GAS E POLITICA/ L’importanza e i nemici del Piano Mattei italiano, di Marco Pugliese

GAS E POLITICA/ L’importanza e i nemici del Piano Mattei italiano

Marco Pugliese

L’accordo siglato in Libia è molto importante per l’Italia, anche in ambito europeo. Ma ci sono anche degli “alleati” che remano contro questa strategia

meloni dbeibah libia 1 lapresse1280 640x300 Giorgia Meloni con il premier libico Abdul Amid Dbeibah (LaPresse)

Partiamo da un dato: la Libia era al primo posto in Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, ora invece viaggia verso gli ultimi posti ed è tra i più pericolosi (ex) Stati del mondo. L’export del petrolio fino al 2011 aveva nell’italiana Eni il suo assetto principale. Ricordiamo che la Libia detiene il 38% del petrolio africano ed è in grado di soddisfare l’11% dei consumi europei. Di fatto è un Paese-asset strategico da cui la nostra produzione industriale trae linfa vitale.

Non bisogna poi dimenticare che l’Italia dal 2011 a oggi ha perduto commesse, tra infrastrutture e contratti di estrazione, per un valore di 5 miliardi di euro. Il valore in termini economici (energetico più infrastrutture) ammonta a 140 miliardi di euro nell’immediato e sarebbe pari a circa quattro volte e mezzo se l’esportazione energetica e di greggio tornasse a livelli precedenti la crisi del 2011.

Questa premessa per capire l’importanza del recente accordo Eni-Libia, di fatto pilastro di quel “piano Mattei” invocato più volte dalla premier Giorgia Meloni, che nelle dichiarazioni congiunte con il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah, ha affermato: “L’Italia è impegnata a fare la sua parte, per assicurare una maggiore unità di intenti da parte della comunità internazionale sul dossier libico ed evitare il rischio che alcune influenze lavorino per destabilizzare il quadro piuttosto che favorirlo”.

Una dichiarazione che ha messo il cappello all’accordo da 8 miliardi siglato da Eni in Libia tra l’ad Eni, Claudio Descalzi, e l’ad della National Oil Corporation (Noc), Farhat Bengdara, per avviare lo sviluppo delle Strutture A&E. Questo progetto andrà ad aumentare la produzione di gas per rifornire in monopolio l’intero mercato interno libico; e l’Italia sarà il nodo principale della rete di export verso l’Europa. Il prezzo e i flussi saranno gestiti da Roma, che di fatto potrà utilizzare questo canale privilegiato come leva nei confronti del Nord Europa, altra bisettrice energetica del continente. Grazie a questi accordi il nostro Paese sarà in grado di poter gestire in equilibrio le future partite energetiche europee, senza imposizioni. Questo grazie al ruolo dato dall’autonomia energetica che si vuole raggiungere. In più l’accordo consentirà di mettere al sicuro la Libia a livello energetico, di fatto creando lavoro e portando sviluppo tecnologico al Paese, con effetti di stabilizzazione sul piano sociale.

Energia e immigrazione

Giorgia Meloni in conferenza stampa ha ricordato che “il contrasto ai flussi di immigrazione irregolare per noi rimane un dossier centrale. Nonostante gli sforzi, i numeri delle migrazioni irregolari dalla Libia verso l’Italia sono ancora alti. Gli ingressi irregolari in Italia sono oltre il 50% delle persone che vengono dalla Libia, si devono intensificare gli sforzi in materia di contrasto al traffico e alla tratta di esseri umani, assicurando un trattamento umano alle persone interessate”. In sintesi l’Italia, anche tenendo in sicurezza le installazioni Eni (già presenti nel Paese), aiuterà il Governo libico nel processo di normalizzazione.

Russia e Francia

Attualmente Russia e Francia portano in Libia armi dall’Egitto, che in segreto sogna di conquistare la Cirenaica. Il Paese tornerà in sicurezza solo con una vera e propria stabilizzazione. La Francia è nel ruolo di spettatrice interessata e non possiamo considerarla Paese amico al di fuori dell’Europa. È la stessa Francia che con Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza nemmeno avvisarci. Perché? Il funzionario Sidney Blumenthal rivelò che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente sul piatto c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total.<

Il piano Mattei è una strategia geoeconomica atta a darci autonomia energetica, senza la quale è a rischio perfino la permanenza nel G7, o comunque tra le nazioni mondiali più sviluppate. La politica green europea è già fallimentare e con elezioni continentali il prossimo anno è bene che il nostro Governo (questo come i prossimi) stia finalmente capendo che l’Europa è piena di mezzi amici e finti alleati, che vedrebbero felicemente venir meno i nostri interessi diretti in certi scenari. In questo senso, l’accordo con la Libia ha risvolti importantissimi.

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Libia: offuscamenti democratici sulla realtà, di Bernard Lugan

In Libia, le elezioni del 24 dicembre 2021 sono state cancellate e “rinviate”.

Gli ingenui  avevano assicurato che avrebbero chiuso la parentesi del caos aperta nel
2011 da un Nicolas Sarkozy molto mal ispirato da BHL. Un fallimento in più per il benpensante democratico-occidentale. Da quando nel 2011, rifiutando di prendere in considerazione le realtà umane, quest’ultima anzi pretende di ricostruire la Libia intorno

a prerequisito elettorale incompatibile con il sistema politico tribale. Quindi un vicolo cieco

sulla base di quattro grandi errori:
1) Il postulato dell’esistenza di una nazione libica. Ordunque, non esiste identità Libica. La costante storica è piuttosto la debolezza del potere centrale in relazione alle tribù. Le basi demografiche dei gruppi tribali sono certamente scivolato verso le città, ma il legami tribali non si sono certo allentati. Raggruppate in alleanze o confederazioni le tribù hanno loro proprie regole interne di funzionamento che non coincidono con la democrazia individualista occidentale basata su “Un uomo, un voto”.
2) Non aver visto che il colonnello Gheddafi aveva fondato il suo potere sull’equilibrio tra le tre principali confederazioni libiche.
Or dunque, eliminato il colonnello eliminò, queste ultime hanno riacquistato la propria autonomia in relazione al potere centrale.

3) Avere privilegiato politici di ritorno dall’esilio e ignorato le vere forze del paese

Ora, insediati dagli occidentali, questi politici non rappresentano che solo se stessi e

non le reali forze del paese che sono le tribù.

Il 14 settembre 2015, il Consiglio delle tribù della Libia aveva dichiarato a questo proposito che solo il figlio del colonnello Gheddafi, Seif al-Islam era autorizzato a parlare in loro nome.

4) Hanno imposto il prerequisito elettorale prima di ricostruire lo stato

La priorità però non sono le elezioni.
Come dopo il 1945, fu necessario stabilire un nuovo patto sociale partendo dalla realtà  tribale e regionale. Tutto al contrario, ingabbiati dalla loro ideologia, gli occidentali hanno postulato che le elezioni avrebbero permesso di raggiungere un consenso nazionale
tra le fazioni libiche.

