Conversazioni sulla Cina, 3a puntata_Con Daniela Caruso

Il gruppo dirigente al potere in Cina, solitamente riservato, in poche settimane ha voluto rendere pubblica la sua visione delle relazioni internazionali: una interpretazione del multilateralismo la cui forza deve dipendere da un equilibrio di forze e dal rispetto del principio di sovranità ed integrità degli stati nazionali piuttosto che dalla capacità egemonica di una potenza. Vi è una ragione prosaica a sostenere questa convinzione: la Cina è stato il paese che, con astuzia e sapienza, ha saputo approfittare delle opportunità di una globalizzazione fondata sulla sicumera di un paese egemone, gli Stati Uniti, convinto di aver consolidato definitivamente la propria condizione di dominio. Vi è, però, una ragione più profonda legata alla mentalità e alla cultura millenaria di un impero il quale, tra tante vicissitudini interne, è però riuscito a mantenere una postura relativamente pacifica anche nelle sue fasi più turbolente. Se le intenzioni sono queste, la realtà al contrario sta spingendo verso un’altra direzione. L’aspro conflitto politico interno agli Stati Uniti e l’incapacità della sua classe dirigente ad accettare l’emersione di nuove potenze e una aspirazione generale alla indipendenza e sovranità di paesi e stati sempre più numerosi sta spingendo progressivamente il confronto geopolitico in una logica di schieramenti sempre più netti e contrapposti. Ogni paese, però, con il proprio retaggio. Non c’è dubbio che quelli occidentali, soprattutto gli Stati Uniti, hanno troppe cose da farsi perdonare per poter contare sulla persuasione e la credibilità, piuttosto che sulla violenza. Un circolo vizioso che non promette niente di buono. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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IL POPOLO DEI LUPI. (3-4), di Daniele Lanza

IL POPOLO DEI LUPI. (3)
(note storiche sparse tra Moldova, Valacchia e Transilvania, dagli albori alla contemporaneità, ripubb. 2018*)
Torniamo a noi……dove ci ha portati la corsa dei lupi ? Attraverso una selva che pare inghiottirli più volte, eppure non lo fa, solo ogni volta che ne escono sono differenti da come ne sono entrati : sono solo gli snodi dell’etnogenesi.
Gli orgogliosi e combattivi DACI, affini ai traci, che invocano ATTIS e non credono alla morte, precipitano nel mare della latinità e quando ne riemergono 3 centinaia di anni più tardi, si esprimono in un latino volgare che ha iniziato ad evolversi a modo suo….e la sera pregano Cristo.
Senza coscienza alcuna di unità territoriale, in un mondo successivo a Roma che muta forma e senso, scivolano e si perdono nuovamente nella macchia……è il momento della grande Bulgaria altomedievale, e quando i nostri lupi riemergono dal lungo abbraccio bulgaro/bizantino 400 anni più tardi, sono ormai orientati alla fede ortodossa.
A questo punto abbiamo varcato ormai di molto l’anno 1000 e questi discendenti intrepidi dei daci, vengono adesso chiamati VLACS da gran parte delle fonti che li menzionano. Si tratta di un curioso essere….un’umanità sprofondata tra Carpazi e Balcani che parla una stravagante variante del cosmo romanzo seppur circondata da parlate comparativamente indecifrabili (dal magiaro alle slave), ma a differenza dei cugini latini (sudditi di pontefici e monarchi francesi o spagnoli) sono saldamente ortodossi. Consolidato questo fascinoso equilibrio di romanità e grecità, ma PRIVI di qualsiasi unità politica (nemmeno la cercano) si avventurano tra le spire del tardo medioevo…….
I monarchi magiari e la loro progressiva conquista porta alla creazione di TRE aree abitate dai nostri Vlacs, nel corso del cruciale XIV secolo : Valacchia e Moldavia, costituite come territori cuscinetto (materialmente messi assieme da condottieri Vlacs in nome del re d’Ungheria, ma che quasi subito diverranno principati vassalli di fatto indipendenti) la terza invece, incamerata integralmente allo spazio ungherese col nome di Transilvania.
Il quadro, considerato con la sensibilità politica di un nostro contemporaneo parrebbe sconsolante : un popolo suddiviso in due potentati minori perennemente a rischio di essere assorbiti da qualche potenza, più un terzo che invece non vanta neppure una propria forma di stato, ma è regione di un altro regno il cui nucleo è magiaro. La coscienza del suddito premoderno tuttavia NON è la nostra……e non se ne facevano gran cruccio. A maggior ragione considerando che qualsiasi eventuale diatriba sta per risultare declassata per valore, del tutto miniaturizzata a paragone di quanto si prepara : la lunga notte ottomana si stende su tutti costoro, dalle più sperdute isole dell’Egeo fino (un giorno) alla Pannonia.
Il macro evento che si sviluppa tra il XIV° e il XV° secolo cambia gli equilibri di forza nel vecchio continente, sebbene non modifichi sensibilmente le organizzazioni territoriali preesistenti (come accade con tutti gli imperi : se già esiste una suddivisione organizzativa locale, più comodo servirsi di QUELLA sostituendone l’amministrazione anziché riformare tutto dal principio).
Pertanto per quanto riguarda la nostra storia : i principati di Moldavia e Valacchia continuano a esistere, come stati vassalli soggetti a tributo: il padrone non è più il sovrano d’Ungheria, ma il sultano ottomano.
Il 15° secolo scorre così in uno stato di tensione che vede la Valacchia, ancora libera ma sempre più soggetta alle volontà del sultano (che cerca di influenzarne la successione), in pratica tra due contendenti che tentano di tirarla dalla propria parte (l’altro contendente, ancora i sovrani d’Ungheria avversari dei turchi). In questo contesto, che più caotico non potrebbe essere per numero di intrighi e contendenti, deve governare Vlad l’impalatore che tutti conosciamo……….
Il controllo ottomano si rafforza dopo la vittoria storica sugli ungheresi (battaglia di Mohac 1526) che determina relativa stabilità dell’influenza ottomana nei Balcani ed oltre : con Solimano il magnifico si inaugura quasi un secolo di dominio saldo (ed in realtà anche oltre).
Saltando arbitrariamente un susseguirsi intrigante di fatti, passaggi e spargimenti di sangue si può dire che solo verso la fine del XVII° secolo la cristianità torna ad incombere sull’areale balcano/carpatico : a partire dalla vittoria del 1689, tanto la potenza asburgica dall’Europa centrale quanto quella zarista da oriente iniziano a far sentire tutto il proprio peso.
Siamo ormai nella tarda età moderna….è il tempo di Luigi XIV di Francia a Versailles come di Pietro il grande (suo emulo) a San Pietroburgo o della nascita del regno di Prussia. Secolo di guerre di successioni della prima guerra planetaria (dei 7 anni ossia) e di Diderot e la sua Enciclopedia.
Non molto è mutato per i vlacs sottoposti al potere ottomano : dopo 300 anni di tributi ai sultani l’esistenza scorre ancora come sempre. Qualcosa tuttavia sta per cambiare…..la riscossa (mitica) della fede cristiana ortodossa riprende vigore col sempre maggiore esaurimento turco e con un nuovo attore che si affaccia sull’intricato teatro balcanico……l’impero di RUSSIA.
Il popolo dei lupi incontra lo zar alla fine, sul termine dell’età moderna.
(prosegue)
[Liber Chronicarum di Norimberga, 1493. Ill. di Transilvania]
 
IL POPOLO DEI LUPI. (4)
(nell’immagine si vede la Tuhgra, sigillo personale dei sultani
,esempio ricco dell’arte calligrafica araba anche se in lingua turca. Per la precisione sarebbe quella di Suleiman il il magnifico, Solimano).
Il lasso di tempo che gli schemi storiografici odierni chiamano “storia moderna” (1500-1800) è pertanto definito : gli antichi daci figli dei lupi, trasfigurati dal flusso della storia e rinati come VLACS “romanzofoni” ed ortodossi, vivono pacificamente (più o meno) come sudditi dei principi valacchi e moldavi, i quali a loro volta sono divenuti vassalli dei sultani osmanidi. Una parte di loro è invece suddita del re d’Ungheria e poi in seguito dell’imperatore d’Austria.
Lo schema (assai grossolano) è questo, per le centinaia di anni che vanno dalla caduta di Costantinopoli fino alla rivoluzione francese, su per giù (immaginiamola così, per dire).
In linea con lo stadio di coscienza socio-politica dell’era in questione, NON si fa sentire alcun eco di irredentismi o ricerca di un’unità nazionale più vasta : alla gente non fa differenza se il proprio regnante non parli la loro stessa lingua o se i vicini della provincia accanto abbiano un altro costume. Non si ricerca la fratellanza con chicchessia solo perché si esprime nel medesimo idioma e di conseguenza i vlacs rimangono sudditi di potentati differenti : in oltre 400 anni di influenza ottomana si registra un solo episodio (una meteora durata un battito di ciglia) in cui un pricipe vlac riesca a raccogliere sotto di sé in contemporanea Valacchia, Moldavia e Transilvania….si tratta di Mihai Viteazu nel 1600, che la effettua tra l’altro come unione personale dinastica, come norma dell’epoca (nella migliore tradizione di interpretazione romantica della storiografia patriottica ottocentesca, sarà retroattivamente eletto a campione dell’unità romena e precursore del risorgimento di questo stato).
Non è ancora il tempo e le masse sono ancora prigioniere dello schema di classe (legati ai loro “naturali superiori”, principi e granduchi) piuttosto che sviluppare un’identità etnica militante.
Se qualcosa si muove è grazie alla spinta di eventi assai più grandi che non le vicende interne di questi principati romeni e sarebbe a dire la pressione ormai congiunta di due grandi potenze (Austria e Russia) sui confini ottomani.
Nella totale impossibilità di riportare la catena innumerevole di avvenimenti che compongono la storia politico-militare del 700 nel sud-est Europa cerco di condensare per il lettore a digiuno focalizzandomi sui pochi punti cruciali (seguitemi).
Lo schema geopolitico GENERALE è il seguente : a patire dalla fine del 600 (ossia dalla fine della minaccia turca in Europa col conflitto conclusosi nel 1699 contro Russia ed Austria) per tutto il lungo corso del 18° secolo e ancora i primi decenni del secolo successivo, l’impero ottomano si ritrova ormai costantemente in una posizione DIFENSIVA. Gli equilibri tradizionali dell’età moderna sono radicalmente mutati ed ora la potenza turca anziché avanzare si ritrova in lenta, ma costante ritirata. Davanti a sé DUE grossi problemi : 1) il traballante regno d’Ungheria, suo tradizionale opponente dell’Europa centrale, si è unito dinasticamente all’Austria ed ora è un IMPERO (asburgico) con tutta la sua forza, il nuovo avversario. 2) In secundis, un nuovo rivale, di stazza sconfinata, si affaccia su tutto il perimetro che va dal Caucaso ai Carpazi, lungo la linea del mar Nero……..finalmente gli zar di Russia entrano nel gioco.
Morale della favola : gli ottomani si trovano contro due potenti concorrenti, con forti interessi nei Balcani e determinati a non retrocedere, il cui attacco sarà spesso quasi concomitante (congiunto oppure in successione).
Nello spazio di circa 150 anni menzionato sopra (1700-1850), si verificano una decina di conflitti militari tra zar e sultani (cosiddette “guerre russo-turche” tra 18°/19° sec. , come le cataloga la storiografia) e PARALLELAMENTE un’altra mezza dozzina contro gli imperatori d’Asburgo (“guerre austro-turche”) : quasi 20 confronti bellici di varia scala in un secolo e mezzo, contro antagonisti di notevole spessore. La collisione con l’occidente (austro/russo) dalla tarda modernità alla prima età contemporanea è decisamente più di quanto le risorse militari ed economiche ottomane possano oggettivamente sostenere…..gran parte di questi conflitti finiscono con sconfitte e con armistizi non memorabili : nessun insuccesso di per sé è determinante, ma messi tutti assieme determinano il lento declino della potenza ottomana.
Questo come riguarda i vlacs ? I nostri piccoli (a paragone delle forze in gioco) e coraggiosi autoctoni, sudditi di Moldavia e Valacchia si ritrovano quasi esattamente sulla linea di fuoco della contesa ! A guardare uno scacchiere bellico sono una striscia di terra che separa tutti i contendenti citati (letteralmente).
Gli effetti non si fanno attendere : GIA’ al tempo di Pietro il grande si registrano svariate defezioni da parte dei principi valacchi e moldavi (sostenute dalla Russia principalmente) il che costringe gli ottomani non soltanto a giustiziarli, ma a metter mano direttamente nel sistema di governo e successione, estromettendo i regnanti locali (ritenuti non abbastanza leali) per sostituirli con altri scelti direttamente a Istanbul. A partire dal 1715, Valacchia e Moldova non avranno più a governarli principi nativi, bensì inviati speciali dell’impero : si tratta dei “fanarioti”, ovvero nobili di origine GRECA appartenenti alle famiglie di più illustri natali residenti in una zona della capitale ottomana (l’argomento prende un capitolo a sé per interesse. Diciamo solo che ciò che simboleggiano è molto importante).
Questi greci di antichissima estrazione, discendenti di antichi clan greci o ellenizzati (in generale bizantini) da lungo tempo incorporati dall’impero ottomano (senza nulla perdere delle proprie tradizioni), sono la scelta ideale in quanto ortodossi come i popoli che dovranno governare, ma al tempo stesso distaccati da essi e ritenuti (ancora) fedeli alle istituzioni turche per il momento. Uno principe fanariota decreterà la fine del servaggio della gleba nel 1743, anche per limitare il flusso sempre maggiore di fuggitivi verso la più illuminata Transilvania asburgica.
Il trend tuttavia è ormai determinato e a partire dall’ultimo 1/3 del 18° secolo la situazione precipita per gli ottomani : nel 1768 inizia una dura guerra contro l’imperatrice Caterina II, che oltre a determinare la perdita definitiva della CRIMEA anni dopo (nonché una prima penetrazione nel Caucaso), indebolisce la posizione turca in Moldova e Valacchia. Quest’ultima è per la PRIMA VOLTA occupata dai russi che giungono fino a Bucharest e tutto si conclude quando 6 anni più tardi si firma la pace di Küçük Kaynarca : questo esotico nome è sorgente di tante cose a venire…….
[continua]

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I loro nemici: i russi Ma che dire del resto di noi? di Aurelien

Una interessante riflessione di Aurelien sull’universalismo politico del liberalismo e sulla dicotomia amico/nemico schmittiana, nel contesto della guerra in Ucraina e del conflitto tra unipolarismo declinante e multipolarismo nascente.

 

https://aurelien2022.substack.com/p/their-enemies-the-russians?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=108574814&isFreemail=true&utm_medium=email

I loro nemici: i russi

Ma che dire del resto di noi?

di Aurelien

15 marzo

 

La settimana scorsa ho analizzato la dicotomia amico/nemico divulgata da Carl Schmitt e mi sono chiesto se potesse aiutarci a comprendere lo stato deplorevole della politica occidentale contemporanea. Ho sostenuto che molti gruppi sociali che oggi svolgono un ruolo politico hanno di fatto interiorizzato questa dicotomia e la praticano abitualmente. Ora voglio esaminare le conseguenze di questa dicotomia nelle relazioni internazionali, in particolare, ma non solo, nel caso della reazione del PMC occidentale alla crisi ucraina, e vedere se possiamo comprenderla allo stesso modo.

 

Nella discussione della scorsa settimana, ho suggerito che l’originaria antitesi oggettiva amico/nemico identificata da Schmitt sia stata superata, come egli pensava, da gruppi economici e sociali organizzati che svolgono un ruolo politico sempre più ampio. Con l’effettiva scomparsa delle grandi lotte storiche politiche ed economiche, ormai sepolte sotto cumuli dell’insalata di parole liberale e di cui non è più consentito discutere, le energie che animavano le aspre dispute del passato si sono spostate sui dettagli della sfera sociale. Ho anche sostenuto che si trattava di un fenomeno specificamente occidentale, che trovava la sua origine ultima nelle violente e assolutistiche dispute dottrinali del primo cristianesimo, per poi secolarizzarsi nelle lotte politiche ed economiche e infine banalizzarsi nelle discussioni su chi deve usare quale bagno. A differenza di altre culture, dove credenze diverse possono coesistere senza conflitti, la dinamica della cultura occidentale è stata quella di una costante tendenza all’intolleranza e all’affermazione incontestabile della verità. Il liberalismo, che ama presentarsi come il guardiano della tolleranza, è l’esempio attuale di un sistema di credenze assolutiste contro cui non c’è appello.

