impegno, e chiunque tenti di sfondare troverà rifugio tra le centinaia di morti e giacenti nei campi di fronte a Rabotino dei loro fratelli”.La lettera è stata consegnata: Due maggiori
Quindi, per riassumere. Nelle battaglie di pura controbatteria tra i 2A65, 2A36, ecc. di prima linea russi contro gli M777 americani, questi ultimi non hanno perso nemmeno una battaglia. Tuttavia, il documento convalida alcune delle preoccupazioni descrivendo come si siano ritirati e abbiano iniziato a usare proiettili guidati Excalibur, che hanno un’opzione di “spurgo della base” incorporata che espelle un po’ di propellente dalla parte posteriore, consentendo loro di volare molto più lontano, circa 40 km.
Il problema è che questi proiettili costano circa 75.000 dollari e non sono molti. In secondo luogo, richiedono coordinate GPS precise e quindi un ottimo ISR del bersaglio, cosa che non è sempre possibile. La Russia ha i propri proiettili di base e RAP assistiti da razzi con una gittata di oltre 40 km per gli obici 2A36. I 2S7M Malkas russi hanno una gittata di quasi 40 km senza assistenza e di quasi 50 km con proiettili assistiti. Inoltre, il Malka è un enorme proiettile da 203 mm, esponenzialmente più forte dell’artiglieria NATO.
Quindi, no, l’Ucraina non ha alcun vantaggio reale nell’artiglieria. L’unico vantaggio è nelle capacità ISR di trovare gli obiettivi, dato che ha a disposizione tutte le considerevoli potenze satellitari della NATO e dell’Occidente.
Questo non vuol dire che non ci siano problemi, sì, c’è una carenza di sistemi di controbatteria, ma l’Ucraina non ha certo un vantaggio in questo senso, visto che ha una carenza ancora peggiore di ogni tipo.
Ora, un po’ di perdite ucraine. Ci sono stati alcuni interessanti resoconti “obliqui” provenienti da diversi settori della società, che ci hanno dato qualche nuova visione, come il seguente:
La terribile verità sulle perdite dell’UcrainaHo pensato che, conoscendo la lingua ucraina, si possono trovare necrologi attraverso i social network. Ho fatto una ricerca su parole chiave come “morti per l’Ucraina”, “sepolti”… L’ho portato nei programmi in modo che ci fosse un calcolo su Internet. Ed è diventato subito chiaro che in Ucraina stanno morendo molti soldati. In media, circa 400 necrologi al giorno – ha detto l’esperto militare Ruslan Tatarinov -. Il novembre dello scorso anno è stato il picco. A novembre dello scorso anno si è registrato il picco: in un giorno sono stati pubblicati circa 1100 necrologi di soldati delle Forze Armate dell’Ucraina. Ce ne sono stati 900 al giorno… In totale ho contato 284.000 morti. Questo è stato pubblicato una settimana fa – I necrologi sono pubblicati separatamente. Di norma, sui media locali e sui social network. Sono sempre visibili. Ed è stato sufficiente unire queste fonti. Ma quanti altri giacciono nei campi, quanti sono i dispersi, quanti non sono stati identificati?
Ecco due nuovi rapporti ucraini provenienti dai loro canali interni. Il primo descrive una nuova unità d’assalto dell’AFU che è stata distrutta a Klescheyevka, a sud di Bakhmut/Artyomovsk.
Ed eccone un altro, della 35ª Brigata dell’AFU, che implora disperatamente aiuto dopo essere stato massacrato a Staromayorsk:
Il Wallstreet Journal riporta che ci sono più di 50.000 militari con arti amputati:
In realtà, questo numero è probabilmente molto più alto, dato che una fuga di notizie dell’anno scorso lo indicava come quasi 60.000, ma questa è una buona conferma.
Un ultimo interessante resoconto obliquo delle perdite corporee è il seguente affascinante resoconto:
CARTE SIM MORTEInteressanti informazioni sono state pubblicate sul numero di carte SIM “morte” in Ucraina, che possono indicare il livello delle perdite: all’inizio dell’estate, i provider ucraini stimano le loro “perdite irreparabili” a 1,1 milioni di carte SIM.Fino a marzo 2022, c’erano 1,2 carte SIM per persona in Ucraina, il resto potete calcolarlo voi stessi. Non si tratta di schede SIM che sono in roaming, ma di telefoni che sono stati messi a tacere per sempre.Un rappresentante di uno degli operatori ucraini ha dichiarato: “Dall’inizio di luglio, ogni settimana perdiamo 5,5 mila schede SIM nell’est del Paese, altri operatori hanno gli stessi numeri”.
Passiamo ora ai dati più interessanti sulle perdite. Ho iniziato a mettere insieme le probabili perdite dei carri armati ucraini, solo per vedere quanto ancora possono durare con l’attuale livello di logoramento.
Questo nuovo articolo di Sputnik ne parla in dettaglio. Ma un errore critico che commettono è quello di attribuire erroneamente una citazione del comandante delle forze di terra ucraine Volodymyr Karpenko, che afferma che l’Ucraina ha perso fino al 50% dell’equipaggiamento, ad oggi. In realtà, la citazione proviene da un’intervista del giugno 2022 alla National Defense, il che la rende ancora più interessante.
Qui c’è anche un tweet di un account filo-ucraino che mostra il timestamp per assicurarsi che si tratti effettivamente di una vecchia citazione e non di un articolo dell’anno scorso che è stato furtivamente aggiornato con una nuova citazione, o qualcosa del genere.
L’importanza di questo fatto non può essere sottovalutata. Ricordiamo l’idea popolare spesso sostenuta da personaggi come Douglas MacGregor e molto sbandierata dai sostenitori dell’Ucraina, secondo cui l’Ucraina è già al suo terzo esercito e la Russia ha distrutto l’intero esercito o gli eserciti precedenti.
Nel giugno 2022 il Ministero della Difesa ucraino ha ammesso di aver perso non solo il 50% di tutto l’equipaggiamento iniziale in soli 4 mesi di combattimenti, ma, cosa sconcertante, di aver perso 400 carri armati. Inoltre, come nota a margine, a quel punto Oryx aveva elencato solo 116 perdite di carri armati per l’AFU. Questo dimostra chiaramente la risibile parzialità della contabilità di Oryx, dato che il conteggio ufficiale delle perdite dell’AFU era quattro volte superiore al suo.
Questo è importante perché alcune fonti sostengono che l’Ucraina abbia iniziato con 1.200-1.500 carri armati operativi, con un’altra partita in naftalina. Ma alcuni esperti ritengono che il numero iniziale di carri armati operativi fosse molto più vicino a 800. Ciò significa che possiamo estrapolare che, se l’Ucraina aveva già perso 400 carri armati a giugno, in soli 4 mesi di combattimenti, significa che entro la fine del 2022 dovrebbe averne persi circa altri 600, il che la porterebbe a circa 1000 per l’anno. Ciò significa che, se la cifra di 800-1200 per il loro numero iniziale di carri armati è accurata, li avrebbero completamente esauriti già all’inizio di quest’anno, il che conferma di fatto l’affermazione folkloristica secondo cui avrebbero perso un intero esercito in precedenza.
Ma analizziamo i numeri più a fondo per vedere cosa potrebbe rimanere loro ora e quanto ancora possono resistere.
L’articolo di Sputnik citato sopra cita un “thinktank con sede a Londra” secondo il quale l’Ucraina ha iniziato con 720 T-64 e 750 T-72, con circa oltre 1000 esemplari in più di entrambi in naftalina e in deposito, di qualità incerta. Questi possono essere cancellati perché la Russia ha probabilmente disabilitato la maggior parte delle strutture di riparazione/ripristino e potrebbe anche aver distrutto completamente questi siti di stoccaggio. Certo, l’Ucraina nasconde bene i suoi materiali attivi, ma non si possono nascondere i carri armati in disuso, che non possono essere spostati. La Russia avrebbe conosciuto i siti di stoccaggio e li avrebbe distrutti.
Pertanto, la cifra iniziale bassa, come ho detto, può essere di ~800 secondo alcuni, con un massimo di poco meno di 1500.
Poi, dalle parole del comandante di terra, sappiamo che hanno perso 400 di questi carri armati entro il giugno 2022. Si tratta di un ritmo di 100 al mese. Se estrapoliamo questo dato, possiamo dire che il totale è di 1.000 carri armati entro la fine del 2022 o, per essere generosi con loro, possiamo stimare una cifra inferiore, dato che la fine del 2022 ha avuto un’intensità minore a causa della Russia che si è messa sulla difensiva ed è diventata inattiva mentre richiamava la mobilitazione.
Inoltre, l’Ucraina ha catturato una certa quantità di carri armati russi, che ipoteticamente potrebbero essere circa ~200.
Poi, quanto ha dato loro l’Occidente? Ecco un grafico di Lost Armour che mostra alcune cifre. Le cifre relative alle perdite in cima sono – credo – un po’ datate, ma solo di un paio di settimane o giù di lì. Per esempio, mostra 6 Leopardi totali distrutti, pari al 25% del totale. Tuttavia, questo sembra essere il numero della prima fase della “controffensiva”, in quanto alcuni rapporti indicano che nella nuova fase, iniziata giorni fa, hanno perso un ulteriore gruppo di Leopard e un nuovo gruppo gigante di Bradley. Le perdite totali di Leopard potrebbero ora essere qualcosa come 15-20, da quello che ricordo.
Per ora, però, guardate le consegne qui sotto:
Secondo loro, ne sono stati consegnati in totale 727. L’articolo di Sputnik sopra riportato riporta quanto segue:
Un numero imprecisato di T-72M1 dalla Bulgaria;
Più di 170 T-72 di varie modifiche dalla Repubblica Ceca;
31 T-72A dalla Macedonia settentrionale;
oltre 250 T-72 modernizzati e 60 carri armati PT-91 Twardy dalla Polonia (il Twardy è una versione modificata del T-72M1);
28 carri armati M-55S dalla Slovenia (l’M-55S è una modifica del carro armato sovietico T-55).
Quindi 539, più una “quantità non rivelata” dalla Bulgaria che potrebbe portare a 600-700 in totale, il che sarebbe in linea con la quantità di Lost Armour.
Ora, torniamo all’inizio e analizziamo la situazione. Hanno iniziato con un ipotetico totale di 1200-1400 o anche meno (sono generoso usando la cifra più alta, per fare l’avvocato del diavolo). Ne hanno persi 400 nei primi 4 mesi di combattimenti, che possono essere estrapolati ad almeno altri 600 entro la fine dell’anno al ritmo di 100 al mese. Sarebbero circa 1000 entro la fine del 2022, quindi li sottraiamo da 1200-1400 e ne rimangono 200-400 in totale.
