Prosegue la pubblicazione delle spigolature di Massimo Morigi tesa ad arricchire il contenuto del suo “repubblicanesimo geopolitico”
«Nella sua forma paradigmatica la violenza mitica è pura [bloße] manifestazione degli dei. Non mezzo per i loro scopi, quasi neppure manifestazione della loro volontà, ma innanzitutto manifestazione del loro esserci. La leggenda di Niobe ne è un esempio eminente. Potrebbe sembrare che l’azione di Apollo e Artemide sia solo una punizione. Ma la loro violenza, più che punire la trasgressione di un diritto preesistente, istituisce un diritto nuovo. L’orgoglio di Niobe le attira la sventura, non già perché offenda il diritto, ma perché sfida il destino a una lotta in cui esso deve necessariamente vincere – e solo nella vittoria, casomai, promuove la nascita di un diritto nuovo. Quanto poco la violenza divina fosse, nel senso antico, quella che conserva il diritto attraverso la punizione lo dimostrano le saghe in cui l’eroe, per esempio Prometeo, sfida il destino con notevole coraggio, lotta con esso con alterne fortune mentre la saga non lo lascia senza speranze di apportare un giorno un nuovo diritto agli uomini. Un eroe siffatto e la violenza giuridica del mito nato con lui è quel che il popolo cerca ancora oggi di figurarsi ammirando il delinquente.». (1)
Riproponendo oggi per l’ “Italia e il Mondo” a più di tre anni di distanza i cinque interventi che scrissi per “Il Corriere della Collera” a commento della crisi Ucraina (in stretta successione cronologica con i rispettivi URL diretti e con i loro “congelamenti” su Webcite: “Per capire l’economia internazionale occorre leggere Von Clausewitz”: https://corrieredellacollera.com/2014/02/17/per-capire-leconomiainternazionale-leggete-von-clausewitz-e-per-capire-la-geopolitica-occorre-leggereadam-smith-di-massimo-morigi/, http://www.webcitation.org/6sZ7zs5SU e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com% 2F2014%2F02%2F17%2Fper-capire-leconomia-internazionale-leggete-vonclausewitz-e-per-capire-la-geopolitica-occorre-leggere-adam-smith-di-massimomorigi%2F&date=2017-08-08; “Crisi ucraina, strategia del caos USA e Repubblicanesimo Geopolitico”: https://corrieredellacollera.com/2014/03/03/cosasignifica-la-crisi-ucraina-per-la-geopolitica-italiana-di-antonio-de-martini-emassimo-morigi/, http://www.webcitation.org/6sZ8Bygpp e
http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com% 2F2014%2F03%2F03%2Fcosa-significa-la-crisi-ucraina-per-la-geopolitica-italianadi-antonio-de-martini-e-massimo-morigi%2F&date=2017-08-08; “Ancora su Ucraina, Italia, Stati uniti (ma scomodiamo Carl Schmitt, lo jus publicum europaeum e la grande bellezza, scegliete”: https://corrieredellacollera.com/2014/03/08/ancorasu-ucraina-italia-stati-uniti-ma-scomodiamo-carl-schmitt-e-la-grande-bellezzascegliete-di-antonio-de-martini-e-massimo-morigi/, http://www.webcitation.org/6sZ8TWZyl e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com% 2F2014%2F03%2F08%2Fancora-su-ucraina-italia-stati-uniti-ma-scomodiamo-carlschmitt-e-la-grande-bellezza-scegliete-di-antonio-de-martini-e-massimomorigi%2F&date=2017-08-08; “Crisi ucraina: il signor Wolfowitz nel paese degli ignoranti ha fatto scuola”: https://corrieredellacollera.com/2014/03/13/crisi-ucrainail-signor-wolfowitz-nel-paese-degli-ignoranti-ha-fatto-scuola-di-antonio-de-martinie-massimo-morigi/, http://www.webcitation.org/6sZ8efRIz e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com% 2F2014%2F03%2F13%2Fcrisi-ucraina-il-signor-wolfowitz-nel-paese-degliignoranti-ha-fatto-scuola-di-antonio-de-martini-e-massimo-morigi%2F&date=201708-08; “Lenin, l’imperialismo fase suprema del capitalismo, il nuovo scontro USA Russia in un mondo sempre più multipolare e il ruolo del Repubblicanesimo Geopolitico”: https://corrieredellacollera.com/2015/03/27/tra-usa-e-russia-si-staverificando-una-inversione-dei-ruoli-avuti-nella-prima-guerra-fredda-una-ripetizionea-rovescio-sarebbe-grottesca-di-antonio-de-martini-e-massimo-morigi-2/, http://www.webcitation.org/6sZ8sk28B e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com% 2F2015%2F03%2F27%2Ftra-usa-e-russia-si-sta-verificando-una-inversione-deiruoli-avuti-nella-prima-guerra-fredda-una-ripetizione-a-rovescio-sarebbe-grottescadi-antonio-de-martini-e-massimo-morigi-2%2F&date=2017-08-08), in sede di riflessione su questi vecchi interventi la citazione in effige, oltre a restituirci in tutta la sua pregnanza la “teologia politica” di Walter Benjamin, introducendoci a Per una critica della violenza non solo ci permette di approfondire i motivi profondi che hanno attraversato la crisi Ucraina (come del resto anche altre crisi di legittimità dei sistemi politici ritenuti – più o meno a ragione – autoritari a favore dei regimi ritenuti – con ancor meno ragione – “democratici”) ma anche ci permette di individuare nel pensiero politico moderno una delle più smaglianti definizioni della Gestalt che deve assumere l’ obiettivo limite del Repubblicanesimo Geopolitico, vale a dire la da noi più volta enunciata ‘epifania strategica’. Ma andiamo con ordine. Si è appena affermato che il brano in esergo si presenta come modello
esplicativo delle ragioni profonde della crisi ucraina e di altre consimili, tipo primavere arabe – nel caso in specie rivoluzioni colorate – et similia (al di là ovviamente di quanto puntualmente illustrato negli articoli in questione: in primis, la solita strategia del caos statunitense che per dominare un mondo sempre più multipolare non trova nulla di meglio che esportare l’ideologia democratica allo scopo – contrariamente a quanto accadeva durante la guerra fredda – non di stabilizzare il quadro internazionale, impresa ormai impossibile in un mondo sempre più multipolare, ma di “caotizzare” ulteriormente questo scenario; il tutto, ovviamente, all’insegna del sempiterno ed immarcescibile divide et impera) (2) ma questo modello esplicativo deve essere inteso nella sua negazione, il che significa che proprio perché l’attuale sensibilità politica dei popoli retti da democrazie rappresentative o vogliosi di essere governati da questa forma di dominio è sideralmente e polarmente lontana da quella espressa dal brano in esergo si possono spiegare vicende come quella Ucraina. Quale dunque la fondamentale acquisizione teorica che oggi non solo i popoli delle ex rivoluzioni colorate e le sparute minoranze che nelle primavere arabe sinceramente ed ingenuamente credevano nella c.d. “democrazia” ma che anche la scienza politica mainstream liberaldemocratica ha totalmente dimenticato (veramente possiamo volentieri concedere il marchio dell’insipienza politica ai popoli e ai gruppi, veri e propri agenti omega-strategici, testé nominati, ma non proprio agli “scienziati” politici, protagonisti scientemente della mai tramontata e sempreverde trahison de clercs) e che ci viene restituita con inusitata forza e chiarezza nella “teologia politica” di Per una critica della violenza? Questa fondamentale acquisizione consiste che con Per una critica della violenza Walter Benjamin è andato oltre il machiavelliano “il fine giustifica i mezzi” (mai detto dal Segretario fiorentino ma che, inteso dialetticamente, ben esprime una parte fondamentale e non rimuovibile della Weltanschauung del suo pensiero e per chi teme che così giudicando il più grande pensatore politico di tutti i tempi si possa macchiarne il suo repubblicanesimo, consiglio caldamente di dedicare la propria vita di studio all’ incidente di Roswell …) (3) per dirci che nella politica i mezzi sono anche il fine, per dirci cioè che se apparentemente il ruolo del potere è quello di dare ordine e domare la violenza (e quindi per ottenere questo risultato anche metodi violenti sarebbero consentiti, con conseguente un “fine che giustifica i mezzi” violenti), in realtà i mezzi violenti sono l’espressione nascente e primigenia del potere, mezzi violenti, quindi, che sono il potere allo stato nascente e unica ed esclusiva natura vera – ancorché celata dalla legge e dall’ideologia politica, nel caso ucraino in questione, dall’ ideologia democratica – e vero e proprio “cuore di tenebra” del potere stesso.
