Due equivoci sui quali un intero ceto politico ed un apparato amministrativo votato al lobbismo è riuscito a pascere per decenni: l’identificazione dell’Europa con l’Unione Europea; l’Unione Europea strumento di indipendenza ed autonomia politica. La realtà che la guerra in Ucraina ci ha ulteriormente sbattuto in faccia è che la UE è sempre più una semplice protesi della NATO che esisterà finché sarà la NATO a reputarla necessaria; è uno strumento che ostacola e impedisce una qualsiasi politica e strategia di emancipazione politica dei popoli e degli stati europei e di sviluppo economico paragonabile ad altre aree geopolitiche. Non è un caso che le rendite di benefici acquisiti nella fase bipolare si stiano esaurendo sino a compromettere una condizione accettabile di equità e benessere. Lo stesso vessillo di libertà di cui ama cingersi è sempre più macchiato dalle versioni peggiori di nazionalismo etnico che afferma di combattere. Una coperta sempre più stretta che la gestione della crisi pandemica prima e la guerra in Ucraina non tarderanno a lacerare ulteriormente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
Qui sotto un articolo dell’ex presidente e primo ministro russo Dmitry Medvedev, pubblicato il 21 marzo 2022 sul suo canale Telegram. L’articolo va inserito certamente nel contesto del conflitto con l’Ucraina, all’epoca già in corso da un mese; va quindi tarato e valutato per quello che è. Il testo pone tuttavia una questione più volte sollevata da questo sito e che meriterà, in futuro, certamente maggiore attenzione. Tutta la narrazione occidentale, ad impronta americana e conseguentemente quella europeista ha giustificato la scelta dell’estensione della NATO e dell’allargamento della Unione Europea come una risposta alle enormi pressioni della opinione pubblica dei paesi dell’Europa Orientale determinate dalla paura del pericolo russo, dalla fisiologica reazione a quaranta anni di dominio sovietico su tutta quell’area. Sentimenti in realtà solo in parte reali e comunque volutamente fraintesi, perché interpretati come un trionfo dello spirito e del lirismo europeista anche in quell’area così negletta. Quello che si è subito affermata in quei paesi è stata invece e soprattutto una pretesa di risarcimento nei confronti dei paesi occidentali, rei di aver abbandonato all’orso russo quella parte di Europa ed una forma predominante di nazionalismo etnico che faceva e fa letteralmente a pugni con il lirismo europeista. La conseguenza è stata che in questo trentennio si è accentuata ulteriormente la natura “contrattualistica” delle pratiche europeiste interne alla UE. L’adesione alla Unione Europea è stata in realtà una evidente subordinata rispetto alla scelta strategica, ritenuta assolutamente prioritaria da quei paesi, di adesione alla NATO. Una condizione ben conosciuta dai vertici e dai funzionari della Commissione Europea, stando ai numerosi rapporti interni che circolavano già all’epoca, alcuni dei quali pubblicati su questo sito. Una rimozione che sta conducendo velocemente alla nemesi del lirismo europeista.
E’ stato un processo relativamente facile da perseguire e da gestire, ma non del tutto indolore. Almeno nella fase iniziale, sia in buona parte dei paesi dell’Europa Orientale che in Germania e in minor misura in Italia, vi è stata una componente politico-sociale importante che propugnava un sistema di relazioni più equilibrato, un programma di riconversione economica più cauto e rispettoso degli equilibri delle economie locali di quei paesi e degli interessi dei paesi europei piuttosto che di quelli americani. Grosso modo questa divisione politica nei paesi orientali aveva come discrimine i settori di economia locale chiusa o integrata esclusivamente nel circuito sovietico da una parte, i settori dell’economia, controllati dalle alte sfere di partito, minoritari economicamente ma importanti finanziariamente e politicamente, relazionati con l’export occidentale o in parte a gestione privatistica, come in Polonia e in Ungheria, dall’altra. Nel giro di pochissimi anni sia in Italia e in Germania che in vario grado nei paesi orientali hanno preso nettamente il sopravvento i secondi con tutte le implicazioni ormai sempre più visibili. Ben istigate dai centri decisori statunitensi, con la complicità interessata dei loro accoliti tedeschi, ma anche svedesi e britannici, quelle pulsioni nazionaliste si sono rapidamente trasformate in uno spirito di rivincita ostile verso la Russia e le componenti filorusse o neutraliste presenti nelle popolazioni di quell’area. I vecchi fantasmi che hanno funestato la prima metà del secolo scorso, che non hanno riguardato solo la Germania e l’Italia, come la narrazione tende invece ad imporre, stanno pian piano tornando e rischiano di trascinare nuovamente il continente europeo in una situazione di conflitto endemico e distruttivo, ma con una postura geopolitica infinitamente più subordinata a scelte e strategie esterne all’area rispetto al secolo passato. Una condizione deprimente e drammatica della quale alcuni paesi dell’Europa Orientale e l’Italia, così “degnamente” rappresentata da un funzionario dal passato e un presente più che eloquente, sono gli esempi preclari. E’ arrivato ormai il tempo di pagare il conto salatissimo di settanta anni di pax americana che ci ha resi “mediamente felici”, avvinghiati come siamo dalle sue catene; una pax ormai in aperta discussione, anche se avviluppata in un contenzioso dall’esito finale ancora incerto. Un conto che sarà lungi dall’essere ripartito equamente, così come le portate del banchetto dal menu sempre più deludente. Un motivo in più per diffidare di questa Unione Europea. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Sulla Polonia
Quando l’Europa si renderà conto delle conseguenze dannose delle sanzioni anti-russe, il Paese europeo a noi più caro sta andando, come al solito, più veloce della musica. Il primo ministro Mateusz Morawiecki, accompagnato dal vice primo ministro Kaczyński e dai primi ministri della Repubblica ceca e della Slovenia, si è recato a Kiev su un treno pesantemente sorvegliato. Proprio come Lenin ai suoi tempi, nella sua auto blindata finanziata dai tedeschi. Che discussioni con Zelensky! Che promesse di amicizia e di aiuto! Ciò che mente, ovviamente. Al suo ritorno, Moravetsky annunciò solennemente un programma di “derussificazione dell’economia polacca ed europea”. Specificando coraggiosamente che “sarà costoso”.
Ha assolutamente e totalmente ragione: sarà costoso e non necessario. Ma la Polonia non deve più preoccuparsi delle sue perdite. Ha già perso tutto ciò che poteva perdere durante tutti questi anni di russofobia patologica. Così ora, come dicono i vicini così cari ai polacchi: “Il fienile è andato a fuoco, brucia la casa!” »
Quando si tratta di Russia, la Polonia si contorce letteralmente in “dolorosi fantasmi”. È molto difficile per le sue élite accettare che il tempo dei guai si sia concluso con l’espulsione degli occupanti polacchi dal Cremlino quasi quattrocento anni fa. E che la Repubblica delle Due Nazioni (“Rzeczpospolita Obojga Narodów”) non è mai diventata un grande impero. Tutti questi fallimenti non provengono dagli intrighi della Russia, gli unici responsabili sono le liti interne, la corruzione, i fallimenti economici e le battaglie perse. E questo per molti secoli.
