LE NOTTI DEI LUNGHI COLTELLI PORTANO CONSIGLI, di Cesare Semovigo e Giuseppe Germinario

LE NOTTI DEI LUNGHI COLTELLI PORTANO CONSIGLI

Di Cesare Semovigo & Giuseppe “The Director” Germinario

Mentre il conflitto in Ucraina si trascina, inquietanti sussulti scuotono l’agone politico a stelle e strisce. Per chi ancora non lo avesse capito, la vecchia Europa ha ceduto lo scettro di reginetta delle supposte élites intellettuali, filosofiche e politiche, per incamminarsi, senza possibilità di salvezza, verso l’epilogo di questo conflitto cercato e perduto e, in direzione ostinata e contraria, verso tutto quello che la vecchia Europa pensava e riteneva di essere.

Il confronto con quell’Iran, appena sportosi sul balcone della trattativa, sembra dirigersi verso uno scenario tutt’altro che rassicurante, purtroppo denso di toni drammatici. Alle aperture di Witkoff, il plenipotenziario per il Medio Oriente di Donald Trump, colui che ha accettato il criterio della separazione tra il nucleare civile e quello militare iraniano, si giustappongono posizioni inequivocabilmente ostili, per emanazione oggettivamente scontata, della componente neoconservatrice, inclusa nella maggioranza del governo MAGA di D. Trump. L’amministrazione statunitense, indotta e spalleggiata dalla stampa amica della sua componente più faziosa e accompagnata dall’avventurismo intransigente del governo israeliano di Netanyahu, dalle indiscrezioni che vi stiamo celermente riportando, potrebbe finire risucchiata dall’istinto autoconservativo della guerra infinita e permanentemente spietata del premier israeliano.

Non si tratta di un mero confronto in una delle solite operazioni tattiche di Trump, “il provocatore”, tese a bilanciare gli umori di MAGA con quelli della minoranza neoconservatrice interna all’amministrazione. Ci auguriamo ancora esistano opzioni alternative all’intervento militare. Il cammino verso la trattativa, tra la leadership di Israele di fatto insofferente nella sua finta disponibilità e una pragmatica e orgogliosa, a volte troppo spavalda, dirigenza iraniana rischia di interrompersi già agli albori. Uno dei probabili epiloghi rischia di trascinare con sé tutto e tutti in un buco nero di irresponsabilità.

I segnali parlano chiaro: lo schieramento massiccio, con la relativa complessa logistica, di stormi pesanti, tra i più sofisticati, dell’aviazione di profondità, di radar d’alta quota (AWACS) e, cosa ancora più inquietante, da qualunque quadrante geografico lo si guardi, di ulteriori due sistemi completi AA antiaerei trasferiti dal loro naturale dispiegamento storico nella zona centro-est europea, completano un quadro che si fa, di ora in ora, più incerto, poi presagio, per terminare infine in monito impossibile da sottovalutare o fingere illusoriamente di minimizzare. Una macchina troppo complessa per essere ricondotta inequivocabilmente ad una mera forma di pressione sulle trattative.

Nonostante questo non sia nello specifico un articolo dalle sfumature tecnico-militari, si devono produrre alcune considerazioni per onorare la consequenzialità e attendibilità dialettica che da qui in poi cercheremo di presentarvi all’interno della “Big Picture” del complesso. Senza dilungarci inutilmente, il contesto logistico e il dispiegamento tattico nelle basi israeliane in primis, e giordane poi, soprattutto se inseriti cronologicamente a latere di una maldestra e incerta trattativa, sono un segnale inequivocabile e tetro. Una incertezza acuita dall’acceso e sordo confronto interno agli schieramenti, in particolare quello statunitense, ostaggio e mallevadore dei suoi stessi legami internazionali.

Dislocamento Tattico e Proiezione Operativa: Basi Israeliane e Giordane nella Sfida Iraniana

Le basi aeree israeliane di Nevatim e Ramon, nel deserto del Negev, insieme a quelle giordane di Al-Jafr e Al-Azraq, costituiscono i principali hub per operazioni congiunte contro obiettivi iraniani. Nevatim ospita squadroni di F-35I Adir e F-15I Ra’am, supportati da tanker KC-707 per estendere il raggio operativo fino a 2.000 km, coprendo Teheran e siti nucleari come Natanz o Fordow. Ramon, più vicina al confine giordano, schiera F-16I Sufa e droni Hermes 900 per missioni di sorveglianza e attacco di precisione. Le basi giordane, pur meno avanzate, fungono da piattaforme logistiche per caccia americani F-15E e F-22, con tanker KC-135 Stratotanker dislocati ad Al-Azraq per rifornimenti in volo, essenziali per missioni a lungo raggio. La proiezione congiunta si concentrerebbe su obiettivi militari iraniani: basi missilistiche (es. Kermanshah, Tabriz), centri di comando dei Pasdaran e infrastrutture sotterranee come Oghab 44. Tuttavia, un’incursione profonda in Iran, rispetto a lanci al confine come nell’aprile 2024, presenta sfide significative. I sistemi di difesa aerea iraniani, tra cui gli S-300PMU-2 russi e i più recenti S-400 (con voci di possibili S-500 in fase di acquisizione), a dispetto dei danni subiti dai renti attacchi, offrono una copertura multistrato con radar a lungo raggio e missili capaci di ingaggiare bersagli a 400 km. I sistemi autoctoni Bavar-373 e 15th Khordad, pur meno sofisticati, integrano capacità di disturbo elettronico e intercettazione a corto raggio, rendendo vulnerabili i caccia non stealth in avvicinamento. Penetrare lo spazio aereo iraniano richiederebbe una massiccia campagna di soppressione delle difese aeree (SEAD), con rischi di perdite elevate a causa della densità di radar e batterie antiaeree intorno a Teheran e Isfahan. Inoltre, la distanza di 1.000-1.500 km da Israele e Giordania limita il tempo di permanenza sul bersaglio, esponendo i tanker a minacce missilistiche iraniane come il Khaibar Shakan (gittata 1.450 km). Un attacco congiunto dovrebbe quindi coordinare strike di precisione con munizioni stand-off (es. missili Delilah o Popeye Turbo) e guerra elettronica per accecare i radar; la resilienza delle difese iraniane, però e la possibilità di ritorsioni balistiche su basi regionali rappresentano un pericolo concreto, amplificato dalla crescente precisione dei missili ipersonici Fattah-1.

Tensioni Interne e Reazioni Neo-Conservatrici

Un po’ troppo, verosimilmente, per essere interpretati come mera forma di pressione sulle trattative. La recente defenestrazione e relativo ridimensionamento di Kellogg in quel quadrante non sono bastati a placare i bollenti spiriti; tutt’altro! Ha scatenato la reazione allarmata dei neocon, sino a provocare il licenziamento di tre dei collaboratori più fidati di Hegseth, capo del dipartimento della difesa, e a mettere a rischio la sua stessa posizione con una forsennata campagna di denunce strumentali ed illazioni. La vittima più illustre è stata Cadwell, immediatamente precipitatosi in una intervista rivelatrice da Tucker Carlson.

Qui sotto la registrazione, tutta da ascoltare, con i sottotitoli in italiano. (cliccate sulla rotella delle impostazioni-sottotitoli-traduzione-italiano). In calce al commento la trascrizione dell’intervista. Giuseppe Germinario

Capitoli: 0:00 Introduzione 1:10 Cosa succederebbe se gli Stati Uniti entrassero in guerra con l’Iran? 9:13 Il vero motivo per cui gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq 15:38 La potenza militare dell’Iran 22:25 La coalizione globale che l’Iran ha formato a causa degli Stati Uniti 26:37 È malvagità o stupidità? 31:10 Come Trump ha smascherato le guerre per il cambio di regime 41:37 L’esperienza di Caldwell nel Corpo dei Marines 50:31 L’impatto della guerra in Iraq sui veterani 1:00:59 Come Caldwell ha aiutato Pete Hegseth a diventare Segretario della Difesa 1:08:21 Il vero motivo per cui Caldwell è stato licenziato 1:11:30 Caldwell era la fonte delle fughe di notizie? 1:22:09 Come Caldwell è stato scortato fuori 1:23:41 Chi sono i veri colpevoli delle fughe di notizie del Pentagono? 1:28:58 La reazione di Caldwell alla sua estromissione

L’artefice di questa orchestrazione è verosimilmente Mike Waltz, consigliere presidenziale, in un confronto dal sapore di una resa dei conti interna, drammatica, dai tempi accelerati e convulsi. L’evidenza di come un confronto politico interno agli schieramenti politici statunitensi si intrecci con le dinamiche e le pulsioni internazionali, attualmente focalizzate sull’Europa e sul Medio Oriente, quest’ultimo rivelatosi al momento il vero punto debole e incerto, per vari motivi in parte indipendenti dallo stesso, della politica estera di Trump.

È, forse, il motivo che ha dettato, ancora una volta, l’apertura prudente di Putin sul fronte ucraino. Prudenza che, altresì, non sembra albergare nei giudizi del variegato mondo sovranista italico, ormai vittima del riflesso condizionato di accomunare comodamente nel calderone a stelle e strisce i vari contendenti, seguendo un percorso parallelo, ma nella identica direzione delle componenti più reazionarie e codine che detengono le redini dell’Unione Europea e dei paesi più importanti del nostro disgraziato continente.

Il fatto che, mentre stiamo ultimando l’articolo, Trump, il quale per vie indirette deve aver, per una qualche sensibilità telepatica, per forza di cose letto la bozza dell’analisi mia e di Giuseppe, abbia riconsiderato la decisione e reintegrato Cadwell, ci riempie di orgoglio e di speranza, soprattutto dimostrando che il nostro modulo analitico di redigere proiezioni, tra le mille incertezze di questo nuovo mondo nascente, oltre che funzionare, dovrebbe spingerci una buona volta a dedicarci alle scommesse. Buoni propositi.


Note

  1. Steven Witkoff è stato nominato inviato speciale per il Medio Oriente da Donald Trump nel 2025, con un focus sulla stabilizzazione regionale e la gestione delle tensioni con l’Iran. Cfr. Haaretz, “Trump’s Middle East Envoy Visits Moscow to Discuss Hostage Release,” 10 febbraio 2025.
  2. L’attacco iraniano del 13-14 aprile 2024 contro Israele, denominato “Operazione Vera Promessa,” è stato una rappresaglia per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco. Cfr. Wikipedia, “Attacco iraniano contro Israele,” 14 aprile 2024.
  3. La base aerea di Nevatim, situata nel deserto del Negev, è un hub chiave per l’aviazione israeliana, ospitando F-35I Adir e F-15I Ra’am. È stata colpita da missili iraniani nell’ottobre 2024, con danni limitati. Cfr. Dagospia, “Israele prepara l’attacco contro l’Iran,” 6 ottobre 2024.
  4. La base di Ramon, nel Negev, supporta operazioni di sorveglianza e attacco con F-16I Sufa e droni Hermes 900. Cfr. The Times of Israel, “Israel’s Air Force: Key Bases and Capabilities,” 15 settembre 2023.
  5. Le basi giordane di Al-Jafr e Al-Azraq sono piattaforme logistiche per operazioni congiunte USA-Giordania, con tanker KC-135 e caccia F-15E. Cfr. Air Force Magazine, “U.S. Air Operations in Jordan: Strategic Basing,” 20 marzo 2024.
  6. I tanker KC-707 e KC-135 Stratotanker sono essenziali per missioni a lungo raggio, estendendo il raggio operativo fino a 2.000 km. Cfr. Jane’s Defence Weekly, “Aerial Refueling: Capabilities and Limitations,” 12 gennaio 2024.
  7. I siti nucleari iraniani di Natanz e Fordow sono obiettivi strategici per Israele, protetti da difese aeree avanzate. Cfr. ISPI, “Iran’s Nuclear Program: Current Status and Risks,” 10 novembre 2024.
  8. Le basi missilistiche iraniane di Kermanshah e Tabriz ospitano sistemi balistici come il Khaibarshekan. Cfr. Sky TG24, “Gli arsenali di Iran e Israele a confronto,” 3 ottobre 2024.
  9. L’infrastruttura sotterranea Oghab 44 è un deposito strategico dei Pasdaran per missili balistici. Cfr. Middle East Institute, “Iran’s Missile Infrastructure: A Growing Threat,” 25 agosto 2024.
  10. I sistemi di difesa aerea iraniani S-300PMU-2 e S-400 offrono una copertura multistrato, con radar a lungo raggio. Voci sull’acquisizione di S-500 non sono confermate. Cfr. Open, “L’Iran e l’arma mai vista prima,” 16 aprile 2024.
  11. I sistemi iraniani Bavar-373 e 15th Khordad integrano capacità di disturbo elettronico e intercettazione a corto raggio. Cfr. Sky TG24, “Gli arsenali di Iran e Israele a confronto,” 3 ottobre 2024.
  12. Il missile ipersonico Fattah-1, con una gittata di 1.400 km, rappresenta una minaccia crescente per le basi regionali. Cfr. Corriere della Sera, “Iran contro Israele, sparati anche missili ipersonici,” 2 ottobre 2024.
  13. Le munizioni stand-off israeliane, come i missili Delilah e Popeye Turbo, sono progettate per attacchi di precisione a lunga distanza. Cfr. Jane’s Defence Weekly, “Israel’s Precision-Guided Munitions,” 5 febbraio 2024.
  14. Keith Kellogg, ex consigliere per la sicurezza nazionale, è stato rimosso da ruoli chiave nell’amministrazione Trump nel 2024. Cfr. Axios, “Trump’s Internal Power Struggles,” 18 dicembre 2024.
  15. Brian Hegseth, nominato capo del Dipartimento della Difesa, ha affrontato critiche interne dai neoconservatori. Cfr. The Hill, “Hegseth’s Defense Nomination Sparks Controversy,” 10 gennaio 2025.
  16. Cadwell, collaboratore di Hegseth, è stato licenziato e ha rilasciato un’intervista a Tucker Carlson. Cfr. Fox News, “Cadwell Speaks Out on Tucker Carlson Tonight,” 15 gennaio 2025.
  17. Mike Waltz, consigliere presidenziale, è considerato una figura centrale nelle tensioni interne all’amministrazione Trump. Cfr. Politico, “Waltz’s Role in Trump’s Foreign Policy,” 20 febbraio 2025.

Trascrizione dell’intervento di Dan Caldwell al The Tucker Carlson Show

Ecco la trascrizione completa dell’intervista al consulente di politica pubblica Dan Caldwell al The Tucker Carlson Show, intitolata “Il Pentagono non ha licenziato Dan Caldwell per aver divulgato informazioni riservate. L’hanno licenziato perché si opponeva alla guerra con l’Iran”, in onda il 21 aprile 2025.

L’intervista inizia qui:

Tucker presenta Dan Caldwell

TUCKER CARLSON: Dan Caldwell è un veterano del Corpo dei Marines che fino a tre giorni fa era consigliere del Segretario alla Difesa Pete Hegseth in materia di politica militare. Era una delle voci più forti del governo Trump contro la guerra con l’Iran. E la sua motivazione era semplice. Non è nell’interesse dell’America, molti americani moriranno e miliardi saranno spesi per una guerra che non dobbiamo combattere. E come persona che ha combattuto in Iraq, è stato in grado di portare questo argomento all’attenzione dei vertici con una certa forza.

Tre giorni fa è stato licenziato dal Pentagono, ma non per le sue opinioni sull’Iran. No. Dan Caldwell è stato licenziato perché ai giornalisti è stato detto, in via ufficiosa, che aveva divulgato documenti riservati ai media. Ma quali erano esattamente questi documenti riservati? Beh, nessuno al Pentagono poteva saperlo, perché il telefono di Dan Caldwell non è mai stato esaminato, né gli è stato fatto il test della macchina della verità. Quindi, in realtà, dietro i titoli dei giornali non c’era altro che una falsa accusa.

Dan Caldwell è stato licenziato perché si opponeva alla spinta alla guerra con l’Iran? Decidete voi. Ecco Dan Caldwell.

C’è un’enorme pressione su questa amministrazione affinché partecipi all’azione militare contro l’Iran. E la posizione del presidente è stata, credo, molto chiara per molto tempo, ovvero che non vogliamo che l’Iran ottenga armi nucleari. Sarebbe un male per tutti. Sì, lo crede sinceramente. È contrario alla proliferazione. Credo che sia molto preoccupato per le armi nucleari in generale. Ma noi preferiremmo, preferiremmo fortemente una soluzione diplomatica. E lui viene attaccato da tutte le parti, anche da molte persone all’interno dell’amministrazione, in privato, che stanno cercando di spingerlo verso un’azione militare.

Lasciando da parte tutte le lotte intestine in corso, solo dal punto di vista pratico, cosa succederebbe se gli Stati Uniti partecipassero a un attacco militare contro i siti nucleari iraniani?

Il ruolo delle opzioni militari nella diplomazia

DAN CALDWELL: Credo fermamente che, affinché la diplomazia funzioni, sia necessaria un’opzione militare credibile.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E il presidente ne ha bisogno. Il Pentagono, dove lavoravo, deve fornirla. Questo è il loro ruolo nella politica estera americana: fornire quella leva affinché le soluzioni diplomatiche funzionino. Ora, è così che dovrebbe funzionare. Funziona spesso in questo modo? Purtroppo, gli ultimi 30 anni ci hanno dimostrato che in realtà non è così. Ma l’amministrazione Trump sta cercando di farlo funzionare come dovrebbe.

TUCKER CARLSON: Stiamo perseguendo la diplomazia con la leva di una potenziale azione militare.

DAN CALDWELL: Esatto. È così che dovrebbe funzionare. Ora, ci sono dei rischi. Si potrebbe creare un dilemma di sicurezza, una spirale. Quindi bisogna stare attenti. Ma questo è essenzialmente il motivo per cui esiste il Dipartimento della Difesa. Detto questo, ci sono ovviamente dei dettagli su cui non posso entrare. Ma penso che sia giusto dire che una guerra con l’Iran rischia di essere incredibilmente costosa in termini di vite umane, dollari e instabilità in Medio Oriente.

TUCKER CARLSON: Vite umane e dollari, vite americane, dollari americani.

Il vero costo della guerra con l’Iran

DAN CALDWELL: Le vite degli americani, degli iracheni, dei sauditi, degli iraniani, degli israeliani, degli emiratini, sì, degli israeliani e naturalmente degli iraniani. Potrebbe essere una guerra incredibilmente costosa. E penso che questo sia molto ovvio per chiunque abbia osservato la regione per un po’ di tempo. E penso che sia per questo che negli ultimi anni alcuni paesi della regione hanno cambiato alcune delle loro posizioni su come vogliono rapportarsi con l’Iran.

Ci sono molti paesi arabi del Golfo, ad esempio, che non considerano affatto l’Iran una forza benevola nella regione. Sono molto consapevoli delle minacce che potrebbe rappresentare, ma riconoscono anche che una guerra sarebbe estremamente costosa per loro. E quindi stanno cercando di adottare una posizione diversa. Questo è un riconoscimento da parte loro dei costi che potrebbe comportare una potenziale guerra totale con l’Iran.

E penso che il presidente e il vicepresidente lo sappiano, ed è per questo che stanno dando priorità alla diplomazia. E lasciatemi dire che, grazie a Dio, abbiamo Steve Witkoff nell’amministrazione. Sta davvero facendo il lavoro del Signore e sta cercando di fermare questa guerra attraverso la diplomazia e anche di porre fine a un’altra guerra in corso in Russia e Ucraina. E stanno facendo in modo che il suo impegno sia l’impegno principale, non quello militare, almeno per il momento.

Cambiamento di atteggiamento nei paesi del Golfo

TUCKER CARLSON: Per chi non ha seguito la questione, quando lei parla dei paesi del Golfo, ce ne sono sei, ma i due più grandi e più vicini agli Stati Uniti sono gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, che sono principalmente Stati sunniti governati da sunniti. Sono ostili all’Iran per una serie di ragioni diverse che risalgono a molto tempo fa. Le forze proxy dell’Iran nei paesi vicini sono numerose, ma sono state fondamentalmente nemiche dell’Iran o percepite come tali. Quindi si pensava che avrebbero appoggiato un’azione militare contro l’Iran. Ma lei sta dicendo che all’improvviso ci si è svegliati e ci si è resi conto che non è così.

DAN CALDWELL: Non vogliono una guerra su vasta scala in Medio Oriente in questo momento perché stanno cercando di sviluppare economicamente i loro paesi, perché stanno cercando di dare una vita migliore alla loro gente. Vale la pena notare che Khalid bin Salman, il ministro della Difesa saudita, era a Teheran, credo, pochi giorni fa, ed è il fratello di Mohammed Bin Salman, il principe ereditario.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E riconoscono pienamente la minaccia che l’Iran rappresenta e la prendono sul serio. Ma proprio come l’amministrazione Trump, stanno dando la priorità alla diplomazia nel tentativo di raggiungere una sorta di distensione. E questo non significa disarmarsi, unirsi e trasformare il Medio Oriente in una sorta di circo hippie. Significa che le persone riconoscono che non è nell’interesse di nessuno avere una guerra su vasta scala in Medio Oriente.

Il rischio di una guerra regionale su vasta scala

TUCKER CARLSON: Quindi l’idea che possa scoppiare una guerra su vasta scala è praticamente assente dai resoconti dei media americani. Quindi l’idea è che gli Stati Uniti, probabilmente in collaborazione con Israele, o viceversa, Israele in collaborazione con gli Stati Uniti, distruggerebbero, credo sei siti nucleari iraniani e questo sarebbe più o meno la fine, non si arriverebbe a una guerra su vasta scala. Insomma, non credo di aver mai letto alcun resoconto che suggerisca che potrebbe diventare una guerra su vasta scala. Ma lei sta dicendo che potrebbe.

DAN CALDWELL: Senti, nel momento in cui iniziano a volare bombe o proiettili, non si può mai dire con certezza cosa succederà esattamente. Ma penso che, dato che l’Iran è stato messo alle strette ed è indebolito, ha subito molti fallimenti nella regione. Credo che questo crei effettivamente un’opportunità per una diplomazia migliore e più intensa. Ma c’è chi sostiene che crei un’opportunità per ulteriori azioni militari.