«La leggenda di Niobe ne è un esempio eminente. Potrebbe sembrare che l’azione di Apollo e Artemide sia solo una punizione. Ma la loro violenza, più che punire la trasgressione di un diritto preesistente, istituisce un diritto nuovo. L’orgoglio di Niobe le attira la sventura, non già perché offenda il diritto, ma perché sfida il destino a una lotta in cui esso deve necessariamente vincere – e solo nella vittoria, casomai, promuove la nascita di un diritto nuovo.». (4)
Niobe, nella versione della leggenda datane in Per una critica della violenza, viene punita dagli dei non perché abbia commesso un terribile delitto ma perché questo delitto è un atto di suprema violenza e come tale rischia di fondare una nuova legge diversa da quella che garantisce il potere degli dei, perché detto ancor più direttamente, questa violenza rischia di essere l’embrione di un nuovo potere nascente e quindi gli dei per garantire la loro stessa sopravvivenza devono provvedere con un pronto aborto, la punizione di Niobe. Con Per una critica della violenza, scritto giovanile di Walter Benjamin, il pensiero realista di matrice machiavelliana giunge così a piena maturazione, una piena maturazione che molti anni dopo, in finale di vita di Benjamin, troverà un altro altissimo momento nelle Tesi di filosofia della storia, nelle quali Walter Benjamin darà espressione al suo (anche se la locuzione non è benjaminiana ma risale interamente alla responsabilità teorica dello scrivente) ‘iperdecisionismo’, iperdecisionismo, che assieme alla compiuta e matura visione del potere espressa già in Per una critica della violenza, costituisce uno dei capisaldi del Repubblicanesimo Geopolitico.
E un pensiero come il Repubblicanesimo Geopolitico, definito in dottrina anche come ‘Lebensraum Repubblicanesimo’ (5) (repubblicanesimo dello spazio vitale, spazio vitale inteso però dialetticamente e principalmente in funzione culturale e politicosimbolica) e in cui l’obiettivo sociale limite è l’ ‘Aumentato e Diffuso Dominio Repubblicano Comune’ (‘Republican Increased Common Domination’ o RICD) nella sua visione del potere non come limite della libertà ma come unico momento generatore della stessa non può che sentire profondissime assonanza con la visione intimamente strategica del rapporto fra violenza e potere espressa in Per la critica della violenza: «La funzione della violenza nell’istituzione del diritto è, infatti, duplice. Da una parte l’istituzione del diritto mira come a suo scopo, con la violenza come mezzo, a ciò che viene instaurato come diritto, dall’altra parte, nell’atto di insediare come diritto lo scopo perseguito, non licenzia (abdankt) la violenza, ma solo ora ne fa in senso stretto e immediato una violenza istitutrice di diritto. Così facendo, con il nome di potere, essa insedia come diritto non già uno scopo esente e indipendente da violenza, ma necessariamente e intimamente legato ad essa. Istituzione di diritto è istituzione di potere e in questa misura atto che manifesta
immediatamente la violenza. Giustizia è il principio di ogni istituzione divina di scopi, potere è il principio di ogni istituzione mitica di diritti. L’applicazione mostruosa e gravida di conseguenze di tutto ciò si sperimenta nel diritto pubblico, nel cui ambito l’istituzione di confini – così come è attuata dalla “pace” di tutte le guerre di epoca mitica – è il paradigma di violenza istitutrice di diritto. Qui si evidenzia nel modo più chiaro che quanto la violenza istitutrice di diritto deve garantire non è il guadagno anche ingente di possedimenti ma il potere [in sé]. Dove si fissano confini, l’avversario non viene semplicemente annientato, anzi, se il vincitore è strapotente, gli sono riconosciuti anche dei diritti. E in modo demoniacamente ambiguo pari diritti. Entrambi i contraenti non devono superare la stessa linea. [Ma chi traccia la linea? Il vincitore, naturalmente] Dove appare in tutta la sua temibile originari età la stessa mitica ambiguità delle leggi che si non possono “trasgredire”. Anatole France ne parlava in senso satirico, dicendo che le leggi vietano allo stesso modo ai ricchi e ai poveri di pernottare sotto i ponti. ». (6)
Benjamin definisce mostruoso il fatto che sia la violenza ad istituire il diritto e qui quasi si percepisce una sorta di suo tremare di fronte alla terribilità demoniaca di questa consapevolezza, una Stimmung benjaminina ben rappresentata dal riferimento ad Anatole France e alle leggi che “vietano allo stesso modo ai ricchi e ai poveri di pernottare sotto i ponti”, segno che, anche se in Critica per la violenza il realismo, da punto di vista della pura elaborazione teorica di Benjamin, ha già raggiunto la piena maturazione, a questo maturo realismo teorico manca ancora la pars construens, momento edificatore di una linea di riscrittura delle “categorie del politico” e quindi di azione politica che ritroveremo molti anni dopo nelle Tesi di filosofia della storia ed in particolare nell’ VIII tesi col suo ‘iperdecionismo” che la anima.
«Venendo meno la consapevolezza della presenza latente della violenza in un istituto giuridico, esso decade. Di questi tempi un esempio è dato dai parlamenti, che presentano il noto e desolante spettacolo, avendo perso coscienza delle forze rivoluzionarie, cui devono la loro esistenza. In particolare in Germania anche le ultime manifestazioni di questa autorità è rimasta senza effetti sui parlamenti. Manca loro il senso della violenza che instaura il diritto in essi rappresentata. Non c’è da meravigliarsi che non arrivino a conclusioni degne di quell’autorità ma curino in via compromissoria un modo di trattare gli affari politici supposto senza violenza. Ma,“pur disdegnando la violenza aperta, il compromesso rimane un prodotto interno alla mentalità della violenza, perché la motivazione al compromesso non è motivata da dentro ma da fuori, addirittura dalla motivazione opposta. Anche se liberamente accettato, ogni compromesso è impensabile senza carattere coattivo. ‘Sarebbe meglio diversamente’ è il sentimento al fondo di ogni compromesso” (Unger, Politik und Metaphysik, Berlin 1921, p.8).». (7)
Abbiamo appena affermato che in Per la critica per la violenza Walter Benjamin sembra quasi ritrarsi con orrore dalla conclusione di identificare il potere con la violenza e quindi si potrebbe concludere che per quanto Per la critica della violenza rappresenti una pietra miliare nello sviluppo della dialettica del pensiero realista che nella modernità ha per punto di riferimento Machiavelli non ha ancora maturato in pieno il concetto di quell’ ‘epifania strategica’ che verrà manifestato in pieno nelle Tesi di filosofia della storia ed in particolare all’ VIII tesi. (8) Il passo appena citato ci dimostra che questa ultima parte del ragionamento non risponde assolutamente a verità. In questo ultimo luogo benjaminiano se sono chiare le suggestioni che potevano provenire dal tumultuoso ed inconcludente Reichstag dei primi anni Venti della Repubblica di Weimar, è di tutta evidenza che si tratta di considerazioni che potrebbero essere traslate non solo agli attuali parlamenti delle democrazie rappresentative delle moderne società industriali ma anche ai quei popoli e gruppi, vedi caso ucraino, che abbindolati dalla propaganda occidentale rischiano un degrado sociale, politico, economico e culturale perché ormai del tutto dimentichi del sempiterno legame fra potere e violenza, (9) essendo quindi altrettanto di tutta evidenza che già in Per la critica della violenza è presente in Benjamin una vera e propria ‘epifania strategica’ tale che, anche se in maniera esplicita manca la sua pars construens, cioè non è ancora chiaramente esplicitata l’idea di portare questa ‘epifania strategica’ a conoscenza delle masse per farne il motore e l’idea stessa della rivoluzione (questo verrà fatto nelle Tesi di filosofia della storia con tutta la sua carica dialettica antipositivistica e antiriformistica), essa è già totalmente formata, se non espressamente come proposta politica operativa, come concetto costruttore di tutto il suo pensiero politico.