Nel 2012 e 2014, tre elezioni sono state poi organizzate con un forcipe e hanno permesso di eleggere un Congresso Generale, un’Assemblea Costituente, poi una Camera dei Rappresentanti.
Nell’agosto 2014, minacciata dalle milizie, queste ultime si rifugiarono a Tobruk, in Cirenaica.
Invece di costruire consenso, queste tre elezioni hanno al contrario accentuato le divisioni locali, ampliato il divario tra Tripolitania e Cirenaica e provocato una guerra civile all’interno della guerra civile, specialmente in Tripolitania. Di conseguenza, una guerra di tutti contro tutti senza via d’uscita, punteggiato di accordi internazionali mai rispettati sul terreno e alla fine l’interferenza della Russia e della Turchia.
Oggi, e più che mai, la Libia è tagliata in due, messa male se non attraverso un sistema confederale in grado di riportare la Cirenaica e i Tripolitani a inventarsi un destino comune. Ma la “comunità internazionale ” si ostina ad esigere che la data delle elezioni sia

fissata …

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Mali e Libia: “Meno elezioni, più etnografia e ciascuno troverà il proprio rendiconto”, di Bernard Lugan

Considerazioni illuminanti, per altro già ribadite, di Bernard Lugan a proposito di Mali e Libia. A maggior ragione per l’Italia, visto il suo crescente coinvolgimento in posizione gregaria in questa area così prossima e strategica, sia dal punto di vista geografico che da quello dell’approvvigionamento energetico e dei flussi migratori. Lasciamo perdere, per il momento l’intreccio di relazioni economiche, altrettanto importanti, ma improponibili in condizione di guerra endemica. Un coinvolgimento in particolare al fianco della Francia, in chiara difficoltà in tutta l’area, con l’aggiunta clamorosa dell’Algeria. La Francia, appunto, un paese “fratello-coltello” che non ha esitato a sferrare un colpo distruttivo, ai danni dell’Italia in Libia, pensando di subentrarvi, in realtà aprendo ulteriori varchi a Turchia e Russia. Si ritorna sul luogo del delitto riproponendo la visione manichea di imposizione della “democrazia” in un contesto che richiede altre modalità di ricomposizione delle fratture; in caso di temporaneo e formale successo non farà che rendere endemica la condizione di guerra civile. Dobbiamo rassegnarci ai “successi” dei profeti dell’Occidente? Buona lettura_Giuseppe Germinario
Un breve comunicato stampa riassuntivo per fissare un punto fermo. Dal 2011 nel caso della Libia, e dal 2013 in quello del Mali – vedi i resoconti dei numeri di Afrique Réelle e i miei comunicati stampa – , lavorando solo sull’unico reale, annuncio ciò che accadrà a livello globale in entrambi i paesi. In tutta umiltà, i fatti sembravano darmi ragione:
1) In Mali siamo in presenza di due guerre, quella dei Tuareg al nord e quella dei Peul al sud. In entrambi i casi, la questione non è primariamente religiosa perché l’islamismo è solo la superinfezione di ferite etno-razziali millenarie. Nel nord la chiave del problema è detenuta da Iyad Ag Ghali, storico leader delle precedenti ribellioni tuareg. Quest’ultimo è però da tempo sostenuto dall’Algeria, come lo confermano i recenti incontri che ha appena avuto con i servizi algerini.
Fin dall’inizio, non dovremmo, come ho costantemente suggerito, arrivare a un’intesa con questo leader Ifora con cui abbiamo avuto contatti, interessi comuni, e la cui lotta è identitaria prima di essere islamista? Per ideologia, rifiutando di prendere in considerazione le costanti etniche secolari, coloro che fanno la politica franco-africana consideravano al contrario che fosse lui l’uomo da massacrare… Molto recentemente, il presidente Macron ha ordinato ancora una volta alle forze di Barkhane di eliminarlo. E questo proprio nel momento in cui, sotto il patrocinio algerino, le autorità di Bamako stanno negoziando con lui una pace regionale…
Anche il conflitto nel sud (Macina, Liptako e la cosiddetta regione dei “Tre Confini”) ha radici etno-storiche. Tuttavia, lì si svolgono due guerre. Uno è l’emanazione di grandi frazioni dei Fulani e il suo insediamento avverrà parallelamente a quello del nord, attraverso un negoziato globale. L’altro, su base religiosa, è guidato dallo Stato Islamico.
L’errore francese è stato quello di globalizzare la situazione quando era imperativo regionalizzarla. In tal modo :
1) Parigi non ha voluto vedere che l’EIGS ( Stato Islamico nel Grande Sahara ) e l’AQIM ( Al-Quaïda per il Maghreb islamico ) hanno obiettivi diversi. L’EIGS, che è attaccato a Daesh, mira a creare in tutta la BSS (Sahelo-Saharan Band), un vasto califfato transetnico che sostituisca e includa gli attuali Stati. Dal canto suo AQIM essendo l’emanazione locale di grandi frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, ovvero i Tuareg a nord e i Peul a sud, i suoi capi locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Peul Ahmadou Koufa, hanno principalmente obiettivi locali e non sostengono la distruzione degli stati del Sahel.
2) Parigi non ha voluto vedere che, il 3 giugno 2020, la morte dell’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Quaïda per tutto il Nord Africa e per il BSS, ucciso dalle forze francesi, ha cambiato radicalmente i dati del problema. La sua eliminazione diede autonomia al Tuareg Iyad ag Ghali e al Peul Ahmadou Koufa. Dopo quelle degli “emiri algerini” che avevano a lungo guidato Al-Qaeda nella SSB, quella di Abdelmalek Droukdal ha segnato la fine di un periodo, al-Qaeda non più governata da stranieri, da “arabi”, ma da “regionali”. “. Tuttavia, questi capi regionali hanno obiettivi etnoregionali radicati in un problema millenario nel caso dei Tuareg, laico in quello dei Peul. La mancanza di cultura dei leader francesi ha impedito loro di vederlo. Da qui l’attuale impasse. Tuttavia, avrebbero potuto pensare a ciò che scrisse il Governatore Generale dell’AOF nel 1953: “Meno elezioni e più etnografia, e ognuno troverà qualcosa di suo gradimento ” …
Tuttavia, per i leader francesi, la questione etnica è secondario o addirittura artificiale. Lo “specialista” che mi era succeduto all’EMS di Saint-Cyr Coëtquidan dopo che ne ero stato licenziato, non aveva paura di dire e scrivere che l’approccio etnico è un “c…. “. Con tale formazione in superficie, i nostri futuri capisezione furono quindi costretti a prepararsi alla loro proiezione nella BSS con la lettura clandestina del mio libro Les guerres du Sahel des origines à nos jours , opera costruita appunto dai corsi che tenni al L’Ecole de Guerre e l’EMS prima della mia cacciata…
2) In Libia dove la questione è prima di tutto tribale – e non etnica -, e dove la guerra insensata ispirata da BHL ha portato allo scioglimento delle confederazioni tribali, quindi nell’anarchia, ho spiegato fin dall’inizio che la soluzione risiede nella ricostruzione del sistema politico-tribale un tempo costruito dal colonnello Gheddafi. Inoltre, non ho mai smesso di sostenere che l’unico che può rimetterlo insieme è Seif al-Islam Ghedhafi, suo figlio. Per un semplice motivo: attraverso suo padre, fa parte delle alleanze tribali della Tripolitania, e attraverso sua madre, di quelle della Cirenaica. Attraverso di essa può quindi rinascere l’ingranaggio tribale su cui poggia tutta la vita politica del Paese. Tutto il resto è solo un’artificiosa patina politica europea-centrica.
Secondo alcune fonti, Seif al-Islam Gheddafi, sostenuto dal Consiglio tribale, starebbe valutando di candidarsi alle prossime elezioni. Dove e quando potrebbe annunciare la sua candidatura? Dalla Libia o da un paese del Maghreb?

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Libia, la realtà tribale_di Bernard Lugan

L’intervento franco-NATO del 2011, che si è svolto nella completa ignoranza delle sottigliezze politiche locali hanno sconvolto l’intarsio tribale libico, che ora impedisce qualsiasi pacificazione duratura

Nel lungo periodo, dal periodo greco-romano fino ad oggi, la grande costante
socio-politica della Libia è la debolezza del potere in relazione alle tribù.
Ce ne sono diverse dozzine se tuttavia contiamo solo le principali, ma diverse centinaia se teniamo conto di tutte le loro suddivisioni.