E ancora una volta, forse è vero, ma tutto indica che qualsiasi tipo di attacco provocherebbe probabilmente una guerra su vasta scala in Medio Oriente. E ancora una volta, non entrerò nei dettagli di ciò che ciò potrebbe comportare, ma questo è il probabile esito di qualsiasi serie di attacchi prolungati contro alcune parti dell’Iran.

Gli americani a rischio nella regione

TUCKER CARLSON: L’altro giorno ho visto un grafico che mostrava il numero di installazioni militari statunitensi in quella regione intorno al Golfo Persico-Arabico. Non so se fosse un elenco completo, ma ce ne sono molte e le informazioni sono di dominio pubblico. Ci sono molti militari americani di stanza in quella regione e in diversi luoghi. In alcuni luoghi non sono molti. Non sono basi enormi e ben difese. Sembrano piccole basi, anche in Iraq e Siria. Ma altre, voglio dire, perché quelle persone non dovrebbero essere a rischio?

DAN CALDWELL: Non si tratta solo dei militari. Si tratta dei diplomatici nelle grandi ambasciate in luoghi come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait. In alcuni luoghi ci sono anche familiari che vivono in Medio Oriente. Quindi non sono solo i militari ad essere a rischio. Sono i dipendenti del governo americano, principalmente il personale diplomatico. Sono anche molti i lavoratori americani nella regione, che lavorano nell’industria petrolifera, nell’industria finanziaria. Ci sono molti americani che sarebbero a rischio, non solo i militari. E questo è, ancora una volta, qualcosa che, come lei sottolinea molto bene, viene spesso trascurato in qualsiasi discussione sull’azione militare.

Il rischio per la sicurezza interna

TUCKER CARLSON: Beh, non viene nemmeno menzionato. Non viene nemmeno menzionato. La minaccia alla vita degli americani non viene nemmeno menzionata. E questo, ovviamente, senza nemmeno considerare il potenziale terrorismo. Voglio dire, l’11 settembre è successo perché gli estremisti non erano d’accordo con la politica estera americana. Lo hanno ripetuto più e più volte. Dovremmo ignorarlo e pensare che l’hanno fatto perché odiavano la nostra libertà. Quello che hanno fatto è stato malvagio. Ovviamente non lo giustifico in alcun modo, ma hanno detto perché l’hanno fatto. Non siamo d’accordo con quello che state facendo. E hanno attaccato il territorio degli Stati Uniti e ucciso 3.000 americani. Quindi, voglio dire, c’è da preoccuparsi, visto quanti iraniani sono entrati illegalmente nel Paese sotto l’amministrazione Biden, che probabilmente ci sono agenti del governo iraniano qui e che potrebbero esserci atti di terrorismo se lo facessimo.

Come gli errori della politica estera del passato hanno portato alle sfide attuali

DAN CALDWELL: Voglio dire, questo è un rischio che si corre con qualsiasi operazione militare all’estero. Penso che questo sia un altro motivo per cui dobbiamo prendere più sul serio la difesa e la sicurezza interna. Ma sì, è un rischio reale.

Tornando al paragone con l’11 settembre, direi che una serie di errori nella politica estera e nella politica di sicurezza americana hanno spianato la strada all’11 settembre. Mi riferisco all’incapacità dell’FBI e della CIA di collaborare, alla decisione di finanziare, attraverso nazioni amiche, alcuni gruppi per consentire la crescita di determinate forze per combattere il comunismo, che all’epoca era probabilmente la decisione giusta vista la minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica. Ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

E uno dei motivi per cui ci troviamo nella situazione in cui siamo in Medio Oriente con l’Iran è, dobbiamo essere onesti, la guerra in Iraq. Saddam Hussein era un freno all’Iran, in quanto costringeva l’Iran a dedicare risorse per scoraggiare l’Iraq, che ora l’Iran non ha bisogno di impiegare per scoraggiare l’Iraq in modo convenzionale o attraverso i propri proxy. Ora possono investire quei soldi in gruppi come Hezbollah, gli Houthi e anche dedicare più risorse al loro programma missilistico e potenzialmente anche al loro programma nucleare.

Questo è, secondo me, uno degli aspetti che non si può trascurare quando si discute di politica estera e che troppo pochi affrontano: come siamo arrivati a questo punto? È come se la gente non volesse parlare di come siamo arrivati alla situazione attuale in Ucraina. Sai, l’espansione della NATO ha giocato un ruolo importante in questo. Sai, 30 anni di politica estera americana fallimentare nei confronti dell’Europa orientale. Il sostegno a certe rivoluzioni, il sostegno a certe figure politiche.

C’erano persone intelligenti, da George Kennan fino all’ex direttore della CIA, Bill Burns, che la pensasse come pensasse, che avevano avvertito che sarebbe successo. E ancora una volta, queste decisioni che prendiamo in un determinato momento, molto concentrate su una cosa, hanno conseguenze di secondo e terzo ordine che a volte sono molto facili da vedere, che sono abbastanza ovvie. Se qualcuno avesse avuto una minima comprensione della regione e delle dinamiche di potere nella regione nel 2003, lo avrebbe saputo. Cavolo. Rimuovere Saddam Hussein, per quanto terribile fosse, avrebbe inevitabilmente avvantaggiato l’Iran. Non se ne è quasi parlato nel periodo precedente al…

TUCKER CARLSON: Beh, no, io ero nel Paese quando è successo tutto questo e non ne sapevo nulla, ma mi sembrava ovvio. Se hai un Paese a maggioranza sciita e imponi la democrazia, qualunque cosa essa sia, a quel Paese e all’improvviso ti ritrovi con un governo sciita, è probabile che si allinei con l’Iran. Giusto. È passato dall’essere un baluardo contro l’Iran a un alleato dell’Iran, cosa che rimane, credo, di fatto.

DAN CALDWELL: Il governo iracheno è di fatto un proxy iraniano.

TUCKER CARLSON: Ok, ma perché farlo? Io non lo capisco. Voglio dire, era questo? Stiamo andando troppo lontano, ma è direttamente rilevante per ciò che sta accadendo in questo momento. Sì, anche io, che sono un giornalista di 35 anni, potevo capire che avrebbe avuto questo effetto. Perché i geni responsabili della nostra politica non ci hanno pensato? O forse ci hanno pensato. Forse c’era qualcuno più grande che…

Le capacità militari dell’Iran

DAN CALDWELL: Potrebbe essere una conversazione di tre ore. Penso che ci siano molte ragioni per cui abbiamo invaso l’Iraq, nessuna delle quali valida. Ma l’unica cosa che va riconosciuta è che anche prima dell’11 settembre c’era un tentativo di creare le condizioni affinché gli Stati Uniti potessero invadere l’Iraq. Pensavano che rovesciando Saddam si sarebbe scatenata una pace e una democrazia in tutto il Medio Oriente, cosa che precedeva l’11 settembre.

C’erano iniziative come il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, c’era Paul Wolfowitz alla fine dell’amministrazione Bush, molto arrabbiato perché George H.W. Bush non era arrivato fino a Baghdad. E poi c’era questo momento post-guerra fredda in cui gli Stati Uniti non erano semplicemente una superpotenza, erano una iperpotenza e non c’era nessuno che potesse sfidarci efficacemente.

La Russia era un disastro. La Cina era ancora in ascesa, alcuni potevano prevedere cosa stava per succedere, ma l’ipotesi era che, una volta entrati nell’OMC e instaurato il libero scambio, la Cina sarebbe diventata una democrazia. E quando non hai nessuno al mondo che possa sfidarti o controllarti efficacemente, questo può creare condizioni politiche interne che portano la gente a pensare che non ci saranno conseguenze per la politica estera americana.

Penso anche che la nostra esperienza nei Balcani e il modo in cui sono andate quelle guerre abbiano convinto gran parte dell’establishment americano della sicurezza che avremmo potuto affrontare l’Iraq in modo piuttosto economico e rapido e che non sarebbe stato un grosso problema. Lo si è visto molto nei primi giorni della guerra in Iraq. La gente gongolava, pensava che una volta abbattuta la statua di Saddam in piazza Firdos, che tra l’altro è stata abbattuta dai marines della 1ª Divisione, saremmo usciti abbastanza rapidamente. E la storia ha dimostrato che non è stato così.

TUCKER CARLSON: No, certamente no. Beh, qualunque fosse il motivo, le azioni del governo statunitense sotto George W. Bush hanno notevolmente rafforzato l’Iran. Hanno rimosso il principale baluardo contro la loro espansione e liberato un sacco di denaro, come hai appena detto. Quindi eccoci qui. Stiamo affrontando un’enorme pressione per entrare in guerra con un Paese che non è l’Iraq, che in realtà è più potente dell’Iraq. Molte di queste informazioni sono di dominio pubblico, ma per quanto ne so stai facendo del tuo meglio per non rivelare nulla di riservato, ma per quanto puoi caratterizzarlo utilizzando informazioni disponibili pubblicamente. Qual è l’attuale forza dell’Iran, secondo te, come potenza militare?

DAN CALDWELL: Ripeto, sono chiaramente in difficoltà. Chiunque abbia seguito ciò che è successo loro nella regione negli ultimi sette, otto mesi può rendersene conto. Sì, Hezbollah ha subito sconfitte significative. L’Iran ha perso quello che era probabilmente il suo alleato più stretto nella regione, Bashar Al-Assad, e ha perso un importante canale di approvvigionamento di armi e rifornimenti per il Libano, il che limita la sua capacità di aiutare Hezbollah a ricostruirsi.

Ha subito alcune battute d’arresto a causa dei primi attacchi aerei israeliani alla fine dello scorso anno. E vorrei chiarire che si è trattato di attacchi molto limitati e mirati. La risposta iraniana era stata effettivamente preannunciata. E, ancora una volta, non ho alcuna informazione al riguardo, ma sembra che gli israeliani sapessero che sarebbe arrivata. Erano preparati. Avevano il sostegno degli Stati Uniti per respingerla.

TUCKER CARLSON: A me è sembrato simbolico.

DAN CALDWELL: Sì, così sembra. Quindi, ribadisco, non possiamo negare che abbiano subito alcune battute d’arresto significative. Tuttavia, conservano ancora notevoli capacità militari convenzionali, una forza missilistica efficace, dispongono di proxy efficaci in Iraq e hanno un programma di droni molto efficace.

Penso che la forza missilistica iraniana, più ancora di un potenziale programma nucleare, sia la garanzia ultima della sopravvivenza del regime e della nazione. E questo ci riporta alla loro esperienza nella guerra Iran-Iraq, quando Saddam Hussein, a volte con il sostegno indiretto o diretto degli Stati Uniti, utilizzava i suoi missili Scud e i bombardieri Tupolev per bombardare e attaccare efficacemente le città iraniane. Gli iraniani non avevano una difesa efficace contro di loro, né un modo efficace per contrattaccare l’Iraq.

Riuscirono a procurarsi alcuni missili Scud dalla Libia e da altre fonti. È una storia interessante. Gheddafi e Saddam avevano questo tipo di rivalità, quindi la Libia, pur essendo uno Stato arabo, laico e socialista, un po’ come l’Iraq, finì per appoggiare l’Iran, ma non fu mai in grado di eguagliare le capacità di attacco a lungo raggio dell’Iraq. Questo è uno dei motivi principali per cui hanno investito così tanto nello sviluppo di missili, droni, missili da crociera e cose simili in grado di colpire tutta la regione. E questa è la vera minaccia.

La vera minaccia iraniana

TUCKER CARLSON: Le armi convenzionali iraniane, i missili, giusto?

DAN CALDWELL: Al momento sì.

TUCKER CARLSON: Giusto. Quindi, quando sentiamo dire che sono indeboliti, ci riferiamo principalmente alle loro difese aeree.

DAN CALDWELL: Non mi addentrerò necessariamente in questo argomento. Ma parte delle loro capacità convenzionali sono state indebolite, ma non sconfitte, e conservano ancora capacità significative.

TUCKER CARLSON: Mi sembra che chi ha riflettuto a lungo su questo argomento sia giunto alla conclusione che se partecipassimo a un attacco contro i loro impianti nucleari, morirebbero molti americani.

DAN CALDWELL: C’è una possibilità concreta che ciò accada. Come si dice in gergo militare, nessun piano sopravvive al primo contatto. E in gran parte è vero che nessuna ipotesi sopravvive al primo contatto. Ma c’è comunque un rischio significativo che ciò accada. E penso sia giusto dire che questo sta pesando nelle valutazioni di molte persone all’interno dell’amministrazione.

TUCKER CARLSON: Quindi il punto nevralgico per gran parte del commercio mondiale di petrolio è proprio la parte finale, il terminale dell’ingresso nel Golfo Arabico, nel Golfo Persico, nello Stretto di Hormuz, come è noto. E lei pensa che l’Iran sia in grado di chiuderlo?

DAN CALDWELL: Penso che sia un rischio reale, se non quello di ridurre in modo significativo la capacità di trasportare energia attraverso quella via marittima vitale.

TUCKER CARLSON: Cosa succederebbe ai prezzi globali del petrolio?

DAN CALDWELL: Ci sarebbe un aumento catastrofico. Ora, col tempo, il mercato del petrolio potrebbe sicuramente risolversi da solo. Ci sarebbe una maggiore produzione qui a livello nazionale e altrove. Il petrolio è fungibile, ma inizialmente avrebbe un impatto piuttosto catastrofico sui mercati petroliferi globali in un momento in cui gli Stati Uniti stanno affrontando alcune difficoltà economiche.

La coalizione globale contro gli Stati Uniti

TUCKER CARLSON: Quindi si potrebbe assistere a una catastrofe sia sotto forma di una potenziale depressione globale che di morte di molti americani in quella regione e qui, a seguito di una guerra con l’Iran. Il terzo punto che non credo sia mai stato menzionato in nessuno dei resoconti che ho letto su questi piani per bombardare l’Iran e liberarlo dal suo programma nucleare è il fatto che l’Iran fa ora parte di una coalizione globale di grandi paesi che si oppongono a noi.

DAN CALDWELL: Ora, vedi, questo è molto interessante, Tucker. Perché fanno parte di quella coalizione? È a causa della nostra stupidità che costringiamo questi paesi, che non hanno interessi naturalmente allineati, a unirsi. L’Iran è una teocrazia sciita. La Russia è un paese autoritario governato da Vladimir Putin e da un gruppo di oligarchi. La Cina è uno Stato quasi comunista e quasi capitalista. La Corea del Nord è uno degli ultimi veri paesi comunisti autoritari sulla faccia della terra.

Molti di questi paesi dovrebbero avere tensioni naturali. E ci sono stati momenti nel dopoguerra fredda in cui un paese come la Russia era disposto a fare cose come non vendere armi all’Iran perché non voleva causare instabilità in Medio Oriente. Inoltre, nonostante abbia sostenuto alcuni nemici di Israele, la Russia ha sempre avuto buoni rapporti con questo Paese.

Così gli israeliani, insieme agli Stati Uniti, sono riusciti a convincere i russi in momenti cruciali a non vendere armi all’Iran o a non compiere determinate azioni. E così, mentre si avvicinavano, c’erano ancora delle divergenze tra loro. E siamo onesti, la Russia ha avuto problemi significativi con il radicalismo islamico nel proprio Paese. E non vuole sostenere un regime che in passato ha sostenuto i radicali islamici, sia sunniti che sciiti, in tutto il Medio Oriente e in altre parti del mondo.

Perché sono stati spinti l’uno verso l’altro? Beh, perché abbiamo adottato questa mentalità di autarchia contro democrazia. E ancora una volta, prima non era ben definito, ma abbiamo iniziato a raggruppare questi paesi. Ecco un ottimo esempio: l’Asse del Male. Quando hanno detto che esisteva questo asse del male composto da Iran, Iraq e Corea del Nord, ne abbiamo semplicemente parlato. L’Iran e l’Iraq si odiavano. Erano nemici naturali. E tra l’altro, la Corea del Nord, cosa…

TUCKER CARLSON: Cosa c’entra la Corea del Nord?

DAN CALDWELL: Ecco una cosa interessante. L’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord hanno interrotto le relazioni durante la guerra Iran-Iraq perché erano molto vicini agli iraniani. E sembra che i nordcoreani abbiano fregato gli iracheni negli anni ’90. Non è stato confermato, ma potrebbero averli fregati quando i nordcoreani hanno offerto loro di vendere loro delle armi. E i nordcoreani sono piuttosto famosi per questo. Hanno preso i soldi e hanno detto: “Sì, non possiamo darveli”.

In realtà ci hanno provato una volta all’inizio degli anni ’90 – ancora una volta, non posso dire se questa storia sia vera, ma l’ho letta su un blog militare – hanno cercato di pagare alcune attrezzature militari russe con parti di auto usate.

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Russia e Cina sono due paesi con antagonismi storici. Hanno un confine comune per cui hanno combattuto guerre durante il periodo sovietico. I cinesi considerano la Siberia e le sue risorse come proprie. La sua popolazione, non credo stia crescendo in questo momento perché hanno ucciso 100 milioni di bambine. Ma questa è un’area con risorse di cui hanno bisogno e che è stata oggetto di conflitti in passato.

Ci dovrebbe essere tensione tra questi due paesi. Ma la nostra politica estera di metterli tutti nello stesso calderone, sanzionarli, trattarli come un fronte unito, ha in qualche modo voluto…

TUCKER CARLSON: L’ha reso reale, li ha resi un fronte unito.

DAN CALDWELL: Sì. E non dovrebbe essere così. Dovremmo essere in grado di separarli perché hanno interessi che non coincidono. Dovremmo essere in grado di lavorare di più con i russi. E spero che se Steve Witkoff avrà successo e altri membri dell’amministrazione – ci sono molte persone in gamba nell’amministrazione che stanno lavorando sulla Russia e sull’Ucraina in questo momento – se avranno successo, forse potremo arrivare a un punto migliore con la Russia e loro potranno aiutarci con l’Iran.

Incompetenza o malizia?

TUCKER CARLSON: Mi permetta di interromperla. Tutto quello che sta dicendo è, tra l’altro, di dominio pubblico. Non sta facendo supposizioni. È ovvio. Nessuna persona onesta lo negherebbe. E queste politiche sono così folli che sembrano quasi formulate da persone che stanno cercando di affondare gli Stati Uniti. Sono politiche ostili agli interessi americani, non indifferenti.

DAN CALDWELL: Sai, penso che forse sia una possibilità. Ma più ho interagito con alcune di queste persone e le ho viste da vicino, più mi sembra di aver dato loro troppo credito.

TUCKER CARLSON: Voglio dire, non attribuire mai alla cospirazione ciò che può essere spiegato con la stupidità. È questo che stai dicendo?

DAN CALDWELL: Ci sono sicuramente forze malvagie in gioco, ma gran parte di questo è stupidità e pigrizia. Nel mio breve periodo al Pentagono, come con l’Ucraina, molte persone al Pentagono volevano continuare a fare quello che stavamo facendo in Ucraina. Alcuni di loro avevano davvero un impegno ideologico nei confronti del progetto ucraino. Penso che molti degli ufficiali…

TUCKER CARLSON: Un’Europa orientale più transgender.

DAN CALDWELL: Sai, Zelensky come salvatore del liberalismo globale.

TUCKER CARLSON: La guerra contro il cristianesimo. Ci sono tutti dentro. Sì.

Il punto di vista del Pentagono sull’Ucraina

DAN CALDWELL: Quindi penso che, data la loro esperienza, in un certo senso si possa in qualche modo simpatizzare con loro, perché hanno simpatizzato con l’Ucraina. Ma ho visto molto, e molto era dovuto al fatto che è più facile dire che dovremmo continuare a fare quello che stiamo facendo piuttosto che ammettere che abbiamo sbagliato e pensare a un modo diverso di fare le cose. Penso che più che l’ideologia, e l’ideologia gioca un ruolo importante, sia la convinzione che l’America debba essere l’egemone globale per imporre l’egemonia liberale. Ma in realtà per molte persone, e penso che lo stesso valga per il Dipartimento di Stato, è più facile dire di no. È semplicemente più facile dire di no.

TUCKER CARLSON: Lo credo anch’io. Ho trascorso molto tempo a contatto con la burocrazia. Penso che sia vero. È proprio come un principio della fisica. Gli oggetti in movimento tendono a rimanere tali. Ne sono completamente convinto. Ma guardando il quadro generale, allargando un po’ lo sguardo. Un’altra guerra in Medio Oriente. Penso che la stragrande maggioranza degli americani e sicuramente la stragrande maggioranza degli elettori di Trump stiano dicendo: “Aspettate un attimo. No”. Infatti, il presidente è stato eletto in gran parte grazie alla promessa di non coinvolgerci in un’altra guerra senza fine. Quindi sono davvero colpito, ma tu sei l’esperto, dalla pressione esercitata sull’amministrazione affinché lo faccia, affinché ci coinvolga in un’altra guerra in Medio Oriente. L’hai percepita?

La spinta alla guerra con l’Iran

DAN CALDWELL: Penso che ci sia chiaramente una coalizione molto forte all’interno degli Stati Uniti che vuole che ci sia un’altra guerra in Medio Oriente. E questo va oltre i partiti, solo per precisare. Ne ho scritto su Foreign Affairs con un mio amico, Reed Smith.

Durante la campagna elettorale, i democratici hanno attaccato Trump per essere troppo conciliante con l’Iran. E lo hanno attaccato per non aver fatto di più dopo l’uccisione di Soleimani, per non aver fatto di più dopo alcuni attacchi con droni iraniani contro l’Arabia Saudita nel 2019. Lo hanno accusato di essere troppo debole con l’Iran. E il Partito Democratico ha tirato fuori Liz Cheney, tra tutti, e con l’appoggio di suo padre lei è andata negli Stati chiave, parlando dell’importanza di rimanere, cito, forti in Medio Oriente e di continuare a finanziare una guerra impossibile da vincere in Ucraina. E questa è stata la posizione che hanno adottato.