Insomma, possiamo affermare che partendo già dalla sua prima elaborazione giovanile sulla politica rappresentata da Per una critica della violenza, Walter Benjamin ha cominciato a sviluppare, sulla linea realistica che ha nella modernità il suo massimo rappresentante in Machiavelli e nell’antichità Tucidide, una sorta di ‘iperrealismo politico’, un iperrealismo politico che, dialetticamente elaborando il machiavelliano “il fine giustifica i mezzi” nei “mezzi sono anche il fine” che chiaramente riluce in Per la critica della violenza, manifesterà nelle Tesi di filosofia della storia la sua piena entelechia, manifesterà cioè la totale forza e completezza della sua ‘epifania strategica’ attraverso l’ ‘iperdecisionismo’ particolarmente evidente all’VIII tesi. (10) Abbiamo detto all’ inizio che Per la critica della violenza contiene gli elementi per comprendere le ragioni profonde del perché parte del popolo ucraino si sia fatto abbindolare dalle promesse universalistiche e democraticistiche della propaganda occidentale e statunitense e pensiamo che questa semplice esposizione dei suoi passi principali possa giustificare questa affermazione. Ma assieme all’indicazione del fatto che fra i fattori principali della vicenda Ucraina è stata la mancanza totale da parte di una sezione importante della sua popolazione di una qualsiasi sensibilità strategica, bisogna anche rettificare il titolo di uno dei cinque articoli che allora parlarono di questa vicenda. Uno di questi titoli recitava nel modo
seguente: “Crisi ucraina: nel paese degli ignoranti il signor Wolfowitz ha fatto scuola”. Ora è di tutta evidenza che gli ignoranti non albergano sono in Ucraina ma pullulano addirittura in tutto il mondo occidentale ed in particolare in Italia ed è ancora più evidente che per fare sì che l’ ‘epifania strategica’ conformi il comportamento politico degli agenti omega-strategici (per gli alfa-strategici alla Wolfowitz non c’è bisogno di nessun aiuto: con o senza teoria di supporto se la cavano benissimo da soli), sarà sempre più indispensabile elaborare pensieri e strategie di azione che si informino se non alla lettera allo spirito dell’ ‘iperrealismo politico’ di Walter Benjamin. Si tratta insomma di avere l’umiltà di comprendere che – come direbbe Bernardo di Chartres – non siamo altro che nani sulle spalli di giganti che si chiamano Tucidide, Machiavelli, Hegel, Marx, Lenin, Antonio Gramsci e Walter Benjamin e con la sua particolare – ma non esclusiva, come abbiamo visto – ‘epifania strategica’ (11) il Repubblicanesimo Geopolitico non si propone altro che essere uno dei più umili maieuti di questa rivoluzionaria e dialettica interpretazione e costruzione della società.
Ravenna, 12 agosto 2017
NOTE
1) Walter Benjamin, Per la critica della violenza (1920-1921?), traduzione italiana dal tedesco di Antonello Sciacchitano, p.10 (documento agli URL http://www.sciacchitano.it/Pensatori%20epistemici/Benjamin/Per%20la%20critica%20della %20violenza.pdf, http://www.webcitation.org/6sYjQJ8Za e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.sciacchitano.it%2FPensatori %2520epistemici%2FBenjamin%2FPer%2520la%2520critica%2520della%2520violenza.pd f&date=2017-08-08), traduzione eseguita su Idem, Gesammelte Schriften, vol. II.1, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1999, pp. 179-204. Nonostante la non ortodossia della citazione bibliografica pure costretta a servirsi di URL internettiani (ma con il congelamento dell’URL originale tramite WebCite pensiamo almeno di aver posto rimedio alla volatilità delle fonti internet), ho deciso di ricorrere alla traduzione di Antonello Sciacchitano di questo testo benjaminiano rispetto ad altre che possono vantare un traduttore più chevronné per il semplice fatto che la versione di Schiacchitano, col suo essere scritta in un italiano più scorrevole (e, in definitiva, migliore) permette meglio di apprezzare la portata politica e teorica di Per la critica della violenza. Valeva quindi assolutamente la pena di rischiare di passare, anche se solo a livello di citazione bibliografica, per non ortodossi. Con la presente comunicazione si spera però di essere incorsi nel peccato di non ortodossia non solo per questioni così formali.
2) Sulla strategia del caos statunitense, principale strumento USA per continuare ad operare in un mondo sempre più multipolare e, soprattutto, sul conflitto strategico fra dominanti reso ancor più evidente da questo sempre maggiormente frammentato quadro internazionale, non si può fare a meno di rinviare a tutta la magistrale opera degli ultimi vent’anni di Gianfranco La Grassa, alla quale con caldo consiglio di attento ed appassionato studio rinviamo ma
senza ulteriori precisazioni visto che tutta l’opera teorica del professore di Conegliano, nessuna parte di essa esclusa e nessun periodo escluso, deve essere attentamente percorsa e studiata non solo per comprendere il mondo multipolare post caduta muro di Berlino ma anche per smascherare gli idola theatri non solo delle ideologie che si proclamavano marxiste ma di quelle, da vera e propria fine della storia, che oggi si dichiarano liberali e liberiste (e quindi con un bel salto logico, vedi un po’, democratiche …).
3) Schianto di Roswell che pur non essendovi direttamente trattato può, fuor da ogni facezia, essere debitamente inquadrato dal punto filosofico e politico attraverso la lettura di Massimo Morigi, La Democrazia che sognò le Fate (Stato di Eccezione, Teoria dell’Alieno e del Terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico), sul Web.
4) Ibidem.
5) Sul concetto di ‘Lebensraum repubblicanesimo’ vedi in particolare i primi contributi pubblicati sull’ “Italia e il Mondo” sul Repubblicanesimo Geopolitico.
6) Ibidem.
7) Ivi, p. 6.
8) «La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di eccezione’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di eccezione; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi. »: Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia (VIII tesi), citato da Massimo Morigi, Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico: Lo Stato di Eccezione in cui Viviamo è la Regola, p. 5, documento agli URL https://archive.org/details/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico. LoStatoDi_459 e https://ia601609.us.archive.org/32/items/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesi moGeopolitico.LoStatoDi_459/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopo litico.LoStatoDiEccezioneInCuiViviamoLaRegola-Neomarxismo.pdf .
