Caso Regeni. JOHN NEGROPONTE E JOHN MC COLL, di Antonio de Martini

Sospetti sempre più fondati. A quando la dolorosa illuminazione dei genitori di Regeni da una rimozione della realtà sempre più incomprensibile?_Giuseppe Germinario
JOHN NEGROPONTE E JOHN MC COLL
sono i nomi dei datori di lavoro del ” ricercatore e attivista” Regeni.
Sono due cariatidi dell’intelligence , rispettivamente americana e britannica, utilizzate da specchietto delle allodole da DAVID YOUNG, responsabile alla Casa Bianca di Nixon dei dilettanti che scassinarono il Watergate, provocando le dimissioni dell’uomo più potente del mondo.
Nessuna meraviglia che Regeni sia stato male addestrato, a meno che non sia stato mandato appositamente per buttare un cadavere tra Italia e Egitto che pensavano ad una azione congiunta in Libia ad esclusione di altri occidentali compromessi.
Poiché di tratta di una agenzia di intelligence privata, siamo in attesa di conoscere i nomi dei committenti.
Notevole la faccia da culo del professore di Cambridge che dice che “per nulla al mondo darebbero alla intelligence britannica gli elaborati degli studenti.”
Infatti, se li vendevano ai privati, tanto stupidi da pagare per leggere scemenze redatte da gattini ciechi ribattezzati
” ricercatori” .
Forse è il caso di rimettere in voga il termine ” trovatori”
Vediamo adesso se si troverà un magistrato che vada in trasferta a Londra, Oxford e dintorni a vederci chiaro e se il ministero degli esteri farà la voce grossa con Cameron come col Cairo.

Biden e il Mediterraneo_con Antonio de Martini

Cambiano i presidenti, cambiano le strategie di intervento e di controllo dell’area mediterranea. Nel frattempo emergono nuovi protagonisti, troppo numerosi ed intraprendenti per realizzare l’aspirazione al ripristino dell’egemonia incontrastata di nemmeno trenta anni fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

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PUBLIO CORNELIO SCIPIONE L’AFRICANO MAGGIORE, a cura di Antonio de Martini