 

Come potrebbe manifestarsi tutto ciò nella sfera internazionale? Voglio analizzare questo aspetto nel contesto di alcune osservazioni di Carl Schmitt. Come in precedenza, il mio scopo non è quello di elogiare (o denigrare) Schmitt, né di cercare di esporre le sue idee, ma di chiederci se possiamo usare le sue parole come punto di partenza per una riflessione proficua. Credo che forse sia possibile.

Il punto di partenza è il concetto di Schmitt di conflitto tra nazioni. Egli lo chiamava semplicemente “guerra”, ma le sue osservazioni successive chiariscono che aveva capito che le relazioni conflittuali potevano essere più complicate di così. Ma questo conflitto può avvenire solo quando una comunità pronta a combattere per la propria identità entra in collisione con un’altra comunità simile. Questa collisione, che fa di ogni parte il “nemico” oggettivo dell’altra, è indipendente, sosteneva, da qualsiasi altra antitesi basata su differenze culturali, razziali, morali ecc. Ne consegue che non è necessario odiare personalmente il nemico.

 

Ne consegue anche che la guerra, a prescindere da qualsiasi considerazione sulle differenze morali o etiche, è uno strumento legittimo di politica statale, se e solo se viene combattuta non “per ideali e norme di giustizia“, ma “contro un ‘nemico reale’ ” (cioè oggettivo). Non esistono quindi guerre giuste o ingiuste e, almeno in teoria, ogni Stato ha uno ius ad bellum illimitato. Schmitt sembra aver creduto che questo fosse il modello di guerra che si era imposto fino al 1914 e che era durato almeno per diverse generazioni, forse dalla fine delle guerre napoleoniche. In questo modo di pensare, le guerre erano brevi, anche se brutali, dispute organizzative che risolvevano qualcosa nelle relazioni oggettive tra gli Stati. Poiché non erano coinvolti gli odi personali, la posta in gioco della guerra era più bassa e le sue conseguenze limitate. Tutto questo, sosteneva, cambiò nella Prima guerra mondiale, con la retorica disumanizzante diretta contro la Germania e il famigerato articolo 231 del Trattato di Versailles, che rendeva la Germania totalmente responsabile della guerra, con relative sanzioni e punizioni.

 

Ora, la caratterizzazione di Schmitt della guerra nel XIX secolo è stata contestata, ma credo sia abbastanza incontrovertibile affermare che per la maggior parte di quel periodo la guerra è stata uno strumento di politica statale limitato, sia nella sua portata intrinseca sia nell’emozione che vi era investita. Nel periodo che va all’incirca dal 1789 al 1815, la guerra non è stata così, perché l’autonomia dell’antitesi amico/nemico è stata effettivamente stravolta, con l’introduzione di elementi morali, etici e religiosi, e anche di odi personali: ad esempio, contro Napoleone. Le grandi potenze europee si videro difendere l’intramontabile principio morale e religioso del monarca legittimato da Dio, contro le eresie della Francia, della Repubblica, del Direttorio o dell’Impero. (Per questo motivo, le guerre continuarono finché i principi morali e religiosi non vennero finalmente applicati). Poi, Napoleone fu costretto ad abdicare e fu mandato in esilio, Luigi XVIII riportò al potere i Borboni e l’ordine morale divino fu ristabilito.

 

Schmitt sosteneva che, dopo il periodo da lui individuato nel XIX secolo, la Prima Guerra Mondiale era stata diversa, perché gli Alleati avevano tentato di moralizzarla, mentre in realtà perseguivano l’obiettivo economico di distruggere la Germania.  Egli sosteneva più in generale (ma chiaramente in riferimento a quella guerra) che era possibile dirottare e monopolizzare il concetto di “umanità“, in modo tale da negare “al nemico la qualità di essere umano” e dichiararlo “un fuorilegge dell’umanità“. Così, paradossalmente, “la guerra può essere portata alla più estrema disumanità“. Il concetto di umanità, ha sostenuto, “è uno strumento ideologico particolarmente utile all’espansione imperialista e nella sua forma etico-umanitaria è un veicolo specifico dell’imperialismo economico“.  Quindi la “struttura ideologica” del Trattato di Versailles “corrisponde precisamente a questa polarità di pathos etico e calcolo economico“.

 

La difesa della Germania da parte di Schmitt è stata giudicata insufficiente da molti non tedeschi (e anche da alcuni tedeschi) sia prima che dopo. C’è un’intera industria accademica che si dedica alle cause della Prima Guerra Mondiale, e la lascio al suo lavoro. Ma è certamente vero che la disumanizzazione del nemico era una caratteristica costante della propaganda bellica (non dimentichiamo che “Hang the Kaiser“, Impicchiamo il Kaiser, era una canzone popolare dell’epoca). Il moralismo dei vincitori era anche abbastanza reale: già prima della fine della guerra ci si preparava a processare il Kaiser e gruppi di lavoro di avvocati si affannavano a inventare accuse. Schmitt aveva ragione ad affermare che, almeno dal punto di vista procedurale, tutto ciò costituiva un’innovazione.

Ora, il fatto che Schmitt si sia reso colpevole in questo caso di parzialità, se non peggio, non significa che le sue argomentazioni debbano essere automaticamente respinte. Anzi, esse hanno un suono curiosamente moderno e contemporaneo.  Per esempio, molti attenti critici degli interventi militari occidentali degli ultimi trent’anni hanno trovato preoccupante il fatto che:

 

La guerra è condannata, ma restano le esecuzioni, le sanzioni, le spedizioni punitive, le pacificazioni, la protezione dei trattati, la polizia internazionale e le misure per assicurare la pace. L’avversario non è più chiamato nemico, ma perturbatore della pace, e viene così designato come un fuorilegge dell’umanità“.

 

Schmitt contrappone questa visione della guerra a quella che, secondo lui, aveva caratterizzato il mondo precedente al 1914. A quei tempi gli Stati avevano dei nemici, ma le loro differenze erano per lo più territoriali e le guerre non sfuggivano di mano. Nei suoi scritti successivi, Schmitt sembra aver sperato in un ritorno a questa situazione, con gli Stati che combattono per difendere il proprio territorio, ma non cercano di invadere quello degli altri. Ma questo era possibile solo se, da un lato, vi fosse stata una perfetta coincidenza tra territorio e identità politica e, dall’altro, se le nazioni avessero evitato ideologie universalistiche. Nel primo caso, le guerre più distruttive possono nascere quando parte della popolazione di uno Stato si identifica con un altro Stato. Nel secondo caso, sosteneva Schmitt, gli Stati liberali-umanisti ritengono che i loro valori siano universali e quindi non possono tollerare l’esistenza di altri sistemi e si sentono obbligati a intervenire in essi. Per loro, la guerra non riguarda il territorio, ma le idee, e quindi non è soggetta ai vincoli morali intrinseci della guerra puramente territoriale. Il risultato, secondo Schmitt, sarebbe l’anarchia. Guardando il mondo di oggi, pochi direbbero che Schmitt si sbagliava sul rischio in entrambi i casi. Se il conflitto disumano e illimitato sia il risultato inevitabile è, ovviamente, un’altra questione.

 

L’ultimo secolo è stato infatti caratterizzato dalla percezione di una superiorità morale nella guerra. Naturalmente, nel corso della storia, pochi, se non nessuno, Stati o governanti sono entrati in guerra ammettendo allegramente di essere nel torto e che l’altra parte era moralmente superiore. Fino all’incirca alla Rivoluzione francese, i pretendenti dinastici in competizione sostenevano di avere la migliore pretesa al trono (ricordate l’incipit dell’Enrico V di Shakespeare) o a un territorio, e che quindi la loro causa era giusta. Gli eserciti della Rivoluzione, tuttavia, rappresentarono forse il primo tentativo di combattere una guerra giustificata esclusivamente dalla superiorità morale e ideologica. (Non parliamo poi della Guerra dei Trent’anni).

 

Ma c’è stato un cambiamento qualitativo dopo il 1914, e soprattutto dopo il 1945, quando la superiorità morale dei vincitori era così evidente (ed è rimasta tale nonostante le successive ondate di revisionismo) che è stato possibile raccontare la storia della preparazione alla guerra e la guerra stessa come un racconto morale. Si trattava, come osservò lo stesso Schmitt, della prima volta nella storia in cui un intero regime veniva considerato di per sé criminale e i suoi leader venivano processati per azioni che solo a posteriori venivano classificate come crimini (oltre che, naturalmente, per molte altre che lo erano sempre state). Il Processo di Norimberga era di fatto inevitabile, dal momento che non si poteva permettere che la leadership nazista sopravvivesse, anche se il teatrino morale che ne derivò stabilì un vocabolario e un insieme di concetti che in seguito tornarono a tormentare alcune delle potenze vincitrici.

 

Ma la Seconda Guerra Mondiale non fu un conflitto di ideologie in senso banale. La Guerra Fredda lo fu in teoria, ma l’effettiva competizione politica e militare si limitò alle aree esterne all’Occidente e al blocco sovietico vero e proprio, soddisfacendo così, per inciso, uno dei criteri di stabilità di Schmitt: la coesistenza di sistemi diversi che non cercano di imporsi direttamente l’uno sull’altro. Per questo motivo, se la Guerra Fredda è stata a volte spaventosa per coloro che l’hanno vissuta e profondamente sgradevole per coloro i cui Paesi sono stati contesi, la “coesistenza pacifica” è stata in realtà la regola tacita di tutte le parti, poiché qualsiasi altra cosa sarebbe stata follemente pericolosa.

 

Il catastrofico declino della potenza economica e militare russa dopo il 1991 e la fine del Patto di Varsavia hanno aperto la strada all’attuale dominio del liberismo economico e sociale. Non c’era nulla di ideologicamente inevitabile in questo: è solo che la politica non tollera il vuoto, ed è successo che il liberalismo che aveva progressivamente sostituito l’ethos vagamente socialdemocratico dell’Occidente durante la maggior parte della Guerra Fredda si è espanso, perché aveva alle spalle una potenza militare ed economica e nessun concorrente efficace all’epoca.

 

Come ho sottolineato spesso in precedenza, una peculiarità del liberalismo è quella di non avere alcuna base reale per le sue credenze se non l’asserzione apodittica: nessuna rivelazione divina, nessuna tradizione sacra, nessun corpo sistematico di teoria che pretenda di essere basato sul mondo reale. Per questo motivo, le figure dominanti del liberalismo si sono sempre sentite ideologicamente insicure e a disagio, soprattutto quando si sono confrontate con sistemi di pensiero ancorati a qualcosa di diverso dalla semplice asserzione. Il liberalismo ha sempre avuto un problema con l’Islam, ad esempio, la cui base intellettuale è saldamente fondata sulla rivelazione e la cui base popolare è costituita da società che non condividono le idee liberali. È sorprendente che il liberalismo non sia mai stato in grado di addomesticarlo e assorbirlo come ha fatto con il cristianesimo e persino con il buddismo.

 

Sembra che (e Schmitt avrebbe detto di averlo previsto, suppongo) il liberalismo, con la sua ideologia saldamente sostenuta ma mal fondata, sia incapace di vivere pacificamente nello stesso mondo del tipo di sistemi politici e sociali che troviamo oggi in Cina, Russia e India. Questo è un problema intrinseco a qualsiasi ideologia universalistica, come ho descritto in precedenza, e riflette il fatto che il liberalismo è oggi la cosa più vicina a una religione per le élite occidentali, e che per la maggior parte di esse agisce come una forza di unità precaria, o almeno di coesistenza disagevole. Tuttavia, più l’Occidente tollera l’esistenza di sistemi di pensiero rivali, più la gente inizierà a mettere in discussione le pretese universalistiche del liberalismo.

 

Così, forse, l’Ucraina. Non subito, ovviamente, perché nulla accade così in fretta, ma alla fine. Durante la Guerra Fredda, la competizione ideologica tra i due blocchi si basava in gran parte sui risultati economici e sociali, in quanto ogni sistema sosteneva di avere più successo dell’altro nel miglioramento materiale della vita delle persone. Oggi non è più così: Il liberalismo è per definizione universalmente vero e valido e non ha bisogno di dimostrarsi o confrontarsi con nulla. Le società che non hanno (ancora) abbracciato il liberalismo dovrebbero quindi essere convinte o costrette a farlo. Nella misura in cui si rifiutano di farlo, sono viste come nemici oggettivi. A differenza della Guerra Fredda, la coesistenza pacifica non è di fatto possibile, né auspicabile. Allo stesso modo, le persone e le fazioni che in altri Paesi abbracciano il liberalismo sono dalla parte della storia e vanno automaticamente sostenute. Se non vincono le elezioni è un peccato, ma è colpa dell’elettorato che non è abbastanza illuminato. Alla fine si ricrederanno.

 

Il problema sorge quando il liberalismo si scontra con una forza altrettanto grande, o più grande, di lui, che si rifiuta di seguire il suo esempio, e che rifiuta persino di essere vilipesa. Gran parte del mondo, ovviamente, è impegnata da tempo in una resistenza passiva al liberalismo, anche se raramente ce ne accorgiamo. La maggior parte delle nazioni al di fuori dell’Occidente è generalmente preoccupata di mantenere almeno alcuni elementi delle proprie tradizioni, della propria storia, della propria cultura e della propria società, e di non imitare l’Occidente liberale e il suo individualismo feroce. Ma i Paesi più grandi e più importanti, come la Cina, l’India e la Russia, negli ultimi anni si sono stancati di sopportare semplicemente l’Occidente e la sua ideologia liberale: hanno iniziato a resistere attivamente. Nessuno di questi Paesi, a quanto mi risulta, condivide il tipo di presupposti universalistici che caratterizzano il liberalismo. I cinesi cercano di diffondere la loro influenza e la loro cultura, ma per quanto ne so non stanno cercando di convertire il mondo al confucianesimo, così come gli indiani non stanno cercando di convertirlo all’induismo. In effetti, quando questi Paesi parlano di un sistema mondiale più equilibrato e plurale, parlano in realtà di una sorta di coesistenza ideologica pacifica, che significa che le nazioni non cercano di imporre le proprie norme e pratiche le une alle altre. Ma come ho suggerito, il liberalismo non è in grado di accettare pacificamente la presenza di altre ideologie per molto tempo.

È questo, più di ogni altra cosa, che spiega l’inimicizia incessante verso la Russia e la Cina che ha caratterizzato gli ultimi 15-20 anni. Non c’è, ovviamente, una ragione oggettiva per questa inimicizia: l’Occidente può convivere tranquillamente con questi due Paesi (e con l’India) se vuole, a vantaggio di tutti. La Cina può essere per certi versi un concorrente economico degli Stati Uniti, ma è anche un importante fornitore e un importante cliente. Nessun essere umano razionale crede che una guerra per Taiwan abbia anche solo lontanamente senso o sia probabile. Ma la guerra, quella che Schmitt chiamava la “negazione esistenziale” del nemico, è comprensibile (esito a dire “razionale”) sulla base del fatto che l’Occidente semplicemente non può vivere indefinitamente con la presenza di altri sistemi di pensiero che mettono in pericolo la sua ideologia universalizzante. Tuttavia, è ovvio che l’Occidente non può aspettarsi di vincere una guerra contro la Russia o la Cina da sole, figuriamoci insieme. Questo crea una situazione altamente instabile, in cui i leader occidentali sono costretti a usare una retorica bellicosa, a minacciare e a inasprire le tensioni, nella speranza di ottenere in qualche modo l’effetto politico desiderato. Il problema è che i russi e i cinesi non si lasciano intimidire, anche se i leader occidentali hanno fatto credere ai loro cittadini che l’Occidente sia così temibile e potente da poter sempre ottenere ciò che vuole. Non è chiaro come i leader occidentali possano sfuggire a questo instabile paradosso.