9) Riportiamo senza commento L’Europa arretrata e l’Asia avanzata, articolo di Lenin pubblicato sulla“Pravda” nel maggio 1913: «La contrapposizione di queste parole sembra un paradosso. Chi non sa che l’Europa è avanzata, e l’Asia arretrata? Eppure le parole che formano il titolo di quest’articolo racchiudono in sé un’amara verità. L’Europa civile ed avanzata – con la sua brillante tecnica sviluppata, con la sua cultura ricca e multiforme e la sua Costituzione – è giunta a un momento storico in cui la borghesia che comanda sostiene, per tema del proletariato che moltiplica i suoi effettivi e le sue forze, tutto ciò che è
arretrato, agonizzante, medioevale. La borghesia moribonda si allea a tutte le forze invecchiate e in via di estinzione per mantenere la schiavitù salariata ormai scossa. Nell’Europa avanzata comanda la borghesia che sostiene tutto ciò che è arretrato. Nei nostri giorni l’Europa è avanzata non grazie alla borghesia, ma suo malgrado, poiché il proletariato, ed esso solo, alimenta ininterrottamente l’esercito formato dai milioni di uomini che combattono per un avvenire migliore; esso solo serba e diffonde un odio implacabile per tutto ciò che è arretrato, per la brutalità, i privilegi, la schiavitù e l’umiliazione inflitta dall’uomo all’uomo. Nell’Europa “avanzata” solo il proletariato è una classe avanzata. La borghesia ancora in vita, è pronta invece a qualsiasi atto brutale, feroce e a qualsiasi delitto per salvaguardare la schiavitù capitalista che sta per perire. Non si saprebbe fornire un esempio più impressionante di questa putrefazione di tutta la borghesia europea che quello del suo appoggio alla reazione in Asia per i cupidi scopi degli affaristi della finanza e dei truffatori capitalisti. In Asia si sviluppa, si estende e si rafforza ovunque un potente movimento democratico. Là la borghesia marcia ancora col popolo contro la reazione. Centinaia di milioni di uomini si svegliano alla vita, alla luce, alla libertà. Quale entusiasmo suscita questo movimento universale nel cuore di tutti gli operai coscienti, i quali sanno che il cammino verso il collettivismo passa per la democrazia! Quale simpatia sentono tutti i democratici onesti verso la giovane Asia! E l’Europa “avanzata”? Essa saccheggia la Cina e aiuta i nemici della democrazia, i nemici della libertà in Cina! Ecco un piccolo calcolo, semplice ma istruttivo. Il nuovo prestito cinese è stato contratto contro la democrazia cinese: l’ “Europa” è per Yuan Sci Kai, che prepara una dittatura militare. Ma perché lo sostiene essa? Perché fa un buon affare. Il prestito è stato contratto per una somma di quasi 250 milioni di rubli, al corso dell’84 per cento. Ciò significa che i borghesi d’ “Europa” versano ai cinesi 210 milioni mentre ne fanno pagare al pubblico 225. Eccovi di colpo, in qualche settimana, un beneficio netto di 15 milioni di rubli! Non è, in realtà, un beneficio veramente “netto”? E se il popolo cinese non riconoscerà il prestito? In Cina c’è la repubblica, e la maggioranza del Parlamento non è forse contraria al prestito? Oh, allora l’Europa “avanzata” leverà alte grida a proposito della “civiltà”, dell’ “ordine”, della “cultura” e della “patria”! Allora farà parlare i cannoni e schiaccerà la repubblica dell’Asia “arretrata”, in alleanza con l’avventuriero, il traditore e amico della reazione Yuan Sci Kai! Tutta l’Europa che comanda, tutta la borghesia europea è alleata con tutte le forze della reazione e del Medio Evo in Cina. In compenso la giovane Asia, vale a dire le centinaia di milioni di lavoratori dell’Asia, ha un alleato sicuro nel proletariato di tutti i paesi civili. Nessuna forza al mondo sarà capace di impedire la sua vittoria, che Libererà sia i popoli d’Europa che i popoli d’Asia.»: Lenin, Opere Scelte, vol. 1, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1947, pag 536-537.
10) ‘Iperdecisionismo’ benjaminiano per il quale rinviamo ancora a Massimo Morigi, Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico: Lo Stato di Eccezione in cui Viviamo è la Regola.
11) L’opera di tutti questi autori è connotata da un profondo “momento strategico”. L’apporto del Repubblicanesimo Geopolitico a questo “momento strategico” consiste nel fatto che, oltre ad essere del tutto favorevole che la mentalità strategica sia condivisa a livello di massa (alcuni di questi autori, quelli più di “sinistra” e rivoluzionari la pensavano in questo modo, i rimanenti non sono favorevoli a questa ampia e rivoluzionaria condivisione), esso ritiene che questa impostazione strategica di massa abbia anche come ineludibile premessa pure la consapevolezza, sempre di massa, della natura dialettico-strategica non solo della realtà
politica, sociale, economica, storica e culturale ma della realtà tutta, cioè anche della realtà fisica e biologica.
Ravenna, 11 agosto 2017
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Seguono i 5 articoli pubblicati dal “Corriere della Collera” PER CAPIRE L’ECONOMIA INTERNAZIONALE OCCORRE LEGGERE VON CLAUSEWITZ
Di Massimo Morigi
Riguardo la presente crisi economica che ha colpito il mondo retto dal Washington consesus, un elemento accomuna tutte le analisi siano di matrice neoliberista o neokeynesiana o più di destra o più di sinistra per le politiche sociali da adottare: la più completa e totale assenza di un pur minimo inquadramento geopolitico. La visione dell’economia di tutti questi più o meno illustri osservatori (viene da dire più o meno somari commentatori), in fondo non si discosta dalla visione che ne ebbe a suo tempo il padre fondatore della moderna dottrina economica, Adam Smith, secondo il quale sul mercato la migliore allocazione delle risorse e l’incontro della domanda e dell’offerta è assicurata da una sorta di “mano invisibile”, la quale deve essere lasciata agire indisturbata al fine di assicurare la massima efficienza economica. Non è questa la sede per discutere nel dettaglio la attuale fallacia di questa affermazione ma può essere, invece, l’occasione per sottolineare, al di là dell’ambito strettamente tecnico, i guasti “ideologici” che nell’odierno pensiero politico – di destra come di sinistra – derivano dall’impostazione smithiana. A proposito della comprensione dei mercati oligopolistici, l’economista Kurt W. Rothschild ebbe a osservare che piuttosto che compulsare come fossero sacre scritture i testi degli economisti, meglio sarebbe stato rivolgersi al manuale di Carl von Clausewitz Sulla Guerra (Vom Kriege). Detto in altre parole, Kurt W. Rothschild sosteneva che considerando i soli parametri economici, l’economia era del tutto incomprensibile e che, se si vuole avere sull’argomento un qualche barlume di comprensione, bisogna mettere nel conto lo scontro fra le unità politico-territoriali di cui l’economia non è che una delle sue espressioni, nemmeno quella più importante e decisiva.
Il panorama che i mass media occidentali vogliono invece offrire alle masse intorpidite dei loro paesi non è altro che un’incomprensibile e postmoderno fluttuare
nell’aria di incomprensibili coriandoli di informazione: in Siria combattenti per la libertà lottano contro un regime dispotico che non si perita di usare i gas per imporre il suo regime dittatoriale, in Ucraina un popolo unito come un sol uomo lotta per raggiungere gli alti standard politici e di rispetto dei diritti umani che vigono all’interno dell’Unione europea (evidentemente la lezione greca avrebbe bisogno di un po’ di ripasso) e per unirsi alla stessa Unione europea in una sorta di abbraccio fraterno. Ma nel frattempo, la storia è veramente cinica e bara, l’Egitto che prima della cacciata di Mubarak era toto corde schierato con gli Stati uniti, acquista, con l’aiuto dell’Arabia Saudita, una consistente partita di armi dalla Russia (e di solito il commento non va al di là del risibile che il nuovo Rais egiziano Al-Sissi e Putin vanno d’accordo perché entrambi dittatori …) e ciliegina sulla torta accade, come puntualmente rilevato nel post di de Martini “PAESI BRICS CON SVALUTAZIONI SELVAGGE ( Brasile, India, Cina , Sud Africa)”, che gli Stati uniti riducono la loro liquidità in circolazione per colpire i BRICS (questa notizia, per la verità, dalla maggioranza dei mezzi di informazione e dai commentatori non viene nemmeno data o viene commentata non collegandola col quadro geopolitico generale). E trionfo del politically correct (e del politicamente ridicolo), ci viene detto che Putin è tanto cattivo perché nel suo medievale paese si permettono di trattenere per qualche ora il suo omonimo transgender italico perché in Russia (orrore degli orrori che fa impallidire le velleità belliciste statunitensi passate, presenti e future) ci sono leggi che proibiscono la propaganda dell’omosessualità. Se su un piano generale si può sempre dire che volere imporre i propri valori e stili di vita nasconde sempre una volontà di dominio, nei casi appena citati c’è da rilevare che, a differenza dell’epoca colonialista, la volontà di dominio non è solo rivolta contro i popoli da colonizzare ma nella presente epoca è rivolta anche contro le popolazioni delle metropoli sviluppate, che dal non riconoscimento del feticcio ideologico dell’esistenza di un’economia pura svincolata dal dato strategico della geopolitica (che fa il paio con l’altro imbroglio del politically correct) hanno tutto da perdere.
Studiare quindi Von Clausewitz anche per far uscire l’Italia dalla sua terribile crisi? Il Repubblicanesimo Geopolitico non è altro, in fondo, che il tentativo di diffondere acquisizioni e conoscenze che, a livello di programmazione strategica delle grandi potenze politiche ed economiche, sono il normale strumento di lavoro (e di scontro). La convinzione che lo anima è che la difesa e l’avanzamento della libertà debba abbandonare il terreno delle fairy tales per approdare ad una adulta consapevolezza dove libertà significa, innanzitutto, una concreta autonomia (a livello geopolitico come a livello delle formazioni socio-politiche all’ interno dei vari paesi per giungere al singolo individuo) dalle potenze in perpetua lotta per il dominio (un processo che, tanto per essere chiari, significa per quanto riguarda l’Italia che il nostro paese deve dare inizio ad una decisa riappropiazione di sovranità a tutti i livelli.