Le tribù libiche sono raggruppate in tre grandi alleanze regionali (coffs): la
Confederazione Sa’adi in Cirenaica, la confederazione Saff al-Bahar nel nord della Tripolitania e la Confederazione di Awlad Sulayman che occupa la Tripolitania orientale e interna così come il Fezzan.
All’interno di queste alleanze, le tribù più forti controllavano gli immensi corridoi di nomadizzazione sull’asse Mediterraneo-Ciad. Le tribù più deboli hanno praticato un semi
nomadismo regionale.
Proveniente dalla tribù Qadhadfa, (Confederazione Awlad Sulayman di Tripolitania), Muammar Gheddafi basava il suo potere su queste realtà tribali. Così, grazie al suo matrimonio con un Firkeche, un clan della tribù reale Barasa della Cirenaica, integrò nel suo sistema di alleanze le tribù della Confederazione Sa’adi di questa stessa Cirenaica.
A seconda degli eventi, ha favorito tale o tal altri componenti di queste confederazioni dimostrando un’intima conoscenza dei meccanismi tribali.
Siamo infatti in presenza di una società tribale, quindi comunitaria, in cui la vita politica non è organizzata intorno a partiti politici in stile europeo, ma dalle tribù.
Se le loro basi demografiche sono scivolate verso le città, i legami tra i loro membri non si sono per questo allentati finora.
Il colonnello Gheddafi aveva basato il suo potere sull’equilibrio tra i tre grandi sodalizi libici; è dal momento in cui queste alleanze tribali sono state distrutte che la situazione libica è caotica.
La priorità non è quindi proporre una soluzione democratica “in stile europeo”, ma lasciare che le tre confederazioni tribali ricostruiscano i collegamenti tra loro. Tuttavia, questa realtà tribale è stata ignorata o trascurata dalla diplomazia internazionale la quale si è ostinatamente rifiutata di lasciare che le tribù lo facessero come all’indomani della seconda guerra mondiale; vale a dire, discutere tra di loro per creare un nuovo patto sociale.
Invece, il processo di uscita dal conflitto è stata fondato sul dispositivo elettorale. Tre elezioni si sono poi tenute[1] le quali non solo non solo non sono servite a nulla poiché non hanno portato la pace, ma che, per di più, hanno accentuato ulteriormente la divisione Cirenaica-Tripolitania e provocato una implosione all’interno di queste due regioni.
L’altro errore è stato ignorare il caso Seif al-Islam, figlio del colonnello Gheddafi. Tuttavia, il 14 Settembre 2015, il Consiglio Supremo delle Tribù della Libia lo aveva nominato suo rappresentante legale, quindi come unica persona legittimata a parlare in nome
della vera linfa vitale della Libia. Inoltre, Seif alIslam è l’unico in grado di ricostituire l’alchimia tribale polverizzata dall’intervento militare di2011; lui che è legato ad entrambi gli Awlad Sulayman per parte di padre e ai Sa’adi da parte di madre. Attraverso la sua persona, potrebbe quindi essere ricostituito l’ordine istituzionale libico smantellato dal
guerra franco-NATO.

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La Libia del colonnello Gheddafi, di Bernard Lugan

Il 15 aprile 1973, fino a quel momento rimasto lontano dalla vita politica, Muammar Gheddafi si è imposto a capo del paese. Da quella data la Libia è diventata uno dei principali sostenitori delle reti terroristiche mondiali, dai Paesi Baschi all’Irlanda, passando per l’Africa e il mondo arabo.
Inoltre il colonnello Gheddafi aveva una politica sahariana-africana molto attiva. Ha mirato all’unione di popoli del Sahara, da cui il suo tropismo tuareg, e della regione del Ciad, da qui lunghe guerre contro la Francia. Si risolsero in due fallimenti per lui.

A differenza dell’Algeria dove la manna petrolifera serviva soprattutto ad arricchire il “sistema”, sotto il colonnello Gheddafi, la popolazione beneficiava del reddito da
idrocarburi, rendendo i libici privilegiati rispetto ai loro vicini. I servizi sanitari erano gratuiti, l’agricoltura era sovvenzionata per creare centri di produzione in pieno deserto con l’autosufficienza come orizzonte.
Dagli anni 2000, forse non istruito dall’esempio iracheno, il colonnello Gheddafi ha cambiato la sua politica, diventando anche un elemento moderatore e pacificatore della scena africana. Allora era un
corteggiato capo di stato che riceveva un benvenuto ufficiale a Parigi nel dicembre 2007, poi a Madrid.
Nel 2008 si è riconciliato con gli Stati Uniti e questo nello stesso anno la Libia assunse la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
L’unica minaccia al regime del colonnello Gheddafi è stato esercitato dagli islamisti
radicalizzatisi sotto l’impulso del precedente dell’Afghanistan inizialmente sostenuto dagli Stati Uniti. Dal 1995, la macchia era stata stabilita in Cirenaica dove, per quattro anni, si
intraprese una feroce lotta armata. Il colonnello Gheddafi li ha eliminati senza il minimo scrupolo, dichiarando al riguardo che:
“Quando un animale è malato, il veterinario deve macellarlo per evitare la contaminazione di altri animali (…) Non possiamo lasciare che questa epidemia arrici ad annientare la società. Dobbiamo essere crudeli. Chiunque sia colpito sarà considerato infetto da una
malattia grave e incurabile e dovrà quindi scomparire ”.
Nel febbraio 2011, il colonnello Gheddafi ha dovuto  affrontare una triplice rivolta, a est, in
Cirenaica, una regione sia autonomista che contesa dagli islamisti; a ovest, in Tripolitania,
nel jebel Nefusa, dove i berberi avevano giurato la fine di colui che non ha mai smesso di negare la loro identità a beneficio del nazionalismo arabo. A
Infine, Misurata, cittadina situata sulla costa, tra Tripoli e Bengasi che aveva un regolamento personale da definire con lui e dove la Turchia che aveva deciso di rovesciare il suo regime ha avuto un forte sostegno. Misurata è infatti sia la “capitale” Kouloughli che sono culturalmente rivolti verso la Turchia che roccaforte dei Fratelli Musulmani, cuore del regime di Ankara.
E mentre era diventato il nostro alleato nella lotta contro il jihadismo e contro l’immigrazione illegale, Nicolas Sarkozy e la NATO hanno dichiarato la guerra contro il colonnello Gheddafi. Quindi è stato in una sequenza di guerra civile tribale-regionale che la Francia è intervenuta per ragioni ancora molto oscure …
Infine, il 20 ottobre 2011, assediato nella città di Sirte bombardata dalla NATO, colonnello
Gheddafi ha tentato un’uscita. Il suo convoglio essendo stato attaccato da aerei della NATO, fu catturato da miliziani di Misurata e i suoi componenti ignominiosamente linciati.
Un episodio che lascerà delle tracce in futuro.
Il 22 ottobre 2011, a Tripoli, Mustapha Abdel Jalil, il leader dei ribelli, ha affermato che la legge della Sharia sarebbe ora la base della Costituzione così come della legge e la poligamia, bandita dal colonnello Gheddafi, sarebbe stata ripristinata. Cosa che non ha impedito alla stampa mondiale di lodare i risultati della guerra del “bene” che pose fine alla dittatura e ha permesso l’inizio dell’era del sistema multipartitico.
Molto rapidamente, tuttavia, la disillusione si sostituì nei media alla frenesia morale perché la Libia non esisteva più come stato.  Il paese era ormai non più che un mosaico territoriale nelle mani di una moltitudine di milizie tribali, cittadini e mafie in guerra tra loro. Per quanto riguarda le armi generosamente distribuite dalla Francia e dai suoi alleati del Qatar e della Turchia o rubate dagli arsenali, furono sparse in tutta la regione Sahelo-Sahariana.