Poi sono stati iniettati i ~700 assortiti di cui sopra dagli alleati occidentali, quindi sono tornati a 900-1100. Si potrebbe pensare che ormai le congetture sono talmente tante che non c’è modo di avvicinarsi alla cifra reale. Tuttavia, il successivo dato che conferma i numeri arriva solo un mese o due dopo.
All’inizio del 2023 ci sono state le fughe di notizie del Pentagono, e una delle pagine mostrava effettivamente il numero esatto di MBT (carri armati principali) ucraini rimasti, che secondo loro era di 802. Dato che le fughe di notizie erano, credo, di febbraio e marzo, questo avrebbe potuto dare altri 2-3 mesi di logoramento allo stesso ritmo di, diciamo, 100 al mese. Il che significa che sarebbe stato possibile passare dalla cifra di 900-1100 unità alla fine del 2022 alla cifra di 802 unità riportata nelle fughe di notizie.
Ora ci spostiamo verso il presente. Da allora, l’Ucraina ha ricevuto un nuovo lotto di carri armati di ultima generazione, ovvero i Leopard, i Challenger, ecc. Il totale di questi carri armati si aggirava intorno ai 150-200, a quanto mi risulta, dato che c’erano solo più di 30 Leopard 2, 14 Challenger, alcuni M55, ecc. Ce ne sono molti altri, come gli Abrams e i prossimi Leopard 1A5, ma non sono ancora arrivati.
Utilizzando il numero di cui sopra, il totale è di circa 1.000 unità entro l’inizio di quest’anno. Tuttavia, se continuiamo ad applicare i circa 100 persi al mese per tutto il resto dell’anno fino ad oggi, otteniamo almeno 5 mesi di perdite, o un ipotetico ~500 carri armati. Se si sottrae questo dato dai circa 1000 di cui sopra, in pratica si potrebbero avere circa 500 carri armati a partire dal mese scorso.
Ma il problema è che dall’inizio della “controffensiva” hanno subito un numero di perdite di carri armati enormemente e sproporzionatamente maggiore. Shoigu ha fatto un rapporto
ieri:
Secondo il Ministero della Difesa, l’Ucraina ha perso 31 carri armati solo negli ultimi giorni. Putin ha riferito di aver perso circa 160 carri armati intorno al 16 giugno, due settimane dopo l’inizio dell’offensiva, e circa 250 carri armati alla fine di giugno. Le perdite dell’AFU di Oryx dall’inizio dell’offensiva sono di ~40, ma poiché ho appena dimostrato che egli sottovaluta le perdite ucraine di almeno un fattore 4, possiamo supporre che i numeri del MOD russo si avvicinino alla precisione. Il conteggio totale delle perdite del MOD russo per l’intera offensiva dal 4 giugno a oggi è di 415 carri armati.
Le formazioni ucraine hanno subito pesanti perdite durante la controffensiva: 415 carri armati sono stati disattivati dalle Forze Armate russe, 2/3 dell’equipaggiamento perso nelle battaglie era occidentale.
Forse il numero potrebbe essere esagerato, ma è plausibile perché sappiamo che anche in combattimenti di intensità moderata, l’Ucraina perdeva in media almeno 100 carri armati al mese. L’offensiva è iniziata da circa 2 mesi ed è stata di intensità molto elevata. Ciò significa che non è escluso che le perdite fossero il doppio, 150-200 al mese, il che ci porterebbe a 400 dopo due mesi.
Infine, dato che prima eravamo arrivati al numero di ~500, sottraendo le nuove ~400 perdite l’AFU si troverebbe in una condizione assolutamente disastrosa, con soli 100 carri armati rimasti. Anche se concediamo loro il beneficio del dubbio e diciamo che forse la cifra è un po’ più alta, 200-300 carri rimasti, è molto meno di quanto sembri, dato che rappresenta appena due settimane di perdite agli attuali livelli di combattimento ad alta intensità.
Se i miei numeri sono anche solo lontanamente vicini, allora è un disastro. Significherebbe che l’AFU è sull’orlo del collasso. Il motivo è che ovviamente mi sono concentrato solo sulle perdite dei carri armati, ma in genere corrispondono a un rapporto di perdite simile a quello di altri sistemi come APC, artiglieria, ecc.
Se i numeri sono vicini, è probabile che sia per questo che l’Occidente sta cercando disperatamente di distruggere i Leopard 1 tedeschi il più velocemente possibile. Prima erano in ritardo, ma ora si dice che il primo lotto arriverà questo mese di agosto, con video che mostrano alcuni di loro già in viaggio tramite HET dalla Danimarca alla Polonia:
Il problema è che si dice che il primo lotto sia molto piccolo, come una dozzina o meno, in pratica un numero simbolico che non farà nemmeno un’ammaccatura apprezzabile per arginare le perdite disastrose. Per non parlare del fatto che, dato che l’Occidente ha esaurito i corazzati decenti, si tratta dei Leopard 1 più vecchi, con canne da 105 mm ridicole, che non erano certo considerate potenti nemmeno per gli standard degli anni Cinquanta.
Ora, anche gli Stati Uniti stanno disperatamente cercando di accelerare l’invio di alcuni Abrams, ma l’ordine precedente è stato drasticamente ridimensionato a M1A1 piuttosto che a M1A2, per non parlare del fatto che si prevede l’invio di un lotto altrettanto minuscolo.
Tenete presente che potrei sbagliare le mie stime. Per esempio, il precedente articolo di Sputnik stimava che l’Ucraina avesse ancora 1.500 carri armati in totale, il che sarebbe molto lontano dal mio numero. Certo, avevo ignorato le considerevoli scorte di riserva, che forse potrebbero essere state attivate. Ma per quel che vale, le fughe di notizie del Pentagono dell’inizio di quest’anno elencavano le riserve totali come ~400+ carri armati, oltre agli 802 attivi all’epoca. Anche se sono in grado di utilizzare quelle riserve, non rappresentano una quantità che cambia la partita, ma piuttosto un altro mese di combattimenti ad alta intensità.
Ma la verità è che i segni del collasso sono ormai ovunque. Prendete questa lettera di un istruttore militare americano:
Da una lettera di un istruttore militare americano dopo il suo viaggio in Ucraina: “…Anche le migliori brigate ucraine che un anno fa combattevano con successo ed erano determinate a sconfiggere i russi, oggi differiscono poco dalle brigate di fanteria ordinarie, che quasi non hanno armi pesanti e sono equipaggiate con ogni sorta di gentaglia, che gli uffici di registrazione e arruolamento militare ucraini prendono letteralmente per strada, come durante la guerra del centenario in Europa. trasportato ucraini per questi mesi. La composizione personale, e alcuni hanno già cambiato due volte la loro forza di combattimento, e il comando e il controllo del combattimento, che a loro volta non entrano in battaglia e si limitano a controllare le azioni di combattimento da posti di comando ben protetti. bicicletta perché il comando delle brigate ha perso il senso di responsabilità nei confronti dei suoi soldati e li considera solo come materiale sacrificabile per l’esecuzione di giocattoli o di altri compiti. E questo non fa che rafforzare la perdita. L’umore generale nel quartier generale ucraino è di sconforto e rabbia. E i volti di coloro che avevano pianificato di prendere d’assalto Seva stopol, hanno il sigillo della disperazione. In conversazioni franche, molti alti ufficiali ucraini ammettono sempre più spesso di non vedere prospettive di successo per il completamento della guerra. L’unica speranza che, stranamente, molti di loro nutrono, è quella di un intervento diretto in questa guerra. Ma, ancora una volta, molti qui aggiungono che questa speranza è come la fede in Babbo Natale”.
Ieri abbiamo visto un incredibile filmato di mercenari colombiani che si ammutinavano contro l’AFU dopo essere stati attaccati e spruzzati con lo spray al peperoncino da ufficiali ucraini:
La situazione sta davvero iniziando a precipitare?
Alle Forze armate ucraine resta almeno un mese e mezzo di ostilità attive (poi l’autunno e il disgelo) e se in questo periodo Zelensky e la sua squadra non otterranno almeno qualche risultato, potrebbero essere tagliati fuori dai finanziamenti e dalle forniture militari.
Anche il comandante del Battaglione Vostok, Khodakovsky, ha una visione perspicace dei recenti sviluppi in questo senso:
Khodakovsky: L’avversario si comporta come se il suo tempo stesse per scadere. Durante la guerra, abbiamo in qualche modo dimenticato che in Ucraina esiste anche la politica interna, e c’è un’alta probabilità che Zelensky abbia già praticamente esaurito i suoi partner occidentali. Non ho motivo di dire che sarà demolito domani. Ma in generale, il quadro sembra che Zelensky non sia più percepito come un favorito incontrastato. In Ucraina sono emerse anche strane alleanze prima impossibili da immaginare: ad esempio, Kolomoisky ha iniziato a collaborare con alcuni dei suoi tradizionali avversari in alcuni settori sensibili….Qualsiasi cambiamento interno è possibile solo quando l’intensità delle passioni al fronte è ridotta al limite massimo. In questa situazione Zelenskij è estremamente poco redditizio e non gli dispiacerebbe giocare ad annullare le elezioni, ma a giudicare dal fatto che il suo ufficio ha iniziato i preparativi attivi per la lotta politica, le elezioni ci saranno. Questo suggerisce una conclusione: la situazione si sta gradualmente stabilizzando. Pertanto, è estremamente importante che Zelensky entri nella campagna elettorale con un atteggiamento militare positivo, altrimenti il “caso” militare si rivolterà contro di lui. Tra l’altro, secondo alcune voci, Zaluzhny avrebbe rifiutato di aderire al “partito del potere” di Zelensky.
Alla luce di ciò che dice riguardo alla possibile stanchezza dell’Occidente nei confronti di Zelensky, è interessante che oggi siano apparsi titoli del genere:
Il mio pensiero immediato è stato che gli Stati Uniti stiano condizionando l’opinione pubblica per la possibilità di dover “far fuori” Zelensky a causa del suo recalcitrante rifiuto di entrare in trattative più avanti nel corso dell’anno, quando il tempo sarà scaduto e gli Stati Uniti non avranno più risposte per il crescente annientamento dell’AFU da parte della Russia. Avevo previsto questa possibilità mesi fa in uno dei miei primi articoli, in cui dicevo che, una volta che le cose avessero cominciato a diventare “terminali” nel corso di quest’anno, Zelensky e i suoi controllori si sarebbero trovati sempre più ai ferri corti, al punto che Zelensky avrebbe cominciato a minacciare i suoi “partner” con alcune delle informazioni sporche che aveva su di loro.
