LIBERTA’ SI’, MA SENZA IL LIBERATORE (…?)_di Daniele Lanza
AVVERTENZA
La seguente è la nona di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua nona parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.
PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*
*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.
TARANTO: LA NUOVA STATALIZZAZIONE DI MARIO DRAGHI PORTERA’ ALLA LIQUIDAZIONE DELL’EX ILVA.
di Luigi Longo
Mala tempora currunt, sed peiora
parantur (corrono brutti tempi, ma se
ne preparano di peggiori).
Marco Tullio Cicerone
1.Premessa
Ho pubblicato diversi scritti (1) sull’ex Ilva di Taranto (dal 2021 Acciaierie d’Italia) e l’ipotesi avanzata della chiusura dell’ex Ilva perché non compatibile con il polo NATO-USA diventa sempre più solida, a mano a mano che avanza la fase multicentrica che sta avendo un’accelerazione da parte degli USA (potenza in declino relativo) con la guerra in Ucraina (via NATO e Unione Europea) e la provocazione di Taiwan (via Nancy Pelosi, presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti) contro le attuali potenze in ascesa Russia e Cina.
Il presente scritto cerca di riflettere sulla proposta avanzata da Mario Draghi di voler statalizzare l’ex Ilva (2). Perché proporla proprio oggi e per di più dopo averla gestita in malo modo e ceduta alla multinazionale Arcelor Mittal? Mario Draghi che crede nei feroci spiriti animali che regolano la vita della società, attraverso la forma democratica dei liberi mercati (sic), vuole far entrare lo Stato a gestire una impresa strategica per il Paese? Un pessimo marginalista che si converte in un rozzo keinesiano? No, è troppo! Soprattutto sapendo il suo ruolo di agente strategico esecutore incapace di strategie nazionali ne tantomeno di saperle gestire.
Per capire la proposta di Mario Draghi di statalizzare l’ex Ilva bisogna brevemente analizzare a) l’attuale fase multicentrica dove gli USA stanno alzando il livello del conflitto contro la Russia e la Cina; b) la situazione dell’ex Ilva ridotta ad uno stato di sopravvivenza minima, anticamera della sua morte.
Vediamo.
2.L’attuale fase multicentrica
Il disordine provocato dal conflitto in essere negli USA, tra i diversi centri di poteri per l’egemonia nazionale con relativa proiezione di potenza mondiale, ha indotto Henry Kissinger (uno stratega convinto dell’ordine mondiale a guida USA) – che critica la confusione presente negli agenti strategici conseguenza del conflitto non più componibile e incapace di creare una nuova sintesi di sviluppo, una nuova idea di società da contrapporre a quella multicentrica della Cina e della Russia (ormai sempre più centri del polo asiatico) – ad affermare che << Siamo sull’orlo di una guerra con la Russia e la Cina per questioni che abbiamo in parte creato noi, senza avere alcuna idea di come andrà a finire o di cosa dovrebbe portare […] Non si può dire che li divideremo e li metteremo l’uno contro l’altro (come negli anni di Nixon, mia precisazione LL). Tutto ciò che si può fare è non accelerare le tensioni e creare opzioni, e per questo bisogna avere uno scopo>>.
Per quanto riguarda la questione di Taiwan avverte che << […] La politica portata avanti da entrambe le parti ha prodotto e permesso il progresso di Taiwan in un’entità democratica autonoma e ha preservato la pace tra Cina e Stati Uniti per 50 anni […] Si dovrebbe essere molto cauti, quindi, nel prendere misure che sembrano cambiare la struttura di base >> (3).
La fase multicentrica comporterà per le potenze mondiali una strategia di approntamento, di risistemazione, di riorganizzazione delle strutture militari e civili a livelli territoriali (inteso in sensu lato cioè comprensiva anche dei territori del mare, dell’aria e dello spazio) – sia nazionali sia di macro aree che ricadono nelle rispettive aree di influenza da consolidare o da allargare – che hanno bisogno di un tempo non breve di realizzazione pensiamo, per esempio, ai corridoi europei, alle ristrutturazioni e alle riconversioni delle basi NATO-USA in Europa, alle nuove vie dell’Artico che possono modificare gli attuali equilibri geopolitici tra le potenze, alle nuove vie della Seta.
Per quanto detto ritengo che la fase multicentrica svelerà l’inganno della chiusura dell’ex Ilva di Taranto a vantaggio del polo NATO-USA così come è stato per la chiusura dell’Ilva di Bagnoli. Riporto a tale riguardo, per una comprensione della variabile tempo nelle strategie dei dominanti, quando scrissi nel mio Taranto da polo siderurgico a polo strategico della NATO << […] gli obiettivi erano le esigenze strategiche e territoriali della base NATO della città di Napoli (quartiere generale della NATO, sede di vari comandi di unità di servizi USA, grande centro per le telecomunicazioni del Mediterraneo dell’US Navy che coordina tutta l’attività di comunicazione, comando e controllo del Mediterraneo, eccetera). In quegli anni si svolgevano fatti di importanza mondiale per il nuovo equilibrio che si andava configurando con la caduta del muro di Berlino e con la successiva implosione dell’ex URSS. Si aprivano nuovi scenari per gli USA come possibilità di un unico centro di coordinamento mondiale e un nuovo ruolo della NATO. La chiusura dell’Ilva di Napoli per le esigenze territoriali della base del quartiere generale della NATO non poteva essere detta. Tutto fu velato dietro un fumoso progetto per il risanamento e il rilancio dello sviluppo della città di Napoli che passava attraverso il conflitto tra i settori economici (industriale, edilizio, turistico) : il progetto Fiat-Partecipazioni Statali degli anni ’80, l’idea della NeoNapoli di Paolo Cirino Pomicino, la fase di Tangentopoli, le lotte di blocchi di potere per i finanziamenti della bonifica di Bagnoli, non realizzata ( dal 2003 sono stati presentati ben 6 progetti di bonifica), gli indirizzi per la pianificazione urbanistica ( impianti di eccellenza per il turismo legato al sistema congressuale alberghiero, grande parco pubblico, rete di attività produttive connesse con la ricerca scientifica, eccetera).
L’Ilva di Bagnoli, una impresa in piena salute, fu chiusa e venduta ai cinesi.
Un sindaco, Antonio Bassolino, e un urbanista, Vezio De Lucia (i nomi sono l’espressione di gruppi di potere in riferimento agli agenti sub-dominanti), gestirono la fase di velamento culturale e ideologico della grande trasformazione della città di Napoli […] >>.
Sottolineo la diversa fase storica: nella chiusura dell’Ilva di Bagnoli, fu l’implosione dell’URSS (1991, la fine della storia di Francis Fukuyama) che aprì alla possibilità del coordinamento mondiale degli USA (per nostra fortuna non andò così!); nella ipotesi della chiusura dell’ex Ilva di Taranto è la fase multicentrica (2011) che segna l’inizio del declino degli USA (che sono per un mondo monocentrico) e l’ascesa di potenze come Russia e Cina (che sono per un mondo multicentrico).
La speranza blochiana è quella che il conflitto si fermi nella fase multicentrica, così come è già avvenuto nella storia.
3.Lo stato comatoso dell’ex Ilva
La narrazione del sistema di potere servile verso gli USA-NATO, da Mario Monti a Mario Draghi, presenta molte contraddizioni sull’ex Ilva. Le più importanti le riassumo per chiarezza:
Lo scenario sopra delineato porta alla constatazione che la statalizzazione proposta da Mario Draghi è la fase finale della strategia per chiudere l’ex Ilva di Taranto, iniziata con la consegna alla multinazionale Arcelor Mittal, a favore del polo NATO-USA.
Rilevo la contraddizione tra l’ideologica affermazione di Mario Draghi << Ilva deve tornare a produrre al massimo delle sue potenzialità e ad essere la più importante fabbrica siderurgica d’Europa >> (con relativo stanziamento nell’ultimo decreto (Aiuti Bis) di un miliardo (che non è dato sapere come sarà impegnato se con aumenti di capitale o con diversi strumenti; preciso che non si fa esplicito riferimento all’Ilva, art.30, comma 1, DL 9/8/2022 n.115) e sottolineando la necessità di una governance pubblica per rilanciare l’Ilva) e la comunicazione del Ministero dello sviluppo economico in cui si sostiene che la norma di sostegno ad Acciaierie d’Italia prevista dal decreto Aiuti bis conterrà misure volte a supportare l’operatività della società: sia per quanto riguarda la liquidità, in modo da rilanciare la produzione siderurgica e tutelare i lavoratori, sia relativamente ai costi di approvvigionamento delle materie prime e dell’energia (9). Cioè normale amministrazione per galleggiare! Siamo al teatro dell’assurdo!