 

E qui ci occupiamo dei leader, oltre che della classe professionale e manageriale, dei media e di altri parassiti. La grande, anche se non dichiarata, debolezza dell’Occidente di oggi, infatti, è proprio la mancanza di un sostegno generale alla promozione bellicosa del liberalismo. Dopotutto, questa ideologia ha molti problemi interni nella maggior parte dei Paesi occidentali e pochi elettori sosterrebbero volentieri le guerre per la sua propagazione. In un certo senso, e per un certo periodo di tempo, le guerre possono essere commercializzate in Paesi lontani come lotte contro persone malvagie: tanto più che noi stessi non rischiamo alcun inconveniente. Ma una guerra offensiva contro la Cina sulla base del fatto che il liberalismo e il sistema cinese non possono coesistere sarebbe un’iniziativa difficile da vendere, anche con Taiwan come pretesto.

 

Eppure è più o meno questo il punto in cui ci troviamo con l’Ucraina. Come ho sottolineato qualche tempo fa, l’isteria e l’odio mostrati dal PMC occidentale sono comprensibili solo se si comprende la dimensione ideologica messianica e la natura apocalittica del conflitto vista da Washington, Londra e Berlino.  È difficile dire come reagirà il liberalismo quando si renderà conto che quella che credeva una forza irresistibile ha sbattuto contro un ostacolo davvero inamovibile, ma non sarà bello e probabilmente assomiglierà a una sorta di esaurimento nervoso politico di massa.

Schmitt, naturalmente, sosteneva che qualsiasi disunione di questo tipo in uno Stato fosse estremamente pericolosa. Non solo seguì Hobbes, ma scrisse un intero libro, Il Leviatano nella teoria dello Stato di Thomas Hobbes, sostenendo che Hobbes era stato troppo moderato. Secondo lui, più antagonismi e differenze politiche ci sono in uno Stato, più questo diventa debole. Anzi, si spinse oltre, sostenendo che chi non si univa al consenso nell’identificare un altro Stato come nemico, era di fatto passibile dell’accusa di aiutare quello Stato: un’argomentazione non nuova o originale, ovviamente.

 

Ora, pur non dovendo arrivare all’estremo opposto, e gorgheggiare di forza nella diversità, è chiaro che la tesi di Hobbes e Schmitt non può reggere a un serio esame come principio storico. Forse Schmitt aveva in mente la grande difficoltà di far votare al Bundestag i crediti di guerra nel 1914. Forse pensava alla leggenda della “pugnalata alle spalle” che circolò dopo la guerra. Ma non c’è alcuna prova che le differenze di opinione in quanto tali danneggino gli interessi di un Paese, e ancor meno che le misure totalitarie siano giustificate per mantenere un falso consenso, anche se ciò fosse possibile.

 

Ma c’è una buona argomentazione che questo è esattamente ciò che i governi occidentali liberali stanno effettivamente cercando di fare. Consapevoli che la loro ideologia non ha una base solida, consapevoli anche della loro impopolarità interna, i leader occidentali sono chiaramente terrorizzati dall’idea che vengano poste domande alle quali non hanno risposte adeguate, soprattutto per quanto riguarda il loro sostegno al regime di Kiev. Solo questo, a mio avviso, può spiegare i sorprendenti sforzi compiuti per garantire il conformismo ideologico con ogni mezzo possibile. Le opinioni scomode, persino i fatti scomodi, devono essere ignorati perché potrebbero “aiutare Putin”, qualunque cosa significhi. Va detto che se la politica sulla più importante crisi politica dal 1945 è così fragile da non poter resistere a semplici domande o a fatti banali provenienti dal terreno di guerra, allora siamo messi male. E credo che sia proprio questa consapevolezza a spiegare l’isteria difensiva e i disperati tentativi di mantenere il consenso con ogni mezzo possibile. C’è da chiedersi se alcuni leader occidentali abbiano studiato Schmitt all’università.

 

Soprattutto, credo, questi sforzi disperati vengono fatti per convincere il popolo (e forse anche se stessi) che le popolazioni occidentali sono unite nel loro sostegno al regime di Kiev. Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando le questioni morali erano più semplici, i governi si preoccupavano comunque di convincere le loro popolazioni della giustificazione morale non solo della guerra stessa, ma anche di chi fossero i nemici e gli amici. Così vennero reclutati registi, tra cui l’americano Frank Capra, per realizzare serie come Why We Fight (Perché combattiamo), progettate per convincere i potenziali esitanti della giustizia della causa. C’erano piani, mai realizzati, per produrre film che esaltassero le virtù di tutte le nazioni alleate, compresi i nostri amici norvegesi, i nostri amici olandesi e i nostri amici relativamente recenti, gli italiani. Al giorno d’oggi, la tecnologia è progredita parecchio e ora si tratta dei Nostri Amici Ucraini e, naturalmente, dei Nostri Nemici Russi, in tutte le diverse forme di media. (I fascisti in Ucraina, invece, è stato ritirato dalla circolazione e i suoi autori sono stati epurati). Ma il problema, naturalmente, è che i russi non sono “nostri” nemici, e non c’è motivo per cui dovrebbero esserlo. Sono i nemici della tendenza liberale globalista, e questo è tutto.

 

In questo senso, e forse contrariamente a quanto avrebbe immaginato Schmitt, l’Ucraina è una “guerra giusta”, combattuta contro un “vero nemico”, così come lo vedono i responsabili. Per molti versi, vincere il conflitto in Ucraina è una questione di sopravvivenza per l’Occidente globalista – quella confusione di Davos, dell’UE, della NATO, del FMI, di gran parte dei media PMC – il cui credo nell’ultima generazione è stato: sempre avanti, sempre fuori, alla ricerca dell’egemonia mondiale per la propria ideologia. Vedere questa ideologia non solo bloccata, come è accaduto con la Cina, ma addirittura sconfitta militarmente, rappresenterà per i responsabili una sfida che probabilmente non saranno in grado di affrontare, intellettualmente e moralmente. Sostenendo un’ideologia universalista che si basa su asserzioni a priori fragili e indimostrabili, incapace di immaginare un mondo in cui sistemi di pensiero diversi coesistano pacificamente, non hanno sostanzialmente nulla su cui fare affidamento. E poiché l’ideologia liberale globalista diventa sempre meno attraente per le stesse popolazioni occidentali, è ragionevole chiedersi se la conseguenza finale di questa stupida avventura non sarà quella di far vacillare i troni degli stessi governanti globalisti. Non sarebbe la prima volta nella storia che un’avventura imperiale si ritorce contro i suoi ideatori.

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ALLA C.P.I. MANCA L’ISPETTORE GINKO, di Teodoro Katte Klitsche de la Grange

ALLA C.P.I. MANCA L’ISPETTORE GINKO

La notizia che la Corte Penale Internazionale ha spiccato un mandato d’arresto nei confronti di Putin non è inaspettata: è un altro tassello della tendenza, tutta moderna (ma non solo) a confondere la politica con il diritto, e segue l’altra simile, di confonderla con la morale.

Altri exploits del genere, come quando anni orsono, alla Corte erano intenzionati a procedere nei confronti dei funzionari USA per gli abusi sui detenuti a Guantanamo, furono respinti  dall’allora amministrazione USA come pericolosi e irresponsabili. Ci sarebbe tanto da scrivere su quella confusione, sulla funzione della politica e sul carattere del “trasgressore”, il quale in politica è il nemico, nel diritto penale il reo. Mi limito ad alcune breve considerazioni.

La C.P.I. nacque, per così dire, zoppa: ad onta delle grandi manifestazioni di giubilo che ebbe in Italia quando fu istituita, si capiva che non avrebbe avuto vita e azione facile dal fatto che tutti gli Stati che avevano maggiori possibilità di trasgredire la normativa applicanda, si erano ben guardati dal ratificarne il trattato istitutivo: Russia, USA, Cina, Turchia, India, molti paesi arabi ed Israele. Oltretutto il fatto che la C.P.I. fosse competente a giudicare del “crimine di aggressione” giovava a tenerne lontani tutti gli Stati che avevano intenzione non solo di farla, ma anche di essere coinvolti in una guerra (v. sopra), anche se (talvolta) non aggressori.

In secondo luogo: la C.P.I. non ha una forza pubblica che ne esegua le decisioni, attività rimessa alla cooperazione degli Stati. Ovviamente poco intenzionati a farlo ove a subirle fossero politici e funzionari degli stessi. Da qualche secolo il carattere distintivo (e intrinseco) del diritto è di essere applicato con la coazione. Come scriveva Kant “al diritto è immediatamente connesso, secondo il principio di contraddizione, la facoltà di costringere colui che lo pregiudica” per cui “Diritto e facoltà di costringere, significa dunque, una cosa sola”. Lo Stato moderno, che ha rivendicato a se il monopolio della violenza legittima (e della decisione politica) è l’istituzione che ha assunto la funzione di applicare il diritto esercitando il monopolio della coazione. Ma se, come nel caso delle decisioni della C.P.I., per essere eseguite sono rimesse al bon plaisir degli Stati, il problema reale è quello di convincerli o costringerli a farlo. Col che il tema della forza, apparentemente uscito dalla porta, rientra dalla finestra. E in effetti i casi di applicazione di indagini e decisioni della C.P.I. concernono ex governanti di Stati falliti o convinti, magari con qualche previo bombardamento di persuasione, a farlo.

Così come avvenuto per il processo di Slobodan Milosevic (e altri) dell’analogo (alla C.P.I.) Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. Ma, data l’altissima improbabilità che la decisione venga eseguita, quali effetti può avere? Quelli più facilmente prevedibili e di contribuire col timbro della C.P.I. alla criminalizzazione di Putin, cioè del nemico, e, quindi forse, a rinfocolare il sentimento d’ostilità – per la verità non imponente – dei popoli della “coalizione anti-russa” nei confronti dell’arcidiavolo del Cremlino.

L’altro, connesso, è che criminalizzare il nemico, se può soddisfare la vittima ha in genere l’effetto di intensificare e prolungare la guerra. E qua passiamo ai caratteri distintivi tra “politico” e “diritto” e alle regole che derivano dalle differenze.

La prima delle quali è che, come scriveva Hegel, “non c’è il Pretore tra gli Stati”; non essendoci un’istituzione terza (il “Pretore”) in grado di costringere i belligeranti, l’unica possibilità è che un  terzo/i volenteroso/i e soprattutto equidistante/i, si offra di arbitrare il conflitto, anche prospettando sanzioni in caso negativo o benefici in quello positivo. Ma questo terzo/i è in genere un altro Stato: e nel caso che tutti gli Stati che finora hanno manifestato (o realizzato) di voler mediare (la Cina) o raffreddare le ostilità (come la Turchia per le esportazioni di cereali) sono Stati che, avuto riguardo (soprattutto) al loro interesse sono, intervenuti in tal senso. Cioè a mediare: non Tribunali istituiti per condannare

La seconda è che il nemico in politica non è un criminale: e tale distinzione (già nel Digesto) non è dovuta tanto ad un disprezzo per regole, leggi, norme, quanto alla considerazione realistica che, essendo l’ostilità e i conflitti coessenziali alla politica, il nemico non è solo colui con cui si fa la guerra, ma anche quello con cui si tratta la pace. A meno di non volerne la distruzione totale, come entità politica se non fisica; come nel caso di resa incondizionata e successivo processo quale criminale di guerra. Ma una tale prospettiva è tutt’altro che incentivante la pace. Un bel  processo e un’esemplare condanna, sono poca cosa rispetto ai tanti danni che proseguire un conflitto provoca. Un morto in più, prima della guerra, come detto da millenni da Plotino (il “visir” di Tolomeo perorante l’uccisione di Pompeo) fino ad un ex Presidente del Consiglio italiano qualche giorno fa, può evitarne anche decine di migliaia, se eseguito prima o durante la guerra. Ma nessuno, a guerra conclusa.

L’Occidente sta intensificando la guerra in Ucraina?_DI ARTA MOEINI

https://unherd.com/2023/02/is-the-west-escalating-the-ukraine-war/

L’Occidente sta intensificando la guerra in Ucraina?

A un anno di distanza, non c’è alcun segno di una conclusione

DI ARTA MOEINI

 

È passato appena un giorno dalla richiesta di carri armati tedeschi Leopard-2 da parte dell’Ucraina, quando il governo di Kiev ha chiesto ai Paesi della NATO di dimostrare ancora una volta la loro solidarietà fornendole i caccia F-16 di produzione statunitense. Sebbene gli esperti militari dubitino che questi veicoli modificheranno in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, Kiev li pubblicizza come importanti simboli della determinazione politica dell’Occidente.

 

“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, scriveva Clausewitz nel 1832. A un anno dalla guerra russo-ucraina, qual è la politica dell’Ucraina? O dell’America, della Germania e degli altri alleati della Nato? I ripetuti appelli dell’Ucraina per un maggiore sostegno e la risposta accomodante dell’Occidente sono un caso di sfruttamento della “pubblicità strategica”, di diplomazia performativa, di solidarietà dell’alleanza o di qualcosa di completamente diverso? Dopotutto, per quanto gli ucraini stiano combattendo contro le forze russe e subendo ingenti perdite per proteggere l’integrità territoriale dello Stato ucraino, oggi la Nato è apertamente impegnata in una guerra per procura che rischia di trasformarsi in un conflitto catastrofico tra Occidente e Russia.

Sebbene il realismo in politica estera possa aiutare a delineare, persino a prevedere, i contorni generali della guerra e a spiegare la politica di Mosca e Kiev, questa posizione realista mainstream, rappresentata da personalità come John Mearsheimer, fornisce un resoconto incompleto del comportamento della maggior parte degli alleati occidentali, soprattutto degli Stati Uniti. Per comprendere il processo decisionale occidentale e le peculiari dinamiche interalleate della Nato, abbiamo bisogno di un realismo più radicale che prenda in seria considerazione le dimensioni non fisiche, psicologiche e “ontologiche” della sicurezza – comprendendo il bisogno di uno Stato o di un’organizzazione di superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate sul proprio senso di “sé”.

 

Tuttavia, i conti realisti “strutturali” – incentrati sull’anarchia sistemica, la sicurezza fisica, l’equilibrio di potere e le dimensioni politiche della strategia – possono aiutare a spiegare alcuni aspetti del processo decisionale strategico dell’Ucraina. In un recente studio per l’Institute for Peace & Diplomacy, di cui sono coautore, abbiamo analizzato le ragioni strutturali che guidano il calcolo strategico dell’Ucraina. Abbiamo suggerito che, in qualità di “equilibratore regionale”, l’Ucraina ha corso un rischio enorme sfidando le linee guida russe sul rifiuto esplicito da parte di Kiev delle offerte della Nato e sull’interruzione di qualsiasi integrazione militare con l’Occidente. Si trattava di una mossa massimalista che presupponeva il sostegno militare dell’Occidente e rischiava di provocare attivamente Mosca a proprio svantaggio strategico.

 

Scegliendo la strategia più rischiosa, a somma zero, volta a ostacolare la sfera d’influenza storica e geopolitica di una potenza regionale e civile vicina, l’Ucraina è stata forse imprudente, ma non per questo irrazionale. Come abbiamo scritto:

Praticamente tutte le alleanze di sicurezza americane oggi sono accordi asimmetrici tra gli Stati Uniti e gli equilibratori regionali – una classe di Stati regionali più piccoli e periferici che cercano di bilanciarsi con le medie potenze dominanti nelle rispettive regioni. In quanto grande potenza, l’America possiede una capacità intrinseca di invadere altri complessi di sicurezza regionale (RSC). In questo contesto, è ragionevole che gli equilibratori regionali cerchino di attirare e sfruttare il potere americano al servizio dei loro particolari interessi di sicurezza regionale”.

 

Fissare un obiettivo così elevato, tuttavia, significava di fatto che Kiev non avrebbe mai potuto avere successo senza un intervento attivo della NATO che spostasse l’equilibrio di potere a suo favore. In virtù della sua decisione, l’Ucraina, insieme ai suoi partner più stretti in Polonia e nei Paesi baltici, è diventata il classico “alleato di Troia” – Paesi più piccoli il cui desiderio di avere un peso regionale contro la media potenza esistente (la Russia) si basa sulla capacità di persuadere una grande potenza esterna e la sua rete militare globale (in questo caso, gli Stati Uniti e, per estensione, la Nato) a intervenire militarmente a loro favore. Come abbiamo notato nel nostro studio, “questo avviene con grandi rischi per l’equilibratore regionale e con grandi costi per la grande potenza esterna“. Infatti, in ultima analisi, l’accordo dipende dalla “minaccia dell’uso della forza e dell’intervento militare” da parte della grande potenza esterna, senza la quale l’equilibratore regionale fallirebbe.