Altrimenti la propria prosperità rimarrà tristemente affidata nelle mani di coloro che si ostinano a non vedere alcun legame fra economia e geopolitica e la libertà rimarrà appannaggio, sempre più deperendo, ai cantori delle “gaie scienze”.
“Il Corriere della Collera”, 17 febbraio 2014
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CRISI UCRAINA, STRATEGIA DEL CAOS USA E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO
Di Massimo Morigi
Se non fosse per gli aspetti di transizione epocale dell’attuale situazione internazionale, mettendo in confronto la crisi siriana con quella ucraina, verrebbe proprio da concordare su quanto scriveva Marx nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte
che la storia si ripete sempre due volte: “la prima come tragedia, la seconda volta come farsa”. Gli Stati uniti non contenti dei sanguinosi e disastrosi effetti (disastrosi per i loro interessi) delle da loro eterodirette rivoluzioni arabe, con la crisi ucraina stanno infatti cercando di applicare, con altro evidente insuccesso e – per fortuna – almeno per ora nessun altrettanto copioso spargimento di sangue, la stessa strategia del caos, la cui filosofia può essere riassunta nel seguente modo: siccome abbiamo sempre più difficoltà ad esercitare il ruolo di unica superpotenza, dobbiamo rinunciare al compito di egemonizzare con una sorta di pax americana tutto il mondo ma ci dobbiamo accontentare di portare il caos non solo all’interno del perimetro dei nostri avversari (vedi Siria ed ora Ucraina) ma anche dentro il nostro perimetro (vedi destabilizzazione USA dell’ Egitto e vedi pure il brillante risultato finale della vendita di armi da parte della Russia a quel paese). Insomma, se non si riesce più a essere i primi in un mondo più o meno ordinato, forse si può continuarlo ad esserlo in un mondo frammentato e tornato in una sorta di stato di natura alla Hobbes di tutti contro tutti. Anche se non si può negare che “c’è del metodo in questa follia” (e il metodo consiste nel fatto che l’esercizio del primato statunitense in questa fase di passaggio da un mondo unipolare ad uno multipolare non può che essere esercitato facendo saltare tutto il tavolo delle attuali relazioni internazionali, la cui evoluzione, se non si fa qualcosa, sarà inevitabilmente il suo ulteriore consolidamento in uno schema policentrico dove gli Stati uniti avranno sempre meno voce in capitolo), la follia, come è noto, deve fare i conti, prima o poi, con la realtà.
E la realtà, come in Siria così come in Ucraina, si chiama Russia, la quale solo i mentecatti che attualmente ispirano l’attuale politica obamiana potevano pensare che il paese guidato da Putin avrebbe potuto accettare questo agognato ridemensionamento geopolitico che contempla, tuttalpiù, una Russia solo stolto rifornitore per l’Occidente di riserve energetiche, un servo sciocco da essere affidato in tutela, come ulteriore sfregio per i suoi trascorsi storici, al nuovo maggiordomo degli americani che va sotto il nome di Repubblica federale di Germania. Si sta vedendo come stanno andando le cose. La Russia non accettando di essere ridimensionata ha mandato le sue truppe in Crimea (con la giustificazione “per difendere i nostri interessi” che, nella sua disarmante semplicità, fa meravigliosamente giustizia di tutte le fandonie lessicali e concettuali politically correct dell’attuale amministrazione Obama e dei suoi servi occidentali); la Germania, evidentemente impaurita per la piega che hanno preso le cose, offre i suoi buoni uffici per raffreddare la situazione. Siamo passati quindi dalla tragedia siriana alla – meno male – farsa ucraina. Ma questa farsa non ci deve però far dimenticare la dimensione tragica dell’attuale situazione, una situazione caratterizzata da uno scontro strategico degli Stati uniti contro tutte quelle forze – avversari ed anche alleati, poco importa – che vorrebbero
una stabilizzazione entro un quadro multipolare in progressiva e – più o meno – ordinata evoluzione verso una situazione policentrica. In questo quadro, un discorso a parte merita l’Italia. Il nostro paese, nell’ambito della strategia del caos statunitense, non ha nessun ruolo da giocare e, al limite, come è già successo per altri paesi amici degli Stati uniti, può diventarne addirittura una vittima.
Appare quindi di tutta evidenza che un suo spostamento verso posizioni neutraliste che lo mettano al riparo da quegli agenti strategici che puntano sull’attuale caos del quadro internazionale se, apparentemente, potrebbe sembrare una mossa avventata, alla lunga potrebbe rivelarsi come una delle fondamentali carte da giocare non solo perché il nostro paese possa riprendersi dall’attuale terribile crisi (ricordiamo ancora quello che disse l’economista Kurt W. Rothschild, per il quale piuttosto che studiare i testi degli economisti classici era meglio leggere il manuale di Carl von Clausewitz sull’arte della guerra e su quanto l’attuale crisi finanziaria sia stata assai poco finanziaria ma molto pesantemente politicamente eterodiretta nell’ambito dello scontro strategico internazionale, un aspetto quest’ultimo della situazione geopolitica generale che c’è da augurarsi divenga presto di appannaggio non solo degli addetti ai lavori) ma anche perché possa preservare la sua unità territoriale (come si è visto, la strategia del caos nella sua hubris retorica sui diritti umani, non bada certo alle irrisorie conseguenze che per perseguire questi alti obiettivi, gli stati possano anche polverizzarsi, con tutte le “insignificanti” conseguenze del caso …). In questo quadro che passa dalla tragedia alla farsa ma che si svolge, comunque, entro un orizzonte di crescenti scontri strategici, compito del Repubblicanesimo Geopolitico non è solo far comprendere i terribili pericoli insiti in un mondo non più monocentrico ma anche mettere in risalto le grandi potenzialità di un sistema internazionale in evoluzione verso il policentrismo. Una evoluzione che, però, non dovrà essere accompagnata solo da distaccate analisi sulla situazione ma dovrà vedere, da parte di tutti coloro che condividono questa analisi, la costruzione di concrete alleanze politiche fra tutti coloro che si oppongono alla strategia del caos. Per quanto riguarda l’Italia, lo ripetiamo, la posta in palio nel cogliere la giusta impostazione geostrategica, oltre a preservare la sua unità territoriale (come si è visto, la strategia del caos nella sua hubris retorica sui diritti umani, non bada certo alle irrisorie conseguenze che per perseguire questi alti obiettivi, gli stati possano anche esplodere, con tutte le “insignificanti” conseguenze del caso …) e saldare le alleanze politiche favorevoli, non è solo la sua libertà e prosperità ma anche la sua stessa esistenza.