Quindi è qualcosa che va oltre il tradizionale modo di pensare alla politica estera americana, basato sulla contrapposizione tra destra e sinistra, che è nato alla fine della Guerra Fredda o anche prima. In realtà è antecedente alla fine della Guerra Fredda. Risale alla Guerra Fredda, quando, nell’era post-Vietnam, i Democratici erano i pacifisti e i Repubblicani i falchi. È qualcosa che va davvero oltre. E c’è questo movimento trasversale che vuole mantenere l’America impegnata nel mondo. E penso che sia positivo per l’America essere impegnata nel mondo, ma impegnata in modo che il suo obiettivo primario non sia quello di proteggere gli interessi americani o la sicurezza o le condizioni di prosperità americana, ma quello di garantire che l’America imponga l’egemonia liberale.

Tornando all’Iran, ci sono molte ragioni per cui la gente vuole la guerra con l’Iran. Penso che, in fin dei conti, molte persone credono ancora che sia possibile portare a termine con successo guerre di cambio di regime in Medio Oriente.

TUCKER CARLSON: Guerre di cambio di regime. Pensavo che si trattasse solo di eliminare una mezza dozzina di siti nucleari iraniani perché non vogliamo che l’Iran abbia armi nucleari.

Il vero obiettivo: il cambio di regime

DAN CALDWELL: Beh, penso che Donald Trump li abbia smascherati perché in sostanza sono alcuni dei più grandi sostenitori della guerra con l’Iran, che si tratti di gruppi come la Foundation for Defense and Democracy o di scrittori di certe testate. In sostanza, stanno dicendo che il problema della diplomazia è che non porta al cambio di regime, che la politica dovrebbe essere il cambio di regime. È quasi come se la questione nucleare servisse in realtà a creare un percorso verso il cambio di regime. E in realtà si torna sempre a questa idea che molti di loro credono profondamente, e alcuni lo dicono apertamente, che avremmo potuto avere successo in Iraq. E invece l’Iraq è un disastro. È un caos assoluto.

TUCKER CARLSON: Beh, è un proxy dell’Iran.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: Il Paese che odiano.

DAN CALDWELL: Vorrei solo fare una precisazione. Le forze più letali in Medio Oriente. Le forze che rappresentano il rischio maggiore per le forze armate statunitensi sono le Forze di Mobilitazione Popolare in Iraq. Si tratta di un braccio armato ufficiale del governo iracheno che abbiamo creato dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, che finanziamo con aiuti e le cui truppe continuiamo ad addestrare con un paio di migliaia di soldati ancora presenti in Iraq.

Quindi le truppe americane in Iraq in questo momento vengono attaccate da persone che fanno parte dello stesso governo che le truppe americane stanno aiutando a sostenere e le cui forze di sicurezza stanno aiutando ad addestrare. È la missione di politica estera più controproducente e folle del mondo in questo momento. E spero che l’amministrazione apporti dei cambiamenti in tal senso. Ma è così che stanno le cose.

TUCKER CARLSON: Voglio dire, negli ultimi, non so, 22 anni, 24 anni, credo, dall’11 settembre. Incredibile. Il nostro record con il cambio di regime in Medio Oriente è stato del 100% di fallimenti.

DAN CALDWELL: Sì. E se vai in Libia, vai in Siria.

TUCKER CARLSON: Sì, ma fallimenti a tutti i livelli.

DAN CALDWELL: Nemmeno lo Yemen. Puoi includere lo Yemen perché abbiamo sostenuto il vecchio governo prima che crollasse e lo Yemen precipitasse in una guerra civile.

Il disastroso bilancio dei cambiamenti di regime

TUCKER CARLSON: Non ha reso gli Stati Uniti più sicuri o più ricchi. A proposito, direi che non ha nemmeno reso più sicuri i nostri alleati, per quanto lo desiderassero. Non è stato un bene nemmeno per loro, per quanto posso vedere. Ed è stato un disastro per milioni di persone, esseri umani in quei paesi. Ma soprattutto non ha aiutato gli Stati Uniti. Quindi come potete, con la faccia seria, sostenere un’altra guerra di cambio di regime contro un paese reale che non è la Libia, non è l’Iraq, è l’Iran, è l’Impero Persiano? Come potete dirlo ad alta voce? Lo stanno davvero dicendo ad alta voce?

DAN CALDWELL: Sì. Alcuni lo dicono ad alta voce. Sì. Pensano che il figlio dello Scià sia riapparso. Secondo me questo tizio è il figlio più fallito che esista. E poi ci sono gruppi come il MEK, i Mujaheddin del Popolo Iraniano, che pagano molti politici americani per difenderli e sostenere un cambio di regime. In sostanza stanno dicendo: “Ehi, abbiamo dei governi in attesa che possono semplicemente piombare lì e tutto andrà bene se vi liberate dei mullah”. Dove l’abbiamo già sentita questa?

TUCKER CARLSON: Sai, è difficile credere che sia tutto vero.

DAN CALDWELL: So che lo è.

TUCKER CARLSON: È difficile da credere, ignorando i fatti più evidenti degli ultimi 30 anni.

DAN CALDWELL: Si torna a quello che dicevo riguardo a ciò che ho osservato al Pentagono. Penso che sia più facile sostenere sempre le stesse cose piuttosto che dire che dovremmo fare qualcosa di diverso.

Pressioni del Congresso per la guerra

TUCKER CARLSON: Cosa ne pensi del senatore? Forse hai un’esperienza diversa, ma io sento continuamente parlare dei senatori repubblicani. Sono sicuro che ci siano anche democratici, ma sento parlare dei repubblicani, Lindsey Graham è il più evidente, ma molti altri esercitano costantemente pressioni sull’amministrazione affinché intraprenda una guerra di regime change contro l’Iran. Non confermerò i tuoi candidati. Faremo pressioni, intendo dire minacce, minacce all’amministrazione Trump per costringerla a condurre una guerra di regime change contro l’Iran. Quale potrebbe essere il loro motivo? Qual è?

DAN CALDWELL: Guarda lì? Penso, e ne ho già parlato in passato, che a Washington D.C. ci sia una disconnessione tra i repubblicani eletti, ad eccezione di quelli attualmente alla Casa Bianca, e la base, ovvero ciò che la base crede realmente in materia di politica estera. E quindi la base non vuole nuove guerre, proprio come gli elettori.

TUCKER CARLSON: Stai parlando delle persone che li hanno messi lì.

Il divario tra elettori e politici

DAN CALDWELL: E più volte abbiamo visto la maggioranza degli elettori repubblicani in molte di queste primarie dire che volevano meno guerre. In molti casi i repubblicani erano ora meno bellicosi nel complesso. E, sai, i sondaggi non raccontano sempre tutta la storia, ma si è visto che in generale gli elettori democratici stanno diventando più bellicosi, soprattutto a causa dell’Ucraina, mentre gli elettori repubblicani e indipendenti stanno diventando sempre più diffidenti nei confronti delle guerre all’estero.

Tuttavia, poiché la politica estera spesso non è una questione di primaria importanza per molti elettori, non rientra tra le loro tre priorità principali. Molti repubblicani e democratici riescono a farsi eleggere nonostante abbiano un pessimo curriculum in materia di politica estera. Ora ci sono elezioni in cui questo fa la differenza. Nel 2016, ad esempio, ci sono prove concrete che il fatto che Donald Trump fosse considerato meno aggressivo di Hillary Clinton ha giocato un ruolo decisivo nella sua vittoria in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, contee che sono passate da Obama a Trump e che avevano livelli più alti di quello che si definisce sacrificio militare, ovvero soldati schierati, feriti o uccisi, rispetto ad alcune contee adiacenti. Questo ha probabilmente contribuito sia alla sua vittoria del 2016 che, forse, a quella del 2024.

Ora, ho dei cari amici che sono molto più esperti di me in materia di sondaggi e scienze sociali, e potrebbero non essere d’accordo con me. Ma ci sono stati momenti in cui gli incentivi politici erano effettivamente quelli di essere meno aggressivi, ma questo non si è visto nella maggior parte delle elezioni. Quindi ci sono molti leader repubblicani, in particolare, che sono semplicemente scollegati dalla base.

Ora, penso che la buona notizia sia che si sta iniziando a vedere un cambiamento, e lo si è visto con gli aiuti all’Ucraina, dove penso che l’ultimo voto importante sugli aiuti all’Ucraina, e potrebbe effettivamente essere l’ultimo voto importante sugli aiuti all’Ucraina di sempre, abbia visto più della metà dei repubblicani al Senato votare contro e più della metà del Senato, o, mi scusi, dei membri della Camera votare contro. E questo è passato da soli sei repubblicani che hanno votato contro il primo grande pacchetto di aiuti all’Ucraina nel 2022 e solo 40 repubblicani alla Camera, ad oggi circa 26, 27 senatori e poi quasi 110, 113, più o meno in quel range, repubblicani alla Camera che hanno votato contro. Quindi hai visto dei cambiamenti e sicuramente i repubblicani eletti dal 2018 sia alla Camera che al Senato sono molto meno falchi di quelli eletti prima di loro. Questo è indiscutibile.

TUCKER CARLSON: Beh, non ha funzionato. Non ha funzionato. E non credo che chiunque metta al primo posto gli interessi degli Stati Uniti possa davvero arrivare a un altro cambio di regime, a una guerra in Iran. È quasi una prova evidente che non si stanno mettendo al primo posto gli interessi del proprio Paese. È così che la vedo io. Forse sono troppo severo.

Politica estera America First

DAN CALDWELL: No. E penso che questo ci riporti a una semplice convinzione su quale sia lo scopo della politica estera americana. Credo, e penso che il presidente Trump, il vicepresidente Vance, credo persino il segretario Rubio, il segretario Hagseff e altri membri dell’amministrazione credano fondamentalmente che lo scopo della politica estera americana sia garantire la sicurezza americana e le condizioni della nostra prosperità.

Questo non significa che garantiremo una crescita del PIL del 3%. Sono le cose che ci permettono di essere prosperi. Quindi, ad esempio, dare priorità alla difesa del Canale di Panama rispetto alla questione irrilevante di quale oligarca dell’Europa orientale possa saccheggiare il Donbas come credono loro. Credono che questo sia più importante perché il Canale di Panama è indiscutibilmente più importante per noi di chi controlla il Donbas o chi controlla un pezzo di deserto desolato in Medio Oriente.

TUCKER CARLSON: Ben detto. Beh, finalmente è arrivata la Pasqua, e non c’è modo migliore per ricordare la storia di Gesù Cristo. Morire per i propri peccati è la cosa più potente che sia mai accaduta nella storia. È davvero l’inizio della storia e vale la pena celebrarlo. La Pasqua ha abbracciato la libertà della resurrezione su Hallow, l’app di preghiera numero uno al mondo. Unisciti a Liz Tabish, che interpreta Maria Maddalena nella serie Chosen, all’attore Kevin James e ad altri in un’esperienza di preghiera coinvolgente e gioiosa, degna della Pasqua stessa. Ogni singolo giorno imparerai a camminare in libertà nonostante le circostanze, spesso opprimenti, della tua vita quotidiana e a lasciar andare le cose a cui sei attaccato e che ti causano sofferenza. E invece abbraccia la pace e la libertà che derivano dal riporre la tua fiducia in Dio, l’unico posto in cui riporre la tua fiducia. Entra quindi nella gioia della Pasqua con una breve preghiera, una riflessione, una meditazione ogni singolo giorno che ti aiuteranno a continuare le abitudini che cambieranno tutto, quelle che stabilisci durante la Quaresima. Noi qui amiamo Hallow. Amiamo l’app. Sappiamo che piacerà anche a te. Contiene migliaia di preghiere, meditazioni, musica, ti aiuta a costruire un’abitudine quotidiana di preghiera e ad avvicinarti a Dio. Scaricate Hallow oggi stesso su hallow.com/Tucker. Avrete tre mesi gratis. Ne sarete sinceramente grati. Lo sarete. Come sei stato coinvolto in tutto questo? Qual è la tua storia? E posso dire che avrei dovuto chiedertelo nel saggio. Qual era la tua… Hai lasciato il Pentagono in circostanze di cui spero potremo parlare. Cosa facevi quando te ne sei andato?

Il ruolo di Dan Caldwell al Pentagono

DAN CALDWELL: Ero un consulente senior del Segretario alla Difesa. Mi occupavo di politica. Ero il consulente senior dell’ufficio politico. Il mio lavoro quotidiano consisteva nel consigliare il segretario in materia di politica, assicurarmi che fosse preparato per le riunioni, assicurarmi che fosse preparato per determinati discorsi e colloqui e fornirgli consulenza politica quando necessario.

Avevamo un team politico molto competente. Il sottosegretario alla Difesa per le politiche è appena stato confermato. Grazie a Dio. Bridge Colby sta facendo un ottimo lavoro. Al Pentagono è necessario avere qualcuno nell’ufficio di presidenza che sia in grado di collegare efficacemente il segretario alle politiche. E la politica ha così tanti compiti e così tante cose su cui concentrarsi che è necessario qualcuno in prima linea che possa aiutare, che sia un consulente politico immediato in grado di entrare e parlare subito con il segretario.

TUCKER CARLSON: Giusto. Ok. È questo il lavoro che sognavi da bambino? Come sei finito qui?

Infanzia e servizio militare

DAN CALDWELL: Sai, è buffo, una parte di me non voleva nemmeno andare al Pentagono. Non era necessariamente qualcosa che sognavo. Voglio dire, penso che il mio primo lavoro fosse quello che mi appassionava davvero, come molti ragazzini: il pompiere.

TUCKER CARLSON: Dove sei cresciuto?

DAN CALDWELL: Sono cresciuto… Sono nato in California, ho vissuto per un po’ in Massachusetts, ma la mia casa è a Scottsdale, in Arizona. È lì che considero casa mia. I miei figli sono nati lì. I miei genitori vivono ancora lì. Mia nonna vive ancora lì. Ho ancora molti familiari lì, e quella sarà sempre casa mia.

TUCKER CARLSON: Quindi come hai… Eri nell’esercito?

DAN CALDWELL: Sì, nel Corpo dei Marines.

TUCKER CARLSON: Eri nei Marines? Come sei finito lì?

DAN CALDWELL: Ho frequentato una scuola gesuita per soli ragazzi. Gli ultimi due anni sono stati molto intensi. L’aspettativa era che tutti andassero all’università. Alla fine del liceo, però, non volevo più studiare. Non volevo andare all’università, ma era una cosa che dovevo fare.

Così mi sono trascinato a Tucson per frequentare l’Università dell’Arizona. E, sinceramente, ero infelice. Non avevo alcuna motivazione per andare a lezione o fare qualsiasi cosa, odiavo la mia vita. Poi un giorno, il mio migliore amico, un caro amico che amo da morire, James O’Connor. Era un mio compagno di liceo. Aveva lasciato l’Arizona State University e si era arruolato nell’esercito come paracadutista, come suo padre, ed era stato assegnato alla 101ª divisione come membro dell’unità Pathfinder.

È andato in Iraq nell’autunno del 2005. Ricordo che mi mandò un messaggio su AOL Instant Messenger dicendo: “La mia squadra è stata quasi colpita da un ordigno esplosivo improvvisato”. E io pensai: “Cosa ci faccio qui? Devo andare a combattere”. Da bambino ero molto interessato alla storia militare. E mio nonno, che è molto importante per me, era un paracadutista. Ma io ero ossessionato dal Corpo dei Marines. Mi fece leggere due libri. The Nightingale Song, che parla di…

TUCKER CARLSON: Un libro fantastico.

DAN CALDWELL: È un libro fantastico. Onestamente, lo rileggo ogni due anni.

TUCKER CARLSON: E lui ha pubblicato… Credo che sia morto ormai, era un giornalista del Baltimore Sun, ma ha pubblicato una versione più lunga, una sorta di versione integrale, che è fantastica.

DAN CALDWELL: E poi mi ha fatto leggere Fields of Fire di Jim Webb.

TUCKER CARLSON: Oh, mio Dio.

DAN CALDWELL: E Jim Webb è uno dei miei…

TUCKER CARLSON: Sono entrambi libri sul Vietnam.

DAN CALDWELL: Sì. E quindi avevano una visione senza veli del Corpo dei Marines, ma io volevo comunque farne parte. Così ho ricevuto il messaggio di James e ho detto: “Devo andarmene da qui”. Ho mollato tutto. L’ho detto ai miei genitori, che erano furiosi, non erano affatto contenti.

TUCKER CARLSON: Sì. Erano spaventati.

DAN CALDWELL: E mi dispiace ancora per la paura che ho causato loro, perché alla fine mi sono arruolato nella fanteria.

TUCKER CARLSON: Ti sei arruolato?

DAN CALDWELL: Sì, come 0311 nel Corpo dei Marines. I miei primi due anni nel Corpo dei Marines…

TUCKER CARLSON: È una delle cose meno affascinanti che si possano fare.

DAN CALDWELL: Sai una cosa? Per alcune persone sì. E so che alcuni dei tuoi collaboratori sono marines.

TUCKER CARLSON: Sì. Ma marines arruolati.

DAN CALDWELL: Sì. E con tutto il rispetto per loro, ma nella fanteria c’era un detto che diceva: “Se non sei nella fanteria, non sei un cazzo”.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E tutto ciò che faceva il Corpo dei Marines, dalle squadriglie di caccia all’artiglieria ai carri armati, era a sostegno dei fucilieri arruolati, che individuavano e distruggevano il nemico e respingevano i suoi attacchi con il fuoco e le manovre. Quindi tutto era a sostegno del 0311 che faceva il suo lavoro. E quindi adoro stare nella fanteria. E c’era una sorta di convinzione che, se eri nella fanteria, ti sentivi superiore agli altri, che fosse vero o no. La tua vita era più dura. Ma era un motivo di orgoglio, e questo mi piaceva.

TUCKER CARLSON: Quindi tu… In sostanza, hai lasciato l’università e ti sei arruolato nel Corpo dei Marines durante una guerra.

Carriera militare e dispiegamento

DAN CALDWELL: Sì. Era il 2005. Le cose andavano a gonfie vele in Iraq. L’Afghanistan era in fermento, ma la situazione era già grave prima di peggiorare ulteriormente.

Durante i miei primi due anni al campo di addestramento, sono stato selezionato per un programma chiamato Yankee White. Si tratta del programma di supporto presidenziale. Se hai mai visto i marines salutare davanti alla Casa Bianca, loro fanno parte del programma di supporto presidenziale. Come parte di questo programma, sono entrato a far parte della Marine Security Force a Camp David. Ho trascorso lì quasi due anni, credo, durante la presidenza di Bush. È stata una destinazione fantastica. Mi è piaciuta moltissimo. Alcuni dei miei amici più cari, con cui ho prestato servizio lì, sono ancora miei amici oggi. Era un comando fantastico, avevo un ottimo sergente maggiore, un ottimo comandante e un ottimo sergente di plotone.

Ho trascorso due anni lì, poi, una volta terminato il mio periodo, sono stato assegnato al 2° Battaglione, 1° Marines, il che è stata una grande fortuna. Sono stato assegnato a un’altra compagnia fantastica, la Fox Co. 2:1. Abbiamo fatto un addestramento e siamo stati dispiegati in Iraq. Era la fine del 2008, l’inizio del 2009.

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Sarò onesto, non era così male come a Ramadi e Fallujah qualche anno prima. È stato un dispiegamento per lo più tranquillo, con alcune eccezioni. Ci sono stati alcuni incidenti e cose del genere. Ma quando hai lasciato l’Iraq in quel momento, pensavi: “Ok, non sarà come Scottsdale, in Arizona, ma potrebbe funzionare. Potrebbe essere un po’ come Tijuana, in Messico”. Ma cinque anni dopo, ad eccezione di Al Assad, tutti i luoghi in cui ero stato in Iraq erano sotto il controllo dell’ISIS.

TUCKER CARLSON: I luoghi in cui ti trovavi personalmente?

DAN CALDWELL: Sì. Dalla città di Hit al Sinjar meridionale, la montagna dove erano intrappolati gli yazidi, dove ci sono stati quei massacri e dove hanno ridotto in schiavitù tutte le donne. Io ero… Eravamo tutti intorno al monte Sinjar. Abbiamo trascorso molto tempo con gli yazidi. Sono persone molto interessanti. La loro religione è molto interessante. Adorano quello che l’Occidente, molti occidentali, chiamerebbero il diavolo. Non credo che sia molto accurato. Ma erano molto filoamericani. Erano sempre vestiti con abiti colorati e venivano a salutarci. Mentre quando eri nelle zone sunnite, ti ignoravano e ti guardavano come per dire: “Quando ve ne andate?”. E così, cinque anni dopo, tutto era andato in pezzi.

TUCKER CARLSON: E molte di quelle persone che ti salutavano erano morte o schiave sessuali.

DAN CALDWELL: Sì. Ho una foto su Twitter con due giovani ragazzi yazidi, che ora sono morti o in un campo dell’ISIS. Forse sono riusciti a tornare, ma probabilmente questa è la realtà, purtroppo.

Carriera post-militare e riflessioni

TUCKER CARLSON: Dove ti trovavi cinque anni dopo, quando hai visto questo?

DAN CALDWELL: Lavoravo alla Concerned Veterans for America. È lì che ho incontrato Pete Hegseth. Una cosa che è successa in quei cinque anni e che ha continuato a succedere è che ho visto… Ho fatto due cose. Ho imparato molto sul perché è iniziata la guerra, ho imparato quali decisioni ci hanno portato lì, e non ho avuto una transizione dall’oggi al domani. Ci è voluto un po’ di tempo, ma ho visto l’impatto sulla mia comunità di veterani e da allora la situazione è solo peggiorata.

TUCKER CARLSON: Qual è stato… Sono sicuro che potresti parlarne per ore. Ma se dovessi riassumere l’effetto della guerra in Iraq sui ragazzi che conoscevi, quale sarebbe?