L’Occidente potrebbe ritenere che Zaluzhny sia in ultima analisi più disponibile a colloqui di pace, dato che in passato si è scontrato con Zelensky per le perdite dell’AFU e ha ripetutamente voluto rimandare l’offensiva fino a quando l’AFU non fosse stata adeguatamente rifornita, oltre a ritirarsi da Bakhmut all’inizio di quest’anno per preservare le vite dei suoi soldati. Ma ogni volta Zelensky ha scelto di sacrificare i suoi uomini come carne da cannone. Alla fine, forse l’Occidente troverà in Zaluzhny un partner disposto a ballare per il suo armistizio programmato e Zelensky, essendo d’intralcio, dovrà essere sommariamente “rimosso”.
È interessante notare che oggi è arrivata la notizia che l’Ucraina sta iniziando i negoziati con gli Stati Uniti per le tanto richieste “garanzie di sicurezza”:
L’Ucraina inizierà i negoziati con gli Stati Uniti sulle garanzie di sicurezza la prossima settimana, ha dichiarato il capo dell’Ufficio del Presidente dell’Ucraina Andriy Yermak. “Queste garanzie sono valide fino a quando l’Ucraina non acquisirà l’adesione alla NATO, che è la garanzia di sicurezza più affidabile”, ha detto Yermak, aggiungendo che si tratta di un documento bilaterale. Le garanzie sono “impegni specifici e a lungo termine che assicureranno la capacità dell’Ucraina di sconfiggere e scoraggiare l’aggressione russa in futuro”, ha detto Yermak.
Il colonnello della riserva russa e analista Anatoly Matvychuk ritiene che questo sia l’inizio del processo verso i negoziati di pace e l’accordo. Dall’articolo sopra citato:
“Zelensky è pronto a concludere un trattato di pace, deve specificare il “prezzo” di questo accordo e le linee rosse oltre le quali ha il diritto di andare nel contesto delle concessioni territoriali”, ha condiviso l’esperto.Matviychuk ritiene che stia iniziando il “sondaggio” della possibilità di concludere un trattato di pace. Ha sottolineato che al momento si parla solo delle condizioni preliminari di un possibile accordo di pace. A questo proposito, l’esperto ritiene che la parte russa non sarà invitata.
Secondo un’altra fonte, Matvychuk avrebbe dichiarato che la Russia e l’Occidente sono impegnati in “colloqui preliminari segreti”:
Esperto di Mosca: L’Occidente e la Russia stanno già avendo discussioni preliminari sui negoziati COLONELLO ANATOLY MATVYCHUK: SE MOSCA E WASHINGTON SI ACCORDANO – KIEV NEGOZIERA’.L’Occidente sta discutendo con la Russia la possibilità di un dialogo sulla fine del conflitto in Ucraina, ma vuole che Mosca faccia concessioni finanziarie, ha dichiarato l’esperto militare ed ex ufficiale dei servizi segreti e delle forze speciali in pensione colonnello Anatoly Matviychuk: “Dietro le quinte, i negoziati tra Russia e Occidente sono già in corso”. Se Mosca e l’Occidente raggiungeranno gli accordi necessari, anche l’Ucraina sarà autorizzata a dialogare con la Russia. Matvijchuk è convinto che le difficili concessioni delle parti in conflitto debbano essere fatte. Egli sottolinea che l’Occidente sta cercando di “registrare la sconfitta di Mosca” e di organizzare benefici materiali per l’Ucraina.
Prendetelo con un pizzico di sale, perché non credo che la Russia parteciperà a colloqui di pace, anche se è sempre una possibilità remota, ma sto semplicemente riportando quello che c’è in giro, non solo la mia opinione.
Lo posterò di nuovo, ma se ricordate la settimana scorsa il propagandista ucraino Dmitry Gordon ha dichiarato che le sue fonti gli hanno detto che l’Occidente ha dato all’Ucraina fino alla fine dell’anno per mantenere qualsiasi guadagno ottenuto, quindi si tratta di colloqui di pace.
Concludo questa sezione con la seguente, efficace, considerazione di un altro analista, che riassume sinteticamente il sentimento:
Avvocato del Sud: Il governo di Kiev è ora composto da due tipi di persone: PR e terroristi. Per ottenere un vero successo al fronte e non funziona. Presto 2 mesi, e il risultato è insoddisfacente. È stato necessario utilizzare le riserve che erano state pianificate per lo sviluppo dell’offensiva dopo lo sfondamento della difesa.Pertanto, è necessario mantenere la popolazione in buona forma, non permettendo loro di inacidirsi, nutrendoli ogni giorno di vittoria, anche se non ci sono. D’altra parte, è necessario ridurre la volontà di resistenza sul versante difensivo, accumulando sempre più l’effetto della “stanchezza da guerra”, sperando che la società inizi una rivolta o, nel peggiore dei casi, chieda la pace, a beneficio anche dell’Ucraina e delle sue autorità. È vero, le autorità russe hanno regolarmente parlato della loro disponibilità ai negoziati, ma quando eravamo pronti ad andare da loro, i curatori ucraini si sono rifiutati di farlo. Tuttavia, se le Forze Armate ucraine continueranno ad ammazzarsi contro la difesa delle Forze Armate russe, a metà settembre potrebbero non esserci più forze sufficienti nemmeno per una difesa efficace. Pertanto, le Forze Armate ucraine avranno bisogno di tempo per un nuovo reclutamento, per l’addestramento e per reintegrare le perdite di equipaggiamento e munizioni. Avranno bisogno di un accordo di Minsk-3, in senso figurato. Una tregua per un nuovo round.
Altri aggiornamenti importanti
Passiamo ora ad alcuni altri aggiornamenti disparati.
Una notizia interessante è che la Russia ha effettivamente proceduto a proteggere il ponte di Kerch con bracci galleggianti antisabotaggio:
Il ponte di Crimea è stato inoltre recintato con speciali bracci antisabotaggio – in caso di nuovi tentativi di attacco terroristico da parte di Kiev. Secondo le nostre informazioni, in futuro le strutture proteggeranno il ponte dagli attacchi per tutta la sua lunghezza. Tali barriere sono progettate per proteggere dai droni di superficie e subacquei, che l’Ucraina sta utilizzando sempre più di recente. Si tratta sia di attrezzature fornite dalla NATO, sia di moto d’acqua trasformate in droni kamikaze.Ricordiamo che recentemente Zelensky ha definito il ponte di Crimea un “obiettivo” e ha detto che dovrebbe essere neutralizzato. E il 26 luglio, il capo dell’SBU, Vasyl Malyuk, ha ammesso pubblicamente che è stata Kiev a commettere l’attacco terroristico sul ponte di Crimea l’8 ottobre 2022, anche se questo fatto era stato precedentemente negato.
Se ricordate, avevo proposto questo come l’unico metodo possibile per fermare gli attacchi, ma dubitavo che venisse fatto per l’intera lunghezza dei 18 km del ponte più lungo d’Europa; ma il rapporto di cui sopra sostiene che copriranno l’intera lunghezza. Se ciò dovesse accadere tempestivamente, all’Ucraina resterebbe poco da fare per attaccare il ponte.
Sul fronte navale, l’Ucraina ha tentato un altro attacco con i droni contro le navi russe. La cosa più interessante, tuttavia, è la nuova dimensione dei progressi che questi attacchi navali in escalation hanno rivelato. Ad esempio, gli esperti navali hanno notato che le navi russe ora impiegano speciali sonar antisabotaggio:
Sia la Zelenyy Dol (Buyan-M) che la Burya (Karakurt) hanno il loro sonar antisabotatore MG-757 Anapa-M installato sul lato sinistro.
L’Anapa-M viene utilizzato per individuare sabotatori e sommozzatori da combattimento mentre la nave è ancorata o attraccata in aree ostili. Una volta individuati, l’equipaggio li attacca con i lanciagranate DP-64 a doppia canna o DP-65 a dieci canne.
La prima serie di foto mostra la piccola gru sopra la fiancata della nave che abbassa il sonar in acqua.
Da parte della NATO, un canale ucraino riferisce che l’intelligenza artificiale viene ora utilizzata per individuare le navi da guerra russe appena camuffate:
Navi russe camuffate a Sebastopoli scoperte con l’aiuto dell’AI Satim ha creato un’intelligenza artificiale in grado di individuare navi e sottomarini camuffati utilizzando immagini radar satellitari. Gli sviluppatori sostengono che l’accuratezza del loro sistema raggiunge il 90%. L’AI è riuscita non solo a individuare le navi mimetizzate, ma anche a distinguerle per classe. Per farlo, l’algoritmo ha utilizzato le immagini del satellite radar Umbra Space. L’intelligenza artificiale Satim può lavorare di notte e vede attraverso le nuvole. Il fumo notturno nei posti sbagliati è dietro l’angolo?
È un gioco al gatto e al topo con entrambe le parti che cercano di superarsi a vicenda con le innovazioni, proprio come durante la Guerra Fredda.
La Russia, però, continua ad essere un passo avanti:
Secondo le fonti francesi, nelle ultime settimane la Russia ha dispiegato la sua rete di ascolto acustico sottomarino Harmony nel Mare di Barents, in collaborazione con la Direzione principale della ricerca in alto mare (GUGI), effettuando i lavori subacquei necessari per installare la vasta rete di ascolto. L’obiettivo è quello di interferire con le operazioni di ricognizione, sorveglianza e ricognizione del sottomarino Seawolf SSN23 Jimmy Carter della Marina statunitense, che penetra regolarmente nelle acque di questo bastione della Flotta del Nord della Russia. La rete proteggerà anche le infrastrutture strategiche della Flotta del Nord, compresi i test e le prove top-secret di armi come il progetto di siluro intercontinentale Status-6/Poseidon. La nuova rete sarà collegata al centro di monitoraggio e ascolto acustico, il Centro di Situazione Subacquea della Flotta del Nord, attualmente in fase di allestimento nell’insediamento di Belushya Guba, sulla Novaya Zemlya, che sta diventando l’epicentro delle apparecchiature di intercettazione dell’intelligence elettronica russa per la zona artica. Secondo i francesi, i dati raccolti dalla rete Harmony saranno confrontati con le informazioni provenienti dalla costellazione di satelliti di sorveglianza marittima Liana. La rete di monitoraggio è il fulcro del piano russo per la sicurezza delle frontiere marittime, simile al sistema di sorveglianza acustica statunitense (SOSUS) e alla rete dispiegata dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale. Molti esperti ritenevano l’ambizioso progetto irrealizzabile, soprattutto a causa dei vincoli di bilancio e del cambiamento delle priorità produttive legate all’ASW. La Russia sta arruolando per il progetto i suoi principali attori del complesso militare-industriale, tra cui molti ingegneri e tecnici dell’Ufficio centrale di progettazione di Malakhit. Le stazioni di raccolta di informazioni acustiche sottomarine vengono prodotte negli stabilimenti della baia di Okolnaya, vicino a Severomorsk, nella penisola di Kola. Le boe di superficie, responsabili della trasmissione delle informazioni raccolte in profondità, sono prodotte dalla Kometa Corporation, specializzata in transponder satellitari, che fa parte della Almaz-Antey Concern.