“Il Corriere della Collera”, 3 marzo 2014
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ANCORA SU UCRAINA, ITALIA, STATI UNITI (MA SCOMODIAMO CARL SCHMITT, LO JUS PUBLICUM EUROPAEUM E LA GRANDE BELLEZZA. SCEGLIETE)
Di Massimo Morigi
Sebbene l’offerta di un miliardo di dollari fatta dal segretario di Stato John Kerry appena giunto in Ucraina richiami alla mente analoghe transazioni messe in atto dai nascenti Stati uniti verso i nativi americani o quelli delle potenze coloniali europee nella prima penetrazione e successiva colonizzazione del continente africano e benché tornando ai giorni nostri, non balzi alla mente, per contrasto, che quando un paese in termini geopolitici conta meno del due di coppe (vedi Grecia) questo può bellamente morire di fame aiutato solo da prestiti concessi con umilianti procedure e con tassi di interesse che non fanno che peggiorare la situazione, non ci si deve fermare a queste valutazioni – pur giuste dal punto di vista etico e realistiche dal punto di vista fattuale – ma è possibile, invece, trarne indicazioni che possano informare le valutazioni geopolitiche dei prossimi anni. Punto primo, che riguarda un giudizio sugli attori operanti sulla scena ucraina. Sulla strategia del caos statunitense abbiamo già detto ma, nonostante il giudizio estremamente negativo che ne abbiamo dato dal punto di vista della sua efficacia strategica, risulta veramente difficoltoso comprendere come l’amministrazione Obama possa essere così goffa nell’applicazione di questa pur discutibilissima strategia. Volendo escludere l’insipienza come giustificazione di queste lunga serie di malaparate di cui la crisi ucraina è solo l’ultima della serie (intendiamo insipienza da parte di quegli agenti strategici che portano avanti questo approccio caotico alle relazioni internazionali, perché, se guardiamo i singoli portavoce di queste forze,
insipienza ed hubris la fanno da padrone), quello che emerge è che la politica estera statunitense, oltre ad avere un approccio teorico ‘caotico’ è pure caotica in merito a chi debba esercitare la leadership di questa politica. Detto in altre parole: anche se, da un punto di vista di consolidata dottrina sarebbe necessario fare ammenda dell’ipostasi che quando si parla di uno stato questo lo si debba intendere come una sorta di persona che agisce animato da volizioni paragonabili a quelle umane ma, invece, sarebbe più realistico considerarlo come il manifestarsi vettoriale di forze strategiche contrastanti che trovano di volta in volta la risultante di incontro/scontro all’interno come all’esterno di ogni singolo paese, oggi, come mai non era accaduto in passato, appare evidente che per comprendere il percorso e la Gestalt dello scontro fra i vari agenti strategici statunitensi, (non tanto per prevederlo, ovviamente) è più utile ricorrere a metafore tratte dalla psichiatria (cioè pensare alla politica estera americana come il comportamento di una persona affetta da schizofrenia) piuttosto che ricorrere a schemi euristici tratti dalla scienza fisica (come vorrebbe il vecchio ed anche ormai datato realismo che ha sempre preferito schemi più meccanicisitici).
Di questa schizofrenia USA i vari governanti dei paesi alleati agli Stati uniti dovrebbero tenerne conto, e ne tengono conto, vedi l’ambiguità della Germania nel caso ucraino che partendo da un atteggiamento di supporto all’aggressività americana nello svolgimento della crisi ha cercato poi di sfilarsi.
Da questo punto di vista, l’atteggiamento italiano di estrema prudenza nella crisi ucraina non deve essere lodato, perché è di tutta evidenza che non è certo prodromo ad un auspicabile processo di collocazione in campo neutrale del nostro paese. Si tratta, più banalmente, di semplice buonsenso alla Sancho Panza di fronte alle follie del padrone d’oltreoceano. Punto secondo, una analisi che cerca d’andar oltre i pur evidenti problemi dell’amministrazione Obama e dei configgenti agenti strategici americani che attualmente operano sotto la copertura nominale di questa amministrazione. In fondo, quando parliamo di strategia del caos statunitense e imputiamo questa strategia alla volontà americana di reagire al suo fallito tentativo di egemonia unipolare post caduta del muro di Berlino compiamo, in un certo senso, un errore di prospettiva storica, un errore perché questa tendenza caotica nelle relazioni internazionali era già stata individuata agli inizi degli anni Cinquanta da Carl Schmitt nel suo Il Nomos della Terra nel Diritto Internazionale dello Jus Publicum Europaeum. In estrema sintesi, Carl Schmitt sosteneva che l’affermazione novecentesca su piano globale delle potenze marittime, prima l’Inghilterra oggi gli Stati uniti, aveva comportato il deterioramento del diritto pubblico europeo, con la conseguenza che nel nuovo diritto internazionale veniva gradualmente svanendo la personalità dei singoli stati, così come era stata concepita in seguito all’assetto westfaliano, per
essere sostituito da una visione privatistico-commerciale e della guerra e dei rapporti internazionali. Siamo quindi ritornati a John Kerry che offre un miliardo di dollari agli indianiucraini, in spregio del fatto che il governo verso il quale dimostra tanta generosità è frutto di un illegale colpo di stato e che come legittimità, tuttalpiù, non è maggiore a quella di una privata assemblea di condominio (che fra l’altro decida di deliberare in spregio alle vigenti norme del codice civile).
Che poi le conseguenze di questo operare caotico, o meglio, in spregio dell’assetto formalmente personalistico degli Stati in accordo allo Jus Publicum Europaeum, sia il rischio dello smembramento dell’Ucraina, poco importa. O almeno poco importa agli agenti strategici statunitensi. Agli agenti strategici italiani, invece, dovrebbe importare e molto. Costoro devono stare molto attenti perché per l’Italia la posta geopolitica dei prossimi anni non è tanto quale agente strategico nazionale sarà più abile a presentarsi come cameriere degli Stati uniti – per questo ruolo ne servono altri più strutturati di noi, vedi la Germania – ma a quale agente, distrutta de facto l’Italia come entità statuale, sarà data l’opportunità di esibirsi – come un tempo agli indiani nel circo di Buffalo Bill e come oggi nelle riserve – per il divertito passatempo degli agenti strategici americani. Ed è inutile sottolineare che il Repubblicanesimo Geopolitico per quanto non intenda astoricamente sposare un ritorno sic et simpliciter allo Jus Publicum Europaeum (il problema delle libertà politiche e civili era del tutto ignorato se non avversato dal giuspubblicista fascista di Plettemberg), intende battersi con tutte le sue forze sia dal punto dell’analisi che da quello delle alleanze politiche perché lo schizofrenico caos strategico statunitense non significhi per l’Italia la riduzione ad una condizione simile a quella delle riserve indiane dove magari, al posto della danza della pioggia, vengano officiati riti e litanie in onore della sua “grande bellezza”.
“Il Correre della Collera”, 8 marzo 2014
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CRISI UCRAINA: IL SIGNOR WOLFOWITZ NEL PAESE DEGLI IGNORANTI HA FATTO SCUOLA
Di Massimo Morigi
Anche se c’è da nutrire seri dubbi che gli agenti strategici e i centri decisionali istituzionali della politica estera statunitense nella loro attività di destabilizzazione caotica portata avanti a livello globale siano stati ispirati, oltre che da un pensiero che risulta da un mix di geopolitica e una visione del mondo e dell’uomo di stampo hobbesiano, da suggestioni di tipo letterario, nella vicenda Ucraina – come del resto in altre consimili: un caso con profonde analogie operative di tentato rovesciamento dei poteri legittimamente alla guida del paese, il Venezuela prima e dopo la morte di Chavez – questa certezza sembrerebbe per un attimo vacillare. In fondo cosa hanno cercato – e tentano tuttora – di fare gli Stati uniti con l’Ucraina? Molto semplicemente hanno cercato di replicare quanto il grande scrittore ucraino Gogol aveva immaginato nelle Anime morte attraverso la creazione del suo immortale antieroe Cicicov, il quale attraversava la Russia in lungo e in largo per acquistare i nomi dei defunti servi della gleba che, in seguito, avrebbero dovuto essere
truffaldinamente esibiti alle autorità per potere ottenere dei cospicui finanziamenti. E se certamente l’attività di acquisto e di corruzione da parte degli Stati uniti dei settori più disperati e di quelli gangsteristicamente più vocati della società ucraina richiama veramente l’idea di una compravendita di “anime morte” da esibire di fronte al mondo per giustificare il definitivo passaggio al Washington consensus dell’Ucraina, quello che sorprende non è tanto che gli agenti strategici statunitensi dimostrino di non conoscere come va a finire l’immortale romanzo di Gogol (Cicocov non riesce nel suo intento e l’ignobile furbata viene scoperta) ma di non aver preso nemmeno per un attimo in considerazione l’immancabile e scontata reazione della Russia che mai avrebbe accettato – e mai accetterà – il proposito americano di annientarla in quanto superpotenza (ed anche di progressivamente contrarla e sminuzzarla pure territorialmente facendo leva sulle sue varie componenti etnico-culturali). Nel caso specifico della crisi ucraina, la reazione russa a questa impostazione statunitense Grand strategy americana che non è una nostra elucubrazione ma che ha trovato già da più di due decenni una sua elaborazione esplicita nella cosiddetta dottrina Wolfowitz, vedi all’indirizzo http://work.colum.edu/~amiller/wolfowitz1992.htm – WebCite http://www.webcitation.org/6oxfFKkIl e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwork.colum.edu%2F~amill er%2Fwolfowitz1992.htm&date=2017-03-14 – urtext della politica estera statunitense dopo la fine della guerra fredda, della quale il primo commento fu fatto dal New York Times l’8 marzo 1992 con il significativo titolo, come da documento agli URL di cui sopra, U.S. Strategy Plan Calls for Insuring No Rivals Develop A One-Superpower World. Pentagon’s Document Outlines Ways to Thwart Challenges to Primacy of America) anche se parimenti del suo rivale americano nulla deve alla letteratura, forse qualcosa deve ad una visione certamente più creativa e meno nichilistica di quella portata avanti dagli agenti strategici del caos americani. Con l’indizione del referendum che staccherà la Crimea dall’Ucraina (dagli USA e dai suoi accodati alleati giudicato – parole evidentemente emesse senza il permesso del cervello ma sotto la convincente pressione del portafoglio – illegale), la Russia mostrando una sorta di astuzia luciferina e di machiavelliana noncuranza (cosa c’è infatti di più sacro dal punto di vista delle liberaldemocrazie e soprattutto dal punto di vista americano, del principio di autodeterminazione dei popoli: vedi il nefasto ruolo del presidente americano Wilson alla conferenza di pace di Parigi nello smembrare – con l’assai poco previdente appoggio delle principali potenze vincitrici – alla luce dei suoi “Quattordici punti”, senza alcun ritegno e logica geopolitica – se non una già allora incipiente “strategia del caos” – l’impero asburgico e vedi l’accusa americana incessantemente reiterata durante tutta la guerra fredda che l’Unione sovietica non permetteva la libera espressione dei popoli sottoposti al patto di Varsavia), ha dato
alla truffa Stati uniti/Cicicov una soluzione che non sarebbe dispiaciuta nemmeno all’autore delle Anime morte.