DAN CALDWELL: Tre marines con cui ho prestato servizio, sia nel 2/1 che a Camp David, sono stati uccisi in azione. Una mezza dozzina sono rimasti gravemente feriti, alcuni con doppia amputazione. Tutti in Afghanistan. Beh, alcuni in Iraq. Mentre siamo qui, circa 20 si sono suicidati o sono morti a causa di ferite riportate in servizio.

TUCKER CARLSON: 20?

DAN CALDWELL: Questo riguarda chi ha prestato servizio nella fanteria. È molto comune. Ci sono state unità di fanteria che hanno combattuto nella battaglia di Fallujah e Ramadi e in altri conflitti molto intensi che hanno causato più suicidi tra i marines che morti in azione.

Riflessioni sulla guerra in Iraq

TUCKER CARLSON: Lei cerca davvero di affrontare questo argomento senza lasciarsi sopraffare dall’odio. Non vuole diventare un odiatore, ma è difficile quando si sentono cose del genere e si pensa a qualcuno come David Frum, che non è nemmeno americano, che urla contro le persone, definendole bigotte perché non vogliono partecipare a un’altra guerra per cambiare regime. Insomma, è difficile.

DAN CALDWELL: È una vergogna che gli sia permesso di frequentare persone rispettabili. Penso che la guerra in Iraq sia stata un crimine mostruoso. È l’unico modo in cui posso descriverla. È stato innanzitutto un crimine contro il popolo iracheno e poi contro il popolo siriano, perché queste due guerre sono chiaramente collegate.

Sai, l’ISIS è stato essenzialmente formato nelle prigioni americane. Beh, l’ISIS è nato dal gruppo di Zarqawi, ma i leader come Baghdadi, e persino il nuovo presidente della Siria, Jelani, erano nelle prigioni americane e hanno incontrato persone che alla fine avrebbero contribuito a formare il nucleo della leadership di Al Nusra, che è la branca di Al Qaeda. E poi l’ISIS. Baghdadi ha incontrato in prigione, in una prigione americana, dei leader militari iracheni e ha iniziato a imparare di più sulle tattiche militari. E molte delle persone con cui era in prigione sarebbero state quelle che lo avrebbero aiutato a conquistare gran parte dell’Iraq e della Siria.

TUCKER CARLSON: Cosa ha significato… Non sei la prima persona a cui lo chiedo, ma come ci si sente ad essere qualcuno che ha effettivamente prestato servizio lì, che voleva prestare servizio, che ha abbandonato l’università per arruolarsi, non per entrare nel ROTC, ma per arruolarsi nel Corpo dei Marines. Cosa ha significato… Hai dedicato tutta la tua vita a questo. E poi vedere la carneficina, gli americani le cui vite sono state distrutte, e poi rendersi conto che era tutto falso. Che effetto ha avuto su di te?

DAN CALDWELL: Ha iniziato a spingermi verso la posizione che ho ora in materia di politica estera. Dobbiamo fare qualcosa di diverso. E in un certo senso mi ha radicalizzato su questo tema.

E in realtà c’è chi sostiene che bisogna essere… Quando si parla di politica estera, bisogna essere freddi e distaccati. Alcuni dicono che i realisti devono essere freddi e distaccati. Non sono necessariamente d’accordo. Ma, sai, quando sento parlare di una nuova operazione militare o qualcuno parla di qualcosa, il mio primo pensiero è: come sarà per i ragazzi? Come sarà per i ragazzi che saranno in prima linea? E per gli uomini, ma anche per le donne. È solo che, è un po’ come se non potessi fare a meno di guardare attraverso quel prisma e a volte devi distaccarti da esso. Ma la cosa importante è che dobbiamo impedire che questo accada di nuovo. Non può succedere di nuovo.

TUCKER CARLSON: Non potrei essere più d’accordo con te e vorrei che più persone esprimessero questo punto di vista. Penso che sia… Quindi, tra i ragazzi con cui hai prestato servizio nel Corpo dei Marines in Iraq, diresti che molti sono d’accordo con te?

DAN CALDWELL: Sì, sì. Di destra, di sinistra, la maggior parte di loro è ferocemente anti-interventista. Alcuni di loro mi fanno sembrare Paul Wolfowitz.

TUCKER CARLSON: E stai parlando dei ragazzi che hanno prestato servizio e hanno portato i fucili in Iraq?

DAN CALDWELL: Sì, esatto. E lo abbiamo fatto anche noi di Concerned Veterans for America. Abbiamo condotto molti sondaggi quando ero lì e abbiamo costantemente riscontrato che i veterani e le famiglie dei militari erano più contrari alle nuove guerre con margini piuttosto evidenti rispetto alla popolazione generale nel suo complesso.

Il costo umano della guerra

TUCKER CARLSON: È interessante. Hai parlato di morte, di caduti in azione, di feriti, di feriti gravi, di suicidi, di traumi psicologici.

DAN CALDWELL: Mi dispiace, non ho nemmeno menzionato le famiglie distrutte.

TUCKER CARLSON: Beh, è proprio quello che stavo per chiederti. Continua.

DAN CALDWELL: Intendo dire l’alto tasso di divorzi.

TUCKER CARLSON: Alti tassi di divorzio. Ne parlavamo prima di andare in onda. Conosco molti marines arruolati. Mio padre era uno di loro. Non lo so. Non credo di conoscere nessun ragazzo che si sia arruolato nei Marines durante la guerra al terrorismo che non sia divorziato. Sono sicuro che ce ne sono, ma forse me lo sto immaginando?

DAN CALDWELL: Ci sono alcune comunità di forze armate e forze speciali che hanno tassi di divorzio del 90%.

TUCKER CARLSON: Il 90%, sì. Lo sottovalutiamo. È un disastro per le persone coinvolte e per i loro figli. È una vera tragedia. Una vera tragedia. Il divorzio è una morte. E quindi, se si ha un tasso di divorzi del 90%, non capisco perché nessuno si fermi a riflettere su come non si possa fare questo alle persone.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: Sei d’accordo?

DAN CALDWELL: Sì. Ora, guarda, voglio dire, il divorzio è sempre stato un problema nell’esercito. Ci sono molti ragazzi che si sposano troppo giovani per uscire dalla caserma. Ne abbiamo parlato prima. Ma è lo stress delle missioni in queste unità specifiche che fa aumentare il tasso di divorzi in alcune unità. E quando hai ragazzi che passano il 70, 80% del loro tempo lontano da casa, in addestramento o in missione, è difficile. Il servizio militare sarà sempre difficile. Ma l’aumento del ritmo delle missioni che abbiamo avuto, in particolare dopo l’11 settembre, ha esacerbato la situazione.

TUCKER CARLSON: Beh, è la prima cosa che ho notato quando ho iniziato a occuparmi di queste cose o ad andare lì. Questi ragazzi facevano un numero incredibile di dispiegamenti. E penso semplicemente che se continui a mandare un uomo in guerra, col tempo lo distruggi. No.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: Come potresti non farlo?

DAN CALDWELL: Sì. Penso che tutti abbiano un punto di rottura. E ci sono persone che sono in grado di farlo. Ci sono persone nelle unità Ranger che sono al loro 15°, 16° dispiegamento, persone che sono in servizio da oltre 20 anni.

TUCKER CARLSON: Che effetto ha su di te?

DAN CALDWELL: Beh, può avere tantissimi effetti. Voglio dire, ci sono persone che riescono semplicemente ad accendere e spegnere e a metterlo in una scatola. Ma direi che per tutti, fisicamente, ti distrugge. Sai, ci sono ragazzi di 38 anni che hanno il corpo di sessantenni. Anche mentalmente può logorarti.

Il prezzo della guerra per i veterani

TUCKER CARLSON: Ho discusso spesso in pubblico con Dan Crenshaw e l’ho preso in giro molto. E lo dico con sincerità. Lo guardo e penso: sei stato danneggiato dalla guerra. Mi dispiace. Insomma, non conosco Dan Crenshaw, ma conosco molte persone che sono state danneggiate dalla loro esperienza, davvero danneggiate.

DAN CALDWELL: Sai, direi che anche lui è un po’ un caso anomalo nella comunità, dove continua, per qualche motivo, a sostenere la supremazia americana e lo status quo. E sempre più spesso, la maggior parte dei suoi compagni veterani repubblicani stanno in realtà rifiutando questa posizione.

TUCKER CARLSON: Beh, lo odiano. E capisco, capisco perfettamente perché, ma è squilibrato come quel tipo. Non è che abbiamo un disaccordo sulle politiche come quel tipo. C’è qualcosa che non va in lui. E forse sono troppo generoso, ma non posso fare a meno di sospettarlo, conoscendo molti tipi come lui.

DAN CALDWELL: Capisco perché lo dici. Insomma, ha minacciato di ucciderti, giusto?

TUCKER CARLSON: Ha minacciato di uccidermi. Ma non mi preoccupo. Sto solo cercando di essere cristiano e generoso al riguardo. È una persona molto ferita, e forse lo è sempre stata, ma conosco un sacco di persone ferite che hanno vissuto esperienze simili. Immagino che anche tu ne conosca alcune.

DAN CALDWELL: È stato devastante per la nostra comunità. Davvero. E c’è chi dice: “Oh, la parola ‘danno’, cercano di ammorbidirla. Oh, non dovresti usare la parola ‘danno’. Questo è il modo corretto per descriverlo”.

TUCKER CARLSON: Lo dico con amore, compassione e gratitudine per tutto quello che hanno fatto per noi, per il loro patriottismo e la loro dignità. E non lo dico per criticarli. Lo dico come si direbbe di qualcuno a cui si vuole bene e che si odia vedere soffrire. Capisci?

DAN CALDWELL: Sì, sì, sono d’accordo.

La vita dopo il servizio militare

TUCKER CARLSON: Quindi esci dal Corpo dei Marines. Cosa fai?

DAN CALDWELL: Finisco l’università. Non volevo davvero andare all’università, ma l’ho finita in due anni, due anni e mezzo. Ho lavorato per un membro del Congresso per un paio d’anni.

TUCKER CARLSON: Come ti sentivi quando sei uscito? Ha avuto effetti duraturi su di te?

DAN CALDWELL: Sai, i primi mesi dopo aver lasciato il Corpo dei Marines sono stati difficili. Stavano succedendo alcune cose nella mia vita privata. Mio padre, in un periodo in cui l’economia era davvero in crisi, è morto per overdose. E poi lasciare il Corpo dei Marines, lasciare un gruppo di ragazzi che consideravi tuoi fratelli e vivere da solo in un appartamento… non è stato un periodo divertente.

Pensavo che sarebbe stato fantastico. Avevo un bel po’ di soldi da parte grazie alle missioni. Avrei usufruito del GI Bill. Avrei frequentato un’università famosa per le feste. Ma alla fine mi sono detto: “Ehi, mi laureo e basta. Voglio trovare un lavoro”. Mi sono sposato e ho buttato al vento l’università.

Poi ho trovato lavoro per un membro del Congresso in Arizona. All’inizio mi occupavo principalmente dei veterani, ed era davvero gratificante aiutare i veterani a ottenere i benefici a cui avevano diritto. Ho imparato molto su quanto fossero disfunzionali il Dipartimento degli Affari dei Veterani e il Dipartimento della Difesa, perché aiutavo persone che avevano problemi con quest’ultimo.

Dopo due anni e mezzo lì, ad essere sincero, avevo bisogno di guadagnare di più. A quel punto avevo un figlio. Così un mio amico mi ha presentato Concerned Veterans for America, che all’epoca era gestita da Pete Hegseth, e sono stato assunto prima come addetto al lavoro sul campo, poi come responsabile legislativo e infine come uno dei direttori politici.

TUCKER CARLSON: Quanto tempo è rimasto lì?

DAN CALDWELL: Sono stato affiliato a Concerned Veterans for America in un modo o nell’altro per quasi nove anni.

TUCKER CARLSON: Wow.

DAN CALDWELL: Alla fine sono diventato direttore esecutivo e anche quando ho cambiato lavoro ho mantenuto il ruolo di consulente senior.

TUCKER CARLSON: Huh. E sei stato vicino a Pete per tutto il tempo?

DAN CALDWELL: Quando era con Concerned Veterans for America? Sì, abbiamo lavorato a stretto contatto, insieme a Darin Selnick, un altro membro che ha lasciato il Pentagono la settimana scorsa. Io lavoravo principalmente con lui sulle politiche e sulla comunicazione, concentrandomi soprattutto sui nostri sforzi per riformare il Dipartimento degli Affari dei Veterani.

Il passaggio all’amministrazione Trump

TUCKER CARLSON: Facciamo un salto in avanti alla campagna del 2024. Trump vince a novembre e c’è una corsa frenetica per formare l’amministrazione. Che ruolo ha avuto in questo?

DAN CALDWELL: All’inizio, anche prima delle elezioni, era tutto molto informale perché il presidente Trump inizialmente non ha fatto una transizione formale come quelle che si erano viste in precedenza, il che, in realtà, credo che in un certo senso fosse una buona idea in quel momento. Forse non capivo il perché, ma a causa di tutte le fughe di notizie e altre cose che lo avevano danneggiato nella prima campagna, alla fine la transizione è stata gestita molto meglio. E penso che gran parte del merito vada, ovviamente, al presidente stesso, ma anche a Susie Wiles e, credo, a Sergio Gore, che era a capo del personale.

Quindi all’inizio ho lavorato con un gruppo di persone per individuare persone che potessero lavorare al Dipartimento della Difesa. Un giorno ho ricevuto una telefonata da qualcuno che mi ha chiesto: “Ehi, cosa sai di Pete Hegseth?” Ho fornito alcune informazioni su di lui, poi ho chiamato Pete. Eravamo rimasti in contatto, ma non lavoravamo più a stretto contatto come prima. Gli ho detto: “Ehi, solo per tua informazione, la commissione di transizione ha chiesto di te”. E lui mi ha risposto: “Sì, lo so, sto per essere preso in considerazione per il ruolo di Segretario alla Difesa”. E io: “Wow, ok, fantastico”.

Così, pochi giorni dopo, durante il weekend del Veterans Day, ha ottenuto il lavoro. Ho iniziato a lavorare con lui durante la fase di conferma. L’ho aiutato a difendersi da molti attacchi che gli venivano rivolti e l’ho aiutato con la strategia. Ma alla fine ho assunto il ruolo di suo principale collegamento con il personale, aiutandolo a selezionare e collocare il personale all’interno del Dipartimento della Difesa. Quindi volavo spesso in Florida e lavoravo con persone davvero fantastiche del team PPO.

TUCKER CARLSON: Quindi a quel punto non lavoravi per il governo?

DAN CALDWELL: No, lo facevo su base volontaria e pagavo i voli di tasca mia.

TUCKER CARLSON: Davvero. Ti hanno rimborsato?

DAN CALDWELL: Per ora no.

TUCKER CARLSON: Quindi sta pagando di tasca sua per aiutare Pete Hegseth. È ovviamente un forte sostenitore di Pete Hegseth. È così?

DAN CALDWELL: Sì, ho sostenuto con forza la sua candidatura a Segretario alla Difesa.

TUCKER CARLSON: Sì. Sì, lo conosco. Lo conosco molto bene, ovviamente. Lavoro con lui. È un brav’uomo.

DAN CALDWELL: E vorrei solo dire che, sai, alla fine sono state scritte molte storie su di me e sul personale, che io fossi il burattinaio e che avessi il potere decisionale finale e che stessi cercando di bloccare le persone che sostenevano questo o quello o che si opponevano a questo e quello. Erano tutte sciocchezze. Voglio dire, lascia che te lo ripeta, c’erano persone nel team PPO che erano molto più radicali di me in materia di politica estera. E quindi in molti casi non avevo nemmeno bisogno di bloccare le persone non allineate. Venivano già bloccate da altre persone nelle fasi precedenti del processo.

TUCKER CARLSON: Beh, devo dire che non credo che un ascoltatore imparziale possa accusarla di essere radicale in alcun senso. Mi sembra assolutamente mainstream. Nulla di ciò che ha detto mi sembra ideologico, folle, marginale o qualcosa del genere. Hai prestato servizio nel Corpo dei Marines durante una guerra. Non pensavi che la nostra politica servisse il Paese o le persone che lo difendono. E stai solo cercando di tenerlo bene a mente mentre contribuisci a creare la politica per la prossima generazione.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: È una valutazione corretta…

L’esperienza di Dan Caldwell nell’amministrazione Trump

DAN CALDWELL: Penso che sia assolutamente corretto. E vorrei solo sottolineare che una cosa straordinaria del lavoro durante la transizione – a volte difficile, a volte frustrante – e poi nell’amministrazione è stata la presenza di tante persone valide in questa amministrazione.

Ricordo di aver lavorato molto con la prima amministrazione Trump. Potete vedermi su Internet. Ero in piedi dietro al presidente mentre firmava i disegni di legge sui veterani. Il presidente ha twittato una volta su una mia apparizione sui media. Ricordo che c’erano persone della Casa Bianca e del Dipartimento degli Affari dei Veterani che cercavano di dissuadere me e Concerned Veterans for America dal sostenere qualcosa che il presidente voleva, in particolare la scelta del Dipartimento degli Affari dei Veterani, ovvero dare la possibilità di scegliere ai veterani o rendere più facile licenziare i dipendenti del Dipartimento degli Affari dei Veterani che non facevano bene il loro lavoro. Si trattava di funzionari politici che dicevano: “Perché volete farlo? È troppo radicale. Sapete, dobbiamo solo sistemare questo o quello”.

E questa volta, credo che, come in ogni amministrazione, ci siano persone che non sono d’accordo con il presidente. Ma una delle cose più belle del lavorare nell’amministrazione è stata avere amici e persone che condividono il tuo modo di pensare in tutta l’agenzia.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E poterli chiamare e scambiarsi idee. È stata un’esperienza davvero positiva, devo dire. E anche tu hai assistito a questa transizione.

Preoccupazioni sulla direzione della politica estera

TUCKER CARLSON: Beh. E tu lo senti. Lo senti. E io non sono coinvolto affatto. Sto solo osservando. Ma sembra che il modo più veloce per far deragliare l’intero progetto – l’amministrazione Trump e gli Stati Uniti d’America – sia una guerra con l’Iran. Ed è per questo che sto osservando la situazione con la massima attenzione possibile, perché ho la sensazione che, ancora una volta, se odiassi Donald Trump e odiassi ciò che l’amministrazione sta facendo in materia di immigrazione, commercio, anti-wokeness, o qualsiasi altra cosa, e volessi fermarla, la prima cosa che faresti sarebbe esercitare pressioni affinché l’esercito americano entrasse in guerra con l’Iran. Insomma, questa è la mia opinione al riguardo.

DAN CALDWELL: Lo penso anch’io. E anche continuare a fare quello che abbiamo fatto in precedenza in Russia e Ucraina, questo è certo.

TUCKER CARLSON: Certamente. Anche se non capisco perché. Beh, vi chiederò tutto questo, ma sembra che Wyckoff stia dando un grande aiuto in questo senso. Dio lo benedica.

DAN CALDWELL: Insomma, ho già detto che è una manna dal cielo.

TUCKER CARLSON: Dio benedica Steve Wyckoff. Non potrei essere più d’accordo. Come uomo, come strumento di pace e come figura ormai fuori dalla storia.

Ok, quindi, da un punto di vista esterno, hai commesso forse un errore professionale concedendo interviste prima di entrare in carica, descrivendo le tue opinioni in materia di politica estera, che secondo me sono perfettamente in linea con il pensiero dominante negli Stati Uniti, ma fuori dal mainstream dei guerrafondai di Washington. Quindi, in pratica, la gente sapeva che non eri completamente d’accordo con il programma di cambio di regime. È corretto?

DAN CALDWELL: Sì, ero molto aperto al riguardo. Ne ho parlato apertamente. E la maggior parte delle volte in cui dicevo che non dovevamo farlo, era in realtà a sostegno delle preferenze dichiarate dal presidente. Il presidente chiaramente non vuole questo nel suo primo mandato. C’erano persone nella sua amministrazione che lo volevano. Lui chiaramente non lo voleva. Quindi era un sostegno a chi non voleva la guerra.

TUCKER CARLSON: Ma Donald Trump ha detto – e ora le sue azioni lo dimostrano chiaramente – che preferirebbe di gran lunga una soluzione diplomatica. Giusto?

DAN CALDWELL: Non voglio parlare a nome del presidente, ma è abbastanza ovvio che è quello che vuole.

TUCKER CARLSON: Beh, l’ha detto. Voglio dire, l’ha detto di nuovo e ci ha basato la sua campagna, quindi non è una posizione folle. E ora le cose stanno diventando così assurde in questo Paese che dire questo ti rende un bigotto o qualcosa del genere, un nazista. È come se volessi ignorare tutto questo e tornare alla tua esperienza.

Quindi sto solo guardando da fuori e penso, avendo passato la mia vita a Washington, che Dan Caldwell ha un bersaglio sulla schiena. Non so se lui lo sa.

DAN CALDWELL: Sì.

Accuse di fuga di informazioni riservate

TUCKER CARLSON: E poi all’improvviso leggo che sei un traditore. Sei stato praticamente cacciato dal Pentagono per aver divulgato informazioni riservate. Per aver divulgato informazioni riservate. Giusto. E poi è iniziata la campagna diffamatoria, la campagna per screditare la tua reputazione, ed ecco come si è svolta. Non voglio turbarti. Forse non ne sei nemmeno a conoscenza. Dan Caldwell ha divulgato informazioni riservate ai media liberali, ai media, alla NBC News, per esempio. Quindi voglio essere completamente sincero con te. Hai divulgato informazioni riservate contro il volere dei tuoi superiori ai media?

DAN CALDWELL: Assolutamente no.

TUCKER CARLSON: Hai fotografato materiale riservato e poi hai inviato le foto di quel materiale a un giornalista della NBC News?

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DAN CALDWELL: Assolutamente no. E non ho parlato con nessun giornalista della NBC mentre ero al Pentagono.

TUCKER CARLSON: Lei… Sa di cosa è stato accusato?