Spunti dal passato. Pro domo nostra_Giuseppe Germinario
PUBLIO CORNELIO SCIPIONE L’AFRICANO MAGGIORE
Il giocatore di scacchi
Aveva solo 17 anni Publio Cornelio Scipione, il futuro Africano, quando, nel 218 a.C., ebbe il primo incontro ravvicinato con Annibale. Era la battaglia sul Ticino, e fu la prima amarezza delle tante patite da Roma per la durata di sedici anni (tanto restò Annibale in Italia: si è calcolato che i romani ci abbiano rimesso 300 mila morti!!! E si dice che, in percentuale, ci fu un dispiegamento di forze e di mezzi, superiore a quelli dell’Italia nella prima guerra mondiale!). Publio, benché diciassettenne, ma ben messo nel fisico, si distinse per valore e salvò il padre e lo zio rimasti feriti.
Data l’età, a nessuno passò per la testa di affidargli le legioni. Lui seguì da vicino il modo di agire di Annibale sul piano militare, e ci ragionò sopra, fino ad arrivare a delle conclusioni. Elaborò un piano strategico. Proprio come fa uno scacchista sulla scacchiera. E l’obiettivo strategico finale era costringere Annibale a sloggiare dall’Italia. Come prima mossa, Publio si fece mandare in Spagna.
Per la Spagna, infatti, passava la via dei rifornimenti per l’esercito di Annibale, e lui aveva aperto la strada con il suo leggendario passaggio di Pirenei ed Alpi. Perché non per il mare? Prima della prima guerra punica i cartaginesi, di origine fenicia e quindi grandi navigatori, erano superiori ai romani sul mare. Ma, durante il primo conflitto, i romani, consapevoli della loro inferiorità marinara, s’erano inventati il sistema dei ponti corvi, passarelle uncinate di legno con cui agganciavano le navi nemiche per assalirle, mentre il combattimento tradizionale mirava allo speronamento. Finita la guerra, mentre Cartagine ebbe un periodo di grave crisi politica, i romani fecero progressi prodigiosi nella marineria, e dominavano il mare. Quindi da Cartagine (Tunisi) gli aiuti potevano arrivare solo per via terrestre.
Tanto più che in Iberia (Spagna) i cartaginesi avevano costruito una città, Nuova Cartagine (=Cartagena), una vera fortezza inespugnabile. Ed infatti Scipione non riusciva a venirne a capo. Tuttavia la presenza romana aveva bloccato il flusso verso l’Italia. Ma aveva fatto in tempo a passare Asdrubale, fratello di Annibale, che si diresse verso l’Italia, per riunirsi con il fratello ed insieme attaccare Roma direttamente. Ma venne intercettato sul fiume Metauro, in Romagna, e morirono tutti i suoi soldati e lui stesso. Ma questa storia merita un racconto a parte, che, vedrete, è meglio di un film.
Gli indigeni dell’Iberia mal sopportavano il dispotismo cartaginese – tranne quelli che, come sempre avviene in presenza di una guerra, pensarono cinicamente di sfruttare la situazione, mettendosi al servizio dell’invasore – , dato che i punici la facevano da padroni. E si allearono con i romani. Un lato della fortezza di Nuova Cartagine era protetto da una bassa palude, bassa, ma sufficiente ad impedire assalti da quella parte. Gli iberici, però, rivelarono a Scipione che, in certi giorni dell’anno, si alzava un vento così forte, ma così forte che spostava tutta l’acqua ed asciugava il suolo. E si stava avvicinando uno di quei giorni. Al momento giusto Scipione sferrò un violento attacco contro la parte opposta alla palude, e lì accorsero tutti i cartaginesi, lasciando incustodita la zona sulla palude: tanto c’era la palude! E fu allora che reparti predisposti ad hoc da Publio, attaccarono il lato lasciato incustodito, ma ora asciutto, ed entrarono nella fortezza. Fine dei rifornimenti!
Tornato a Roma, Scipione prese a sostenere che era giunto il momento di portare la guerra in Africa. Ma dovette fare i conti con i suoi avversari politici. Qui è necessario chiarire qualcosa. Noi diciamo Roma Atene Cartagine come se ognuna di queste fosse un unico blocco. In realtà all’interno di queste città la dialettica politica (alla Hegel o alla Marx, come preferite)vedeva l’opposizione tra proprietari terrieri (antichi detentori del potere economico e quindi politico), e mercanti (vedi anche il post su Temistocle), una nuova categoria di ricchi, che miravano ad una gestione a loro vantaggiosa di economia e politica, ma osteggiata dai vecchi egemoni. In Roma e in quel momento gli Scipioni, benché di antica aristocrazia, miravano all’affermazione politica personale, appoggiandosi al ceto mercantile. Dunque i “conservatori” romani non vedevano di buon occhio la prospettiva politica (rischiosa per loro) di un successo del massimo rappresentante della parte avversa. Una domanda: c’è differenza con le dinamiche politiche di oggi? E fu facile per loro ottenere anche l’appoggio del popolo, ricordando che Annibale era ancora in Italia, e non era saggio spostare armati in Africa. Al massimo – concessero – Scipione faccia da solo: metta insieme un esercito e faccia quello che vuole. Non lo ritenevano capace di tanto, ma lui invece lo fece. Si portò in Sicilia, dove trovò ed arruolò gli otto mila superstiti della battaglia di Canne (che stavano là dal 216, ma anche questa è storia che merita un racconto a parte: ha dell’incredibile, ed invece è STORIA! Di cosa non sono stati capaci i nostri antenati! Se solo recuperassimo una frazione della loro valentia! Intanto però impariamo a conoscerli meglio). E partì per l’Africa.
Ma non attaccò direttamente Cartagine. Non sarebbe stato prudente, perché verso oriente vi erano diverse piazzeforti cartaginesi, che andavano eliminate, onde evitare un attacco alle spalle durante l’assedio. E lui le prese ad una ad una (lo scacchista!), finché non restò l’ostacolo più grosso, due accampamenti, uno numidico ed uno cartaginese. La Numidia corrisponde grosso modo alla Mauritania, ed era uscita da una grave crisi dinastica, grazie all’intervento cartaginese, per cui re divenne Siface che si alleò con i punici, mentre il suo rivale, Massinissa, si schierò con i romani, e tutt’e due garantivano pregevoli truppe di cavalleria. Bene! Scipione provò a prenderli con la forza, ma non ci riusciva. Giocò d’astuzia: finse di volere intavolare delle trattative, e per questo mandò dei suoi luogotenenti a parlare con i capi cartaginesi nell’accampamento. Era uso che una delegazione si presentasse con un codazzo di servi e schiavi per le necessità materiali dei delegati. E mentre si svolgevano i confronti diplomatici, questi servi se ne andavano in giro a curiosare nell’accampamento. Tanto nessuno badava a degli schiavi! Ma Scipione aveva fatto travestire da schiavi i suoi migliori esperti di costruzione di accampamenti, e questi giravano senza controllo, facendosi i selfies, pardon!, memorizzando a puntino ciò che vedevano. Finite le consultazioni, la delegazione romana tornò da Scipione, con l’impegno ad andare di nuovo l’indomani, per portare le novità da parte del console. Invece in piena notte i romani assalirono con proiettili incendiari quei settori dell’accampamento numidico considerati più esposti. Il fuoco provocò una gran confusione, ma nessuno sospettò l’attacco romano. I cartaginesi, anzi, accorsero in aiuto dei loro alleati, ma su entrambi piombarono i romani, che ebbero partita vinta. I cartaginesi fecero un ultimo tentativo di resistere, ma ai Campi Magni furono sbaragliati. La strada per Cartagine era spianata!
Scipione si presentò sotto le mura di Cartagine, ed intimò la resa, dettando anche le condizioni. Ma accettò la tregua proposta dai cartaginesi, perché richiamassero Annibale in patria: l’aveva iniziata lui la guerra, dicevano, che la risolvesse lui! Anche in Cartagine si opponevano due partiti, i proprietari terrieri, che proponevano un’espansione nella terra d’Africa , e facevano capo alla famiglia degli Annoni; ed i mercanti, conquistatori ed imperialisti, che avevano nella famiglia Barca, quella di Annibale, l’elemento di punta. E Annibale, bestemmiando come un turco (non me ne vogliano i turchi, si dice così, senza malizia), pur non essendo mai stato sconfitto, dovette lasciare l’Italia. SCACCO MATTO!
Narra Livio che Annibale provò a giocare d’astuzia. Chiese ed ottenne un colloquio con il giovane rivale, lo colmò di elogi, e gli propose di lasciare le cose come stavano: lui si impegnava a rimanere in Africa, e Scipione se ne tornasse in Italia, ché i romani l’avrebbero adorato, per aver costretto Annibale ad andarsene. Scipione gli rispose che non era il caso per Annibale di fare il furbo: “Se domani mi costringi a combattere, due sono gli esiti possibili: o vinci tu, o vinco io. Ma, se vinci tu, allora sì che siamo al punto di partenza, se invece vinco io, per voi è finita! Decidi tu. A Cartagine conoscono le condizioni. Se non mi costringi a combattere, valgono quelle che sanno, ma se vinco, metteremo sul conto anche questa battaglia.”. E Annibale, per ragioni politiche interne, si vide costretto alla battaglia. E fu la prima ed unica sconfitta per lui: 18 ottobre 202 avanti Cristo, a Naraggara, presso Zama.
Un trionfo mai visto prima accolse Scipione al suo rientro a Roma: 16 anni, tanto era durata la presenza di Annibale in Italia, con 300 mila morti, ed un terrore panico difficile da sradicare dall’animo romano. “ANNIBALE ALLE PORTE!”, si esclamava con terrore anche secoli dopo, quando si profilava un pericolo per la città. Scipione poi amava far credere di essere anche lui l’UNTO DEL SIGNORE: andava spesso nel tempio di Giove nel foro, a parlare con il dio, diceva, che gli aveva suggerito tutte le mosse. E creò intorno a sé un fenomeno di culto della personalità.
I suoi avversari politici, però, non si arresero. Riuscirono a coinvolgerlo in una storiaccia di concussione (di cui il responsabile era quasi sicuramente il fratello Lucio), in margine alla guerra contro Antioco III di Siria: era LA MACCHINA DEL FANGO (non abbiamo inventato nemmeno quella!). E Publio, indispettito perché si era dubitato di lui, preferì andarsene in volontario e dorato esilio in Campania, in una villa a Literno, che dà il nome all’odierna località, Villa Literno. E si narra che andandosene promise di non mettere mai più piede a Roma:
INGRATA PATRIA NON AVRAI LE MIE OSSA. E così fu. E morì qualche mese prima che Annibale si suicidasse. I due grandi nemici uscirono insieme dalla Storia: sotto a chi tocca!
Molto divertente e ben fatto è il film di Magni: “Scipione detto anche l’Africano”. Grandi attori!
DOMENICA PROSSIMA VEDREMO COME E PERCHE’ NASCE LA DEMOCRAZIA (IN GRECIA).

Per una nuova integrazione economica franco-italiana, di Alessandro Aresu

Un punto centrale della collocazione internazionale dell’Italia, divisa ed assorbita dalla anglosfera, dall’influsso transalpino e da quello tedesco secondo una precisa scala gerarchica, potenzialmente disfunzionale. Il problema, soprattutto verso una potenza di dimensioni paragonabili con quella italiana, è ancora di più la qualità, la capacità e l’ambizione della nostra classe dirigente, nemmeno capace di selezionare decentemente i propri interlocutori d’oltr’Alpe, vedi l’affare Telecom_Giuseppe Germinario

Marcello De Cecco era un personaggio unico sia per la sua curiosità che per la diversità dei suoi interessi. È morto nel 20161. Economista e storico abruzzese, come il grande banchiere umanista Raffaele Mattioli, De Cecco ha saputo coniugare nella sua carriera apertura internazionale e divulgazione giornalistica. Attento osservatore degli squilibri nella zona euro e delle ambiguità dell’ondata di privatizzazioni italiane degli anni Novanta, De Cecco è anche all’origine dell’idea che qui analizzeremo e riprenderemo: l’integrazione economica franco-italiana.

