“NON CE NE SIAMO DIMENTICATI”. Sul discorso del presidente Putin del 27 aprile 2022, di Roberto Buffagni

NON CE NE SIAMO DIMENTICATI”. Sul discorso del presidente Putin del 27 aprile 2022.

 

Il discorso del presidente Putin al “Consiglio dei legislatori” del 27 aprile1 segue immediatamente le dichiarazioni del Ministro della Difesa e del Segretario di Stato americani a Kiev2, che individuano come obiettivo strategico “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“; e la riunione della NATO a Ramstein, con le dichiarazioni del presidente Biden, secondo il quale ci troviamo in un frangente storico analogo al crollo dell’URSS3.

Le dichiarazioni ufficiali americane chiariscono che l’obiettivo strategico statunitense è la distruzione dell’integrità politico-territoriale della Russia, una frammentazione della Federazione russa sul modello jugoslavo analoga a quella che seguì il collasso dell’URSS. Infatti, solo così è possibile “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“. Finché la Russia resta politicamente coesa, essa resterà una grande potenza, che sarà SEMPRE in grado di muovere guerra ad altri paesi. Non lo sarebbe più soltanto quando fosse disgregata in entità politiche troppo piccole e deboli per designare autonomamente un nemico.

Ovviamente, su questa base è assolutamente impossibile ogni trattativa tra Ucraina e Russia, tra paesi occidentali e Russia. Le dichiarazioni ufficiali americane risultano infatti in una chiara minaccia esistenziale per la Russia.

Il discorso del Presidente Putin ne prende atto, e reagisce con fermezza, chiarendo che la Russia è disposta a opporvisi con tutti i mezzi a sua disposizione, e si richiama all’esperienza storica del suo paese:

Non abbiamo dimenticato i barbari piani dei nazisti per il popolo sovietico: scacciarlo. Ricordate, vero? Volevano costringere chi ne fosse in grado a lavorare come schiavi, a fare un lavoro servile, costretti in schiavitù. Chi venisse ritenuto superfluo, andava inviato oltre gli Urali o al Nord, per estinguervisi. Questo progetto è documentato, documentato storicamente. Noi non ce ne siamo dimenticati.

Ricordiamo anche come gli stati occidentali hanno incoraggiato terroristi e criminali nel Caucaso settentrionale nei primi anni ’90 e 2000, come hanno sfruttato i problemi del nostro passato, problemi reali, ingiustizie del passato nei confronti di interi popoli, compresi i popoli del Caucaso. Ma non lo hanno fatto per renderci migliori, nient’affatto. Hanno fatto tutto questo per riportare nel nostro presente i problemi del passato, per incoraggiare atteggiamenti separatisti nel nostro paese, e finalmente dividerlo e distruggerlo. Ecco perché hanno fatto tutto questo. Volevano ricacciarci nell’arretratezza. Molti hanno cercato di fare lo stesso con la Russia, in tutte le epoche.

[…] “Consentitemi di sottolinearlo ancora una volta: se qualcuno intende intervenire dall’esterno e creare una minaccia strategica per la Russia per noi inaccettabile, deve sapere che i nostri attacchi di rappresaglia saranno fulminei. Ne abbiamo gli strumenti, strumenti di cui nessun altro, oggi, può disporre. Non ci limiteremo a minacciare; li useremo, se necessario. E voglio che tutti lo sappiano: tutte le decisioni necessarie, su questo punto, sono già state prese.”

Da quanto sopra risulta che la Russia si dispone a combattere con tutte le sue forze per la propria sopravvivenza, e che è pronta a compiere gli stessi – spaventosi – sacrifici che l’hanno salvata dalla distruzione sia nella Seconda Guerra Mondiale (27 milioni di morti), sia nel più lontano passato, ad esempio contro l’invasione delle forze di coalizione europee guidate dalla Francia napoleonica.

Il 30 maggio 1962, alla Camera dei Lord, il Maresciallo Bernard Montgomery, Viscount El Alamein, disse: “Rule 1, on page 1 of the book of war, is: ‘Do not march on Moscow’.

L’Italia sta per partecipare a una guerra che si propone lo scopo di distruggere la Russia senza darsi neppure la pena di dibatterne in Parlamento. Per il bene dell’Italia, è necessario che tutti gli italiani protestino con la massima fermezza, in tutti i modi possibili e legali, contro questa decisione politica che coinvolge loro e i loro figli in una avventura bellica sciagurata.

2 “We want to see Russia weakened to the point where it can’t do things like invade Ukraine.” (Ministro della Difesa Austin) https://www.pbs.org/newshour/world/blinken-austin-return-from-visit-to-ukraine-say-russia-is-failing-in-war-efforts

Fasi storiche e transizioni, di George Friedman

Fasi storiche e transizioni

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

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Ho detto prima che il 1991 fu l’anno in cui un’era finì e ne iniziò un’altra. Nel 1991 l’Unione Sovietica crollò e fu firmato il trattato di Maastricht. Si verificò l’operazione Desert Storm e il miracolo economico giapponese crollò. L’era precedente era stata dominata dalla Guerra Fredda, un confronto ideologico e strategico globale tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. La maggior parte degli eventi globali rientra da qualche parte in quel paradigma.

L’essenza della nuova era era racchiusa nell’Unione Europea, emersa dalla paura di un’altra guerra europea e dalla convinzione che la guerra fosse obsoleta e che il sistema globale fosse ora principalmente una questione economica. Questa era aveva anche altre dimensioni. Desert Storm ha dato energia al fondamentalismo islamico e ha innescato decenni di guerra al terrorismo. Il declino del Giappone ha fatto spazio all’ascesa della Cina. La nuova era non riguardava il potenziale di guerra nucleare nella lotta bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma piuttosto il declino dei confini nazionali e il primato del commercio internazionale.

A mio avviso, l’invasione russa dell’Ucraina segna una nuova era, la cui forma non è ancora chiara. Ovviamente, la guerra è tornata come fattore primario, ma forse più importante, l’uso della guerra economica da parte degli Stati Uniti e la resurrezione delle istituzioni della Guerra Fredda segnalano un nuovo modo di usare l’economia: dalla fede nell’economia globale che arricchisce il mondo all’uso dell’economia globale come strumento di guerra. Questo deve essere preliminare perché abbiamo visto solo l’Ucraina e forse il COVID-19 come indicatori di questo cambiamento.

La vita umana è costruita su modelli: nascita, infanzia, età adulta, riproduzione e uscita. Se la vita di un essere umano è ordinata nelle sue grandi linee, mi sembra strano pensare che la vita della società umana sia casuale. Quindi, forse passo troppo del mio tempo a cercare quei modelli, una teoria sul campo dell’umanità. Guardando al 1991 e a ciò che si sta svolgendo ora davanti a noi, ho deciso di provare a dare una rapida mano all’analisi della storia umana degli ultimi 200 anni circa. Di seguito hai il mio primo, e probabilmente cotto a metà, tagliato a questo. Il suo uso non è semplicemente trovare l’ordine nella storia, sebbene ciò abbia importanza. Il suo potenziale utilizzo potrebbe essere che nel trovare l’ordine, i colpi strazianti e psicologicamente destabilizzanti inflitti dai cambiamenti potrebbero essere mitigati. Ovviamente, pensieri così grandiosi devono seguire la domanda se l’ordine che sto presentando è reale o semplicemente un’illusione che ho creato, con confini che sono chiari solo nella mia testa. Normalmente non presento idee minimamente ponderate (alcuni potrebbero discuterne), ma in questo caso ho pensato che potesse avere un certo valore. È qualcosa con cui gioco da tempo, ma sembra particolarmente significativo nel 2022. Non ho cercato di includere gli eventi di transizione come ho fatto nel 1991 ma semplicemente di identificare i punti di transizione.

Ciò è fortemente incentrato sull’Europa, con menzioni minime di altri continenti, ma ciò è dovuto al fatto che la storia globale è stata forgiata e dominata dall’Europa negli ultimi 200 anni circa, transitando in altri paesi come driver solo in epoche successive.

Cinque epoche di storia dal 1789 e la sesta emergente

1. 1789-1858 (69 anni): Il repubblicanesimo sfida i regni d’Europa

Questa epoca inizia con la Rivoluzione francese e l’ascesa di un tentativo di rimodellare l’Europa in un’unica entità. Emerse una cultura di stati-nazione governati liberamente, con il declino del vecchio ordine politico e sociale europeo.

2. 1858-1914 (56 anni): gli imperi europei dominano il globo

Il 1858 segnò l’istituzione del Raj britannico in India e un punto definitivo in cui gran parte del mondo, già sotto l’intrusione e l’assalto europeo, si trovò avvolta nell’imperialismo europeo, dove prima c’erano assalti ma nessun sistema imperiale sistematico. Laddove la Francia definì l’epoca precedente, la Gran Bretagna definì questa.

3. 1914-1945 (31 anni): l’Europa si fa a pezzi, emergono gli USA

Questa epoca fu dominata dalle guerre europee che portarono all’emergere degli Stati Uniti come forza economica e militare dominante e al crollo del
sistema imperiale britannico.

4. 1945-1991 (46 anni): Due ideologie dell’Illuminismo diventano geopolitiche

Questo periodo è stato dominato dalla lotta USA-URSS incentrata sull’Europa ma combattuta a livello globale. La paura globale era di una guerra nucleare, ma la realtà globale era che il modello economico e tecnico americano dominava gran parte del mondo, soppiantando la cultura dell’imperialismo europeo.

5. 1991-2022 (31 anni): trionfo americano e fantasia di pace e prosperità globale

6. 2022-????

Quando guardiamo alle epoche precedenti, siamo colpiti dalla discontinuità. L’egocentrismo europeo è sostituito dall’ossessione europea per il mondo. L’ossessione europea per il mondo è sostituita dalla subordinazione europea agli Stati Uniti. Lo scontro militare ideologico della Guerra Fredda è sostituito da un’ideologia globalista.

Separando le epoche, non è semplicemente che un conflitto è finito ed è emerso un nuovo potere, ma piuttosto è cambiata la realtà fondamentale del mondo. La cosa più importante della Guerra Fredda non è stata la vittoria degli Stati Uniti, ma la creazione di una concezione completamente nuova del mondo. A partire dalla Rivoluzione francese, le certezze del mondo cambiarono drasticamente ogni generazione o due.

Se questo è vero, definire quale paese sale o scende, sebbene necessario, non è sufficiente. Se la guerra in Ucraina definisce la fine della quinta era, un ritorno a una guerra fredda multigenerazionale tra Stati Uniti e Russia come principio determinante dell’epoca è il risultato meno probabile. La fine della Guerra Fredda ha portato giocatori molto diversi a giocare a un gioco molto diverso.

Continuo a guardare la sequenza e mi rendo conto che ogni epoca era una realtà fondamentalmente diversa. E la cosa più sorprendente è la velocità con cui si evolve. Quando guardo altre volte, i cambiamenti su questo ordine dopo una o due generazioni non si verificano. Ora appare con regolarità. Alcuni direbbero che è tecnologia, ma non credo. La tecnologia ha una base nell’Illuminismo e l’illuminazione è una cultura infelice, che desidera sempre qualcosa di nuovo e di migliore. La tecnologia è semplicemente parte di questa cultura.

Il punto cruciale è che all’interno di un’epoca c’è un tema generale che si ripete costantemente. Nella quarta epoca ci fu la Guerra Fredda, la terza guerra europea e mondiale. Il quinto ha visto il declino delle nazioni a favore dell’economia. La differenza tra le epoche è sorprendente e improvvisa. Se ho ragione, siamo appena oltre la soglia della sesta epoca, la cui forma potrebbe essere distinguibile se questo modello diventasse molto più completo e significativo. A guardare il modello, questi elementi sembrano ovvi e non hanno segreti. Ma è ovvio perché tutti conosciamo questa storia e non abbiamo guardato attentamente sotto il cofano. Sto cercando di trovare il fermo sul cofano, ancora lontano dallo sguardo attento. I primi pensieri, a lungo borbottati.

https://geopoliticalfutures.com/historical-phases-and-transitions/

Geopolitica della Russia_da Geopolitical Future

Un saggio senza dubbio interessante, ma con alcuni punti da chiarire:

  • la relativa debolezza della Russia rispetto alla relativa forza degli Stati Uniti e la compatezza e forza dei diversi sistemi di alleanza e cooperazione in via di formazione
  • la postura globale o prevalentemente locale della visione geopolitica russa rispetto a quella occidentale
  • la constatazione che comunque la Russia è una potenza nucleare di prim’ordine con un potere grandissimo di deterrenza
  • le alternative geopolitiche e geoeconomiche possibili della Russia rispetto a quelle del mondo occidentale.

Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il presidente russo Vladimir Putin ha descritto il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 come “la più grande catastrofe politica” del XX secolo. A quelli fuori dalla Russia può suonare come un’iperbole, ma per chi ci ha vissuto è una storia diversa. In breve tempo, hanno assistito al loro governo a Mosca, una potenza alla pari con gli Stati Uniti per quasi cinque decenni, perdere l’equilibrio e non riprendersi mai completamente. La Russia divenne indigente, persino senza scopo.
Il crollo dell’Unione è stato così traumatico che continua a definire l’identità della Russia di oggi.
E anche se il paese è rimasto formidabile nel suo vicino estero, è meno capace di una volta nel garantire i suoi interessi nazionali più lontani. Per capire perché è così, dobbiamo iniziare guardando una mappa.

