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Israele si avvicina alla linea rossa dell’Egitto_di Geoffrey Aronson

Israele si avvicina alla linea rossa dell’Egitto

Le relazioni israelo-egiziane sono più pericolose che in qualsiasi altro momento dell’era post-Sadat.

Organization of Islamic Cooperation - Arab League Extraordinary Summit in Qatar

Geoffrey Aronson

19 settembre 202512:05

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Si può perdonare il discorso del 15 settembre del Presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi al vertice straordinario convocato all’indomani dell’attacco di Israele al Qatar. C’è troppo rumore nella cacofonia di voci generata dalla metastasi della campagna di vendetta di Israele a Gaza e, a dire il vero, Sisi non è noto per fare discorsi consequenziali.

Ciononostante, il presidente egiziano ha tenuto quello che potrebbe essere il discorso più importante di un leader egiziano, anzi di un governante arabo, dopo l’epocale discorso di Anwar Sadat davanti alla Knesset di Israele a Gerusalemme, quasi mezzo secolo fa.

Le osservazioni pionieristiche di Sadat hanno stabilito i parametri dello storico impegno israelo-egiziano che ora sono minacciati. Con tutti i suoi difetti e le sue inadeguatezze, la pace tra Egitto e Israele ha inaugurato una nuova era, anche se tutt’altro che pacifica, negli affari israelo-arabi e regionali, con al centro la diplomazia a guida americana.

“Se Dio mi ha destinato ad assumermi la responsabilità per conto del popolo egiziano”, dichiarò Sadat dal podio della Knesset;

uno dei compiti principali di questa responsabilità è quello di non lasciare nulla di intentato per risparmiare al mio popolo arabo egiziano gli orrori strazianti di un’altra guerra distruttiva, la cui portata solo Dio può conoscere. Dopo aver riflettuto a lungo, sono giunto alla conclusione che la responsabilità che mi assumo davanti a Dio e al popolo mi impone di andare in qualsiasi parte del mondo, anche a Gerusalemme, per esporre ai membri della Knesset – rappresentanti del popolo israeliano – tutti i fatti. Vi lascio quindi liberi di decidere, e sia fatta la volontà di Dio….

Oggi vi dico, e dichiaro al mondo intero, che accettiamo di vivere con voi in una pace duratura e giusta. Non vogliamo circondarci l’un l’altro con razzi pronti a distruggere o con missili di faide e odi….

Vi chiedo oggi – attraverso la mia visita a voi – perché non tendiamo le mani con fede e sincerità, per infrangere insieme questa barriera? … L’espansione non vi farà guadagnare nulla. …

Per quanto riguarda la causa palestinese, nessuno può negare che sia il nocciolo dell’intero problema. Nessuno in tutto il mondo oggi può accettare slogan sollevati qui in Israele, che ignorano l’esistenza del popolo palestinese e si chiedono addirittura: “Dov’è questo popolo? La causa del popolo palestinese e i suoi legittimi diritti non sono più ignorati o negati da nessuno.

Ero a Gerusalemme al momento della visita di Sadat, insieme a decine di giornalisti di tutto il mondo riuniti nel Teatro di Gerusalemme, per registrare questa nuova, drammatica e, in effetti, speranzosa svolta degli eventi;

Quel mondo è scomparso.

La strada così eloquentemente immaginata da Sadat è diventata un vicolo cieco, che minaccia l’esistenza stessa del popolo palestinese (per non parlare della creazione di uno Stato palestinese) e la distruzione della struttura diplomatica e di sicurezza costruita dagli Stati Uniti dopo la guerra del giugno 1967, con al centro il riavvicinamento Israele-Egitto.

A Doha, Sisi, l’erede di Sadat e della sua eredità, ha lanciato un avvertimento senza precedenti. Ha descritto Israele come un “nemico”, avvertendo che le politiche israeliane “non porteranno a nuovi accordi di pace, ma potrebbero annullare quelli esistenti”. Ha sollecitato “un’azione decisa e sincera” contro quelle che ha definito “le ambizioni del nemico”, affermando che solo misure decise potrebbero scoraggiare “ogni aggressore e avventuriero sconsiderato”.