 

L’ambizione strategica dell’Ucraina è quella di superare la Russia una volta per tutte e di staccarsi dal controllo storico di Mosca. Mettendo da parte le pretestuose e facili giustificazioni russe per l’invasione, che cercano di sbeffeggiare l’intervento militare della NATO in Jugoslavia, è lo schiacciamento di questa più grande ambizione ucraina a motivare il Cremlino. Questo spiega l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014, le sue aspirazioni agli accordi di Minsk e il ricorso finale all’azione militare.

 

Una volta iniziata l’invasione russa, l’obiettivo di Kiev di contrastare Mosca e mantenere intatti i propri territori è diventato impossibile senza un intervento militare occidentale. Il futuro dell’Ucraina come Stato sovrano dipendeva dalla sua capacità di organizzare con successo un’escalation. Dal punto di vista dell’Ucraina, quindi, il desiderio di ricevere forniture di armamenti sempre più sofisticati dalle nazioni occidentali più potenti non è motivato principalmente dal loro immediato impatto pratico e tattico – dopo tutto, la consegna e l’addestramento per questi sistemi saranno ancora lontani mesi. No, le richieste ucraine derivano in gran parte da ciò che l’introduzione di queste armi rappresenterebbe dal punto di vista politico e dalle conseguenze geostrategiche a lungo termine per la prossima fase della guerra.

 

È infatti nell’interesse di Kiev indirizzare la NATO verso un maggiore coinvolgimento nella guerra. L’Ucraina ha fatto ricorso a una combinazione di tattiche – tra cui la guerra d’informazione e lo sfruttamento del senso di colpa storico dell’Occidente – per istigare una cascata informativa e reputazionale tra i membri della NATO che assicurerebbe l’adesione alle richieste ucraine. Date le sue evidenti debolezze a lungo termine in termini di truppe di qualità, artiglieria e munizioni, il governo Zelenskyy ha combattuto astutamente una guerra ibrida fin dall’inizio, sapendo che l’Ucraina non può sconfiggere la Russia senza che la Nato combatta al suo fianco. La domanda che ci si pone ora è se l’Occidente debba lasciarsi intrappolare in questa guerra, mettendo a rischio il destino del mondo intero.

 

Secondo la concezione materialista della sicurezza offerta dalla maggior parte dei realisti, l’America e l’Europa occidentale hanno pochi vantaggi, e certamente nessun interesse nazionale o strategico genuino, nel farsi trascinare in quella che è essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti. Da un punto di vista ontologico, tuttavia, un establishment di politica estera anglo-americano che si “identifica” fortemente con l’unipolarismo statunitense ha investito molto nel mantenimento dello status quo, impedendo la formazione di una nuova architettura di sicurezza collettiva in Europa, che sarebbe incentrata su Russia e Germania piuttosto che sugli Stati Uniti. Come ha osservato l’analista geopolitico George Friedman nel 2015: “Per gli Stati Uniti, la paura primordiale è… [l’accoppiamento di] tecnologia e capitale tedeschi, [con] risorse naturali russe [e] manodopera russa“.

 

Forse seguendo una logica simile, l’establishment statunitense ha lavorato per distruggere qualsiasi possibilità di formazione di un asse Berlino-Mosca allineandosi con il blocco Intermarium di Paesi dal Baltico al Mar Nero, opponendosi ripetutamente (e minacciando apertamente) i gasdotti Nord Stream e respingendo deliberatamente l’insistenza russa su un’Ucraina neutrale. In relazione all’Ucraina, l’obiettivo iniziale di un’alleanza ideologica occidentale orientata verso “valori condivisi”, come la Nato è diventata con la dissoluzione dell’URSS, era quello di trasformare il Paese in un albatros occidentale per la Russia, di impantanare Mosca in un pantano esteso per indebolire il suo potere e la sua influenza regionale e persino di incoraggiare un cambio di regime al Cremlino.

Se si accetta la logica di questa strategia, allora sembra plausibile un limitato sostegno militare occidentale agli obiettivi di guerra ucraini – diretto a creare un conflitto conflittuale e congelato. Tuttavia, anche in questo scenario, l’espansione della portata e del grado di tale sostegno fino a includere sistemi d’arma avanzati, come gli F-16 o i missili a lungo raggio, non è solo imprudente, ma sempre più suicida in qualsiasi calcolo costi-benefici. Un sostegno così esplicitamente ostile potrebbe far degenerare la guerra per procura in una guerra diretta e convenzionale – uno scenario da terza guerra mondiale, che il Presidente Biden insiste di voler evitare. Inoltre, nell’improbabile caso che tale assistenza militare espansiva riesca a cacciare le forze russe dal Donbass, per non parlare della Crimea (dove la Russia possiede una grande base navale), aumenterebbe drammaticamente la probabilità di un evento nucleare, dato che Mosca considera la protezione della sua roccaforte strategica nel Mar Nero come un imperativo esistenziale.

 

Perché, allora, l’Occidente continua ad assecondare l’Ucraina e a cedere alle pressioni reputazionali e al braccio di ferro dei nuovi membri della Nato nel corridoio Intermarium? Le cause sono molteplici e vanno dagli interessi privati e istituzionali dell’establishment internazionalista liberale alla diffusione di una visione del mondo manichea all’interno dell’alleanza. Il più importante, tuttavia, è il fenomeno della compulsione di gruppo verso l’escalation aggravata dall’insicurezza ontologica, che si verifica quando eventi storici mondiali improvvisi e tragici come l’invasione russa sconvolgono il senso unitario di ordine e continuità nel mondo.

 

Esacerbata dall’allargamento e dalla trasformazione della NATO in un colosso istituzionale di circa 30 nazioni con percezioni diverse della minaccia e della sicurezza, questa coazione ha plasmato e rafforzato una “identità” unificata tra le nazioni occidentali – una narrazione di noi contro di loro. In una condizione di insicurezza ontologica, le correnti socio-psicologiche ed emotive permettono di creare cascate di reputazione, di imporre il conformismo in nome dell’unità dell’Occidente e di rafforzare la “polarizzazione di gruppo” intorno alla scelta più rischiosa, che garantisce l’adozione di politiche più estreme ed escalatorie. E, cosa fondamentale, gli alleati troiani usano comprensibilmente queste dinamiche per promuovere i loro reali interessi nazionali e di sicurezza all’interno dell’alleanza, dando loro un ruolo molto più importante nel processo decisionale di quanto il loro potere relativo potrebbe far pensare.

 

Un’analisi più attenta del discorso interalleanza all’interno della Nato rivela anche una psicologia attivista che si cela sotto il segnale politico e ideologico. Dato che l’ideologia – in particolare l’umanitarismo e il democratismo liberali – gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell’alleanza, il suo processo decisionale è predisposto alla fallacia dell’action bias: l’idea che fare qualcosa sia sempre meglio che non fare nulla. Questa sorta di mentalità reciproca, che si rafforza a vicenda, tra i membri dell’alleanza che professano un'”etica della cura” attivista, interpreta di riflesso la responsabilità come azione, mentre rimprovera l’esitazione e la moderazione come disumane. La dinamica ricorda l’osservazione di Nietzsche ne La nascita della tragedia, secondo cui “l’azione richiede di essere avvolti da un velo di illusione“; in questo caso, il “velo di illusione” è fornito dal processo ontologico di formazione dell’identità e dalle narrazioni condivise di “responsabilità collettiva” e “unità occidentale”.

 

Nel contesto del processo decisionale interalleanza, un’etica di questo tipo non può fare a meno di assecondare le richieste che le vengono rivolte, soprattutto perché i pari più rumorosi possono mascherare questa costrizione con il presunto imperativo morale di promuovere l’unità occidentale, difendere i “nostri valori” e combattere il male reazionario. La ricerca di sicurezza ontologica di una grande potenza globale ed egemonica come gli Stati Uniti mette in primo piano la necessità di un’ideologia che le offra un senso di coerenza, che faccia apparire le sue azioni come significative e giustificate. Lo stesso fenomeno vale per la Nato, che – pur non essendo uno Stato ma un’istituzione – è oggi praticamente un alter-ego degli Stati Uniti.

Ora, questo potrebbe sembrare indicare una tensione intrinseca tra il desiderio di un racconto di ancoraggio su “chi siamo” e la più tradizionale sicurezza materiale che si basa sull’autoconservazione fisica. Ma se questo è vero in alcuni casi, soprattutto in relazione a grandi potenze ideologiche come gli Stati Uniti, la cui auto-narrazione idealistica dell’eccezionalismo americano spesso si scontra con i suoi interessi reali, la ricerca di sicurezza ontologica e fisica è più congruente negli Stati più piccoli e di medio livello, per i quali sia gli interessi che le identità sono più radicati, localizzati e reali.

 

Nell’Anglosfera, forse a causa dell’eredità dell’imperialismo e della realtà storica dell’unipolarismo, esiste attualmente uno scollamento tra gli autentici interessi nazionali, definiti in modo ristretto e concreto, e il comportamento del suo establishment di politica estera liberale e internazionalista, che privilegia la ricerca di una sicurezza ontologica con ramificazioni globali. Questo fatto deve essere rettificato. Fortunatamente, ci sono i primi segni che il Presidente Biden e almeno alcuni dei suoi consiglieri, tra cui il presidente dello Stato Maggiore degli Stati Uniti, Gen. Mark Milley, hanno percepito questa terribile realtà e le sue ricadute potenzialmente pericolose, e stanno iniziando a parlare della necessità di negoziati e di una soluzione diplomatica in Ucraina.

 

All’inizio del secondo anno di guerra, molti a Washington si sono finalmente resi conto che l’esito probabile di questa tragedia è lo stallo: “Continueremo a cercare di convincere [la leadership ucraina] che non possiamo fare tutto e niente per sempre“, ha dichiarato questa settimana un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Per quanto si parli di agenzia ucraina, questa dipende interamente dall’impegno della NATO a continuare a sostenere lo sforzo bellico di Kiev a tempo indeterminato. Un desiderio così massimalista di “vittoria completa” non solo è altamente distruttivo e fa pensare a un’altra guerra infinita, ma è anche imprudente; il suo stesso successo potrebbe scatenare un olocausto nucleare.

 

Mosca ha già pagato a caro prezzo le sue trasgressioni in Ucraina. Prolungare la guerra a questo punto, in una ricerca ideologica di vittoria totale, è discutibile sia dal punto di vista strategico che morale. Per molti internazionalisti liberali in Occidente, la richiesta di una “pace giusta” che sia sufficientemente punitiva per la Russia suggerisce poco più di un desiderio poco velato di imporre a Mosca una pace cartaginese. L’Occidente ha effettivamente ferito la Russia; ora deve decidere se lasciare che questa ferita si incancrenisca e faccia esplodere il mondo intero. Infatti, a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via d’uscita che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica, questo è il precipizio verso cui ci stiamo dirigendo.

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E’ LA VALMY ASIATICA. LA CINA SI FA PORTAVOCE DI DUE TERZI DEL MONDO, di Antonio de Martini

E’ LA VALMY ASIATICA. LA CINA SI FA PORTAVOCE DI DUE TERZI DEL MONDO: DALLA RUSSIA ALL’INDIA, DALL’AZERBAJAN ALLO YEMEN.

Nel ventesimo anniversario dell’attacco all’Irak, Il Presidente cinese XI Jinping ha piazzato tre “ banderillas” sul dorso del toro americano distratto dal panno rosso: la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, la visita di Stato a Mosca ad onta del “ mandato d’arresto” CPI a Putin e la visita in Cina dell’ex presidente di Taiwan.

A conclusione, la ciliegina sulla torta : “ Nessun paese può dettare l’ordine mondiale,” vecchio o nuovo che sia. Non si poteva dir meglio.

L’annuncio della ripresa dei rapporti diplomatici tra sauditi e iraniani con la mediazione cinese, mi ha ricordato la battaglia di Valmy contro la prima coalizione.

Non successe praticamente nulla, cannoneggiamenti lontani, una scaramuccia con quattrocento morti, ma gli storici l’hanno identificata come il momento in cui la rivoluzione francese fece il suo ingresso in Europa.

Il compromesso Iran-Arabia ha identica valenza. Ha dato diritto di cittadinanza alla politica di rifiuto dell’uso della forza, alla scelta indiana della neutralità e rivitalizzato i paesi non allineati a partire dall’Azerbaijan ultima recluta. La prossima tentazione potrebbe averla la Turchia.

Con questa mossa. La Cina é comparsa sul palcoscenico del mondo mediorientale come autorevole arbitro imparziale, partner affidabile e patrono dell’idea di sicurezza collettiva. Non c’é stato bisogno di sconfessare le politiche dei vari KerryBushObamaClintonTrumpBiden. A ricordarli, é rimasto solo Netanyahu, sconfessato dall’ex capo del Mossad Efraim Halevy ( su Haaretz) che propone un appeasement con l’Iran con toni che riecheggiano Kissinger.

Con la visita a Mosca XI Jinping ha delegittimato la pagliacciata della Camera Penale Internazionale, ormai specializzatasi nei mandati di arresto a carico dei nemici degli Stati Uniti ( Hissen Habré, Gheddafi, Milosevic, ) e gestita da un mercante di cavalli pakistano tipo Mahboub Ali.

Poi, con la prossima visita di dieci giorni dell’ex presidente di TaiwanMa Ying Jeou, ha mostrato di non aver bisogno di dar voce al cannone per affermare la consustanziazione tra l’isola e il continente e di considerare superato l’uso della forza in politica estera, inutile l’accerchiamento dell’AUKUS nel Pacifico, assennando con questo un colpo contemporaneo anche alla mania russa di imitare servilmente gli americani anche – e sopratutto- nei difetti.

Da giovedì, Putin dovrà scegliere tra l’accettazione dei dodici punti del piano di pace cinese e l’isolamento internazionale. La strategia sarà però quella cinese che considera la guerra uno strumento obsoleto e non la brutalità cosacca vista finora.

Come potrà l’ONU rifiutare il ruolo di sede arbitrale del mondo che la Cina gli offre senza squalificarsi definitivamente ? I paesi del Vicino e Medio Oriente, dopo i pesantissimi tributi di sangue pagati per decenni, sono ormai tutti consapevoli e convinti della inutilità delle guerre – dirette come con lo Yemen o per procura come con la Siria- e della cruda realtà delle rapine fatte a turno a ciascuno di loro:Iran, Irak, Libia, Siria, con la violenza e agli altri paesi dell’area con forniture , spesso inutili, a prezzi stratosferici: Katar, Arabia Saudita, o col selvaggio impadronirsi di risorse minerarie come col Sudan e la Somalia.

Certo, senza il conflitto in atto che ha predisposto alcuni schieramenti ( specie africani) e senza la capacità di mobilitazione di quindici milioni di uomini, la voce della Cina non risuonerebbe alta come rischia di accadere, ma anche con questo accorgimento, assieme alla discrezione assoluta di cui hanno goduto i colloqui di Pechino, l’effetto sarebbe minore, ma ugualmente evocativo in un mondo che non sente il bisogno di una dittatura a matrice primitiva.

Ora Biden, tra un peto e l’altro, dovrà decidersi a leggere i dodici punti di XI e smettere di litigare con Trump sul costo di una puttana, oppure affrontare il mondo intero col sostegno di Sunak e Meloni.

https://corrieredellacollera.com/2023/03/20/e-la-valmy-asiatica-la-cina-si-fa-portavoce-di-due-terzi-del-mondo-dalla-russia-allindia-dallazerbajan-allo-yemen/#like-35733

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“Simplicius the Thinker”, 11 domande e risposte sulla guerra in Ucraina_a cura di Roberto Buffagni

“Simplicius the Thinker”, 11 domande e risposte sulla guerra in Ucraina

 

https://simplicius76.substack.com/p/saturday-readers-mailbag-extravaganza?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=107709348&isFreemail=true&utm_medium=email

PRIMA DOMANDA Supponendo che le azioni continuino per un altro anno o due. Come pensa che le elezioni americane del 24 influiscano sulla guerra?