Ciad: le chiavi per la comprensione passano attraverso il riconoscimento dei fondamenti dell’etno-clan, non attraverso incantesimi democratici_di Bernard Lugan

Nell’attuale incertezza, nonostante le voci, i giochi politici, le dichiarazioni di tutte le parti, le domande sul futuro del G5 Sahel, del gioco sempre più “chiaro” della Turchia, della Russia, della Cina e delle visite turistiche della Francia, l’importante è riconoscere che la questione del Ciad è prima di tutto etno-clanica.
Lo Zaghawa, il Toubou di Tibesti (il Teda), il Toubou di Ennedi-Oum Chalouba (il Daza-Gorane) e gli arabi di Ouadaï sono divisi in una moltitudine di sottogruppi. Tutti sommati, costituiscono meno di un quarto della popolazione del Ciad. Democraticamente, cioè parlando “occidentale”, non contano quindi poiché qualsiasi elezione “equa” li rimuoverebbe matematicamente dal potere. Tuttavia, costituiscono la frazione dominante di ciò che è diventato il Ciad. È intorno alle loro relazioni interne a lungo termine, alle loro alleanze, alle loro rotture e alle loro riconciliazioni più o meno effimere che la storia del paese è stata scritta dall’indipendenza. È intorno a loro che si sono combattute tutte le guerre in Ciad dal 1963. È dalle loro relazioni che dipende il futuro del paese, essendo la maggioranza della popolazione solo spettatrice-vittima dei loro crepacuori e delle loro ambizioni. Questo è difficile da capire per gli universalisti democratici nel mondo occidentale.
Per riassumere la domanda:
– Idriss Déby Itno era Zaghawa del clan Bideyat. Tuttavia, gli Zaghawa sono così divisi che, dal 2004, i fratelli Timan e Tom Erdibi, i suoi nipoti, sono in guerra con lui. Come si posizioneranno ora i vari clan Zaghawa nella lotta per il potere? Questa è la prima domanda.
– Il nuovo capo di stato, Mahamat Idriss Déby, uno dei figli di Idriss Déby Itno, è di madre Gorane. Gorane è il nome arabo del Toubou di Ennedi e Oum Chalouba la cui lingua è Daza. Lui stesso ha sposato un Gorane. Da qui la sfiducia di alcuni Zaghawa che ritengono che lui sia solo in parte loro. Anche se in passato più che strette alleanze hanno potuto associare regolarmente Zaghawa e alcuni clan Gorane, cosa faranno quelli dei Gorane che hanno seguito Idriss Déby? C’è una seconda grande domanda.
– Hinda, la moglie preferita di Idriss Déby Itno, è un’araba di Ouadaï. Favorita da Idriss Déby, il suo clan che faceva parte del primo circolo presidenziale è odiato sia dagli Zaghawa sia da quelli dei Gorane che hanno seguito il marito. Qual è dunque il futuro del circolo arabo Ouadaïan che ruota attorno a Hinda? Se ci fosse una rottura con lui, la tripla alleanza etno-clan formata da Idriss Déby si ridurrebbe quindi a due, ovvero una frazione Zaghawa e una frazione Gorane.
Un’altra grande domanda riguarda i ribelli che si dividono in tre principali movimenti militari. Due sono emanazioni di alcuni clan Toubou-Gorane che non hanno perdonato Idriss Déby per essersi ribellato contro Hissène Habré, lui stesso Gorane del clan Anakaza della regione di Oum Chalouba:
– Idriss Déby ha perso la vita combattendo contro il Fatto (Fronte per l’Alternanza e la Concordia in Ciad). Fondato nell’aprile 2016 da Mahamat Mahdi-Ali, il Fact originariamente riuniva Toubou che parlava Daza, quindi principalmente Toubou-Gorane di Ennedi. In Libia il Fatto ha combattuto con le milizie di Misurata contro le forze del maresciallo Haftar. Oggi è armato dalla Turchia che lo utilizza nella sua spinta verso la regione peri-Chadic, una rinascita contemporanea della grande politica ottomana di un tempo il cui obiettivo era il controllo dell’Africa centrale e delle sue risorse in avorio e schiavi.
– Nel giugno 2016, i Toubou del clan Kreda che sono anche parlanti di Daza hanno lasciato il Fatto per seguire Mahamat Hassane Boulmaye che ha fondato il Ccmsr (Consiglio del comando militare per la salvezza della Repubblica).
– L’Ufr (Unione delle forze di resistenza), fondata nel 2009, è composta essenzialmente da alcuni clan Zaghawa e Tama. Questo movimento ha anche combattuto contro le forze del generale Haftar in Libia. È lui che l’aviazione francese ha fermato la sua marcia su N’Djamena nel febbraio 2019. L’Ufr avrebbe fornito il suo sostegno al Fatto.
Destabilizzata dalla sua morte, l’alchimia etno-clan formata da Idriss Déby Itno è attualmente in subbuglio. Se, grazie alle sue rivalità interne e al regolamento di conti che incombono, i Toubou riscoprono la loro unità, come nel 1998 quando Youssouf Togoïmi fondò il Mdjt (Movimento per la democrazia e la giustizia in Ciad) per unire gli oppositori di Toubou a Idriss Déby, e se l’una o l’altra delle frazioni o sotto-frazioni della vecchia matrice etnico-clan formata intorno a Idriss Déby, si unisse ai ribelli, il regime di suo figlio sarebbe quindi estremamente indebolito.
Tutto il resto, a cominciare dagli infiniti riferimenti allo Stato di diritto, dal canto del “buon governo” e dagli artificiali incantesimi allo svolgimento delle elezioni, è purtroppo, e in realtà, solo chiacchiere europee.
Per tutto ciò che riguarda la storia delle complessità delle relazioni etniche ciadiane, si rimanda al mio libro: Le guerre del Sahel dalle origini ai giorni nostri . Nel numero di maggio di Afrique Réelle che gli abbonati riceveranno all’inizio del mese, un dossier sarà dedicato alla questione del Ciad.
Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan .

LE RAGIONI DELLA DISINTEGRAZIONE DELLA LIBIA DA PARTE DEGLI USA. a cura di Luigi Longo

LE RAGIONI DELLA DISINTEGRAZIONE DELLA LIBIA DA PARTE DEGLI USA.

a cura di Luigi Longo

 

Nel decennale della frantumazione della Libia da parte degli USA via NATO propongo la lettura dell’articolo di Manlio Dinucci Perché la NATO dieci anni fa demolì la Libia apparso su il Manifesto del 16/3/2021 e ripropongo un mio scritto del 2015 dal titolo Che ci fa l’Isis in Libia? pubblicato su www.conflittiestrategie.it.

Ritengo che il mio scritto sia ancora valido nella struttura del ragionamento che evidenzia le ragioni della disintegrazione della Libia da parte degli USA; pertanto non lo aggiorno (ad eccezione delle carte di Limes) ma segnalo tre questioni che riprenderò successivamente:

  1. Il ruolo della Turchia (con la sua politica neo-ottomana) nella strategia degli USA per contrastare l’ascesa della Russia sia attraverso il controllo delle risorse energetiche (il gas del mediterraneo orientale), sia attraverso la funzione di testa di ponte (la porta di entrata) nel Medio Oriente per opporsi all’alleanza Cina-Russia-Iran (vedi ruolo in Libia e in Siria).
  2. Il ruolo fondamentale della NATO per contrastare le potenze in ascesa: la Cina (la NATO in Medio Oriente) e la Russia (la NATO in Europa).
  3. La mancanza di una politica estera italiana per difendere i propri interessi. Il governo italiano segue appena le nostre imprese in maniera debole (vedi ENI a Cipro). L’Italia non è credibile nell’area Mediterranea (vedi la Libia) così come non è credibile nel Medio Oriente (vedi l’Iran).