L’Arcelor Mittal, ricordiamolo che è la principale produttrice di acciaio mondiale, ha un ruolo importante per agevolare, dopo averla ridimensionata, la chiusura dell’ex Ilva a vantaggio del polo NATO-USA; oltre ad avere i propri vantaggi con l’eliminazione di una delle più grandi dirette concorrenti europee, con l’utilizzo delle quote di acciaio a proprio favore, con la riorganizzazione produttiva europea, con gli investimenti in India che hanno dirottato le risorse finanziarie destinate all’Ilva.
Mentre Taranto, in maniera segreta e con libidine di servitù, sta diventando un polo Nato-USA e i suoi servili decisori attuali e futuri gestiranno la fase finale della chiusura dell’Ilva (velata dai grandi progetti, irrealizzabili nel breve-medio periodo, come il “Cantiere Taranto” [che è una riproposizione del Contratto Istituzionale di Sviluppo per questa area (CIS)], la decarbonizzazione, il cambiamento climatico, la transizione energetica ed ecologica, la sperimentazione sull’idrogeno, le reti intelligenti, la rigenerazione del territorio, la città green, eccetera) il Mar Grande (nuova base navale) e il Mar Piccolo (Arsenale) saranno messi a disposizione delle strategie USA-NATO.
Se la mia ipotesi ha un minimo di fondamento, credo che l’accelerazione della fase multicentrica toglierà il velo sulla questione dell’ex Ilva di Taranto. E questa volta, al contrario di Vincenzo Bonocore che non sapeva perché l’Ilva di Bagnoli fosse stata chiusa, i tarantini e gli italiani sapranno che l’ex Ilva è stata chiusa per un cambio di paradigma della modernità che passa attraverso le strategie statunitensi.
In conclusione ricordo che se la strategia di gestione della chiusura dell’Ilva ha come scena la sfera economica (oltre a quelle istituzionale, giuridica e ideologica), attraverso il libero mercato e il ruolo di una grande impresa multinazionale, le vere ragioni della chiusura dell’Ilva vanno ricercate nella sfera politica dei pre-dominanti statunitensi i quali hanno bisogno, nel conflitto per l’egemonia mondiale, di quello spazio geograficamente e militarmente strategico di Taranto.
Nelle diverse fasi storiche Taranto ha usufruito di una posizione di rendita geografica
in quelle monocentriche (fasi di sviluppo pacifiche coordinate dalla potenza egemone) e di una posizione di sventura geografica in quelle multicentriche e policentriche (fasi di sviluppo conflittuali coordinate dalle strategie militari e dalle guerre).
La costanza storica è data dalla hegeliana denuncia dei gabinetti stranieri a decidere la sorte della nazione. Non è la marxiana storia che si ripete diventando farsa, ma è la lagrassiana storia che torna in maniera diversa.
NOTE
Attentato abbietto a Mosca, bombe sulle sedi istituzionali delle repubbliche separatiste, ulteriori tre miliardi di dollari americani in un pozzo colmo ormai di 80 miliardi di finanziamento dell’impresa militare ucraina, il Dipartimento di Stato che intima agli americani di lasciare l’Ucraina immediatamente, il Ministro degli Esteri polacco che critica l’imperialismo tedesco, la Bulgaria che si aggiunge a quei paesi europei che hanno scelto di trattare con la Russia gli acquisti di gas e petrolio. Un crescendo convulso che lascia presagire le future dinamiche geopolitiche in Europa dove le ambizioni nazionalistiche, più che il prodotto genuino delle ambizioni di autonomia, diventano il veicolo ottuso e fanatico di una nuova modalità di penetrazione dell’egemonismo statunitense. E’ il discrimine che distinguerà la coltivazione di realistiche ambizioni di autonomia in un mondo multipolare dalla possibilità che il continente europeo diventi campo di battaglia di mire egemoniche esterneal continente. Il conflitto in Ucraina è un vaso di pandora dal quale sembra emergere piuttosto la seconda opzione. Ne parleremo più approfonditamente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
https://rumble.com/v1h2wej-ucraina-il-conflitto-13a-p-attentato-a-mosca-con-s-orsi-e-m-bonelli.html
Il punto focale in grado di determinare la direzione delle dinamiche geopolitiche multipolari. Le classi dirigenti europee e statunitensi dovrebbero avere la forza di riconoscere la situazione di fatto per ritagliarsi un ruolo attivo e riconosciuto, pena l’isolamento e l’ostilità diffusa dai possibili esiti tragici anche in casa propria. Il mondo occidentale ha un retaggio troppo recente da farsi perdonare rispetto al dinamismo dei paesi emergenti, la cui natura è ancora tutta da disvelarsi; un fattore che pesa tantissimo in aree come l’Africa, l’America Latina, il Medio Oriente e il Sud-Est Asiatico. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Tutte le provocazioni di infowar da parte degli Stati Uniti per sfruttare le controversie irrisolte sul confine tra Cina e India devono essere adeguatamente affrontate e idealmente preventivamente ogniqualvolta possibile, al fine di garantire che questo ultimo schema di divide et impera contro quelle due grandi potenze asiatiche fallisca proprio così come il tentativo di creare un cuneo tra India e Russia.
Il ministro degli Esteri indiano (EAM) Subrahmanyam Jaishankar ha previsto che il secolo asiatico arriverà nel suo paese e la Cina risolverà finalmente le loro controversie sui confini, cosa che il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha concordato poco dopo. Queste due Grandi Potenze multipolari sono i più grandi paesi in via di sviluppo del mondo e sono quindi in grado di influenzare in modo significativo la transizione sistemica globale alla multipolarità . Ne consegue quindi che il mantenimento di relazioni stabili e il completo sviluppo dei progressi in questo senso sono tra le loro grandi priorità strategiche più importanti.
A tal fine, è assolutamente necessario che nessuna terza parte si intrometta in questo tema così delicato. La grande strategia dell’egemone unipolare americano in declino è l’opposto di quelle due grandi potenze multipolari in ascesa poiché mira a dividere e governare in modo aggressivo l’Eurasia al fine di prolungare indefinitamente la sua leadership in declino sugli affari internazionali. Per quanto ci si possa provare, gli Stati Uniti non sono riusciti a rivoltare l’India contro Cina e Russia, con i loro ultimi sforzi legati alla pressione sul partner dell’Asia meridionale affinché condanni e sanzioni il Cremlino, dimostrandosi controproducente dopo che Delhi li ha ripetutamente respinti con orgoglio.
L’India è anche riluttante a scuotere la barca anche nelle sue relazioni con la Cina, soprattutto dopo che alcune delle sue società hanno iniziato a utilizzare lo yuan per facilitare il commercio bilaterale con la Russia. Non solo, ma comprende perfettamente che gli Stati Uniti sono decisi a sfruttarli come proxy per contenere militarmente la Repubblica popolare. In nessun caso l’India si lascerà sfruttare per combattere una guerra per volere di qualcun altro dall’altra parte del mondo, ecco perché è estremamente a disagio con l’America che la spinge aggressivamente in questa direzione.
Dal momento che gli strateghi dell’egemone unipolare in declino non sono riusciti a imparare la lezione dalla politica controproducente di fare pressione sull’India affinché si rivoltasse contro la Russia, ci si aspetta che cercheranno di replicare questo stesso approccio senza successo nel tentativo di fare pressione sull’India affinché si rivolga contro la Cina. Ciò è particolarmente probabile dopo che il viaggio provocatorio della presidente degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan all’inizio di questo mese ha fortemente suggerito che Washington sta pianificando di rilanciare il suo “Pivot to Asia” nel prossimo futuro, il che porta alla previsione che raddoppierà i suoi sforzi per dividere e governa quelle due grandi potenze asiatiche.
La linea di faglia più facile da sfruttare a questo riguardo sono le loro controversie di confine irrisolte, motivo per cui l’India deve rimanere all’erta per eventuali imminenti provocazioni di guerra ibrida nel dominio dell’informazione volte a realizzare questo scenario peggiore. L’America farà del suo meglio per rivoltare le persone della società prese di mira contro il loro governo su questa delicata questione, soprattutto dopo che è diventato ovvio che ” L’opposizione indiana sta eseguendo gli ordini dell’America battendo i tamburi della guerra contro la Cina ” e ” I media americani stanno manipolando le percezioni su Esercitazioni militari annuali congiunte con l’India ”.