“Israele”, ha dichiarato Sisi, “cerca di trasformare [la regione] in un’arena di aggressione, che minaccia la stabilità dell’intera regione e costituisce una grave violazione della pace e della sicurezza internazionale e delle regole stabili dell’ordine internazionale”.

Ha proseguito,

Le pratiche israeliane hanno superato ogni logica politica o militare e hanno oltrepassato tutte le linee rosse.

Al popolo di Israele dico: Ciò che sta accadendo ora mina il futuro della pace, minaccia la vostra sicurezza e quella di tutti i popoli della regione, ostacola qualsiasi possibilità di nuovi accordi di pace e addirittura annulla gli accordi di pace esistenti con i Paesi della regione. Le conseguenze saranno disastrose, con il ritorno della regione all’atmosfera di conflitto e la perdita degli sforzi storici di costruzione della pace e delle conquiste ottenute grazie ad essi, un prezzo che pagheremo tutti senza eccezioni.

Ci troviamo di fronte a un momento cruciale che richiede la nostra unità come fulcro fondamentale per affrontare le sfide della nostra regione, in modo da evitare di scivolare in ulteriori caos e conflitti e prevenire l’imposizione di accordi regionali che contraddicono i nostri interessi e la nostra visione comune.

Sisi non sta aspettando gli arabi e le nazioni islamiche. Sta prendendo misure militari concrete e minacciose nel punto di potenziale conflitto armato – la linea Philadelphi che separa l’Egitto da Gaza – e nel Sinai in generale, per scoraggiare le mosse israeliane di spostare i palestinesi oltre la frontiera.

Dall’ottobre 2023, l’Egitto ha aumentato significativamente la sua presenza militare nel Sinai settentrionale, in particolare lungo il confine con Gaza. The Middle East Eye ha riferito nell’agosto 2025 che l’Egitto ha dispiegato circa 40.000 soldati nel Sinai settentrionale, il doppio del numero consentito dal trattato di pace con Israele del 1979 e ben oltre gli aumenti negoziati negli ultimi 15 anni. 

Questi dispiegamenti nel Sinai includono anche armi pesanti e sistemi avanzati di difesa aerea HQ-9B di fabbricazione cinese, simili agli S-400 russi.

Questa rimilitarizzazione del Sinai mette alla prova la pertinenza delle limitazioni del trattato alla base dell’accordo di pace israelo-egiziano, compresa la MFO guidata dagli Stati Uniti con sede a Sharm al Sheikh, istituita per monitorare il rispetto del trattato ma apparentemente del tutto assente nell’attuale crisi.

Le immagini satellitari disponibili nei primi mesi dopo l’inizio della guerra (ma non attualmente) hanno rivelato che l’Egitto ha costruito un recinto di sicurezza murato nel Sinai, lungo la linea Egitto-Gaza, per prepararsi a un afflusso di massa di rifugiati palestinesi da Gaza. Questa costruzione comprende muri alti 7 metri intorno a un’area di 20 chilometri quadrati destinata ad accogliere più di 100.000 sfollati.

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Le conseguenze di una decisione israeliana di fomentare l’esodo di massa dei palestinesi attraverso la linea Philadelphi verso l’Egitto non possono essere sopravvalutate. Un esodo palestinese verso l’Egitto è infatti al centro delle preoccupazioni egiziane per l’aggressione di Israele a Gaza. Già nel novembre 2023, Sisi descriveva tale esodo come una “linea rossa” che avrebbe trasformato il Sinai in una base per attacchi contro Israele.

Una simile calamità potrebbe produrre un momento del 1948, mettendo in luce l’impotenza degli arabi in generale di fronte alla potenza militare israeliana e minacciando la stessa sopravvivenza del regime di Sisi.

Per una questione di autoconservazione sulla scia dell’implosione del vecchio ordine, il leader egiziano sta avvertendo Israele che la guerra è un’opzione.