Geografia, o i pericoli dell’Occidente

In effetti, la sfida più fondamentale e strategica della Russia – nelle sue due dimensioni internazionali e domestiche – deriva dalla geografia del paese. La gran parte del territorio russo si trova tra i 50 gradi e 70 gradi di latitudine. Per comparazione, la latitudine di Londra è di circa 51 gradi, quella di Berlino ha 52 gradi e quello di Ottawa 45. Il clima della Russia è generalmente fresco, e la vegetazione e l’uomo nel loro ciclo vitale tendono ad abitare aree che sono al di sotto dei 60 gradi di latitudine. Il cuore dell’agricoltura russa si trova a sud-ovest, lungo i suoi confini
con Ucraina, Caucaso e Kazakistan. Il clima e l’agricoltura spiegano molto dei motivi per i quali tre quarti della popolazione vive nella zona tra il confine della Russia con l’Europa e gli Urali. Le città più cruciali del paese, tra cui la sede del suo governo, inoltre, sono tutte vicine all’Europa. La Russia ha pochi fiumi, e quelli che ha fluiscono principalmente verso ovest, rendendo difficoltoso trasportare merci lungo il territorio nazionale.
La Russia compensa questi svantaggi naturali affidandosi alle ferrovie, che ulteriormente evidenziano l’importanza dell’occidente e delle regioni meridionali. Ed è così che la Russia è sproporzionatamente preoccupata – e in pericolo – per i suoi tratti occidentali.
In quanto potenza terrestre, la Russia è intrinsecamente vulnerabile.
Il suo confine con l’Europa è estremamente suscettibile all’invasione, situata com’è sulla pianura nord europea. Questa distesa piatta di terra inizia in Germania e, appena ad est dei Carpazi, ruota verso sud, aprendo proprio alle porte della Russia. Storicamente, è stata un’importante arteria di invasione militare occidentale. Poiché i nemici della Russia lo hanno fatto così spesso utilizzando questa rotta di invasione, Mosca ha provato a rendere più difficile per gli invasori raggiungere il suo territorio spingendo i confini della Russia il

più a ovest possibile. Quando i confini nazionali non potevano essere estesi, Mosca ha stabilito zone cuscinetto tra il nucleo della Russia e il resto della Europa. Al culmine dell’Unione Sovietica, Mosca ha goduto di un ampio zona-cuscinetto che si estendeva bene nell’Europa centrale.
Con il crollo dell’Unione Sovietica, però, la Russia ha perso la maggior parte di questi territori
e da allora è sulla difensiva. Considera che nel 1989 San Pietroburgo era a circa 1.000 miglia dalle truppe NATO. Adesso quella distanza è di circa 200 miglia.

UNA CONCENTRAZIONE DI RICCHEZZA

La geografia russa presenta una sfida si troppo evidente: chi governa il Paese deve gestire il paese più grande del mondo, che comprende popoli molto diversi, clima, risorse naturali e reti di infrastrutture. la Federazione Russa è composta da 85 soggetti federali che consistono amministrativamente in strutture che vanno da regioni autonome e repubbliche alle singole città. Di conseguenza, la Russia ospita economie altamente regionalizzate in cui ricchezza e prosperità sono distribuite in modo non uniforme.
La ricchezza è concentrata in Occidente, in particolare a Mosca e nel Distretto Federale Centrale.
In tempi di prosperità, la disparità economica può essere rappezzata e la pressione nei distretti ad alto reddito si allevia abbastanza facilmente.
Ma in tempi di costrizione economica, come è successo quando i prezzi del petrolio sono scesi alla fine del 2014, il governo centrale deve far fronte alla pressione sociale dei distretti più poveri dell’interno.
Non c’è da meravigliarsi, quindi, che lo sviluppo economico della Russia sia stato dalla fine della Guerra Fredda così irregolare. Gli anni ’90 erano dedicati alla sopravvivenza, non alla crescita economica. Le riforme del decennio erano finalizzate a una cosa: prevenire il ritorno della Russia al regime comunista.
La maggior parte dei russi viveva in condizioni di povertà o quasi; la maggior parte delle imprese statali sono state privatizzate – in offerta. La crisi finanziaria russa del 1998 e le proteste associate hanno portato a un grande cambiamento. Le persone erano pronte ad accettare un governo forte e così ha accolto con favore un sovrano più forte.
Entra in campo Vladimir Putin, che ha cercato di aggiustare l’economia e poi ricostruire il governo.
Da allora, lo sviluppo della Russia è stato basato sulle esportazioni di energia, che a loro volta hanno alimentato il bilancio della spesa e dei consumi.

Questo ha funzionato abbastanza bene quando i prezzi dell’energia erano alti. Ma quando cadono, cadono anche le entrate russe. Questo porta inevitabilmente a periodiche recessioni economiche. Dal 2015 al 2017, per esempio, i cittadini hanno protestato contro la disoccupazione, i salari bloccati, i tagli ai programmi di governo, salari reali più bassi, fallimento e frustrazione generale con standard di vita ridotti. Le proteste erano limitate, ma potevano minacciare Putin a lungo termine. Adesso tocca alle sanzioni occidentali minacciare l’economia russa e una volta, ancora una volta, Putin non deve solo mantenere il controllo ma mostrare anche alle persone che sta rispondendo ai loro bisogni.
Il modo in cui lo ha fatto è erigere un doppio livello del sistema economico. Controlla un livello attraverso la sua “cerchia ristretta”, che sono le aziende di proprietà statale, mentre l’altro livello è soggetto alle leggi del libero mercato. Quelle gestite dallo stato costituiscono circa un quinto della economia russa. Il popolo russo ancora sostiene Putin – e potrebbero anche fidarsi di lui – ma considerano oligarchi e amministratori regionali come persone corrotte. Il presidente deve contemperare i bisogni del suo popolo e i bisogni delle aziende che sostengono l’economia. Nel 2001 si è schierato con il popolo, ha condotto una campagna contro gli oligarchi per poi prendere il controllo dei media e delle aziende energia energetiche.

Ha anche riorganizzato parte dello stato e le agenzie di sicurezza che aiutano a mantenere l’ordine.
Ha istituito la Guardia Nazionale, che unifica diverse forze di sicurezza interna sotto il controllo diretto del presidente.
Lo scopo dichiarato delle truppe è quello di proteggere l’ordine pubblico, combattere l’estremismo, proteggere le figure e le strutture del governo, aiutare a proteggere il
confine e controllare il commercio di armi. Ha inoltre ins
ediato funzionari fedeli al suo governo
in luoghi importanti. Ad esempio, tra
il 2017 e il 2018, ha rimosso 16 generali dai loro incarichi presso il Ministero della Protezione Civile, le Emergenze ed eliminazione delle conseguenze
dei disastri nazionali; un corpo responsabile della risposta alla protezione civile,
ai disordini pubblici e proteste, all’interno del Ministero, sostituendoli con funzionari selezionati personalmente. I licenziamenti in primis hanno colpito il Caucaso, l’Estremo Oriente e città alla portata di Mosca – città dove, fino alla fine del 2017, era stato segnalato un aumento dei disordini.

Tutta la politica è locale

Politicamente, il governo russo sotto Putin ha consolidato il suo potere abbastanza presto.
Sotto la sua amministrazione, i partiti politici sono relativamente poco importanti; il sistema favorisce i partiti filo-Cremlino. Partiti che non supportano il governo hanno poche possibilità di ottenere seggi alla Duma, la camera bassa del parlamento. Nel 2000, a breve dopo aver assunto la sua prima presidenza, Putin in realtà ha ridotto il numero dei partiti rappresentati alla Duma. Nel 2012, l’allora Presidente Dmitri Medvedev sembrava fare marcia indietro su questa mossa approvando una legge che semplificava le procedure di registrazione per i partiti politici. Sulla carta, la nuova normativa intendeva aprire il sistema dei partiti a gruppi di interesse alternativi. In pratica, il sistema è rimasto chiuso.
Cinque partiti politici, tutti filogovernativi in una certa misura, attualmente dominano la Duma. Russia Unita, il partito di Putin, detiene 323 seggi su 450, facendo quello che dice Putin di fare. Il Partito Comunista (57), il Partito Democratico Liberale(23), Una Russia Giusta(27) e New People Party (14) detengono i posti rimanenti. Gli ultimi quattro partiti non sono visti come partiti ufficiali filo-governativi e quindi rappresentano almeno in parte l’opposizione. In particolare, il termine “opposizione” è usato liberamente; i rappresentanti raramente sfidano le iniziative guidate da Putin.

Voti espressi dai funzionari di questi partiti riflette un disaccordo con Russia unita e la burocrazia allo stesso tempo rimane fedele al presidente e al sistema. Hanno una certa distanza dal regime, ma non vi si oppone apertamente.
Putin ha anche consolidato il potere politico con l’epurazione dei governatori russi: un aspetto importante, considerando il rapporto tra governatori e membri del governo nazionale.
Spesso lavorano insieme, dipendono l’uno dall’altro e hanno cura degli interessi reciproci. Sono state reintrodotte le elezioni governative nel 2012, ma mentre la legge da reintrodurre si stava facendo strada nel sistema, più di 20 governatori erano riconfermati dal Cremlino, ritardando le elezioni in queste località fino al 2017. Poi, nel 2013 Putin ha firmato una legge regionale che ha permesso elezioni per decidere tra l’elezione diretta dei governatori o avere l’elezione regionale con seleziona e nomina di un governatore da una breve lista stilata da Putin.
I governatori regionali, a loro volta, svolgono un ruolo nel nominare membri del Consiglio della Federazione Russa, la camera alta del parlamento.
Il consiglio è composto da due rappresentanti eletti da ciascuna delle 83 entità federali della Russia. Un rappresentante è scelto dal legislatore regionale
e uno è selezionato dal governatore della regione. La lunghezza del mandato varia con l’entità federale. Costruito dentro questo sistema è un livello di reciprocità tra
governatore e presidente, abilitando ulteriormente Putin nell’esercizio di influenza. È in grado di garantire che un candidato ottenga una carica di governatore,e in cambio, il governatore può
nominare un membro pro-Cremlino al consiglio.

Questa relazione diventa ancora più importante considerando che il consiglio approva i decreti presidenziali di legge marziale, dichiara lo stato di emergenza, schiera truppe all’estero, sovrintende alla nomina presidenziale del procuratore generale e decide l’impeachment e i verdetti.
Putin ha dedicato gran parte della sua politica, di capitali e risorse per consolidare il suo potere attraverso le riforme inel governo dei vari organi di sicurezza. Ricostruendo il suo cerchio interno e rinnovando la struttura del potere, Putin ha dimostrato che ha bisogno di estendere la sua rete per garantire che decreti e politiche siano attuati correttamente e che i dissidenti restino messi a tacere.

Il fulcro della sua politica estera

Gran parte delle macchinazioni politiche di Putin, tuttavia, hanno lo scopo di perpetuare un mito all’estero. Il mito che la Russia sia forte quanto sembra. Senza la capacità di agire in modo altrettanto deciso come poteva fare durante la Guerra Fredda, in Russia è relegato a concentrarsi sul proprio cortile.
Le vulnerabilità lungo il suo confine occidentale costringono la Russia a mantenere un forte punto d’appoggio in Ucraina e Bielorussia. La Russia ha bisogno di questi due paesi per isolarlo dalle minacce esterne. Anche se la Bielorussia è rimasta saldamente all’interno della sfera di influenza della Russia nell’era post-sovietica, l’Ucraina no. Dopo che i sostenitori filo-occidentali hanno rovesciato il governo amico della Russia a Kiev, Mosca non aveva altra scelta che rispondere con forza. Sin dall’inizio del 2014 ha conquistato la penisola di Crimea e ha inviato truppe e rifornimenti ai ribelli pro-Russia che combattono nell’Ucraina orientale.
La Crimea è stata annessa in parte per garantire un punto d’appoggio in Ucraina e in parte per mettere in sicurezza il porto di Sebastopoli, sede della flotta del Mar Nero.
La marina russa è composta principalmente da quattro principali flotte – il Nord, il Baltico, il Mar Nero e Pacifico. I primi tre sono tutti basati sulla parte europea della Russia e sono vincolati da importanti strozzature che ne limitano l’accesso alle acque aperte. Dal momento che gran parte della Russia è senza sbocco sul mare, la perdita o la compromissione dei porti e del quartier generale per ognuno di queste flotte ridurrebbero gravemente il potere della flotta russa e incidono negativamente sul commercio marittimo.