Tutte queste provocazioni di infowar devono essere adeguatamente affrontate, e idealmente preventivamente quando possibile, al fine di garantire che questo ultimo schema di divide et impera fallisca proprio come quello che ha cercato di creare un cuneo tra India e Russia. Nel frattempo, Cina e India continueranno i colloqui sulla risoluzione pacifica delle loro controversie sui confini, ma è impossibile prevedere quanto tempo ci vorrà per ottenere progressi, per non parlare di quale sarà il risultato finale. Pertanto, la cosa più importante in questo momento è contrastare le minacce della guerra ibrida statunitense e quindi rimuovere tutti gli ostacoli di terze parti all’arrivo del secolo asiatico.
Quando la Russia ha invaso l’Ucraina a febbraio, non ha solo iniziato una guerra di terra in Europa, ma ha aperto quella che sarebbe diventata una guerra economica mondiale che coinvolge quasi tutte le maggiori potenze. L’Occidente ha risposto all’invasione imponendo sanzioni e usando il sistema finanziario internazionale contro la Russia, sperando di sanguinare abbastanza Mosca economicamente da venire a patti. Invece, la Russia ha puntato i piedi, raddoppiando la strategia decennale di armare le sue vendite di energia in Europa mentre cercava nuovi alleati e acquirenti. Naturalmente, la rimozione dell’energia russa ha provocato shock in tutta l’economia globale.
Quasi sei mesi dopo, il mondo è entrato in una nuova fase della guerra economica. Anche le grandi potenze devono affrontare l’aumento dell’inflazione, una pandemia in corso, la carenza di energia e una potenziale crisi alimentare. Le elevate temperature elevate in tutta Europa hanno aumentato la domanda di energia per i consumatori che cercano di rimanere calmi, poiché l’industria tenta di aumentare la produzione come parte di una lunga ripresa economica. E questo per non parlare del prossimo inverno, della siccità in entrambi gli emisferi, dell’inquinamento, dell’interruzione della catena di approvvigionamento e delle continue devastazioni alle terre fertili in Ucraina, tutto ciò aggraverà i problemi economici globali.
Mentre l’inflazione significa prezzi più alti per tutti, le conseguenze della guerra economica vanno oltre le preoccupazioni sui prezzi. Il settore marittimo, ad esempio, è stato colpito in modo sproporzionato. Dopo l’iniziale invasione russa, la preoccupazione principale dell’industria era risolvere i problemi relativi alla zona di guerra, ad esempio portare le navi fuori dalla sponda settentrionale del Mar Nero, prima di affrontare costi operativi più elevati. L’industria marittima russa, in particolare, è tutt’altro che ferma. Sebbene rappresenti solo l’1% del trasporto marittimo globale, i russi stessi rappresentano quasi l’11% della forza lavoro marittima; Gli ucraini rappresentano quasi il 5%, quindi la guerra ha creato una carenza di manodopera nel settore. Nel frattempo,
Il settore assicurativo è stato il prossimo ad adattarsi al nuovo contesto imprenditoriale. La prima sfida per gli assicuratori è stata quella di sviluppare procedure che consentissero di controllare l’esposizione istituzionale alle sanzioni man mano che arrivavano (a un ritmo senza precedenti, non meno). Garantire una conformità efficace in un panorama in rapida evoluzione non è solo costoso ma anche rischioso, considerando le potenziali perdite aziendali. Il ritmo del cambiamento con cui l’attuazione delle sanzioni imposte ha reso le aziende incapaci di assicurare una persona sanzionata o riassicurare un assicuratore sanzionato, indipendentemente dal tipo di attività. Tenere sotto controllo le sanzioni, ormai come al solito, continua ad aumentare i costi operativi e a gonfiare i premi pagati dalle imprese in tutto il mondo, tutti inclusi nel prezzo finale al consumo.
Per tutti questi motivi, le rivalità continueranno a crescere mentre le nazioni determinano ciò che è meglio per se stesse. Dovranno adattare le loro politiche all’enorme accumulo di shock minori e maggiori che derivano dall’elevata incertezza che i produttori ei consumatori stanno affrontando. Questi includeranno esportazioni limitate, soglie di stoccaggio più elevate, misure a sostegno dell’aumento della produzione interna o addirittura il razionamento. Ciò alla fine si tradurrà in conseguenze non intenzionali e imprevedibili che saranno più difficili da gestire per tutti gli stati, con alcuni che subiranno il colpo più di altri.
Caso di studio: Francia e Germania
Il regolatore francese dell’energia nucleare ha annunciato l’8 agosto di aver esteso le deroghe temporanee per consentire a cinque centrali elettriche di continuare a scaricare acqua calda nei fiumi mentre il paese deve affrontare una delle più gravi siccità degli ultimi decenni. L’acqua fredda è essenziale per mantenere in funzione i reattori delle centrali nucleari. Ma anche se la Francia è uno dei principali produttori ed esportatori europei di energia nucleare, le condizioni meteorologiche hanno reso difficile il suo proseguimento delle operazioni. La scorsa settimana, Electricite de France ha affermato che deve ridurre la produzione di energia nucleare in altri due impianti a causa delle condizioni meteorologiche.
Questo è altrettanto un problema per la Germania, che sperava di importare parte della produzione francese di elettricità per cercare di ridurre la sua dipendenza energetica dalla Russia. Di fronte all’elevata inflazione e in previsione di una carenza di energia nei prossimi mesi, i legislatori tedeschi stanno esplorando misure per risparmiare energia. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha riconosciuto che i crescenti costi energetici sono una potenziale fonte di disagio sociale e instabilità. Nel frattempo, la stessa siccità sta colpendo l’economia tedesca. Il ministro dei trasporti tedesco ha affermato che i bassi livelli dell’acqua sul Reno potrebbero causare problemi di navigazione e ha chiesto un piano di dragaggio urgente per mantenere al sicuro l’economia tedesca. In parole povere, nulla sembra rassicurante per la potenza economica europea. E se la Russia deciderà di tagliare le forniture di gas naturale, la situazione peggiorerà.
Caso di studio: Odessa
Tutti questi problemi sono evidenti anche nel modo in cui l’accordo di esportazione di grano recentemente negoziato è stato attuato nel porto di Odessa. L’accordo avrebbe dovuto garantire che il grano ucraino potesse raggiungere l’Africa e altre parti del mondo, scongiurando una crisi alimentare e portando sollievo ai mercati cerealicoli globali. Ore dopo la firma dell’accordo, tuttavia, due missili russi hanno colpito il porto. Inoltre, gli operatori portuali, come il settore marittimo, si trovano ad affrontare una carenza di manodopera. E abbondano le questioni legali sull’applicazione delle sanzioni; fonti locali menzionano problemi con le pratiche burocratiche e i processi di approvazione.
La Russia è uno dei principali esportatori della maggior parte delle materie prime, quindi naturalmente le sanzioni sollevano questioni simili nei porti di tutto il mondo. Fatta eccezione per gli Stati Uniti, che sono in gran parte autosufficienti, la maggior parte dei produttori industriali mondiali, in particolare la Cina, dipendono dalle importazioni di materie prime. La Cina dipende anche dagli Stati Uniti per acquistare le sue esportazioni. Considerando i suoi crescenti problemi socioeconomici, Pechino farà tutto il possibile per evitare di essere coinvolta nella guerra economica tra Occidente e Russia, a meno che gli eventi intorno a Taiwan non la costringano a farlo. Per il mondo degli affari, ciò si traduce in maggiori spese operative e maggiori rischi della catena di approvvigionamento, il che contribuisce all’adozione accelerata dell’onshoring o del reshoring .
Per le aziende occidentali, tuttavia, l’onshoring comporta dei rischi: l’inflazione, prima di tutto. Le aziende americane devono considerare un aumento dei prezzi dell’energia, ma gli europei stanno affrontando l’incertezza sulla sicurezza dell’approvvigionamento stesso. Anche se la Russia non taglia l’approvvigionamento di gas dell’Europa, gli europei dovranno utilizzare i rubli per gli acquisti, indebolendo l’euro e facendo salire l’inflazione. Allo stesso tempo, l’Occidente, in particolare l’Europa, deve aiutare a mantenere a galla l’economia ucraina. Tutta questa incertezza rende l’Europa una destinazione meno attraente per gli investimenti delle imprese, per non parlare dell’onshoring.