In primo luogo, vorrei dire che credo che la guerra continuerà almeno più o meno per questo un periodo di tempo. Ho scritto nell’ultimo rapporto che finora, due mesi è il tempo medio necessario per catturare una città di medie dimensioni, e questo non include i diversi mesi di tempo che di solito intercorrono tra l’una e l’altra, che vengono impiegati per il modellamento del campo di battaglia e l'”avvicinamento” alla città. Quindi, se si fa un semplice calcolo, la strada da percorrere è ancora lunga.

 

Credo che il resto del 2023 possa ruotare semplicemente intorno alla cattura dell’agglomerato di Slavyansk/Kramatorsk, e non sono nemmeno sicuro che questo risultato possa essere raggiunto entro la fine del 2023, tanto meno la cattura del resto delle regioni a est del Dnieper. E sì, mi aspetto ancora un’incursione militare russa molto più ampia, come pensavamo potesse accadere settimane fa. Tuttavia, anche in questo caso non significa che le cose andranno velocemente, perché l’Ucraina ha ormai mobilitato molte nuove brigate di riserva che può chiamare a difendersi da una potenziale nuova offensiva russa. Non che ci riusciranno, ma significa che l’offensiva non sarà una guerra lampo che attraverserà il Paese in modo inarrestabile.

 

Per quanto riguarda le elezioni del 2024, una cosa che sappiamo è che Trump ha dichiarato che “fermerà la guerra in 24 ore” se verrà eletto, ma soprattutto che il metodo che ha ammesso più tranquillamente di essere disposto a usare per raggiungere questo obiettivo è la concessione territoriale. Tradotto: è disposto a costringere l’Ucraina a cedere il suo territorio, piuttosto che esigere i “confini pre-2022″.

 

D’altra parte, DeSantis sembra essere un comune guerrafondaio neocon, quindi se sarà eletto non possiamo aspettarci grandi cambiamenti nella postura degli Stati Uniti rispetto al presente.

 

Naturalmente, realisticamente, non credo che nessuno dei due abbia una possibilità, semplicemente perché i Democratici a questo punto hanno industrializzato le loro capacità di imbroglio/frode, ed è difficile immaginare che possano perdere di nuovo un’elezione, soprattutto perché l'”outsider” Trump minaccia di correre come indipendente, il che dividerà il voto repubblicano.

 

Qui, lo squallido Soros fa la sua previsione per il 2024, e non si può fare a meno di riconoscerne la probabilità:

https://youtu.be/2TjiLPZPn1U

 

Quindi non cambierà nulla in superficie, perché molto probabilmente avremo un altro guerrafondaio democratico come presidente. Tuttavia, ci sono alcune indicazioni, che non hanno apertamente a che fare con le elezioni in sé, secondo cui gli Stati Uniti non vedono l’ora di abbandonare l’Ucraina e di concentrarsi completamente sulla questione Cina-Taiwan. Alcuni ritengono addirittura che la recente attribuzione della colpa dell’attacco al Nordstream da parte di Biden rappresenti l’inizio di questo pivot to China.

Una possibilità è che sappiano che la guerra in Ucraina potrebbe essere vista come un importante fallimento dei Democratici quando il ciclo elettorale del 2024 sarà in pieno svolgimento. Possono estrapolare la situazione a un anno da oggi, e sanno benissimo che a quel punto l’Ucraina traballerà sull’orlo del baratro, e se i Democratici rimarranno ancora con la patata bollente in mano, sarà vista come un grande disastro e scandalo per loro, un punto debole estremamente vulnerabile che sarà un frutto facile da cogliere e un facile bersaglio per i Repubblicani su cui fare a pezzi Biden e la sua squadra.

Quindi, secondo una teoria, saranno costretti a nascondere l’Ucraina sotto il tappeto quest’anno per preparare la strada alle primarie (dal febbraio 2024 in poi) e al resto del circo elettorale.

A titolo di esempio, immaginiamo per un momento di essere a metà del 2024 e che le forze russe stiano circondando completamente Kiev, marciando su Odessa, ecc. Le perdite dell’Ucraina sono ormai note a tutti e ammontano a 500-700k, gli schermi televisivi americani sono pieni di immagini di carri armati Abrams in fiamme, di mercenari statunitensi morti e la situazione è un disastro assoluto, peggiore di tutte le ritirate di Biden dall’Afghanistan messe insieme. Che impressione faranno i Democratici?

 

Credo sia chiaro che vogliono che l’Ucraina dia un ultimo grande “urrà” con la cosiddetta offensiva di primavera, dopo di che, se fallisce, inizieranno le iniziative per congelare il conflitto nello “scenario coreano”. Ho scritto in precedenti rapporti che l’Occidente ha già segnalato l’imminenza dello “scenario coreano” per la fine di quest’anno.

Ma, va detto, voci alternative ritengono che sia il contrario: La NATO intende raddoppiare ancora di più il proprio impegno e si sussurra di una prossima escalation della NATO. Alcuni ritengono che gli Stati Uniti e la NATO entreranno nel conflitto in un modo o nell’altro nel prossimo futuro, soprattutto dopo il fallimento della “controffensiva” dell’Ucraina.

 

Lo scenario più probabile, ovviamente, da un punto di vista logico, è che una volta fallita l’offensiva ucraina, la Russia riceverà un forte invito a “coreanizzare” il conflitto. Poi arriveranno avvertimenti più forti e se la Russia si rifiuterà di scendere a compromessi e andrà avanti entro l’estate, allora le voci più ferme e radicali all’interno della NATO batteranno certamente i tamburi e le sciabole per un qualche tipo di intervento. La domanda è: saranno soffocate da voci più razionali e non suicide o no?

 

SECONDA DOMANDA Sì, sembra che i neoconservatori di Washington siano intenzionati a creare una narrativa secondo cui la Russia avrebbe esaurito le attrezzature militari, le munizioni, i missili, l’artiglieria ecc. In questo modo, quando la Russia avrà finalmente successo, i neocon potranno comodamente dare la colpa alla Cina.

Gli Stati Uniti stanno cercando di bloccare il processo di unificazione eurasiatica?

Non mi riferisco strettamente alla discussione sulla guerra tra Russia e Ucraina, ma a ciò che sta realmente accadendo: gli Stati Uniti non vogliono semplicemente sciogliere questo conflitto che hanno creato e che sicuramente sanno di non poter vincere per molte ragioni. Vi va di condividere i vostri pensieri in merito?

Beh, credo che sia abbastanza evidente che gli Stati Uniti stiano cercando di ostacolare, sovvertire, mettere i bastoni tra le ruote o distruggere del tutto qualsiasi cosa possa rafforzare le varie iniziative “eurasiatiche”, che si tratti della One Belt One Road o, più specificamente, delle relazioni tra Cina e Russia, ecc.

Ora, se ho capito il senso della sua domanda, che sembra essere: perché gli Stati Uniti continuano in modo così flagrante e ossessivamente sconsiderato, se sicuramente devono percepire che la vittoria per loro non è probabile.

Ebbene, la ragione principale è questa – e risponde alla condizione USA di essere rigorosamente “al di fuori” dell’effettiva parte cinetica del conflitto ucraino – il semplice fatto è che per gli Stati Uniti la “guerra cinetica sul terreno” in Ucraina è in realtà della minima importanza possibile. Gli obiettivi di gran lunga più importanti dell’intera situazione sono i seguenti:

 

  1. Distruggere le relazioni russo-tedesche
  2. Staccare la spina all’Europa dall’energia russa
  3. Rendere l’Europa, al contrario, dipendente dall’energia statunitense.
  4. Far fallire e deindustrializzare l’Europa per tenerla sottomessa al potere egemonico statunitense.

 

E indovinate un po’? Su quasi tutti questi punti gli Stati Uniti hanno avuto successo a pieni voti. Una vittoria grandiosa e senza precedenti. E più a lungo riusciranno a mantenere la situazione, più conseguenze geopolitiche positive potranno trarre da questa situazione. Per quanto riguarda chi ottiene quale terra in Ucraina, non gliene può fregare di meno. Certo, sarebbe molto bello per loro ottenere Odessa, o impedire alla Russia di ottenerla, ecc. Ma questo impallidisce rispetto all’importanza di distruggere l’onnipotente riavvicinamento e l’integrazione economica russo-europea.

 

Invito tutti a guardare questo famoso segmento del fondatore di STRATFOR George Friedman che spiega la quintessenza del problema classico:

https://youtu.be/QeLu_yyz3tc

 

TERZA DOMANDA Dove sono i ceceni?

Ho trattato questo tema più in dettaglio qui: https://simplicius76.substack.com/p/sitrep-223-putin-prigozhin-pmcs-and?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Comunque, ricapitolando, i ceceni sono ancora lì, ma non sono così visibili per un paio di motivi:

I ceceni sono una forza di fanteria leggera perché la maggior parte di loro proviene tecnicamente da unità militari “irregolari” come le FSVNG, che sono “Forze Speciali della Guardia Nazionale Russa”, e cose del genere. Ciò significa che in genere le loro formazioni non dispongono di “armi pesanti” (carri armati, artiglieria, ecc.) e quindi non sono adatte ai tipi di combattimenti che sono prevalenti in Ucraina in questo momento.

Se ricordate, sono stati importanti a Mariupol, Popasna, Severodonetsk e in altri scontri urbani, ma al momento c’è solo una città principale: Bakhmut. E Wagner l’ha già “rivendicata”, per così dire.

Credo anche – anche se questa è una mia opinione basata sull’analisi – che i ceceni siano stati leggermente “limitati” da un MOD russo sempre più attento all’immagine, perché i ceceni hanno cominciato a diventare un po’ troppo vivaci, rubando per così dire la scena. Così è stato detto loro di abbassare un po’ la voce e di tenere un profilo più basso.

Detto questo, se si guarda da vicino è ancora possibile vederli spesso, su molti fronti. Forse l’ultima volta ho postato come sono stati visti catturare l’élite ucraina della 79ª Brigata aviotrasportata circa un mese fa:

Video 1
Video 2

E solo pochi giorni fa, dopo il ritorno dal suo incidente di avvelenamento (tentato omicidio), il comandante del battaglione Akhmat Apti Alaudinov è stato visto catturare un nuovo gruppo di prigionieri di guerra dell’AFU con la sua unità cecena:

Video 1
Video 2

Negli ultimi tempi sono stati visti operare nella zona di Kremennaya come truppe d’assalto nei boschi e anche nella regione settentrionale di Mariupol-Donetsk.

E come si può vedere qui, Prigozhin/Wagner sono diventati vicini anche ai ceceni, poiché è a loro che Prigozhin si è rivolto per rifornirsi di munizioni quando la MOD russa gli ha presumibilmente chiuso il rubinetto settimane fa.

Infine, credo che nei prossimi assedi di grandi città che ci attendono, probabilmente vedremo i ceceni giocare ancora una volta un ruolo più ampio e visibile; ad esempio Slavyansk/Kramatorsk, e forse anche la riconquista di Kupyansk, ecc.

 

QUARTA DOMANDA Vorrei sentire la vostra opinione su quale potrebbe essere una posizione ragionevole da accettare per entrambe le parti per porre fine a questa guerra.

Questa è una buona domanda da parte di un ex paracadutista. Vorrei iniziare con l’Ucraina, perché i suoi confini di “ragionevolezza” sono molto più facili da delimitare.

Tutto inizia con la seguente serie di immagini che vorrei che tutti coloro che sono interessati a questa risposta studiassero molto attentamente:

Questa prima immagine rappresenta le elezioni presidenziali ucraine del 2004. Lascerò che Wikipedia descriva sinteticamente ciò che stiamo vedendo:

I due principali contendenti alle elezioni erano il primo ministro in carica e candidato sostenuto dal governo Viktor Yanukovych e il leader dell’opposizione Viktor Yushchenko. Viktor Yanukovych, primo ministro dal 2002, era sostenuto dal presidente uscente Leonid Kuchma, nonché dal governo russo e dall’allora presidente Vladimir Putin.[1][2]

Viktor Yushchenko è stato dipinto come più filo-occidentale e ha ricevuto il sostegno degli Stati dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

 

Quindi, è molto chiaro: Viktor Yanukovych è fortemente sostenuto dal governo russo ed è considerato il candidato filorusso. Viktor Yuschenko è fortemente sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea ed è considerato il candidato filo-occidentale.

Ciò che appare chiaro è che il Paese è diviso secondo linee fortemente partitiche. E naturalmente queste regioni corrispondono esattamente ai luoghi in cui si prevede che la Russia effettuerà le annessioni.

Un piccolo riferimento storico per contestualizzare:

 

Infine, ecco la distribuzione delle elezioni del 2010:

Si trattava di una sfida tra Viktor Yanukovich (filo-russo, come abbiamo stabilito sopra) e Yulia Tymoshenko (candidata dell'”establishment” fortemente filo-occidentale).

Quindi cosa vediamo? Anche se le elezioni sono distanti quasi un decennio, la stessa distribuzione. E le aree blu sono esattamente quelle in cui i russofoni hanno continuato a essere repressi, perseguitati, negati nei loro diritti in modi sempre più draconiani e tirannici.

Detto questo, per tornare alla sua domanda: che cosa è “ragionevole” aspettarsi dall’Ucraina per raggiungere i negoziati? Credo che dopo il tipo di persecuzione dilagante e di pulizia etnica che il regime ucraino ha condotto su quelle popolazioni della “zona blu”, non possa che essere ragionevole per l’Ucraina cedere la maggior parte di quelle aree. Tornerò tra un attimo sul perché ho parlato di “maggioranza”.

Innanzitutto vorrei ricordare che in innumerevoli interviste, sia con i soldati dell’AFU ai livelli più bassi, sia con i ministri di alto livello, li abbiamo visti esprimere il sentimento che le popolazioni delle regioni russe non sono tenute in considerazione da loro. E non lo dico nel modo banale e polemico di gridare frasi trite e ritrite come “Odiano quella gente!”, eccetera, ma piuttosto con dichiarazioni specifiche in cui li hanno già “cancellati” e hanno fatto capire che non si preoccupano di quelle popolazioni.

Non ho bisogno di sminuire l’argomento con un “appello alle emozioni” postando gli innumerevoli video in mio possesso che mostrano dichiarazioni di soldati ucraini, ministri, ecc. in cui invocano la pulizia totale, il genocidio, ecc. della popolazione del Donbass, che non considerano veramente “ucraina”. Ma è sufficiente dire che ci sono molti video di questo tipo per capire che è necessario un “divorzio” tra le due popolazioni. L’unica domanda è: dove saranno esattamente le linee di demarcazione?

Quindi, per tornare al motivo per cui ho detto che ci si aspetta che l’Ucraina ceda la “maggioranza” di queste regioni piuttosto che “tutte”. L’ho detto perché lo “spirito” della sua domanda sembrava essere quello del “compromesso”. E sebbene personalmente non ritenga che la Russia debba scendere a compromessi, e che debba andare fino in fondo, per onorare lo spirito della sua domanda, dirò che se si vuole raggiungere una “pace” attraverso un compromesso, allora, ipoteticamente parlando, entrambe le parti dovrebbero fare una concessione.

Nel caso dell’Ucraina, tale concessione dovrebbe naturalmente essere la maggior parte del suddetto territorio “blu”. Nel caso della Russia, la concessione “ragionevole” sarebbe una questione di quanta parte del territorio blu prendere. La soluzione più naturale sarebbe che la Russia tenesse tutto ciò che già possiede a est del Dniepr. Ma c’è la questione della regione critica di Kharkov, che la Russia non ha ancora e alla quale l’Ucraina non rinuncerebbe mai volentieri perché Kharkov è una città assolutamente critica, probabilmente la più importante dell’Ucraina (per certi versi è anche più importante di Kiev perché ha molte industrie critiche).