DAN CALDWELL: No, non lo so. Seduti qui in questo momento, io, Darin Selnick e Colin Carroll, le altre due persone che sono state accompagnate fuori dal Pentagono, inizialmente sospese dal servizio e poi licenziate venerdì, non ci è stato detto, al momento della registrazione: primo, per cosa siamo stati indagati. Due, se l’indagine è ancora in corso. E tre, se c’è stata davvero un’indagine. Perché ci sono molte prove che dimostrano che non c’è stata un’indagine vera e propria. Ma, ripeto, in questo momento ci sono molte incognite. Come direbbe un ex Segretario alla Difesa, ci sono molte incognite. Alcune cose sono abbastanza chiare, ma non abbiamo idea di cosa stiamo indagando nello specifico.

TUCKER CARLSON: Possiamo sapere alcune cose solo dai dettagli. Eccone un paio. È stato sottoposto al poligrafo?

DAN CALDWELL: No, non sono mai stato collegato a un poligrafo da quando sono entrato nel Dipartimento della Difesa.

TUCKER CARLSON: Ok. Ha rinunciato ai suoi dispositivi di comunicazione privati? Al suo telefono privato?

DAN CALDWELL: No.

TUCKER CARLSON: A nessuno?

DAN CALDWELL: No.

TUCKER CARLSON: Ok, questo solleva una domanda ovvia. Sto cercando di non usare la parola con la F perché le bugie mi stanno facendo impazzire. Lei è accusato di aver divulgato informazioni riservate, ma le persone che la accusano non hanno modo di sapere se l’ha fatto o meno perché non l’hanno sottoposto al poligrafo né le hanno sequestrato i dispositivi. I tuoi dispositivi privati. Esatto.

DAN CALDWELL: Voglio dire, ci sono…

TUCKER CARLSON: Non puoi nemmeno fare questa accusa perché…

DAN CALDWELL: Non c’è modo di farlo. Ci sono così tante cose che mi impedirebbero di fare ciò che hai descritto. E, ripeto, non so nemmeno se è davvero questo il motivo per cui sono indagato, ammesso che ci sia un’indagine vera e propria.

Ma il punto è che a chi mi ha chiesto cosa sta succedendo ho risposto ripetendo qualcosa che ho sentito nei Marine Corps durante la nostra preparazione per l’Iraq. Credo fosse in un corso chiamato “combattimento da cacciatore”, che non è quello che sembra. In realtà si tratta di osservare meglio le cose. Ricordo molto chiaramente un istruttore che diceva: “Quando vi trovate in questo ambiente, non credete a nulla di ciò che sentite e solo alla metà di ciò che dite”. E penso che questo debba applicarsi anche a questa situazione.

TUCKER CARLSON: Sì. Il problema è che si tratta di un’accusa molto grave: lei avrebbe tradito il suo capo e amico Pete Hegseth, con cui ha lavorato per oltre un decennio e che ha sostenuto fin dall’inizio. Penso che sia tutto. Non voglio parlare per lei, ma lei è accusato di aver tradito Hegseth, che è sotto attacco da parte di persone che vogliono la guerra con l’Iran. Siamo sinceri. Lei è accusato di averlo tradito, di aver tradito il presidente e di aver commesso un reato. È un reato. Non si tratta semplicemente di dire: “Ehi, Dan Caldwell ha cattivo gusto in fatto di cravatte”. Si tratta di dire: “Dan Caldwell è un criminale”.

Gli altri funzionari licenziati

DAN CALDWELL: Sì. È solo che, sapete, a volte penso che non ho ancora capito bene cosa sta succedendo. E vorrei parlare degli altri due signori che stanno vivendo la mia stessa situazione. Quello che sta succedendo a loro è in un certo senso più irritante perché, come avete detto, io ho un profilo pubblico. Ho preso alcune posizioni che non dovrebbero essere controverse, ma lo sono. E mi sono esposto per promuovere cose che molti esponenti dell’establishment della politica estera non volevano. Questo non giustifica ciò che mi sta succedendo. Ma, siamo onesti, questa è la natura dei giochi che si fanno a Washington.

Darin Selnick e Colin Carroll sono patrioti. Lasciatemi parlare un po’ di Darin. Darin è un’altra persona che ha lavorato con il segretario Hegseth per oltre un decennio. È qualcuno che ha trascorso decenni lavorando con i veterani e sulle questioni sanitarie dei militari. Ha servito nella prima amministrazione Bush al Dipartimento degli Affari dei Veterani. Ha ricoperto un ruolo fondamentale nella prima amministrazione Trump. È stato una figura chiave nel promuovere il VA Mission Act, uno dei più grandi successi della prima amministrazione Trump, che ha riformato radicalmente il modo in cui il Dipartimento degli Affari dei Veterani fornisce assistenza sanitaria.

Darin, credo, può andare a dormire ogni sera sapendo di aver salvato la vita a migliaia di veterani grazie alle riforme che ha contribuito a promuovere. È un veterano dell’Air Force. Tra un incarico e l’altro nel governo, ha lavorato con me e Pete alla Concerned Veterans for America, contribuendo a sviluppare riforme rivoluzionarie per il VA che sono state in gran parte attuate dalla prima amministrazione Trump.

Per tornare, ha lasciato la sua bella vita a Oceanside, in California. Sua moglie è rimasta lì e lui ha preso un appartamento squallido ad Arlington, in Virginia, e ha lavorato a volte 16, 16 ore al giorno per portare avanti il programma del segretario. Ha svolto un ruolo chiave nell’eliminare dall’amministrazione le sciocchezze woke e DEI. Darin è stato uno dei principali promotori di questo cambiamento.

TUCKER CARLSON: Da come lo descrivi, Darin Selnick non sembra una persona coinvolta nelle lotte politiche o un ideologo fanatico.

DAN CALDWELL: Prima di parlare di Colin, devo dire che non so cosa pensino Darin Selnick e Colin Carroll dell’Iran. Per quanto ne so, Darin potrebbe essere un segreto sciita duodecimano. Colin Carroll potrebbe voler bombardare l’Iran fino a far brillare la sabbia. Darin era un vice capo di gabinetto che si occupava delle operazioni di back-office, del personale e della politica sanitaria militare.

Colin Carroll, lasciatemi parlare di Colin perché anche lui è una persona incredibile. Colin si è laureato all’Accademia Navale. Ha prestato servizio come marine di ricognizione in combattimento. Poi è diventato letteralmente un ingegnere missilistico lavorando nel settore tecnologico, in aziende come Anduril. Ed era il capo di gabinetto di Steve Feinberg. Colin si occupava di scienza, ricerca e sviluppo e bilancio. Era molto coinvolto. Questi signori erano patrioti e non meritavano – nessuno di noi merita – di essere trattati in questo modo. Ma in un certo senso, quello che sta succedendo loro mi fa arrabbiare ancora di più.

Il complesso ambiente del Pentagono

TUCKER CARLSON: E non è nemmeno chiaro, dovrei dire fin dall’inizio che il Dipartimento della Difesa del Pentagono è la più grande organizzazione umana al mondo, ha più persone di qualsiasi altra, credo nella storia del mondo. E la posta in gioco è alta. È in gioco il futuro del mondo. È il Dipartimento della Difesa. Hanno armi nucleari. E quindi la pressione esercitata su quell’agenzia dall’esterno, ma anche le lotte al suo interno, la rendono uno degli ambienti di lavoro più complicati e insidiosi mai creati. È giusto?

DAN CALDWELL: È giusto. E direi che l’unica cosa che avevamo in comune, anzi, un paio di cose che avevamo in comune, era che stavamo minacciando molti interessi consolidati, ognuno a modo suo, e avevamo persone che nutrivano vendette personali contro di noi.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E penso che abbiano usato le indagini contro di noi come arma. Penso che sia parte di ciò che sta succedendo qui. Ma guarda, Colin, e lasciami dire che Steve Feinberg, che non conoscevo prima, ha tutta la mia stima.

TUCKER CARLSON: Anch’io.

DAN CALDWELL: Penso che sarà un fantastico vice segretario. Steve Feinberg e Colin avrebbero rivoluzionato il modo in cui vengono effettuate le acquisizioni, il modo in cui viene fatto il bilancio, il modo in cui facciamo scienza e ricerca. E Colin ha una sola velocità, quella di andare avanti. E non aveva paura di sfidare le persone quando si comportavano in modo stupido e volevano continuare a fare le stesse cose. Darin è uguale. Darin ha fatto arrabbiare molte persone che vogliono continuare a usare l’esercito come un gigantesco esperimento di scienze sociali.

TUCKER CARLSON: Giusto.

DAN CALDWELL: Quindi noi, e ovviamente ho alcune opinioni sul ruolo dell’America nel mondo, come abbiamo discusso, siamo un po’ controversi. Tutti noi, a modo nostro, abbiamo minacciato interessi davvero consolidati.

TUCKER CARLSON: Le tue opinioni sono controverse solo a Washington D.C., giusto? Lascia che te lo dica. Giusto? In realtà, è così. Non sono controverse in nessun altro posto di questo Paese o del mondo.

I conflitti interni al Pentagono

DAN CALDWELL: Abbiamo minacciato molti interessi consolidati all’interno e all’esterno dell’edificio.

TUCKER CARLSON: Vorrei solo ribadire questo punto perché è il nocciolo della questione, è il motivo per cui lei è qui. Perché è stato licenziato e accusato di aver tradito il suo capo, il suo presidente, la sua nazione. Lei, non voglio parlare per lei, non ha divulgato informazioni riservate ai media. Non è mai stato sottoposto al test del poligrafo e non ha mai consegnato il suo telefono personale. Tutte queste affermazioni sono vere?

DAN CALDWELL: È tutto corretto al 100%. E lasciami dire che, in realtà, il mio primo istinto quando sono venuti a scortarmi fuori dal mio ufficio è stato quello di pensare che volessero costringermi a testimoniare contro il segretario, perché il segretario è sotto indagine dell’ispettore generale per tutta la faccenda del Signal Gate. Il mio primo istinto è stato quello di pensare che facesse parte di tutto questo.

TUCKER CARLSON: Quindi c’era un’indagine su una fuga di notizie. Penso che il presidente, come tutti i presidenti, non voglia fughe di notizie. Voglio dire, nessuno vuole fughe di notizie, giusto? Se sei al comando, non vuoi che i tuoi dipendenti facciano fughe di notizie contro di te. Quindi c’era questa indagine sulle fughe di notizie che andava avanti da settimane. Giusto. Lei era… il suo accesso alle informazioni riservate era limitato durante quel periodo?

DAN CALDWELL: Assolutamente no. Infatti, il giorno in cui sono stato scortato fuori dall’edificio, sono entrato, non entrerò nei dettagli, nella sala più alta dei briefing dell’intelligence e fino al momento in cui sono stato portato fuori dal mio ufficio, stavo lavorando su sistemi altamente riservati.

TUCKER CARLSON: Quindi stavi esaminando informazioni altamente riservate fino al momento in cui ti hanno portato fuori e separato con l’accusa di aver divulgato informazioni riservate?

DAN CALDWELL: Stavo facendo il mio lavoro. Parte del mio lavoro consisteva nell’esaminare le informazioni di intelligence, aiutare a formulare raccomandazioni al Segretario, dare la mia opinione, lavorare con il team politico. E la maggior parte del nostro lavoro veniva svolto su sistemi riservati.

TUCKER CARLSON: Il motivo per cui insisto su questo punto è che non ha alcun senso.

DAN CALDWELL: Non ha alcun senso per me.

TUCKER CARLSON: Giusto. Quindi, se lei… Perché, giusto per chiarire, lei non vuole che qualcuno divulghi informazioni riservate dal Pentagono.

DAN CALDWELL: Mi faccia capire bene, questo è un problema del Dipartimento della Difesa. Ci sono state cose che sono state condivise con i media, in particolare, direi, la questione Panama. Questo è inaccettabile.

TUCKER CARLSON: Sono stato destinatario di informazioni riservate per decenni, anche dal Pentagono sotto forma di fughe di notizie. E tutti i giornalisti che fanno il loro lavoro sanno bene che ci sono molte fughe di informazioni riservate, te lo posso garantire.

La vera fonte delle fughe di notizie dal Pentagono

DAN CALDWELL: Ma siamo onesti, tutti sanno da dove provengono. Provengono dai funzionari di carriera che non apprezzano ciò che il presidente, il segretario e il vicepresidente intendono fare. Ci sono persone nello staff congiunto che ho imparato a rispettare, ma molte di loro sono incredibilmente ostili al segretario, al presidente e alla visione del mondo del vicepresidente. È abbastanza ovvio che è da lì che proviene la maggior parte delle fughe di notizie. C’è un altro posto meno ovvio. Vorrei solo sottolineare una cosa mentre siamo qui oggi, Tucker, e questo potrebbe cambiare prima che il programma vada in onda. Ma mentre siamo qui oggi, Susan Rice, Michelle Flournoy ed Eric Edelman sono ancora in buoni rapporti con il Dipartimento della Difesa.

TUCKER CARLSON: Cosa?

DAN CALDWELL: Esatto.

TUCKER CARLSON: Sono ancora Susan Rice. Susan Rice, Obama, Susan Rice.

DAN CALDWELL: Sì. Susan Rice è ancora membro del Consiglio di politica di difesa proprio mentre siamo qui seduti oggi. Quando questo programma andrà in onda, la situazione potrebbe cambiare. Ma mentre siamo qui oggi, lei fa ancora parte del Consiglio per la politica di difesa. Ora, questo non significa che possa entrare nell’edificio e avere accesso a tutto ciò che vuole, ma significa che lavora con i dipendenti del Dipartimento della Difesa, può interagire con loro e ha le credenziali e l’affiliazione con il Dipartimento della Difesa.

TUCKER CARLSON: Ma Susan Rice non ha alcuna esperienza rilevante per un lavoro del genere. È una politicante di basso livello.

DAN CALDWELL: Esatto. Eppure, mentre siamo qui nell’aprile del 2025, a circa 100 giorni dall’inizio del primo mandato del presidente, lei e un gruppo di altre persone incredibilmente ostili al presidente e alla sua visione del mondo rimangono nella politica di difesa.

TUCKER CARLSON: Ne sei sicuro?

DAN CALDWELL: Puoi andare sul sito web e controllare subito. Ho verificato con Colin e Darin e anche loro lo hanno confermato.

TUCKER CARLSON: Beh, è scioccante.

DAN CALDWELL: E ancora una volta, direi che se vuoi capire da dove potrebbero provenire le fughe di notizie, quello sarebbe un punto di partenza.

Le incongruenze dell’indagine

TUCKER CARLSON: Quindi. Ma torniamo alla tua storia, non mi dilungherò oltre. Ogni volta che ne parlo, ti irrigidisci. Percepisco la tua frustrazione e io…

DAN CALDWELL: Dovresti dire che sei frustrato tu.

TUCKER CARLSON: Beh, sono completamente convinto che si tratti di sciocchezze e di sciocchezze sinistre. Ma se lei è oggetto di un’indagine, un’indagine sulle fughe di notizie, se gli investigatori avessero stabilito che lei stava divulgando informazioni riservate ai media, probabilmente non avrebbe continuato ad avere accesso a informazioni riservate, giusto?

DAN CALDWELL: Esatto. E probabilmente oggi non sarei qui.

TUCKER CARLSON: Saresti in prigione, amico. Ti avrebbero ammanettato. Giusto.

DAN CALDWELL: Se avessi divulgato informazioni riservate. Beh, ripeto, voglio solo chiarire questo punto. Ancora non so se il termine che hanno usato sia quello corretto. E quello che usa il Dipartimento della Difesa è divulgazione non autorizzata di informazioni. Se penso che ci sono molte voci e che la gente sta sfruttando questa cosa, possiamo parlarne. Se avessi davvero fatto alcune delle cose che persone anonime su Internet e al Pentagono dicono che ho fatto, sarei in manette.

TUCKER CARLSON: E non lo sei.

DAN CALDWELL: No, non lo sono. Sarei come Reality Winner o Bradley Manning o Edward Snowden o una di quelle persone.

TUCKER CARLSON: Mi sembra molto ovvio, pur avendo molti meno dettagli di lei, che lei sia una delle persone percepite come un ostacolo alla guerra per il cambio di regime in Iran e che questo sia stato il suo crimine. Mi sembra ovvio.

DAN CALDWELL: Penso che sia complicato. Ci sono altri livelli. Ma sulla base di ciò che è successo da allora, penso che sia un fattore, e che venga usato contro di me perché penso che vogliano perseguire anche me. E penso che sia successo. Non posso dirlo con certezza, ma solo ipotizzare che se qualcuno alla Casa Bianca non avesse detto: “Ok, dobbiamo fermare questa cosa”, probabilmente ci sarebbero state altre persone trattate allo stesso modo in cui sono stati trattati Colin, Darin Selnick e me.

TUCKER CARLSON: Quindi il modo più veloce per mettere fuori gioco qualcuno ed eliminare la sua influenza, e nel tuo caso il suo lavoro, è dire alla persona per cui lavora che quella persona ti sta tradendo. Quella persona ti sta tradendo. E quindi, voglio dire, mi sembra, ancora una volta, sto mettendo parole nella tua bocca, ma mi sembra che tu abbia provato questo. Sembra che tu senta ancora che le tue opinioni sono allineate con quelle del presidente, al 100%.

DAN CALDWELL: Non sarei entrato in questa amministrazione se non la pensassi così. Ripeto, non parlo a nome del presidente, ma c’è anche un’altra cosa. Avevo questo atteggiamento al Pentagono e forse era perché, vedeva, vedevo questo atteggiamento che avevo ancora, sa, quando ero nei Marine, del tipo: “Ehi, quando viene presa una decisione, quando abbiamo deciso una linea d’azione, ci assicuriamo che venga eseguita correttamente”.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E lei continua a sollevare preoccupazioni. Continua a farlo. Se vede qualcosa che non va, può farlo. Ma se è così disgustato da ciò che sta accadendo, allora dovrebbe dimettersi.

TUCKER CARLSON: Quindi, secondo me, lei sta dicendo che ha servito il suo capo, i suoi capi, anche quando non era d’accordo.

DAN CALDWELL: Esatto.

TUCKER CARLSON: Come hai fatto nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti.

DAN CALDWELL: Esatto.

TUCKER CARLSON: Ok. Come ti fa sentire? Non vorrei nemmeno chiedertelo, ma lo farò. Come ti fa sentire? Voglio dire, devi sentirti come se stessi vivendo in un sogno, un incubo.

Impatto personale e leadership del Pentagono

DAN CALDWELL: Come ho detto prima, a volte mi sembra che non sia ancora del tutto reale, perché sembra proprio un sogno. È come se mi aspettassi di svegliarmi alle 4:30, prepararmi per andare al lavoro, portare a spasso il cane, lasciarlo all’asilo per cani e poi tornare al Pentagono. In un certo senso mi sembra che stia succedendo davvero e mi sembra che non mi sia ancora entrato bene in testa, ma è stato terribile. Intendo dire, l’impatto sulla mia famiglia. Sai, volevo cercare di nasconderlo a mia madre il più a lungo possibile perché ero preoccupato. È una persona molto ansiosa. Le voglio un bene dell’anima. È una santa. Non volevo dirglielo. Poi, un’ora dopo, qualcuno ha fatto trapelare alla Reuters esattamente quello che mi era successo. E sei ore dopo hanno fatto lo stesso con Darin. E poi, 12 ore dopo, hanno fatto lo stesso con Colin.

Quindi, sapete, è stato devastante e ha causato molto stress alla mia famiglia. L’unica cosa che voglio dire è che sono amico e sostenitore di Pete Hegseth da molto tempo e sono personalmente devastato da tutto questo. È semplicemente orribile e tutto il resto. Ma alla fine dei conti, mettendo da parte tutto questo, Pete Hegseth deve essere un Segretario alla Difesa di successo. E l’intero Dipartimento della Difesa non può continuare a essere consumato dal caos. Hanno un ottimo team. Hanno un ottimo vice segretario. Abbiamo appena parlato di Steve Feinberg. Hanno uno dei leader del movimento America First in politica estera, Bridge Colby, un mio caro amico che dirige il dipartimento politico, ora di fatto il numero tre del Pentagono.

Ha molti ottimi collaboratori di livello medio e junior sotto di lui, e arriveranno alcuni ottimi sottosegretari. Si tratta di persone di livello mondiale. Non sono politicanti. Persone come Mike Duffy dell’A&S, Emil Michaels dell’ANS Acquisition and Sustainment del Research and Engineering Service. I segretari, credo, saranno ottimi. Dan Driscoll, anche se ha un secondo lavoro alla guida di un’agenzia che non dovrebbe esistere, l’ATF, penso che abbia dimostrato di essere un ottimo segretario dell’esercito.

E guarda, una delle cose che preferisco, Tucker, è ammettere di essersi sbagliati sulle persone. Una persona su cui mi sono sbagliato è John Phelan. Ero scettico sul suo ruolo di segretario della Marina. E finora, devo dire, lui e il suo team hanno iniziato alla grande. Penso che Troy Mink sarà un fantastico segretario dell’Aeronautica. E quindi c’è questo fantastico team sotto il segretario che può permettergli di avere un successo incredibile. Deve superare questa cosa. Deve circondarsi di un team solido nel front office. E questo non è un appello per riassumermi. Io, sinceramente, voglio solo andare avanti e tornare a fare quello che facevo prima, essere un sostenitore dall’esterno. Ma, ma, sai, senza Darin, me e altri, lui, lui, ha bisogno di un team forte. E ci sono persone fantastiche che penso potrebbero farlo.

TUCKER CARLSON: E questo presidente del Joint Chiefs.

DAN CALDWELL: Oh, devo dire che è interessante. Lo hai citato. Il presidente Dan Razin Caine. Incredibilmente impressionante. E in realtà penso, se devo essere sincero, che una delle cose che ha scatenato l’opposizione al presidente Trump e al segretario sia stata proprio la sua nomina. Molti volevano che il segretario e il presidente seguissero la strada normale, comprese alcune persone all’interno dell’amministrazione, e scegliessero un comandante combattente, un generale Kurilla o un ammiraglio Paparo. A me l’ammiraglio Paparazzi piace molto.