La propaganda antirussa polacca è la più feroce, la più volgare e la più sgargiante. Una vera comunità di pazzi politici. A differenza del nostro Paese, dove non sorvoliamo nemmeno sui capitoli più oscuri della nostra storia, in Polonia si sogna di dimenticare i tempi della seconda guerra mondiale. E, soprattutto, quei soldati sovietici che sconfissero il fascismo, cacciarono gli occupanti dalle città polacche e impedirono loro di distruggere Cracovia, liberarono i prigionieri di Auschwitz e Majdanek.
I polacchi stanno riscrivendo la storia, demolendo monumenti. L’occupazione fascista è apertamente identificata con l'”occupazione” sovietica. Chi avrebbe potuto immaginare un discorso più fuorviante e disgustoso? I polacchi l’hanno fatto.
Tuttavia, non ci sono sentimenti anti-polacchi in Russia e non lo sono mai stati. I sociologi lo testimoniano: i cittadini del nostro Paese sono molto amichevoli verso questo popolo. È impossibile dimenticare l’ondata di simpatia e compassione causata da questo incidente aereo vicino a Smolensk, in cui una delegazione di alto livello e il presidente polacco sono morti. I cittadini russi hanno portato fiori all’ambasciata e alle chiese polacche, hanno espresso le loro condoglianze sulla stampa e sui social network. Come capo di stato, ho dichiarato un giorno di lutto in tutto il paese.
Successivamente, durante le mie visite in Polonia, mi sono convinto che non ci fossero ostacoli al miglioramento delle relazioni tra i nostri paesi, è una strada a doppio senso dove tutti dobbiamo vincere lì. Tuttavia, il partito n. 2 del PiS di Kaczyński , guidato dai suoi padroni americani, e il resto delle élite politiche hanno fatto di tutto per bloccare qualsiasi normale comunicazione.
Oggi, gli interessi dei cittadini polacchi sono stati sacrificati alla russofobia di quei politici mediocri e dei loro burattinai d’oltreoceano, che mostrano evidenti segni di senilità. Il rifiuto di acquistare gas, petrolio e carbone russi, l’opposizione al Nord Stream 2 hanno già causato gravi danni all’economia di questo Paese. E andrà solo peggio. Lo stesso vale per molte altre misure, che non si basano sull’economia ma sulla politica con il pretesto della “derussificazione”. A loro non importa. Piuttosto che venire in aiuto dei propri cittadini, è molto più importante per le élite vassalli polacchi giurare fedeltà al loro signore americano e fare di tutto per mantenere vivo il fuoco dell’odio verso il nemico rappresentato dalla Russia.
Cosa ci guadagneranno i cittadini? Assolutamente niente. Ma prima o poi capiranno che l’odio per la Russia non rafforza i legami della società e non contribuisce al benessere o alla pace. Al contrario, la cooperazione economica con il nostro Paese avvantaggia i polacchi, i legami umani sono indispensabili e gli scambi culturali e scientifici tra le patrie di Pushkin e Mickiewicz, di Tchaikovsky e Chopin, di Lomonosov e Copernico sono essenziali. Molto probabilmente, i polacchi faranno quindi la scelta giusta, da soli, senza sollecitazioni o pressioni da parte di élite straniere afflitte da demenza.
Man mano che si segue l’impulso e la necessità di serrare le fila, viene meno una selezione adeguata del ceto politico chiamato a condurre e seguire dinamiche complesse e situazioni intricate. Il mondo occidentale si trova nella condizione di disporre dell’apparato ancora più sofisticato e complesso con personale appena sufficiente a gestire le routine più banali, molto meno ad operare assennatamente i necessari strappi dei momenti di crisi aperta ed eccezionali.E’ il momento dei condizionamenti tragicamente pesanti che fanno scivolare per inerzia le situazioni verso tragici epiloghi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Siamo alla seconda parte della conversazione. Proseguiamo soffermandoci maggiormente su alcune caratteristiche dell’armamentario a disposizione nella conduzione di un conflitto sempre più aperto e dichiarato tra Stati Uniti e mondo occidentale da una parte e la Russia, in qualità di anello debole o presunto tale la cui rottura sarebbe in grado di interrompere il processo di formazione multipolare e di porre la Cina come interlocutrice subordinata. Quest’ultima, per ragioni di cultura politica e per la condizione oggettiva di aver lucrato copiosamente da questa modalità di sviluppo della globalizzazione, è restìa a creare un sistema statico di alleanze concorrenti, prodromico ad un conflitto aperto. Sta di fatto che la gran parte del mondo ha quantomeno assunto un atteggiamento di aperta diffidenza, se non di ostilità, alle lusinghe occidentali con la conseguenza che il sofisticato arsenale di soft ed hardpower occidentale, compreso quello finanziario, rischia paradossalmente di essere ritorto ai danni dei detentori. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Lo scontro militare in Ucraina sta sempre più assumendo le caratteristiche di un confronto a tutto campo tra Russia e Stati Uniti. Le apparenze dettate dalla propaganda e dall’enorme impegno del sistema mediatico narrano di una Russia isolata, impacciata nella sua autorevolezza e capacità di argomentazione, in stallo militarmente, completamente esposta alle sanzioni economiche e alla onnipotenza del sistema finanziario.L’Occidente in realtà rischia di rimanere vittima della propria propaganda. Nella realtà, gli spazi e le opportunità offerte da un mondo ormai multipolare offrono margini crescenti di azioni e di contromisure alle forze di fatto antagoniste sino a ritorcere e ad erodere l’efficacia degli strumenti più in voga del dominio statunitense; tra di essi quello finanziario. E’ una novità, ma non è una condizione inedita nella storia. Alessandro Visalli ci offre numerosi spunti in proposito. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
CRIMEA, DONBASS E DNEPR: RADICI DELLA CRISI NEL CUORE DELL’EUROPA
Una crisi che nasce da lontano
Nel caso della Russia moderna e contemporanea, così come per l’Ucraina, non è affatto facile ricostruire un percorso storico-politico coerentemente legato al concetto di Stato in quanto entità sovrana caratterizzata da confini geografici predefiniti. Ciò è dovuto soprattutto ad antichi motivi etnici, culturali, linguistici e sociali. La ricerca storiografica, nel tempo, si è orientata infatti ad analizzare come, limitatamente dal punto di vista sociologico, scientifico ed eziologico il multiculturalismo delle aree comprese in particolare tra la parte orientale dell’ex impero zarista e la parte slava riferita alla vecchia Polonia e all’Austria-Ungheria, fosse divenuto oggetto di scontri, tensioni, rivalse e rivendicazioni territoriali. Nonostante le difficoltà di ricostruzione, resta forte motivo di interesse individuarne le cause principali.
Osserviamo che nel Settecento e nell’Ottocento, le secolari comunità ucrainofone, presenti per la quasi totalità presso alcune zone centro-meridionali situate accanto al fiume Dnepr, erano prevalentemente un popolo contadino circoscritto in relazione a una variabile linguistica in virtù della stragrande maggioranza russofona estesa verso Est. Questo vale soprattutto per la Crimea, allora abitata da coloni detti “grandi russi” e da comunità di origine tatara, e per le zone di Donetsk e Rostov sino a lambire Karkiv, che per convenzione, vengono oggi considerate parte integrante della regione del Donbass. Le sottili differenze di cui sopra, oltre alle cause descritte, erano ingigantite in primo luogo dal fatto che non fossero stati definiti confini fisici, e in secondo luogo dal fatto che la presenza russa riguardava i centri urbani e relegava indirettamente le comunità ucraine a una distinta condizione di ceto bracciantile. In un contesto così frammentato, si andava ad aggiungere la diversità del credo religioso: i russi, i polacchi e gli ucraini si differenziavano in quanto rispettivamente ortodossi, cattolici romani e uniati (l’uniatismo, o greco-ortodossia, è un sostantivo dispregiativo usato per definire gli osservanti cristiani che rispettano il culto della Chiesa di Roma ma si dedicano a pratiche religiose locali). Di conseguenza, durante il XIX secolo la distinzione si accentuerà anche per suddette cause; come è evidente, è stato ed è molto difficile ancora oggi quantificare o stilare ogni tipologia di schematizzazione su valori nazionali o squisitamente geopolitici.