In altre notizie, Gerasimov ha visitato il fronte di Zaporozhye per ricevere un aggiornamento di prima mano dal colonnello generale Alexander Romanchuk, comandante dell’intero raggruppamento russo di Zaporozhye:
Il prossimo: Un interessante rapporto sullo stato della difesa missilistica dell’Ucraina:
Le nostre fonti nell’OP hanno detto che l’Ucraina ha perso la maggior parte della difesa aerea sovietica, e il numero di missili per il resto è al minimo. Il numero di difese aeree occidentali nelle Forze Armate dell’Ucraina è cresciuto, ma non permette di coprire l’intero Paese, e il prezzo di un lancio è dieci volte più costoso dei sistemi sovietici.Questa è la principale voce di spesa degli alleati occidentali, che chiedono sempre più di risparmiare missili. Pertanto, gli arrivi alle infrastrutture sono diventati comuni. Le truppe russe, da parte loro, hanno imparato a sopprimere la difesa aerea: la sua efficacia è fortemente diminuita.
Questa notte si è dimostrata vera: al momento in cui scriviamo, il porto di Izmail, sul Danubio, è stato di nuovo massicciamente colpito da attacchi di droni russi, con segnalazioni di grandi incendi nelle strutture. Il primo video qui sotto è stato girato dalla parte rumena:
Anche Kiev è stata colpita. Podolyak ha anche ammesso giorni fa che questo inverno sarà il peggiore di sempre a causa degli enormi danni che la Russia ha arrecato alla rete elettrica:
Sul tema del grano, ecco un interessante aggiornamento:
L’Ucraina non riesce a trovare vie di esportazione per il grano – Das ErsteIl porto rumeno di Costanza è un importante punto di trasbordo per il grano ucraino – da qui viene spedito in Medio Oriente e in Africa.Dopo il fallimento dell’accordo sul grano, l’Ucraina spera che Costanza si faccia carico di parte del fatturato dei propri porti.Tuttavia, la capacità di Costanza è limitata – il porto è già pieno di navi e chiatte con grano ucraino.
Nel frattempo la Russia continua ad abbattere gli Storm Shadow: è apparso un nuovo video di un Pantsir S1 che compie questo lavoro:
E i resti di un missile SS abbattuto sono stati filmati da qualche parte non lontano dalla Crimea:
La Russia ha anche catturato un IFV svedese CV-90 completamente intatto. Si dice che questo sia l’IFV attualmente migliore e più avanzato al mondo, e ora è diretto a Mosca:
E alcuni ritengono che il CV-90 sia lo stesso che è stato colpito dall’eroico soldato russo mimetizzato nel video qui riportato.
E a proposito di blindati NATO catturati, ecco cosa hanno scoperto gli specialisti russi studiando gli esemplari già catturati:
Lo studio dei veicoli blindati catturati dalla NATO da parte degli specialisti dell’industria della difesa russa ha mostrato che essi si distinguono per una “mobilità mediocre” e per un’eccessiva complessità progettuale, non sempre razionale, ha dichiarato una fonte a RIA Novosti. Allo stesso tempo, il livello di blindatura degli equipaggiamenti NATO è “accettabile”, anche se presenta molti punti deboli dovuti alla distribuzione della protezione che non soddisfa i requisiti del combattimento moderno, ha aggiunto la fonte.
Ricordate il mio precedente articolo su questo argomento, in cui ho esplorato le principali differenze di filosofia progettuale tra gli equipaggiamenti russi e quelli occidentali, e perché l’Occidente non capirà mai il modo di fare la guerra della Russia:
Da tempo si attendeva una distinzione importante su un argomento che per molti è fonte di confusione e di errate interpretazioni. C’è un equivoco intrinseco sulle differenze concettuali tra i sistemi militari sovietici/russi (leggi: armi) e quelli degli equivalenti della NATO/Occidente. Sono stati fatti infiniti dibattiti non solo sul…
Leggi tutto
A seguire, alcuni esempi di filmati di combattimento della Fase 2. Tre M2 Bradley ucraini vengono attaccati e due vengono distrutti:
I Bradley distrutti sono ormai disseminati in ogni centimetro quadrato del fronte, così come altre armature varie:
Una colonna AFU viene distrutta dalla 42ª Divisione motorizzata di fucilieri russi vicino a Orekhov:
Questo è della prima fase, ma sono apparsi nuovi filmati che mostrano l’ormai famoso equipaggio di carri armati russi che da solo ha impegnato un grande convoglio di 2 carri armati ucraini e 8 MRAPS, contribuendo a distruggerne alcuni mentre l’artiglieria amica li ha eliminati:
Quella qui sopra è probabilmente la nuova angolazione di questo filmato precedentemente visto molto più da vicino: Link al video.
L’equipaggio è stato intervistato sul suo eroismo:
Ora sono in lizza per il premio dell’Ordine del coraggio:
Per non parlare del fatto che due di loro sono mobilitati (alla faccia degli stereotipi secondo cui i mobik sono inferiori), il comandante (a sinistra) e il mitragliere (a destra), mentre l’autista (al centro) è a contratto.
Per chi non ne ha mai abbastanza, eccone un paio di altri, che mostrano la brutale distruzione di intere colonne corazzate dell’AFU: Video 1, Video 2.
Passiamo ora al teatro dell’assurdo ucraino. Un propagandista di primo piano fa un’affermazione fantasiosa e sconvolgente, e per di più a viso aperto:rigozhin non solo è il cuoco di Putin, ma ha anche cucinato cervelli umani per lui:
E un altro propagandista di punta, Dmitry Gordon, spiega come gli alieni salveranno l’Ucraina bombardando le città russe dal cielo:
Un uomo per certi versi non meno ridicolo, ma che in realtà era un profeta con una comprovata esperienza. Qui, in una delle sue ultime profezie, Zhirinovsky dà la sua valutazione del mondo entro il 2030 e di come la Russia diventerà il leader globale:
In questo caso, egli presagisce che l’Ucraina non solo non avrà elezioni nel 2024, ma che il Paese cesserà di esistere:
E da questa intervista riportata alla luce, risalente ai primi anni ’90, prevede che in futuro all’Ucraina rimarranno solo 6 province, quelle di Transcarpazia, Lvov, Ternopil, Ivano-Frankovsk, Volyn e Rivno, prevedendo anche l’ingresso delle truppe polacche:
Per chi non l’avesse visto, Gonzalo Lira è riemerso per postare tre video dal confine ungherese, dove era sul punto di fare una folle corsa verso la libertà per chiedere asilo politico e sfuggire a una pena detentiva. Ecco la prima parte, ma potete cliccare sul suo account per vedere la seconda e la terza:
Infine, per rimanere in tema con il grande spettacolo, vi lascio con quanto segue:
I cantanti nordcoreani hanno eseguito per Shoigu un brano del popolare cantante patriottico russo Shaman, concludendo l’esibizione con un medley di popolari canzoni militari russe come il classico “Den Pobedy” (Giorno della Vittoria):
Domenica la Russia ha celebrato l’annuale Giornata della flotta e della marina, ecco un’interessante compilation:
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RITORNA IL FANTASMA DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA: SERVE ALLA NATO O ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA E POLITICA?
a cura di Luigi Longo
Il decreto-legge 31 marzo 2023 n.35, recante << Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria >>, approvato in via definitiva nella seduta del Senato del 24 maggio 2023, formalmente dà il via all’approntamento del ponte sullo Stretto di Messina (si veda anche il dossier del 5 aprile 2023, a cura del Servizio Studi del Senato e della Camera, su “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. A.C. 1067- D.L. 35/2023”, https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/DOSSIER/0/1375835/index.html?part=). L’iter di realizzazione del progetto del Ponte contiene le date di inizio dei lavori (2024) e di fine dei lavori (2030), così come fu configurata, nel 2008, dal governo di Silvio Berlusconi che fissava nel 2010 l’inizio dei lavori e nel 2016 la fine dei lavori; sarà, in sostanza, considerata la stessa durata temporale della realizzazione del Ponte, un progetto copia e incolla (della serie il tempo passa invano! Sic).
La storia si ripete, ma in maniera diversa. Vediamo come. Nella relazione di Governo del 31 marzo scorso, di accompagnamento al citato decreto-legge, si sottolinea che l’opera è «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale». Per la prima volta, a mia conoscenza, viene detto con chiarezza che il Ponte è una infrastruttura fondamentale per la Nato, meglio per gli Usa e le loro strategie di conflitto per il dominio mondiale nella fase multicentrica.
E’ questa chiarezza di servitù volontaria del Governo che non convince, così come non convincono le pressioni per la realizzazione del Ponte da parte sia dell’Unione Europea (un soggetto politico inesistente: una espressione geografica di metternichiana memoria), sia della Nato (uno strumento delle strategie di potenza degli Usa).
Non vi è nessuna ragione, né di un sapere critico, né di un sapere sistemico razionale (militare, economico, territoriale, ambientale, sismico, ingegneristico, fisico, storico, eccetera) che sostenga la fattibilità e l’utilità del Ponte; mentre diventa forte la convinzione che si tratti di una speculazione finanziaria che la storia del progetto del Ponte di Messina dimostra (un costo previsto oltre i 10 miliardi di euro, una previsione della Webuild SpA la società leader del settore costruzioni nata nel 2014 dalla fusione delle imprese Salini ed Impregilo. La previsione di un anno mezzo fa non tiene conto ovviamente del terremoto dei prezzi generato dalla guerra Russia-Ucraina e dalle conseguenti speculazioni sui mercati finanziari, specie relativamente alle due componenti chiave del Ponte, cemento e acciaio. Cfr. Antonio Mazzeo, Ponte sullo Stretto: il mostro è riemerso, www.antoniomazzeoblog.blogspot.com, 4/12/2022) e di una ulteriore militarizzazione del territorio (case mattemilitari sparse sul territorio), utile alle strategie statunitensi, di cui i servitori italiani ed europei sono a conoscenza (per quello che debbono eseguire) ma debbono ubbidire tacendo.