Ma volevano che seguissero quella strada. Invece hanno fatto qualcosa che doveva essere fatto: hanno tirato fuori dal pensionamento un uomo di grande successo. Qualcuno che non ha fatto tutto nel modo giusto e non ha soddisfatto tutti i requisiti nella sua carriera, ma che è incredibilmente intelligente, incredibilmente attento nel modo in cui affronta i problemi, per diventare presidente. E questo ha sconvolto molte carriere.

Se guardi questi libri in cui viene spiegato come si promuovono i generali, ci sono delle piccole mappe che indicano dove andranno le persone e ci sono molte persone che andranno in questo ruolo, in quello, e poi il presidente del Joint Chief of Staff, il vice presidente. Diventeranno il capo di stato maggiore dell’esercito. E promuovendo Kang, hanno sconvolto molte carriere. È difficile sopravvalutare quanto questo gesto sia stato offensivo per gran parte della leadership militare degli Stati Uniti. E penso che questo sia stato uno dei motivi per cui abbiamo iniziato a vedere più fughe di notizie, a partire dalla metà di marzo.

TUCKER CARLSON: E non provenivano da te?

DAN CALDWELL: No, assolutamente no. E, ripeto, è ovvio per chiunque abbia lavorato al Pentagono da dove provenissero.

TUCKER CARLSON: Ti ringrazio molto per aver dedicato tutto questo tempo, Tucker.

Considerazioni finali

DAN CALDWELL: È stato un onore essere qui. E vorrei solo dire che penso che dovresti essere orgoglioso perché hai svolto un ruolo fondamentale nell’aiutare a fermare alcune cose davvero brutte nella politica estera. La tua piattaforma ha davvero contribuito a invertire la tendenza, penso, in molti modi diversi. E penso che tu meriti molto credito per questo.

TUCKER CARLSON: Voglio solo essere utile, ma lo apprezzo molto. Dan Caldwell, grazie mille e buona fortuna.

DAN CALDWELL: Grazie.

Negoziati con l’Iran in gioco, di Kamran Bokhari

Negoziati con l’Iran in gioco

Con una crisi di successione incombente, Teheran è alla disperata ricerca di un alleggerimento delle sanzioni.

Da

 Kamran Bokhari

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17 aprile 2025Aprire come PDF

La diplomazia dell’amministrazione Trump con l’Iran va ben oltre la non proliferazione nucleare. Qualunque cosa accada, avrà implicazioni enormi per Teheran in un momento in cui il regime è sull’orlo di una transizione critica della leadership. Per molti versi, i colloqui tra Stati Uniti e Iran sono molto più difficili degli sforzi per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina. Indipendentemente dal loro esito, i negoziati tra Stati Uniti e Iran rimodelleranno il Medio Oriente e si riverbereranno in tutta l’Eurasia.

Il 15 aprile, l’inviato speciale del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, ha chiesto sui social media all’Iran di eliminare il suo programma di arricchimento nucleare. Il giorno prima, dopo un incontro con il ministro degli Esteri iraniano in Oman, aveva dichiarato a Fox News che l’amministrazione cercava solo di limitare le capacità di arricchimento dell’Iran, non di smantellarlo completamente. Questo cambiamento retorico è avvenuto dopo una controversa riunione alla Casa Bianca a cui hanno partecipato Witkoff, il vicepresidente JD Vance, il segretario di Stato Marco Rubio, il segretario alla Difesa Pete Hegseth, il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il direttore della CIA John Ratcliffe. Secondo un rapporto di Axios, Vance, Hegseth e Witkoff sono favorevoli al compromesso per garantire un accordo, mentre Rubio e Waltz chiedono lo smantellamento completo.

Il disaccordo all’interno della Casa Bianca di Trump riflette tensioni strategiche più profonde. Innanzitutto, un accordo che per ora limita l’arricchimento non eliminerebbe il rischio che l’Iran oltrepassi la soglia nucleare nel tempo. Gli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica non possono fare molto per monitorare le attività di un regime determinato a trasformare la tecnologia nucleare in arma. Le proposte di ispettori statunitensi sono difficilmente praticabili, dato il mezzo secolo di ostilità tra le due nazioni.

Inoltre, l’opzione militare rimane sul tavolo, ma è in contrasto con l’obiettivo dichiarato da Trump di evitare “guerre per sempre”, soprattutto in Medio Oriente, la regione più instabile del pianeta. Ma soprattutto, il sistema internazionale è già instabile mentre l’amministrazione Trump sta rivedendo la politica estera degli Stati Uniti. L’ultima cosa che Washington vuole è essere risucchiata di nuovo nel Medio Oriente, come è successo a molte amministrazioni precedenti, invece di concentrarsi sui modi per contrastare l’ascesa geoeconomica e tecnologica della Cina.

Eurasia | Iran


(clicca per ingrandire)

Evitare la guerra è ancora più critico per l’Iran. La Repubblica islamica è al suo punto più debole dal 1979. La sua economia è in crisi e la disaffezione dell’opinione pubblica è ai massimi storici. Un attacco statunitense distruggerebbe probabilmente gli impianti nucleari iraniani e potrebbe portare al collasso del regime stesso.

Quando ha raggiunto l’accordo nucleare del 2015 con l’amministrazione Obama, Teheran sperava di aver trovato un equilibrio tra la sua ambiziosa politica estera e il contenimento del dissenso in patria. Questa convinzione è stata disattesa quando la prima amministrazione Trump ha annullato l’accordo nel 2018 in favore della “massima pressione”. L’Iran ha cercato di rilanciare l’accordo durante l’amministrazione Biden, ma la Casa Bianca l’ha ritenuto troppo tossico dal punto di vista politico.

Poi le cose sono peggiorate. L’Iran ha pagato un prezzo altissimo per aver sostenuto Hamas dopo l’attacco a sorpresa del gruppo contro Israele il 7 ottobre 2023. Un anno dopo, le forze israeliane hanno decimato la leadership di Hezbollah, il principale gruppo della rete regionale di proxy dell’Iran, e ne hanno distrutto le capacità offensive. Di conseguenza, meno di due mesi dopo, Teheran ha perso un altro alleato con il crollo del regime di Assad in Siria. Privato dei suoi proxy nel Levante, l’Iran ha avuto poche opzioni per rispondere a un’offensiva israeliana contro la sua rete e ha colpito direttamente Israele, solo per vedere ulteriormente esposte le sue profonde vulnerabilità quando gli attacchi di rappresaglia israeliani hanno neutralizzato una parte significativa delle sue difese aeree. Le fratture all’interno del regime iraniano si sono allargate. Dalla supervisione di una sfera contigua che si estendeva fino al Mediterraneo orientale, Teheran sta ora difendendo la sua presa sull’Iraq.

Il regime iraniano, sempre più disfunzionale, non può sperare di continuare a reprimere il dissenso pubblico ancora a lungo. Ogni giorno che passa, il governo della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha guidato la Repubblica islamica per 36 dei suoi 46 anni e che questo mese compie 86 anni, si avvicina alla fine. Una volta che Khamenei sarà fuori dai giochi, l’esercito – a sua volta diviso tra l’ideologico Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e il più professionale Artesh (forze armate regolari) – sostituirà probabilmente il clero come nucleo del regime. Un accordo a dir poco fragile. Soprattutto, Teheran deve evitare che la morte di Khamenei diventi un punto di raccolta per una rivolta pubblica, mentre il Paese passa a un nuovo e difficile accordo di condivisione del potere. Pertanto, l’Iran ha bisogno di un po’ di tregua dalle sanzioni per poter migliorare la situazione economica e politica interna prima che inizi la crisi di successione.

La conservazione del regime è sempre stata l’obiettivo principale della Repubblica islamica. Non è mai andata oltre la modalità di sopravvivenza perché la sua ideologia non ha mai preso piede a livello nazionale. La sua crisi di legittimità è stata aggravata dall’incapacità di costruire un’economia sostenibile, conseguenza della sua posizione revisionista e del confronto permanente con gli Stati Uniti e con l’intera regione. Dal 2002, Teheran ha usato il suo programma nucleare per ottenere un limitato alleggerimento delle sanzioni. Questa strategia si è ora scontrata con un muro. L’Iran ha perso l’influenza. È più disperato che mai, ma qualsiasi apparenza di resa potrebbe innescare il disfacimento del regime. Ecco perché i negoziati tra Stati Uniti e Iran non si limitano a costruire un accordo, come nel caso della diplomazia tra Stati Uniti e Russia.

Washington è divisa sulla portata e sui termini di un accordo, ma la discordia a Teheran è molto più grave. Le realtà geopolitiche impediscono all’Iran di ritirarsi. Ma l’incoerenza interna del regime e il potenziale di percezione errata aumentano il rischio che l’Iran faccia male i conti. Un fallimento della diplomazia porterebbe probabilmente alla guerra.

Nel frattempo, i negoziati tecnici e politici procederanno lentamente. Nel migliore dei casi, un accordo negoziale bloccherebbe il percorso dell’Iran verso l’armamento nucleare in cambio di un limitato alleggerimento delle sanzioni. Ma qualunque cosa accada, l’ambiente strategico iraniano è sul punto di cambiare radicalmente.

Hamas, Palestina e Israele_di Vladislav B. Sotirovic

Hamas, Palestina e Israele

Hamas, o secondo il nome completo, “Movimento di resistenza islamica”, è un’organizzazione politico-nazionale palestinese con un’ala militare di natura e orientamento islamico conservatore. Il suo scopo è resistere all’occupazione israeliana, mantenere la resistenza e lottare per la creazione di uno Stato palestinese indipendente. È stata ufficialmente fondata il 10 dicembre 1987, con la città di Gaza come quartier generale nella Striscia di Gaza. Che cos’è Gaza? Gaza può definire sia una striscia di terra controllata dai palestinesi, stretta tra Israele ed Egitto, sia una città con lo stesso nome all’interno della cosiddetta “striscia”. La città di Gaza è la più grande dei Territori palestinesi contesi. Si trova lungo la costa del Mar Mediterraneo nella Striscia di Gaza. La stessa parola araba hamās significa “coraggio”, “zelo” e/o “forza”. L’ideologia politica dell’organizzazione è multiforme: islamismo, antisionismo, fondamentalismo islamico, nazionalismo islamico, ma soprattutto nazionalismo palestinese. È importante sottolineare che la religione di Hamas (come quella di tutti i palestinesi musulmani) è l’Islam sunnita, non sciita, e quindi l’organizzazione non gode del sostegno diretto dell’Iran sciita (come invece fa Hezbollah sciita nel Libano meridionale).

Sebbene Hamas sia stata fondata in Egitto, l’organizzazione è incentrata sul nazionalismo palestinese e sulla resistenza a Israele come forza occupante e sulla creazione di uno Stato nazionale palestinese indipendente. Tuttavia, lo scopo dichiarato di Hamas non è solo quello di liberare la Palestina, ma di distruggere lo Stato sionista di Israele e sostituirlo con uno Stato islamico indipendente. Oltre al suo compito politico, Hamas mantiene anche un’importante rete di servizi sociali utili e diversi per i palestinesi che vivono nei Territori Occupati e in questo modo cerca di sostenere il popolo palestinese e allo stesso tempo di indebolire il governo israeliano. Tuttavia, l’ala militare di Hamas spesso si occupa di attività violente come attacchi missilistici o attentati suicidi per realizzare i suoi obiettivi politici. L’organizzazione ha due braccia: una è una fazione militare, le Brigate Izz ad-Dim al-Qassam, mentre la fazione civile si occupa di servizi umanitari e sociali.

In origine, Hamas era un’organizzazione affiliata alla non violenta Fratellanza Musulmana, ma nel 1988 ha rotto i legami con essa scegliendo di iniziare la resistenza armata e attività violente nella ricerca dell’indipendenza e dello Stato di Palestina. Hamas ha attirato l’attenzione sia regionale che internazionale dopo la sua vittoria nelle elezioni legislative generali del 2006 tra i palestinesi (Autorità Nazionale Palestinese autonoma), ma allo stesso tempo il trionfo elettorale (secondo il quale Hamas aveva la maggioranza nel Consiglio Legislativo Palestinese) ha favorito una nuova ondata di politiche islamofobiche nell’Israele sionista. Il punto più importante della questione era che dopo la vittoria elettorale di Hamas, il cui programma politico cruciale è la liberazione della Palestina dall’occupazione israeliana, la demonizzazione sionista di tutti i palestinesi come qualcosa di simile agli odiati arabi è stata ora alimentata con un nuovo termine negativo: “musulmani fanatici”. Da quel momento in poi, il governo israeliano ha combinato il discorso di odio anti-palestinese con politiche aggressive contro i palestinesi. Di conseguenza, la situazione politica nei Territori Occupati (dal 1967) si aggravò, accompagnata da una situazione già deprimente e orribile in cui vivevano i palestinesi.

La demonizzazione ideologica, razziale, politica e umana diretta dei palestinesi arabi musulmani mediorientali da parte delle autorità sioniste israeliane subito dopo la Dichiarazione di Indipendenza di Israele il 14 maggio 1948, 1948, durò fino al 1982, quando i palestinesi furono descritti come i nazisti antisemiti locali, nonostante il fatto che il nuovo governo israeliano avesse adottato una politica antisemita contro i palestinesi, anch’essi di origine semitica, che furono sottoposti a pulizia etnica e sterminati fisicamente dai sionisti in Israele per creare uno stato nazionale sionista-ebraico più grande e puro, “dal fiume al fiume” (dall’Eufrate al Nilo). L’appropriazione dei nomi arabi dei luoghi in Palestina, ad esempio, fa parte di una strategia sionista volta a cancellare ogni traccia della storia non ebraica della regione (ad esempio: Fuleh palestinese/Afula ebraica; Masha e Sajara araba palestinese/Kfar Tavor e Ilaniya israeliane, ecc.

Tuttavia, nella storia recente delle relazioni sioniste-palestinesi, ci sono state più espressioni di islamofobia. Ad esempio, il caso della fine degli anni ’80, quando circa 40 lavoratori palestinesi arabi (su una comunità di 150.000) furono coinvolti nell’omicidio dei loro datori di lavoro ebrei e di passanti. La reazione ebraica israeliana di alcuni accademici, politici e giornalisti fu immediata nel collegare il caso alla cultura e alla religione islamica, ma senza alcun riferimento all’occupazione militare del mercato del lavoro servile sviluppato sul campo dai padroni sionisti. La successiva esplosione di islamofobia sionista in Israele si è verificata durante la seconda Intifada palestinese nell’ottobre 2000, quando è stato molto più facile per l’establishment politico e i media israeliani demonizzare di fronte al mondo sia l’Islam che i palestinesi musulmani, poiché la seconda Intifada era, di fatto, una rivolta militarizzata principalmente da parte di alcuni gruppi islamici, compresi gli attentatori suicidi. La terza tendenza dell’islamofobia è iniziata dopo le elezioni generali del 2006 per l’Autorità Palestinese, quando Hamas ha vinto le elezioni per l’organo politico rappresentativo palestinese, quando è stato utilizzato più o meno lo stesso o un modello molto simile di atteggiamento anti-islamico e anti-palestinese come i due precedenti. Tuttavia, dopo il 7 ottobre 2003, quando iniziò la guerra tra Israele e Hamas, la retorica sionista sull’Islam e i palestinesi è stata inquadrata nell’ottica che assolutamente tutto ciò che è musulmano e/o palestinese è direttamente associato al terrorismo, alla violenza, all’antisemitismo e alla disumanità. Inoltre, viene applicata ancora una volta la retorica precedente di nazificare tutto ciò che è palestinese e islamico. Tuttavia, in generale, la demonizzazione dell’Islam e dei palestinesi è una pratica in Israele fintanto che Hamas e la sua organizzazione clone, la Jihad islamica, sono impegnati in attività di guerriglia militare, che sono viste dai sionisti israeliani come terroristiche. In realtà, una retorica così dura ed estremista ha come obiettivo finale quello di cancellare sia la ricchissima storia dei palestinesi che l’eredità storica della cultura islamica sul territorio della Palestina, sotto l’ombrello politico della lotta contro Hamas come organizzazione “terroristica”.

Di solito, i sionisti israeliani dipingono Hamas come un’organizzazione terroristica composta da un gruppo di fanatici religiosi (islamici) barbari e pazzi. Tuttavia, in realtà, Hamas, come altre organizzazioni e movimenti regionali nel quadro dell’Islam politico, riflette la reazione dei palestinesi arabi locali alle crudeli realtà dell’occupazione da parte delle autorità statali sioniste israeliane (con l’assistenza diretta e aperta degli Stati Uniti e l’approvazione silenziosa dell’UE), e una risposta alle soluzioni inefficienti progettate dal segmento laico dell’organismo nazionale palestinese (Fatah/OLP). In generale, è stato molto strano che le autorità israeliane, statunitensi e dell’UE non fossero preparate alla vittoria elettorale di Hamas nel 2006 e siano state quindi colte di sorpresa dai risultati delle elezioni. Un’altra sorpresa è stata la natura democratica della vittoria alle elezioni, poiché tutte le fonti sioniste stavano diffondendo la propaganda secondo cui gli islamisti radicali fanatici non possono essere né democratici né popolari, il che significava che non sarebbero stati in grado di vincere le elezioni con mezzi democratici. Questo è stato, fondamentalmente, il risultato di incomprensioni e false previsioni da parte degli esperti israeliani della questione palestinese, soprattutto per quanto riguarda l’influenza dell’Islam politico e delle sue forze, per lungo tempo, anche prima della Rivoluzione Islamica del 1979 in Iran. Il governo israeliano permise nel 1976 le elezioni municipali nei Territori Occupati della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, poiché il governo era convinto che i vecchi politici filo-giordani sarebbero stati eletti in Cisgiordania e i politici filo-egiziani nella Striscia di Gaza, ma la gente votò in netta maggioranza per i rappresentanti dell’OLP. Ciò non sorprese le autorità israeliane, poiché l’espansione della popolarità dell’OLP era parallela agli sforzi di Israele per eliminare i movimenti palestinesi laici sia nei campi profughi che nei Territori Occupati.

Va chiaramente notato che Hamas è diventato una forza politica importante grazie alla politica israeliana di sostegno al funzionamento del sistema educativo islamico nella Striscia di Gaza, proprio per controbilanciare l’influenza del movimento laico Fatah sui palestinesi di Gaza. Yasser Arafat e altri quattro membri fondatori hanno istituito Fatah (o Movimento per la liberazione nazionale della Palestina) come organizzazione negli anni ’60, ma ufficiosamente Fatah esisteva in Kuwait dal 1957 come conseguenza e influenza delle crisi causate dai rifugiati palestinesi.

La questione dei rifugiati palestinesi affonda le sue radici storiche nel 1948, quando l’Israele sionista, sotto l’egida della Guerra d’Indipendenza, commise una pulizia etnica dei palestinesi arabi semitici. La divisione della Palestina nel 1947 in stati sionisti ebrei e arabi palestinesi causò lo sfollamento degli abitanti locali e l’amarezza di circa 800.000 palestinesi. Tuttavia, ancora oggi, il numero di rifugiati palestinesi è stimato intorno ai 4 milioni. La crisi dei rifugiati è continuata durante le guerre successive nel 1967 e nel 1973 e continua ancora oggi con lo sfollamento dei palestinesi a causa degli insediamenti sionisti israeliani in Cisgiordania e, dall’ottobre 2023, con la barbara distruzione della Striscia di Gaza da parte delle IDF, che ha distrutto il 60% delle abitazioni. Tuttavia, non tutti i palestinesi sfollati risiedono nei campi profughi, infatti solo poco più di un milione risiede nei campi gestiti dall’ONU nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, Libano, Siria e Giordania. Va notato che il Regno di Giordania è l’unico paese ad aver permesso ai rifugiati palestinesi di stabilirsi permanentemente all’interno del paese.

Secondo l’UNRWA, i rifugiati palestinesi sono ufficialmente definiti come:

“…persone il cui luogo di residenza abituale era la Palestina tra il giugno 1946 e il maggio 1948, che hanno perso sia le loro case che i mezzi di sussistenza nel conflitto arabo-israeliano del 1948”.

La politica sionista-israeliana di colonialismo dei coloni è per la maggior parte dei nazionalisti palestinesi al centro del conflitto in Palestina dalla fine del XIX secolo in poi, poiché il colonialismo dei coloni è una proiezione politica, non un episodio individuale. Il colonialismo sionista dei coloni è, in realtà, radicato nella politica di lungo periodo del colonialismo dell’Europa occidentale in tutto il mondo. I sionisti ignoravano l’esistenza e i diritti degli abitanti indigeni della Palestina. Consideravano erroneamente gran parte dell’area come “terra di nessuno” e, quindi, la sovranità su tale terra poteva essere acquisita attraverso l’occupazione e il colonialismo dei coloni. Di conseguenza, tutte le organizzazioni e i movimenti nazionali palestinesi, da Fatah e l’OLP all’attuale Hamas, includevano la lotta contro il colonialismo sionista dei coloni come parte necessaria dei loro programmi politici.