1897: i primi censimenti
Il primo vero censimento della “fetta” paneuropea dell’Impero zarista risale al 1897, e fu effettuato su basi fiscali, ovvero su chi e quante tasse versava allo Stato. Ne risultò che i Russi rappresentavano il 44,3% della popolazione, gli Ucraini il 17,8, i Polacchi il 6,3 e i Bielorussi il 4,7. Tutto il restante era costituito da comunità Kazake, Tedesche, Lituane, Lettoni, Estoni, Rumene, Armene, Georgiane, Tatare e Uzbeke. In relazione a questa interconnessione di culture e appartenenze, appare evidente a prescindere che i Governatorati istituiti al tempo per dare una sorta di delimitazione alle varie province, non erano affatto sufficienti a selezionare geograficamente e politicamente le zone sottoposte alla giurisdizione imperiale. Rileviamo, inoltre, che in seguito il governo (esattamente nel 1914-15) diede la possibilità ai residenti delle aree più ramificate sotto l’aspetto linguistico di scegliere se registrarsi o meno secondo la definizione di “ucraini russofoni”.
Di fronte a una così complessa condizione di multietnia e plurilinguismo, un minimo di semplificazione ebbe luogo solo a margine della Rivoluzione del 1917, che, come sappiamo, si compì in pieno primo conflitto mondiale. Approfittando della forte instabilità determinata dalla Grande Guerra, le popolazioni del basso Don, quelle per intenderci comprese tra le province di Donetsk e Luhans’k, rivendicarono l’autonomia dal potere centrale e a febbraio del 1918 proclamarono unilateralmente la Repubblica Sovietica del Donec-Krivoj-Rog (in russo Донецко-Криворожская). Tuttavia, a solo un anno di distanza, il partito bolscevico, nel frattempo salito al potere, inglobò sine die la piccola repubblica in quella ucraina, più vasta, che nel 1922, assieme alle altre, avrebbe dato vita alla costituzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.).
La questione legata all’autonomismo delle comunità periferiche dell’ex impero si intrecciò inevitabilmente con l’aspetto socioeconomico; la modernizzazione degli apparati industriali e tecnologici, accelerata dalla NEP (Nuova Politica Economica), incentivò fortemente l’abbandono delle campagne da parte dei contadini, i quali invasero i centri urbani ponendo l’intero paese di fronte a svolte epocali. Così, centinaia di migliaia di ucraini diedero luogo a quella “russificazione” – del tutto spontanea – che segnò la fine della solidarietà di stirpe (o etnica) mantenuta sino a quel momento con i villaggi rurali limitrofi. Va sottolineato che alle soglie del Novecento i contadini impegnati nei campi ammontavano a un numero di circa 25 milioni su un totale di 70 milioni di abitanti. Nell’assimilazione di ampie comunità ucrainofone all’interno dell’amministrazione russa, intesa anche e soprattutto come possibilità di emancipazione lavorativa e sociale, intervennero dunque fattori esclusivamente asimmetrici rispetto a quelli considerati come “discriminanti culturali”. In pieno XX secolo, tollerare di “russificarsi” significò in modo implicito la piena accettazione della forza attrattiva esercitata dalla possibilità di nuove aspettative di vita, che si legavano via via anche alla condizione di burocratizzazione di cui era oggetto il gigante sovietico. Insieme allo sviluppo dei grandi poli industriali (enorme fu l’attività della costruzione di nuove ferrovie avviata dal ministro delle Finanze Sergej Vitte) marciava di pari passo l’istituzione di migliaia di uffici governativi, di apparati politico-amministrativi e di distretti militari; ciò significava lavoro, occupazione e reddito, ovvero altri elementi di assorbimento che conferivano alle comunità ucraine una progressiva e ulteriore “russificazione”, la quale divenne, in parte, anche linguistica.
Il Donbass e i suoi tesori
Il Donbass, in quanto polo industriale che attinge risorse dai suoi grandi giacimenti minerari, non nasce oggi, tantomeno nel Novecento. È in realtà da prima del Settecento che quest’area millenaria, compresa tra le coste del Mar Nero e gli Oblast di Luhans’k e Belgorod (in pratica, una linea parallela al Don che corre dalla Crimea e va a Nord), grazie anche agli investimenti di paesi stranieri, rappresenta un sito naturale di inestimabile valore che gli zar sfruttarono sino al tempo della grande esplosione demografica e operaia. Oltre a favorire l’esodo dalle campagne, i giacimenti del luogo richiamarono una certa abbondanza di manodopera per l’industria che comportò al tempo stesso la radicalizzazione delle tensioni sociali; queste, provocate dai bassi salari e dalle cattive condizioni di vita della classe operaia, presero sempre più corpo incentivando l’associazionismo dei lavoratori in funzione antigovernativa. Come si può evincere, le note differenze etnico-culturali tra le comunità russo-ucraine ebbero anche implicazioni politiche, che di fatto continuarono a impedire una perdurante stabilità di governo.
«Se lavorerete per il presente, il vostro lavoro resterà insignificante. Bisogna lavorare pensando al futuro». Nel citare questo sillogismo di Anton Pavlovic Cechov, è opportuno ricordare che la classe dirigente russa, nelle prime due decadi del Novecento, aveva tentato di avviare alcune riforme – di cui una relativa alla attribuzione delle terre ai contadini, i quali, come nuovi proprietari, andarono a ingrossare le già nutrite fila dei kulaki, i “signori della terra” – che lenissero il malcontento delle classi meno agiate. Non bastò, e gli scioperi e le proteste di piazza si moltiplicarono, così come l’allestimento dei gulag, dove vennero deportati gli oppositori politici del Cremlino.
Lo spartiacque costituito dal secondo, tragico, conflitto mondiale, diversificò ma non smorzò le tensioni che si trascinavano oramai da decenni. L’invasione nazifascista della Russia (denominata Unternehmen Barbarossa), avvenuta nel 1940, che ne determinò un’occupazione durata circa 3 anni, fu caratterizzata, tra gli altri eventi, dalla costituzione di un esercito paramilitare ucraino in funzione antirussa e dall’arruolamento spontaneo di almeno 250 mila volontari nella Wermacht e nelle Shutz-Staffel (le ben note SS), i quali parteciparono attivamente allo sterminio degli ebrei del luogo. Trattavasi di ultranazionalismo radicato che avrebbe, nel tempo, mantenuto le sue tristi affinità con alcuni movimenti politici locali abbastanza diffusi.