Questo il titolo di un articolo ormai dimenticato del ricercatore italiano pubblicato su Le Monde nel 19932. L’articolo prende come punto di partenza il “terremoto” geopolitico e monetario dei primi anni 90. Alla fine della Guerra Fredda, De Cecco ha visto una tendenza neogolliana tra i leader tedeschi. La Germania si preparava ad “affrontare il mare aperto della politica internazionale” investendo massicciamente nelle sue regioni orientali. La priorità per Francia e Italia era capire il nuovo ruolo svolto dalla Germania. Secondo De Cecco, “un’Europa balcanizzata è perfetta per la nuova Germania”: il più alto livello di integrazione economica potrebbe essere raggiunto dall’ex Germania dell’Est formando un nodo strategico più ampio a livello dell’Europa centro-orientale, prima in ambito geoeconomico, poi in altre aree di integrazione. Il vecchio equilibrio integrazionista, fondata su una Germania divisa, era già obsoleta. L’unico modo per bilanciare il nuovo gigante, secondo De Cecco: “un’altra entità di dimensioni paragonabili alla Germania. Questa nuova entità può essere formata solo da una più profonda integrazione economica tra Italia e Francia. ” Perché ? “Da un punto di vista industriale, l’Italia è una Germania in scala ridotta. Ma, dove è debole, l’industria francese è forte. ”

La “nuova entità economica latina” non è germanofoba, ma indica un problema inevitabile che si presenta all’integrazione europea, quando questa è legata solo a una catena del valore geo-economica tedesca in crescita.

ALESSANDRO ARESU

Nel 1993, questa sostanziale parità in termini di punti di forza rendeva difficile il perseguimento, ma le integrazioni e le fusioni aziendali sembravano ancora possibili nei settori automobilistico, chimico, aeronautico e persino l’industria dell’acciaio. De Cecco ha anche ricordato il percorso già intrapreso nell’industria alimentare e nell’elettronica. Ha accusato i francesi di non avere la volontà politica di concretizzare i progetti industriali di cui sopra. E ha invitato gli “orgogliosi cugini transalpini” ad abbandonare gli stereotipi offensivi dei mafiosi e dei mangiatori di spaghetti italiani. Era quindi il momento di capire che una più profonda integrazione con una più ampia economia tedesca e con un centro di gravità allargato avrebbe portato a un’erosione della “individualità economica” della Francia. L’opzione italiana, invece, ha costituito la via ideale per la potenza francese, che ha saputo dispiegare anche la sua “capacità di costruzione e gestione delle infrastrutture” all’interno di uno spazio geopolitico. Su questo punto, il dono profetico di De Cecco ci riporta subito al nostro presente: il “ nuova entità economica latina Non è germanofobico ma indica un problema inevitabile che si presenta all’integrazione europea, quando questa è legata solo a una catena del valore geo-economica tedesca in crescita. De Cecco ha avanzato un argomento politico: “Non è possibile credere, anzi, che italiani e francesi si sottometteranno tranquillamente alla necessità di chiudere sempre più fabbriche nei due Paesi, che saranno, s «restano divisi, schiacciati dalla produttività della rinnovata industria tedesca, rafforzati dai bassi salari dei paesi dell’Est, a cui le aziende tedesche stanno già trasferendo la produzione. “L’integrazione franco-italiana potrebbe dialogare su un piano di parità con la Germania, potrebbe concentrarsi sul” collegamento ferroviario rapido Torino-Lione, alla gestione congiunta dei porti del Mediterraneo, che oggi hanno una concorrenza assurda, agli accordi tra le acciaierie di Taranto e Fos, le più moderne d’Europa, alla creazione di grandi holding franco-italiane in aeronautica, chimica, petrolifera e, soprattutto, nel settore automobilistico. Per questo De Cecco ha fatto appello alla “tradizionale capacità visionaria dei leader francesi” che “non può restare fissa sull’asse Parigi-Bonn”.

È proprio l’attualità delle questioni industriali sollevate da De Cecco che dovrebbe portarci a interrogarci sul nostro presente. Tra gli altri attori globali, i progetti industriali e geoeconomici sono ancora quelli di trent’anni fa? Leggendo questo articolo visionario, l’impressione di aver perso tempo è opprimente. Un’impressione diversa da quella che si può avere negli Stati Uniti, Cina, Giappone, Corea del Sud, Taiwan: luoghi che non hanno mai smesso di inventare il futuro. Non credo che De Cecco conoscesse nel 1993 il testo di Alexandre Kojève sull’impero latino, riapparso nel 19903, ma non posso escluderlo: in ogni caso si è avverata la sua profezia sullo scenario europeo di un allargamento della sfera economica tedesca e centro-orientale, mentre non è apparso alcuno “spazio latino”. . Non credo nemmeno che i “leader francesi visionari” – attori politici, industriali o finanziari – abbiano letto il testo di De Cecco mentre organizzavano le loro “campagne italiane”. Ma questa bottiglia in mare può permetterci di ottenere una fotografia di un momento importante per le nostre nazioni, in una svolta nella storia europea.

L’unione tra Francia e Italia rappresenta oggi circa il 26% del PIL dell’Unione, il 22,4% dei posti di lavoro e il 23,2% degli investimenti in ricerca e sviluppo. Il peso dell’Italia nell’economia europea è diminuito nell’ultimo decennio, quello della Francia è rimasto stabile, quello della Germania è aumentato. Il volume degli scambi tra Italia e Francia nel 2019 è stato di 86 miliardi di euro.

Ma per riportare in vita queste figure, torniamo alla nostra storia, e al grande Abruzzo della finanza italiana, Raffaele Mattioli, che in particolare ha contribuito a finanziare gli studi di Marcello De Cecco a Cambridge.4, classe 1939. Nel 1939 il giovane banchiere Enrico Cuccia sposò la figlia di Alberto Beneduce, ideatore dell’IRI, il cui nome era – in realtà – Idea Nuova Socialista. Mattioli offrì a Cuccia una mappa gigante (circa tre metri per due metri e mezzo) della Parigi del XVIII secolo, quando Michel Etienne Turgot lavorava come prevosto dei mercanti.5. Cuccia ha sempre tenuto il Piano di Parigi nel suo ufficio in Mediobanca, la banca di investimento del capitalismo italiano, che rappresentava anche un legame con il sistema francese, in particolare grazie alla grande amicizia tra lo stesso Cuccia e André Meyer, lo storico leader di Lazard negli Stati Uniti.

I legami instaurati tra istituzioni finanziarie come le banche rappresentano una delle caratteristiche a lungo termine del rapporto franco-italiano.