Quale soluzione? Molto semplicemente la Russia dice questo agli Stati uniti (e ai suoi alleati). Se volete, tenetevi pure le vostre anime morte (una Ucraina fallita economicamente e che dopo essere stata accolta a braccia aperte dall’Occidente diverrà preda dei mortali aiuti internazionali, Grecia docet), noi ve le lasciamo volentieri e, se ci riuscite, traetene pure un profitto. Noi, da parte nostra, ci limitiamo ad offrire una alternativa a coloro che non vogliono accettare di essere acquistati (la Crimea russofona) come una sorta di “anima morta” dalla truffa del novello Cicicov americano. La morale finale della storia vale non solo per quegli ucraini (chi in buona fede e chi direttamente pagati) si sono fatti trattare come carne da cannone in omaggio alla strategia del caos americana ma anche per quegli alleati di una superpotenza che ha ormai perso ogni ritegno nella sua hubris imperialistica. Al contrario che nel romanzo di Gogol, per le anime morte della strategia statunitense c’è una possibilità di ritorno alla vita. Dubitiamo fortemente che questa possibilità sia ancora a disposizione di un’Ucraina territorialmente integra. Il Repubblicanesimo Geopolitico crede fermamente invece che lo sia per quei paesi i cui agenti strategici abbiano un loro lungo e sedimentato passato che non può essere ridotto – come evidentemente nel caso ucraino – ad una triste ed opaca storia di famiglia di vecchie corrotte burocrazie di partito in cannibalesca ricerca di un agognato riciclaggio “democratico” e che, al contrario dell’Ucraina, si siano nel tempo legati allo sviluppo di forti appartenenze, tradizioni e culture nazionali. E dove in questo atlante geopolitico di forze ed agenti strategici che alla luce delle storie di “lunga durata” delle loro vite nazionali cercano una fuoruscita dagli idola theatri e dalle pratiche del Secolo breve sia la futura naturale collocazione dell’Italia è, pensiamo, persino offensivo accennarlo.
“Il Corriere della Collera”, 13 marzo 2014
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LENIN, L’IMPERIALISMO FASE SUPREMA DEL CAPITALISMO, IL NUOVO SCONTRO USA RUSSIA IN UN MONDO SEMPRE PIÙ MULTIPOLARE E IL RUOLO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO Di Massimo Morigi
Col proposito di fornire il quadro economico che aveva fatto da sfondo allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1915 Lenin iniziò a scrivere “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”, il cui capitolo VII, “L’imperialismo, particolare stadio del capitalismo”, si presta sia al commento della crisi Ucraina dopo che il referendum ha ricongiunto la Crimea con la Russia sia a riflessioni teoriche, di natura politica e geostrategica, che investono in pieno il ruolo che deve svolgere il repubblicanesimo geopolitico nell’attuale fase. Scriveva dunque Lenin nel capitolo VII dell’ Imperialismo fase suprema del capitalismo: «[…] Quindi noi […] dobbiamo dare una definizione dell’imperialismo, che contenga i suoi cinque principali contrassegni, e cioè: la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di una oligarchia finanziaria; la grande importanza acquisita dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.» Dal punto di vista dell’analisi, queste parole di Lenin come rappresentano una pietra miliare per inquadrare la situazione geoeconomica che preluse allo scoppio della prima guerra mondiale, sembrano pure scritte per descrivere l’attuale situazione di scontro multipolare, con particolare riferimento alla vicenda Ucraina. Una vicenda, quella Ucraina, in cui come in nessun altra crisi è apparso chiaro il terribile ed immenso sforzo delle potenza imperialistica egemone di accaparrarsi con tutti i mezzi, in primo luogo tramite le immense risorse del capitalismo finanziario, quest’area vitale per la permanenza della Russia nel novero delle grandi potenze e per la possibilità di contrastare la potenza statunitense. Generalmente, quando si parla delle “inframmettenze” statunitensi in Ucraina, se si possiede un po’ di memoria storica, ci appaiono alla mente fra i principali missionari
dell’esportazione della democrazia marca USA nella terra di Gogol la figura di quel singolare personaggio che va sotto il nome di Gene Sharp e del suo Albert Einstein Institute. Per farla breve. Sia o non sia un agente della CIA o emanazione più o meno diretta di qualche altro agente od ente strategico statunitense (quello dell’appartenenza diretta di Sharp all’agenzia di intelligence statunitense fu tesi sostenuta a suo tempo da Chavez ed è anche convinzione condivisa dall’Iran; noi – non necessitati alle semplificazioni propedeutiche alla mobilitazione delle masse contro il nemico ma non per questo non consapevoli che in politica i complotti esistono, eccome – ci limitiamo a dire che per essere al servizio di un qualche agente strategico non è necessario esserne direttamente e consapevolmente al soldo), Sharp è autore di un libro From dictatorship to democracy. A conceptual framework for liberation (per chi vuole consultarlo nell’originale versione in inglese agli URL http://www.aeinstein.org/wp-content/uploads/2013/09/FDTD.pdf; Internet Archive: https://archive.org/details/FromDictatorshipToDemocracy-GeneSharp_921 e https://ia601500.us.archive.org/33/items/FromDictatorshipToDemocracyGeneSharp_921/FromDictatorshipToDemocracy-GeneSharp.pdf) che, sotto il pretesto di essere semplicemente una guida per combattere regimi dittatoriali sotto qualsiasi forma si presentino è storicamente risultato, a tutti gli effetti, non essere altro che un manuale scritto con pretta mentalità organizzativa militare per abbattere tramite la mobilitazione delle masse i regimi invisi agli Stati uniti. Ciò ha avuto pieno successo in Serbia, dove le istruzioni del manuale di Sharp sono state fondamentali, tramite l’emanazione locale dell’Albert Einstein Institute, l’Otpor, per la deposizione di Milosevic ed ha avuto poi una ancora più vasta applicazione su scala globale con il CANVAS (Center for Applied Nonviolent Action and Strategies), una diretta emanazione dell’ Otpor, che invece che sulla Serbia ha messo il suo zampino in tutte quelle aree, Ucraina compresa, dove gli Stati uniti hanno applicato i loro processi di strategia del caos quando attuati attraverso mezzi di intervento non diretto ma, piuttosto, di sobillazione delle masse eterodirette e più o meno non violente (vedi ruolo del CANVAS anche nelle primavere arabe). Ma se ci si limitasse alla semplice indicazione di sigle e di più o meno quinte o seste colonne che agiscono all’interno di alcuni paesi, che possono essere quelli che si oppongono al Washington consensus (ma non solo, vedi Egitto di Mubarak) ma alle quali si potrebbe ribattere con altrettanti nomi e sigle che rispondono – con diverso grado ed intensità – sotterraneamente ad agenti strategici del campo avverso – quello delle spie e degli agenti provocatori è uno strumento della politica internazionale che viene dalla notte dei tempi e non caratterizza certo l’attuale fase imperialistico-multipolare –, ciò non ci avvicinerebbe affatto al quadro disegnato da Lenin nel suo Imperialismo fase suprema del capitalismo. Più che la stretta elencazione di questi agenti, se vogliamo