Fatah è stata fondata come organizzazione laica per la resistenza palestinese e la formazione di uno stato nazionale indipendente dei palestinesi, che è diventato un movimento popolare che ha dato voce e potere al popolo. Fatah non aveva un’organizzazione armata fino al 1964, quando iniziò ad attaccare Israele, assumendo la guida (oltre che laica) dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) nel 1968 (dopo la Guerra dei sette giorni del 1967). L’OLP fu fondata nel 1964 dal Congresso Nazionale Palestinese a Gerusalemme con il suo primo leader, l’egiziano Ahmed Shukairy. In realtà, l’OLP fu un’idea della Lega Araba, che si riunì nel gennaio 1964 per discutere dei modi per aiutare i palestinesi senza danneggiare gli stati membri della Lega. L’obiettivo politico principale dell’OLP era quello di creare uno stato nazionale laico e indipendente per i palestinesi, con la pretesa di non permettere ai rifugiati palestinesi di essere espulsi per sempre dalle loro case e dalla loro terra. Utilizzando, in molti casi, azioni violente contro Israele, Fatah/OLP estese le sue attività ai campi profughi palestinesi negli stati confinanti come il Libano, che venivano utilizzati come campi di addestramento per gli attacchi lanciati contro Israele. Il Fatah subì una grave battuta d’arresto nel 1970-1971, quando fu espulso dalla Giordania. Tuttavia, il Fatah mantenne la leadership politica dell’OLP sotto Yasser Arafat. Negli anni ’80, l’ideologia si ammorbidì, poiché Israele non era più considerato come un paese da non esistere, ma piuttosto da rispettare e da permettere l’indipendenza della Palestina araba laica. L’Autorità Palestinese governa gran parte del territorio palestinese. L’Autorità è stata dominata fino al 2006 dai membri dell’OLP. Tuttavia, dopo la morte di Yasser Arafat nel 2004, ciò che restava dell’OLP è stato incorporato in altre organizzazioni palestinesi, con la maggior parte del potere assorbito dall’Hamas, movimento islamico antisecolare.

La cosa più importante è sottolineare che ci sono molti esperti sulla questione palestinese, seguiti da alcuni funzionari israeliani che credono che Hamas sia stata, in realtà, una creazione israeliana in modo diretto o indiretto. Più precisamente, le autorità israeliane hanno aiutato l’organizzazione di beneficenza chiamata Società Islamica, fondata dal religioso islamico Sheikh Ahmed Yassin nel 1979, a diventare un movimento politico influente, dal quale nel 1987 è stata creata l’organizzazione Hamas. Ahmed Yassin fondò Hamas e ne divenne il leader spirituale fino alla sua morte (assassinio) nel 2004. Tuttavia, fu contattato da funzionari israeliani che gli offrirono di collaborare e successivamente di espandere la sua attività, poiché credevano che attraverso la sua attività caritatevole ed educativa, Ahmed Yassin, in quanto persona molto influente, avrebbe partecipato alla creazione di un contrappeso al potere del movimento laico Fatah nella Striscia di Gaza e persino ai palestinesi non di Gaza. La ragione era semplice ma sbagliata: Israele pensava che i movimenti laici dei palestinesi e di tutti gli altri arabi circostanti fossero il nemico mortale della sicurezza israeliana. La società di A. Yassin, in base all’accordo raggiunto con le autorità israeliane, aprì persino un’università islamica nel 1979, seguita da una rete indipendente (da Israele) di scuole, club e moschee per i palestinesi.

L’OLP, in seguito agli accordi di Oslo (raggiunti tra l’OLP e Israele il 13 settembre 1993), ottenne la maggioranza dei seggi nelle elezioni del Consiglio legislativo palestinese nel 1996, assumendo da un lato un ruolo di primo piano nella conclusione di un accordo con Israele, ma svolgendo anche un ruolo cruciale nella (seconda) Intifada del 2000. Tuttavia, Hamas, in quanto emanazione della Società Islamica, divenne nel 1993 il principale critico sociale e nemico politico degli Accordi di Oslo. Poiché il governo israeliano voleva modificare la maggior parte degli accordi, seguiti da una brutale politica di insediamenti israeliani in Cisgiordania (utilizzando le forze armate contro i nativi palestinesi), il sostegno nazionale palestinese a Hamas aumentò. In altre parole, a metà degli anni ’90 Hamas era considerata dai palestinesi l’unica vera organizzazione politica in grado di proteggere i diritti e gli interessi nazionali palestinesi. Un’ulteriore ragione della crescente popolarità di Hamas tra i palestinesi che vivono nei Territori Occupati è stata la politica fallimentare di altre organizzazioni palestinesi che perseguivano un programma laico per risolvere la questione palestinese in termini di status politico, statualità, occupazione, welfare e sicurezza economica. Pertanto, la maggioranza dei palestinesi ha rivolto le proprie speranze di risolvere questi problemi alla religione, che offriva politiche di sostegno, carità e solidarietà (islamica). Di conseguenza, Hamas ha sconfitto il laico Fatah per il controllo del Consiglio legislativo palestinese nel 2006, e una breve guerra civile ha visto Fatah perdere il controllo della Striscia di Gaza pur mantenendo la sua posizione di leader in Cisgiordania.

Dopo la morte di Yasser Arafat (leader dell’OLP) nel 2004, si è creato un vuoto sulla scena politica tra i palestinesi, che Hamas è riuscita a colmare relativamente presto poiché il successore di Arafat, Mahmoud Abbas, non era una persona carismatica come Arafat e, quindi, non godeva di sufficiente rispetto e piena legittimità. D’altro canto, però, Yasser Arafat era stato delegittimato dalle autorità israeliane e americane, che avevano invece accettato M. Abbas come presidente legale di tutti i palestinesi. Era il periodo della Seconda Intifada (2000-2005), quando Israele eresse il muro e utilizzò i blocchi stradali, seguiti dagli omicidi organizzati dei politici palestinesi e degli attivisti nazionali. Una situazione del genere ha ridotto il sostegno all’Autorità Nazionale Palestinese e, di fatto, non ha offerto ad Abbas una grande popolarità, soprattutto nelle zone rurali e nei campi profughi, e al contrario, ha aumentato il prestigio di Hamas, che è diventata l’unica organizzazione politica pronta e in grado di lottare per la libertà palestinese. Ciò significa che i palestinesi non avevano alcuna reale possibilità di voto e di fiducia se non in Hamas. Tuttavia, la propaganda sionista israeliana descriveva i palestinesi come un popolo irrazionale e antidemocratico (contrariamente agli ebrei razionali e democratici) che aveva scelto la parte sbagliata della storia e, quindi, il profondo divario culturale e morale che separava questi due popoli.

Dal 2006 ad oggi, tra i palestinesi c’è la speranza che il successo politico e persino militare di diverse organizzazioni militanti e fondamentaliste islamiche nell’espellere gli israeliani dalla Striscia di Gaza sia possibile, ma Hamas è considerata la più promettente in questo senso. Indipendentemente dai risultati finali dell’attuale guerra tra Israele e Hamas (iniziata il 7 ottobre 2023), Hamas è diventato profondamente radicato nella società palestinese, soprattutto grazie ai suoi tentativi riusciti di migliorare le miserabili condizioni di vita della gente comune fornendo assistenza medica, istruzione organizzata, assistenza sociale e lottando con un linguaggio chiaro per i diritti dei rifugiati palestinesi (dal 1948) di tornare a casa (a differenza della posizione indefinita dell’Autorità Nazionale Palestinese).

Infine, cos’è la Palestina? La Palestina (in arabo, Al-Filastīniyya) è una nazione autoproclamata indipendente e autogovernata in Medio Oriente, tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. I confini autoproclamati della Palestina come stato includono formalmente parti di Israele, Siria, Libano, Giordania e Territori Palestinesi. Il nome etnico palestinese deriva da un antico termine che indicava la terra e il popolo che vi si stabilì, i Filistei, 3000 anni fa. Molti stati in tutto il mondo hanno riconosciuto ufficialmente la Palestina. Tuttavia, la maggior parte degli stati occidentali non lo ha fatto per motivi politici, in particolare gli Stati Uniti. L’animosità e i conflitti costanti tra Palestina e Israele dal 1948 hanno contribuito in modo fondamentale all’instabilità palestinese e agli sforzi per raggiungere una pace definitiva tra le autorità palestinesi di autogoverno e le forze di occupazione e governative dell’Israele sionista, sostenute in modo schiacciante dall’amministrazione statunitense. Con oltre 4 milioni di persone e una forma di governo repubblicana, la Palestina è oggi principalmente un territorio occupato, con ampie fasce di terra sotto l’occupazione militare israeliana e gli insediamenti illegali sionisti. In generale, la Palestina è strettamente controllata dalle forze di occupazione israeliane. La Palestina ha un presidente, un primo ministro e un consiglio legislativo con capitale ufficiale a Ramallah, ma la maggior parte dei suoi uffici amministrativi lavorano fuori dalla città di Gaza perché la nazione è divisa dalle forze di occupazione israeliane principalmente in due parti: la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

I territori palestinesi (dopo l’occupazione ottomana) furono divisi dal mandato britannico dopo la prima guerra mondiale. La Palestina storica fu nuovamente divisa nel 1947 con la creazione di uno stato palestinese, uno stato ebraico (sionista) di Israele e un’entità separata per la città santa condivisa di Gerusalemme. Tuttavia, questo piano fu controverso e divenne il fondamento dell’attuale lotta per la terra tra Israele e i territori palestinesi. La prima guerra arabo-israeliana scoppiò nel 1948 quando una parte ebraica del mandato britannico sulla Palestina dichiarò la propria indipendenza il 14 maggio (il 15 maggio 1948, giorno della Nakba o catastrofe palestinese, iniziò la guerra con la pulizia etnica dei palestinesi), privando la parte palestinese del mandato di ulteriori territori. Alcune parti del territorio palestinese erano controllate da Israele e altre dall’Egitto. Durante la nuova guerra tra Israele e i paesi arabi nel 1967, Israele occupò, tra gli altri, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

La Palestina dipende molto economicamente da Israele. Il territorio ha riserve di gas naturale e produzione agricola, ma manca di grandi industrie. In sostanza, qualsiasi prosperità economica della Palestina dipende direttamente dalle relazioni politiche tra Israele e le autorità palestinesi. Gli embarghi generali israeliani sono più o meno costanti e, quindi, limitano le risorse naturali disponibili e il potenziale economico da utilizzare correttamente, causando la fame e la disumanizzazione dei palestinesi.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici

Belgrado, Serbia

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

© Vladislav B. Sotirovic 2025

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LA QUESTIONE CURDA. IL SOLITO COSTOSO BAZAR?_di Antonio de Martini

DURA ORMAI DA OLTRE UN SECOLO E SERVE DA ALIBI AD OGNI AVVENTURA POLITICA E MILITARE NEL VICINO E MEDIO ORIENTE. ORA METTE ALLA PROVA LA STRATEGIA E COESIONE DELLA NATO

I Curdi non hanno mai avuto uno stato, perché la stragrande maggioranza non l’ha mai voluto. Non ne capiscono l’utilità e le funzioni. Vivono in clan e non vogliono padroni. Sono in gran parte nomadi e grazie al nomadismo difendono il loro stile di vita tradizionale, in questo simili agli iraniani.

Quando vessati, o ricercati dalle autorità, migrano in uno dei quattro stati di cui occupano una porzione ( Iran, Irak, Siria e Turchia). Il nomadismo e la latitanza, ne hanno spinte frazioni fin verso est – in Armenia- e ovest – in Libano.

Nessuno sa quanti siano, ma tutti si sbizzarriscono a dare i numeri che variano da 15 a 30 milioni a seconda della convenienza politica dei valutatori.

Il centro del Vicino Oriente si trova ad est della Mesopotamia, é un altopiano ed é abitato dai curdi. Vengono definiti ” una popolazione Indo europea” che vuol dire che non sono semiti come gli arabi e gli ebrei e – contrariamente agli iraniani- sono sunniti.

Quando col XIX secolo e la scoperta del petrolio gli europei iniziarono a praticare il ” divide et impera” , furono scoperti e valorizzati dai tedeschi prima ( contro gli inglesi), dai russi poi ( contro la NATO) ed infine dagli israeliani in cerca di contrappesi geopolitici agli arabi. Ma procediamo con ordine…

UN PO DI STORIA

Dai tempi di Dario e Ciro ( VIII secolo a.c.) i popoli dell’altopiano furono leali sudditi e soldati degli imperi che si sono succeduti nell’area, fino a che con la battaglia di Cialdiran ( 23 agosto 1514) che segna la massima espansione turca verso est, il territorio abitato dai curdi venne diviso in due tra gli imperi safavide e ottomano.

La situazione restò inalterata – turchi e persiani non si sono più combattuti da allora – fino alla fine della prima guerra mondiale (1918) quando le potenze vincitrici si spartirono il territorio ricco di petrolio.

Da quel momento, dopo un periodo di euforia post bellica in cui alla Società delle Nazioni si parlò di un Kurdistan indipendente, come vaticinato dai tedeschi perché si armassero contro gli inglesi che occupavano l’Iran, l’area abitata dai curdi risultò divisa in quattro: Iran, Siria e Irak – i due stati satellite di Francia e Inghilterra – e Turchia, dato che nessuno volle proseguire la guerra contro la neonata Repubblica turca di Mustafa Kemal che aveva dimostrato di voler combattere e aveva sconfitto in Anatolia greci e francesi e la cui guardia personale era composta da un battaglione curdo.

Dopo la seconda guerra mondiale, con l’ingresso della Turchia nella NATO ( a seguito della sua partecipazione nella guerra di Corea a fianco degli USA) la questione curda non si risvegliò fino a metà degli anni 80 , quando, istigati dall’URSS e in funzione anti NATO, il PKK ( partito curdo dei lavoratori) insorse in armi contro la Repubblica turca promuovendo azioni di guerriglia usando la tattica di rifugiarsi nei paesi vicini dopo le incursioni.

l più grosso sforzo per sedentarizzarli lo fece lo Scià Reza I, padre dell’ultimo regnante di Persia, ma la possibilità di spostarsi in uno dei paesi vicini, li ha sempre protetti anche contro queste “razionalizzazioni.”

I Curdi hanno combattuto contro ognuno dei paesi ospitanti, spesso contemporaneamente, finanziati da chi li combatteva in casa propria e usava a sua volta i curdi del vicino con finalità di disturbo analoghe.

Hanno preso le armi contro i turchi in Turchia (su mandato dell’URSS in funzione anti NATO), ma poi, su mandato siriano, quando la Turchia varò il grande piano agricolo dell’est costruendo molte dighe – 32 – minacciando, come poi avvenuto, di ridurre di oltre il 40% del gettito dell’Eufrate e dando il via alla crisi agricola che é stata una delle cause del conflitto in atto.

Il rapporto con gli israeliani, iniziato in funzione anti irachena ed ereditato poi dagli USA ha prodotto anche cocenti delusioni per via degli stop and go  ( specie nel 1991 e nel 2003) e dei finanziamenti a singhiozzo che seguivano l’andrivieni degli interessi USA.

Grazie alla lunghezza del conflitto siriano (per ora 12 anni) e della riluttanza israeliana e americana a intervenire direttamente con truppe proprie, una qualche stabilità di collaborazione sembra essere stata trovata, ma ha suscitato dubbi e sospetti della Turchia che dovrebbe considerare nemici i curdi del PKK e amici gli stessi guerriglieri se abbigliati come miliziani delle forze democratiche curde di indipendente siriana…

Fino a poco tempo fa, il solo paese con cui i curdi erano in pace era l‘Iran col quale condividono anche la struttura della lingua, benché – secondo la narrativa USA- dovrebbero essere in frizione in quanto sunniti. Oggi, il 90% dei partecipanti alla recente rivolta repressa nel sangue in Iran, é risultato di etnia curda e su di essi si é abbattuta la repressione degli Ayatollah, annullando l’ultimo rifugio oltrefrontiera di cui disponevano. Incassati i quattrini degli americani e l’amnistia degli Ayatollah, non c’é ragione che la situazione non torni tranquilla.

LA SITUAZIONE OGGI

Con i turchi esiste un residuo di guerra ex URSS gestito dal PKK ( partito curdo dei lavoratori) e da Abdullah Ocalan che tutti conosciamo per essere stato consegnato ai turchi da un altro avanzo del comunismo questa volta italiano.

Coi siriani esiste uno stato di pace, di guerra e di cooperazione ad un tempo: cooperano per difendere i villaggi curdi dall’ISIS e dai turchi che cercano di penetrare in territori siriani. Cooperano anche con gli USA per mantenere viva la leggenda dell’esercito libero siriano, zeppo di curdi e carente di arabi siriani. Non si tratta di incoerenza, bensì di residui di lealtà personali acquisite negli anni dai vari capi clan. L’idea base é che gli americani vanno sfruttati, coi siriani ci si arrangia comunque. Coi turchi no.

Sui curdi rimasti sull’altopiano, troneggiano le due famiglie egemoni da sempre: i Talabani che dominano nella zona di Erbil e i Barzani  che comandano nella capitale Sulmanya.

Un tentativo di impadronirsi di Mossul (e zone petrolifere adiacenti) e zone adiacenti, fu frustrato dal nuovo esercito iracheno.

La chiave di lettura della intera vicenda  è che i curdi, in realtà detestano il centralismo e lo combattono. Loro stanno sugli altopiani e gli arabi in pianura. Perché obbedirgli? 

Noi europei, crediamo che combattano per la democrazia, sconosciuta da queste parti, e ci stanno simpatici perché le foto delle soldatesse curde sono tutte  belleSono modelle israeliane fotografate per la propaganda anti Assad pagata dallo zio Sam.

In Svezia, rifugio gradito fino a ieri anche ai turchi perché lontano, gli esuli si sono organizzati, ormai sono centomila e – grazie alle superiori capacità di empatia tipiche dei levantini – radicati anche politicamente. Da bravi mediorientali idolatrano le bionde queste li apprezzano per l’attaccamento alla prole e la notizia che la Svezia richiede di associarsi alla NATO ha scatenato la fantasia mercantile di turchi e curdi che intendono sfruttare questa opportunità per ottenere vantaggi da tutte le parti in causa facendo sospirare indefinitamente la loro approvazione gli uni e sabotandola gli altri.

In realtà, per gli USA é un fatto di coerenza della loro narrativa anti russa, ma l’apporto militare svedese (e finlandese) é certamente minore di quello turco. Militarmente i Turchi possono reggere con oltre un milione e mezzo di uomini e il controllo degli stretti, il fronte sud della NATO mentre la Svezia esce da due secoli di neutralità durante la quale ha fornito all’ONU funzionari e caschi blu in gradite zone semitropicali.

Per i russi é importante propagandisticamente che la Scandinavia resti ufficialmente neutrale anche se sanno che é schierata con l’occidente (segnatamente gli inglesi) da sempre. Sono come l’Ucraina: di fatto sono già NATO, formalmente evitano di ostentare.

Nella realtà, la vicenda é stata sottovalutata dagli Europei del Nord e gli USA, pensando che Erdogan volesse solo mercanteggiare a fini elettorali e sopravvalutata da Erdogan che deve aver deciso che era il contenzioso che gli avrebbe risolto la vita.

Avrebbe sistemato in contemporanea la vicenda degli S400 russi ( comprati, irritando gli USA, per assicurarsi la supremazia aerea), la vicenda dell’ammodernamento dell’aeronautica con gli F16, sanando le casse dello stato con Putin e assicurandosi la rielezione a maggio. La campagna elettorale USA nel 24 e il recente terremoto hanno complicato la situazione, al punto che persino il cautissimo Consiglio supremo della Difesa italiano ha recentemente emesso un comunicato chiedendo più attenzione e il rafforzamento del fianco destro ( se preferite il fronte sud) della NATO rispetto al nord pompato per ragioni di polemica anti russa.

In questa differenza di valutazione tra i due più forti eserciti dell’Alleanza Atlantica potrebbe inserirsi la Russia con, ad esempio, una donazione di dieci tonnellate annue di oro per due lustri e la fornitura semi gratuita di greggio e gas per dieci anni, in cambio di un raffreddamento – già avviato da noi – con l’occidente.

Scompaginerebbe la NATO, comprometterebbe il controllo occidentale degli stretti e del Levante, costerebbe meno di una guerra e cambierebbe la carta geopolitica del mondo, chiudendo la porta dell’Asia agli USA e aprendo quella del mediterraneo alla Russia.

https://corrieredellacollera.com/2023/02/07/la-questione-curda-il-solito-costoso-bazar/

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miti e realtà delle tribu curde, di Adriano F Votta

Adriano F Votta

Sto commentando durante un viaggio da Lattakya a Damasco.
Voglio dire alcune cose, a chi sta vivendo emozioni, e prendendo opinioni, sulla base di quello che ascolta Dalla stampa occidentale :

Isis è stato sconfitto da esercito siriano, iraqeno, hezbolla e Russia, non dai curdi.
L intervento offensivo dei curdi, è giunto insieme a Usa, volontari stranieri e ex ribelli filo curdi, solo quando Siria e Russia, stavano riprendendo territori al isis.

Il confine con l Iraq, è strategico, infatti Usa Arabia e Israele, vogliono togliere il controllo a Damasco, in quanto alleato del Iran.
Sino a prima del offensiva di tre anni fa, dei siriani, Usa e curdi si limitavano alla difesa delle loro postazioni, e gli usa arrivarono a bombardare l esercito siriano (Deyr al zour 2017), per favorire Isis nella cattura di una città assediata.

I comandanti curdi stanno prendendo milioni da Usa e Israele (in realtà pagano i Saud), per non convergere con Damasco, ed occupare due lembi di confine, a Nord e a Ovest.

A nord non li vogliono i turchi, che vorrebbero impiegare i loro jhadisti, cioè quelli che chiamavate ribelli moderati anni fa.

A ovest stanno bloccando l’afflusso di petrolio per strangolare l’economia siriana.

Qui c’è il razionamento di carburante per i privati.
Questo significa prezzi alti per tutto, dalle verdure al taxi, meno lavoro e difficoltà ad andare a trovare i parenti al ospedale o recarsi al università, dalle campagne alla città.
Questo x colpa dei curdi, che fanno i cani da guardia per gli Usa.

Il Kurdistan non è quello che credete.
Il Kurdistan non è un cerchio in mezzo ad altri stati
Ad esempio Qamisli, capoluogo di provincia nella regione di Hasakie, è occupata per metà città, e nei dintorni, dai curdi, ma Qamisli non è curda, anzi, fu fondata dagli armeni, sul territorio adiacente due villaggi Assiro cristiani.
Gli armeni fuggivano dai turchi a nord, dal genocidio, e i curdi, i nonni di questi comandanti ypg o pkk, aiutavano i turchi, per rubare terre case e bestiame ai fuggitivi.