ALESSANDRO ARESU

Mediobanca è un hub finanziario: tra i partner francesi, oltre a Lazard, ci sono stati più recentemente player come Dassault, Groupama, Bolloré, la banca d’affari italiana che ha acquisito nel 2019 la francese Messier Maris. La storia delle banche italiane ha avuto diversi altri esempi. I legami che si instaurano tra le istituzioni finanziarie rappresentano una delle caratteristiche a lungo termine del rapporto franco-italiano. Possiamo ad esempio citare il finanziamento di missioni di interesse generale, che è sempre più importante nel nostro tempo. Nel 1816 la creazione della Caisse des Dépôts et Consignations fu opera del Conte Corvetto, ministro delle finanze francese nato a Genova. Il mondo italiano è stato quindi diviso e frammentato, rispetto alle opportunità offerte dalla Francia. La sua “sorellina” italiana, la Cassa Depositi e Prestiti, nasce nel 1850, prima dell’Unità d’Italia. Anche Roma si è rivolta a Parigi su questi temi negli ultimi tempi, quando ha cercato di integrare nel sistema italiano le lezioni del modello Bpifrance.

Oggi viviamo in un contesto diverso da quello di Cuccia e Lazard, e da quello di De Cecco. Viviamo all’ombra del conflitto tra Stati Uniti e Cina e vediamo nel capitalismo politico la progressiva espansione della sicurezza nazionale6. La Germania si è evoluta nella gestione di questa crisi, rispetto alla crisi precedente che ha indebolito tutti gli europei. Ma resta da dimostrare la capacità di realizzare progetti europei nel nostro continente. Dobbiamo raccogliere grandi sfide, come quelle che Emmanuel Macron ha esposto nella sua intervista con il Grande Continente . Quando si tratta di salute, digitalizzazione, sostenibilità, questo decennio porterà vincitori e vinti e cambierà le nostre società. Il fiume impetuoso dell’innovazione minaccia di mandare alla deriva gli europei, dopo un decennio di addormentarsi e perdere opportunità.

Borsa-Euronext, FCA-PSA, Fincantieri-STX, Essilor-Luxottica-Mediobanca-Unicredit-Generali, Tim-Vivendi-Mediaset, Crédit Agricole-Creval, Leonardo-Thales, Stm: questi sono, tra gli altri, industriali e a cui partecipano Francia e Italia.

L’Italia è la grande sconfitta nei trent’anni che ci separano da Maastricht e dal progetto De Cecco. È ovvio. Noi italiani dobbiamo riflettere sulla nostra debolezza. Il fenomeno delle multinazionali “tascabili”, che è comunque il nostro capitalismo medio, come descritto negli studi di Giuseppe Berta7e Dario Di Vico, devono affrontare disagi senza precedenti. La riluttanza finanziaria e organizzativa del motore essenziale del nostro sistema economico, le medie imprese con capacità internazionale, non è sostenibile nel medio termine. Inoltre, l’azionista Stato italiano si è ritirato da alcune aree (telecomunicazioni, autostrade) dove il settore privato non ha ottenuto buoni risultati. In questa fase lo Stato, attraverso strumenti finanziari e fondi sovrani, torna in prima linea. Alcuni imprenditori italiani si rivolgono alla Francia con una strategia di lunga data, a partire da Leonardo Del Vecchio, mentre è innegabile il coinvolgimento finanziario e industriale francese nel nostro Paese.

A mio avviso, è essenziale pensare in termini di dimensioni e scala: nel nostro mondo presente e in futuro, difficilmente possiamo fare nulla senza una scala rilevante.

ALESSANDRO ARESU

A mio parere, è essenziale pensare in termini di dimensioni e scala: nel nostro mondo presente e in futuro, difficilmente possiamo fare nulla senza una scala rilevante. Il sistema finanziario italiano non ha potuto trarre alcun reale beneficio dagli insegnamenti di Antoine Bernheim, nonostante quest’ultimo sia stato a capo di Generali da molti anni. È il suo sostegno ad Arnault e Bolloré che gli è valso giustamente il soprannome di “padrino del capitalismo francese”8. Tuttavia, noi italiani non avevamo un Thierry Breton nazionale per unificare i nostri servizi di sistema informativo. Alla fine degli anni ’90 Telecom Italia era di gran lunga la migliore azienda di telecomunicazioni in Europa. Un “complotto automobilistico” italiano lo ha seriamente indebolito modificando gli equilibri di potere. Ma le grandi società di telecomunicazioni europee devono affrontare gli stessi problemi di redditività se vogliono essere competitive in termini di frontiere tecnologiche, e queste domande riguardano anche i francesi.

L’Italia ha perso, ma la Francia non ha certo “vinto”. La pandemia ha solo confermato il fatto che i due paesi hanno difficoltà comuni. In assenza di un equilibrio di potere tra i due Paesi, negli ultimi anni è emersa una strategia offensiva, in quanto i francesi hanno esercitato maggiori pressioni sull’Italia, attraverso una serie di acquisizioni e operazioni in diversi settori industriali. . Ma questo non è stato fatto senza resistenza: tutti i paesi sono impegnati in una “corsa alla sicurezza nazionale”, che è e sarà rafforzata dalla pandemia. Nessuna strategia industriale su scala bilaterale o continentale può funzionare senza un tessuto di fiducia. Altrimenti prevarrà la resistenza all’integrazione ei mercati europei non avranno un governo industriale autonomo,

Inoltre, dovremo anche trattare tutti con la Germania dopo l’era Merkel , una situazione che non si era mai vista prima. Nello sviluppo della costruzione europea è secondo me impossibile che, in un futuro irrigidimento della posizione tedesca, la Francia lasci sola l’Italia ad affrontare il suo destino. Troppi legami uniscono i due paesi. I sentimenti degli italiani per la Francia oscillano tra complesso di inferiorità e fastidio. Si tratta di un problema reale, a cui è legata la convinzione degli italiani che l’opzione francese potrebbe essere messa in discussione da un improbabile ingresso dell’Italia nell’Anglosfera.. Sul piano geopolitico, la Francia ha spesso agito in sottile o aperto contrasto con l’Italia, senza trarne alcun reale vantaggio. Basti pensare alla guerra in Libia. La colpa è della Francia, la sconfitta è di entrambi. Sul nostro terreno di gioco nessuno ha i mezzi per comportarsi da “padrone”: siamo ridotti a fare appello agli Emirati sul terreno. Ma possiamo davvero continuare così? No, soprattutto perché le storiche divergenze tra le nostre aziende in campo energetico stanno affrontando un terremoto tecnologico e finanziario. Devono anche affrontare nuovi “campioni” in nuove arene.

Su quali basi possiamo ricostruire l ‘“integrazione economica franco-italiana”? Non tornerò qui nei dettagli di tutte le pratiche industriali e finanziarie aperte, ma le traccerò.

Primo punto: dobbiamo parlare francamente dei nostri contrasti, invece di tornare ai vecchi “file” o perdere tempo. Ce lo deve insegnare soprattutto la vicenda Fincantieri-STX e il susseguirsi di alti e bassi nel settore delle telecomunicazioni: non dobbiamo tardare a mettere sul tavolo i nostri interessi senza dare alla situazione il tempo di deteriorarsi. Altrimenti, continueremmo a riempire sempre di più le tasche degli avvocati. Una forma di sostegno economico indiretto, certo, ma che non è esattamente ciò di cui hanno bisogno le nostre economie.

Dobbiamo mostrare a una nuova generazione che la dimensione mediterranea non è una chimera. Come dice spesso il ministro Giuseppe Provenzano, siamo una generazione cresciuta cullata dalla “promessa” di un’unione tra il Mediterraneo e l’Africa che non ha prodotto alcun effetto reale.