Dal Mar Nero, attraverso il Bosforo, la Russia ottiene l’accesso al Mediterraneo e da lì l’Atlantico.
Nonostante tutto, l’Ucraina è rimasta la priorità assoluta della Russia e il fulcro della sua politica estera. La Russia post-sovietica non aveva nessuno né le risorse né i mezzi per riprendere l’Ucraina. Il potere ridotto della Russia ha forzato Mosca per adottare una strategia di disgregazione globale che mirava principalmente agli Stati Uniti. (La loro rivalità è un elemento dell’era della Guerra Fredda che rimane intatta.) Mosca lo ha fatto in modo più visibile in Siria, dove ha funzionato per sfruttare la sua influenza nella risoluzione del conflitto con un risultato più vantaggioso verso gli Stati Uniti che sull’Ucraina, anche se è stata parte attiva anche in Venezuela e Corea del Nord.
Ad esempio, a metà del 2013 si è inserita la Russia stessa nella crisi internazionale negoziando un accordo per distruggere il programma siriano di armi chimiche. Nello stesso anno, le proteste dell’Euromaidan in Ucraina hanno estromesso il Governo favorevole alla Russia a Kiev e sostituito esso con uno che ha favorito l’Occidente. In una posizione molto più debole di quella di pochi mesi prima, la Russia si rivolse ancora una volta al conflitto in Siria. Dopo aver rimodellato le percezioni del potere russo, rafforzando la posizione delle forze e dei suggerimenti di Assad nei negoziati con gli Stati Uniti, il limitato intervento siriano limitato ha ampiamente soddisfatto lo scopo strategico della Russia.
Recentemente la Russia ha deviato dalla globale strategia di interdizione e ha invaso l’Ucraina.
La mossa ha rivitalizzato la NATO e in generale la relazione USA-Europa. Mentre l’Occidente non si è impegnato direttamente in un’azione militare con la Russia in Ucraina, ha però fornito significativo supporto logistico e militare all’Ucraina.

In aggiunta l’Occidente ha applicato severe sanzioni contro la Russia, isolando il Paese da gran parte dell’economia globale. La Nato ha anche aumentato le rotazioni delle sue truppe, incrementato difesa e dispiegamento di sistemi d’arma lungo il fianco orientale della NATO. Per la Russia, l’aumento della presenza della NATO – e in particolare quella degli Stati Uniti – nel suo cortile costituisce una grave minaccia.

È una minaccia che non può gestire completamente. A più di 30 anni dal crollo dell’Unione Sovietica, la Russia sta ancora cercando di trovare la sua strada. Nella vita delle nazioni, 30 anni non sono così lunghi nel tempo, e la caduta degli imperi tende a risuonare per anni dopo. Inoltre, l’economia Russa dopo la pandemia ora deve affrontare gli ulteriori vincoli di sanzioni di vasta portata
Ciò è particolarmente problematico in una regione complessa e pericolosa come quella russa; una regione in cui apparire debole può essere una minaccia altrettanto grande che essere debole. La Russia deve contemporaneamente cercare di apparire più potente di quel che è e gestire meticolosamente la potenza che ha. Ma il vero potere è durevole. Le illusioni sono effimere. Azioni intraprese dalle nazioni deboli, progettate per farle apparire più forti quasi sempre falliscono nel lungo periodo.

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SANZIONI ED ETEROGENESI DEI FINI, di Teodoro Klitsche de la Grange

Dall’inizio del conflitto russo-ucraino i mass-media mainstream (ossia la grande maggioranza) esaltano l’efficacia delle sanzioni decise – in particolare quelle dell’U.E..

Questo toccandone ogni possibile aspetto e conseguenza. Si legge con piglio giustizial-populista, che sono sequestrati i panfili degli oligarchi. Ma come ciò possa danneggiare il tenore di vita della stragrande maggioranza dei russi che quei panfili li hanno visti solo in cartolina, non si comprende; e ancor meno come, da ciò, possa diminuire il consenso popolare a Putin. Piuttosto potrebbe farlo – e probabilmente lo può – l’aumento delle perdite umane provocate dal proseguire della guerra. Parimenti non è chiaro se il divieto di vendere mocassini, prosecco e parmigiano ai russi possa creare problemi a Putin; casomai li crea ai produttori italiani.

Certo sanzionare le importazioni di petrolio e gas problemi seri allo Zar li può provocare: solo che perché la minaccia diventi efficace occorrono anni. Nel frattempo Putin concluderà la guerra e le sanzioni saranno inutili.

D’altra parte nel secolo scorso l’efficacia delle sanzioni economiche per dissuadere dall’aggressione o comunque coartare la volontà del sanzionato è stata – per lo più – minima.

A partire da quelle applicate all’Italia perla guerra d’Etiopia, fino al caso della piccola Cuba che ha resistito per diversi decenni alle misure economiche degli U.S.A., e conservato il proprio regime nemico degli Yanquis; permettendosi anche qualche intervento all’estero (a dispetto degli americani, e, ovviamente sollecitato dai sovietici). Se ci si chiede il perché, data la sproporzione dei mezzi (tra sanzionanti e sanzionati) i risultati siano stati così modesti, occorre, principalmente, rifarsi a due ragioni.

La prima: che la guerra reale è condizionata, limitata ad un obiettivo politico. Vince chi lo consegue, perde chi non lo raggiunge. Occorre pertanto che per dissuadere l’aggressore le sanzioni siano efficaci nel lasso di tempo decorrente tra inizio e conclusione della guerra. Nel caso ad esempio della guerra di Etiopia, le sanzioni all’Italia durarono poco più di sette mesi e furono revocate due mesi dopo la caduta di Addis Abeba. Ma non avevano né influito sulle operazioni né distolto Mussolini dall’obiettivo politico (la conquista dell’Etiopia). Conseguito il quale diventavano inutili.

La seconda: per essere efficaci le sanzioni devono essere applicate da quanti più soggetti, di guisa da non lasciare alternativa al sanzionato. Quelle per la guerra d’Etiopia furono inefficaci perché, per diverse ragioni, Germania, U.S.A. e perfino alcuni Stati che le avevano deliberate non le applicarono o lo fecero parzialmente e distrattamente. Lo zucchero cubano, nell’altro caso ricordato, trovò un acquirente interessato nell’Unione sovietica e Stati satelliti.

Al contrario l’embargo deciso da U.S.A., Gran Bretagna e Olanda contro il Giappone nel luglio del 1941 era estremamente efficace, perché il Giappone non poteva trovare delle possibili sostituzioni alle materie prime che venivano a mancare, petrolio in primo luogo.

I militari giapponesi stimavano che il petrolio accumulato o comunque disponibile non sarebbe durato più di due anni: entro quel termine avrebbero dovuto cessare l’aggressione alla Cina e l’occupazione dell’Indocina. La guerra scoppiò meno di sei mesi dopo. Il principale (se non unico) caso di sanzioni efficaci nel secolo scorso ebbe il risultato di dar inizio ad una guerra nuova, e non di concludere quella in corso. Cioè raggiunse l’obiettivo opposto alle intenzioni proclamate: costituendo così caso da manuale di eterogenesi dei fini (esternati).

Cambiando angolo visuale sopravvalutare l’effetto delle sanzioni è un errore di valutazione che consegue alla sopravvalutazione dell’elemento economico in un ambito essenzialmente politico com’è la guerra. Il discorso relativo è di un’ampiezza da non poter essere contenuto in un articolo. Sta di fatto che l’esito della guerra – salvo il “caso” ricordato da Clausewitz – dipende da una serie di fattori, fattori di potenza. Ossia idonei a far prevalere la propria volontà su altri, o, all’inverso, di non far prevalere quella degli altri sulla propria. Ambedue condizionate dall’obiettivo politico della guerra (o della pace). Nel caso più frequente alle volte conseguirlo esige di vincere (sul piano militare) la guerra, in altri di non perderla. Allo scopo i fattori di potenza (economico, militare, organizzativo, anche costituzionale) non è solo il primo. Anzi possono essere compensati da altri. Nella guerra dei sette anni, la Prussia, piccola ma dotata di un grande esercito guidato dal miglior generale dell’epoca – ed alleata ed aiutata dalla Gran Bretagna – riuscì a realizzare l’obiettivo di non soccombere ai tre più potenti Stati continentali dell’epoca: Francia, Austria e Russia, dotati di risorse economiche, finanziarie e demografiche superiori di circa 20 volte a quelle di Federico II. Nel XX secolo le guerre rivoluzionarie di liberazione – asimmetriche in sé – hanno mostrato come popoli colonizzati, poveri ed arretrati hanno raggiunto l’indipendenza dagli Stati colonizzatori, malgrado la disparità anche nei mezzi militari. Questo essenzialmente per il loro obiettivo politico (l’indipendenza), la determinazione nel perseguirlo nonostante danni e perdite, e la coesione realizzata allo scopo. Dalla parte dei colonizzatori, dove l’interesse economico era prevalente e richiedeva il controllo del territorio coloniale, il costo delle guerre si rivelò superiore ai benefici dell’occupazione (onde preferirono concedere l’indipendenza). Cioè opera in senso inverso alla logica economicistica e quantitativa. Logica che avrebbe avuto un ruolo sicuramente più ampio e di “successo”, in stato di pace. Per cui, dati i risultati delle sanzioni efficaci (cioè Pearl Harbour) c’è da augurarsi che, ai fini della pace, quelli delle sanzioni U.E. lo siano il meno possibile.

Teodoro Klitsche de la Grange

Una vera politica estera per la classe media, di Heidi Crebo-Rediker e Douglas Rediker

Questo lungo articolo di “Foreign Affairs” è molto importante e significativo. Chiarisce alcuni fondamentali fattori chiave che legano le dinamiche di politica interna e di geopolitica; tra la necessità di garantire la dinamicità e la coesione della formazione sociale statunitense e le scelte di politica estera, in particolare la selezione degli antagonisti principali e le dinamiche di relazioni conflittuali/cooperative da orientare con essi. Gli autori si soffermano in particolare a trattare la relazione con gli antagonisti, di fatto la Cina e la Russia, per meglio dire i loro centri decisori egemoni, senza soffermarsi particolarmente sulle implicazioni dirompenti di queste scelte nel campo della vasta area di alleati della quale l’attuale amministrazione statunitense ancora riesce a tessere efficacemente la trama. Parla semplicemente di un rimodellamento.  Si tratta in realtà di una ridefinizione dei rapporti, in particolare con i paesi europei, che presenta numerosi aspetti sconvolgenti gli assetti socio-economici; aspetti molti dei quali addirittura distruttivi e regressivi della condizione socio-economica europea e delle gerarchie di subordinazione politica. Una chiave interpretativa ulteriore per comprendere la dimensione, la natura e la portata della postura europea rispetto al conflitto ucraino, alla prospettiva di destabilizzazione endemica del subcontinente europeo e alle conseguenze e dinamiche innescate nei paesi europei alleati dalla pesante e progressiva politica di sanzioni ed embarghi. Sta arrivando il momento di pagare il conto particolarmente salato a carico dei paesi europei di una politica sciacallesca, di ispirazione anglosassone, iniziata con la marchiatura nei rapporti con i paesi europei del dissolto blocco sovietico a fine anni ’80, proseguita con la guerra alla Serbia e alla ex-Jugoslavia a fine anni ’90 e con il suo culmine nel conflitto attuale in Ucraina e nei conflitti prossimi venturi che già si annunciano. Quello che alcune élites europee, soprattutto tedesche, hanno pensato di ricavare dalla loro subordinazione alle trame statunitensi, dovranno restituirlo a tassi di usura. Altre élites europee, in particolare le italiane, ne hanno ricavato nel frattempo ben poco, hanno compromesso pesantemente la coesione e la postura geopolitica del paese, dovranno in buona parte probabilmente pagare anche di persona i servigi resi. Gli autori addebitano a Trump le peggiori intenzioni verso gli europei: “Sotto Trump, gli Stati Uniti hanno voltato le spalle ai suoi alleati e partner”. In realtà sono gli europei a non aver voluto approfittare degli spazi apertisi durante la sua presidenza. Sono stati, assieme alle gerarchie della NATO, in realtà i principali strumenti della restaurazione in corso negli Stati Uniti. Comprenderanno quanto prima il significato reale della “differenza degli sforzi determinati dell’amministrazione Biden per ricostruire la fiducia e le relazioni bilaterali”; l’effettiva utilità della loro infamia e della pochezza miserabile delle loro scelte. Il peso maggiore dovranno sopportarlo come sempre la gran parte delle popolazioni europee.

Quanto all’espressione di ottimismo manifestato dagli autori circa il ripristino della leadership mondiale statunitense e di quella dell’amministrazione attuale sul proprio paese mi pare decisamente prematura. Ancora una volta si identifica l’egemonia sull’Europa ed in parte su alcuni stati asiatici con quella mondiale. Quanto ai problemi di gestione e coesione interna più che avviarsi a soluzione, sembrano aggravarsi ulteriormente. Potrebbero, al contrario, rivelarsi il fattore scatenante decisivo di una possibile crisi definitiva di questa classe dirigente. Staremo a vedere, purtroppo da spettatori, almeno qui in Europa.