Il mito dei curdi, come tutti i miti per occidentali, è fasullo, e solo una rappresentazione Hollywoodiana, banale e stereotipata.

La forza militare che ha avuto più morti, e ha inflitto più perdite, al isis, come ad alqaeda, è esercito Siriano, seguito dagli iraqeni e da Hezbolla.

L esercito siriano ha quindi sconfitto Isis, il resto è propaganda Hollywoodiana.

I curdi che si definiscono popolo delle montagne, ora hanno il culo piantato nel deserto sui pozzi di petrolio, e vedrete, tempo poche settimane, cedere con grande resistenza televisiva, quanto nulla militare , tutti i villaggi da campagnoli al confine, da cui provengono.

Provate a schiodarli dai pozzi di petrolio di Abu Omar, al confine con l Iraq, dove non c’era un singolo residente curdo, e lì vedrete invece lottare come belve.

Lumi sul Vicino Oriente, di Antonio de Martini

IL FLUIDO QUADRO STRATEGICO TURCO

IL bombardamento che ha bloccato il progredire del convoglio di rinforzi turchi all’avamposto di MOREK, non è rimasto senza conseguenze.

Già la settimana scorsa i turchi hanno abbattuto un aereo siriano lasciando nella indeterminatezza la sorte del pilota.

Subito dopo, Erdogan ha emesso un comunicato ufficiale annunziando di non riconoscere l’annessione russa della Crimea, dove era stato più volte in visita per incontrare Putin.

Non mi è chiaro se questa dichiarazione sia un episodio di baruffa tra innamorati o un secondo movimento di ritorno alla casa atlantica, dopo la commissione mista che studia i futuri pattugliamenti nella zona di sicurezza.

Aspettiamo l’esito della terza mossa che è la ripresa dell’attività diplomatica verso i comprimari della crisi siriana.

Mevut Cavusoglu , il Ministro degli Esteri che riesce a resistere ai cambiamenti di rotta più repentini, è appena rientrato da Beirut dove ha cercato appoggi.

La grande debolezza militare del Libano, ne ha fatto un interlocutore obbligato ad avere rapporti amichevoli con tutti i protagonisti dello scenario.il veicolo ideale.

Gli interessi in comune sono numerosi: il Libano ospita il secondo, per importanza, numero di sfollati siriani sul suo territorio ( Turchia 3,6 milioni; Libano 2,3).

A fronte di Cipro che gode della protezione israeliana grazie a una convenzione militare trilaterale coi Greci, il Libano ( che ha la sua quota di concessioni gaspetrolifere in mare), potrebbe volersi appoggiare alla Turchia dato che ha in contenzioso i limiti con Israele e Trump sta vanificando l’appoggio offerto da Obama ai libanesi.

I siriani hanno catturato alcuni militari turchi e per liberarli vogliono indietro il loro pilota.

Abbas Ibrahim, il capo dell’intelligence libanese ha relazioni eccellenti con tutto il Vicino Oriente, ma eccezionalmente buone coi siriani e potrebbe essere il veicolo negoziale ideale per un accordo Siro-Turco che renderebbe anche superflua la presenza militare russa al confine sud di Ankara .

Una mossa pacificatrice del genere sarebbe una vendetta verso i russi e, al contempo, un favore agli USA e un alleggerimento per i siriani, nonché un diminuito allarme per i curdi.

Un “ en plein” regionale.

Per atti ostili verso la Siria, i turchi avrebbero potuto rivolgersi più proficuamente verso la Giordania o l’Arabia Saudita, dunque la mossa verso il Libano mostra che Erdogan vuole stabilizzare la sua frontiera ed è più interessato a posizionarsi come potenza regionale.

Al posizionamento globale mostra sempre meno interesse.
E non è il solo.

KHAN CHEIKHUN: UOVO, GALLINA, FRITTATA.

Khan Cheikhun é il nome della località della provincia di Idleb (Siria) conquistata pochi giorni fa dall’esercito governativo siriano.

La provincia in questione é stata finora occupata dalla branca siriana di Al Kaida che ora ha cambiato nome in “Haya Tahrir el Sham “ per poter godere di assistenza e rifornimenti occidentali e della « protezione politica » della Turchia.

Lo SM turco ha, nella provincia, alcuni « punti di osservazione” il più avanzato dei quali è Morek, che in realtà è un caposaldo.

Dopo l’occupazione/liberazione di Khan Cheikhoun da parte siriana, i turchi si erano premurati di rifornire in armi e munizioni il loro “ punto di osservazione” più esposto a un attacco.

Numerosi media hanno informato l’Occidente di un bombardamento di un convoglio di rifornimento in marcia verso Morek ( 50 camion e 5 carri e alcuni VTT) inviato prevedendo una ulteriore avanzata siriana.

Il bombardamento potrebbe, ragionano i media, essere cagione del possibile deterioramento dell’intesa russo-turca del settembre 2018 costituente una zona di sicurezza congiunta in quell’area.

Il bombardamento, dicono gli analisti, non può essere stato realizzato nella ignoranza dei russi.

È la speranza di vedere uno screzio tra Russia e Turchia ( sempre i benedetti S400!) che ha indotto i media a dare, eccezionalmente, notizia di una vittoria di Assad.

Putant quod cupiunt.

L’artiglieria siriana e l’aviazione russa sono entrambe intervenute ma con distinte – politicamente raffinate – modalità di intervento.

I siriani hanno usato l’artiglieria provocando al convoglio 3 morti e 12 feriti civili (del MIT il servizio segreto turco?).

L’aeronautica russa ha invece effettuato una incursione davanti al convoglio distruggendo la strada ancora da percorrere ( ma nel contempo offrendo copertura aerea ai siriani per impedire agli F16 turchi ogni attacco),senza mirare ai turchi.

Si è trattato, a mio avviso, di una chiara messa in guardia a Erdogan e al suo Stato Maggiore: se volete a sud una zona di sicurezza con noi e a est un’altra con gli USA, state sognando.

Al contempo, la Russia sta mantenendo l’impegno coi siriani a difendere l’indipendenza e l’integrità del territorio nazionale.

Se i turchi cedono a Idlieb, Putin ha mantenuto la promessa alla Siria.

Se invece fermano la nuova fascia di sicurezza con gli USA, Putin ha messo un’altra zeppa nel rapporto Trump-Erdogan.

Non è – come affermato dagli analisti- la Russia che ha violato le intese di pacificazione di Astana : è la Turchia che ha creato una situazione nuova con la “ fascia di sicurezza” a pattugliamento congiunto turco-americano ( ancora in fieri) e ha incassato un “ caveat” dai russi.

Ora la Turchia deve scegliere tra l’uovo di oggi ( assieme agli alleati di sempre di Tahrir El Sham) della zona di Idleb e la gallina di domani ( in mezzo ai nemici curdi di sempre) verso Mossul.

Anche i russi han difeso il loro uovo siriano senza troppo turbare la gallina turca che potrebbe dare uova d’oro.

Temo proprio che la frittata la farà la commissione mista turco-americana incaricata di definire limiti e regole di ingaggio della “ zona di sicurezza” lungo la frontiera verso Hassake e Mossul.
Let’s wait and see.

Migranti e portatori di pace, a cura di Giuseppe Germinario

 

MIGRANTI

qui sotto un testo tradotto dell’analista africanista Bernard Lugan. Coglie un aspetto importante dei processi migratori. Ve ne sono ormai aggiunti altri. A migrare non è nemmeno la componente più povera di quel continente; questa non se lo può permettere. E’ presente inoltre una componente sempre più importante legata all’esportazione e al radicamento di organizzazioni mafiose in particolare dell’Africa del Nord-Ovest. Numerose inchieste in varie città italiane, riportate sui giornali locali, molto meno su quelli nazionali, stanno iniziando ad offrire barlumi di verità_Giuseppe Germinario

Nel 2017 (i dati completi per 2018 non sono noti), il jihadismo, nella sua accezione più ampia ha causato 10.376 morti in Africa (Fonte:Centro di studi strategici per l’Africa). Per quanto drammatiche siano, queste cifre non giustificano che centinaia di milioni di africani debbano essere ospitati. Siamo infatti non in presenza di una vera e propria condizione di pericolo di persone tale da giustificare l’applicazione di un “diritto d’asilo”, diventato la filiera ufficiale dell’immigrazione. Non è infatti il jihadismo a spingere i “migranti” africani a forzare le porte di un’Europa paralizzata dalla tunica di Nessus etno-masochista, ma la miseria. I migranti economici, quindi non hanno diritto di restare nei paesi europei. Non se ne dispiacciano contrabbandieri ideologici e papa.

Per avere una chiara idea del vero tributo umano del jihadismo africano, passeremo in rassegna le sue aree di attività, vale a dire la Somalia, Egitto, Libia, Nigeria e la regione del Sahel-Sahara.

1) Somalia: delle 10376 morti causate dal jihadismo africano nell’accezione più ampia, 4557 – ovvero il 44% del totale – sono stati uccisi dal Shabaab della Somalia, anche se non sappiamo se si tratta di puro jihadismo , guerra civile o entrambi.

2) l’Egitto e il Sinai: 391 morti nel 2017 (contro 223 nel 2016) causate dallo Stato islamico e da Al Mourabitun.

3) Libia: 239 morti, la maggior parte delle quali membri dello Stato Islamico uccisi dalle milizie che lo combattono.

4) Nigeria (Boko Haram): dopo il picco di 11 519 morti nel 2015, nel 2017, il numero totale di morti è raggiunto la cifra di 3329.

5) La regione del Sahel sahariana (Mali, Niger, Burkina Faso): Il bilancio delle vittime è purtroppo quasi raddoppiato in un anno, da 223 nel 2016-391 nel 2017. Dei 391 morti, 253 sono attribuibili al gruppo Jama ‘ ha Nusrat al-Islam wal Muslimeen.

 

Se togliamo dalle 10.376 vittime del jihadismo globale i 4557 decessi somali, nel 2017, per il resto della loro azione terra africana, i jihadisti hanno provocato 5819 morti. Alla scala delle vaste zone colpite, e in relazione a una popolazione di circa 400 milioni di persone che vivono lì, non siamo ovviamente in presenza di popolazioni in pericolo tale da provocare un esodo che giustifichi la domanda di asilo.

Tuttavia, in passato, l’Africa ha sperimentato uccisioni di massa veri, in particolare tra il 1991 e il 2002, quando la guerra civile algerina ha causato la morte di più di 60 000 persone (e anche più di 100 000 secondo alcune ONG), circa 6000 l’anno. Allo stesso modo, nel decennio 1980-1990 la guerra civile in Liberia ha provocato più di 150.000 morti, pari a circa 15 000 l’anno; o tra il 1991 e il 2002 quella della Sierra Leone ha causato più di 120 000 morti, circa 12 000 l’anno. Per non parlare delle guerre di Ituri e Kasai ecc

 

Ma in quei momenti non abbiamo conosciuto un’ondata di “rifugiati” a immagine di ciò che l’Europa sta soffrendo attualmente.

Questa non è la guerra dalla quale fuggono questi “migranti” africani forzando le porte dell’Europa, con l’aiuto dei contrabbandieri professionali o ideologici. In Africa, il jihadismo in realtà provoca tre volte meno vittime dei morsi di serpente. Mamba, vipere di sabbia e altri naja  nel 2017, ucciso tra i 25.000 e i 30.000 poveri e reso molte vite storpie (Slate fonte Africa).

Queste persone non sono “rifugiati” che temono per la loro vita e ai quali noi “dovremmo” dare il benvenuto e proteggere mentre cercano di entrare nel “Eldorado” europeo; sono clandestini. Attratti dal nostro “benessere” e dalle nostre leggi sociali generose, questi squatters (occupanti abusivi) si introducono per effrazione in un’Europa a lasciarli entrare, come diceva Chesterton; l’attuale Papa lo rovela nel suo discorso in nome di “antiche virtù cristiane impazzite.”

Bernard Lugan

2019/01/27

 

 

PORTATORI DI PACE

La maggioranza del Congresso Americano, democratici e buona parte dei repubblicani, ha bocciato la decisione di Trump del ritiro delle forze militari americane da Siria ed Afghanistan. Il Presidente Trump sarà pure paralizzato nella sua azione politica; sta di fatto che la sua pura e semplice esistenza sta costringendo le forze politiche a mettere da parte ogni ipocrisia e a manifestarsi apertamente. Sarà sempre più difficile una operazione di mera restaurazione e di recupero in tempi rapidi di credibilità ed autorevolezza; come pura di una riproposizione dello schema classico destra/sinistra-democratici/conservatori.

qui sotto il link e la traduzione di una nota

In this Jan. 29, 2019, photo, Senate Majority Leader Mitch McConnell, R-Ky., speaks to reporters at the Capitol in Washington. In a rebuke to President Donald Trump, the Senate has voted 68-23 to advance an amendment that would oppose withdrawal of U.S. troops from Syria and Afghanistan. The amendment from McConnell says Islamic State and al-Qaida militants still pose a serious threat to the United States and warns that “a precipitous withdrawal” of U.S. forces from Syria and Afghanistan could allow the groups to regroup and destabilize the countries.

GLI STATI UNITI NEL VICINO ORIENTE. ORDINI E CONTRORDINI_intervista ad Antonio de Martini

Trump ha annunciato il ritiro delle truppe dalla Siria e dall’Afghanistan. Putin ha sostenuto la scelta dell’amico Donald “sempre che riesca a darvi corso”. Un annuncio che ha innescato un ulteriore conflitto all’interno dello staff presidenziale, con le dimissioni del generale Mattis e certamente accelererà le dinamiche già convulse nel Vicino Oriente. Al provvedimento, sempre che abbia seguito, farà certamente da contrappeso qualche compensazione alle vittime designate di questa scelta: parte dei curdi sul campo di battaglia, l’Arabia Saudita di Ben Salman nel contesto geopolitico di quell’area. Non di meno la scelta assume un carattere dirompente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://www.youtube.com/watch?v=-BUnvgcHFR4&feature=youtu.be

 

I MAESTRI DEL NULLA GOVERNANO PACE E GUERRA SFRUTTANDO LA NOSTRA IGNORANZA, di Antonio de Martini

I MAESTRI DEL NULLA GOVERNANO PACE E GUERRA SFRUTTANDO LA NOSTRA IGNORANZA. tratto da https://www.facebook.com/antonio.demartini.589/posts/1352550311557423

Su proposta del Kuwait e della Svezia – cioè degli Stati Uniti- è stata presentata – e approvata con voto unanime- una risoluzione, priva di sanzioni per i trasgressori, in cui si chiede una tregua ” per trenta giorni consecutivi” durante i quali sia possibile evacuare – non si dice verso dove- i feriti più gravi e rifornire 1244 tra città e villaggi ” assediati” da non meglio specificate truppe.

Per accontentare il delegato siriano Jaafari, spalleggiato dalla diplomazia russa, il testo aggiunge che la tregua non è valida per alcune fazioni ” The truce does not apply to military operations against Islamic State, al-Qaida and the Nusra Front “and other terrorist groups as designated by the security council”.

Poiché è ormai chiaro che

a) oltre il 45% del territorio siriano era già in mano alle truppe lealiste e comprendeva il 70% degli abitanti del paese.

b) le organizzazioni ribelli escluse dalla tregua: EI, AL KAIDA,AL NUSRA, rappresentano il 90% dei combattenti ribelli e a questi si aggiunge la dizione ” a coloro giudicati tali dal Consiglio di sicurezza”.

c) la tregua non si applica alla enclave di Afrin assediata dalle truppe turche, nei pressi del confine, di cui non si fa menzione alcuna.

d) non si fa parola dei ” combattenti curdi” che hanno recentemente occupato la fascia frontaliera tra Turchia e Siria suscitando la reazione delle truppe turche che già combattono da trenta anni i curdi dalla loro parte della frontiera.

La tregua umanitaria serve a considerare utile il Consiglio di sicurezza, umani i componenti che da sei anni tentano di trovare una formula di compromesso accettabile a tutti e intelligente la signorina Halley che presentando la proposta di tregua per interposta persona da l’idea che la guerra di Siria non sia già perduta.

Nessuna notizia invece dallo Yemen , dove una tregua – e urgenti rifornimenti medici sarebbero utili a stroncare l’epidemia di colera in corso- e dall’Afganistan dove le truppe USA sono sul terreno da sedici anni e continuano a costruire strade strategiche smagnetizzabili in direzione nord, mentre il “pessimo Iran” ospita tre milioni di profughi Afgani sul proprio territorio.

L’Iran non gode di tregue e continua ad essere sottoposto a sanzioni economiche a richiesta di Benjamin Netanyahu inseguito dalla propria polizia per aver unito l’utile al dilettevole nel settore delle forniture militari e non.

Facciamo due conti: se ci sono 1244 borghi sotto assedio, poniamo ciascuno da parte di una sola compagnia di cento uomini ( senza sostituzioni) , abbiamo 124.000 soldati lealisti ai quali andrebbero aggiunti , diciamo trentamila lasciati a presidio delle grandi città ( Damasco, Aleppo, Hama, Homs, Deraa, Deir Ezzor, le frontiere, gli aeroporti ecc). Aggiungiamo un battaglione di mille uomini accorsi in aiuto ai curdi di Siria in funzione antiturca ( che i media USA hanno dato per bombardato) , e abbiamo un totale di 155.000 militari ( più aeronautica e Marina e polizia), ossia, in totale il doppio delle truppe disponibili a inizio ostilità.

Una seconda considerazione territoriale. Se a DAESCH sconfitto restano 1244 borghi in mano ai ribelli ( altrimenti perché risulterebbero assediati?) dovremmo concludere che il totale borghi in mano ai ribelli non può essere stato – guerra durante- inferiore a cinquemila…..

Ultima considerazione di carattere “umanitario”.
Se per evacuare i feriti e gli inabili ( e i combattenti armati…) da Aleppo fu necessaria una settimana, come mai per svuotare villaggetti serve il quadruplo del tempo?
Se per evacuare gli Yazidi dall’area del Monte Sinjiar – stimati in cinquantamila e risultati cinquemila che rifiutarono il trasferimento – fu previsto un ponte aereo lampo, come mai trenta giorni adesso?

Risposta malevola mia: forse con questa tregua di lunga durata vogliono evacuare i consiglieri americani, i “jihadisti” provenienti dall’area occidentale europea e israeliana e preferiscono che avvenga alla spicciolata nel tentativo di evitare che vengano notati da qualche giornalista in cerca di scoop.

MAMMA MIA, MAMMA LI TURCHI, di Antonio de Martini

MAMMA MIA!

Il governo turco, immediatamente dopo la fulminea visita di Erdogan a Roma, ha annunziato un vertice con Russia e Iran sul tema della Siria.

C’era già stato un vertice analogo a novembre e alla riunione di Astana, in Kazakistan ( prossimo paese ad essere destabilizzato) si affermò, realizzandolo poi sul terreno, la creazione di una serie di luoghi adatti per la de-escalation.

Come risultato, circa centomila profughi sono tornati alle loro case.
Troppo pochi, ma meglio di niente.

A questa iniziativa di pace, ha fatto seguito l’apertura di un nuovo fronte con nuovi protagonisti: truppe turche, nell’operazione ” ramo d’olivo” hanno invaso una enclave di frontiera occupata da elementi curdi armati dagli Stati Uniti.
I combattimenti sono iniziati il 20 gennaio e siamo al 10 febbraio.

I curdi hanno dato ad intendere di possedere mezzi antiaerei tipo STINGER abbattendo un aereo russo.

I turchi si sono adoprati per recuperare il corpo del pilota, a dimostrazione che distinguono la loro posizione da quella americana.

Il sottocapo di SM turco ha anche dichiarato che se gli ” advisor” americani vestono le stesse uniformi dei curdi, hanno gli stessi distintivi e partecipano ai combattimenti, ” distinguerli sarà molto difficile” . Un capolavoro di minaccia indiretta.

Gli USA hanno poi diffuso foto di ” carri armati che si ritirano dall’Irak per compiuta missione” .
Ritirarsi via terra, significa andare verso l’Arabia Saudita o verso la Siria.
Il Pentagono ha anche riconosciuto che nove carri armati Abrams ” sono finiti in mano a ribelli siriani” non meglio specificati.
Imparare ad usarli richiede almeno tre mesi di intenso addestramento…

Si preparano a uno scontro indiretto di prova, salvo poter dare la colpa a “focosi e incontrollabili alleati.”
Vogliono uccidere, ma non vogliono la guerra.
Quiindi, per ora, gli USA bombardano i governativi siriani, i turchi bombardano i curdi e i russi bombardano i ribelli siriani.

In pratica ognuno bastona il fratello piccolo dell’altro, solo che la Turchia sembra stanca di fare da spalla agli americani e questo rischia di scoprire il fianco sud della NATO che, come denunziato ieri dal generale @ Vincenzo Camporini, ex capo di Stato Maggiore della Difesa, è già strutturalmente debole a causa dell’incomprensibile mania di mandarci a presidiare i cieli del nord Europa per rasserenare le isterie delle Repubbliche baltiche.

Se esiste un pericolo, oggi questo è nell’area mediterranea.
Se abbiamo interessi strategici da difendere, questi sono in Libia, Egitto e nel Levante.
Se abbiamo prosperità da cercare, dobbiamo cercarla a est.
Non possiamo permetterci un alleato tanto ricco da stanziare 700 miliardi per la Difesa e poi pretendere di dividere le spese con noi.

 

MAMMA LI TURCHI

Hulusi Akar capo dell’esercito turco ha dichiarato che le FFAA turche sono in grado di combattere contemporaneamente sul fronte siriano e nell’Egeo. ( vogliono partecipare allo sfruttamento delle acque di Cipro. Nota per Cristiana Fischer che chiedeva cosa Erdogan è venuto a dire a Gentiloni).

È riuscito con una sola frase breve a inverare due nostri detti popolari.

a) la storia non insegna niente
b) la mamma dei fessi è sempre incinta.

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