Acutizzazione delle tensioni
Come si diceva, tensioni mai sopite, in cui intervennero nuove discriminanti diacroniche; liberata l’Europa dalle potenze dell’Asse e superato il periodo di Guerra Fredda, le incomprensioni assunsero un contenuto più squisitamente economico e sociale. La dissoluzione dell’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991, che sancì l’indipendenza delle repubbliche federatesi nel 1922, rese i rapporti tra Mosca e Kiev mutevoli e controversi, o quanto meno più complicati dal tempo della già menzionata “russificazione” delle aree orientali ucraine. Tutto il bacino degli Urali e le regioni distribuite a est – compreso evidentemente il Donbass – hanno dato e danno attualmente lavoro a decine di migliaia di cittadini con passaporto russo, di lingua e religione filorusse, e ciò ha comportato ulteriori motivi di scontro non solo identitari e sociali, ma, come detto, anche economici. Non va dimenticato neanche che nel referendum del 1991 il 20% degli ucraini, corrispondente a circa 8 milioni di elettori, si pronunciò a favore del mantenimento federativo con la Russia.
Col passare degli anni, la posizione geopolitica dell’Ucraina ha peggiorato questa condizione, specie in relazione all’attrattiva costituita dal mercato libero legato alla UE, che l’alternanza dei governi ha di volta in volta valutato, caldeggiato o meno in base alle congiunture storico-economiche; il paese si è infine letteralmente lacerato tra quanti propesero a favore dell’avvicinamento all’Europa e quanti sostennero l’indipendenza dall’Ucraina mantenendo rapporti strettissimi di lavoro, vicinanza e amicizia con Mosca. Un attrito che provocherà una profonda ferita nel cuore dell’Europa e per la quale si attende il tanto auspicato annuncio di una tregua. Magari con il contributo di paesi terzi che in questo momento sembra stiano affossando qualsiasi possibilità di dialogo.
MG
FONTI & BIBLIOGRAFIA
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ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), Sez. Ricerca, Europa e Governance Globale, vedi notizie crisi Russia-Ucraina –
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CHI ANDRA’ALLA FIERA DELL’EST ? BOICOTTANO LA RUSSIA SOLO IN UNA TRENTINA E NON TUTTI SINCERI…
Questo é il tabellone del voto dell’ONU che illustra con un + i paesi che hanno votato a favore della censura alla Russia; con un X gli astenuti e con il colore rosso i contrari. Il quadratino nero – se preferite, vuoto, contraddistingue i paesi che hanno marinato la votazione e mancano i paesi sospesi dal diritto di voto come il Venezuela.
Sembra tutto molto facile da capire, ma esistono una serie di paesi che dopo aver riconosciuto e deplorato l’aggressione russa, si sono defilati e si premurano a dichiarare che non adotteranno altre sanzioni che quelle morali già comminate.
Qualche altro, come la Serbia, ha dichiarato per bocca del suo presidente di aver votato sotto minaccia di sanzioni troppo letali per il suo paese. Altri – come L’India, il Pakistan e la Bosnia Erzegovina – sono oggetto di battaglia di influenze perché adottino una posizione o l’altra.
Chi ha riassunto in maniera analitica lo stato delle sanzioni , diviso tra sanzioni militari ed economiche e articolato anche per società che hanno deciso il ritiro dagli affari coi russi, é l’agenzia Reuter che non ha bisogno di presentazioni:
In buona sostanza, si tratta di una trentina di paesi che l’Agenzia ha trifolato a diverse creando un data base interattivo molto bello, ma serve sopratutto a chi voglia sostituirsi ai boicottato per decidere dove rivolgersi per sostituirli.
I paesi che per ora hanno apertamente rifiutato di comminare sanzioni alla Russia sono: Cina, Messico, Georgia, Egitto, Serbia, Moldova, Kazakistan, UAE, Arabia Saudita,Sud Africa, Nicaragua, Bolivia, El Salvador e Argentina.
Gli altri , non compresi tra la trentina di ossequianti e gli apertamente ribelli, hanno deciso di tacere e far finta che nulla sia avvenuto.
Un uomo d’affari che ho incontrato, mi ha fatto questa considerazione: “Gran parte del gas che giunge in occidente, arriva tramite pipeline che transitano attraverso il territorio ucraino.
Zelenski potrebbe chiudere i rubinetti , ma preferisce lasciarli in funzione perché incassa fior di quattrini.
Comodo far la guerra a spese degli altri.” E poi mi ha girato la mappa delle basi USA che vengono rifornite di gas e petrolio proveniente dalla Russia. Ve la giro
Nella foto a fianco: Una mappatura delle basi NATO e USA in Europa alimentate in carburanti grazie alla rete proveniente dalla Russia. A questo punto dovremmo dire ” vai avanti tu che io ti seguo.”
MOLTI CREDONO CHE NEUTRALITÀ SIGNIFICHI AMBIGUITÀ ATLANTICA. INVECE SIGNIFICA INDIPENDENZA DALL’IMPERIALISMO DI ENTRAMBI
Illustriamo con una serie di carte geografiche l’evoluzione del concetto di neutralità e quello di non allineamento. Partiamo dalla vigilia della seconda guerra mondiale e dal patto di Monaco che illuse molti con la frase famosa di Chamberlain ” peace in our time”. Voleva solo guadagnare un anno per mettere in linea gli “Spitfire.”
LE CARTINE SONO COPYRIGHT DI ANTONIO de MARTINI
Dalla carta dell’Europa di oggi, risultano chiari alcuni elementi chiave per capire le situazioni: Vi sono quattro paesi neutrali che formano quasi una corona protettiva attorno all’Italia e il ” buco ” NATO é rappresentato da paesi a cui é stata l’Italia a proporre l’entrata nella alleanza atlantica e nel suo dispositivo militare. Spagna e Portogallo – ex neutrali- si sono aggregati alla NATO al fine di migliorare la loro integrazione con il resto d’Europa, mentre i paesi ex appartenenti al patto di Varsavia hanno fatto altrettanto dopo il crollo dell’URSS, grazie al quale, il confine é passato dal fiume Elba ( Berlino) al Dniepr ( Kijv) con una progressione, in avvicinamento a Mosca, di 1347 km. senza colpo ferire. I neutrali del nord Europa sono sottoposti a pressioni per aderire alla NATO con ‘obbiettivo di chiudere l’uscita del Baltico ai russi, come questi vogliono chiudere agli USA il mar nero privandoli delle basi.
Per essere al riparo dalla famelicità altrui bisogna anzitutto avere una favorevole posizione geografica e politica. Spagna, Portogallo e Turchia si sono trovate in questa posizione. La catena delle Alpi, oltre a proteggere la Svizzera favorisce anche il nostro paese. I paesi scandinavi – che simpatizzarono con le potenze dell’INTESA, rimasero neutrali e la Finlandia, già appartenuta agli zar, fu oggetto di un tentativo russo e di uno di rivincita finlandese, entrambi non riusciti. L’est dei Balcani si schierò con la Germania e l’Ovest con gli inglesi anche se la Jugoslavia fu oggetto di due colpi di stato tra i contendenti e finì smembrata con un ” Regno di Croazia” affidato a un Savoia. Danimarca e Paesi Bassi finirono occupati dai tedeschi e l’Islanda dagli inglesi. Le Repubbliche baltiche dai russi prima e dai tedeschi poi. Le sorti della guerra furono comunque decise dall’entrata in guerra di russi e americani alleati dell’Intesa per forza maggiore, dopo un periodo di non allineamento.