E si sa che le forme legislativa e giuridica, espressioni dei dominanti e dei sub-dominanti, velano i processi reali: i veri rapporti di potere non si mostrano!
Concludo ricordando la prefazione di Umberto Santino al libro di Antonio Mazzeo (I padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina, Edizioni Alegre, Roma, 2010): << C’è da chiedersi se il cantiere per costruire un ponte culturale, sociale e politico, lanciato verso un futuro diverso, sia aperto e operante o faccia parte di un desiderio destinato a rimanere tale >>.
Propongo, nella logica di svelare alcuni aspetti della realtà intorno al Ponte sullo stretto di Messina (quale cavallo di Troia), la lettura dei seguenti tre scritti: 1) Giorgia Audillo, Gli interessi militari dietro al Ponte sullo Stretto di Messina, apparso sul sito www.osservatoriorepressione.info il 27/7/2023, 2) Karim El Sadi, a cura di, Intervista a Antonio Mazzeo: il Ponte opera insostenibile spinta dal governo per collegare basi Nato, pubblicato sul sito www.antimafiaduemila.com il 8/6/2023; 3) Luigi Longo, Le infrastrutture militari nella fase multicentrica, diffuso sul sito www.italiaeilmondo.com il 19/1/2018.
PRIMO SCRITTO
GLI INTERESSI MILITARI DIETRO AL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA
Anche la Nato preme per costruire il ponte sullo Stretto, l’infrastruttura servirà a collegare le basi di Sigonella e Napoli
di Giorgia Audiello
A chi serve davvero il ponte sullo stretto di Messina? Il tema è tornato al centro dell’attenzione dopo che il governo ha deciso di riprendere il progetto infrastrutturale per collegare la Sicilia alla Calabria e sono emerse le forti pressioni dell’ambito militare – in particolare della Nato – per la realizzazione dell’opera. Più che attuare la costruzione dell’infrastruttura per migliorare la mobilità civile, infatti, l’investimento – lievitato oggi a 13,5 miliardi dai cinque del 2001 – servirebbe a migliorare la mobilità e icollegamenti delle basi militari del sud Italia, dove l’Alleanza atlantica gestisce le principali operazioni americane nel Mediterraneo. Per questo, l’opera è richiesta a gran voce dall’UE e dalla Nato, ossia da organizzazioni extranazionali che detengono cospicui interessi nel Paese e che – di fatto – decidono la linea da seguire grazie all’influenza determinante che esercitano sul governo di Roma. Nello specifico, l’opera dovrebbe rientrare nel Trans-European Transport Network, progetto europeo nato per migliorare la mobilità all’interno dell’Unione anche in un’ottica militare e di cui in Italia fa parte anche la Tav Torino-Lione.
A fugare ogni dubbio circa l’impiego e l’ottica prevalentemente militare del progetto, c’è una relazione presentata il 31 marzo dal governo Meloni – smaccatamente europeista e filo-Nato – in cui si specifica che il ponte sullo stretto rappresenta «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale» [grasseto mio, LL]. Da tempo, l’Alleanza atlantica evidenzia le lacune delle infrastrutture italiane: ponti che non reggono il peso dei mezzi militari, paesi con scarsi collegamenti interni, opere obsolete e scartamenti delle linee ferroviarie diversi rallentano il dispiegamento di mezzi e truppe in tempi rapidi. Nasce da queste esigenze la vera motivazione dietro al progetto del ponte sullo stretto, non certo dai bisogni della popolazione civile. Le necessità di ammodernamento ed efficientamento delle infrastrutture a scopi militari sono state naturalmente amplificate dai recenti avvenimenti in Ucraina.
Le aziende coinvolte nel progetto
Anche le aziende coinvolte nella costruzione del ponte hanno stretti legami col mondo bellico, a cominciare da WeBuild, società a cui già vent’anni fa lo Stato italiano aveva affidato l’esecuzione dell’opera e che ora chiede alla presidenza del Consiglio danni per 700 milioni di euro. L’azienda, oltre ad essere azionista per il 45% di Eurolink– consorzio a cui il governo vuole riaffidare l’incarico per la realizzazione del ponte – ha anche al suo attivo importanti lavori per il riammodernamento di infrastrutture militari: dall’aeroporto militare di Capodichino alla costruzione della tratta dell’alta velocità Novara-Milano al passante autostradale di Mestre. Questi ultimi due lavori sono volti a migliorare i collegamenti delle basi americane nel nord est italiano. Altra azienda coinvolta nel consorzio è la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna (CMC) che si è occupata già, tra le altre cose, del potenziamento infrastrutturale di Sigonella e delle strutture per ospitare i militari americani nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza. Anche la Società Italiana Condotte d’Acqua è parte del progetto e ha anch’essa esperienze pregresse nel settore militare, tra cui la realizzazione di un hangar e fabbricati nella base elicotteri dell’Aviazione dell’esercito di Lamezia Terme.
Il caso Eurolink e la debolezza italiana
Un altro aspetto che lega il ponte alla Difesa è la nomina, da parte di WeBuild, di Gianni De Gennaro a presidente di Eurolink. De Gennaro è ex capo della Polizia e direttore della Direzione investigativa antimafia, nonché ex presidente della maggiore azienda attiva nei settori della difesa a compartecipazione statale, Leonardo. La sua nomina a capo del consorzio indica la naturaprettamente militare del progetto nonché la volontà di mettere in sicurezza i cantiere oltre che di gestire i movimenti diprotesta contro l’infrastruttura. Il movimento “No ponte”, ad esempio – che aveva ottenuto una vittoria nel 2012, quando il governo aveva predisposto lo stop al progetto, dopo una partecipatissima mobilitazione popolare – è tornato a far sentire la sua voce per impedirne o ritardarne la costruzione. Eventuali ritardi danneggerebbero non solo gli interessi delle aziende e del governo, ma della stessa Nato.
A ciò si aggiunge l’importante tema della “sovranità nazionale” rivendicata proprio dai partiti di centrodestra che in realtà sono stati i primi a tradirla accettando pesanti ingerenze negli affari interni, a partire proprio dall’esecuzione delle direttive Nato sul territorio nazionale. Un caso emblematico è quello del ministro dei Trasporti Matteo Salvini che, contrarioall’opera fino a pochi anni fa, ha compiuto una giravolta politica in grande stile, pur di allinearsi al volere dominante degli enti sovranazionali che di fatto governano la penisola. Così, lo scorso maggio, Camera e Senato hanno dato il via libera a quella che viene considerata “la madre di tutte le grandi opere in Italia”.
L’insostenibilità e i rischi dell’opera
Secondo diversi esperti, tra cui il giornalista antimilitarista Antonio Mazzeo, l’opera non solo è irrealizzabile dal punto di vista ingegneristico ed economico, ma comporterebbe gravi rischi per l’Italia meridionale, tra cui una maggiore militarizzazione del territorio, il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e la sottrazione di fondi dai bisogni reali del territorio. «Il Ponte sullo Strettoè irrealizzabile come lo era dieci anni fa ma questa volta ci sono alcuni attori che stanno spingendo per avviare quest’opera. […] Un’opera di questa rilevanza non potrà non richiedere – e lo dicono le forze armate – una serie di interventi: batteriemissilistiche (una sola batteria costa 800 milioni di euro, ndr), cacciabombardieri, il pattugliamento costante dei sottomarini. Questa è ovviamente un’ulteriore militarizzazione del territori», ha spiegato Mazzeo. Per quanto riguarda il pericolo di infiltrazioni mafiose, invece, il giornalista ha asserito che «Il rischio è che oggi, di fronte agli anticorpi di una cultura mafiosa, chi si promuove come realizzatore del ponte, fosse anche un mafioso, dovrebbe guadagnare una legittimità. Le grandi organizzazioni mafiose potrebbero legittimarsi come un grande elemento: prima abbiamo messo le bombe e fatto le stragi oggi facciamo il ponte e ciperdonate». Ne emerge, dunque, un quadro dove intorno alla costruzione dell’infrastruttura orbita una rete di interessi che coinvolge diversi ambiti, da quello politico-militare a quello mafioso, e che va a scapito non solo delle esigenze del territorio locale, ma di tutta la nazione, sottomessa ai voleri di Nato, Ue e Stati Uniti e destinata ad essere sempre più militarizzata e subordinata al volere di organizzazioni e stati stranieri.
SECONDO SCRITTO
ANTONIO MAZZEO: IL PONTE OPERA INSOSTENIBILE SPINTA DAL GOVERNO PER COLLEGARE BASI NATO
Intervista a cura di Karim El Sadi
Dopo oltre dieci anni lo spettro del ponte sullo Stretto è tornato ad occupare sedute parlamentari, pagine di giornale ed assemblee sindacali. La vittoria del movimento “No Ponte” – avvenuta nel 2012 quando il consiglio dei Ministri aveva varato lo stop al progetto dopo una partecipatissima mobilitazione popolare – è solo un ricordo lontano ora che il governo Meloni ha ripescato quel progetto edilizio utopico e privo di senso per portarlo a compimento entro il 2030. Nei giorni scorsi anche Camera e Senato hanno dato il loro via libera a quella che viene considerata come “la madre di tutte le grandi opere in Italia” (sarebbe il ponte a campata unica più lungo al mondo), con i lavori che dovrebbero cominciare nel 2024. Ma sarà un’impresa infattibile perché realizzarla significherebbe andare contro le leggi della fisica, dell’ingegneria, e persino contro le leggi dell’economia (non è stato messo neanche un mattone e già alle casse dello Stato è costato mezzo miliardo di euro). Da quando il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini che fino a qualche anno fa ripudiava l’idea del ponte tra Messina e Reggio Calabria – ha iniziato a far girare le “betoniere burocratiche”, il movimento “No Ponte” è tornato in campo per impedire la costruzione di questa follia ingegneristica. All’interno di questa realtà popolare ci sono sindacati, studenti, politici, ingegneri e giornalisti. Tra questi c’è anche Antonio Mazzeo, giornalista e saggista antimilitarista che da quarant’anni racconta e denuncia il coinvolgimento dell’Italia e soprattutto della Sicilia nei vari teatri di guerra internazionali. Lo abbiamo intervistato a Palermo in occasione della presentazione del suo fumetto-inchiesta “Sigonella, le guerre alle porte di Casa” (La Revue Dessinée Italia) realizzato insieme al fumettista Lelio Bonaccorso e Deborah Braccini.