comprendere quanto nella situazione ucraina (e quindi anche nelle altre aree di crisi dove le summenzionate quinte colonne hanno avuto la possibilità di agire) abbiano contato le oligarchie finanziarie indicate da Lenin per tentare di accaparrarsi quest’area geopolitica, è ancor meglio ascoltare le parole pronunciate pubblicamente dall’assistente segretario di stato per gli affari europei ed euroasiatici Victoria Nuland. Ebbene il 13 dicembre 2013, in una conferenza tenuta a Washington, Victoria Nuland ha affermato che a partire dal 1991 in Ucraina gli Stati uniti hanno finanziato organizzazioni politiche e non governative per un ammontare di 5 miliardi di dollari («Since Ukraine’s independence in 1991, the United States has supported Ukrainians as they build democratic skills and institutions, as they promote civic participation and good governance, all of which are preconditions for Ukraine to achieve its European aspirations. We’ve invested over $5 billion to assist Ukraine in these and other goals that will ensure a secure and prosperous and democratic Ukraine»). Chi si vada a leggere il testo integrale di questa conferenza (per il quale si rimanda agli URL http://iipdigital.usembassy.gov/st/english/texttrans/2013/12/20131216289031.html; Internet Archive: https://archive.org/details/AssistantSecretaryNulandAtU.s.ukraineFoundationConference e https://ia601504.us.archive.org/15/items/AssistantSecretaryNulandAtU.s.ukraineFoundationConference/AssistantSecretaryNulandAtU.s.ukraineFoundationConference_IipDigital.html), potrà avere contezza non solo di queste “candide” affermazioni che ci fanno capire quanto in Ucraina – e di riflesso negli altri paesi che rifiutano il Washington consensus – sia stato immenso l’apporto di risorse che, attraverso il capitale finanziario, gli agenti strategici della principale potenza su piazza hanno riversato sulle quinte colonne alla Otpor o alla CANVAS per sovvertire “pacificamente” i governi che si volevano opporre agli Stati uniti ma potrà anche vedere il grado di arroganza usato dagli Stati uniti contro i governanti ucraini per costringerli all’adesione all’Unione europea e per accettare gli aiuti del Fondo monetario internazionale ( sempre citando dalla conferenza di Victoria Nuland: «As you all know, and as I’m sure you just heard from Anders and other colleagues, Ukraine’s economy is in a dire state, having been in recession for more than a year and with less than three months worth of foreign currency reserves in place. The reforms that the IMF insists on are necessary for the long-term economic health of the country. A new deal with the IMF would also send a positive signal to private markets and would increase foreign direct investment that is so urgently needed in Ukraine. Signing the Association Agreement with the EU would also put Ukraine on the path to strengthening the sort of stable and predictable business environment that investors require. There is no other path that would bring Ukraine back to long-term
political stability and economic growth»). Se fin qui l’analisi leniniana sulla situazione che fece da sfondo allo scoppio della prima guerra mondiale si rivela fondamentale per fotografare non solo la dinamica degli agenti strategici e finanziari operanti in Ucraina ma più in generale su tutto lo scacchiere internazionale, l’esperienza storica sta però a dimostrarci – al contrario di quanto sperava il marxismo ed in genere tutti i movimenti ad alto tasso di millenerarismo – che la speranza nelle “ultime fasi”, oltre a essere strettamente collegata ad una mentalità propensa al totalitarismo, è anche una previsione del tutto sbagliata (e di questo Lenin ne era anche inconsciamente avvertito: se il titolo del suo libro richiamava la fase terminale del capitalismo, nel titolo del capitolo da noi citato, l’imperialismo veniva degradato a “fase particolare” del capitalismo). Detto in parole semplici e tradotto ad uso del Repubblicanesimo Geopolitico. 1) L’attuale sconfitta che gli agenti strategici statunitensi stanno subendo nella loro strategia del caos attuata attraverso la leva del capitale finanziario e l’impiego sul campo delle masse eterodirette dallo smart power delle NGO modello Otpor o CANVAS non prelude affatto ad una loro uscita di scena (non prelude affatto, cioè, ad una loro “fase finale” ma semmai ad un rimodulazione del loro modus operandi, con un possibile ritorno a pratiche destabilizzanti muscolari dell’era Bush: Obama attenzione guardati alle spalle, i tuoi agenti strategici non sono molto contenti del tuo operato …) ma, semmai, ad un passaggio dalla fase unipolare post caduta del muro di Berlino ad una policentrica molto più travagliata di quella che – ingenuamente – da parte della stragrande maggioranza degli osservatori ci si era aspettati all’indomani della prima elezione di Obama. 2) Se nel suo vedere la “fase finale” del capitalismo Lenin dovette pagare il pegno al profetismo chiliastico del marxismo, la sua mentalità strategica, o meglio geostrategica, comprese benissimo che la lotta contro i monopoli poteva avvenire ed avere successo in quei paesi che costituivano “l’anello debole” di questa evoluzione del capitale finanziario. Dimostrazione della correttezza di questa visione strategica leniniana di puntare sull’anello debole delle nazioni capitalistiche per far vincere la rivoluzione (e con questo successo che però non poté tramutarsi nel sogno comunista ma nell’edificazione “solo” di una moderna superpotenza, l’Unione Sovietica, anche dimostrazione della successiva impossibilità storica e teorica di realizzare la rivoluzione proletaria) fu la Russia con l’abbattimento dello zarismo ed il successo della rivoluzione bolscevica.
Certamente, alla luce del referendum che ha ricongiunto alla grande madre Russia la Crimea, un anello debole della strategia americana di invasione del mondo col suo capitale monopolistico si è dimostrata l’Ucraina. Ciò è certamente un punto segnato da Putin che, degno successore di Lenin, ha sempre dimostrato di sapere colpire al momento opportuno e con inusitata efficacia gli “anelli deboli” della strategia del
caos statunitense. Il punto molto semplice è però che, visto che le “fasi finali” delle transizioni da uno stato unipolare a uno multipolare – come quelle, per fortuna, del passaggio millenaristico e definitivo dal capitalismo al comunismo – appartengono al mondo dei sogni e non alla realtà dello scontro fra agenti strategici, gli spazi di libertà che sono la naturale conseguenza della messa in crisi della potenza ancora attualmente egemone non possono essere affidati in un unico appalto a chi ora contesta, e con successo, questa potenza. Qui sta il compito del Repubblicanesimo Geopolitico: alla luce di un quadro ormai brulicante di “anelli deboli” del Washington consensus, diffondere la consapevolezza che un aumento degli spazi di prosperità e libertà dell’Italia e del suo popolo sia nell’accettare con coraggio la nascente fase multipolare. E nell’altrettanto forte consapevolezza, che in definitiva ci viene proprio da Lenin, che nella scelta degli alleati, interni ed internazionali, che rendano possibile questo passaggio, le “fasi finali” appartengono al mondo delle fate o, per esprimerci in termini politici, a quello delle ideologie. Proprio come stanno a provare nella loro pelle gli ingenui ucraini trattati come carne da cannone dall’ UE e dagli USA, nella scelta delle alleanze e dei compagni di viaggio, di tutto abbiamo bisogno tranne che ripercorrere meccanicamente e solo in senso contrario quello che è già stato fatto negli ultimi cinquant’anni.
“Il Corriere della Collera”, 26 marzo 2014
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