ALESSANDRO ARESU

Secondo punto: i gruppi che saranno il risultato di una nuova unione franco-italiana non possono essere guidati solo da francesi. Certo, la Francia è un’economia più grande dell’Italia e ha un sistema istituzionale migliore. Non c’è bisogno di negarlo. L’Italia, invece, ha ancora dei punti di forza e non può essere “acquisita” dal sistema francese, in particolare perché in settori strategici è tecnicamente impossibile farlo senza un accordo. Altrimenti, le reazioni renderebbero le relazioni disfunzionali. Quando parlo di gruppi, intendo anche le aree che contano davvero: alta tecnologia, elettronica, ingegneria dei sistemi, difesa e sicurezza, infrastrutture, finanza.

Terzo punto: dobbiamo mostrare a una nuova generazione che la dimensione mediterranea non è una chimera . Come dice spesso il ministro Giuseppe Provenzano, siamo una generazione cresciuta cullata dalla “promessa” di un’unione tra il Mediterraneo e l’Africa che non ha prodotto alcun effetto reale. L’ opzione “latina” di De Cecco può avere senso solo se, in questi campi logistici, economici e geopolitici, la collaborazione italo-francese darà i suoi frutti. Una collaborazione che può essere svolta anche nel campo della finanza sostenibile, in un percorso già avviato dalla Francia con Finance in Common , che potrebbe essere ripreso dal G20 sotto la Presidenza italiana.

Quarto punto: dobbiamo anticipare il terremoto nella catena del valore tedesca, nei suoi collegamenti con la produzione italiana di componenti e robotica industriale, che è ancora un settore di eccellenza. Dobbiamo coordinare gli investimenti in nuove catene di approvvigionamento di elettricità e tecnologie all’avanguardia in relazione ai mercati europei e alle catene di approvvigionamento manifatturiere, anche attraverso relazioni più strette con università, politecnici e centri di ricerca. Ricerca. Non diciamo mai più che dobbiamo creare una DARPA o BARDA europea se non siamo in grado di farlo entro un anno, se non siamo in grado di riguadagnare la nostra ambizione,

Dal 2018 Francia e Italia discutono del Trattato del Quirinale. Tutti questi elementi possono far parte di un nuovo patto tra Italia e Francia, di cui dovremmo discutere il più rapidamente possibile, mentre siamo ancora di fronte alla tempesta del coronavirus e delle sue incognite. Dovremo essere pronti almeno per ottobre 2023, quando festeggeremo i trent’anni dalla pubblicazione dell’articolo di De Cecco.

FONTI
  1. Questo testo inedito riprende diversi studi sui rapporti economici e geopolitici tra Francia e Italia, pubblicati dal 2016 sulle riviste italiane Limes , Atlante Treccani , L’Espresso .
  2. Marcello De Cecco, “Per un’integrazione economica franco-italiana”, Le Monde , 2/10/1993. Sui progetti franco-italiani dei primi anni ’90 si legge la testimonianza di Paolo Savona, Come un incubo e come un sogno. Memorialia e moralia di mezzo secolo di storia , Rubbettino, 2018.
  3. Alexandre Kojève, L’empire latin (1945), in “Le regole del gioco”, I, 1990, 1
  4. Secondo la testimonianza di De Cecco in La figura e opera di Raffaele Mattioli , Ricciardi, 1999
  5. Cfr. L’opera di Giorgio La Malfa, Cuccia e il segreto di Mediobanca , Feltrinelli, 2014 o l’articolo di Fulvio Coltorti, “La Biblioteca storica di Mediobanca”, 8/10/2014, http: //www.archiviostoricomediobanca .mbres.it / documenti / FC_presentazione% 20della% 20Biblioteca% 20Mediobanca.pdf
  6. Alessandro Aresu, L’ Europa deve imparare il capitalismo politico , Le Grand Continent, 10 novembre 2020
  7. Giuseppe Berta, Che fine ha fatto il capitalismo italiano? , il Mulino, 2016
  8. Pierre de Gasquet, Antoine Bernheim: il padrino del capitalismo francese , Grasset, 2011.

https://legrandcontinent.eu/fr/2021/01/12/integration-economique-franco-italienne/?mc_cid=7aaa6f21c8&mc_eid=4c8205a2e9

MAI COME ORA VERITÀ SU REGENI .!!!, di Antonio de Martini

Dopotutto i giudici egiziani non hanno così torto_Giuseppe Germinario
REGENI: L’AFFARE SI INGROSSA E LA VERITÀ SI ARRICCHISCE DI NUOVI ELEMENTI.
La collaudata tecnica ( palantir)di intersecare i numeri telefonici – in questo caso quelli dei nove poliziotti sospettati segnalati dal magistrato egiziano- con quelli dei ” colleghi” dell’Universita americana del Cairo, con cui la prof Abd el Rahman aveva messo in contatto Regeni, ha dato i suoi frutti.
Più di uno dei “colleghi” aveva contatti coi poliziotti della squadra che sorvegliava l’Italiano.
Questi contatti risultano intensificati alla immediata vigilia dell’arresto.
La seconda scoperta degli inquirenti italiani è che l’organizzazione ANTIPODE ha negato che Regeni abbia mai fatto richiesta di una borsa di studio.
Questo fa sorgere spontanea quattro domande: con quali soldi dunque Regeni viaggiava e si manteneva al Cairo? Su quali fondi contava per mantenersi ulteriormente? Di quali denari fantasticava facendoli baluginare di fronte agli occhi del sindacalista egiziano con la moglie ammalata di cancro per farlo collaborare? A chi doveva presentare il rendiconto di cui si preoccupava nella ultima conversazione?
Qui apro una parentesi inquirente.
La professoressa Abd el Rahman – di cui non sappiamo ancora i nomi dei parenti e del coniuge, che io sospetto essere lo stesso Rahmi Abd el Rahman che ha fatto da press Agent ai jihadisti siriani per sei anni – in questi due anni semi-sabbatici trascorsi in Olanda, dove ha abitato? Che documenti ha trasferito da Cambridge? Che “studi”ha fatto? Chi l’ha pagata?
Finora alla Maha Abd el Rahman si riconosce solo una ricerca di 160 pagine banale anzicchennò.
Un po pochino. In Italia, con una singola pubblicazione non insegni all’Università e forse nemmeno al ginnasio.
A proposito, l’Università di Cambrige ha annunciato che vuole creare una borsa di studio a nome di Regeni, ha preso le distanze dalla professoressa Abd el Rahman e accettato di consegnare tutte le mail dei computer dell’Ateneo. Vedremo se consegnano anche gli hard disk per verificare assenza di cancellature….
Una autentica novità per il mondo accademico britannico abbandonare a se stessa, dopo averla protetta per due anni, una docente che testimonia e rinunziare alla indipendenza tradizionale dell’Ateneo, specie a favore di un paese straniero, diciamocelo, di seconda fila.
Nel mondo dell’intelligence, invece è routine: si confessa la marachella e ci di mette d ‘accordo per scaricare i collaboratori scomodi. Senza fare più altro chiasso.
Una nota italiana: TG1, La Stampa e il Corriere della sera, su queste novità non scrivono un rigo, contrariamente a ” Il Messaggero”. Loro scrivono di Di Maio.
MAI COME ORA VERITÀ SU REGENI .!!!