“Il Ponte sullo Stretto irrealizzabile come lo era dieci anni fa ma questa volta ci sono alcuni attori che stanno spingendo per avviare quest’opera. Non la realizzazione del ponte, ma una serie di opere, giustificate col ponte, che ovviamente permetteranno il trasferimento di risorse che verranno sottratte ai bisogni reali del territorio”, ha detto Mazzeo ai nostri microfoni”. “Penso alla messa in sicurezza: noi abbiamo un area dissestata dal punto di vista idrogeologico”. Secondo Mazzeo, rispetto al 2012 “questa volta l’avversario è la volontà di iniziare a bucare il territorio”. Sullo sfondo, infatti, c’è la militarizzazione della Sicilia e la guerra in Ucraina per la quale l’isola rappresenta un territorio fondamentale viste le varie basi NATO già presenti: da Sigonella, a Niscemi, fino a Trapani o ad Augusta.
“Se iniziassero i lavori non possiamo che aspettarci un incremento della presenza militare sul territorio”, ha spiegato il giornalista. “Verranno create caserme, sarà più forte la presenza dell’esercito e della marina militare. Lo abbiamo visto già in Val di Susa con la No Tav, dove c’è stata una pressione enorme dal punto di vista militare e una riduzione enorme degli spazi di agibilità democratica”. Secondo Antonio Mazzeo quello che si prefigura “è la vendibilità del ponte”.
“Un’opera di questa rilevanza non potrà non richiedere – e lo dicono le forze armate – una serie di interventi: batterie missilistiche (una sola batteria costa 800 milioni di euro, ndr), cacciabombardieri, il pattugliamento costante dei sottomarini”. “Questa – ha ragionato ancora il giornalista – è ovviamente un’ulteriore militarizzazione del territori”. Ma ciò che è ancora più grave, a detta di Antonio Mazzeo, “è la giustificazione che il governo dà oggi per realizzare quest’opera”. “Abbiamo scoperto che il governo la definisce di importanza geostrategica fondamentale per mettere in collegamento le basi NATO del Sud Italia con le basi NATO della Sicilia. Viene quindi giustificato il ponte come elemento fondamentale di rafforzamento militare della mobilità militare. Questa è una fandonia dal punto di vista tecnico ma ci preoccupa perché può essere utilizzata come cavallo di Troia per giustificare la necessità di iniziare a operare perché in un mondo di guerra, in un territorio di guerra è fondamentale per la guerra”. Non solo incremento della militarizzazione della Sicilia, ma il ponte ingolosisce l’appetito delle mafie, nello specifico le due mafie delle due regioni combacianti Cosa Nostra in Sicilia e ‘Ndrangheta in Calabria. Sul tema, Antonio Mazze aveva scritto un libro 13 anni fa: “I padrini del ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina” (Edizioni Alegre).
“Tredici anni fa individuammo come le grandi organizzazioni mafiose internazionali volevano investire su quest’opera per legittimarsi”, ha raccontato Mazzeo. “Il rischio – ha avvertito il giornalista – è che oggi di fronte agli anticorpi di una cultura mafiosa, chi si promuove come realizzatore del ponte, fosse anche un mafioso, dovrebbe guadagnare una legittimità. Le grandi organizzazioni mafiose potrebbero legittimarsi come un grande elemento: prima abbiamo messo le bombe e fatto le stragi oggi facciamo il ponte e ci perdonate”.
TERZO SCRITTO
Le infrastrutture militari nella fase multicentrica
diLuigi Longo
Non gli animali, ma senz’altro gli uomini e soltanto
gli uomini conducono gli uni contro gli altri << guerre
terrestri e marittime >>. Sempre, quando l’ostilità tra
grandi potenze ha raggiunto il culmine, la contrapposi=
zione bellica si svolge contemporaneamente sia nell’uno
che nell’altro ambito, sicché da entrambe le parti la guerra si trasforma in << guerra terreste e marittima >> […] Se poi si aggiunge l’aria come terza dimensione, la guerra si trasforma per entrambi i contendenti anche in guerra aerea.
Carl Schmitt*
L’esercito, nel proprio paese, avrà bensì linee di comunicazioni proprie, organizzate a tal fine, ma non è affatto obbligato a valersi di esse sole; e può, in caso di necessità, scostarsene e scegliere qualsiasi altra strada esistente […] Le strade principali attraversanti le città più ricche e le province più importanti sono le migliori linee di comunicazioni. Esse meritano la preferenza anche se producono percorsi molto maggiori e hanno, nella maggior parte dei casi, carattere determinante per lo schieramento dell’esercito.
Clausewitz**
1. Le potenze mondiali, gli Stati Uniti (potenza egemone in relativo declino), la Russia e la Cina (potenze emergenti in relativo consolidamento), protagoniste in questa fase multicentrica che sta diventando sempre più visibile e determinata, vengono attraversate da conflitti interni tra gli agenti strategici delle sfere sociali per la configurazione, in equilibrio dinamico, del blocco egemone dominante (emblematico è l’esempio in questa fase del conflitto interno statunitense). All’interno di questo conflitto assumono rilevanza i comandanti della sfera militare che hanno un peso specifico nelle decisioni sugli investimenti per le infrastrutture militari e civili finalizzate alle diverse strategie territoriali sia nelle nazioni alleate sia nelle varie aree o regioni di influenza per preparare il campo [terreste, acquatico e aereo (1)] del conflitto per il dominio mondiale che non necessariamente deve passare per la fase policentrica (la guerra) anche se la storia mondiale dimostra la inevitabilità della guerra (2). Quindi i suddetti comandanti formano, insieme agli agenti strategici delle altre sfere sociali (politiche, economiche, istituzionali, culturali, eccetera), il blocco egemone dominante di ogni singola potenza mondiale con una propria visione politica del mondo: dominio assoluto gli USA, dominio multicentrico la Russia e la Cina. In sintesi, per quanto suddetto, introduco il seguente schema del conflitto strategico che ha come punto di partenza il nascente paradigma di Gianfranco La Grassa (approfondirò lo schema nel prossimo scritto su Il conflitto strategico e la mossa del cavallo).
Macro schema
RAPPORTI SOCIALI
SFERE SOCIALI
RELAZIONI SOCIALI DI POTERE
AGENTI STRATEGICI SFERE SOCIALI
AGENTI STRATEGICI DOMINANTI
Nell’attuale fase multicentrica gli USA, consapevoli di essere una potenza egemone in relativo declino, ri-lanciano la loro sfida per il dominio mondiale assoluto poggiandosi prevalentemente sulla indiscussa (ancora per molto, ahinoi) supremazia mondiale della forza militare (3) e non su una diversa visione dello sviluppo e delle relazioni sociali mondiali perché hanno la fissazione storica di essere la nazione indispensabile per mandato divino [il Popolo Eletto (4)] per assicurare la libertà, la pace, la democrazia, i diritti sulla Terra. In virtù di tale fissazione << gli Stati Uniti avanzavano la pretesa di decidere, al di là della distinzione tra emisfero occidentale ed emisfero orientale, sulla liceità o illiceità di ogni mutamento territoriale in tutta la terra. Tale pretesa riguardava l’ordinamento spaziale della terra. Ogni avvenimento in qualsiasi punto della terra poteva riguardare gli Stati Uniti >>(5). << Nel settembre 2000, nel condurre la campagna elettorale che l’avrebbe portato alla presidenza, George W. Bush enunciava un vero e proprio dogma: “la nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo”. E’ un dogma ben radicato nella tradizione politica statunitense. Bill Clinton aveva inaugurato il suo primo mandato presidenziale, con una proclamazione ancora più enfatica del primato degli USA e del diritto-dovere a dirigere il mondo “La nostra missione è senza tempo”. Si direbbe che alla white supremacy sia subentrata la western supremacy ovvero l’American supremacy […] >> (6). Nella continuità della fissazione storica, Donald Trump sostiene che è fondamentale per << mettere l’America al primo posto perché sia sicura, prospera e libera >> avere << la forza e la volontà di esercitare la leadership Usa nel mondo >> (7).
Le basi aeree, le basi navali, le basi dell’esercito degli USA hanno circondato la Terra: guardate con coscienza dell’occhio (8) le carte seguenti ben sapendo che la cartografia sacrifica le relazioni sociali o il corpo vivente della terra, dello spazio, del territorio ed evidenzia i segni e i simboli del dominio (9).
E’ sulla Terra che si vivono i rapporti sociali, lo spazio aereo li sorvola, lo spazio acquatico li limita, lo spazio nucleare li estingue. Essi sono spazi fondanti per le strategie degli agenti dominanti delle potenze mondiali per la egemonia e per la configurazione o ri-configurazione dei nuovi rapporti sociali e territoriali storicamente dati. Stiamo entrando in una fase storica di esplosione degli spazi che distrugge e costruisce un nuovo ordine mondiale. Per dirla con Neil Brenner << […] Nelle condizioni geografiche e storiche attuali, tuttavia, il processo di urbanizzazione si struttura sempre più su scala mondiale. L’urbanizzazione non si riferisce più solo all’espansione delle “grandi città” (Friedrich Engels) del capitalismo industriale, all’estendersi di centri di produzione metropolitani, alle configurazioni di reticoli di insediamenti suburbani e di infrastrutture regionali tipiche del capitalismo fordista-keynesiano, o all’anticipata espansione lineare della popolazione umana nelle megalopoli mondiali che finisce per creare un “pianeta di slum”. Invece […] questo processo si sviluppa oggi sempre di più attraverso lo sviluppo ineguale [ corsivo mio]di un “tessuto urbano” composto da diversi tipi di strutture d’investimento, di spazi di insediamento, di matrici di uso del suolo e di reti di infrastrutture, attraverso l’intera economia mondiale […] Noi stiamo assistendo, in breve, all’intensificazione e all’estensione dei processi di urbanizzazione su tutte le scale spaziali e attraverso l’intera superficie dello spazio planetario >> (10).