 

 

PERCHÉ LA NATO DIECI ANNI FA DEMOLÌ LA LIBIA

di Manlio Dinucci

 

Dieci anni fa, il 19 marzo 2011, le forze Usa/Nato iniziano il bombardamento aeronavale della Libia. La guerra viene diretta dagli Stati Uniti, prima tramite il Comando Africa, quindi tramite la Nato sotto comando Usa. In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettua 30 mila missioni, di cui 10 mila di attacco, con oltre 40 mila bombe e missili. L’Italia – con il consenso multipartisan del Parlamento (Pd in prima fila) – partecipa alla guerra con 7 basi aeree (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella, Decimomannu, Aviano, Amendola e Pantelleria); con cacciabombardieri Tornado, Eurofighter e altri, con la portaerei Garibaldi e altre navi da guerra. Già prima dell’offensiva aeronavale, erano stati finanziati e armati in Libia settori tribali e gruppi islamici ostili al governo, e infiltrate forze speciali in particolare qatariane, per far divampare gli scontri armati all’interno del Paese.

Limes. Carta di Laura Canali 2020 (mio inserimento cartografico).

Viene demolito in tal modo quello Stato africano che, come documentava nel 2010 la Banca Mondiale, manteneva «alti livelli di crescita economica», con un aumento del pil del 7,5% annuo, e registrava «alti indicatori di sviluppo umano» tra cui l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e, per oltre il 40%, a quella universitaria. Nonostante le disparità, il tenore medio di vita era in Libia più alto che negli altri paesi africani. Vi trovavano lavoro circa due milioni di immigrati, per lo più africani. Lo Stato libico, che possedeva le maggiori riserve petrolifere dell’Africa più altre di gas naturale, lasciava limitati margini di profitto alle compagnie straniere. Grazie all’export energetico, la bilancia commerciale libica era in attivo di 27 miliardi di dollari annui.

Con tali risorse lo Stato libico aveva investito all’estero circa 150 miliardi di dollari. Gli investimenti libici in Africa erano determinanti per il progetto dell’Unione Africana di creare tre organismi finanziari: il Fondo monetario africano, con sede a Yaoundé (Camerun); la Banca centrale africana, con sede ad Abuja (Nigeria); la Banca africana di investimento, con sede a Tripoli. Tali organismi sarebbero serviti a creare un mercato comune e una moneta unica dell’Africa.

Non è un caso che la guerra Nato per la demolizione dello Stato libico inizi nemmeno due mesi dopo il vertice dell’Unione Africana che, il 31 gennaio 2011, aveva dato il via alla creazione entro l’anno del Fondo monetario africano. Lo provano le email della segretaria di Stato dell’Amministrazione Obama, Hillary Clinton, portate alla luce successivamente da WikiLeaks: Stati uniti e Francia volevano eliminare Gheddafi prima che usasse le riserve auree della Libia per creare una moneta pan-africana alternativa al dollaro e al franco Cfa (moneta imposta dalla Francia a 14 ex colonie). Lo prova il fatto che, prima che nel 2011 entrino in azione i bombardieri, entrano in azione le banche: esse sequestrano i 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico, di cui sparisce la maggior parte. Nella grande rapina si distingue la Goldman Sachs, la più potente banca d’affari statunitense, di cui Mario Draghi è stato vicepresidente.

Oggi in Libia gli introiti dell’export energetico vengono accaparrati da gruppi di potere e multinazionali, in una caotica situazione di scontri armati. Il tenore di vita della maggioranza della popolazione è crollato. Gli immigrati africani, accusati di essere «mercenari di Gheddafi», sono stati imprigionati perfino in gabbie di zoo, torturati e assassinati. La Libia è divenuta la principale via di transito, in mano a trafficanti di esseri umani, di un caotico flusso migratorio verso l’Europa che ha provocato molte più vittime della guerra del 2011. A Tawergha le milizie islamiche di Misurata sostenute dalla Nato (quelle che hanno assassinato Gheddafi nell’ottobre 2011) hanno compiuto una vera e propria pulizia etnica, costringendo quasi 50 mila cittadini libici a fuggire senza potervi fare ritorno. Di tutto questo è responsabile anche il Parlamento italiano che, il 18 marzo 2011, impegnava il Governo ad «adottare ogni iniziativa (ossia l’entrata in guerra dell’Italia contro la Libia) per assicurare la protezione delle popolazioni della regione».

 

 

CHE CI FA L’ISLAMIC STATE (IS) IN LIBIA? PERCHÉ NON LO CHIEDIAMO AGLI USA.

di Luigi Longo

 

Se ci minacciate, se ci destabilizzerete, ci sarà                                                                             confusione. […] Questo è ciò che accadrà.                                                                                     Avrete l’immigrazione, migliaia di persone                                                                                     invaderanno l’Europa dalla Libia […] ci sarà                                                                                una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo […] ”.

                                                                                                                      Mu’ammar Gheddafi*

 

 

1.La lotta ai movimenti islamici fondamentalisti (AL Qaida e IS sono tra i più noti e usati) è lo strumento cardine che amalgama la comunità internazionale per combattere chi mette in discussione la sicurezza dei popoli e delle nazioni: è la cosiddetta “Guerra al terrore”, salvo poi verificarne la strumentalità in funzione del conflitto strategico delle potenze mondiali in declino (USA) e in ascesa (soprattutto Russia e Cina).

L’ONU si mobilita con il suo Consiglio di Sicurezza per affrontare questo grave pericolo per la sicurezza, la pace e la democrazia mondiale. << La forza militare non è sufficiente– Si parla della sfida lanciata dall’Isis e da Al Qaida, che, ha detto Obama, “è una sfida per il mondo intero, non solo per l’America”. La forza militare non è però sufficiente, ha affermato il presidente americano. E’ necessario sconfiggere anche la propaganda, contrastare i terroristi che online “fanno il lavaggio del cervello” ai giovani musulmani. E il mondo islamico si deve mobilitare: “Schieratevi nella lotta contro gli estremisti”, ha detto il presidente rivolgendosi ai leader musulmani […] Mosca non si chiama fuori – L’azione contro l’Isis sotto la guida Onu potrebbe avvalersi anche della partecipazione della Russia. Il rappresentante permanente all’Onu, Vitali Ciurkin, non ha escluso la partecipazione di Mosca a un eventuale coalizione internazionale contro lo Stato islamico, in particolare garantendo un blocco navale per impedire l’arrivo di forniture di armi ai terroristi. Lo riferisce la Tass, dopo la riunione straordinaria di ieri sera del Consiglio di sicurezza Onu sull’emergenza libica >> (1).

Voglio solo ricordare, en passant, che le forniture di armi ai terroristi sono effettuate dalle stesse nazioni che formeranno il suddetto blocco navale: è il teatro dell’assurdo!

I miliziani del fondamentalismo islamico (soprattutto l’IS) vogliono addirittura creare uno Stato Islamico che confligge con l’Occidente nella stupida logica di contrapposizione tra la cultura Occidentale (la Civiltà) e la cultura Orientale (la Barbarie) così come viene rappresentata, in maniera pseudoscientifica, da Samuel P. Huntington e da studiosi arabi e dell’islam (2). Ovviamente la logica di contrapposizione Occidente/Oriente è antitetica polare (per usare una categoria lucacciana) per mantenere gli assetti di dominio degli agenti strategici dominanti delle varie potenze egemoni nelle diverse fasi storiche mondiali.