Ecco da chi e perché l’Italia è ricattata in Libia, di Giuseppe Gagliano

L’Italia è giunta in uno dei momenti più bassi di credibilità ed autorevolezza. Purtroppo non sono solo momenti e non abbiamo ancora raggiunto il fondo. Il nulla vestito di buone maniere_Giuseppe Germinario

Ecco da chi e perché l’Italia è ricattata in Libia

di

libia

Il caso dei diciotto membri dei motopescherecci “Antartide” e “Medinea” di Mazara del Vallo prigionieri nel porto di Bengasi dietro mandato del generale Khalifa Haftar. Il commento di Giuseppe Gagliano

Partiamo come di consueto dai recenti fatti di cronaca. Diciotto membri dei motopescherecci “Antartide” e “Medinea” di Mazara del Vallo sono prigionieri nel porto di Bengasi dietro mandato del generale Khalifa Haftar.

Quali valutazioni, di natura squisitamente politica, si possono fare di una vicenda così drammatica e insieme così umiliante per il nostro paese?

In prima battuta questa azione da parte delle milizie potrebbe essere letta come una ritorsione del viaggio compiuto dal nostro ministro degli esteri prima a Tripoli e poi a Tobruk per incontrare il presidente del parlamento Aguila Saleh che allo stato attuale sembra aver soppiantato la figura di Haftar. Un chiaro segnale insomma della perdita di qualunque credibilità del nostro paese sullo scacchiere libico come abbiamo avuto modo più volte di sottolineare su queste pagine.

Il fatto che la Farnesina abbia infatti cercato di fare pressione su Haftar per la liberazione degli ostaggi rivolgendosi alla Russia, all’Egitto e agli EAU dimostra in modo evidente la mancanza di peso politico del nostro paese.

Difficile credere che un tale evento si sarebbe verificato ai tempi di Andreotti e di Craxi.

Fra l’altro nel 2019 un cittadino sudcoreano e 3 filippini erano stati liberati proprio grazie all’intervento degli EAU.

Tuttavia dobbiamo tenere conto che la situazione politica in Libia è cambiata e il generale Haftar non è più l’uomo forte della Libia e di conseguenza la rilevanza di questa mediazione è quanto meno di dubbia efficacia.

In secondo luogo l’azione compiuta dalle milizie libiche si inserisce in una logica di rivendicazione illegittima sul piano del diritto internazionale marittimo da parte della Libia che vorrebbe estendere la sua sovranità fino alle 72 miglia dalla costa. Rivendicazioni che furono fatte molto spesso da Gheddafi.

In terzo luogo non si può notare l’enorme disparità tra l’attuale situazione dei 18 ostaggi e la presenza delle nostre forze navali e armate sia nel Golfo di Guinea sia presso la diga di Mosul. Anche se è scontato che l’Aise stia operando nella direzione di liberare gli ostaggi è evidente che il problema rimane strettamente legato alla credibilità ed autorevolezza dell’esecutivo e della Farnesina.

Infine, avventurandoci a formulare una semplice ipotesi, se una tale operazione da parte libica fosse stata posta in essere nei confronti di cittadini francesi è presumibile che l’esecutivo francese avrebbe già attivato le forze speciali coniugando tale intervento con una capillare rappresaglia. A tale proposito basti ricordare l’operazione francese in Mali che fu condotta nel 2015 sotto la direzione del Commandement des Opérations Spéciales e che fu portata a termine con successo dai Tier-1 del 1er régiment de parachutistes d’infanterie de marine con la liberazione dell’ostaggio olandese Sjaak Rijke di 54 anni catturato dai jihadisti di al-Qaeda.

https://www.startmag.it/mondo/italia-libia/

All’ombra del sole ottomano_con Antonio de Martini

Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan riporta alla luce rivalità secolari nell’area del Caucaso.

Con esse emerge ormai la Turchia, un attore sempre più spregiudicato che non esita a giocare su più tavoli, dal Mar Nero, al Mediterraneo, all’Egeo, alla Siria, alla Libia, all’area turcomanna. Una spregiudicatezza che lascia intuire sostegni e coperture evidentemente solide a sufficienza. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

LA PACE DI ABRAMO, di Antonio de Martini

Anche se per la verità gli esponenti politici da assassinare in contemporanea cominciano ad essere un po’ troppi. Gli accordi sanciscono comunque la frattura definitiva dei paesi arabi con l’Iran e molto facilmente con la Turchia piuttosto che il sodalizio con Israele_Giuseppe Germinario
LA PACE DI ABRAMO
Si tratta di un nuovo reality show col quale Trump pensa di vincere le elezioni a novembre?
Come noto, Abramo era un estraneo in Palestina proveniva dall’odierno Irak ( Ur di Caldea) come sua moglie Sara.
Si arricchì facendola prostituire ( lo dice la Bibbia) e facendosi pagare con pecore e capre, ma importò dalla Mesopotamia il monoteismo e la pratica della circoncisione.
Il nome dell’accordo di pace tra Bahrein, l’UAE e Israele è quindi stato scelto in base alla notorietà statunitense del personaggio, ma il contenuto degli accordi non è stato divulgato, dato che non c’è mai stato un contenzioso tra loro.
Storici accordi di pace tra Israele e suoi vicini con cui ha invece effettivamente guerreggiato ci sono gia stati: nel 1979 con l’Egitto di Saadat ( poi ucciso) e nel 1994 con la Giordania ( uccisero re Abdallah – bisnonno dell’attuale re- nel 1948 quando si accordò segretamente con gli israeliani).
Nessuno di questi accordi di pace ebbe impatti positivi sulla pace nella regione, ma, negativi, sulla salute dei firmatari.
Si capisce quindi il motivo per cui nessun rappresentante saudita e nessun regnante di Bahrein ( Ahmed ben Issa al khalifa di Bahrein e Mohammed ben Zayed al Nayhan dell’UAE ) fosse presente allo “ storico evento”. Le firme “ arabe” le hanno messe i ministri degli esteri.
Le grandi attese furono deluse anche il occasione degli accordi di Oslo ( tra palestinesi e Israeliani) in cui l’ucciso di turno fu il premier israeliano Isaac Rabin.
Ci sarà certamente – oltre alla prospettiva di vendere qualche F 35 – qualche contratto di tecnologie di sicurezza del polo elettronico israeliano e il possibile vantaggio militare che Israele avrà avvicinato all’Iran le basi di partenza della propria aeronautica verso l’Iran.
Vedremo chi morirà per primo stavolta.

Turchia, Grecia e Italia: scenari e prospettive nel Mediterraneo, di Lorenzo Centini

Disposizione delle pedine_Giuseppe Germinario

http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/turchia-grecia-e-italia-scenari-e-prospettive-nel-mediterraneo/

Turchia, Grecia e Italia: scenari e prospettive nel Mediterraneo

Sulla questione della Turchia nel Mediterraneo si può procedere a costruire una posizione in due modi diversi: o ci si schiera in virtù di simpatie di civiltà e antipatie secolari o ci si schiera mettendo in ordine alcuni diversi gradi di importanza in fila e osservando in che modo essi si dispieghino.