Fonte: Limes n.11/2016
Fonte: Limes n9/2016
Fonte: Limes n.11/2016
Gli Stati Uniti, parafrasando Tacito letto da Concetto Marchesi, appena diventati Nazione dopo un lungo periodo storico che va dalla guerra di indipendenza (1775-1783) alla guerra di secessione (1861-1865) (11), sono costretti a combattere per vivere; poi seguitano a combattere per accrescere il loro dominio e la loro ricchezza. La guerra è per loro prima una necessità di vita, poi una incessante necessità di grandezza e di arricchimento (12). E’ attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale.
2. Tratterò, in estrema sintesi, le suddette infrastrutture militari e civili in Europa, attraverso la PeSCO (Permanent Structured Cooperation, Cooperazione Strutturata Permanente) del campo della difesa UE, non come conseguenza di scelte politiche di un soggetto unitario ed autonomo, che non c’è e che non è mai esistito storicamente, ma come un continente che per la prima volta nella storia non sarà protagonista mondiale del conflitto ma sarà campo di battaglia e spazio importante per le strategie statunitensi, con conseguenti trasformazioni, modificazioni, ri-configurazioni, organizzazioni e ruoli di territori e di aree.
Inoltre tratterò degli investimenti che il Pentagono sta realizzando, a spese nostre, sul territorio italiano nelle basi militari e nelle infrastrutture civili ad esse collegate, soprattutto ferroviarie [alta velocità (AV) e alta capacità(AC)] e stradali (corridoi nazionali ed europei) (13).
Infine, un accenno ai ruoli importanti che potrebbero avere le due città della Puglia, Taranto e Foggia [già protagoniste nella seconda guerra mondiale con le loro infrastrutture militari e civili (14)] nelle strategie statunitensi nel Mediterraneo, nel Vicino Oriente e nei Balcani.
3. Riporto una sintesi chiara sulla nascita e sul ruolo della PeSCO avanzata da Manlio Dinucci << Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri.
Che cosa sia lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Partecipando al Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea, egli sottolinea «l’importanza, evidenziata da tanti leader europei, che la Difesa europea debba essere sviluppata in modo tale da essere non competitiva ma complementare alla Nato [corsivo mio]».
Il primo modo per farlo è che i paesi europei accrescano la propria spesa militare: la Pesco stabilisce che, tra «gli impegni comuni ambiziosi e più vincolanti» c’è «l’aumento periodico in termini reali dei bilanci per la Difesa al fine di raggiungere gli obiettivi concordati». Al budget in continuo aumento della Nato, di cui fanno parte 21 dei 27 stati della Ue, si aggiunge ora il Fondo europeo della Difesa attraverso cui la Ue stanzierà 1,5 miliardi di euro l’anno per finanziare progetti di ricerca in tecnologie militari e acquistare sistemi d’arma comuni. Questa sarà la cifra di partenza, destinata a crescere nel corso degli anni.
Oltre all’aumento della spesa militare, tra gli impegni fondamentali della Pesco ci sono «lo sviluppo di nuove capacità e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari». Capacità complementari alle esigenze della Nato che, nel Consiglio Nord Atlantico dell’8 novembre, ha stabilito l’adattamento della struttura di comando per accrescere, in Europa, «la capacità di rafforzare gli Alleati in modo rapido ed efficace».
Vengono a tale scopo istituiti due nuovi comandi. Un Comando per l’Atlantico, con il compito di mantenere «libere e sicure le linee marittime di comunicazione tra Europa e Stati uniti, vitali per la nostra Alleanza transatlantica». Un Comando per la mobilità, con il compito di «migliorare la capacità di movimento delle forze militari Nato attraverso l’Europa» [ corsivo mio].
Per far sì che forze ed armamenti possano muoversi rapidamente sul territorio europeo, spiega il segretario generale della Nato, occorre che i paesi europei «rimuovano molti ostacoli burocratici». Molto è stato fatto dal 2014, ma molto ancora resta da fare perché siano «pienamente applicate le legislazioni nazionali che facilitano il passaggio di forze militari attraverso le frontiere». La Nato, aggiunge Stoltenberg, ha inoltre bisogno di avere a disposizione, in Europa, una sufficiente capacità di trasporto di soldati e armamenti, fornita in larga parte dal settore privato.
Ancora più importante è che in Europa vengano «migliorate le infrastrutture civili – quali strade, ponti, ferrovie, aeroporti e porti – così che esse siano adattate alle esigenze militari della Nato» [corsivo mio]. In altre parole, i paesi europei devono effettuare a proprie spese lavori di adeguamento delle infrastrutture civili per un loro uso militare: ad esempio, un ponte sufficiente al traffico di pullman e autoarticolati dovrà essere rinforzato per permettere il passaggio di carrarmati.
Questa è la strategia in cui si inserisce la Pesco, espressione dei circoli dominanti europei che, pur avendo contrasti di interesse con quelli statunitensi, si ricompattano nella Nato sotto comando Usa quando entrano in gioco gli interessi fondamentali dell’Occidente messi in pericolo da un mondo che cambia [neretto mio]. Ecco allora spuntare la «minaccia russa», di fronte alla quale si erge quella «Europa unita» che, mentre taglia le spese sociali e chiude le sue frontiere interne ai migranti, accresce le spese militari e apre le frontiere interne per far circolare liberamente soldati e carrarmati >> (15).
4. Riprendo gli interventi del Pentagono (Dipartimento della Difesa degli USA) sulle strutture militari presenti sul territorio italiano da una descrizione puntuale di Manlio Dinucci << Grandi opere sul nostro territorio, da nord a sud. Non sono quelle del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui tutti discutono, ma quelle del Pentagono di cui nessuno discute. Eppure sono in gran parte pagate con i nostri soldi e comportano, per noi italiani, crescenti rischi.
All’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) parte il progetto da oltre 60 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la costruzione di infrastrutture per 30 caccia Usa F-35, acquistati dall’Italia, e per 60 bombe nucleari Usa B61-12.
Alla base di Aviano (Pordenone), dove sono di stanza circa 5000 militari Usa con caccia F-16 armati di bombe nucleari (sette dei quali sono attualmente in Israele per l’esercitazione Blue Flag 2017), sono stati effettuati altri costosi lavori a carico dell’Italia e della Nato.
A Vicenza vengono spesi 8 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la «riqualificazione» delle caserme Ederle e Del Din, che ospitano il quartier generale dell’Esercito Usa in Italia e la 173a Brigata aviotrasportata (impegnata in Europa orientale, Afghanistan e Africa), e per ampliare il «Villaggio della Pace» dove risiedono militari Usa con le famiglie.
Alla base Usa di Camp Darby (Pisa/Livorno) inizia in dicembre la costruzione di una infrastruttura ferroviaria, del costo di 45 milioni di dollari a carico degli Usa più altre spese a carico dell’Italia, per potenziare il collegamento della base con il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa, opera che comporta l’abbattimento di 1000 alberi nel parco naturale. Camp Darby è uno dei cinque siti che l’Esercito Usa ha nel mondo per lo «stoccaggio preposizionato» di armamenti (contenente milioni di missili e proiettili, migliaia di carrarmati e veicoli corazzati): da qui vengono inviati alle forze Usa in Europa, Medioriente e Africa, con grandi navi militarizzate e aerei cargo.
A Lago Patria (Napoli) il nuovo quartier generale della Nato, costato circa 200 milioni di euro di cui circa un quarto a carico dell’Italia, comporta ulteriori costi a carico dell’Italia, tipo quello di 10 milioni di euro per la nuova viabilità attorno al quartier generale Nato.
Alla base di Amendola (Foggia) sono stati effettuati lavori, dal costo inquantificato, per rendere le piste idonee agli F-35 e ai droni Predator statunitensi, acquistati dall’Italia.
Alla Naval Air Station Sigonella, in Sicilia, sono stati effettuati lavori per oltre 100 milioni di dollari a carico di Stati uniti e Nato, quindi anche dell’Italia. Oltre a fornire appoggio logistico alla Sesta Flotta, la base serve a operazioni in Medioriente, Africa ed Europa orientale, con aerei e droni di tutti i tipi e forze speciali. A tali funzioni si aggiunge ora quella di base avanzata dello «scudo anti-missili» Usa, in funzione non difensiva ma offensiva soprattutto nei confronti della Russia: se fossero in grado di intercettare i missili, gli Usa potrebbero lanciare il first strike nucleare neutralizzando la rappresaglia.
A Sigonella sta per essere installata la Jtags, stazione di ricezione e trasmissione satellitare dello «scudo», non a caso mentre, con il lancio del quinto satellite, sta per divenire pienamente operativo il Muos, il sistema satellitare Usa che ha nella vicina Niscemi una delle quatto stazioni terrestri.
Il generale James Dickinson, capo del Comando strategico Usa, in una audizione al Congresso il 7 giugno 2017 ha dichiarato: «Quest’anno abbiamo ottenuto l’appoggio del Governo italiano a ridislocare, in Europa, la Jtags alla Naval Air Station Sigonella».
Era al corrente il Parlamento italiano di una decisione di tale portata strategica, che porta il nostro paese in prima linea nel sempre più pericoloso confronto nucleare? Se ne è almeno parlato nelle commissioni Difesa? >> (16).
5. In Puglia, due città, Taranto e Foggia, stanno subendo trasformazioni territoriali finalizzate all’approntamento di una rete di infrastrutture che apparentemente nulla hanno a che fare con il loro utilizzo ai fini militari. In realtà esse sono ben velate sotto l’uso civile delle infrastrutture (logistica, ferroviarie, aeroportuali, portuali) per lo sviluppo economico dei territori e delle città, ma nella sostanza esse sono fondanti come nodi di una rete nazionale (ed europea) che fa dell’Italia una espressione geografica al servizio delle strategie statunitensi.
Taranto, una città storicamente rilevante per la funzione militare e strategica sin dalla più remota antichità fino ai giorni nostri (17), è attraversata, dal 2012 anno di intervento della Magistratura tarantina, da una fase complessa di trasformazione da polo siderurgico a polo strategico della Nato (18). Un polo Nato che incorporerà città e territori interscalari (dal mondiale al locale con differenza qualitativa in relazione “alla specificità storica delle morfologie scalari associate ai processi sociali e alle forme istituzionali”) riconfigurandoli e riorganizzandoli alle esigenze di uno sviluppo imperniato sulle strategie USA-Nato. Un territorio logistico che formalmente è progettato per diventare un hub dell’area mediterranea destinato ad aggregare iniziative nazionali ed internazionali a sostegno della ricerca, sviluppo, sperimentazione e certificazione di soluzioni integrate tra trasporto aereo e industria aerospaziale, ma sostanzialmente piegato alle esigenze del conflitto USA-Nato per contrastare le emergenti potenze mondiali (Russia e Cina). E’ qui che si sta realizzando un progetto tra USA ed Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) per l’utilizzo di Droni con una compressione di tempo e di spazio impressionante: si parla di 100 minuti da Los Angeles a Roma attraverso un corridoio nella stratosfera (19), ovviamente per il trasporto merci di uno sviluppo pacifico e non di uno sviluppo finalizzato agli scenari di guerra. Tutto questo a partire dal 2012 (l’anno serve solo per indicare il punto di svolta dei processi sociali storicamente dati) in un luogo istituzionale di medio potere, quale è la regione Puglia, con un Presidente, Nichi Vendola, l’uomo della famosa risata servile verso i poteri dell’ILVA (20).