Kharkov, ovviamente, è ufficialmente la seconda città più grande dell’Ucraina dopo Kiev. E credo che questo sia un punto su cui nessuna delle due parti scenderà a compromessi, perché nel caso dell’Ucraina è di estrema importanza per le ragioni sopra citate. Nel caso della Russia, si tratta di una regione filorussa che si trova letteralmente al confine con la Russia vera e propria, e quindi è troppo pericolosa per permettere che rimanga nelle mani militarizzate dell’Ucraina. Quindi, purtroppo, quando si tratta di questo, non vedo alcun compromesso “ragionevole” possibile.

Alla fine, queste sono solo le mie risposte da “avvocato del diavolo”. Il mio punto di vista personale è che l’unica soluzione “ragionevole” è che la Russia completi il mandato completo dell’OMU: resa totale e incondizionata dell’AFU attraverso la completa smilitarizzazione/distruzione delle sue forze armate, seguita dall’occupazione totale del Paese e dal cambio di regime con un fantoccio non installato dalla NATO. Questo perché a questo punto, ora che i disegni della NATO/Occidente sono chiari, la Russia non può più rischiare la minaccia esistenziale di avere uno Stato nazista, razzista e armato proprio ai suoi confini.

Può sembrare duro, ma questa è realpolitik.

 

QUINTA DOMANDA Per quanto riguarda le domande, vorrei un breve resoconto su come si svolge la vita nelle aree e negli insediamenti nei nuovi territori russi che sono relativamente lontani dal fronte, come Lugansk o Berdiansk, per esempio. Ho visto alcuni video da Mariupol, ma niente di più. Le persone che si sono trasferite da lì dal 2014 stanno tornando? Come procedono i lavori di ricostruzione?

Purtroppo il mio russo è molto debole, ma se poteste indicarmi qualche canale che tratta questo argomento sarebbe bello. Grazie ancora per il vostro lavoro!

Innanzitutto, per togliermi il pensiero prima che me ne dimentichi, vorrei segnalare a tutti questo meraviglioso canale interamente dedicato alla ricostruzione e alla vita quotidiana di Mariupol:

 

https://www.youtube.com/@MariupolVideo/videos

 

Ci sono letteralmente centinaia di video, postati quasi quotidianamente, che mostrano la risorgente vita quotidiana di Mariupol mentre si rimette in piedi. Un tema comune è la costruzione infinita ovunque, molti mercati ad hoc che sorgono in vari angoli della città con persone che vendono di tutto, dal cibo di strada ai vestiti, ristrutturazioni ovunque e il ritorno della normalità.

Ecco l’ultimo di un giorno fa: https://youtu.be/LJUdQEmDdZk

Per quanto riguarda le altre città, non c’è molto di specifico da dire se non il fatto che è in atto una costante crescita dell’integrazione con la Federazione Russa vera e propria, in termini di tutti i servizi, le utenze, le banche, ecc.

Ad esempio, le maggiori banche russe come Sberbank, Bank of Russia e PSB hanno iniziato ad aprire filiali in varie città come Energodar, Donbass e altre città regionali di Zaporozhe/Kherson.

Solo una settimana fa è stato annunciato il completamento di un gigantesco progetto di conduttura idrica che collega la Russia continentale a Rostov al Donbass.

La più grande conduttura idrica che collega la regione di Rostov e il Donbass inizierà a funzionare nell’aprile di quest’anno. L’avanzamento dei lavori è stato ispezionato dal vice ministro della Difesa della Federazione Russa Timur Ivanov.

Data l’importanza del progetto in corso di realizzazione, il Ministero della Difesa russo continua a incrementare il raggruppamento di costruttori militari presso le strutture del gasdotto.

Ad oggi, più di 3.200 specialisti e oltre 1.300 attrezzature sono stati coinvolti nella costruzione.

 

Così, a poco a poco, la Russia sta integrando la sua patria con quella del Donbass, legandole indissolubilmente attraverso le infrastrutture critiche.

 

A proposito, visto che avete citato Berdiansk, va notato che una settimana fa il governo regionale ha ufficialmente dichiarato e firmato la legge che Melitopol è la nuova “capitale” ufficiale dell’Oblast’ di Zaporozhe. Poiché la Russia non possiede la città di Zaporozhe, ma controlla la maggior parte dell’oblast’, Melitopol fungerà da capitale regionale. Molte di queste città, come Melitopol, Berdiansk, Energodar, non sono state molto danneggiate dai combattimenti perché sono state prese rapidamente, quindi non c’è molto da dire in termini di “ricostruzione”. Queste città sono per lo più tornate alla normalità e continuano a funzionare normalmente. Naturalmente c’è una percentuale di persone che sono fuggite, ma non è gigantesca.

In effetti, qui si possono vedere le truppe russe che si congratulano con le donne in occasione della Festa della Donna, qualche giorno fa a Melitopol:

https://video.twimg.com/ext_tw_video/1633803155321372676/pu/vid/1280×720/GSvjhmjpWDPs3roE.mp4?tag=12

E qui a Mariupol.

 

Tuttavia, ci sono alcune città che sono state praticamente cancellate dalla mappa e che potrebbero non essere mai ricostruite. Un esempio è Popasna, e probabilmente Rubizhne. E naturalmente una serie di città più piccole come Marinka, Avdeevka, ecc. Non ne sono sicuro al 100%, ma ho letto che Popasna è completamente distrutta, una città che sarà probabilmente abbandonata/condannata o ricostruita da zero. Anche Severodonetsk è stata pesantemente danneggiata, ma ora è in funzione, anche se non credo che la ricostruzione stia procedendo così rapidamente come in luoghi come Mariupol, dove la Russia pone molta più enfasi e urgenza.

 

Ecco un video recente da Severodonetsk:

https://video.twimg.com/amplify_video/1632019398448889857/vid/640×360/wdYqkSrq3ys-rUde.mp4?tag=16

 

SESTA DOMANDA 1) Lei ha spesso citato fonti affidabili qui, compreso Twitter e altrove. Mi chiedevo se potesse offrire un post in cui consigliare un elenco di fonti suggerite, magari con le avvertenze che potrebbero accompagnare ciascuna di esse.

Sfortunatamente, non esistono una o due fonti perfette o affidabili, e un’analisi accurata si basa più che altro su una comprensione a lungo termine di quali cose tenere o scartare. Per la cronaca, sono abbonato a un’ampia varietà di fonti sia su Twitter, sia su Telegram, sia sul web, e le scruto doverosamente (e a volte noiosamente) ogni giorno per creare un quadro composito di ciò che sta accadendo. Ci sono decine di account di spicco su Twitter, oltre 80-90 che seguo su Telegram, e poi varie fonti web.

I migliori in generale su Telegram sono probabilmente ColonelCassad e il canale russo Rybar, così come AnnaNews, Intel Slava Z e i canali ufficiali del Ministero della Difesa russo.

Su Twitter, i canali più affidabili, con una reale integrità e professionalità, sono:

@GeromanAT

@vicktop55

@rwapodcast

@Suriyakmaps per le migliori e più affidabili mappe aggiornate.

 

Anche le migliori mappe web aggiornate della guerra sono:

Map 1
Map 2
Map 3  (con il posizionamento delle unità)

(2) Mi chiedo anche quale sia la tempistica dell’attacco al Nord Stream, il 26 settembre.

Purtroppo questa storia di cui mi hai chiesto è la prima volta che ne sento parlare personalmente, quindi non posso darti una risposta valida. Tuttavia, l’unica cosa che posso dire è che se hai letto la storia di Sy Hersh Nordstream, e se ci credi, noterai che in quella versione dei fatti, la squadra della NATO ha piazzato gli esplosivi sul tubo molto tempo prima di farlo esplodere. In effetti, c’era un’intera sezione su come stessero cercando di trovare un modo in cui gli esplosivi potessero rimanere inattivi ed essere attivati in seguito, un problema molto difficile da risolvere.

Quindi, la voce da lei riportata, che sembrava più improvvisata sul posto, si scontrerebbe con quella versione degli eventi che descrive uno scenario molto più pianificato, con la decisione di far saltare il gasdotto già presa mesi prima, piuttosto che “sul posto” a causa di qualche ipotetica “fuga di notizie” da parte di MBS.

La verità è che tutti noi abbiamo visto le scritte sul muro e sapevamo che l’oleodotto sarebbe saltato da tempo. Diversi anni fa ho detto ad amici intimi che l’oleodotto non sarebbe mai stato completato. È troppo delicato dal punto di vista geopolitico e la mia previsione in tal senso si è avverata.

Qui c’è un video di ben due minuti in cui i politici statunitensi hanno praticamente telegrafato da tempo le loro precise intenzioni di disattivare l’oleodotto. In breve, si trattava di qualcosa deciso molto tempo fa, e non di una decisione avventata presa per “capriccio” perché Putin aveva incontrato Scholz, ecc. Era praticamente un fatto compiuto.

3) Sembra che la Russia stia mettendo a punto sistemi di armamento più grandi e che si stia intensificando in alcuni modi tattici solo dopo che l'”Occidente collettivo” lo fa per primo. Ad esempio, gli attacchi al Nord Stream e al ponte sullo Stretto di Kerch hanno visto una drammatica impennata degli attacchi russi alle infrastrutture. Più recentemente, abbiamo visto la Russia dispiegare bombe glide dopo che gli Stati Uniti hanno iniziato a spingere i JDAM. Questi sono solo un paio di esempi tra i tanti, ma credo che il punto sia chiaro. Quindi la domanda è: qual è il prossimo passo nella scala mobile dell’escalation? Quali sistemi d’arma potrebbero essere introdotti dagli Stati Uniti in questo conflitto e spingere la Russia a rispondere con qualcosa che finora ha tenuto in riserva? È possibile vedere in anticipo in questo senso?

Beh, prima di tutto lasciatemi dire che l’introduzione delle bombe glide russe non ha nulla a che fare con un’escalation. È semplicemente un effetto secondario del fatto che non avevano già pronte queste bombe più recenti, e che il vasto incremento nella produzione della loro industria bellica ha permesso loro di iniziare finalmente a produrle. Le avrebbero usate in massa se avessero potuto all’inizio della guerra. Quindi alcune di queste cose che lei cita non hanno un vero rapporto di causalità.

Per esempio, negli attacchi missilistici di massa di ieri, la Russia avrebbe usato 6 missili ipersonici Kinzhal. È facile leggere questo fatto e dire che si è trattato di una sorta di “risposta” punitiva e di escalation per qualche atto percepito, come il recente attacco terroristico transfrontaliero dell’Ucraina alla regione russa di Bryansk. Ma in realtà non ha alcun legame con questo, è semplicemente la Russia che utilizza armi che non sono più così “scarse” come un tempo a causa dell’aumento di massa della produzione.

La Russia produceva qualcosa come una dozzina di Kinzhal all’anno prima dell’SMO, o un numero così misero. Ora:

La Federazione Russa ha aumentato la produzione del sistema missilistico ipersonico Kinzhal, ha dichiarato il capo della Rostec Sergey Chemezov. “Sono entrato in produzione molto tempo fa, inizialmente non c’era bisogno di una tale quantità. Ora la stiamo aumentando”, ha dichiarato Chemezov in un’intervista al programma Military Acceptance. Ha dichiarato che Rostec sta attualmente producendo volumi colossali di prodotti per il Ministero della Difesa della RF. “I volumi sono cresciuti in modo significativo, in alcuni casi di 50 volte”, ha detto Chemezov.

È così semplice.

 

Ma per rispondere alla domanda ipotetica su quale tipo di sistema d’arma la Russia potrebbe reciprocamente ancora intensificare l’uso che non ha ancora fatto, in risposta all’uso occidentale/ucraino, direi che non c’è un vero e proprio sistema d’arma che la Russia ha “trattenuto” e che non ha ancora usato. Piuttosto, sono i tipi di obiettivi su cui si sono trattenuti e che possono passare a colpire.

È ovvio che non hanno ancora preso di mira la leadership ucraina. Un esempio: ieri l’intera leadership ucraina, da Zelensky al comandante supremo Zaluzhny, al capo dell’SBU Budanov e molti altri, erano tutti seduti in un unico luogo al funerale di un famoso nazista ucraino recentemente liquidato a Bakhmut.

https://video.twimg.com/ext_tw_video/1634238521513787397/pu/vid/480×270/yY8SnVqjrIedTe7d.mp4?tag=12

La Russia avrebbe potuto facilmente spazzare via l’intera leadership con un preciso attacco Iskander. Chiaramente, il messaggio è che non hanno interesse a uccidere la leadership. Ma questo è un punto dell’escalation in cui c’è ancora margine di manovra, se mi spiego.

L’unica altra cosa che posso dire è che recentemente l’Ucraina ha iniziato a usare non solo gli attacchi chimici, come si può vedere qui: https://www.bitchute.com/video/MeIU5uoF8PqF/

Ma hanno anche iniziato a usare i gas lacrimogeni per stanare le trincee russe. Quindi le forze russe e della DDR hanno iniziato a usare reciprocamente droni che lanciano gas lacrimogeni per stanare regolarmente anche le trincee ucraine: https://www.bitchute.com/video/Qoqsqd4YCXuj/

Quindi, come ho detto, non c’è un particolare sistema d’arma che la Russia non ha usato di per sé, ma si tratta più che altro della quantità e degli obiettivi su cui si sta ancora “trattenendo”, e su cui può ancora fare un’escalation.

SETTIMA DOMANDA Quali sono gli obiettivi russi in questa guerra?

La maggior parte dei commentatori e delle commentatrici si concentra su obiettivi ovvi, ma a me sembra che il nemico della Russia non sia mai stato l’Ucraina, bensì la CIA e la sua maschera NATO.

Se fossi lo zar di tutte le Russie, sarebbe ovvio per me che il potere che controlla gli Stati Uniti ha reso perfettamente chiaro che non posso semplicemente sconfiggere le forze ucraine, smilitarizzare il territorio ucraino e chiudere la questione. E a volte mi sembra che i russi agiscano in modi che suggeriscono obiettivi tutt’altro che lineari.

O me lo sto immaginando? SImplicius — con il suo studio dettagliato di questa guerra, vede prove evidenti di obiettivi russi diretti o meno diretti?

Questa è un’ottima domanda, perché mi porta a dire qualcosa di piuttosto eterodosso che molti troveranno sorprendente o scioccante e che probabilmente interpreteranno in modo errato come una sorta di segno di debolezza o di arretratezza/scarsa pianificazione da parte della Russia.

Ma il fatto è che: gli obiettivi della Russia in questa guerra sono fluidi. Uno dei modi in cui lo sappiamo deriva innanzitutto dalla comprensione di come vengono pianificate le campagne militari. Bisogna innanzitutto capire che le campagne militari non sono costruite in base al “capriccio” di qualcuno o al “sentimento” di un particolare generale o leader in un certo giorno. Ci sono dottrine e regole molto rigide che circondano la pianificazione, che potrebbero essere paragonate ai regolamenti e ai protocolli di un qualsiasi lavoro.

Esistono mandati e dottrine che richiedono vari imprevisti, piani B e molte altre cose del genere. Si tratta di semplice ridondanza logica, precauzione, ecc. Nessuna campagna militare è pianificata con un solo livello di obiettivi predefiniti.

Quindi, ciò che possiamo dedurre da questo è che la Russia ha probabilmente una serie di obiettivi tangibili, ma c’è anche uno strato di contingenza flessibile incorporato in esso, specificamente al fine di lasciare “spazio” per le varie possibilità che possono verificarsi, come l’ingresso della NATO nel conflitto, vari scenari di falseflag, ecc.

L’obiettivo di superficie più evidente, di primo livello e più critico è la liberazione di tutto l’attuale territorio russo legale e costituzionale. Questo include principalmente le quattro regioni che Putin ha firmato costituzionalmente come parte della Federazione Russa nel settembre 2022: DPR, LPR, Kherson, Zaporozhe.

L’obiettivo successivo più importante è la sconfitta delle forze armate ucraine fino alla resa incondizionata. Pur essendo anch’esso cruciale, non è assolutamente critico come il precedente. Anche se ovviamente sarebbe una grave perdita sotto molti aspetti se la Russia non fosse in grado di raggiungere questo obiettivo, ma non è una perdita così grande come non liberare il proprio territorio costituzionale e permettere che rimanga occupato da una forza nemica.