I problemi della Russia
Le sfide del Cremlino sono simili, se non peggiori. Le sanzioni e il caos nella catena di approvvigionamento stanno riducendo ciò che arriva ai produttori russi e, quando le cose arrivano, sono più costose di prima. Il governo ha rassicurato la popolazione sulle misure anti-sanzioni, ma le sue imprese stanno soffrendo. Una misura richiede alle aziende russe di vendere una percentuale della loro valuta estera alla banca centrale in cambio di rubli, contribuendo a sostenere la valuta nazionale. Questa percentuale è notevolmente diminuita dall’inizio della guerra, ma continua uno stretto monitoraggio finanziario, così come l’incertezza degli affari.
Il Cremlino era consapevole di questi rischi prima di invadere l’Ucraina, ma ha fatto un calcolo politico. Putin ha posto la strategia di sicurezza della Russia al di sopra della sua prosperità, sapendo che la controparte occidentale aveva limiti severi. Tanto per cominciare, la prospettiva di una Russia armata di armi nucleari debole e instabile non è molto allettante per l’Europa o gli Stati Uniti. Tuttavia, il Cremlino sapeva anche che senza la tecnologia occidentale, l’economia russa avrebbe lottato per mantenere il precedente ritmo di sviluppo. Le sanzioni hanno iniziato a intaccare la produzione energetica russa e ci sono indicazioni che la più ampia produzione manifatturiera stia soffrendo. Anche se la Russia beneficia dell’aumento dei prezzi delle materie prime, le restrizioni tecnologiche in particolare inizieranno a farsi sentire e potrebbero trasformarsi in problemi socioeconomici.
Il Cremlino crede che i russi sopporteranno queste difficoltà finché riusciranno a vendere una storia plausibile che la Russia sta vincendo la guerra. Come parte di questo sforzo, Mosca beneficia dell’opportunità di fornire notizie positive a casa sui nuovi amici in Africa che la sostengono contro l’Occidente. Anche se non è chiaro quanto possano aiutare gli alleati africani, per il Cremlino il supporto morale potrebbe essere sufficiente. Allo stesso tempo, non è chiaro quale effetto stia avendo la guerra sulla forza lavoro russa dopo i danni causati dalla pandemia.
La guerra è l’ultimo distruttore. Il rischio di una destabilizzazione economica globale cresce a ogni passo, offensivo o difensivo, nella guerra economica, e man mano che le decisioni dei dirigenti aziendali si riversano nella catena di approvvigionamento. Insieme, questo accelera il processo di frammentazione già in corso a causa della pandemia.
L’Europa e la Russia saranno le prime ad essere maggiormente colpite. Un inverno difficile sta arrivando per entrambi. La dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia è una sfida enorme, soprattutto durante la peggiore siccità del continente da decenni. Per la Russia, anche se riesce a trovare nuovi mercati in cui vendere, il flusso di tecnologie chiave nel paese si sta esaurendo. Le cose peggioreranno verso la fine dell’anno, soprattutto se si tiene conto dell’incertezza del mercato del lavoro. L’insistenza di Mosca sul fatto che le cose vadano bene è preoccupante. Sia per la Russia che per l’economia globale, chiaramente non lo sono.
https://geopoliticalfutures.com/a-new-phase-in-the-global-economic-war/
Ostilità in Ucraina: non se ne parla quasi più, ma i rischi di escalation aumentano
Sui media, e nel dibattito elettorale italiano, non si parla quasi più delle ostilità in Ucraina: ma i rischi di una escalation che può sfuggire al controllo dei contendenti stanno aumentando. Il 17 agosto, l’articolo di John Mearsheimer su “Foreign Affairs”, Giocare con il fuoco in Ucraina/I rischi sottovalutati di una escalation catastrofica[1] disegna un quadro esauriente delle molteplici possibilità, più o meno probabili, di escalation, anche calamitosa, delle ostilità.
Di seguito, prendendo spunto dall’articolo di Mearsheimer, propongo una lettura più ravvicinata della situazione attuale.
[1] Qui tradotto e introdotto da me: http://italiaeilmondo.com/2022/08/18/12533/
[2] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/08/18/ucraina-zelensky-la-visita-di-erdogan-e-un-potente-messaggio-di-sostegno-_6487b5f7-06f9-4c4f-b54d-5746c6af9e0d.html
[3] Si vedano le molteplici analisi del col. Markus Reisner dell’Accademia Militare Teresiana di Vienna, facilmente reperibili in rete, e di recente l’analisi approfondita di “Marinus” (probabilmente, il ten.gen. Paul Van Riper, Corpo dei Marines) pubblicata su “Maneuverist Papers n. 22”, vedi: http://italiaeilmondo.com/2022/08/14/il-modo-rivoluzionario-in-cui-la-russia-ha-combattuto-la-sua-guerra-in-ucraina-di-leon-tressell/
[4] Mearsheimer, “Foreign Affairs”, cit. in nota 1
[5] V. nota 3
[6] https://warontherocks.com/2015/11/millennium-challenge-the-real-story-of-a-corrupted-military-exercise-and-its-legacy/?fbclid=IwAR33DF9g8s0OEbY2ivRnh6PdWPnHJDHieUhAWemwL-MjTwBvWHM1EYM71bU
[7] V. Oltre all’articolo di John Mearsheimer cit. in nota 1, v. il recente intervento di Henry Kissinger sul “Wall Street Journal”, https://www.wsj.com/articles/henry-kissinger-is-worried-about-disequilibrium-11660325251?no_redirect=true e la videointervista di George Beebe, Director for Grand Strategy del Quincy Institute for Responsible Statecraft, ex consigliere per la sicurezza del Vicepresidente Dick Cheney, https://youtu.be/YDuNilTd1fo
Stato di minorità perpetua e bene imposto dal grande padre. Quando occorre, anche con la mano pesante _Giuseppe Germinario
Questo fu il punto dell’estensione della sua sfera di influenza da parte di Washington dopo la seconda guerra mondiale.
Gli Stati Uniti hanno un esercito molto grande: il loro budget è quasi quattro volte superiore a quello della Cina (sebbene la Cina sia quattro volte più popolosa e mantenga quasi il doppio del personale attivo). Il budget militare degli Stati Uniti è quasi due volte e mezzo maggiore di quello di tutti i paesi dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico messi insieme. Il budget per la difesa di Washington è maggiore dei budget per la difesa combinati di Cina, Arabia Saudita, Russia, Regno Unito, India, Francia e Giappone. Inoltre, molti dei soldati di questo enorme esercito sono di stanza al di fuori della patria americana.
L’esercito americano mantiene oltre ottocento basi in paesi stranieri, il numero più grande di qualsiasi altro paese al mondo. Alcuni furono ereditati da precedenti possedimenti di imperi europei come Spagna e Gran Bretagna. Altri sono stati acquisiti nel corso delle guerre combattute dagli Stati Uniti. Alcuni altri sono stati raggiunti tramite negoziati con un governo ospitante come parte di un’alleanza o in cambio di garanzie di sicurezza americane.
Questa presenza militare globale è normalmente spiegata con la seguente narrazione: le democrazie pacifiche in tutto il mondo, non inclini a minacciarsi a vicenda, hanno rinunciato a risolvere i loro problemi attraverso la violenza. Non desiderano più costruire e mantenere temibili militari. Invece, l’America fornisce loro benevolmente un ombrello di sicurezza all’interno del quale prosperano e che, a sua volta, assicura la stabilità dell’economia globale e dell’ordine mondiale.
Un esempio di ciò può essere visto nella storia relativamente pacifica dell’Europa dal 1945. Il ritornello comune è che la cultura europea, un tempo eccezionalmente bellicosa e combattiva, è cambiata a causa della seconda guerra mondiale. In preda alla morte e alla distruzione della seconda guerra mondiale, le ex potenze imperiali hanno sostenuto l’istituzione di nuove istituzioni, come l’Unione Europea e la NATO, al fine di prevenire lo scoppio di un’altra guerra nel continente. Gli ultimi settantacinque anni di pace europea, per la maggior parte, si spiegano così con questo ricordo della devastazione di metà secolo e dell’avvento di nuove istituzioni politiche.
Se questa spiegazione fosse vera, allora perché gli Stati Uniti stanno sovvenzionando la sicurezza europea? Come ha detto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump degli alleati americani della NATO: “Non stanno pagando la loro giusta quota”. E il punto di Trump, qualunque sia il suo stesso ragionamento, deriverebbe logicamente dalla narrativa comune. Nel frattempo, molti a sinistra insistono affinché il budget militare venga ridotto per consentire una maggiore spesa per le preoccupazioni interne. Mentre molti, sia a destra che a sinistra, si oppongono a un aumento della presenza e della spesa militare degli Stati Uniti, la narrativa fondamentale rimane e le sue ipotesi spesso rimangono incontrastate.