I temi per prendere posizione sulla questione, a mio avviso, sono:

A) il tema della NATO – vale a dire la sua palese inservibilità e tossicità quando si smetta di rivolgerla a nemici esterni.

B) il tema della agibilità del Mediterraneo – vale a dire il mantenimento del Mediterraneo come mare aperto alla competizione geoeconomica senza l’emersione di soggetti egemoni

C) il tema dell’Europa – vale a dire la possibilità che lo scontro turco-greco veda la nascita di una quota minima di convergenza europea in tema di politica estera.

Chiariti i temi principali del contendere (che non esauriscono tutte le sfaccettature possibili ma che ne rappresentano le tre più sistemiche e urgenti), lo scontro Turchia-Grecia è una Proxy di codeste coordinate.

I problemi suddetti pre-esistono e superano la diatriba tra Atene e Ankara, ma il loro scontro costituisce un’occasione di scioglimento nodiSui singoli problemi, sul piano cartesiano con questi tre assi ci si esercita con i propri riferimenti ideologici ed i propri strumenti di lettura. Il lato scientifico della geopolitica è pure codesto: scindere i piani e i problemi, costruire griglie in cui le posizioni prese seguono assunti di ordine razionale, ed in cui sia la posizione finale ad adattarsi all’effetto sperato, e non viceversa. Sui tre temi, personalmente, credo si possa proseguire all’incirca così:

A) Uno scontro frontale Grecia-Turchia, non mediante guerra aperta (che nessun attore permetterebbe) ma mediante scaramucce e reciproci blocchi sarebbe la fine della NATO, richiesta a gran voce prima di tutto dai singoli attori (Grecia e Turchia) e poi da tutti gli altri che già spingono per una sua liquidazione (Francia, Germania, ecc). Se la NATO dovesse schierarsi apertamente con la Grecia perderebbe la Turchia, riuscendo forse a resistere come organizzazione complessiva. Pertanto è interesse italiano lasciare la NATO fuori dai giochi, chiarendo la propria posizione di benevolenza terza rispetto a Grecia e Turchia (nel caso, ovvio, in cui si volesse disarticolare la NATO. In tutti gli altri appoggiare la Grecia sarebbe appunto il modo migliore per tutelare la NATO)

B) L’Italia deve mantenere il Mediterraneo aperto ai propri bisogni geoeconomici, e deve quindi impedire che la Turchia possa occupare gli spazi liberi da un punto di cista energetico, mercantile e navale. Su questo quadrante sarebbe quindi necessaria una forte posizione italiana contro l’espansionismo delle compagnie di ricerca turche e degli annessi militari, schierandosi quindi contro l’attività turca antigreca. Sempre che non si voglia, invece, costruire un ticket con la Turchia nel riempimento del Mediterraneo: nel caso sarebbe forse ottimo porsi come sponda turca in Europa, aprendo nei negoziati che quasi sicuramente si apriranno una posizione di ascolto della Turchia insieme alla Germania (che è sensibile ai bisogni turchi). Per costruire codesto ticket, tuttavia, servirebbe una forte attività di strategia industriale e alleanza tra società italiane e turche (giacché tutta una parte del gioco è giocata in registri diversi)

C) Se l’obbiettivo è quello di stimolare una politica estera europea e sfruttare questo attrito per disarticolare la NATO e compattare i paesi europei, buona idea sarebbe schierarsi con la Grecia, paese EU e paese centrale per una futura architettura militare europea. A questo invece si oppone attualmente la Germania, che continua a non percepire l’Europa come soggetto militare e geostrategico autonomo e vorrebbe solo far recitare a Bruxelles il ruolo di arbitro[*] . Il navalista europeista Macron[**] invece già segue la Grecia contro la Turchia (lui ha pure la partita Libano in ballo dove è contrapposto alla a Turchia) per risolvere la prima grana in sede europea difendendo un paese membro. Gli antieuropeisti si troverebbero quindi nella spiacevole condizione di dover tifare Ankara. A questo quadro si aggiungono due sottotemi, per noi europei meno immediate, ma solo in apparenza. Ad Est la partita è tra i più antiturchi[***] (Emirati già in orbite filogreca anche per una curiosa Israele-Grecia-EAU connection) e i meno, il che denota l’insofferenza mediorientale per l’attivismo turco. In politica interna Erdogan raccoglie però sincere simpatie, a dimostrazione di quanto la spoliticizzazione verso la politica estera sia abbastanza un’impressione occidentale. La cosa più importante, tuttavia, rimane che ogni attrito internazionale dovrebbe diventare la porta dalla quale far rientrare la cruda analisi geopolitica spassionata dalla porta. In una parola, l’occasione per ricostruire un modo di ragionare sul presente non già oggettivo (è impossibile) ma almeno un luogo riflessivo in cui cause, effetti, posizioni e auspici siano in catene riconoscibili. All’interno di quadri chiari (come ho tentato di dare) ciascuno imposta le proprie priorità e speranze e prova a ragionare sugli effetti a cascata circa una decisione.

*https://www.google.com/amp/s/amp.thenational.ae/world/europe/germany-calls-for-an-end-to-naval-posturing-in-the-eastern-mediterranean-1.1069355

** https://www.google.com/amp/s/www.voanews.com/europe/france-sends-forces-mediterranean-greece-turkey-dispute-territory%3famp

***https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/08/24/esercitazione-militare-nel-mediterraneo-orientale-gli-emirati-inviano-f-16/

Tutte le cose turche del Qatar in Libia, di Giuseppe Gagliano

Riprendiamo qui sotto integralmente un articolo di Giuseppe Gagliano. Il professore fa il punto della presenza turco-qatariota in Libia. Il confronto militare e geopolitico in Libia ormai si sta polarizzando tra questi due paesi e l’Egitto. Un fattore in più che rivela impietosamente il vuoto entro il quale si sta dibattendo la politica estera italiana_Giuseppe Germinario

Tutte le cose turche del Qatar in Libia

di

eni in libia

Il ruolo del Qatar in Libia in simbiosi con la Turchia nello scenario che si apre dopo l’accordo tra le fazioni libiche. L’approfondimento di Giuseppe Gagliano

È certamente difficile negare che l’accordo tra le fazioni libiche sia sorto all’interno dell’amministrazione americana sia allo scopo di limitare o contenere la proiezione di potenza russa in Cirenaica sia in vista delle imminenti elezioni americane.

Nello specifico tale accordo sarebbe il risultato sia dei colloqui tra il Segretario di Stato Mike Pompeo e il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry – con la supervisione del generale Corea responsabile per il Medioriente della Nation Security Council americano – sia dei colloqui tra Richard Norland, ambasciatore americano presso Tripoli, e Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk.

Ebbene, alla luce della situazione di elevatissima instabilità politica che si è chiaramente manifestata gli ultimi due anni in Libia ,tale accordo si dimostra scarsamente credibile ma soprattutto assolutamente fragile.