Si parla dell’ instaurazione di un nuovo califfato << da parte dei cosiddetti mujahidin – vale a dire “impegnati in uno sforzo gradito a Dio” – dell’area di confine tra Siria e Iraq, quelli che di solito i media definiscono i “jihadisti” di un autoproclamato Islamic State in Iraq and Levant (ISIL), pubblicata il 30 giugno scorso, è stata rapidamente diffusa provocando commenti di ogni genere: nella stragrande maggioranza dei casi, ahimè, del tutto fuori luogo.[ corsivo mio] L’ISIL, che a sottolineare il carattere universalistico della sua scelta ha contestualmente espunto dalla sua sigla statale le lettere I ed L che indicavano rispettivamente l’Iraq e il non troppo ben definito “Levante”, è da oggi in poi nelle intenzioni dei suoi promotori e sostenitori soltanto IS, Islamic State: esso dovrebbe pertanto raccogliere tutti i fedeli musulmani del mondo e ricostituire l’umma, la comunità musulmana nel suo complesso …>> (3).

Il fondamentalismo islamico non è più concepito come “frangia impazzita” di un vasto movimento << che costituisce la moderna militanza islamica. Le loro rivendicazioni sono politiche ma articolate in termini religiosi e fanno riferimento a una visione del mondo religiosa. Il movimento affonda le proprie radici in contingenze sociali, economiche e politiche >>, ma è visto come il portabandiera e << […] il loro linguaggio è oggi l’idioma dominante nel moderno attivismo politico islamico. Il loro svilito, violento, nichilistico millenarismo antirazionale è diventato l’ideologia standard cui aspirano i giovani musulmani arrabbiati. Questa è una tragedia. >> (4). La citata tragedia è un capolavoro degli agenti strategici pre-dominanti del conflitto mondiale (in primis degli USA in quanto potenza mondiale egemone che si vede minacciata dal formarsi di nuove potenze mondiali), ma anche degli agenti strategici sub-dominanti delle diverse aree occidentali e orientali ( per esempio l’Europa, il Vicino e Medio Oriente, l’Africa) che configureranno nella fase policentrica, tramite le zone di influenza, i poli delle potenze mondiali in lotta per la supremazia mondiale, quegli stessi agenti strategici che hanno agevolato e avallato ( se non creato in alcuni casi) il costituirsi delle frange “impazzite” del fondamentalismo islamico per le proprie strategie di conflitto per l’egemonia mondiale (5). La “Guerra al terrore” è il velo che serve per nascondere le strategie di conflitto che la fase multipolare, ormai lentamente ma decisamente avviatasi, impone. << “È un dato di fatto – scrive un ex ambasciatore arabo accreditato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – che gli Stati Uniti abbiano stipulato delle alleanze coi Fratelli Musulmani per buttar fuori i Sovietici dall’Afghanistan; e che, da allora, non abbiano cessato di far la corte alla corrente islamista, favorendone la propagazione nei paesi d’obbedienza islamica. Seguendo le orme del loro grande alleato americano, la maggior parte degli Stati occidentali ha adottato, nei confronti della nebulosa integralista, un atteggiamento che va dalla benevola neutralità alla deliberata connivenza”. L’uso tattico del cosiddetto integralismo o fondamentalismo islamico da parte occidentale non ebbe inizio però nell’Afghanistan del 1979, quando – come ricorda in From the Shadows l’ex direttore della CIA Robert Gates – già sei mesi prima dell’intervento sovietico i servizi speciali statunitensi cominciarono ad aiutare i guerriglieri afghani.

Esso risale agli anni Cinquanta e Sessanta, allorché Gran Bretagna e Stati Uniti, individuato nell’Egitto nasseriano il principale ostacolo all’egemonia occidentale nel Mediterraneo, fornirono ai Fratelli Musulmani un sostegno discreto ma accertato. È emblematico il caso di un genero del fondatore del movimento, Sa’id Ramadan, che “prese parte alla creazione di un importante centro islamico a Monaco in Germania, intorno al quale si costituì una federazione ad ampio raggio”. Sa’id Ramadan, che ricevette finanziamenti e istruzioni dall’agente della CIA Bob Dreher, nel 1961 espose il proprio progetto d’azione ad Arthur Schlesinger Jr., consigliere del neoeletto presidente John F. Kennedy. “Quando il nemico è armato di un’ideologia totalitaria e dispone di reggimenti di fedeli devoti, – scriveva Ramadan – coloro che sono schierati su posizioni politiche opposte devono contrastarlo sul piano dell’azione popolare e l’essenza della loro tattica deve consistere in una fede contraria e in una devozione contraria. Solo delle forze popolari, genuinamente coinvolte e genuinamente reagenti per conto proprio, possono far fronte alla minaccia d’infiltrazione del comunismo”. [corsivo mio].

L’uso strumentale dei movimenti islamisti funzionali alla strategia atlantica non terminò con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan. Il patrocinio fornito dall’Amministrazione Clinton al separatismo bosniaco ed a quello kosovaro, l’appoggio statunitense e britannico al terrorismo wahhabita nel Caucaso, il sostegno ufficiale di Brzezinski ai movimenti fondamentalisti armati in Asia centrale, gli interventi a favore delle bande sovversive in Libia ed in Siria sono gli episodi successivi di una guerra contro l’Eurasia in cui gli USA e i loro alleati si avvalgono della collaborazione islamista.>> (6).

Si sa che gli USA non amano un ordine mondiale multipolare, ma amano un mondo a loro immagine e somiglianza, democraticamente e civilmente costruito, e che, a tal fine scatenano guerre e usano tutti i mezzi per difendere e ri-creare su basi storicamente date un nuovo ordine mondiale. La guerra è un prolungamento della politica con altri mezzi, << La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. >> (7), può cambiare modalità, strumenti, strategie, eserciti, tecniche, eccetera, ma resta l’ultima istanza nel definire la potenza mondiale egemone, la storia questo insegna.

 

2.Lo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca, in una intervista ( Il governo irresponsabile in “Il Manifesto del 17/2/2015), alla domanda << Come mai tanta arroganza e miopia del governo italiano in questa fase della crisi mondiale? >>, così risponde:<< È perché, in modo scellerato, manca una politica estera, una vera diplomazia italiana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fallito». E chi l’ha fatto fallire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Francia di Sarkozy? [ corsivo mio] Dimenticano che con quella guerra fuggirono milioni di lavoratori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tunisia. Voglio ricordare che quando gli aerei della Nato bombardavano la Libia nel marzo del 2011, io ammonivo<< la Libia diventerà una nuova Somalia >>. È quello che è accaduto.>>.

La leader del Front National francese, Marine Le Pen, in una intervista (Nessuna guerra, l’Europa chiuda le frontiere in “la Repubblica” del 19/2/2015), alla domanda << Nel 2011 la Francia ha guidato l’intervento contro il regime di Tripoli. È stato un errore? >>, così risponde:<< Non è stata la Francia ma il presidente di allora, Sarkozy, consigliato da Bernard-Henri Levy, e con il sostegno del partito socialista.[ corsivo mio] L’intervento di quattro anni fa ha provocato degli squilibri geopolitici di cui vediamo oggi le conseguenze. È stato un gigantesco errore strategico da parte di Sarkozy, e di chi l’ha appoggiato >>.

Ma davvero la Francia, insieme all’Inghilterra (lasciamo perdere il ruolo infame dell’Italia sotto la regia di Giorgio Napolitano), nel 2011 ha deciso di eliminare Mu’ammar Gheddafi e buttare nel caos una nazione come la Libia? Ma davvero Mu’ammar Gheddafi è stato assassinato perché era un feroce dittatore che appoggiava il terrorismo internazionale e che era in conflitto con un nano politico come Nicolas Sarkozy?