Ma senza dubbio accettare questa narrativa comune significa interpretare male la storia della pace europea del dopoguerra. Significa anche fraintendere le dinamiche geopolitiche che spingono nella direzione della guerra o rendono più probabile una convivenza pacifica. Invece di essere il prodotto di nuove istituzioni, o il risultato di una memoria collettiva della guerra, la pace europea ha una spiegazione più semplice: disarmo effettivo e subordinazione alla sfera di influenza americana.
Questa non è semplicemente una dinamica finanziaria di quid pro quo, in cui la spesa o l’accumulo militare tedesco (come potrebbe benissimo diventare il caso) potrebbe sostituire la sicurezza e la stabilità fornite dalla spesa e dalla presenza americana. Non è un caso che un terzo del personale militare statunitense schierato tra il 1950 e il 2000 sia stato inviato in Germania, che da sola ha ospitato più di dieci milioni di americani in questo periodo di tempo. Se le élite e l’opinione pubblica vogliono comprendere perché l’Europa è stata così pacifica negli ultimi sette decenni, devono iniziare a capire come il disarmo e la sfera di influenza americana abbiano contribuito a questa pace.
Gli stati europei sono ora in gran parte incapaci di intraprendere un’azione militare unilaterale, l’uno contro l’altro o contro chiunque altro. Non solo, ma l’America agisce in Europa come garante della sicurezza dell’ultima e, potenzialmente, stazione nucleare. La NATO ha spinto gli stati membri (meno l’America) a specializzare i loro eserciti. Il Regno Unito e la Francia hanno persino discusso di condividere le loro portaerei. Le ragioni dichiarate, vale a dire i vincoli di bilancio e “interoperabilità”, non spiegano completamente la necessità di specializzare un esercito. I budget limitati richiedono che un paese specializzi le sue forze armate solo quando l’obiettivo è ridurre le capacità che sono duplicate tra esso e un alleato. Un esercito specializzato è una forza senza tutte le caratteristiche necessarie per un’azione militare indipendente, o addirittura per l’indipendenza militare.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno bloccato l’azione militare indipendente degli alleati. Durante la crisi di Suez del 1956, il governo egiziano ha nazionalizzato il Canale di Suez. In risposta, Gran Bretagna, Francia e Israele hanno invaso il paese. Piuttosto che sostenere i loro alleati, gli Stati Uniti si unirono al loro rivale, l’Unione Sovietica, nel esercitare pressioni diplomatiche e finanziarie sugli intrusi fino al loro ritiro. Quando questo ebbe successo, i tre paesi furono umiliati, il Regno Unito in particolare. La crisi di Suez può essere considerata l’ultimo chiodo nella bara dell’Impero britannico: ha dimostrato che anche se la Gran Bretagna avesse capacità militari indipendenti, non sarebbe in grado di schierarle contro i desideri americani.
In Francia, troviamo un esempio di un paese che ha cercato di invertire questa tendenza, ci è riuscito per un po’, ma alla fine è tornato nel caloroso abbraccio dello zio Sam. Il presidente francese Charles de Gaulle era uno statista di talento e testardo e voleva mantenere lo status della Francia come potenza mondiale indipendente contro la crescente influenza americana e sovietica. Dopo dodici anni di pensionamento, tornò in politica nel 1958, poco dopo che la crisi di Suez aveva dimostrato che la Gran Bretagna era subordinata all’America. Ha intrapreso una serie di sforzi per rafforzare ed espandere la sfera di influenza della Francia, incluso un ritiro dalla NATO. Nel 1967, de Gaulle cacciò l’esercito americano da circa dodici basi aeree in Francia. Sebbene gli sforzi di Le Général siano falliti a lungo termine – la Francia è rientrata a pieno titolo nella NATO nel 2009 – il paese mantiene ancora un’efficace capacità di intervenire unilateralmente nell’Africa occidentale, un frammento del suo ex impero coloniale. Ad oggi, la Francia è l’unico grande paese dell’Europa occidentale senza una base militare americana.
Il caso della geopolitica russa abrade anche la narrativa comune della pace europea. Sebbene la Russia abbia avuto una storia politica molto diversa dopo la seconda guerra mondiale rispetto alla maggior parte dei paesi europei, ha subito un’immensa devastazione in quella “Grande Guerra Patriottica”, senza pari in termini di vittime assolute, paragonabile in termini relativi solo alla Polonia e forse alla Germania. Eppure il ricordo di questa devastazione alimenta il militarismo nazionalista piuttosto che un senso di “mai più” o il desiderio di una maggiore integrazione politica in Europa. Sotto il presidente Vladimir Putin, la Russia ha mantenuto il suo status al di fuori della sfera americana. Putin è orgoglioso della sua capacità di agire in modo indipendente su quelli che vede come interessi di sicurezza russi. La Russia, di tutti i paesi europei,
Washington esercita il suo dominio militare in tutto il mondo. Ciò ha mantenuto il sistema internazionale favorevole agli interessi economici e ideologici americani. Ha semplificato un mondo di molti stati militarizzati e indipendenti capaci di azioni unilaterali (e molto mortali) in uno in cui gli Stati Uniti hanno un’immensa sfera di influenza e solo una manciata di concorrenti globali, come Cina e Russia, sono capaci di azione. La maggior parte degli stati della sfera americana si affida agli Stati Uniti come massimo garante della sicurezza. Pertanto, possono “esternalizzare” la sicurezza in America; disarmandosi efficacemente e diventando incapaci di intraprendere un’azione militare indipendente.
Il risultato di questo disarmo de facto degli stati all’interno della sfera americana ha anche teso a mitigare e prevenire i conflitti regionali. In Europa, dove le guerre regolari erano state un evento naturale per secoli, la pace ora è la norma. Il termine “conflitto congelato” è usato regolarmente per descrivere la strategia russa di stazionare truppe in stati precedentemente in guerra, come la Moldova o la Georgia, per “congelare” le tensioni. Ma l’America ha perfezionato questa strategia decenni fa: Gran Bretagna e Francia, o Francia e Germania, non entrano più in guerra tra loro, in netto contrasto con la loro lunga storia di farlo.
La maggior parte dei paesi europei con basi militari americane dipendono semplicemente dagli Stati Uniti per la potenza militare, ma alcuni non esisterebbero affatto senza l’intervento e la presenza continua delle truppe americane. Bosnia e Kosovo sono due esempi di tali paesi. L’intervento americano nei Balcani negli anni ’90 ha impedito alla Serbia e, in misura minore, alla Croazia, di occupare e integrare la Bosnia e il Kosovo.
Quando Belgrado era la capitale della Jugoslavia, il paese era sull’orlo della viabilità come potenza militare indipendente e neutrale. Sotto la guida di Josip Broz Tito, era persino praticabile come mecenate per altri stati clienti. La Jugoslavia di Tito è stata un organizzatore chiave del Movimento dei Paesi non allineati e ha fornito armamenti ad attori anticoloniali come il Fronte di liberazione nazionale algerino e il governo etiope negli anni ’50. Ora, Belgrado è solo la capitale della Serbia. Altre ex repubbliche jugoslave, come la Croazia e la Slovenia, sono state completamente integrate militarmente nella NATO, e altre come la Bosnia e la Macedonia sono a buon punto. Il Montenegro e il Kosovo facevano parte della Repubblica jugoslava di Serbia, ma il Montenegro si è separato dalla Serbia e recentemente è entrato a far parte della NATO, mentre il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza, ancora contesa dalla Serbia, e ospita gli Stati Uniti.
Alcuni piccoli paesi devono la loro esistenza agli Stati Uniti. Il rovescio della medaglia è che la potenza militare degli Stati Uniti ha assicurato la frammentazione e l’isolamento di potenziali poteri militari. Frammentare e neutralizzare il potenziale potere militare indipendente, specialmente all’interno della sua sfera di influenza, è una strategia che gli Stati Uniti hanno persino perseguito contro la Russia. Le “rivoluzioni colorate” sostenute dagli Stati Uniti nelle ex repubbliche sovietiche hanno portato con successo stati precedentemente allineati alla Russia nella sfera di influenza americana. La Russia ha cercato di minare questo tentativo di espandere la sfera americana attraverso le proprie azioni militari in Georgia e Ucraina.
La Pax Romana fu il periodo di relativa pace nel Mediterraneo. La regione era dominata dall’Impero Romano, i cui eserciti imbattibili soppressero il conflitto all’interno dei suoi territori e stati clienti per quasi due secoli. Allo stesso modo, l’attuale pace europea non è certo opera di istituzioni paneuropee come l’Unione Europea, ma un risultato chiave della Pax Americana.