Al di là delle promesse che tale accordo formula e indipendentemente dalle divergenze fra i due contendenti ben sottolineate da Agenzia Nova rimane il fatto che il GNA ha concesso – come avevamo previsto – alla Turchia sia l’infrastruttura portuale di Misurata -come base navale per legittimare de facto la proiezione di potenza turca nel Mediterraneo Orientale – sia l’infrastruttura dell’aeroporto militare di al-Watya sito nella Tripolitania Occidentale.

Al di là del fatto che tale accordo sia stato siglato il 17 agosto a Tripoli, il dato geopolitico di grande rilievo è la presenza di un terzo soggetto – accanto alla Libia e ad Ankara- e cioè il Qatar.

Per quanto concerne i rapporti bilaterali tra Turchia e Qatar occorre ricordare che la Turchia ha sempre supportato sul piano militare il Qatar ricevendone in cambio un ampio sostegno finanziario.

Basti rammentare che, ad esempio, il vicecomandante delle forze di Ankara, Ahmed bin Muhammad, è anche a capo dell’Accademia militare qatarina. Ciò significa che la formazione dei quadri militari è selezionata sulla base di scelte politiche e religiose filo-turche.

Inoltre la presenza delle forze di sicurezza turche in Qatar rappresenta in modo tangibile la rilevanza della influenza politico-militare turca.Si pensi all’infrastruttura militare turca Tariq ibn Ziyad, nella quale è presente il comando della “Qatar-Turkey combined joint Force”.

Le esportazioni di armi del Qatar verso la Turchia sono aumentate in modo vistoso consentendo ad Ankara di arrivare a delle entrate pari a 335 milioni di dollari, mentre l‘operazione militare turca Fonte di pace, posta in essere nel nord-est della Siria, è stata apertamente sostenuta proprio da Doha, anche per ampliare l’influenza della Fratellanza musulmana.

Per quanto concerne gli investimenti, il Qatar ha erogato fin dal 2018 15 miliardi di dollari e ha acquistato una quota del 50% in BMC, un produttore turco di veicoli corazzati, i cui partner turchi sono noti amici di Erdoaan per produrre l’Altay, il principale carro armato di battaglia di nuova generazione.Ma vi è anche il caso di una società di software militare controllata dallo stato ad Ankara, che ha firmato un accordo di partnership con al-Mesned Holdings in Qatar per una joint venture specializzata in soluzioni di cyber-sicurezza.

Tuttavia uno degli accordi certamente più rilevanti per sanare la grave situazione economica presente in Turchia è quello del 20 maggio grazie al quale la Banca centrale turca ha annunciato di aver triplicato il suo accordo di scambio di valuta con il Qatar.

Per quanto concerne i rapporti tra Libia e il Qatar, Doha ha saputo approfittare delle debolezze politiche sia dell’Unione europea che dell’Onu. Inoltre il relativo disimpegno americano dal teatro medio orientale – visto che le priorità della amministrazione trumpiana sono per la Cina, l’Indo-Pacifico e per la Russia-hanno di fatto arrecato un indubbio vantaggio strategico a Doha.

Ora, proprio approfittando di questa situazione di instabilità, il Qatar ha cercato di sfruttare questa propizia occasione per una politica di maggiore peso e significato a livello geopolitico in Libia. Proprio per questa ragione la presenza militare del Qatar nel conflitto del 2011, a fianco della Nato, fu certamente rilevante non solo grazie all’uso del potere aereo ma anche attraverso l’addestramento dei ribelli libici sia sul territorio libico sia a Doha, senza dimenticare naturalmente il ruolo rilevante che le proprie forze speciali ebbero nell’assalto finale contro Gheddafi.

Caduto il regime di Gheddafi, il Qatar riconobbe come legittima istituzione politica il consiglio nazionale di transizione e contribuì in modo determinante, non solo a livello economico, a rifornire i ribelli delle necessarie risorse energetiche.

Un altro strumento di influenza, e insieme di penetrazione in Libia, furono certamente i fratelli Alī e Ismā‘īl al-Šalabī perseguitati dal regime di Gheddafi. In particolare Alī al-Šalabī è certamente uno dei più importanti uomini di religione legato alla fratellanza musulmana.

Un altro uomo chiave per il Qatar è stato certamente Abd al-Ḥakīm Bilḥāğ, considerato sia dalla Cia che dal Dipartimento di Stato americano un pericoloso terrorista in quanto leader del Libyan Islamic Fighting Group. Il suo ruolo politico è stato molto importante sia perché ha coordinato il consiglio militare di Tripoli sia perché è stato uno dei principali responsabili del partito al-Waṯan raggruppamento politico di estremo peso all’interno del congresso nazionale generale.

Ritornando all’accordo siglato il 17 agosto il Qatar investirà in modo rilevante per la ricostruzione delle infrastrutture militari di Tripoli. E infatti non è stata casuale la presenza nella delegazione del Qatar di consiglieri e istruttori militari che hanno tenuto incontri con i loro omologhi libici e turchi.

Altrettanto significativo, sotto il profilo politico, l’incontro tra Haftar e il direttore della Intelligence militare egiziana e cioè il generale Khaled Megawer presso la base di Rajma, sita a Bengasi. Un incontro volto a pianificare un ‘eventuale intervento militate egiziano ?È certamente una eventualità da considerare .

A tale proposito il sostegno da parte dell’Egitto di alcune tribù libiche potrebbe svolgere un ruolo significativo. Secondo il capo del consiglio supremo delle tribù in Libia Saleh al-Fendi, come secondo Abdel Salam Bou Harraga Al-Jarari, membro dei clan Al-Ashraf e Al-Murabitin a Tarhuna,a sud di Tripoli, il sostegno egiziano si rileverebbe indispensabile. Proprio Al-Jarari ha sottolineato come il sostegno egiziano sia l’unico modo per porre fine a una straziante guerra civile.Non a caso il maggiore generale Ahmed Al-Mesmari, portavoce dell’Esercito nazionale libico, ha dichiarato che la Turchia si sta mobilitando proprio come dimostra l’incontro del 17 agosto tra i funzionari turchi e e quello del Qatar ,incontro che ,secondo, Al-Mesmari suggellerà la presenza permanente della Fratellanza mussulmana in Libia.

Anche secondo Abdelsalam Bohraqa al-Jarrari, un membro anziano di una tribù di Tarhuna, a Sud di Tripoli, diventa necessario da parte dell’Egitto un intervento militare a tutto campo. Per quanto concerne proprio la presenza di Doha in Libia, secondo lo sceicco Adel Al-Faidi, membro del Consiglio Supremo delle Tribù Libiche, l’incontro del 17 agosto coincide con il controllo turco-qatariota sul porto di Al-Khums e la sua trasformazione in una infrastruttura militare per le operazioni militari congiunte di Ankara e Doha in Libia.

D’altronde proprio la presenza di due fregate turche giunte al porto di Khums ,a 135 km ad Est di Tripoli, legittima il sospetto che Ankara voglia prendere possesso delle infrastrutture portuali dell’area per trasformarle in infrastrutture militari consentendogli in questo modo di rafforzare la sua proiezione di potenza economica e militare sia nel Mediterraneo orientale che in Nordafrica.

https://www.startmag.it/mondo/tutte-le-cose-turche-del-qatar-in-libia/

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