Ora che dovremmo avere più chiare le idee grazie alle carte geopolitiche comparate, possiamo definire quali siano le caratteristiche che consentono di sottrarre i rispettivi popoli alle pressioni dell’una o dell’altra parte interessata ad acquisire e/o mantenere satelliti nella propria sfera di influenza.
Il paese deve essere armato e – come per l’approvvigionamento energetico- possibilmente non da un solo fornitore di armi o di Know How. L’ideale é rappresentato dalla Thailandia che partecipa regolarmente a manovre militari sia con gli USA che con la Cina e , da quest’anno, invia i propri cadetti alle scuole militari russe.
Oggi come oggi, la dimensione – se preferite la “massa critica” di una potenza militare che si rispetti é quella continentale e quindi, nel caso nostro, l’Europa. Ammucchiare alcune brigate e chiamarle esercito europeo sarebbe un’idiozia già provata con la brigata franco tedesca che il presidente Hollande, all’epoca, sciolse senza nemmeno informare i Partners tedeschi che il reggimento francese lasciava l caserma.
Vanno integrati i sistemi industriali, i criteri formativi e di addestramento, gli organici e le truppe vanno inquadrate da un corpo di ufficiali e sottufficiali poliglotti come avviene in Svizzera. Il problema della lingua é già risolto per le forze aeree che usano l’inglese. Sarebbe un paradosso, ma é pratico e utilissimo.
Torniamo alla neutralità e definiamola rispetto al ” non allineamento”. Durante gli anni della ” guerra fredda” alcuni paesi guidati da Nehru, Tito e Nasser, Nkrumah ( Ghana), tutti antimperialisti, in odio all’idea di doversi accodare ai vecchi padroni che avevano cambiato pelle, proclamarono a chiunque volesse ascoltare che essi non avrebbero preso posizione per l’uno o l’altro contendente e riuscirono ad adunare attorno a questa tesi una trentina di paesi ( Conferenza di Bandung nel 1955, a iniziativa di India, Pakistan, Birmania, Ceylon, Indonesia e Repubblica popolare cinese) diventati col tempo sessanta. Non tutti rigorosamente ” non allineati” ( vedi Cina) , ma certamente aspiranti alla pace e alla non ripetizione di esperienze coloniali.
Il New York Timesel 26 aprile 2022 ha coperto la notizia con un articolo su sei colonne che ” girano” dalla prima pagina.
Poiché la prospettiva che abbiamo é – come minimo – la ripresa della guerra fredda a livello planetario, sarebbe bene rievocare quella esperienza alla quale stanno già aderendo, forse inconsapevolmente, molti paesi, specie in chiave antimperialista.
Il movimento dei non allineati esiste tutt’ora, conta 120 paesi e 17 osservatori ed é presieduto dal presidente dell’Azerbaijan, ma ha perso la forza trainante di personalità come Sukarno o Nehru, ma i recenti avvenimenti stanno imprimendo maggior velocità ai paesi partecipanti e si notano prese di posizione non solo in allontanamento dagli Occidentali, ma anche dalla Russia ( Cuba, Serbia, Venezuela) come dagli USA ( Messico, Tanzania, Uganda).
L’arrivo della guerra in Europa sta creando una voglia di neutralità documentata dalle sei colonne del New York Times del 26 aprile u.s. e dal Washington Times del 27 u.s. Una voglia che manca ai nostri rappresentanti politici, ma non a noi. E questo spiega le pressioni al limite del ricatto che le due parti esercitano in questi giorni sui paesi giudicati meno decisi.
SEI COLONNE DEL NEW YORK TIMES DEL “26 APRILE 2022 DEDICATE AL FENOMENO DELLA CRESCENTE TENDENZA AL NON ALLINEAMENTO:
WASHINGTON TIMES el 27 aprile che esprime dubbi circa l’equilibrio di Biden ed esclude abbia carisma.
La domanda che il mondo intero si pone é se valga la pena di seguire su una strada tanto pericolosa un leader inconsistente e non equilibrato. Se valga la pena – a parte cedere un pò di ferraglia per averne in cambio dagli USA fondi agevolati per acquistarne di nuova- rischiare il nostro approvvigionamento energetico e un mercato di 150 milioni di persone con reddito piccolo ma crescente per non dispiacere a un presidente che non piace più nemmeno a chi lo ha eletto. Nell’articolo qui sotto troverete i numeri di chi si é astenuto: il 55% della popolazione mondiale.
QUANDO GLI ANGLOSASSONI PARLANO DI FOSSE COMUNI, CAMPI DI CONCENTRAMENTO E DISTRUZIONI DI CASE, SE NE INTENDONO. SANNO MENO DI NEUTRALITA’ E RISPETTO DELLE ALLEANZE.
Si parla spesso della guerra civile di Spagna del 1936 per invocare analogie con la situazione ucraina attuale. Si cercano parallelismi blasfemi tra i volontari che accorsero da ogni parte d’Europa e dalle Americhe in difesa della Repubblica spagnola ( il fior fiore dell’intellighenzia di ogni paese, tutti disinteressati, molti morti, nessun prigioniero, alcuni poi famosi come: André Malraux; John Dos Pasos; Ernest Hemingway, Randolfo Pacciardi, Iljia Ehrenburg, Marta Gelhorn, ).
Nulla a che vedere coi sottufficiali istruttori inglesi di oggi, che, per salvare la pelle, come ogni onesto mercenario professionista reduce dalla Siria, dallo Yemen e dall’Afganistan é pronto per lo scambio di prigionieri e l’incasso del bonus.
La somiglianza tra i due conflitti si limita alla eterna tentazione degli Stati Maggiori di testare ” sul campo” l’efficacia tecnica di nuove armi – tipo il Javelin – il missile anticarro che si impenna per colpire i mezzi corazzati dall’alto – la zona meno protetta – dotato di una doppia carica esplosiva che scoppia in differenziata: la prima per neutralizzare la mini carica esplosiva posta dietro le piastre di protezione della torretta che svia la prima esplosione; la seconda carica cava giunge così a diretto contatto, e distrugge il carro.
Gran successo. Peccato che ne siano stati prodotti solo seimila annualmente.
In Spagna, ad esempio, i tedeschi testarono la tecnica di bombardamento in formazione che distrusse Guernica e i russi i primi carri armati sovietici classe T.
E’ all’addetto militare francese a Madrid – colonnello Henri Morel – si deve la prima relazione sugli effetti psicologici di un bombardamento su persone ( lui stesso) in ambienti non fortificati. Ammise, pur essendo un reduce di guerra, dopo un bombardamento aereo italiano, di essere rimasto oltre un’ora inebetito, benché incolume ( rapporto al 2eme bureau del 22 ottobre 1937 “lezioni tattiche della guerra di Spagna”).
Le mitragliatrici furono invece collaudate da LordKitchener nella campagna del Sudan contro il Mahdi ( morto mesi prima)del 1898. A Ondurmann, le perdite umane sudanesi furono enormi ( in un giorno, tra morti e feriti oltre ventimila popolani sommariamente armati che attaccavano con vecchie sciabole, falci e archibugi spinti dal fervore religioso) contro perdite irrisorie dello schieramento britannico: 46 di cui oltre la metà soldati e graduati egiziani . Ufficiali inglesi caduti: tre.
Il razzismo innato degli inglesi impedì loro di capire che la mitraglia avrebbe avuto effetto anche sui bianchi e offrì inconsapevolmente alla mitraglia una intera generazione di inglesi e francesi che ne venne sterminata pochi anni dopo sui campi della Marna, della Somme e di Verdun.