Samo Burja è il fondatore di Bismarck Analysis, una società di consulenza sul rischio politico. Puoi seguirlo su Twitter @SamoBurja .
Matt Ellison è ricercatore associato presso la Hoover Institution. Ha studiato politica internazionale alla Edmund A. Walsh School of Foreign Service di Georgetown. Puoi seguirlo su Twitter @MGellison .
Questo articolo di John Mearsheimer, apparso il 17 agosto su “Foreign Affairs”, ha grande importanza, e va letto e valutato con la massima attenzione, sia per il suo contenuto, sia per il significato politico che assume. Le ragioni sono le seguenti:
Giocare con il fuoco in Ucraina
I rischi sottovalutati di una escalation catastrofica[4]
di John J. Mearsheimer
17 agosto 2022
I decisori occidentali paiono aver raggiunto un consenso sulla guerra in Ucraina: il conflitto si risolverà in una situazione di stallo prolungata, e alla fine una Russia indebolita accetterà un accordo di pace favorevole sia agli Stati Uniti e i suoi alleati NATO, sia all’Ucraina. Sebbene i dirigenti istituzionali riconoscano che sia Washington sia Mosca potrebbero dare inizio a una escalation per ottenere un vantaggio o prevenire la sconfitta, danno per scontato che sia possibile evitare un’escalation catastrofica. Pochi immaginano che le forze statunitensi finiscano per essere direttamente coinvolte nei combattimenti, o che la Russia oserà impiegare le armi nucleari.
Washington e i suoi alleati sono troppo faciloni e arroganti. Sebbene sia possibile evitare un’escalation disastrosa, la capacità dei contendenti di gestire questo pericolo è tutt’altro che certa. Il rischio è sostanzialmente maggiore di quanto non ritenga il senso comune. E dato che le conseguenze di una escalation potrebbero includere una guerra di grandi proporzioni in Europa, e forse anche l’annientamento nucleare, ci sono buone ragioni per preoccuparsi seriamente.
Per comprendere le dinamiche dell’escalation in Ucraina, iniziamo con gli obiettivi di ciascuno dei contendenti. Dall’inizio della guerra, sia Mosca sia Washington hanno ampliato le loro ambizioni in modo significativo, ed entrambi sono ora fortemente impegnati a vincere la guerra e raggiungere obiettivi politici formidabili. Di conseguenza, ciascuna parte ha potenti incentivi per trovare il modo di prevalere e, ancor più importante, per evitare di perdere. In pratica, ciò significa che gli Stati Uniti potrebbero entrare in combattimento se desiderano disperatamente vincere o impedire all’Ucraina di perdere, mentre la Russia potrebbe utilizzare armi nucleari se desidera disperatamente vincere, o se teme un’imminente sconfitta, uno scenario probabile se le forze armate statunitensi entrassero in guerra.
Inoltre, data la determinazione di ciascuna parte a raggiungere i propri obiettivi, ci sono poche possibilità di un compromesso sensato. Il pensiero massimalista che ora prevale sia a Washington sia a Mosca dà a ciascuna parte ulteriori ragioni per vincere sul campo di battaglia, per poter dettare i termini dell’eventuale pace. In effetti, l’assenza di una possibile soluzione diplomatica fornisce a entrambe le parti un ulteriore incentivo ad arrampicarsi in una escalation. Ciò che si trova sui gradini più alti della scala potrebbe essere qualcosa di veramente catastrofico: un livello di morte e distruzione superiore a quello della seconda guerra mondiale.
PUNTARE IN ALTO
Inizialmente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno appoggiato l’Ucraina per impedire una vittoria russa e negoziare da posizione favorevole la fine dei combattimenti. Ma non appena l’esercito ucraino ha iniziato a martellare le forze russe, specialmente intorno a Kiev, l’amministrazione Biden ha cambiato rotta e si è impegnata ad aiutare l’Ucraina a vincere la guerra contro la Russia. Ha anche cercato di danneggiare gravemente l’economia russa imponendo sanzioni senza precedenti. In aprile, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin ha spiegato gli obiettivi degli Stati Uniti: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto che non le sia più possibile fare il tipo di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina“. In buona sostanza, gli Stati Uniti hanno annunciato la loro intenzione di eliminare la Russia dal novero delle grandi potenze.
Ciò che più conta, gli Stati Uniti hanno impegnato la loro reputazione sull’esito del conflitto. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha etichettato la guerra russa in Ucraina come un “genocidio” e ha accusato il presidente russo Vladimir Putin di essere un “criminale di guerra” che dovrebbe affrontare un “processo per crimini di guerra“. Proclami presidenziali del genere rendono difficile immaginare che Washington faccia marcia indietro; se la Russia prevalesse in Ucraina, la posizione degli Stati Uniti nel mondo subirebbe un duro colpo.
Anche le ambizioni russe si sono ampliate. Contrariamente a quanto si pensa in Occidente, Mosca non ha invaso l’Ucraina per conquistarla e integrarla in una Grande Russia. Si trattava principalmente di impedire all’Ucraina di trasformarsi in un baluardo occidentale al confine con la Russia. Putin e i suoi consiglieri erano particolarmente preoccupati per l’adesione dell’Ucraina alla NATO. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha chiarito sinteticamente il punto a metà gennaio, dicendo in una conferenza stampa: “la chiave di tutto è la garanzia che la NATO non si espanda verso est“. Per i leader russi, la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla NATO è, come ha affermato lo stesso Putin prima dell’invasione, “una minaccia diretta alla sicurezza russa“, una minaccia che potrebbe essere eliminata solo entrando in guerra e trasformando l’Ucraina in uno stato neutrale o fallito.
È a questo fine che, a quanto pare, gli obiettivi territoriali della Russia si sono notevolmente ampliati dall’inizio della guerra. Fino alla vigilia dell’invasione, la Russia si era impegnata ad attuare l’accordo di Minsk II, che avrebbe mantenuto il Donbass come parte dell’Ucraina. Nel corso della guerra, tuttavia, la Russia ha conquistato vaste aree di territorio nell’Ucraina orientale e meridionale, e ci sono prove crescenti che Putin ora intenda annettere tutta o la maggior parte di quelle terre, il che trasformerebbe effettivamente ciò che resta dell’Ucraina in uno stato disfunzionale, monco.
Per la Russia, la minaccia oggi è ancor maggiore di quanto non fosse prima della guerra, soprattutto perché l’amministrazione Biden è ora determinata a recuperare le conquiste territoriali russe, e a menomare in modo permanente la potenza russa. A peggiorare ulteriormente le cose per Mosca, Finlandia e Svezia stanno entrando a far parte della NATO, e l’Ucraina è meglio armata e più strettamente alleata con l’Occidente. Mosca non può permettersi di perdere in Ucraina e utilizzerà ogni mezzo disponibile per evitare la sconfitta. Putin sembra fiducioso che la Russia alla fine prevarrà sull’Ucraina e sui suoi sostenitori occidentali. “Oggi sentiamo che vogliono sconfiggerci sul campo di battaglia“, ha detto all’inizio di luglio. “Che dire? Che ci provino. Gli obiettivi dell’operazione militare speciale saranno raggiunti. Non ci sono dubbi su questo”.
L’Ucraina, dal canto suo, ha gli stessi obiettivi dell’amministrazione Biden. Gli ucraini sono decisi a riconquistare il territorio perso a vantaggio della Russia, inclusa la Crimea, e una Russia più debole è sicuramente meno minacciosa per l’Ucraina. Inoltre, sono fiduciosi di poter vincere, come ha chiarito a metà luglio il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov, quando ha affermato: “La Russia può sicuramente essere sconfitta e l’Ucraina ha già mostrato come“. Il suo omologo americano a quanto pare è d’accordo. “La nostra assistenza sta facendo davvero la differenza sul campo“, ha detto Austin in un discorso di fine luglio. “La Russia pensa di poter tenere duro più a lungo dell’Ucraina e di noi. Ma questo è solo l’ultimo della serie di errori di calcolo della Russia“.
In buona sostanza, Kiev, Washington e Mosca sono tutti totalmente impegnati a vincere a spese del loro avversario, il che lascia poco spazio ai compromessi. Probabilmente, né l’Ucraina né gli Stati Uniti accetterebbero un’Ucraina neutrale; in realtà, l’Ucraina sta diventando ogni giorno che passa più strettamente legata all’Occidente. Né è probabile che la Russia restituisca tutto, o anche la maggior parte del territorio che ha sottratto all’Ucraina, in specie perché le animosità che hanno alimentato il conflitto nel Donbass tra separatisti filorussi e governo ucraino negli ultimi otto anni sono oggi più intense che mai.