E’ fuorviante pensare ad un ruolo decisivo della Francia nella drammatica vicenda della Libia e nella barbara uccisione di Mu’ammar Gheddafi, un uomo capace di grande leadership.

Angelo Del Boca e Marine Le Pen non colgono l’aspetto fondamentale e decisivo dei fatti libici del 2011. Essi vedono i processi economicistici della Francia (interessi di imprese, risorse energetiche, finanziamenti occulti, eccetera) ma non vedono i processi strategici della potenza imperiale USA che impongono una fase del caos mirata ad un attacco deciso alla Russia (primavera araba, Siria, Ucraina, Iran, accordo Russia-Cina-Iran, eccetera) e alla Cina (ridimensionamento della politica di penetrazione e di espansione in Africa). Insomma un attacco duro e pericoloso per indebolire quelli che potrebbero essere i punti di forza delle nuove potenze che aspirano a competere con l’egemonia USA non solo a livello di specifiche aree geografiche ma sopratutto a livello mondiale.

Limes. Carta di Laura Canali 2018.

Gli USA nel 2011, tramite la Francia e l’Inghilterra (che avevano ed hanno interessi economici e di accaparramento di risorse energetiche), l’Italia (che oltre a perdere i suoi interessi economici ed energetici (8) doveva e deve svolgere il ruolo di nazione-spazio di infrastruttura militare a disposizione dei comandi USA e USA-NATO) e i miliziani dell’IS (9), hanno dato la stura alla disintegrazione di una nazione e di un popolo come la Libia.

Mu’ammar Gheddafi è stato eliminato per ragioni evidenti e precise: per aver portato la Libia ad essere una nazione superando le divisioni tribali; per averla fatta diventare la nazione sovrana più importante dell’Africa; per aver costruito una strategia di sviluppo non dipendente soltanto dalle risorse energetiche; per le sue azioni politiche ed economiche intraprese in Medio Oriente; per il ruolo svolto nella costruzione dell’Unione Africana ( gli stati uniti d’Africa) con obiettivi strategici di autodeterminazione e di costruzione di un polo geopolitico sovrano come il continente africano, con una sua moneta, un fondo monetario africano, una banca centrale africana; per il suo anticolonialismo. (10)

 

3.Perchè l’IS, in questa fase storica sta scorazzando, creando disordine, drammi umani e distruzioni territoriali attaccando tutte le aree e i Paesi del Vicino e Medio Oriente che hanno relazioni sociali con la Russia e la Cina? Qual è il ruolo che l’IS sta svolgendo per ora in Libia? E’ uno strumento per risolvere la divisione interna di quello che resta della Libia (il fronte laico del nasseriano Generale Haftar e del governo di Tobrouk e quello islamista del governo di Tripoli) (11)? E’ una minaccia terroristica (attraverso il controllo dei flussi migratori e la gestione delle risorse energetiche) all’Europa, meglio, agli Stati europei, per orientarli sempre di più verso l’Occidente e rallentare le relazioni con l’Oriente? E’ un vettore per affermare la potenza regionale (la Turchia?) più utile e flessibile in questa area diventata centrale per le strategie USA?

E’ tempo di uscire dall’egemonia degli USA, ad iniziare dalle istituzioni internazionali come l’ONU, perché gli USA, non accettando né il loro declino né un mondo multipolare, sono la potenza più pericolosa per la stabilità mondiale.

Limes. Carta di Laura Canali 2020.

 

 

*La citazione scelta come epigrafe è tratta da:

Intervista a Mu’ammar Gheddafi apparsa su “Le Journal du Dimanche” del 5 marzo 2011 e ripresa da diversi quotidiani italiani.

 

NOTE

 

1.Redazione Tiscali, Libia, per il Consiglio di Sicurezza la soluzione è politica, www.tiscali.it, 19 febbraio 2015;

2.Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 2000;

3.Sulla aleatorietà e sulla difficoltà della costruzione di uno stato islamico, Franco Cardini, Una restaurazione del Califfato?, 6 luglio 2014 e Idem, l’Islam nel XXI secolo, 27 luglio 2014, www.francocardini.net ;

4.Jason Burke, Al Qaeda. La vera storia, Feltrinelli, Milano, pp.17-18;

5.Sono arrivato a questa convinzione dopo la ri-lettura di Edward W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano, 1999;

6.Claudio Mutti, Islamismo contro Islam? www.eurasia-rivista.org, 20 novembre 2012;

7.Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano, 2011, pag.38;

  1. Interessi pesanti per la disastrata economia italiana: il gas e il petrolio (l’ENI ha avuto una diminuzione da un milione e mezzo di barili prodotti in Libia ogni giorno a 150 mila), le commesse per le nostre imprese e gli investimenti nel nostro sistema economico. Per esempio, in Puglia, il Centro Studi regionale della Confartigianato afferma che << […] le aziende della provincia di Bari esportano verso il Paese nordafricano beni per 8,7 milioni di euro. Pari al 48,3 per cento del totale delle esportazioni pugliesi verso la Libia. Seguono le province di Lecce con 5,4 milioni, pari al 30 per cento dei 18 milioni complessivi; Brindisi con un milione 400mila euro, pari al 7,8 per cento; Barletta-Andria-Trani con un milione 100mila euro (6,1 per cento); Foggia con 800mila euro (4,4 per cento). Chiude Taranto, già parecchio ridimensionata a causa dell’involuzione dell’Ilva, con 600 mila euro (3,3 per cento) […] I dati elaborati […] consentono di comprendere come la situazione generatasi nel Nordafrica abbia ripercussioni dirette anche sulla nostra economia regionale. Quest’ulteriore fronte si apre in un momento in cui le imprese pugliesi sono già duramente provate dalla restrizione ai commerci con la Russia, in forza delle sanzioni applicate a seguito della crisi ucraina. La situazione internazionale – osserva – è tale da causare una battuta d’arresto proprio per alcuni tra i flussi più corposi dell’export pugliese. Con i consumi interni ormai al lumicino, questa congiuntura rappresenta un pericolo concreto anche dal punto di vista economico >>, www.confartigianatopuglia.com;
  2. 9. << Sono gli stessi che nel 2011 – spalleggiati in tutto e per tutto da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e poi anche dall’Italia – hanno compiuto la cosiddetta “primavera araba”. Queste persone che oggi rappresentano uno “spauracchio” venivano descritti nel 2011 come coloro che stavano portando in Libia la democrazia. Costoro, più o meno nell’ordine di un milione di persone armate fino ai denti, si stanno ora contrapponendo gli uni agli altri per guadagnare quanto più potere possibile. Oggi si parla tanto di Isis, ma in Libia esiste da tempo una miriade di sigle riconducibili tutte all’islamismo fondamentalista. La bandiera nera di al Qaeda è stata issata nei giorni in cui veniva ucciso Gheddafi: durante la rivolta sventolava sul Palazzo di Giustizia di Bengasi e sulla città di Derna, dove era stato istituito un Califfato. Nel tempo queste forze non hanno fatto altro che radicalizzarsi >> in Paolo Sensini-Federico Cenci, “La primavera araba” ha portato l’Isis in Libia, zenit.org, 17 febbraio 2015;

10.Oltre ai lavori dello storico Angelo Del Boca, si veda la buona sintesi di Arturo Varvelli, Gheddafi e l’Unione Africana: legittimità internazionale, influenza regionale e sviluppo interno, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, www.ispionline.it, luglio 2009;

11.Per una sintesi della frammentazione sociale della Libia si veda Marco Di Liddo-Gabriele Iacovino, Analisi delle possibili soluzioni alla crisi in Libia, Centro Studi Internazionali, www.cesi-italia.org, febbraio 2015.