L’autore

Geoffrey Aronson

Geoffrey Aronson è uno scrittore, analista e consulente americano specializzato in questioni mediorientali, con particolare attenzione al conflitto israelo-palestinese.. Ha partecipato agli sforzi diplomatici Track II tra gruppi israeliani e palestinesi e ha ospitato un impegno tra Israele e Siria nel 2005. Aronson è autore di diversi libri, tra cui Creare fatti: Israele, i palestinesi e l’Intifada e Da contorno a palcoscenico: La politica degli Stati Uniti verso l’Egitto.

BUONI, BUONISSIMI O INTERESSATI, di Antonio de Martini

BUONI, BUONISSIMI O INTERESSATI?

Mi sento sfinito dalle lamentele dei “buonissimi” che vorrebbero aiutare i migranti, politici o economici poco importa, a casa nostra e i “buoni” che vorrebbero aiutarli ” a casa loro”, o quanto meno a casa della Merlkel.

Il compito di un governo non è praticare virtù attinenti all’etica individuale, ma fare gli interessi della collettività nazionale.

Il nostro interesse nazionale comanda che :

a) Il Mediterraneo sia in pace e protegga i commerci senza i quali l’Italia non cresce ed importa miseria.
b) Il governo mantenga l’ordine pubblico e protegga le libertà civiche consolidate da secoli di vita comune.
c) Venga preservata la concordia nazionale che sola favorisce la crescita della ricchezza.
d) I presupposti inseriti nella Costituzione vengano implementati per la parte non ancora realizzata e cambiati per quella superata dagli eventi.
e) L’Italia sia armonicamente inserita nel contesto internazionale a lei più favorevole.

Alla luce di questi fatti non contestabili, il problema dei barconi carichi di miserabili in cerca di avvenire o di salvezza, non esiste, se non sfruttando ogni opportunità per aumentare il nostro tasso di sviluppo , la nostra influenza e la nostra capacità di difesa.

L’Africa – così com’è oggi – non può sviluppare le sue immense potenzialità umane e di materie prime.
Noi, per il nostro trascurabile passato coloniale, la nostra industriosità, la vicinanza, i capitali che possiamo attrarre, siamo in pole position rispetto agli altri paesi.

Esistono piani che giacciono nei ministeri da anni ( solo miei ce ne sono ancora un paio, che ebbero anche il placet dei paesi interessati e non costavano. Anzi.) e che non vengono messi in opera.per non spiacere a questo o quello.

Alcuni di questi progetti hanno una importanza strategica sia economicamente che geopoliticamente, consentirebbero di assorbire tutta la disoccupazione italiana, qualificandola.
Consentirebbero di acquistare da tre a cinque punti di PIL e un abbassamento dei prezzi di numerosi beni di consumo alimentare.

Cosa manca ? Manca un governo capace di non farsi ipnotizzare dalle polemichette interne con cadaveri galleggianti smossi dalla corrente coi quali litigano. Manca un governo che sappia passare all’azione.

Purtroppo, quel rompicoglioni di Einaudi ha detto che per agire, bisogna conoscere e temo che avesse proprio ragione.
Come ci dice il motto medioevale sui re analfabeti,

REX IGNORANS, ASINUS CORONATUS.

EGITTO. ULTIMA FERMATA

Nessun giornale o media italiano ha trattato della costruzione della NUOVA CAPITALE d’Egitto, che si sta costruendo a 40 km a est del Cairo. Avrà 5 milioni di abitanti, decongestionerà il Cairo ( dove vivono quattro milioni di persone solo nel cimitero della città…), il suo grattacielo più alto è previsto di 400 metri.

Più tempo passa e più appare chiaro che l’Egitto si avvia a diventare la più importante potenza del Mediterraneo.
Sta arrivando a cento milioni di abitanti;
ha concluso la pace con Israele, togliendosi una spina dal piede; ha proceduto al raddoppio del traffico nel Canale di Suez che già rende oltre cinque miliardi di dollari annui in diritti di passaggio; Sta forzando i tempi di incremento del turismo e ha abolito i voucher per la benzina ai meno abbianti ed altre amenità consimili.