Questi interessi contrastanti spiegano perché tanti osservatori ritengano che un accordo negoziato non avverrà a breve, e quindi prevedono una sanguinosa situazione di stallo. In questo hanno ragione. Ma gli osservatori stanno sottovalutando il potenziale di un’escalation catastrofica implicita in una lunga guerra in Ucraina.
Ci sono tre vie fondamentali verso l’escalation intrinseche alla condotta della guerra: una o entrambe le parti escalano deliberatamente per vincere, una o entrambe le parti escalano deliberatamente per prevenire la sconfitta, oppure i combattimenti escalano non per scelta deliberata ma involontariamente. Ciascuno dei tre percorsi potenzialmente può spingere gli Stati Uniti a entrare direttamente in guerra, o spingere la Russia a usare armi nucleari, o forse condurre a entrambe le cose.
ENTRA IN SCENA L’AMERICA
Appena l’amministrazione Biden ha concluso che la Russia poteva essere battuta in Ucraina, ha inviato più armi, e armi più potenti, a Kiev. L’Occidente ha iniziato ad aumentare la capacità offensiva dell’Ucraina inviando armi come il sistema di missili a lancio multiplo HIMARS, oltre a quelle “difensive” come il missile anticarro Javelin. Nel corso del tempo, sia la letalità sia la quantità delle armi sono aumentate. Si tenga presente che a marzo Washington aveva posto il veto a un piano per trasferire i caccia MiG-29 polacchi in Ucraina, sulla base del fatto che ciò avrebbe potuto condurre a una escalation, ma a luglio non ha sollevato obiezioni quando la Slovacchia ha annunciato che stava valutando l’invio degli stessi aerei a Kiev. Gli Stati Uniti stanno anche pensando di dare i propri F-15 e F-16 all’Ucraina.
Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno anche addestrando l’esercito ucraino e fornendogli informazioni vitali che esso impiega per distruggere i principali obiettivi russi. Inoltre, come riportato dal “New York Times”, l’Occidente ha “una rete clandestina di commando e spie” sul terreno, all’interno dell’Ucraina. Magari Washington non è direttamente coinvolta nei combattimenti, ma è profondamente coinvolta nella guerra. E oggi manca solo un breve passo per avere soldati americani che premono il grilletto e piloti americani che schiacciano il pulsante di sparo.
Le forze armate statunitensi potrebbero essere coinvolte nei combattimenti in vari modi. Si consideri una situazione in cui la guerra si trascina per un anno o più e non c’è né una soluzione diplomatica in vista né un percorso plausibile per una vittoria ucraina. Allo stesso tempo, Washington desidera disperatamente porre fine alla guerra, forse perché deve concentrarsi sul contenimento della Cina o perché i costi economici del sostegno all’Ucraina stanno causando problemi politici in patria e in Europa. In simili circostanze, i politici statunitensi avrebbero tutte le ragioni per prendere in considerazione l’adozione di misure più rischiose, come l’imposizione di una no-fly zone sull’Ucraina o l’inserimento di piccoli contingenti di forze di terra statunitensi, per aiutare l’Ucraina a sconfiggere la Russia.
Uno scenario più probabile per l’intervento degli Stati Uniti si verificherebbe se l’esercito ucraino iniziasse a crollare, e la Russia sembrasse destinata a ottenere una vittoria decisiva. In tal caso, dato il profondo impegno dell’amministrazione Biden a prevenire questo esito, gli Stati Uniti potrebbero tentar di invertire la tendenza coinvolgendosi direttamente nei combattimenti. È facile immaginare i funzionari statunitensi convinti che sia in gioco la credibilità del loro paese, e persuasi che un uso limitato della forza possa salvare l’Ucraina senza indurre Putin a usare le armi nucleari. Oppure, un’Ucraina disperata potrebbe lanciare attacchi su larga scala contro paesi e città russe, nella speranza che una simile escalation provochi una massiccia risposta russa che finisca per costringere gli Stati Uniti a unirsi ai combattimenti.
L’ultimo scenario per il coinvolgimento americano ipotizza un’escalation involontaria: senza volerlo, Washington viene coinvolta nella guerra da un evento imprevisto che sfugge di mano. Forse i caccia statunitensi e russi, che sono già entrati in stretto contatto sul Mar Baltico, si scontrano accidentalmente. Un simile incidente potrebbe facilmente degenerare, dati gli alti livelli di paura da entrambe le parti, la mancanza di comunicazione e la demonizzazione reciproca.
O magari la Lituania blocca il passaggio delle merci sanzionate che viaggiano attraverso il suo territorio mentre si dirigono dalla Russia a Kaliningrad, l’enclave russa separata dal resto del paese. La Lituania ha fatto proprio questo a metà giugno, ma ha fatto marcia indietro a metà luglio, dopo che Mosca ha chiarito che stava contemplando “misure severe” per porre fine a quello che considerava un blocco illegale. Il ministero degli Esteri lituano, tuttavia, ha resistito alla revoca del blocco. Dal momento che la Lituania è un membro della NATO, gli Stati Uniti quasi certamente verrebbero in sua difesa se la Russia attaccasse il paese.
O forse la Russia distrugge un edificio a Kiev, o un sito di addestramento da qualche parte in Ucraina, e uccide involontariamente un numero considerevole di americani, per esempio operatori umanitari, agenti dell’intelligence o consiglieri militari. L’amministrazione Biden, di fronte a una sollevazione della sua opinione pubblica, decide che deve vendicarsi e colpisce obiettivi russi, il che conduce a una serie di ritorsioni tra le due parti.
Infine, c’è la possibilità che i combattimenti nell’Ucraina meridionale danneggino la centrale nucleare di Zaporizhzhya controllata dalla Russia, la più grande d’Europa, al punto da emettere radiazioni nella regione, portando la Russia a rispondere in modo proporzionale. Dmitry Medvedev, l’ex presidente e primo ministro russo, ha dato una risposta inquietante a questa possibilità, dicendo ad agosto: “Non si dimentichi che ci sono siti nucleari anche nell’Unione europea. E anche lì sono possibili incidenti“. Se la Russia dovesse colpire un reattore nucleare europeo, gli Stati Uniti entrerebbero quasi sicuramente in guerra.
Naturalmente, anche Mosca potrebbe istigare l’escalation. Non si può escludere la possibilità che la Russia, nel disperato tentativo di fermare il flusso di aiuti militari occidentali in Ucraina, colpisca i paesi attraverso i quali passa la maggior parte di essa: Polonia o Romania, entrambi membri della NATO. C’è anche la possibilità che la Russia possa lanciare un massiccio attacco informatico contro uno o più paesi europei che aiutano l’Ucraina, causando gravi danni alla sua infrastruttura critica. Un simile attacco potrebbe spingere gli Stati Uniti a lanciare un attacco informatico di rappresaglia contro la Russia. Se l’attacco informatico riuscisse, Mosca potrebbe rispondere militarmente; se fallisse, Washington potrebbe decidere che l’unico modo per punire la Russia è colpirla direttamente. Questi scenari sembrano inverosimili, ma non sono impossibili. E sono solo alcuni dei tanti percorsi attraverso i quali quella che ora è una guerra locale potrebbe trasformarsi in qualcosa di molto più grande e più pericoloso.
PASSAGGIO AL CONFLITTO NUCLEARE
Sebbene l’esercito russo abbia causato enormi danni all’Ucraina, Mosca, finora, è stata riluttante a intensificare il suo impegno per vincere la guerra. Putin non ha ampliato le dimensioni delle sue forze attraverso la coscrizione su larga scala. Né ha preso di mira la rete elettrica dell’Ucraina, ciò che sarebbe relativamente facile da fare e infliggerebbe ingenti danni a quel paese. In effetti, molti russi lo hanno accusato di non aver condotto la guerra in modo più vigoroso. Putin ha preso atto di questa critica, ma ha fatto sapere che se necessario, avrebbe dato inizio a una escalation dell’impegno russo. “Non abbiamo ancora cominciato a fare sul serio“, ha detto a luglio, suggerendo che la Russia potrebbe fare di più, se la situazione militare deteriorasse: e lo farebbe.