 

 

 

 

 

Biden e il Mediterraneo_con Antonio de Martini

Cambiano i presidenti, cambiano le strategie di intervento e di controllo dell’area mediterranea. Nel frattempo emergono nuovi protagonisti, troppo numerosi ed intraprendenti per realizzare l’aspirazione al ripristino dell’egemonia incontrastata di nemmeno trenta anni fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

https://rumble.com/vdsb2x-biden-e-il-mediterraneo-con-antonio-de-martini.html

 

Anniversario, di Bernard Lugan

Qui sotto l’editoriale di Bernard Lugan apparso sul suo bollettino di febbraio. Una precisazione: truppe speciali inglesi e francesi erano già presenti in Cirenaica già da almeno il 2010. Un anno prima che iniziassero i moti._Giuseppe Germinario

Dieci anni fa, nel mese di febbraio 2011, scoppiò la guerra civile in Libia. Il 10 Marzo Nicolas Sarkozy è intervenuto in questo conflitto interno riconoscendo una delegazione di ribelli come rappresentanti della legalità libica !!!

La Francia è quindi entrata in un conflitto in cui i suoi interessi non erano in gioco

A Marzo, ha ottenuto l’autorizzazione delle Nazioni Unite per impiegare l’aviazione per

“Proteggere i civili”, in realtà le Milizie islamiche in Cirenaica e i Fratelli Musulmani di Misurata …

L’obiettivo ufficiale della guerra deciso da Nicolas Sarkozy era l’istituzione dello stato di diritto. Il suo risultato fu invece questo.

Le strutture statali libiche sono scomparse, lasciando il posto agli scontri delle milizie islamo-mafiose.

Quanto al vuoto libico, ha avuto conseguenze sull’intera area ciadiana e su parte del BSS.

Per non parlare della creazione di un file pompa di aspirazione migratoria.

Questo intervento ha distrutto il sistema di alleanze tribali su cui si basava la stabilità politica della Libia.

Il regime del colonnello Gheddafi lo aveva fatto; riuscì anzi a far convivere centro e periferia, articolando poteri e rendita di idrocarburi sulle realtà locali.

Politicamente, la Libia è infatti caratterizzata dalla debolezza del potere centrale rispetto al

hotline tribali. Genuino “Breakers of horizons”, le tribù hanno assunto il controllo più forte di questi corridoi di nomadizzazione che collegano il Mediterraneo alla regione del Ciad attraverso i quali viene effettuato il traffico odierno (droga e migranti) e le solidarietà jihadiste sono ancorate.

Mancata presa in considerazione di questi dati, quelli che, in nome dell’illusione democratica, hanno innescato il disastroso intervento del 2011,sono responsabili della corrente del caos. In effetti, le due chiavi che reggono la vita politica libica sono tribalismo e federalismo.

1) La Libia è naturalmente multicentrata e il rovesciamento del colonnello Gheddafi ha amplificato questa realtà dando vita a molteplici luoghi di potere indipendenti e rivalità di legittimità nate dal

guerra. Non è possibile stabilizzare la Libia se non tenendo conto della sua archeologia tribale

[1]

.

Il fallimento compiuto dall’ISIS tuttavia potrebbe servire da lezione. Era anzi la definizione tribale del paese l’ostacolo al califfato universale sostenuto dall’ISIS; le forti identità tribali lo hanno reso impossibile a causa anche dell’innesto di un movimento composto per lo più da stranieri. Come allora affermare di voler mettere fine al conflitto in corso quando le tribù, ossia le uniche vere forze politiche del paese sono escluse dalle trattative?

2) La Libia non ha un centro unificante. Le tre province che lo compongono non hanno punti di saldatura e sono separate da una massa sahariana vuota al 95%, mentre più del 80% della popolazione è concentrata su una stretta fascia costiera.

La soluzione quindi coinvolge due imperativi:

1) La ricostituzione delle alleanze tribali forgiate dal colonnello Gheddafi.

2) Un vero federalismo, perché la Cirenaica non accetterà mai la finzione di uno stato libico dominato dalla Tripolitania… e viceversa.

Ecco da chi e perché l’Italia è ricattata in Libia, di Giuseppe Gagliano

L’Italia è giunta in uno dei momenti più bassi di credibilità ed autorevolezza. Purtroppo non sono solo momenti e non abbiamo ancora raggiunto il fondo. Il nulla vestito di buone maniere_Giuseppe Germinario

Ecco da chi e perché l’Italia è ricattata in Libia

di

libia

Il caso dei diciotto membri dei motopescherecci “Antartide” e “Medinea” di Mazara del Vallo prigionieri nel porto di Bengasi dietro mandato del generale Khalifa Haftar. Il commento di Giuseppe Gagliano

Partiamo come di consueto dai recenti fatti di cronaca. Diciotto membri dei motopescherecci “Antartide” e “Medinea” di Mazara del Vallo sono prigionieri nel porto di Bengasi dietro mandato del generale Khalifa Haftar.

Quali valutazioni, di natura squisitamente politica, si possono fare di una vicenda così drammatica e insieme così umiliante per il nostro paese?

In prima battuta questa azione da parte delle milizie potrebbe essere letta come una ritorsione del viaggio compiuto dal nostro ministro degli esteri prima a Tripoli e poi a Tobruk per incontrare il presidente del parlamento Aguila Saleh che allo stato attuale sembra aver soppiantato la figura di Haftar. Un chiaro segnale insomma della perdita di qualunque credibilità del nostro paese sullo scacchiere libico come abbiamo avuto modo più volte di sottolineare su queste pagine.

Il fatto che la Farnesina abbia infatti cercato di fare pressione su Haftar per la liberazione degli ostaggi rivolgendosi alla Russia, all’Egitto e agli EAU dimostra in modo evidente la mancanza di peso politico del nostro paese.

Difficile credere che un tale evento si sarebbe verificato ai tempi di Andreotti e di Craxi.

Fra l’altro nel 2019 un cittadino sudcoreano e 3 filippini erano stati liberati proprio grazie all’intervento degli EAU.

Tuttavia dobbiamo tenere conto che la situazione politica in Libia è cambiata e il generale Haftar non è più l’uomo forte della Libia e di conseguenza la rilevanza di questa mediazione è quanto meno di dubbia efficacia.

In secondo luogo l’azione compiuta dalle milizie libiche si inserisce in una logica di rivendicazione illegittima sul piano del diritto internazionale marittimo da parte della Libia che vorrebbe estendere la sua sovranità fino alle 72 miglia dalla costa. Rivendicazioni che furono fatte molto spesso da Gheddafi.

In terzo luogo non si può notare l’enorme disparità tra l’attuale situazione dei 18 ostaggi e la presenza delle nostre forze navali e armate sia nel Golfo di Guinea sia presso la diga di Mosul. Anche se è scontato che l’Aise stia operando nella direzione di liberare gli ostaggi è evidente che il problema rimane strettamente legato alla credibilità ed autorevolezza dell’esecutivo e della Farnesina.

Infine, avventurandoci a formulare una semplice ipotesi, se una tale operazione da parte libica fosse stata posta in essere nei confronti di cittadini francesi è presumibile che l’esecutivo francese avrebbe già attivato le forze speciali coniugando tale intervento con una capillare rappresaglia. A tale proposito basti ricordare l’operazione francese in Mali che fu condotta nel 2015 sotto la direzione del Commandement des Opérations Spéciales e che fu portata a termine con successo dai Tier-1 del 1er régiment de parachutistes d’infanterie de marine con la liberazione dell’ostaggio olandese Sjaak Rijke di 54 anni catturato dai jihadisti di al-Qaeda.

https://www.startmag.it/mondo/italia-libia/

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