Buona lettura, Giuseppe Germinario

Come aiutare i lavoratori americani e il progetto US Power

Nel febbraio 2021, due settimane dopo il suo insediamento, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha tenuto un discorso in cui ha delineato la sua visione di politica estera. Nel corso di 20 minuti, il nuovo presidente ha dettagliato molti degli interessi all’estero di Washington, inclusa la promozione della democrazia e la collaborazione con gli alleati degli Stati Uniti per competere contro la Cina. Ha identificato una serie di sfide internazionali, inclusi attacchi informatici, proliferazione nucleare e flussi di rifugiati. Ma quando è arrivato il momento di parlare di economia internazionale, Biden ha evitato di guardare all’estero e ha invece concentrato la sua attenzione a casa. “Non c’è più una linea netta tra la politica estera e quella interna”, ha detto. “Ogni azione che intraprendiamo nella nostra condotta all’estero, dobbiamo prenderla pensando alle famiglie lavoratrici americane”. Washington, ha detto, deve promuovere “una politica estera per la classe media”.

L’ultima frase – “una politica estera per la classe media” – è diventata la lente attraverso la quale l’amministrazione Biden ha perseguito la sua agenda economica internazionale. Nel complesso, significa trovare un equilibrio tra la promozione degli interessi delle famiglie lavoratrici statunitensi e il perseguimento dell’agenda più strategica e spesso realpolitik che guida gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, in particolare affrontando le sfide poste dalla crescente concorrenza con la Cina. Implica la creazione di un approccio di politica industriale più pro-sindacale per investire nel rinnovamento economico interno e nella competitività degli Stati Uniti in modo che Washington possa continuare a proiettare il potere degli Stati Uniti. Richiede il rafforzamento delle vulnerabilità della sicurezza nazionale nelle catene di approvvigionamento in modo da avvantaggiare i lavoratori. E implica lavorare con alleati e paesi che la pensano allo stesso modo, rafforzando gli Stati Uniti

Dopo oltre un anno in carica, i risultati di Biden nel trovare un giusto equilibrio tra una politica estera incentrata sui lavoratori e una che coinvolge la realpolitik sono contrastanti. Riuscì a trovare quell’equilibrio con il suo programma di resilienza della catena di approvvigionamento, compresi gli sforzi per “rilocalizzare” e “riservare la produzione” in modo da far avanzare le priorità della classe media e riportare a casa posti di lavoro nel settore manifatturiero. Ha approvato una storica legge bipartisan per infrastrutture e investimenti da 1,2 trilioni di dollari, un ingente acconto sul rinnovamento economico e sulla competitività con politiche rafforzate di “Compra americano”. Ha anche dato nuova vita con successo alle relazioni degli Stati Uniti con gli alleati nelle regioni dell’Atlantico e del Pacifico.

Ma nell’affrontare altre minacce economiche e strategiche poste dalla Cina, compresi i suoi massicci sussidi alle società nazionali, il furto della proprietà intellettuale statunitense e la sua abitudine di costringere le società statunitensi a consegnare la loro tecnologia, l’amministrazione Biden non è riuscita. È indietro nella sua battaglia con Pechino per il commercio, la tecnologia e l’architettura economica dell’Asia. L’abbandono da parte dell’amministrazione delle istituzioni finanziarie internazionali ha consentito alla Cina di acquisire sempre più influenza su altri paesi, minando la leadership statunitense e danneggiando gli interessi economici e finanziari strategici degli Stati Uniti in tutto il mondo.

Biden, in particolare, ha lottato per creare un’agenda commerciale coerente. Sebbene il presidente sia riuscito contemporaneamente ad aiutare i lavoratori e a impegnarsi nuovamente nel commercio, nella tecnologia e nella sicurezza economica con gli alleati europei, nell’Indo-Pacifico, l’approccio squilibrato e sequenziale dell’amministrazione ha rinviato iniziative multilaterali, commerciali e di investimento cruciali a scapito di un periodo più lungo. termine sicurezza strategica statunitense. Durante la campagna, Biden ha sostenuto che l’ uso delle tariffe da parte di Trumpe la sua politica commerciale con la Cina non ha permesso agli agricoltori e ai lavoratori statunitensi di ottenere la parità di condizioni che meritavano. Una volta che Biden ha vinto, ha promesso di intraprendere una revisione completa delle politiche economiche di Washington nei confronti della Cina e quindi di lanciare una nuova strategia globale per la regione. Ma l’amministrazione non ha mai terminato la revisione e non ha mai creato un nuovo approccio. Il tanto diffamato accordo commerciale di Fase Uno dell’amministrazione Trump, il suo tentativo di correggere il comportamento economico cinese in cambio di tariffe più basse, rimane in vigore, sorprendentemente inalterato. I principali abusi economici cinesi restano incontrastati.

La posta in gioco è ora più alta, poiché il commercio, il commercio e gli investimenti indo-pacifici crescono e si evolvono. La Cina ha avanzato il partenariato economico globale regionale, entrato in vigore all’inizio di quest’anno, e ha persino chiesto formalmente di aderire all’accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP), il successore di un accordo commerciale negoziato dagli Stati Uniti nel 2015 prima ritirarsi sotto Trump. La Cina è probabilmente sulla buona strada per stabilire gli standard digitali che domineranno l’Asia per decenni. Ciò significa che i lavoratori statunitensi potrebbero scoprire che l’enorme mercato di esportazione del continente è incompatibile con i prodotti che stanno producendo, isolando i loro datori di lavoro da miliardi di potenziali consumatori e rendendo invece quel mercato prigioniero della macchina di esportazione cinese. Ironia della sorte, l’amministrazione Biden è riluttante a tagliare gli accordi commerciali con la regione perché è preoccupata che ciò possa minare la sua capacità di ottenere il sostegno dei lavoratori domestici. Ma rimanendo in disparte, gli Stati Uniti stanno sia limitando le opportunità dei propri lavoratori che perdendo l’opportunità di guidare il futuro economico dell’Indo-Pacifico.

Negli ultimi mesi, è diventato più complicato per gli Stati Uniti allineare adeguatamente le priorità economiche nazionali e internazionali in Asia. L’invasione russa dell’Ucraina alla fine di febbraio ha costretto l’amministrazione Biden a rielaborare le sue priorità nazionali e internazionali letteralmente dall’oggi al domani. L’enfasi sul persuadere gli alleati a contrastare le ambizioni economiche della Cina e la crescente influenza sulle regole e pratiche commerciali è stata sostituita dalla necessità di una massiccia applicazione collettiva di un duro potere coercitivo economico contro la Russia, attuata attraverso sanzioni senza precedenti e controlli sulle esportazioni. Prima dell’invasione, la politica economica degli Stati Uniti era focalizzata sul rafforzamento della resilienza della catena di approvvigionamento a lungo termine per garantire agli Stati Uniti un accesso affidabile a materie prime, prodotti manifatturieri e prodotti farmaceutici critici, che sono sproporzionatamente prodotti in Cina. Dopo l’invasione, Washington è passata ad affrontare le carenze immediate di materie prime e le vulnerabilità energetiche di Russia e Ucraina, inclusi non solo petrolio e gas, ma anche grano, nichel, palladio e altri materiali critici necessari per i semiconduttori e l’elettronica. Anche l’amministrazione è audaceGli sforzi per il clima , progettati per aiutare il mondo ad allontanarsi dai combustibili fossili, sono stati sottoposti a un duro controllo della realtà. L’amministrazione ha dovuto affrontare il rischio di demonizzare i produttori nazionali di gas naturale e le compagnie petrolifere, costringendo Washington a fare un rapido dietrofront diplomatico in Medio Oriente e Venezuela per riprendere il pompaggio del petrolio.

La sfida posta dalla Cina non è diminuita e l’invasione non ha ridotto la necessità di garantire che l’agenda di politica economica internazionale di Biden rimanga focalizzata su sfide strategiche sia immediate che a lungo termine. In effetti, la risposta della Cina all’aggressione russa offre un’opportunità alla squadra di Biden. Gran parte del mondo è diffidente nei confronti dell’incapacità della Cina di condannare e del suo possibile sostegno all’invasione russa dell’Ucraina. La Casa Bianca può capitalizzare su questo per cercare di limitare le ambizioni globali della Cina, la sua crescente influenza e le sue minacce alla classe media statunitense. Il compito dell’amministrazione ora è sfruttare le attuali turbolenze per ricostruire un sistema economico globale che conserverà la leadership statunitense e aiuterà i lavoratori americani: una vera politica estera per la classe media.

A CASA NEL MONDO

L’agenda economica internazionale di Biden è stata progettata per collegare indissolubilmente i suoi piani economici interni e la sicurezza economica nazionale del paese. Biden ha promesso di investire in catene di approvvigionamento nazionali, infrastrutture, innovazione, ricerca e sviluppo e produzione, nonché di ricostruire le alleanze statunitensi per promuovere congiuntamente interessi di sicurezza economica comuni.

Nel tentativo di isolare l’economia statunitense dalle minacce internazionali, il presidente ha iniziato il suo mandato conducendo una revisione strategica della resilienza della catena di approvvigionamento statunitense, progettata per identificare dove gli Stati Uniti erano meno autosufficienti. Entro giugno 2021, l’amministrazione aveva catalogato le principali vulnerabilità del paese, principalmente in semiconduttori, prodotti farmaceutici, batterie e minerali e materiali chiave con implicazioni per la difesa e la resilienza commerciale degli Stati Uniti. Ha ampliato la revisione per includere sei settori industriali con vulnerabilità, quindi ha elaborato strategie per rafforzarli.

La Casa Bianca ha proseguito con la creazione di un piano d’azione pluriennale, utilizzando investimenti pubblici e privati, per riportare la produzione di determinati prodotti critici negli Stati Uniti. Il governo federale ha rielaborato le sue procedure di appalto per investire nella produzione di nuove batterie e per accumulare minerali e metalli critici. Ha anche implementato nuove disposizioni “Compra americano”, che hanno colmato le scappatoie legali e hanno convinto il governo federale a utilizzare più beni nazionali nei propri appalti. Tutto ciò era in sintonia con l’agenda incentrata sui lavoratori di Biden.

L’amministrazione Trump aveva anche cercato di ristabilire la produzione interna. Ma gli sforzi di Trump consistevano principalmente in dazi casuali e controproducenti su amici e concorrenti allo stesso modo. Questo alienò gli alleati e fece ben poco per affrontare il deficit commerciale che secondo lui era alla radice dei problemi economici degli Stati Uniti. Biden, al contrario, ha collaborato con alleati sia in Europa che nell’Indo-Pacifico per costruire la resilienza della catena di approvvigionamento. Ha riconosciuto che gli stessi paesi di entrambe le regioni rischiavano di essere vittime delle politiche commerciali aggressive e armate della Cina. Pechino, ad esempio, aveva emesso restrizioni commerciali vendicative sull’Australia dopo che Canberra aveva chiesto un’indagine indipendente sulle origini del COVID-19.

La diplomazia della catena di approvvigionamento di Biden è stata incorporata nell’istituzione del Consiglio per il commercio e la tecnologia USA-UE nel giugno 2021; il consiglio sta affrontando la vulnerabilità condivisa degli Stati Uniti e dell’Europa in aree come i minerali critici, i semiconduttori e la produzione di batterie. Quella diplomazia è stata mostrata anche nell’ottobre 2021, quando, a margine della riunione del G-20 a Roma, l’amministrazione ha ospitato un vertice sulla resilienza della catena di approvvigionamento globale con i leader di altri 14 paesi e dell’UE, tra cui Canada, Repubblica Democratica del Congo (che è la principale fonte mondiale di cobalto, un metallo chiave per la transizione verso l’energia verde), India, Giappone e Corea del Sud.

Durante il suo primo anno, Biden ha anche realizzato una delle sue più ambiziose promesse elettorali: investire 1 trilione di dollari nelle infrastrutture a lungo trascurate del paese. La sua massiccia legge bipartisan sugli investimenti e l’occupazione nelle infrastrutture migliorerà i sistemi di trasporto degli Stati Uniti, rafforzerà la loro connettività digitale, aumenterà la sicurezza informatica del paese e creerà una rete energetica più verde e più resiliente. Questi cambiamenti possono sembrare in gran parte di natura interna, ma hanno implicazioni per la politica estera. Una migliore sicurezza informatica, ad esempio, proteggerà gli Stati Uniti dall’hacking da parte di Cina, Russia e attori non statali. Il miglioramento delle infrastrutture rafforzerà la capacità dell’economia statunitense di competere con una Cina in ascesa. E il pacchetto infrastrutturale creerà più posti di lavoro migliori per gli americani, specialmente nelle parti sottorappresentate del paese.

La politica di sicurezza economica interna di Biden non è ancora conclusa. Per contrastare la Cina e stimolare l’innovazione, la produzione e la ricerca e sviluppo degli Stati Uniti, il Congresso dovrà presto finalizzare e approvare un disegno di legge bipartisan sull’innovazione e la competitività. Questa legislazione significherebbe un sostanziale investimento federale nell’informatica quantistica, nei semiconduttori, nella robotica e nell’intelligenza artificiale, le industrie che la Cina cerca di dominare. La guerra russo-ucraina, nel frattempo, sottoporrà il mondo a una serie di carenze critiche, compresi i materiali semiconduttori; gli Stati Uniti avranno bisogno di piani per affrontare questo problema.