E a proposito della forma terminale di escalation? Ci sono tre circostanze in cui Putin potrebbe usare le armi nucleari. Il primo, se gli Stati Uniti ei loro alleati della NATO entrassero in guerra. Questo sviluppo non solo sposterebbe notevolmente l’equilibrio di forze militari a svantaggio della Russia, aumentando notevolmente le probabilità di una sua sconfitta, ma per la Russia significherebbe anche combattere alle porte di casa contro una grande potenza, in una guerra che potrebbe facilmente dilagare nel territorio russo. I leader russi penserebbero certamente che la loro sopravvivenza è a rischio, ciò che gli darebbe un potente incentivo a usare armi nucleari per salvare la situazione. Come minimo, prenderebbero in considerazione lanci nucleari dimostrativi, per convincere l’Occidente a fare marcia indietro. È impossibile sapere in anticipo se una mossa simile porrebbe termine alla guerra, o la condurrebbe in una escalation di cui si perderebbe il controllo.
Nel suo discorso del 24 febbraio, in cui annunciava l’invasione, Putin ha chiaramente sottinteso che avrebbe impiegato le armi nucleari se gli Stati Uniti e i loro alleati fossero entrati in guerra. Rivolgendosi a “coloro che potrebbero essere tentati di interferire“, ha detto, “devono sapere che la Russia risponderà immediatamente e ci saranno conseguenze che non avete mai visto in tutta la vostra storia“. Il suo avvertimento non è sfuggito a Avril Haines, il direttore dell’intelligence nazionale statunitense, che a maggio aveva predetto che Putin avrebbe potuto usare armi nucleari se la NATO “interviene o sta per intervenire“, in buona parte perché ciò “contribuirebbe ovviamente a una percezione che sta per perdere la guerra in Ucraina”.
Nel secondo scenario nucleare, l’Ucraina inverte da sola le sorti sul campo di battaglia, senza il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Se le forze ucraine fossero sul punto di sconfiggere l’esercito russo e riprendersi il territorio perduto del loro paese, non c’è dubbio che Mosca potrebbe facilmente vedere questo esito come una minaccia esistenziale che esige una risposta nucleare. Dopotutto, Putin e i suoi consiglieri erano sufficientemente allarmati dal crescente allineamento di Kiev con l’Occidente da decidere deliberatamente di attaccare l’Ucraina, nonostante i chiari avvertimenti degli Stati Uniti e dei loro alleati sulle gravi conseguenze che la Russia avrebbe dovuto affrontare. A differenza del primo scenario, Mosca impiegherebbe armi nucleari non nel contesto di una guerra con gli Stati Uniti, ma contro l’Ucraina. Lo farebbe con poco timore di ritorsioni nucleari, dal momento che Kiev non ha armi nucleari, e perché Washington non avrebbe alcun interesse a iniziare una guerra nucleare. L’assenza di una chiara minaccia di ritorsione renderebbe più facile per Putin contemplare l’uso del nucleare.
Nel terzo scenario, la guerra si risolve in una lunga situazione di stallo che non ha soluzione diplomatica e diventa estremamente costosa per Mosca. Nel disperato tentativo di porre fine al conflitto a condizioni favorevoli, Putin potrebbe perseguire l’escalation nucleare per vincere. Come nello scenario precedente, in cui si escala per evitare la sconfitta, una rappresaglia nucleare degli Stati Uniti sarebbe altamente improbabile. In entrambi gli scenari, è probabile che la Russia utilizzi armi nucleari tattiche contro una piccola serie di obiettivi militari, almeno inizialmente. Potrebbe colpire paesi e città in attacchi successivi, se necessario. Ottenere un vantaggio militare sarebbe uno degli obiettivi della strategia, ma il più importante sarebbe infliggere un colpo capace di rovesciare la situazione: incutere una tale paura all’ Occidente che gli Stati Uniti e i loro alleati si muovano rapidamente per porre fine al conflitto a condizioni favorevoli a Mosca. Non c’è da stupirsi che William Burns, il direttore della CIA, abbia osservato ad aprile: “Nessuno di noi può prendere alla leggera la minaccia rappresentata da un potenziale ricorso ad armi nucleari tattiche o armi nucleari a basso rendimento“.
CORTEGGIARE LA CATASTROFE
Si può ammettere che, sebbene uno di questi scenari catastrofici possa teoricamente verificarsi, le possibilità che si realizzino effettivamente sono minime, e quindi ci sarebbe poco da preoccuparsi. Dopotutto, i leader di entrambe le parti hanno potenti incentivi a tenere gli americani fuori dalla guerra, e a evitare un uso del nucleare, anche limitato; per tacere di una vera e propria guerra nucleare.
Magari si potesse essere così ottimisti. In realtà, la visione convenzionale sottovaluta abbondantemente i pericoli di una escalation in Ucraina. Anzitutto, le guerre tendono ad avere una logica propria, che rende difficile prevederne il corso. Chi dice di sapere con certezza quale strada prenderà la guerra in Ucraina si sbaglia. Le dinamiche dell’escalation in tempo di guerra sono tanto difficili da prevedere quanto difficili da controllare, il che dovrebbe esser di monito a coloro che sono fiduciosi che gli eventi, in Ucraina, si possano gestire. Inoltre, come ha riconosciuto il teorico militare prussiano Carl von Clausewitz, il nazionalismo incoraggia le guerre moderne a degenerare nella loro forma più estrema, specialmente quando la posta in gioco è alta per entrambe le parti. Questo non vuol dire che le guerre non possano essere limitate, ma che limitarle non è facile. Infine, dati i costi sbalorditivi di una guerra nucleare tra grandi potenze, anche una piccola possibilità che essa si verifichi dovrebbe far riflettere tutti, a lungo, sulla direzione che potrebbe prendere questo conflitto.
Questa pericolosa situazione crea un potente incentivo a trovare una soluzione diplomatica alla guerra. Purtroppo, tuttavia, non è in vista una soluzione politica, poiché entrambe le parti si sono fermamente impegnate a raggiungere obiettivi bellici che rendono quasi impossibile il compromesso. L’amministrazione Biden avrebbe dovuto collaborare con la Russia per risolvere la crisi ucraina prima dello scoppio della guerra a febbraio. Ormai è troppo tardi per concludere un accordo. Russia, Ucraina e Occidente sono bloccati in una situazione terribile, senza una via d’uscita ovvia. Si può solo sperare che i leader di entrambe le parti gestiscano la guerra in modi che evitino un’escalation catastrofica. Per le decine di milioni di persone le cui vite sono in gioco, tuttavia, questa è una magra consolazione.
[1] https://www.wsj.com/articles/henry-kissinger-is-worried-about-disequilibrium-11660325251?no_redirect=true
[2] https://youtu.be/YDuNilTd1fo
[3] http://italiaeilmondo.com/2022/08/14/il-modo-rivoluzionario-in-cui-la-russia-ha-combattuto-la-sua-guerra-in-ucraina-di-leon-tressell/
[4] “Foreign Affairs”, 17 agosto 2022 https://www.foreignaffairs.com/ukraine/playing-fire-ukraine?fbclid=IwAR3DoBHzjXNJc6zJ39SxS-TOAN4tT6gLDf50QRcF7r3R0RBDe_tAFJfcLHo
ARTICOLO GRATUITO.
Nella dodicesima puntata ci soffermiamo ad analizzare soprattutto il contributo dei mercenari nei ranghi dell’esercito ucraino. Il numero rilevato è significativo, ma è ben lontano dalle cifre sbandierate dal Governo di Zelensky, pur comprendendo nel gruppo la pletora di consiglieri ed addestratori, regolarmente arruolati negli eserciti occidentali, che presumibilmente, come si sospetta, infoltiscono le fila con ruoli e funzioni essenziali. Molte informazioni verranno ovviamente diffuse ed accertate solo alla fine del conflitto. Solo parte di essi, tra i mercenari, svolgono compiti essenziali ed altamente specializzati. Gran parte di essi sono semplicemente carne da cannone destinata a salvaguardare le forze meglio addestrate dell’esercito ucraino. Hanno trovato sul terreno una situazione del tutto diversa dalle aspettative e dalle esperienze maturate su altri fronti. Hanno scoperto i rischi e le insidie di una insolita condizione di combattimento di crescente inferiorità rispetto al nemico. Una situazione nella quale il soldo è sempre meno sufficiente a garantire fedeltà e dedizione. Uno smarrimento visibile negli occhi dei testimoni diretti, ma che ormai serpeggia pericolosamente nelle fila dell’esercito ucraino accompagnata dalla crescente ferocia di chi sa di essere giunto ad una condizione crepuscolare. Sta a noi ricordare i responsabili di questo immane scempio che peserà come un macigno sulle sorti dei paesi e dei popoli europei. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
https://rumble.com/v1gddld-ucraina-conflitto-12a-p-con-stefano-orsi-e-max-bonelli.html