Non l’hanno annunciato “ufficialmente”, ma è stato segnalato in una varietà di modi non ufficiali attraverso vari portavoce governativi e funzionari altamente collegati che la Russia intende includere altre regioni nel piano di annessione, in particolare Kharkov, Dnipro, forse Sumy, Odessa, ecc.

A parte questo, e sebbene ciò faccia infuriare anche molti sostenitori filorussi che vorrebbero tanto che le cose fossero chiare e facili da capire, la Russia sta giocando le sue carte “vicino al petto” per le ragioni che ho menzionato prima. Vuole rimanere flessibile per rispondere alle mosse della NATO. Se la Russia comunicasse tutti i suoi piani e obiettivi esatti, darebbe all’Occidente l’opportunità di cercare di contrastarli. In questo modo, la Russia può tenerli sulle spine.

Ma idealmente, ovviamente, la Russia vuole la resa totale dell’AFU e un cambio di regime a Kiev con un leader fantoccio non occidentale che supervisionerà anni di smilitarizzazione dell’AFU e avrà forti legami con Mosca per assicurarsi che l’Ucraina rimanga smilitarizzata. Potrebbe anche essere prevista una sorta di “occupazione”, in cui un certo contingente di forze di pace russe rimarrà nel Paese per assicurarsi che non vi siano tentativi occulti di militarizzazione. Dopotutto, questo non è diverso da come fanno gli Stati Uniti, che continuano ad avere basi militari in quasi tutti i Paesi precedentemente conquistati, dalla Germania al Giappone, ecc. Il loro scopo è proprio quello di tenere un piede sul collo di questi Paesi, assicurandosi che non si militarizzino mai troppo.

In breve, l’obiettivo e la preoccupazione principale della Russia è di non essere sbilanciata dalla varietà di trucchi e carte vincenti che la NATO ha in serbo per la regione; come le varie provocazioni destabilizzanti che può innescare in qualsiasi momento – ad esempio la Transnistria, ecc.

Detto questo, questi sono gli obiettivi “diretti”, e lei ha chiesto di quelli non diretti. Ci sono alcune prove per concludere che gli obiettivi “segreti” includono la smilitarizzazione dell’Europa/NATO, consentendo loro di inviare tutte le loro scorte in Ucraina per una facile distruzione. È un modo molto conveniente per la Russia di creare una massiccia disparità di forze, perché le industrie russe hanno un enorme vantaggio rispetto alle industrie di armi europee, che sono in cattive condizioni. Ciò significa che la Russia può rimpiazzare le sue perdite mentre l’Occidente non può farlo, almeno non così rapidamente.

A riprova di ciò, il fatto che la Russia non ha tolto i ponti sul Dnieper e continua a permettere ai carri armati e alle varie attrezzature pesanti di entrare dove possono essere convenientemente smilitarizzati.

E naturalmente ci sono obiettivi geopolitici più ampi: lo stesso Putin ha dichiarato più volte che in un certo senso l’OMU è stata una manna perché permette alla Russia di ristrutturare forzatamente la sua economia in meglio, costringendo le sue industrie ad attuare la sostituzione delle importazioni, in modo che la Russia possa diventare ancora più autosufficiente (per molti versi è già il Paese più autosufficiente della Terra).

Inoltre, credo che la Russia veda il crescente malcontento in Occidente, l’attrito e la crescente divisione di base tra Europa e Stati Uniti, e questo è di gran lunga l’obiettivo finale più importante, ovvero il lento deterioramento e la disintegrazione finale sia dell’UE che della NATO. Attualmente la NATO pensa di “rafforzarsi” perché ha in programma di aggiungere alcuni membri deboli come la Finlandia e la Svezia, ma in realtà le sue fondamenta si stanno incrinando (non da ultimo perché più si avvicina ad aggiungere nuovi membri insignificanti, più si avvicina a perdere il suo membro geopoliticamente più importante, la Turchia).

 

OTTAVA DOMANDA 1. Visto il numero di gran lunga superiore di proiettili sparati dall’artiglieria russa, ciò si spiega con una migliore metallurgia all’interno delle canne dei cannoni russi o questi cannoni vengono ruotati per la manutenzione preventiva su qualche tipo di base pratica/scientifica?

Per quanto riguarda i bossoli e la metallurgia, è difficile saperlo con certezza, ma sembra che sia così. Semplicemente perché ci sono state molte segnalazioni specifiche di SPG NATO che hanno perso le loro canne molto presto rispetto alle varianti russe. Per esempio, le famose foto dell’AHS Krab polacco con la canna esplosa sono state mostrate non molto tempo dopo la consegna, e certamente non abbastanza a lungo per raggiungere la durata di 4000-7000 proiettili per cui è stato progettato. Notizie analoghe di Caesar francesi che si sono rotti, ecc.

Tuttavia, va notato che nel caso dell’AFU, molti dei difetti dei loro sistemi si sono verificati a causa del folle miscuglio di tipi di munizioni/sistemi con cui sono costretti a destreggiarsi. Leggete questo rapporto (e ce ne sono altri simili):

 

TLDR: l’AFU in alcuni casi accidentalmente, in altri per pura necessità/assenza di scelta, ha utilizzato tipi di propellente errati/differenti in sistemi non corrispondenti, propellente per M777 in canne Krab, ecc.

L’unica cosa definitiva che posso dire è che ci sono state varie segnalazioni da parte russa, secondo le quali le canne sono in grado di durare molto più a lungo di quanto previsto. Per esempio, la durata di fabbrica è ufficialmente di circa 1500-3500 colpi su molti sistemi, più o meno a seconda del sistema. Ma stanno scoprendo che possono arrivare a più di 7000, ecc. E ci sono state molte lamentele da parte russa sull’uso dei carri armati principalmente come artiglieria a fuoco indiretto (con proiettili HE). Questo è un grosso problema perché i proiettili HE apparentemente consumano molto di più le canne dei carri armati.

Purtroppo non ho visto rapporti specifici che parlino o mostrino la sostituzione delle canne, ma è una supposizione logica e istruita che i russi lo stiano facendo, soprattutto perché abbiamo visto cose come treni carichi di SPG diretti in Russia per essere riparati, dove gli SPG non sembravano palesemente danneggiati, il che probabilmente indica che stanno andando a riparare le canne.

Il fatto è che con i carri armati questo probabilmente non è un problema così grande, perché la durata di vita della maggior parte dei carri armati dell’SMO probabilmente non è nemmeno abbastanza alta da preoccuparsi dell’usura della canna. Ma con gli SPG, che sono molto più sicuri nelle “retrovie”, raramente vengono fatti fuori e quindi le loro canne si consumano. Detto questo, gli SPG probabilmente sparano anche molto meno. Il motivo è che spesso vengono chiamati una o due volte al giorno per una missione di fuoco specifica su un bersaglio designato. Mentre i carri armati sono spesso usati per starsene lì seduti per un’ora a bombardare senza sosta varie fortificazioni e obiettivi casuali in modo “a volontà” (cioè continuando a sparare a qualsiasi cosa capiti di vedere).

Inoltre, va notato che non è necessario sostituire l’intera canna, ma il “rivestimento della canna”, che è una guaina metallica separata che risiede all’interno della canna.

  1. Con la recente notizia che la diplomazia cinese ha compiuto il primo passo di riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, non sembra un paletto di legno nel cuore del mostro della guerra di Washington, il distretto della corruzione?

Beh, sicuramente sì. Tuttavia, ci sono alcune sfumature, come il fatto che, allo stesso tempo, la SA sta segnalando un accordo per il riavvicinamento con Israele e il suo programma nucleare: https://www.zerohedge.com/geopolitical/saudis-want-civilian-nuclear-program-exchange-normalization-israel

 

Detto questo, il semplice fatto che questo apra la porta a Arabia Saudita e Iran per entrare entrambi nei Brics nel futuro a medio termine è certamente una possibilità che fa tremare il mondo. L’unico problema è che per la maggior parte di queste cose ci vorrà molto più tempo di quanto vorremmo, quindi posso solo archiviarla come una cosa futura da attendere con ansia, ma la direzione che traccia è sicuramente molto promettente.

Secondo quanto riferito, negli ultimi tempi lo yuan cinese ha scalato costantemente le classifiche della maggior parte delle valute globali in circolazione, al momento #5. Se la Cina riuscirà davvero a convincere l’Arabia Saudita e l’Iran a unirsi ai BRIC e poi a portarli lentamente verso un maggiore volume di scambi commerciali in yuan, allora sarà il vero chiodo finale sulla bara della supremazia del dollaro USA, del petrodollaro, del “privilegio esorbitante”, ecc.

Ma, come ho già detto, penso che ci siano ancora molte insidie e deviazioni da affrontare, perché la cabala statunitense/bancaria andrà a fondo combattendo.

NONA DOMANDA Putin si rende conto che gli interessi occidentali/atlantici stanno perpetuando una frode rubando gli “aiuti” con entrambe le mani? Ci sarà un cessate il fuoco come al confine tra Corea del Nord e Corea del Sud, dove viene stabilita una zona cuscinetto ed entrambe le culture possono leccarsi le ferite e andare avanti? Sono un americano orgoglioso e non mi piace sentirmi nella squadra dei cattivi. Qual è il meglio che posso sperare in questa situazione assurda?

Per quanto riguarda la prima parte della domanda, Putin sa benissimo cosa sta facendo l’Occidente in questo senso. Ha apertamente denunciato la loro maliziosa doppiezza quando si tratta di tutto, compresi gli aiuti, molte volte.

Tuttavia, per quanto riguarda la seconda questione, più complicata, di un cessate il fuoco in stile coreano, questo è sicuramente ciò verso cui si sta orientando il conflitto. L’unica domanda è se la Russia/Putin avrà i mezzi per continuare fino alla fine, o se le pressioni saranno troppo forti a quel punto.

Ne ho parlato in modo molto più approfondito in questo articolo: https://simplicius76.substack.com/p/tempered-outcomes-and-shaken-confidence?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Dove ho sottolineato come in Occidente stiano iniziando a addensarsi nubi oscure verso l’accettazione di uno “scenario coreano”. E all’inizio di questo rapporto, ho anche postato questo:

E ho già detto che credo che dopo l’ultimo “hurrah” dell’Ucraina in tarda primavera/estate – dopo che sarà fallito – inizieranno a cercare un’uscita dal tunnel. Recentemente persino Stoltenberg (e le sue parole sono state riprese da altri funzionari) ha dichiarato apertamente che questa guerra “finirà sicuramente al tavolo dei negoziati”, ma che il loro compito è semplicemente quello di dare all’Ucraina la migliore posizione negoziale possibile nei prossimi mesi.

Quindi, se si leggono le foglie di tè, si noterà che la maggior parte dei tecnocrati europei si sono già rassegnati a questa conclusione, ma vogliono semplicemente che l’Ucraina faccia un’ultima grande spinta, per far arretrare le forze russe il più possibile, in modo che una volta che il negoziato arriverà, all’Ucraina rimarrà più territorio dopo l’inevitabile (per loro) “cessate il fuoco”.

Ma la controargomentazione da parte russa è che Putin ha già vissuto i famigerati tradimenti degli accordi di Minsk 1 e 2. Negli ultimi tempi è stato messo in evidenza quanto apertamente i vili leader occidentali abbiano usato gli accordi di Minsk come semplici periodi di riarmo segreto per l’Ucraina, con l’inevitabile piano di ostilità.

È quindi difficile credere che Putin possa fidarsi di nuovo dell’Occidente in qualsiasi “accordo di pace” o che voglia sottoporre se stesso e la Russia a una tale disonestà e inganno.

Tuttavia, se dovesse accadere, non sarebbe per volontà intrinseca di Putin, ma piuttosto come risultato di una qualche forma di necessità o mancanza di scelta. Nello stesso mio articolo citato sopra, ho spiegato a lungo come, anche se la Russia riuscisse a conquistare tutto ciò che si trova a est del Dnieper, sarebbe estremamente difficile per la Russia passare alla fase successiva. A quel punto i ponti sarebbero probabilmente già saltati. Ciò significa che per continuare l’operazione e catturare Odessa, Kherson, ecc. la Russia dovrebbe effettuare un massiccio reindirizzamento e riorientamento della totalità delle sue forze attraverso il nord, passando per la Bielorussia fino a Kiev e alle terre “a ovest del Dnieper”.

C’è la possibilità che un riorientamento così massiccio venga visto con sfavore in quel momento, in un’ulteriore confluenza di pressioni politiche sia da parte dei nemici che degli alleati stanchi (la Cina, per esempio), che potrebbero mettere Putin alle strette e indurlo a scendere a compromessi su qualche scenario coreano. Questa possibilità si rafforzerebbe se l’esercito russo dovesse esaurirsi o continuare ad avere problemi estremi di munizioni: la confluenza di tutti questi fattori potrebbe indurre alcuni a non vedere altra via d’uscita. Spero che questo non accada, e personalmente non credo che accadrà, ma sto semplicemente delineando la possibilità, per quanto remota possa essere, solo per dare un’idea dell’ampiezza delle direzioni che la SMO potrebbe prendere, come da domanda iniziale.

 

Inoltre, nel mio articolo citato, ho spiegato come alcune figure di spicco avessero già previsto da tempo uno scenario del genere. Ad esempio, l’ex consigliere presidenziale Arestovich, in un’intervista del 2019, aveva previsto la logica evoluzione dell’intero conflitto. Non solo ha azzeccato il periodo approssimativo in cui il conflitto sarebbe iniziato, ma ha persino previsto che sarebbe finito in una situazione di stallo coreano, che avrebbe portato a una seconda ripresa della guerra intorno al 2025, e forse anche a una terza intorno al 2028.

Chi è scettico deve solo guardare agli anni ’90, quando la Russia ha già vissuto esattamente questo scenario con le guerre cecene, dove la prima si è conclusa con uno stallo congelato, per poi essere necessariamente ripresa nella seconda guerra cecena.

La verità, però, è che è difficile da prevedere perché la guerra attuale è “al di là di qualsiasi cosa si sia vista prima” per la Russia. Non è paragonabile alle guerre cecene in termini di scala, e ci sono molte prime volte che giustificano paragoni più vicini alla Seconda Guerra Mondiale che con altro, come la prima mobilitazione della Russia dalla Grande Guerra Patriottica. È quindi difficile fare proiezioni quando siamo così lontani dalla familiarità, ma la natura assolutamente esistenziale del conflitto indica certamente una sua continuazione fino alla “fine” piuttosto che uno scenario in stile coreano.

DECIMA DOMANDA Mi piacerebbe capire meglio il rapporto tra Prigozhin/Wagner e l’establishment militare russo. Qualsiasi cosa possiate scrivere che possa aiutare a chiarire quando si tratta di trollaggio, quando siamo testimoni di maskirovka ( маскировка) e quando siamo testimoni di dispute autentiche e importanti che potrebbero influenzare le prestazioni militari, sarebbe apprezzata. Grazie

È difficile saperlo con certezza, dato che gran parte di questa storia è avvolta nella segretezza. Tuttavia, se la storiografia ufficiale sulle origini di Prigozhin è vera, è chiaro che probabilmente ha un rapporto profondo con Putin e il governo russo che va oltre la superficie che vediamo.

È un personaggio naturalmente molto sarcastico, quindi molte delle sue buffonate sono solo giochi psicologici, questo è chiaro.

Tuttavia, c’è motivo di credere che alcune delle tensioni/attriti tra lui e le autorità militari siano reali. Contrariamente a quanto vogliono far credere i tabloid occidentali, Putin non è un imperatore o uno “zar” onnipotente. Non controlla tutto ed è possibile che qualcuno sia amico suo, ma abbia un rapporto di dissenso con il Ministero della Difesa.

Di recente, Prigozhin ha persino preso di mira Shoigu in un modo molto “personale” che probabilmente non sarebbe accaduto se si fosse trattato di una messinscena o di un teatro. La figlia di Shoigu esce con un ragazzo che, a quanto pare, ha mostrato di essere contrario all’OMU russa, dato che è stato sorpreso a “gradire” i post anti OMU su Instagram/social media. Si tratta in un certo senso di un grande scandalo, che Prigozhin ha messo in evidenza per gettare sale sulla ferita di Shoigu. Un simile attacco alla figlia di un importante silovik andrebbe probabilmente oltre i confini del semplice “teatro” o “maskirovka”. Questo ci fa supporre che alcune tensioni siano reali.