SEPOLTURA DELL’ASCIA

Sotto Trump, gli Stati Uniti hanno voltato le spalle ai suoi alleati e partner. L’ex presidente ha imposto dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio dai paesi dell’UE, sostenendo che tali importazioni erano minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e alla fine del suo mandato, gli amici più intimi degli Stati Uniti nutrivano profonde perplessità sulle intenzioni di Washington. Quella sfiducia rappresentava una minaccia significativa per l’agenda economica di Biden, compresi i suoi piani per competere con la Cina. Nel dicembre 2020, dopo che Biden aveva vinto le elezioni presidenziali ma prima del suo insediamento, l’UE ha annunciato di aver accettato un accordo di investimento proposto con la Cina chiamato Accordo globale sugli investimenti, nonostante le obiezioni del team di Biden. (Sebbene da allora l’UE abbia rinviato a tempo indeterminato la piena approvazione dell’accordo, lo ha fatto a causa di passi falsi della diplomazia cinese,

Per cercare di riparare questo danno, Biden ha lavorato rapidamente per migliorare le relazioni degli Stati Uniti con i suoi alleati e partner. Entro un mese dal mandato di Biden, gli Stati Uniti erano tornati nell’accordo sul clima di Parigi. Successivamente, Washington ha contribuito a guidare un nuovo accordo sulle emissioni di carbonio e altri obiettivi climatici alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, nota come COP26. Nel tentativo di affrontare le carenze economiche legate al COVID-19, in particolare nei paesi poveri, l’amministrazione ha accettato di sostenere uno stanziamento di 650 miliardi di dollari in diritti speciali di prelievo da parte del Fondo monetario internazionale (FMI). E per uniformare le condizioni di gioco nella tassazione globale, la Casa Bianca ha contribuito a finalizzare un accordo sulla riforma fiscale globale, inclusa un’aliquota minima globale dell’imposta sulle società del 15 per cento,

Per Biden, l’accordo fiscale – che ha riunito oltre 130 paesi che rappresentano oltre il 90 per cento del PIL del pianeta – è un esempio particolarmente chiaro di come la sua “politica estera per la classe media” possa bilanciare con successo obiettivi nazionali e internazionali. L’accordo non solo ha ristabilito l’impegno internazionale degli Stati Uniti e ha protetto le società statunitensi dall’essere tassate ingiustamente in altre giurisdizioni; ha anche avanzato una promessa campagna chiave per garantire che le aziende paghino la loro giusta quota. Sebbene l’accordo richieda ancora l’azione del Congresso degli Stati Uniti e un’analoga approvazione del governo in altri paesi, ha comunque stabilito la buona fede economica multilaterale dell’amministrazione Biden.

Biden interviene al vertice del G-20 a Roma, ottobre 2021
Biden interviene al vertice del G-20 a Roma, ottobre 2021
Kevin Lamarque / Reuters

Gli Stati Uniti hanno anche collaborato con alcuni alleati per coordinare i loro approcci alle principali questioni tecnologiche, economiche e commerciali globali. Il Consiglio per il commercio e la tecnologia USA-UE, ad esempio, è stato quasi interamente progettato per affrontare le sfide poste dal modello economico statale cinese e contrastare le pratiche commerciali sleali che danneggiano i lavoratori americani ed europei. Il consiglio sta aiutando gli Stati Uniti e l’Unione europea a garantire che dispongano di standard tecnologici compatibili e protezione dei dati, attuare controlli sulle esportazioni sulla tecnologia a duplice uso e creare protocolli di screening degli investimenti per proteggere dalla proprietà intellettuale e dal furto tecnologico (che mina la competitività e sicurezza).

Poi, poco dopo che la squadra di Biden ha iniziato il suo secondo anno in carica, ricordando le parole dell’ex primo ministro britannico Harold Macmillan, sono intervenuti i fatti: la Russia ha invaso l’Ucraina. Ma niente illustra meglio il successo del lavoro di Biden con gli alleati statunitensi di quello che è successo prima e subito dopo l’invasione russa. In vista della guerra, il team di Biden ha lavorato con il suo G-7 e altri partner europei per preparare un menu coordinato di crescenti misure economiche coercitive, sia per scoraggiare un’invasione che per preparare una risposta concertata in caso di guerra . Gli Stati Uniti hanno anche intensificato la loro cooperazione in materia di sicurezza energetica nei mesi precedenti l’invasione, poiché la Russia ha utilizzato sempre più le esportazioni di gas come arma coercitiva contro l’Europa. Di conseguenza, subito dopo l’inizio dell’invasione, gli Stati Uniti ei loro alleati sono stati in grado di realizzare un grado di coordinamento internazionale senza precedenti, imponendo rapidamente sanzioni economiche storicamente severe e controlli sulle esportazioni a una grande economia.

CERCASI AIUTO

A differenza degli sforzi determinati dell’amministrazione Biden per ricostruire la fiducia e le relazioni bilaterali, i suoi tentativi di ristabilire la leadership nelle istituzioni finanziarie internazionali, inclusi l’FMI, la Banca mondiale e le banche multilaterali di sviluppo regionali, non hanno avuto successo. Queste istituzioni avrebbero dovuto svolgere un ruolo cruciale nel portare avanti l’agenda internazionale dell’amministrazione, soprattutto data la pressante necessità di contenere le ricadute economiche globali del COVID-19. E in un primo momento, la Casa Bianca ha fatto bene, sostenendo la storica emissione di diritti speciali di prelievo per aiutare i paesi a basso e medio reddito ad affrontare le sfide economiche poste dalla pandemia.

Successivamente, tuttavia, gli sforzi dell’amministrazione si sono arenati. Forse perché la Casa Bianca era sproporzionatamente concentrata sulla sua agenda interna, ha mostrato scarso interesse per la riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha rifiutato di nominare un americano alla seconda posizione di leadership presso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo quando l’anno scorso gli è stata data l’opportunità, e ha sostituito la posizione di vertice detenuta dagli Stati Uniti presso l’FMI – il primo vicedirettore generale – solo dopo che il leader dell’istituzione è stato coinvolto in uno scandalo di brogli di dati legato alla Cina. Fondamentalmente, Biden ha trascurato di dare priorità al riempimento del numero senza precedenti di posti vacanti in posti chiave nei consigli di amministrazione delle istituzioni finanziarie internazionali e nel Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti; le persone in questi incarichi dovrebbero stabilire politiche economiche internazionali vitali. Di conseguenza, Washington ha lottato per promuovere i suoi interessi economici strategici attraverso istituzioni multilaterali chiave. Ha anche trascurato di promuovere una delle principali priorità dei sindacati: promuovere una prospettiva globale incentrata sui lavoratori all’interno delle stesse istituzioni internazionali.

Biden non è stato nemmeno in grado di affrontare l’ampio rifiuto della Cina di fornire una riduzione del debito ai paesi poveri. La Cina è ora il creditore dominante degli stati in via di sviluppo in tutto il mondo e, quando il COVID-19 ha reso più difficile il rimborso del debito, l’FMI e la Banca mondiale hanno proposto un “Quadro comune” del G-20 per la riduzione del debito, cercando di creare un forum in cui La Cina potrebbe lavorare in modo costruttivo a tal fine con il FMI e il Club di Parigi, un gruppo di paesi creditori che cercano soluzioni ai problemi di pagamento affrontati dai paesi debitori. Ma lo sforzo è in gran parte fallito, principalmente perché la Cina ha rifiutato di accettare una significativa remissione del debito o, in molti casi, persino di consentire visibilità sulla natura e sui termini dei suoi prestiti. Gli investimenti della Cina in paesi di tutto il mondo non solo conferiscono a Pechino una maggiore influenza sulla politica e sull’economia di questi paesi debitori; gli conferisce inoltre un maggiore controllo sulla fornitura di materie prime chiave e, sempre più, sullo sviluppo di standard digitali in Africa, Asia e America Latina. Con l’amministrazione Biden principalmente disimpegnata dalla leadership sia del FMI che della Banca mondiale, gli Stati Uniti hanno perso l’opportunità di utilizzare queste istituzioni per respingere l’intransigenza della Cina. Nel frattempo, l’incapacità di Washington di dimostrare un reale interesse per la governance in queste istituzioni ha contribuito ai problemi di governance e morale che attualmente affliggono la loro più ampia efficacia.

Questo non vuol dire che Biden non abbia adottato misure formali e multilaterali per cercare di contrastare la leadership economica cinese. Nel giugno 2021, la sua amministrazione e il G-7 hanno lanciato l’iniziativa Build Back Better World, che utilizzerà il sostegno finanziario dei membri del G-7 per aiutare a finanziare e coordinare progetti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo. Ma sebbene degno di lode, Build Back Better World rimane embionale e sottofinanziato, soprattutto rispetto all’enorme prestito bilaterale cinese, che si stima abbia raggiunto oltre $ 500 miliardi.

DISACCORDO NELL’ACCORDARE

Il team di Biden può contare su alcune vittorie commerciali e di investimento nel suo primo anno, inclusa la risoluzione temporanea di una disputa di 17 anni con l’UE sui sussidi ad Airbus e Boeing. Ha anche raggiunto un accordo con l’UE sulle tariffe dell’acciaio e dell’alluminio che ha affrontato in modo creativo le preoccupazioni sia degli Stati Uniti che dell’Europa sulla sovraccapacità cinese collegando l’accordo alle emissioni di gas serra. Inoltre, Washington ha trovato una soluzione favorevole ai sindacati per le trasgressioni della manipolazione valutaria del Vietnam.

Ma la Casa Bianca ha avuto problemi commerciali. In effetti, nel complesso, il più eclatante fallimento della politica economica internazionale dell’amministrazione Biden è stata la sua incapacità di articolare o promuovere una politica commerciale e di investimento strategica coerente nell’Indo-Pacifico. L’amministrazione Biden non ha ancora concordato un nuovo approccio economico alle sue relazioni con la Cina, mantenendo di fatto l’accordo commerciale di Fase Uno ereditato da Trump. Ha fatto pochi sforzi seri per affrontare le lamentele di fondo di Washington nei confronti della politica economica cinese. Ciò che colpisce di più è come non si sia seriamente coordinato con i paesi indo-pacifici su una strategia economica, in parte perché ha evitato persino di menzionare gli accordi di libero scambio o di investimento. In particolare, ha rifiutato di entrare in qualsiasi discussione sul reimpegno con il CPTPP.

Il rifiuto di parlare di commercio ha messo in luce come il mancato equilibrio tra interessi nazionali e internazionali possa minare gli obiettivi strategici a lungo termine. Durante la corsa alla presidenza, Biden ha promesso per iscritto alla United Steelworkers che non avrebbe “stipulato nuovi accordi commerciali fino a quando non avessimo fatto grandi investimenti qui a casa”, parte della sua più ampia campagna per riconquistare stati oscillanti e elettori della classe operaia . Quella promessa era sia tragica che controproducente; precludendo anche la discussione su qualsiasi nuovo accordo commerciale, Biden ha sprecato la migliore opportunità degli Stati Uniti per rendere l’ordine economico internazionale più amichevole per la classe media americana e per promuovere gli interessi cruciali della politica estera degli Stati Uniti. Essendo l’economia di mercato più attraente al mondo, gli Stati Uniti possono utilizzare i negoziati commerciali per convincere i paesi a cambiare i loro standard, regole e norme, in parte promettendo un maggiore accesso al mercato. Ciò significa che ci sono enormi vantaggi strategici ed economici nel rientrare almeno nel dibattito sull’opportunità o meno degli Stati Uniti di aderire al CPTPP, in modo da presentare un’alternativa al crescente dominio della Cina sul commercio asiatico (il che è negativo sia per i lavoratori statunitensi che per la politica estera degli Stati Uniti ). Eppure l’amministrazione Biden ha effettivamente vietato qualsiasi ipotesi che l’adesione al CPTPP possa, in effetti, essere il passo più significativo che il paese potrebbe compiere per portare avanti la sua politica estera per la classe media, tale da presentare un’alternativa al crescente predominio della Cina sul commercio asiatico (che è negativo sia per i lavoratori statunitensi che per la politica estera statunitense).

Ci sono effetti di spillover. Nel settembre 2021, la Cina ha presentato domanda per aderire al CPTPP. Di conseguenza, molti dei membri esistenti dell’accordo, compresi i paesi dell’America Latina, stanno costruendo migliori relazioni con Pechino, preparandosi alla possibilità che la Cina appartenga al CPTPP, con gli Stati Uniti dall’esterno che guardano dentro. La Casa Bianca lo sa non va bene, e ha cercato tardivamente di elaborare una nuova strategia di impegno economico per l’Asia: l’Indo-Pacific Economic Framework. Ma si concentra su obiettivi in ​​gran parte amorfi che consistono in liste di desideri aspirazionali, per lo più prive di specifiche. Questa iniziativa non sostituisce un accordo di libero scambio né un serio tentativo di riaffermare l’influenza di Washington sul commercio, gli investimenti o il futuro digitale dell’Indo-Pacifico.

LA QUADRATURA DEL CERCHIO

Dopo più di un anno in carica, Biden ha portato avanti molti obiettivi critici di politica economica internazionale allineando l’agenda di politica estera della sua amministrazione con gli interessi dei lavoratori statunitensi, raggiungendo obiettivi strategici di sicurezza nazionale. Ha gettato le basi per creare catene di approvvigionamento più resilienti e trasformare le infrastrutture statunitensi in modi che aiuteranno le comunità svantaggiate e la classe media. Si è unito nuovamente allo sforzo della comunità globale di abbandonare i combustibili fossili. Ha posto riparo alle alleanze statunitensi, schierando il mondo democratico per rispondere collettivamente alla Russia dopo che aveva invaso l’Ucraina.