Più simili all’attuale, i conflitti immediatamente precedenti la guerra mondiale, come ad esempio il conflitto anglo-boero ( e , in parte la guerra italo-turca in Libia che vide il primo uso del bombardamento aereo con un tenente dei bersaglieri che tirò un paio di bombe a mano su un accampamento beduino).
In sud Africa, si inaugurarono, i campi di concentramento per donne e bambini dei boeri che continuavano la guerra ad oltranza. Gli bruciavano le fattorie e i familiari venivano lasciati morire di inedia e di fame e di malattie, al punto che una eroica donna inglese Emily Hobhouse condusse una feroce campagna contro il governatore locale Alfred Milner, accusandolo – dopo un giro di ispezioni grazie alle sue conoscenze altolocate – di aver istituzionalizzato questi trattamenti inumani, le fosse comuni ed altre forme di brutale inciviltà che oggi vengono rimproverati a Israele e ai russi, per piegare i coloni riottosi al volere di sua maestà e allo sfruttamento britannico delle miniere d’oro.
Alfred Milner, Alto Commissario e Governatore della Colonia del Capo dal 1897 promosse la guerra contro i Boeri per conquistare le due repubbliche governate dai coloni bianch di origine olandese dello Stato Libero di Orange e della Repubblica del Sud Africa del presidente Paul Kruger.
Gli appetiti inglesi su quelle terre nacquero nel 1867 con la scoperta della più grande vena d’oro mai trovata nel Transvaal.
La conquista condotta con mano ferma e senza scrupoli fruttò all’Inghilterrauna nuova perla perll’impero e a Milner il titolo di Visconte. Cecil Rodhes, l’uomo più ricco del mondo alla sua morte delegò a Milner la gestione delle sue immense ricchezze perché le usasse per salvaguardare l’impero. e la supremazia della razza bianca. L’ex presidente degli USA Bill Clinton é stato un borsista della Fondazione Rodhes.
I due si ritroveranno su opposte barricate anche in occasione del primo conflitto mondiale di cui Milner fu poi uno degli artefici, assieme a Georges Clemenceau, entrambi legati anche dalla comune corrisposta passione per Lady Violet Cecil, nuora di Lord Salisbury, il primo ministro.
Anche qui, ci fu una errata valutazione della cavalleria a causa della carica di Kimberly che portò alla luce per ragioni di propaganda due dei protagonisti ( i generali John French e Douglas Haig) che poi comandarono le truppe inglesi sul continente credendo di essere ancora alle prese con contadini boeri e che il cavallo fosse l’arma risolutiva per eccellenza. Contro questi idee incrostatesi in menti anguste, si levarono prevalentemente donne di carattere provenienti dalla buona società come la già citata Emily Hobhouse e Charlotte Despard ( nome da sposata, in realtà la sorella del generale French), pacifista, sindacalista e comunista.
Assisi: un momento della manifestazione straordinaria ” marcia per la pace” organizzata in questi giorni ad Assisi. La marcia ricorda i ” fioretti di San Francesco” sulla perfetta letizia che iniziano spesso con ” Andando una volta santo Francesco da Perugia ad Assisi a tempo di verno ed il freddo grandissimo fortemente il crucciava…” Ora si marcia con meno letizia e senza comunicati sui media, ma la fame di pace affligge ugualmente un largo strato della popolazione italiana.
Le azzittarono col trucco inventato da Milner in Africa della ” guerra di difesa perché aggrediti”.E continuano ancora oggi che il testimone dei Sassoni é passato agli USA dove Lady Violet Cecil trasferì, dopo il 1945 la sua rivista “ National Interest“. In pratica la lotta tra imperialismo e pacifismo é stata essenzialmente una lotta tra menti femminili inglesi, di cuore e di carattere.
Il coraggio e l’audacia sul campo di battaglia – riservato ai maschi- non furono però più l’elemento decisivo delle battaglie con l’arrivo del nuovo secolo. Il primo conflitto mondiale – come il secondo- furono vinti dai paesi con maggiore capacità di produzione industriale protetta.
All’alba del nuovo secolo – il XXI – le armi decisive stanno rivelandosi l’elettronica e la comunicazione ( e il loro abbinamento). Ecco perché l’Ucraina sembra essere vittoriosa contro un colosso industrial-militare di vecchio tipo. Ecco perché chi sta collaudando di più i nuovi metodi ( incluso il cecchinaggio dei comandanti, impiegato per la prima volta contro lo sbarco ” di prova ” della brigata canadese a Dieppe nel 1942 dai tedeschi, che indusse gli USA a mettere sul retro degli elmetti – invece che sul davanti- le insegne di grado dei comandanti) sono gli anglosassoni e chi sta imparando di più, a caro prezzo, sono i russi, come avvenne nella campagna di Finlandia ( 1939) di cui Curzio Malapararte ci ha lasciato reportages interessanti e battute indimenticabili, come la differenza con l’Italia (“i finlandesi sono praticanti ma non credenti, gli italiani sono credenti, ma non praticanti” per sottolineare che l’Italia era non belligerante, e faceva solo chiacchiere e proclami).
IL NEGOZIATO DI ISTANBUL E IL FANTASMA DELLA NEUTRALITÀ
Fedeli alla vecchia tradizione USA che finiscono per provocare proprio i fenomeni che vogliono esorcizzare, gli americani, con l’annunzio della possibile adesione alla NATO di due stati tradizionalmente neutrali quali Svezia e Finlandia, hanno aperto l’ennesimo vaso di Pandora: quello della neutralità, su cui si sta dibattendo anche a Istanbul nei giri negoziali tra Ucraina e Russia, mediati dalla Turchia di Erdogan che, con questa mossa, si é differenziata dalla posizione degli altri partner NATO senza rompere con l’Alleanza Atlantica.
Autrice feconda, Micheline Calmy-Rey già ministro degli Esteri e presidente della Confederazione svizzera, nonché presidente del Consiglio d’Europa, offre con questo libro una visione inedita dell’idea di neutralità che chiama ” neutralità attiva” e consistente nella promozione attiva dell’idea e presi di pace invece che del pavido ed egoistico ripiegarsi su se stessi in cerca di una impossibile conservazione in un mondo ormai multipolare. Con una prefazione dell’ex Presidente francese Francois Hollande e contributi dei notissimi scrittori svizzeri Jean Ziegler e Roger Koppel, l’autrice propone all’Europa una funzione che gli burocrati di Bruxelles non hanno mai saputo ideare, benché sia in perfetta linea con l’ispirazione che ha creato l’istituzione, non nata per determinare il prezzo dei fagiolini e dei cavoletti …di Bruxelles.
Su 193 paesi del pianeta, gli stati neutrali sono una ventina e due tra questi sembrano sul punto di tradire la loro quasi secolare neutralità per aderire al blocco NATO nella vana ricerca di una sicurezza che non potranno comunque avere vista la vicinanza di confine con il presunto probabile avversario. Contenti loro….
Nel nostro caso, come Europei, abbiamo la scelta di onorare i più nobili motivi per cui l’Europa ha visto la luce ( mai più altre guerre sul nostro continente) o di obbedire alle pressanti richieste di una fazione USA in via di disfacimento dato che l’attuale presidente viene ormai visto come un ” one term President” privo di carisma, seguito e capacità di governo che a novembre gli elettori probabilmente non rinnoveranno.