Detto questo, bisogna capire che Prigozhin non è un “comandante” e non fa i piani di battaglia per i suoi soldati, se non in apparenza. Non ha alcuna esperienza o conoscenza militare reale. Ciò significa che Wagner è di fatto comandato dai militari russi e rientra nella loro struttura di comando e nella loro sfera di competenza. Non si tratta di un gruppo indipendente di “lupi solitari” che fa quello che vuole in stile laissez-faire.

Dopotutto, in un articolo precedente ho spiegato che Wagner non ha un proprio “back end” in termini di rifornimenti/logistica. Per questo si affidano completamente alle forze russe nominali.

Seconda parte: Ottima domanda sui Wagner e sui militari regolari. Chi sono questi ragazzi? Perché sono lì? Sembra strano.

Beh, certamente Wagner è lì per aiutare a gonfiare il numero complessivo delle truppe, dato che la Russia ha impegnato un numero di truppe totali molto inferiore a quello che la maggior parte delle persone pensa, come ho sottolineato in questo articolo: https://simplicius76.substack.com/p/the-coming-russian-offensive-2023?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Tuttavia, alla fine dei conti, è un fatto innegabile che Wagner sia in gran parte lì anche per 1. Plausible deniability 2. tenere le perdite in eccesso fuori dai “libri” e dai bilanci nominali russi.

Questa è la dura realtà, ma è un’operazione standard. Sì, è nell’interesse della Russia avere perdite ufficiali più basse per ovvie ragioni. Wagner offre alla Russia l’opportunità di utilizzare una forza d’urto addestrata in battaglie urbane che tipicamente producono molte perdite, e in pratica di avere tutte queste perdite “in nero”.

Sappiamo che Wagner sta subendo molte meno perdite dell’AFU a Bakhmut, dopo tutto lo hanno ammesso loro stessi più volte. Basta ascoltare questo mercenario australiano che combatte a Bakhmut, che dice che le perdite di Wagner sono molto più leggere di quanto si pensi, rispetto alle orrende perdite dell’AFU:  Video 1

E naturalmente c’è questo:

Video 2
Video 3

Ma detto questo, le perdite della Wagner sono probabilmente le più alte di qualsiasi altro fronte, semplicemente a causa della natura degli assalti alle città. Quindi, questo è uno degli scopi principali di Wagner: fare i “combattimenti pericolosi” senza aumentare il numero di vittime ufficiali dell’esercito russo. Ancora una volta, questa è una procedura operativa standard, per coloro che potrebbero ingenuamente pensare il contrario. È una cosa semplice, logica e molto intelligente da fare dal punto di vista del Ministero della Difesa russo.

UNDICESIMA DOMANDA Ultima domanda: La Russia sembra agire soprattutto in risposta alle aggressioni degli Stati Uniti, con un’escalation simmetrica. Quindi di solito chiediamo: quali sono gli obiettivi degli Stati Uniti in questa guerra? Gli obiettivi pubblicamente dichiarati di “indebolire la Russia” o di “cambiare regime” o di “impedire alle nazioni di invadere paesi sovrani” o altro non reggono. C’è qualcosa di più profondo e fondamentale che non viene discusso pubblicamente. E potrebbe essere che gli Stati Uniti stiano agendo per contrastare qualche piano/agenda più profonda della Russia (probabilmente coinvolgendo la Cina e altri). Naturalmente c’è una spiegazione ovvia: la Russia ha sfidato l’ingerenza degli Stati Uniti in una serie di nazioni (Georgia, Siria, Ucraina, Kazakistan, ecc.), mentre gli Stati Uniti soffrono di una serie di problemi interni e stanno vivendo un declino generale… si può capire perché gli Stati Uniti cerchino di contrastare questa sfida, soprattutto se gli “alleati” in Europa ne soffrono in modo tale da renderli sempre più dipendenti dagli Stati Uniti (mentre le azioni della Russia vengono utilizzate per terrorizzare gli alleati a mantenere la fedeltà).

Ma… cosa sta progettando la Russia, oltre alla semplice opposizione agli Stati Uniti? Sentiamo parlare di nuove valute di scambio, eccetera, ma sono anni che si parla di queste cose senza che siano stati fatti passi concreti.

È una buona domanda, anche se credo di aver già risposto in gran parte in una delle altre precedenti, anche se ne ripeterò alcune.

 

In primo luogo, guardate il segmento del fondatore dell’influente think tank STRATFOR, George Friedman, che ho postato nella domanda n. 3 di cui sopra. Egli spiega con precisione quali sono state le ambizioni generazionali di Stati Uniti e Regno Unito nei confronti della Russia.

Molti saggi storici alternativi sostengono che praticamente tutti i conflitti globali degli ultimi ~150 anni sono ruotati attorno a questa questione centrale: impedire la formazione di un’alleanza russo-tedesca che minacciasse l’ordine globale.

La Germania è sempre stata la potenza manifatturiera e innovativa dell’Europa, o del mondo. E la Russia è la ben nota centrale di risorse naturali del mondo. L’unione di questi due elementi crea l’unica forza conosciuta in grado di scalzare la supremazia egemonica globale di Londra.

Se si scava abbastanza a fondo nel movimento della Round Table di Lord Milner, in Cecil Rhodes e nell’intera tana del coniglio, si scopre subito che la Prima e la Seconda Guerra Mondiale avevano lo scopo di mettere Russia e Germania l’una contro l’altra per indebolirle/distruggerle entrambe e assicurarsi che rimanessero ostili l’una all’altra, e così mantenere la supremazia anglosassone, vedi: https://strategic-culture.org/news/2021/09/22/the-first-world-war-cecile-rhodes-anglo-saxon-power/ e https://www.maier-files.com/the-rhodes-milner-secret-society-the-start-of-the-new-world-order/

In generale, ovviamente, vogliono che la Russia sia il più possibile scollegata dall’Europa. Per gli Stati Uniti, ciò mantiene sia la Russia che l’Europa più povere, più sottomesse e, soprattutto, più dipendenti dai prodotti, dall’energia, ecc. statunitensi. Ma la Germania è il vero omphalos dell’intera faccenda.

Quindi, per molti versi, si può sostenere che spingere la Russia a realizzare l’OMT sia servito soprattutto a vanificare il gasdotto Nord Stream 2, che si stava preparando a entrare in funzione molto presto prima dell’inizio delle ostilità. Gli Stati Uniti avevano bisogno di sbarazzarsi di quel gasdotto, per evitare che portasse a una nuova era di relazioni russo-tedesche e di cooperazione economica. Così gli Stati Uniti hanno semplicemente attivato le loro pedine in Ucraina, hanno fatto in modo che cominciassero a bombardare il Donbass e a fare pressione verso la guerra, e voilà – hanno premuto esattamente i pulsanti necessari per far partire la Russia sulla sua strada attuale. Poi hanno alimentato il sentimento anti-russo in Europa sulla base delle presunte “atrocità” della guerra, e questo garantisce in modo semplice e pulito un’intera nuova generazione di relazioni euro-russe in disgregazione. È davvero così semplice.

Il famoso assioma anglosassone recita:

Tenere fuori i russi, giù i tedeschi e dentro gli americani. – Il primo segretario generale della NATO, Lord Ismay, spiega così gli obiettivi della nuova alleanza militare.

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Stati Uniti, conto alla rovescia_con Gianfranco Campa

Trump in attesa di incriminazione e di un probabile arresto; Ron Desantis, il probabile competitore interno al Partito Conservatore in speranzosa attesa, pronto a raccoglierne lo scettro, a compiacere la base di MAGA con slogan e dichiarazioni buone per la campagna elettorale, ma pronte ad essere smentite il giorno dopo le elezioni; una crisi finanziaria ed economica i cui tempi di marcia potranno sconvolgere i disegni dei vari attori politici. Il tentativo di porre fine contemporaneamente alla anomalia di un attore politico estraneo all’establishment dominante e di un presidente in carica improponibile per aprire la strada a leader emergenti del cerchio magico demo-neoconservatore. L’ambizione di trasformare il sentimento di repulsa verso nuove avventure militari prevalente negli Stati Uniti, in una variante bellicista che non fa che spostare l’epicentro di un confronto, nel suo auspicato epilogo bipolare, nell’area dell’Indo-Pacifico. Un quadro nel quale i paesi europei sono destinati a confermare il loro ruolo di passivi capri espiatori senza alcuna velleità di protagonismo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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APPENDICE

“Non è il critico che conta; non l’uomo che sottolinea come l’uomo forte inciampa, o dove l’esecutore di azioni avrebbe potuto farle meglio. Il merito è dell’uomo che è realmente nell’arena, il cui volto è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue; che si sforza valorosamente; che sbaglia, che viene meno più volte, perché non c’è sforzo senza errori e mancanze; ma che si sforza realmente di compiere le azioni; che conosce i grandi entusiasmi, le grandi devozioni; che si spende per una causa degna; che nel migliore dei casi conosce alla fine il trionfo di un alto risultato, e che nel peggiore, se fallisce, almeno fallisce osando molto, così che il suo posto non sarà mai con quelle anime fredde e timide che non conoscono né la vittoria né la sconfitta. ”

– Theodore Roosevelt

La tempesta crescente, di Douglas Macgregor

La tempesta crescente
I problemi autoinflitti dall’America in Ucraina aggravano i nostri pericolosi problemi interni.

La crisi del potere nazionale americano è iniziata. L’economia americana si sta rovesciando e i mercati finanziari occidentali sono silenziosamente nel panico. Minacciati dall’aumento dei tassi d’interesse, i titoli garantiti da ipoteca e i Treasury statunitensi stanno perdendo valore. Le proverbiali “vibrazioni” del mercato – sensazioni, emozioni, credenze e desideri psicologici – suggeriscono che è in corso una svolta oscura nell’economia americana.

La potenza nazionale americana è misurata tanto dalla capacità militare quanto dal potenziale e dalle prestazioni economiche. La crescente consapevolezza che la capacità militare-industriale americana ed europea non può tenere il passo con le richieste ucraine di munizioni ed equipaggiamenti è un segnale inquietante da inviare durante una guerra per procura che Washington insiste che il suo surrogato ucraino stia vincendo.

Le operazioni di economia di forza russe nel sud dell’Ucraina sembrano essere riuscite a bloccare le forze ucraine attaccanti con un dispendio minimo di vite e risorse russe. Mentre l’implementazione della guerra di logoramento da parte della Russia ha funzionato brillantemente, la Russia ha mobilitato le sue riserve di uomini ed equipaggiamenti per mettere in campo una forza che è di diverse dimensioni e significativamente più letale di quella di un anno fa.

Il massiccio arsenale russo di sistemi di artiglieria, tra cui razzi, missili e droni collegati a piattaforme di sorveglianza aerea, ha trasformato i soldati ucraini che combattono per mantenere il confine settentrionale del Donbas in bersagli a comparsa. Non si sa quanti soldati ucraini siano morti, ma una stima recente prevede che dall’inizio della guerra siano stati uccisi in azione 150.000-200.000 ucraini, mentre un’altra stima circa 250.000.

Data l’evidente debolezza delle forze di terra, aeree e di difesa aerea dei membri della NATO, una guerra indesiderata con la Russia potrebbe facilmente portare centinaia di migliaia di truppe russe al confine polacco, frontiera orientale della NATO. Questo non è un risultato che Washington ha promesso ai suoi alleati europei, ma ora è una possibilità reale.

A differenza della politica estera dell’Unione Sovietica, che era un’esecuzione ostinata e ideologicamente guidata, la Russia contemporanea ha coltivato abilmente il sostegno alla sua causa in America Latina, Africa, Medio Oriente e Asia meridionale. Il fatto che le sanzioni economiche dell’Occidente abbiano danneggiato l’economia statunitense ed europea, trasformando al contempo il rublo russo in una delle valute più forti del sistema internazionale, non ha certo migliorato la posizione globale di Washington.

La politica di Biden di spingere con la forza la NATO ai confini della Russia ha creato una forte comunanza di interessi di sicurezza e commerciali tra Mosca e Pechino che sta attirando partner strategici in Asia meridionale come l’India e partner come il Brasile in America Latina. Le implicazioni economiche globali per l’emergente asse russo-cinese e la rivoluzione industriale pianificata per circa 3,9 miliardi di persone nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) sono profonde.

In sintesi, la strategia militare di Washington per indebolire, isolare o addirittura distruggere la Russia è un colossale fallimento e il fallimento mette la guerra per procura di Washington con la Russia su un percorso veramente pericoloso. L’insistenza, imperterrita di fronte alla discesa dell’Ucraina nell’oblio, ignora tre minacce in metastasi: 1. Il persistere di un’inflazione elevata e l’aumento dei tassi di interesse che segnalano la debolezza economica. (Il primo fallimento di una banca americana dal 2020 ci ricorda la fragilità finanziaria degli Stati Uniti). 2. La minaccia alla stabilità e alla prosperità delle società europee, già provate da diverse ondate di rifugiati/migranti indesiderati. 3. La minaccia di una guerra europea più ampia.

All’interno delle amministrazioni presidenziali, ci sono sempre fazioni in competizione che spingono il presidente ad adottare una determinata linea d’azione. Gli osservatori esterni raramente sanno con certezza quale fazione eserciti la maggiore influenza, ma nell’amministrazione Biden ci sono figure che cercano di uscire dal coinvolgimento in Ucraina. Persino il Segretario di Stato Antony Blinken, un convinto sostenitore della guerra per procura con Mosca, riconosce che la richiesta del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky che l’Occidente lo aiuti a riconquistare la Crimea è una linea rossa per Putin che potrebbe portare a una drammatica escalation da parte di Mosca.

Fare marcia indietro rispetto alle richieste maligne e asinine dell’amministrazione Biden di un umiliante ritiro della Russia dall’Ucraina orientale prima di poter convocare i colloqui di pace è un passo che Washington si rifiuta di fare. Eppure deve essere fatto. Più aumentano i tassi di interesse e più Washington spende in patria e all’estero per portare avanti la guerra in Ucraina, più la società americana si avvicina al tumulto politico e sociale interno. Sono condizioni pericolose per qualsiasi repubblica.Da tutto il disastro e la confusione degli ultimi due anni, emerge una verità innegabile. La maggior parte degli americani ha ragione ad essere diffidente e insoddisfatta del proprio governo. Il Presidente Biden appare come un ritaglio di cartone, una controfigura dei fanatici ideologici della sua amministrazione, persone che vedono nel potere esecutivo il mezzo per mettere a tacere l’opposizione politica e mantenere il controllo permanente del governo federale.

Gli americani non sono sciocchi. Sanno che i membri del Congresso scambiano palesemente azioni sulla base di informazioni privilegiate, creando conflitti di interesse che porterebbero la maggior parte dei cittadini in prigione. Sanno anche che dal 1965 Washington li ha condotti in una serie di interventi militari falliti che hanno gravemente indebolito il potere politico, economico e militare americano.

Troppi americani credono di non avere più una vera leadership nazionale dal 21 gennaio 2021. È giunto il momento che l’amministrazione Biden trovi una via d’uscita che permetta a Washington di uscire dalla sua guerra per procura contro la Russia. Non sarà facile. L’internazionalismo liberale o, nella sua veste moderna, il “globalismo moralizzatore”, rende ardua una diplomazia prudente, ma ora è il momento. In Europa orientale, le piogge primaverili presentano alle forze di terra russe e ucraine un mare di fango che ostacola gravemente i movimenti. Ma l’Alto Comando russo si sta preparando per garantire che quando il terreno si asciugherà e le forze di terra russe attaccheranno, le operazioni raggiungeranno una decisione inequivocabile, rendendo chiaro che Washington e i suoi sostenitori non hanno alcuna possibilità di salvare il regime morente di Kiev. Da quel momento in poi, i negoziati saranno estremamente difficili, se non impossibili.

SULL’AUTORE
Douglas Macgregor
Douglas Macgregor, Col. (ret.), è senior fellow di The American Conservative, ex consigliere del Segretario alla Difesa nell’amministrazione Trump, veterano decorato e autore di cinque libri.

https://www.theamericanconservative.com/the-gathering-storm/

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