È probabile che la guerra della Russia contro l’Ucraina e il suo successivo isolamento forniscano ampie opportunità agli Stati Uniti di cooperare ancora di più con i loro alleati, nonché un’opportunità per Washington di ampliare la cerchia di paesi con cui può trovare una causa comune. L’isolamento economico russo rappresenta un cambiamento strutturale economico globale di proporzioni significative, che potrebbe portare a un ulteriore disaccoppiamento economico e politico, e gli Stati Uniti devono essere preparati a proteggere e far avanzare i propri interessi economici in questo nuovo paradigma.

Il ruolo futuro della Cina in questo mondo rimane incerto. La neutralità della Cina, se non la posizione vagamente filo-russa, sulla guerra in Ucraina ha dato a Washington la possibilità di riaffermare la sua leadership globale. Ora deve essere disposta a riconoscere queste opportunità e trovare un modo per affrontare sia gli interessi interni più immediati che quelli strategici a lungo termine che possono pagare dividendi economici per i decenni a venire. Per trarre vantaggio da questo momento, gli Stati Uniti devono essere pronti ad abbracciare una politica economica internazionale più ambiziosa che faccia avanzare gli standard di commercio equo, commercio e investimenti equo e solidale della Cina, soprattutto in risposta alla posizione internazionale sempre più aggressiva della Cina. Ciò significa che una priorità assoluta per l’amministrazione deve includere una rinnovata attenzione all’articolazione di una strategia economica globale per la Cina, compresa una concreta, ambiziosa agenda commerciale e di investimento per l’Indo-Pacifico.

Non sarà facile per l’amministrazione Biden ristabilire la leadership economica degli Stati Uniti. Molti americani della classe media continuano a incolpare la globalizzazione in generale, e il commercio in particolare, per le loro lotte economiche. Per i Democratici non conviene essere visti come il partito delle élite costiere pro-globalizzazione. Biden dovrà quindi lavorare sodo per spiegare che il commercio libero ed equo può promuovere gli interessi della classe media, dei sindacati e dei lavoratori. Dovrebbe mantenere la sua promessa di portare gli interessi sindacali e ambientali al tavolo dei negoziati. Ma interrompere l’impegno commerciale degli Stati Uniti o credere che il paese abbia il tempo di rinviare l’introduzione di un’agenda economica indo-pacifica comporterà la cessione di ulteriore terreno alla Cina, limitando in definitiva i mercati e ponendo maggiori rischi, non meno, per i lavoratori americani.

Biden dovrà anche mantenere le promesse di rinnovare la leadership economica degli Stati Uniti nelle istituzioni finanziarie multilaterali, piuttosto che lasciarle perdere ulteriore credibilità. Queste istituzioni possono amplificare l’influenza degli Stati Uniti e la Casa Bianca dovrebbe fare del loro coinvolgimento una priorità. Ciò significa che non può rinunciare a future opportunità per nominare candidati statunitensi forti e qualificati per posizioni di leadership tradizionalmente detenute dagli Stati Uniti in queste organizzazioni.

Sarà fondamentale lavorare con il FMI e la Banca mondiale. L’insicurezza alimentare, l’inflazione, l’aumento dei tassi di interesse e gli enormi livelli di debito nei paesi a basso reddito minacciano la stabilità finanziaria, specialmente nei mercati in via di sviluppo, e il FMI e la Banca mondiale possono aiutare il mondo a gestire e mitigare i rischi. La Casa Bianca dovrebbe esercitare pressioni sul FMI e sulla Banca Mondiale affinché rispettino le proprie regole sulla sostenibilità del debito. Deve anche essere pronto a chiedere che la Cina fornisca trasparenza e un’adeguata riduzione del debito ai paesi poveri che cadono in difficoltà di debito. Dovrebbe dare la priorità a iniziative, come Build Back Better World, che sfidano la leadership cinese in materia di prestiti e investimenti. Ciò sarà particolarmente importante quando si tratterà di aiutare gli stati nella transizione verso l’energia verde.

Infine, l’amministrazione Biden deve gestire le conseguenze economiche e politiche della guerra in Ucraina. L’invasione ha ribaltato molti dei presupposti alla base della politica estera proposta da Biden per la classe media. Allo stesso tempo, sfida l’ascesa della Cina e, in questo modo, offre a Biden l’opportunità di recuperare il tempo perso, anche superando alcuni degli impedimenti politici, come l’opposizione interna all’adesione al CPTPP, che sono rimasti nel modo di scelte internazionali intelligenti. Questa opportunità potrebbe aiutare Biden, e gli Stati Uniti, a ottenere un vantaggio per tutti: un’agenda di politica economica internazionale che trovi il giusto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori in patria e gli interessi strategici del paese all’estero.

https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2022-04-19/real-foreign-policy-middle-class?utm_medium=newsletters&utm_source=fatoday&utm_campaign=A%20Real%20Foreign%20Policy%20for%20the%20Middle%20Class&utm_content=20220425&utm_term=FA%20Today%20-%20112017

DAL PUNTO DI VISTA DI ZELENSKY, di Pierluigi Fagan

Considerazioni ed annotazioni come al solito valide e molto opportune. E’ sempre importante cogliere le determinanti dinamiche interne ad un paese; offrono gli spazi alle dinamiche geopolitiche e alle intrusioni esterne. Una chiave interpretativa essenziale che evita la comoda tentazione di attribuire sempre agli agenti esterni la responsabilità principale, se non esclusiva, di quanto avviene. Nella gran parte dei casi le élites interne hanno una capacità, una funzione ed una responsabilità essenziale che spesso e volentieri si elude, precludendo l’efficacia dell’azione politica. Buona lettura, Giuseppe Germinario
DAL PUNTO DI VISTA DI ZELENSKY. [Questo post è piuttosto lungo per i già lunghi nostri standard, ma è frutto di ricerche effettuate negli ultimi tempi, non è un post “teorico” è basato su diversi fatti. Se a qualcosa serve, potrebbe servire a saperne di più per capire di più.]
Avrete notato forse che Zelensky ha un preciso entourage e sono tutti mediamente giovani. Molti hanno studiato o lavorato in Gran Bretagna, qualcuno in America. Alcuni di loro zampillano dalle nostre reti televisive o in video on line e sono tutti dotati di capacità argomentativa non banale, sono molto decisi e cosa più importante, sono coordinati nel senso che sembrano usciti da una riunione di briefing in cui hanno condiviso tutti una unica linea. Si può ipotizzare esista una sorta di Zelensky & Partners, un gruppo coeso ed omogeneo di persone che condividono una precisa strategia politica per tenere il potere in Ucraina al fine di …?
Isoliamo questo soggetto collettivo, dimentichiamoci chi ha intorno come partner interessato (USA, UK, una parte dell’Europa orientale e dei vertici della burocrazia euro-unionista, l’oligarca Kolomoyskyi) concentriamoci sulle sue proprie ipotetiche intenzioni. Come forse saprete, questo gruppo è diventato un partito poco prima finisse la terza stagione della serie televisiva che vedeva Zelensky come protagonista. Si è presentato alle elezioni del 2019 e secondo quanto scriveva the Guardian tre anni fa quando ancora non eravamo arruolati (1) : … con “poche informazioni sulle sue politiche o sui piani per la presidenza, basandosi su video virali, concerti di cabaret e battute al posto della tradizionale campagna elettorale” ottenendo un insperato 30%.
La geografia del voto di questo primo turno, lo collocava al “centro”, sia geografico che politico. Ad ovest i nazionalismi di Poroshenko-Timoshenko, ad est i filo-russi confezionati in partiti apparentemente più di “sinistra”. Un gruppo di giovani ben intenzionati, con tecniche di marketing e comunicazione mediatica molto “occidentali” ha incarnato una possibile speranza. Sappiamo che questa speranza stava scemando prima del 24 febbraio, gli indici di gradimento della Zelensky e Partners (Z&P) erano in discesa e la rielezione fra due anni era data come improbabile.
Non credo si possa pensare che la Z&P fosse solo una associazione di potere ovvero un gruppo che ha tentato e vinto il vertice della tribolata nazione. Come detto sono “giovani” e rampanti e sembrano animati da ideali forti, giusti o sbagliati che siano, sembrano un gruppo di giovani europei occidentali e filo-anglosassoni che si sono paracadutati in un complicato e declinante paese ex sovietico. Per fare cosa?
L’UCRAINA PRIMA DELLA GUERRA: Prima dell’inizio della guerra, l’Ucraina era il 133° paese al mondo (quindi su 190 e poco più Stati) per pil pro-capite. In pratica, tra Guatemala ed El Salvador. Il peggior Paese dell’UE in questa classifica è la Bulgaria, 84°. Il risultato non cambia molto se usate il Pil PPP. A queste condizioni, l’Ucraina non sarebbe praticamente mai potuta entrare nell’UE. L’ammissione poi non avrebbe solo avuto a parametro questi indicatori quantitativi e su quelli qualitativi come trasparenza, corruzione, sostenibilità e prospettive, le cose sarebbero andate -se possibile- anche peggio.
Dal 2000 al 2021, l’Ucraina ha perso il 15% della sua popolazione per migrazioni, scarsa fertilità (la più bassa d’Europa) ed elevata mortalità tra gli anziani. È dal 1994 che l’Ucraina perde popolazione. Hanno anche perso la Crimea e forse potremmo metterci anche le due repubbliche popolari, sempre che non si debbano aggiungere abitanti dei vari territori che gli ucraini hanno già perso e continueranno a perdere nel proseguo del conflitto. L’ultimo censimento è ancora al 2000 e dichiarava 42 milioni di abitanti, ma altre stime più aggiornate (fatte dagli ucraini stessi) scendono fino a 32 milioni. Gli attuali 6 milioni di profughi, da vedere poi quanti di questi rimarranno fuori o rifluiranno verso casa, sarebbero ad occhio un altro -15% di popolazione in soli due mesi e sempre che si fermino qui.
Hanno anche la più alta percentuale di popolazione femminile in Europa dopo la Lituania e il secondo posto per tasso di mortalità dopo i bulgari. Molte donne quindi ma anche penosi indici di diseguaglianza di genere, 88° posto su 189 paesi secondo l’ONU . L’alto tasso di mortalità è dovuto alla congiura di diversi fattori quali l’inquinamento atmosferico dove c’è industria pesante, alcol, tabagismo, cattiva alimentazione, cattiva qualità del sistema sanitario nazionale.
Come saprete, la composizione etnica è mista con due poli, pienamente ucraina e tendenzialmente di cultura balto-slava europea all’estremo occidente, più russofona-fila all’estremo oriente. Il fiume Dnepr taglia in due il continuum ucraino e funge da separatore tra due diverse composizioni socio-demo su molti item.
A livello di criminalità, l’Ucraina è storicamente attiva la tratta di giovani donne avviate alla prostituzione in Europa mentre dai tempi della grande svendita degli asset militari sovietici dopo il 1991, è altrettanto attivo il traffico d’armi. Global Organized Crime Index nel rapporto 2021, quotava l’Ucraina come “il” o “uno dei principali” mercati d’armi in Europa, soprattutto piccoli e medi calibri e relative munizioni derivate dall’incessante flusso di armamenti proveniente dagli Stati Uniti da almeno venti anni. Armi ridistribuite al terrorismo e criminalità di mezzo mondo. È chiaro che l’attuale flusso proveniente soprattutto dall’Europa restia ad impegnarsi su armi di maggior peso, darà altro impulso al traffico. Quanto alla prostituzione e la tratta di esseri umani il problema è così vasto e profondo da meritare addirittura due specifiche pagine di Wikipedia.
Il rapporto 2013 del Dipartimento di Stato americano INCSR (International Narcotics Control Strategy Report) classifica l’Ucraina come uno degli hub chiave per il traffico di droga internazionale ed il primo hub per l’entrata in Europa di cocaina ed eroina tramite i porti di Odessa e Mariupol. La mafia ucraina è in solidi affari (armi, droga, donne) specie con la ‘ndrangheta calabrese.
Due anni di Covid con uno dei bassi indici assoluti di vaccinazione, hanno prodotto statistiche severe e gravi impatti sulla già claudicante economia e relativa organizzazione sociale.
Come segnalammo qualche post fa, l’Ucraina non era ritenuta un paese democratico dal the Economist nella sua speciale classifica condotta dal 2006. L’Ucraina era ritenuto il paese all’ 86° posto del Democracy Index, tra le Fiji ed il Senegal, qualificato come “regime ibrido” . Dal 2020, il Governo ha intrapreso una serrata lotta con la Corte costituzionale che ne limitava l’azione volta a porre leggi più rigide e severe, saltando però le cautele costituzionali. Complice la guerra, ha potuto arrestare e far sparire molta gente scomoda, silenziando i media non conformisti, mettendo fuori legge partiti nemici. La legge marziale è oggi prorogata almeno fino a fine maggio.
La diagnosi problematica è che l’Ucraina era sostanzialmente un paese fallito. Troppo grande, troppo poco popolato, troppo etnicamente disomogeno, troppo asimmetrico nei generi, troppo povero, strutturalmente troppo agro-industriale quando l’Occidente invece si è sviluppato nei servizi, troppo influito dai minacciosi vicini russi. Con troppi interessi di mezzo come nel sistema degli oligarchi tra cui un congruo numero di veri e propri delinquenti dediti al traffico di donne, armi e droga, tra l’altro spesso proprietari di vari mezzi di informazione. Un sistema del genere non aveva alcun futuro possibile e senz’altro nulla che potesse interessare il gruppo dei giovani Zelensky & Partners. Decennale e molto improbabile il processo necessario a riformarsi per entrare nell’UE. Che fare?
L’UCRAINA DOPO LA GUERRA? L’obiettivo strategico di Zelensky è stato dichiarato ai primi di aprile. Z. ha dichiarato l’obiettivo di far dell’Ucraina una “Grande Israele” (2) . Lasciate perdere il lato religioso del riferimento e concentratevi su quello geopolitico e strategico-economico. Israele è un paese non in pace, permanentemente all’erta contro nemici di circondario. Questo è un ottimo ordinatore interno perché semplifica la vita politica, quantomeno tutti gli israeliani sono uniti nell’idea di doversi difendere da vari nemici di circondario. La pratica dell’obiettivo prevede una militarizzazione importante della vita civile e soprattutto una chiara direzione di sviluppo dell’attività economica.
Questo ha fatto di Israele quello che un fortunato saggio americano del 2009 definì una “Start up Nation”. I primati tecnologici, di brevetto e sviluppo, di Israele nelle nuove tecnologie è universalmente riconosciuto e si ricordi che se queste attività partono da strategie militari, le ricadute civili sono anche importanti.
La stessa questione poco chiara dei bio-laboratori in conto terzi che già affollerebbero l’Ucraina disegna una possibilità di ospitare le forme di ricerca più avanzate ma anche più rischiose, ad esempio sull’A.I., un po’ come hanno tentato di fare i sauditi in cerca anche loro di un futuro, nel loro caso post-petrolifero. La ricerca avanzata in questi campi rischiosi da parte di USA, UK, Francia, Germania, ha bisogno di de-localizzare i rischi che non si possono correre nel proprio paese.
Gli investimenti militari e una mentalità orientata all’efficienza digitale, necessaria per qualunque guerra, potrebbero rappresentare lo stesso motore di innovazione per l’Ucraina, che già può contare su quattro “unicorni” – GitLab, Bitfury, People.ai e Grammarly – e su un ecosistema che è cresciuto di dieci volte negli ultimi cinque anni, passando a un valore complessivo di oltre 600 milioni di dollari e 146mila brevetti. Unit.city a Kiev è già oggi il più importante parco tecnologico dell’Europa orientale. Si tenga conto che questo posizionamento, è lo stesso occupato da dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia dalle tre repubbliche baltiche che, tra l’altro, son quelle che hanno registrato gli indici di crescita economica più importanti in Europa, negli ultimi decenni. Ma, come nel caso israeliano o delle repubbliche baltiche, questo tipo di sviluppo economico centrato sull’ICT, può reggere solo una demografia più giovane e contenuta di quella precedente.
L’UCRAINA IN GUERRA. La guerra, si sa, è un acceleratore. Nelle complesse transizioni storiche, la guerra ha svolto sempre il ruolo di “distruzione creatrice”, concentrare dinamiche disordinanti in poco tempo pagando con morti e distruzione materiale, una sorta di necessaria operazione senza anestesia, dolorosa ma necessaria.
Z&P si sono immediatamente mostrati pronti al conflitto e lo hanno gestito, certo anche aiutati, in modo davvero abile. Z&P avevano ed hanno bisogno della guerra per fare o far fare ai russi, operazioni di semplificazione dell’Ucraina. Rimpicciolire un territorio ingestibile e irriformabile. Chiarirne la composizione etnica rendendola omogenea. Diminuire la popolazione accettando la perdita di numeri per cessione territori ai russi e profughi scappati da tutte le parti. Servire la causa anglosassone sia di messa in profondo stress della Russia, sia della sua attuale dirigenza (Putin), sia di fargli usare la “tragedia ucraina” come perno per i regolamenti di conti nella battaglia di grande strategia tra bipolarismo e multipolarismo ottenendo in cambio protezione, gratitudine ed investimenti futuri per fare della martoriata Ucraina un caso di “futuro vincente” il che presuppone vari, futuri, piani Marshall. Ottenere in contropartita anche la necessaria spinta da parte americana verso la recalcitrante Europa, ad abbracciarne la causa al punto da comprimere i complessi passaggi per la piena entrata nella sfera europea che è l’obiettivo primario. Assorbire nel progetto i nazionalisti occidentali, distruggere l’ordito economico-sociale precedente, fare perno su una nuova classe militare forgiata in una guerra di resistenza e quindi potenziata in armi, logistica e potere.
Tutto ciò presuppone due cose sul campo. La prima è che gli ucraini sanno benissimo che perderanno formalmente la guerra coi russi al di là dei proclami, come si è lasciato sfuggire il noto gaffeur Boris Johnson rilevando quello che i suoi servizi e militari gli hanno spiegato a telecamere spente. Non è in discussione che l’Ucraina perderà o il sud-est o la parte ad est del Dnepr, si tratta solo di vedere come ed in che tempi. La seconda è che una guerra persa secondo i canoni normali di conteggio di territori persi, ordine perso, morti e distruzioni, può esser una guerra vinta se l’obiettivo è avere una Ucraina semplificata, compattata, assunta nell’alveo occidentale, velocemente, senza se e senza ma.
Non solo quindi la guerra sarà lunga, il tempo necessario a far pagare ai russi prezzi su prezzi sempre più alti come desiderato dagli sponsor anglosassoni, ma non finirà mai formalmente. La Nuova Ucraina in rampa di lancio per una modernizzazione 2.0 accelerata, avrà bisogno sia di ritenersi in “conflitto permanente”, sia di tenere attorno a sé i suoi preziosi alleati, sia internamente sospendere le normali convenzioni socio-politiche per procedere a tappe forzate verso la transizione di fase alla nuova terra promessa, la “Grande Israele”.
Mi rendo conto che questa è solo una articolata ipotesi, la questione -come vedete- è molto complessa, è sempre una questione di numero di variabili di cui tener conto e di come queste giocano assieme in un dato contesto di cui non si governano tutte le dinamiche, un gioco rischioso. Ma dietro ogni conflitto ci sono nodi e bisogno di scioglierli. Conosciamo forse la visione dei nodi dal punto di vista russo ed anglo-americano, da quello degli europei orientali e delle non perfettamente allineate tra loro élite di Bruxelles (Michel, von der Leyen, Borrell) e dei paesi europei occidentali, Francia e Germania in testa.
Ma sul campo giocano coi morti solo russi ed ucraini, capire la strategia di questi ultimi è indispensabile per capire meglio cosa succede e poter ipotizzare cosa succederà.