Tornando al conflitto in corso, la strategia generale é mutuata dall’inquadramento fornito dall’ambasciatore Friederich Werner von der Schulemburg, per lunghi anni( dal 1934 fino alla guerra) ambasciatore a Mosca ed in seguito a capo del dipartimento 13 del Ministero degli Esteri tedesco che amministrava i territori conquistati a est.
Perfetto conoscitore del russo, era nato ed era stato allevato costì, sostenne – assieme al colonnello Claus von Stauffenberg, del quale condivise il destino dopo l’attentato a Hitler, che la Germania avrebbe potuto sconfiggere la Russia solo con l’aiuto dei russi trasformando la guerra in guerra civile e a tal uopo reclutò e portò in linea con la Wehrmacht oltre 250.000 uomini, appartenenti alle varie etnie su cui oggi anche gli USA intendono far leva, fino a che Hitler proibì il reclutamento di altri volontari russi. Speculando sul fatto che le ” altre etnie” non fossero da considerare russe il reclutamento continuò, ma in sordina fino a che i due, coi tremila complici antinazisti della “ Swarze Kapelle“, non finirono sulla forca.
Lo scontro sia ormai arenato in una sorta di replica tecnologica del primo conflitto mondiale: trincee, fango, fame e scontri ” corpo a corpo” tra persone che addirittura si conoscono, assumendo sempre più i contorni di una guerra civile. Una proxy war con a contrastare la Russia, un avatar di Joe Biden che non vuole concludere una trattativa perché non può e che non può vincere perché, fino a che la Russia avrà la superiorità aerea i rifornimenti più significativi ( artiglieria pesante, aerei da caccia) non avranno alcuna possibilità di giungere al fronte.
Resta intatta la possibilità che il parallelo con Hitler si spinga fino a segrete intese con possibili cospiratori ( Medvedev, Nebiulina ecc) , ma é inutile speculare sui segreti che non si cono c’erano che tra un secolo come sta avvenendo oggi per la Germania degli anni quaranta. Resta la carta dell’allargamento del conflitto ad altre etnie ( Georgia, Cabardinia, Moldova, Turkestan).
Si arriva così al capitolo più delicato della affidabilità degli USA come alleati. Su questo tema darò a giorni alle stampe un mio elaborato sulla fine ingloriosa del comando ABDA ( American , British, Dutch, Australian area) che fu il primo tentativo di creare una forza multilaterale per contrastare l’offensiva giapponese ( altro paese definito aggressore, mentre oggi, dopo ottanta anni, tutti gli storici riconoscono che gli USA li stavano strangolando limitando la loro possibilità di espansione e approvvigionamento petrolifero:
Nello scontro, contrariamente a quanto in promessa e in premessa, le indie olandesi non vennero difese e si lasciò distruggere quanto rimaneva della flotta olandese d’oltremare, dando la colpa al Maresciallo Archibald Wavel ( inglese) incaricato di una missione impossibile, non rifornito e al cui comando vennero sottratti mezzi USA che continuarono a rispondere direttamente a Washington per poi essere gli unici siuperstiti della sconfitta navale pi dolorosa del conflitto.
A questo ” tradimento” andrebbe aggiunta una lunga linea di stati e governanti coi quali gli USA hanno iniziato guerre per poi abbandonarli al loro destino ( Vietnam, Panama, Irak, eccetera)
Il tradimento più significativo é stato l’aver ” schiodato” l’Inghilterra dal Vicino Oriente, più con rudezza che con savoir faire:
Ancora un libro , ahimè in inglese, per illustrare in 380 pagine la storia di come gli USA scacciarono dai paesi arabi e dall’Iran ogni influenza britannica inviando come rappresentante personaggi come John Landis che ” consideravano come nemico principale, non la Germania, ma l’Inghilterra” a favore della quale dichiaravano di essere scesi in campo.
Prego il lettore di notare che tutte le fonti citate sono di origine atlantica e anglosassone, escludendo ogni fonte che potrebbe essere intesa come faziosa o parziale e interessata. Con queste premesse é ovvio che la guerra ucraina durerà molto. Quando scoppiò la guerra civile in Libano, previdi venti anni. Durò diciassette e mi scuso per l’approssimazione. Questa, rischia di durare altrettanto, a meno che non riesca l’intesa con i cospiratori interni alla Russia i cui nomi non conosco ma che é facile immaginare.
UN QUARTETTO DI GERONTI CI TRASCINA VERSO LA GUERRA MENTRE IL MONDO SCEGLIE LA NEUTRALITÀ
Ecco la prima pagina del NEW YORK TIMES di oggi 26 aprile 2022. Il quotidiano USA informa i suoi lettori che la neutralità guadagna spazio nel mondo: “Leaders of many countries refuse to take either side in the ucrainian fight.” Solo in Italia si cerca la guerra. Per distrarre la gente dall’idea di rivolta?
Gli storici della romanità narrano che quando giunse a Ravenna la notizia del sacco di Roma all’imperatore Romolo Augustolo, questi, all’annunzio ” Roma é perita!” scoppiasse in lacrime credendo trattarsi della sua gallina preferita cui aveva dato quel nome.
Gli storici della nostra era, racconteranno della ben diversa profondità di pensiero del nostro Presidente Sergio Mattarella che ci ha confidato di aver pensato immediatamente a ” Bella Ciao” all’annunzio dell’inizio della guerra tra Russia e USA, spacciata per conflitto tra Ucraina e Putin.
Dopo esserci doverosamente inchinati di fronte a tanto spessore di pensiero, affidiamoci all’Europa e al presidente del ” Comitato militare della Unione Europea” generale Claudio Graziano di cui favorisco una fotografia di circa sei anni fa. Ora, sicuramente non é migliorato.
Nella foto accanto: l’allora capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, oggi presidente del Comitato Militare della UE, mentre porge la mano cameratescamente a un manichino posto all’ingresso dello stand della Fiocchi. Più democratico lungimirante di così…
Non me la sento nemmeno di risparmiarvi la foto della ministra Elisabetta TRENTA del cui spirito improntato a criteri di assoluta democraticità non é parimenti lecito dubitare dopo che ha mostrato disponibilità assoluta a mettersi a disposizione delle nostre FFAA anima e corpo.
Nella foto a fianco: Elisabetta Trenta ministro della Difesa italiana gal giugno 2018 a settembre 2019, mentre da capitano in Irak si offre. All’obbiettivo si intende.
IL dibattito sull’opportunità di esaminare tutte le opzioni ferve un pò dappertutto come é agevole vedere nella foto del New York Times di oggi ( 26 aprile 2022) sopra e su ” Le Monde Diplomatique” di aprile 2022, sotto:
Ecco su quattro colonne l’articolo del prof Guillaume Lagane, ” aggregé d’histoire” che esamina la neutralità sotto ogni aspetto.
Prospettiva negata agli italiani che, come noto sanno che la parola d’ordine é una sola ” Vincere” ( è la parola d’ordine di una suprema volontà, come cantarono i nonni prima di piangere lacrime amare).
Mi scuso con i lettori più riflessivi, ma dopo aver constatato nel pubblico la massima disattenzione per questi temi riguardanti la vita e la morte della popolazione intera, non me la sento di spiegare troppo le varie posizioni del governo italiano su questo conflitto e il bullismo dei nostri dirigenti politici che andrebbero processati per non averci preparato ad eventuali conflitti dopo oltre ottanta anni di pace in Europa.