Foggia, una città storicamente rilevante per la posizione geografica (un nodo di collegamento tra la via Adriatica, la via Tirrenica e la via interregionale) sin dai tempi di Federico II fino ad oggi (21). Il territorio logistico è in fase di progettazione: una riconversione dello storico aeroporto “Gino Lisa” (22) (è stato nel periodo tra le due guerre mondiali una scuola per piloti di importanza mondiale, qui si sono formati i primi piloti statunitensi comandati dal Maggiore Fiorello La Guardia) in sede della Protezione Civile regionale che è il cavallo di troia per nascondere il vero obiettivo di un aeroporto di merci e mezzi militari (unica ragione per tenere in vita un aeroporto economicamente insostenibile); una riconfigurazione della base Amendola come base di fatto a comando USA-Nato così come da interventi progettati dal Pentagono; una grande area logistica ingiustificata tenendo conto del basso livello dello sviluppo economico della città e del territorio; un collegamento stradale e ferroviario tra area logistica, nodi territoriali e aerea portuale di Manfredonia ( antico porto di scambi con l’altra sponda adriatica) (23); una rete ferroviaria ad alta capacità in fase di realizzazione di collegamento tra Roma-Bari, facente parte della rete Scandinavia-Mediterraneo (Helsinki-Valletta) una delle linee strategiche europee e uno degli obiettivi della programmazione a lungo termine per lo sviluppo del settore ferroviario (24).
Posso dire con Ennio Flaiano che la situazione politica in Italia è grave ma non è seria se si pensa che la struttura del Libro Bianco del Ministero della Difesa (25) è tutta interna alla logica funzionale Nato ad egemonia USA. Tutto questo la dice lunga sull’autonomia e sul ruolo della sfera militare italiana frammentata e incapace di esprimere agenti strategici per un disegno, per una idea di una nazione autonoma e sovrana nelle relazioni mondiali (26).
6. Io non vedo nessun ruolo che l’Italia possa avere nel Mediterraneo così come non vedo nessun ruolo che la Francia e la Germania possano avere per un processo di costruzione di autonomia europea.
La divisione del lavoro tra una Francia (leader militare) e una Germania (leader economica) per costruire un asse su cui pensare una futura Europa è una utopia irrealizzabile (27).
Il problema vero è l’assenza di agenti strategici autonomi in tutte le nazioni europee(a diverse sfumature considerata la storia e la cultura peculiari di ogni singolo popolo) in grado di liberarsi dalle strategie e dalla occupazione militare statunitensi sul continente Europa. L’autonomia e le relazioni tra nazioni sono processi storici che non si costruiscono nel breve periodo.
Se non si avvierà questa costruzione di soggetti di trasformazione non dati dalla Storia ma costruiti nella Storia che pensano un progetto di coordinamento europeo per rilanciare un ruolo significativo del continente Europa tra Occidente e Oriente e soprattutto nuove relazioni con le potenze mondiali che lottano per un mondo multicentrico, dispiace dirlo scivoleremo tutti in quella che Gyorgy Lukacs ha definito :<< La stupidità e la disonestà si manifestano anzitutto nell’adattamento dei sentimenti e delle idee alla infamia della realtà sociale [ad egemonia statunitense, mia aggiunta]>> (28).
EPIGRAFI
* Carl Schmitt, Dialogo sul potere, Adelphi, Milano, 2012, pp. 58-59.
**Clausewitz, Dalla guerra, Mondadori, Milano, 2011, pp. 429 e 432.
NOTE
1. Ad ulteriore conferma del ruolo importante dei comandanti militari nelle relazioni internazionali si legga Manlio Dinucci, Italia-Israele: la << diplomazia dei caccia >> in www.voltairenet.org, 14/12/2017; sulle rivoluzioni spaziali mondiale si veda Carl Schmitt, Dialogo sul nuovo spazio in Carl Schmitt, Dialogo sul potere, op.cit., pp. 49-93; Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi, Milano, 2006; Matteo Vegetti, L’invenzione del globo. Spazio, potere, comunicazione nell’epoca dell’aria, Einaudi, Torino, 2017.
2. Il termine comandante è riferito non solo alla sfera militare, ma può essere allargato anche alle altre sfere sociali perché è da intendere come espressione di dominio della gerarchia del mondo << Per i greci il mondo era fatto soltanto di rapporti di forza, di gerarchie, di livelli di autorità. Il mondo era composto da chi stava sopra e da chi stava sotto, da chi comandava e da chi ubbidiva. >> in Franco Farinelli, L’invenzione della terra, Sellerio, Palermo, 2016, pag. 38.
3. Sugli Stati Uniti come prima potenza militare oltre ai rapporti SIPRI (www.sipri.org) si rimanda a Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pp.272-312; Manlio Dinucci, Geopolitica di una <<guerra globale>> in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, pp. 11-112; Wesley K. Clark, Vincere le guerre moderne, Iraq, terrorismo e l’impero americano, Bompiani, Milano, 2004. A mio avviso, non sono convincenti le analisi di The Saker (per esempio, Pensi che la sua valutazione siaaccurata ?,www.sakeritalia.it, 9/11/2017) e di Paul Craig Roberts (per esempio, Un giorno non ci sarà un domani, www.comedonchisciotte.org, 28/10/2017)sulla debolezza della sfera militare USA.
4. Sul popolo eletto si rimanda a Costanzo Preve, La quarta guerra mondiale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2008, pp.156-160.
5. Cal Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello << jus pubblicum europaeum >>, Adelphi, Milano, 1991, pag.407.
6. Domenico Losurdo, Rivoluzione d’Ottobre e democrazia, www.marx21.it, 30/8/2017.
8. Richard Sennet, La coscienza dell’occhio, Feltrinelli, Milano, 1992.
9. Franco Farinelli, L’invenzione, op.cit., pp. 55-62; si legga il capitolo secondo dell’interessante libro di Matteo Vegetti, L’invenzione del globo, op.cit., pp.31-76. 10.Neil Brenner, Stato, spazio, urbanizzazione, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 2016, pp.35-36.
11. Per la guerra di indipendenza si rimanda a Gino Luzzatto, L’evoluzione economica e sociale mondiale negli ultimi due secoli, Storia Universale, vol. VII, Casa Editrice Francesco Vallardi, 1970, pp.3-116; per la guerra di secessione si veda Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR-Rizzoli, Milano, 2013.
12. Concetto Marchesi, Tacito, Casa editrice Giuseppe Principato, Milano-Messina, 1942, pp.129-170.
13. Per un primo svelamento sull’uso della infrastrutture, tramite la Nato e l’Unione Europea, in funzione delle strategie degli Stati Uniti di penetrazione ad Est dell’Europa per contrastare soprattutto la potenza mondiale emergente come la Russia, si rimanda a Luigi Longo, Tav, Corridoio V, Nato e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 23/12/2012.
14. Mario Gismondi, Taranto: La notte più lunga. Foggia: la tragica estate, Dedalo, Bari, 1968.
15.Manlio Dinucci, Nasce la Pesco costola della Nato, www.voltairenet.org, 28/11/2017; si veda anche Alessandro Marrone, UE: difesa, parte Pesco, cooperazione strutturata permanente, www.affarinternazionali.it, 14/11/2017.
16. Manlio Dinucci, Le grandi opere del Pentagono a spese nostre, www.voltairenet.org, 5/12/2017.
17.G.C.Speziale, Storia militare di Taranto. Negli ultimi cinque secoli, Laterza, Bari, 1930.
18. Luigi Longo, Dalla trappola capitale/lavoro – capitale/ambiente al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 7/8/2012; Idem, Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della Nato, www.conflittiestrategie.it, 20/7/2013.
21. Macry Paolo, L’area del Mezzogiorno in Storia d’Italia, Volume Sesto, Atlante, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1976; J.-M. Martin-E. Cuozzo, Federico II. Le tre capitali del Regno di Sicilia: Palermo-Foggia-Napoli, Procaccini Editore, Napoli, 1995.
22. Luigi Iacomino, L’aeronautica militare a Foggia e in Capitanata, Edizioni del Rosone, Foggia, 2002; Idem, Storia dell’aviazione in Capitanata, Grenzi Editore, Foggia, 2006;.
23. Si veda il Piano Strategico di area vasta “Capitanata 2020” in www.capitanata2020.eu.
26. Fabio Mini, Usa-Italia comunicazione di servizio, Limes n.4/2017; Gianfranco La Grassa, La nostra italietta, www.conflittiestrategie, 3/1/2018.
27. Il ruolo dell’Eni e dell’Invitalia che emerge dalle interessanti analisi di Alberto Negri non può essere condiviso perché ignora il fatto che dietro alle grandi imprese (sia pubbliche sia private) non esiste uno Stato, inteso come luogo di potere degli agenti sub-sub-dominanti italiani, in grado di proteggere il loro ruolo e le loro strategie di penetrazione nelle aree di interesse (la Libia, l’Egitto, l’Iran, solo per fare alcuni esempi, non insegnano niente?). Così dicasi per un ruolo ancora più di peso, impegnativo e qualificato quale quello di un intervento nell’area Mediterranea avanzato da Fabio Falchi e da Pierluigi Fagan. Si vedano: Alberto Negri, L’Italia alla conquista del gas, è l’unica arma per contare nel mondo, www.tiscali.it, 17/12/2017; Alberto Negri, L’Italia fa grandi affari con l’Iran e se ne infischia delle sanzioni di Trump. Cinque miliardi di euro sono solo l’inizio, www.tiscali.it, 12/1/2018; Fabio Falchi, L’Italia, il Mediterraneo e il futuro dell’Europa, www.eurasia.com, 1/12/2017; Pierluigi Fagan, Propositi per il nuovo anno: torniamo a pensare un piano B per l’Europa, www.pierluigifagan.wordpress.com, 2/1/2018.
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