CON I SALUTI DA BIDEN, NIENTE BACI E TANTE ARMI, di Paolo Paganelli

Il tarlo del dubbio comincia ad insinuarsi anche negli ambienti più insospettabili. Nella Fondazione Italiani Europei cade qualche tabù. A parlare, per il momento, non sono personaggi di primo piano, Vedremo il prosieguo. Giuseppe Germinario
CON I SALUTI DA BIDEN, NIENTE BACI E TANTE ARMI.
Armi, Armi, ancora Armi. Armi Dall’Inghilterra, Armi dall’America. Dall’America Armi Moderne e Pesanti. Questo invio di Armi dicono serva per contrattaccare. Un America che per ora non interviene e sembra decisa a non intervenire; sembra Invece prepararsi ad un ESPERIMENTO. Non posso e non voglio fidarmi delle mie sensazioni. Ho sempre, su qualsiasi argomento, avuto dei dubbi; questi però non mi hanno mai impedito né di “Agire” né di prendere “Posizione”. Talvolta sbagliando. Non credo che le mie Sensazioni siano illogiche però. esse Sensazioni, si aprono a diverse scenari e a diverse soluzioni . Quindi perche non esporre i miei pensieri sapendoli, almeno in parte, logici e pericolosi ?
Biden sta mandando in Ucraina un terzo dei Droni più sofisticati ed un immensa quantità di armi “Pesanti e Moderne”. Lasciando da parte lo Spirito Caritatevole che non può albergare in nessun presidente Americano né di altri Stati; quale può essere il Motivo ? Quali scenari immagina?
Tra i troppi pseudo analisti di “Cose Belliche”, moltiplicatisi esageratamente in Europa, vi è chi sostiene che Putin non voglia sguarnire le tante e lotane frontiere e perciò ritiene plausibile che le Armate Ucraine e le sue numerose Milizie super/Armate, possano ricacciare oltre i confini l’Esercito Russo.. In verità tale proposito sembra improbabile. L’esito dei Combattimenti, seppur reso logicamente confuso da informazioni, purtroppo a Senso Unico , sembra prefigurare un esito largamente scontato. Al di fuori dal presentarsi di clamorose sorprese, l’immensa quantita di armi, giornalmente spedita da Biden a Zelinski , potrebbe divenire una preda gradevole per Putin e quindi risolversi in un immensa Gaffe elettorale per i Democratici Americani. No ! un’ Analisi del genere ci pare troppo sciocca per un’ America che nella Guerra, ha visto , da sempre, il metodo più utile per accrescere il suo Potere. Il Tempio di Giano, negli States é sempre rimasto aperto e i metodi, ignobili e raffinati, di condurre le Operazioni belliche sono ben conosciuti. Forse cose diverse e spiacevoli potrebbero essere in preparazione.
La forza Militare ed Economica dell’ America e’ talmente grande che può permettersi anche ESPERIMENTI pericolosi e non di esito sicuro. Perciò scandagliare altre possibilità oltre che utile diviene doveroso.
Occorre dire che una preoccupazione che speriamo si riveli inesistente, non si nutra, voracemente, di passaggi vocali che sono diventati, prima accennati, poi frequenti e che quindi si sono fortemente consolidati. Voci dal “Sen Fuggite” dei tanti Politici incapaci e inconsistenti. “Peones” ma non solo. Uomini dell’Apparato Partitico che dovrebbero essere “Informati” ma che forse, per apparire, non riescono a controllarsi. Un Ministro degli Esteri che viaggia per imparare la Geografia. Un capo di Governo che per alleggerire l’atmosfera dice che basterà regolare il condizionatore. Poi, tra Capo e Collo, gli occupanti dei Due Seggi Più Importanti del Parlamento Europeo, vanno in Ucraina ed in “Sede Istituzionale” dichiarano che gli Stati e l’Europa faranno vincere la Guerra a Zelinski !
Allora non sono solo “Preoccupazioni ! E’ possibile che all’ attuale Pandemia di “Covid” si sia aggiunta un’ulteriore infezione che provochi gravi malattie Mentali ?
Oppure gli Atlantisti di tutte le Nazioni Europee, in una specie di Crescendo Rossiniano stanno cercando, da obbedienti “Provinciali dell’Impero” di trascinarci IN UNA GUERRA NON NOSTRA ?
Bologna 22 Aprile 2022 Paolo Paganelli
EUROATLANTISMO: DISSENTIRE NON È PECCATO MORTALE
– La Germania costituirà un fondo di 2 miliardi di euro per finanziare l’acquisto di armi a Kiev, ma non gli invierà le proprie;
-La Germania deciderà quali armi inviare in Ucraina in base ad una lista a suo tempo fornita da Kiev anche se l’ambasciatore ucraino a Berlino ha mandato a dire a Scholz che “le armi di cui abbiamo bisogno non sono in quella lista”;
– l’Ucraina ha chiesto alla Germania di inviargli i carri armati Marder a disposizione dell’esercito tedesco ma la Germania ha detto no: quei carri armati serviranno per proteggere la Germania in caso di un attacco diretto da parte della Russia;
– la Germania nutre molti dubbi riguardo l’opportunità di inviare personale tedesco in Ucraina per addestrare i suoi militari;
– l’embargo sul gas russo, ha lasciato intendere il cancelliere Scholz, non è un’opzione che, almeno al momento, la Germania ritiene percorribile.
Altri distinguo rispetto alla linea atlantista arrivano da Austria, Irlanda, Grecia, Cipro, Malta, Ungheria e Bulgaria. La discussione verte, principalmente sugli aiuti militari all’Ucraina. Quindi non tutti hanno l’encefalogramma piatto.
Ne deduco quindi che sostenere l’Ucraina senza darsi la zappa sui piedi si può ;
Ne deduco anche che esprimere posizioni diverse da quelle indicate da Biden a mezzo UE, si può ugualmente.
Deduco infine che prendere le distanze dalle strategie belliche NATO, volte a coinvolgere l’Europa in una lunga guerra di logoramento in territorio ucraino, non è conteplato fra i peccati mortali.
Signor Draghi, in questi giorni di splendido isolamento in quel di Città della Pieve, la invito a meditare sulle differenze che corrono fra uno Stato che è fedele allo spirito europeo nella misura in cui ciò non vada a ledere gli interessi nazionali, ed un’altro che invece esegue acriticamente i diktat euro-americani fino al punto di mettere in pericolo la sicurezza e il benessere del suo popolo.
Poi ci faccia sapere.
Blog di Stelle e dintorni di Roberta Labonia

COME SI SVOLGERA’ LA FASE TRE DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA?_di Roberto Buffagni

COME SI SVOLGERA’ LA FASE TRE DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA?