Non abbiamo il coraggio di difendere il nostro egoistico desiderio di sottrarre figli e amici al destino di chi é impreparato: essere il campo di battaglia e assistere impotenti come nella scorsa guerra allo scempio politico, economico e sociale dell’Italia.
Poco importa che si sia favorevoli o contrari. Siamo impreparati a tutto. Qualcuno dovrà pur pagare se negli ultimi trenta anni i pochi fondi a disposizione sono stati prima assorbiti dalla Marina e poi dall’aeronautica, lasciando l’esercito in stato di minorità, anche numerica, perfino rispetto alla polizia militare ( i CC) e privo di addestramento a livello gruppo tattico, di carri armati e artiglieria pesante. Sappiamo organizzare posti di blocco e siamo imbattibili nella raccolta rifiuti….
Putin ha avvertito con una serie di segnali precisi che ha capito il gioco: ha dato prima l’allarme nucleare ( segnale agli USA, non a noi che abbiamo poco o nulla di nucleare). Visto che Biden ha fatto il nesci, ha messo in stato di allarme la flotta del Pacifico (ovvia chiamata agli USA), altro segnale che i nostri hanno finto di non capire. Negli ultimi giorni, Lavrov ha evocato più direttamente lo spettro di ” una guerra con gli USA” ed ora “di una guerra nucleare”.
La Francia dispone di una trentina di bombe “A” di modesta dimensione e le elezioni di domenica mostrano che é spaccata a metà. Gli altri sono privi di armi nucleari. La guerra nucleare non ci riguarda. Riguarda Londra e gli USA.
E’ in corso una guerra limitata ( l’equivalente della “drole de guerre” del 1940 fino a Maggio) per avere – gli USA- basi nel mar nero. Se riescono, Putin potrebbe attaccare con armi nucleari direttamente gli USA.Non ora, ma a ottobre, in maniera da essere poi protetto anche dall’inverno russo.
Distrutte venti città di grande dimensione, gli USA sono una flotta ( e un Midwest) senza un paese. La Russia ha già ricostruito dal nulla Mosca ( 2 volte), Stalingrado, Leningrado e la Russia europea. Resta un immenso retroterra con decine di città da uno/due milioni di abitanti, alcune nemmeno segnate sulla carta geografica.
La direttiva nucleare presidenziale N 159 , firmata Carter, indica che gli obbiettivi principali sarebbero le infrastrutture.
L’autorizzazione recentemente chiesta dal Presidente Biden di poter lanciare i missili per primi (” first strike”: cosa fino a pochi mesi fa impensabile) significa che sanno di essere vulnerabili, a meno che il ” first strike” non miri all’Europa e dia loro abbastanza tempo per reagire.
In buon italiano significa che la Russia non ha interesse ad attaccare l’Europa, ma se decide di reagire potrebbe attaccare direttamente Londra o gli Stati Uniti. Questi, fin de non recevoir, cercano di coinvolgerci sperando che il primo campo di battaglia diventi il nostro continente.
La Cina lo ha capito. Il New York Times lo ha capito. Le Monde Diplomatique lo ha capito. E chi finge di non capire, é un beota o un traditore.
“NON CE NE SIAMO DIMENTICATI”. Sul discorso del presidente Putin del 27 aprile 2022.
Il discorso del presidente Putin al “Consiglio dei legislatori” del 27 aprile1 segue immediatamente le dichiarazioni del Ministro della Difesa e del Segretario di Stato americani a Kiev2, che individuano come obiettivo strategico “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“; e la riunione della NATO a Ramstein, con le dichiarazioni del presidente Biden, secondo il quale ci troviamo in un frangente storico analogo al crollo dell’URSS3.
Le dichiarazioni ufficiali americane chiariscono che l’obiettivo strategico statunitense è la distruzione dell’integrità politico-territoriale della Russia, una frammentazione della Federazione russa sul modello jugoslavo analoga a quella che seguì il collasso dell’URSS. Infatti, solo così è possibile “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“. Finché la Russia resta politicamente coesa, essa resterà una grande potenza, che sarà SEMPRE in grado di muovere guerra ad altri paesi. Non lo sarebbe più soltanto quando fosse disgregata in entità politiche troppo piccole e deboli per designare autonomamente un nemico.
Ovviamente, su questa base è assolutamente impossibile ogni trattativa tra Ucraina e Russia, tra paesi occidentali e Russia. Le dichiarazioni ufficiali americane risultano infatti in una chiara minaccia esistenziale per la Russia.
Il discorso del Presidente Putin ne prende atto, e reagisce con fermezza, chiarendo che la Russia è disposta a opporvisi con tutti i mezzi a sua disposizione, e si richiama all’esperienza storica del suo paese:
“Non abbiamo dimenticato i barbari piani dei nazisti per il popolo sovietico: scacciarlo. Ricordate, vero? Volevano costringere chi ne fosse in grado a lavorare come schiavi, a fare un lavoro servile, costretti in schiavitù. Chi venisse ritenuto superfluo, andava inviato oltre gli Urali o al Nord, per estinguervisi. Questo progetto è documentato, documentato storicamente. Noi non ce ne siamo dimenticati.
Ricordiamo anche come gli stati occidentali hanno incoraggiato terroristi e criminali nel Caucaso settentrionale nei primi anni ’90 e 2000, come hanno sfruttato i problemi del nostro passato, problemi reali, ingiustizie del passato nei confronti di interi popoli, compresi i popoli del Caucaso. Ma non lo hanno fatto per renderci migliori, nient’affatto. Hanno fatto tutto questo per riportare nel nostro presente i problemi del passato, per incoraggiare atteggiamenti separatisti nel nostro paese, e finalmente dividerlo e distruggerlo. Ecco perché hanno fatto tutto questo. Volevano ricacciarci nell’arretratezza. Molti hanno cercato di fare lo stesso con la Russia, in tutte le epoche.
[…] “Consentitemi di sottolinearlo ancora una volta: se qualcuno intende intervenire dall’esterno e creare una minaccia strategica per la Russia per noi inaccettabile, deve sapere che i nostri attacchi di rappresaglia saranno fulminei. Ne abbiamo gli strumenti, strumenti di cui nessun altro, oggi, può disporre. Non ci limiteremo a minacciare; li useremo, se necessario. E voglio che tutti lo sappiano: tutte le decisioni necessarie, su questo punto, sono già state prese.”
Da quanto sopra risulta che la Russia si dispone a combattere con tutte le sue forze per la propria sopravvivenza, e che è pronta a compiere gli stessi – spaventosi – sacrifici che l’hanno salvata dalla distruzione sia nella Seconda Guerra Mondiale (27 milioni di morti), sia nel più lontano passato, ad esempio contro l’invasione delle forze di coalizione europee guidate dalla Francia napoleonica.
Il 30 maggio 1962, alla Camera dei Lord, il Maresciallo Bernard Montgomery, Viscount El Alamein, disse: “Rule 1, on page 1 of the book of war, is: ‘Do not march on Moscow’.
L’Italia sta per partecipare a una guerra che si propone lo scopo di distruggere la Russia senza darsi neppure la pena di dibatterne in Parlamento. Per il bene dell’Italia, è necessario che tutti gli italiani protestino con la massima fermezza, in tutti i modi possibili e legali, contro questa decisione politica che coinvolge loro e i loro figli in una avventura bellica sciagurata.