 

Boris Johnson al “Financial Times”: “La Russia può vincere, mandiamo tank in Polonia”.

In vista del probabile successo della prossima offensiva russa e della conseguente neutralizzazione delle FFAA ucraine, i britannici, che hanno un ruolo di primissimo piano nella gestione delle ostilità, preparano la fase tre della guerra: finiti gli ucraini, facciamo entrare in campo i polacchi e i baltici.

La fase tre della guerra in Ucraina tra Russia, USA e NATO, si svolgerebbe così.

  1. La prossima offensiva, in cui la Russia impiega la sua superiore potenza di fuoco, neutralizza il grosso delle FFAA ucraine oggi fortificate nel Donbass. L’Ucraina non è più in grado di resistere efficacemente. Termina la fase due delle ostilità.
  2. Inizio della fase tre. Su richiesta di aiuto militare del governo ucraino (eventualmente rifugiato in esilio) al governo polacco e ai governi baltici, entrano in Ucraina truppe regolari polacche e baltiche, e un contingente di mercenari finti e veri. I mercenari veri sono forniti dalle aziende che forniscono contractors. I mercenari finti sono militari di paesi NATO che si dimettono dalle loro FFAA per non coinvolgere giuridicamente come belligeranti i propri paesi, e vanno a combattere senza mostrine. In Polonia si sta già raccogliendo un contingente che da quanto mi risulta conta già circa 120.000 uomini. Ingenti aiuti finanziari e materiali stanno affluendo in Polonia da USA e NATO.
  3. Il contingente polacco-baltico combatte i russi in Ucraina. I russi possono rispondere sul territorio ucraino, ma non possono colpire i centri di comando e logistici del contingente, situati in Polonia e nei paesi baltici, per non entrare in un conflitto diretto con la NATO.
  4. Le ostilità in Ucraina tra USA, NATO e Russia, combattute tra FFAA polacche e baltiche e FFAA russe, diverrebbero così interminabili, perché l’afflusso di truppe in Ucraina potrebbe continuare per anni, e la Russia non potrebbe colpirne la sorgente senza entrare in conflitto diretto con l’intera NATO.
  5. Lo scopo della fase tre delle ostilità sarebbe: aprire una ferita immedicabile nel fianco della Russia + isolarla politicamente + sfinirla economicamente con il costo delle ostilità che si aggiunge alle sanzioni. In sintesi: dissanguamento della Russia in vista della sua disgregazione politica.

La strategia occidentale sarebbe dunque provocare in Russia:

  1. Sfiducia della popolazione nei suoi governanti per l’alto costo umano e materiale della guerra, e l’assenza di una prospettiva credibile di sua conclusione favorevole.
  2. Crescenti dissensi all’interno del ceto dirigente russo, cristallizzarsi di una fazione capace di rovesciare l’attuale governo
  3. Risveglio e attivazione di forze centrifughe nelle repubbliche che costituiscono lo Stato federale russo, forze sempre latenti in una compagine multietnica, multireligiosa, multiculturale come la Federazione russa.
  4. “Regime change”. Rovesciamento del governo attuale, sostituito da un governo debole, incapace di opporsi con fermezza al processo di caotica disgregazione politica della Federazione russa, arrestandolo (v. punti precedenti).
  5. Disgregazione politica della Russia, che cessa di essere una grande potenza e viene così neutralizzata come nemico dell’Occidente.

Mi limito a sottolineare i più evidenti rischi di un eventuale SUCCESSO di questa strategia di frammentazione politica della Russia: chi si impadronirebbe dell’arsenale nucleare strategico russo? Quali paesi entrerebbero a occupare l’enorme vuoto geopolitico che si creerebbe? La Cina, per esempio, avrebbe l’assoluta necessità di garantire la sicurezza dei 4.500 km di frontiera con la Russia, e l’evidente interesse di appropriarsi delle ricchezze siberiane.

Ovviamente, l’attuazione di questa strategia, coronata o meno da successo, implicherebbe la riduzione dell’Ucraina a campo di battaglia permanente, con l’annichilimento della sua economia, il dilagare dell’anarchia e della criminalità, e un deflusso imponente di milioni di profughi. L’Ucraina diverrebbe una espressione geografica abitata dal caos.

Da quel che sono riuscito a capire dalle varie fonti primarie e secondarie consultate, il governo russo è persuaso che la strategia politico-militare occidentale sia questa che ho appena delineato: in sostanza, la replica ai danni della Russia del processo che condusse alla disgregazione politica della Jugoslavia. Penso che anche la popolazione russa se ne stia persuadendo, sia per l’effetto della propaganda governativa russa, sia, soprattutto, per la sconsiderata demonizzazione del popolo e dell’intera cultura russa messa in atto dai paesi occidentali, il cui evidente sottotesto è “voi russi siete disumani e meritate solo di essere distrutti e rieducati”.

Se questo è vero come credo, per la Russia la posta in gioco è letteralmente la sopravvivenza. Sopravvivenza dell’integrità politica e territoriale della Federazione russa, sopravvivenza della continuità storica e culturale della Russia, e, per finire, sopravvivenza personale dei componenti l’attuale governo e dei suoi sostenitori che non lo tradiscano. Ne consegue che la Russia si difenderà impiegando tutte le sue risorse materiali e morali: dichiarazione formale di guerra all’Ucraina, legge marziale, mobilitazione dei riservisti e coscrizione di massa, economia di guerra, se necessario impiego dell’arsenale atomico tattico e strategico; disponibilità a rispondere a un allargamento del conflitto alla NATO e agli Stati Uniti, eventualmente a provocarlo se costrettivi dalle necessità militari.

La prospettiva che ho delineato non è una certezza: è una possibilità, ma una possibilità nient’affatto improbabile coeteris paribus, ossia se non intervengono fattori di mutamento significativi nella situazione politico-militare: ad esempio, un fallimento dell’offensiva russa così completo da indurre il governo russo a cessare le ostilità, o una rottura del fonte politico occidentale.

Ritengo estremamente improbabile che la Russia incontri un fallimento militare così catastrofico da indurla a cessare le ostilità: sia per le risorse di cui dispone, sia per l’entità della posta politica in gioco: la cessazione delle ostilità in seguito a sconfitta sul campo destabilizzerebbe il governo russo, probabilmente provocandone la sostituzione con un governo revanscista.

Il fronte politico occidentale può essere rotto solo da un paese europeo importante, come Francia, Germania o Italia. Se uno di questi paesi adottasse, nel proprio interesse nazionale e nell’interesse dell’Europa tutta, la linea scelta dall’Ungheria di Orbàn, sarebbe estremamente difficile, per non dire impossibile, attuare la strategia di destabilizzazione e disgregazione politica della Russia.

Avverrà?

Le probabilità sono scarse, ma la possibilità c’è. Già ora Francia e Germania cominciano ad accorgersi del danno devastante che subirebbero applicando alla lettera le sanzioni che hanno pur votato. La Germania si rifiuta di inviare “armi offensive” all’Ucraina, per evitare la classificazione di “cobelligerante” (il diritto internazionale permette di inviare “armi difensive” senza divenire cobelligeranti del paese destinatario). Nelle Cancellerie europee, insomma, qualcuno comincia a riflettere sulle decisioni sconsideratamente prese nell’immediato, senza valutarne le gravi e anche gravissime conseguenze, sotto la pressione americana e per un riflesso condizionato del moralismo ideologico ufficiale condiviso dalle classi dirigenti UE.

Speriamo.

 

https://t.me/intelslava/26477

 

 

REGNUM CLIENS, di Massimo Morigi

REGNUM CLIENS

Una precisazione (e per aprire una nuova fase) non solo della nostra discussione ma anche presso coloro che sentono insopportabili gli odierni vincoli internazionali cui è sottoposto il nostro paese, una proposta terminologica : l’Italia non è un paese alleato degli Stati uniti con scarsissima voce in capitolo in merito alle decisioni strategiche che lo riguardano, l’Italia non ha alcuna voce in capitolo non solo riguardo a queste decisioni strategiche, l’Italia non ha nemmeno alcuna voce in capitolo riguardo alle decisioni economico-produttive che impattano direttamente sulla vita dei suoi cittadini e ne configurano il suo assetto nell’economia del c.d. occidente, talché è totalmente fuorviante sostenere che l’Italia è il membro più debole di un’alleanza dove gli Stati unti sono il fratello maggiore, l’Italia non può quindi essere definito un alleato più o meno sottomesso vista questa disparità di forze ma la giusta definizione é Ital ia stato cliente degli Stati uniti, recuperando così la definizione di “regnum cliens” impiegato dai Romani, col la quale essi designavano quegli stati che formalmente avevano una vita politica autonoma (potevano avere una loro autonoma gerarchia politica purché non si mettesse di traverso a Roma) ma dovevano versare tributi a Roma e, all’occorrenza, fornire manovalanza militare. E si sottolinea un ulteriore fatto. Tale stato di “clientelaggio” dell’Italia verso gli Stati uniti è un’assoluta novità, anche se, ovviamente , le premesse c’erano tutte nella natura di un’alleanza squilibrata che, dopo, la fine della guerra fredda non poteva che evolversi, in mancanza di una reale discussione ed elaborazione da parte dei centri strategici nazionali (figurarsi!, vero La Grassa?) sulla mutata situazione internazionale (da questo punto di vista l’odierna situazione italiana è peggiore, molto peggiore, di quella preunitaria, laddove in quel periodo della nostra stor ia l’Italia era divisa in piccoli stati, alcuni clienti dell’Austria, ma altri, vedi il Piemonte e lo Stato della Chiesa avevano una loro individualità che, sebbene a fatica, si opponeva, se necessario e talvolta con estrema violenza, ai diktat della potenza egemone sul nostro territorio). Per concludere e per porre chiaramente una nostra primazia, nostra dell’ “Italia e il mondo”, voglio dire. La conclusione è che l’Italia adottando le scriteriate sanzioni antirusse imposte dall’America si è definitivamente trasformata da alleata degli Stati uniti in un “regnum cliens” degli stessi. La primazia che l’ “Italia e il mondo” deve rivendicare rispetto non solo alle pseudoriviste di geopolitica, magari molto scaltrire promozionalmente ma la cui funzione è simile a quella che una volta si diceva della filosofia, cioè che la filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale tutto rimane tale e quale, ma soprattutto rispetto a tutti coloro, che nel passato come ancora oggi (oggi per la verità sempre più sparuti) si definiscono “sovranisti”, dove il problema non è tanto essere sovrani rispetto a tutto un resto del mondo che viene percepito ingenuamente come nostro nemico , ma il problema è, unicamente, uscire dalla condizione di “regnum cliens” degli Stati uniti. Chiarezza terminologica e chiarezza di obiettivi. Si accettano da tutti suggerimenti in proposito, ma dalla chiarezza concettuale e terminologica è indispensabile iniziare il percorso

il conflitto militare in Ucraina 2a parte_con Max Bonelli

Da due mesi assistiamo ad una realtà obbligata del conflitto in Ucraina. Con essa la democrazia occidentale ha rivelato la propria potenza di fuoco e la perfetta integrazione del sistema mediatico nel sistema di potere. Non solo un megafono, quanto un costruttore di opinione ed una pesante modalità di condizionamento del ceto politico. Le vie del potere e dell’egemonia passano anche attraverso questi fili, non solo per le strade dirette. In questo rivelano il carattere sofisticato di esercizio nel mondo occidentale rispetto ai mondi emergenti. L’abuso, però, ne rivela anche la fragilità. E’ il contributo che intendiamo dare facendo emergere l’altra verità, certamente di parte; sicuramente più aderente alla realtà. Una realtà accessibile a tutti, sempre che la si voglia cogliere. Per giorni ci hanno tempestato di resoconti di telefonate di soldati russi impegnati a riportare a casa trofei domestici presi in prestito da case altrui, per la verità un po’ meno ingombranti. Pare che i comandi russi non abbiano però lesinato nelle punizioni. Nella foto vediamo certificato il compimento di un principio universale, questa volta da parte ucraina: la famiglia prima di tutto. Siamo sicuri che i nostri profeti sapranno riconoscere il giusto valore a questi sani principi. Siamo vittime di una propaganda di guerra tesa ad osannare il valore dei resistenti e il principio della libertà; un valore che in realtà è cieca ostinazione fondata su principi inquietanti di discriminazione che lo stesso mondo occidentale afferma di aver combattuto ormai otto decenni fa e su comportamenti del regime verso una parte della propria popolazione altrimenti inspiegabili. Non riteniamo di arrecare danno, comunque, alla causa ucraina con questa ed altre foto e video presenti nel servizio, visto che gran parte di essi sono forniti e diffusi con beata soddisfazione dagli stessi militari nel pieno esercizio delle loro funzioni. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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