Vi pubblico il link a un articolo di ” El Pais” che vi da una idea di quale possa essere la posta in gioco per un paese che non si stia a rimirare il proprio ombelico o quello della signora Regeni e dei suoi sostenitori interni ed esteri. https://elpais.com/internacional/2018/06/20/actualidad/1529522191_114703.html

L’Italia è il paese preferito dagli egiziani; le scuole tecniche italiane hanno allevato almeno tre generazioni di artigiani, geometri, ragionieri ecc.
Abbiamo collaborato alla diga di Assuan, Spostato di 150 metri di quota i templi di Abu Simbel, sostenuto l’Egitto nei periodi difficili, Trovato il petrolio nelle loro acque quando nessuno ci credeva.
Nessuno sa costruire come noi. Basta un minimo di coraggio e smettere di leggere le scemenze de ” Il corriere della Sera”.

MORTE A SUEZ, di Antonio de Martini

MORTE A SUEZ

riportato da https://www.facebook.com/antonio.demartini.589/posts/1290081454470976

Sembra che, a parte la macabra contabilità, nessun media sia capace di capire come mai ci siano attacchi nel Sinai.

Non esistono rivendicazioni territoriali di indipendenza o rivendicazioni di altro genere.

La zona di El Arish – più precisamente a bir El Abed, il pozzo dello schiavo- è isolata e priva di petrolio o altri interessi strategici. Gli abitanti sono perlopiù nomadi e di origini differenti.

Eppure gli attacchi più ” cattivi” si concentrano lì e negli ultimi tre anni, sono caduti centinaia di militari egiziani, cosa non accaduta altrove. I banditi sono ben armati. Sono arrivato su ” fuori strada”; molto per dei normali nomadi.

L’attacco, lontano dal canale, a civili inermi e in preghiera nel giorno festivo ( venerdì è la loro domenica) mira a far allentare la sorveglianza al canale di Suez e far spargere i militari su un’area più vasta diminuendo così la capacità di protezione e sorveglianza della truppa su una via d’acqua che frutta all’Egitto oltre 5 miliardi di dollari annui di royalties. Per noi europei è vitale.

Da quando la Cina è diventata “il produttore del mondo” e ha avviato le sue merci verso l’Europa sulla via della seta acquatica, ( Aleppo, terminale terrestre è stato inibito per sei lunghi anni) lungo il tragitto si sono create ipoteche di ogni genere: pirati nel mare di Giava prima dello stretto di Singapore; pirati prima dello stretto di Bab El Mandeb all’entrata del mar Rosso; minacce paramilitari al canale di Suez che mirano a impedirne la manutenzione ( dragaggio a intervalli regolari per evitare che le sabbie intasino il percorso).

Se questa via, che ha restituito la centralità perduta nel seicento al Mediterraneo, dovesse chiudersi o divenire antieconomica, tornerebbero in auge incontrastati i porti del nord Europa: Amsterdam, Anversa, Rotterdam, Londra, Amburgo ( ricordate la lega anseatica?) che conoscerebbero una rinnovata prosperità .

La Grecia, che ha ceduto parte del porto del Pireo ai cinesi, è stata duramente colpita per bilanci truccati che tutti sapevano essere truccati col consenso della UE, perché fare “l’Europa senza la Grecia equivaleva a fare un fronte laico senza Pannella.” Questo dicevano all’epoca.

Un solo ostacolo sulla rotta verso il Mediterraneo è un caso. Due ostacoli fanno pensare. Tre, permettono di individuare un trend. Quattro danno la certezza di un piano.

Vogliono che il Mediterraneo torni a un ruolo secondario per consentire la continuità dello sviluppo transatlantico.

L’Unione mediterranea proposta è voluta da Sarkozy, con sede a Barcellona e responsabile italiano, è nata come sistema per imbrigliare ogni iniziativa in materia. A riprova, non hanno fatto assolutamente nulla in un decennio.

La tecnica è la stessa applicata all’ufficio per la promozione dell’Olio di Oliva installato a Madrid con a capo il fratello del ministro italiano Saccomanni, che di fatto è sempre stato gestito da olandesi a Bruxelles ( UNILEVER ha il 90% dei propri grassi di provenienza animale, balene incluse ed è la più grande multinazionale olandese) e credo che nessuno ne abbia sentito parlare.

Egemonizzano le situazioni con lungimiranza geopolitica approfittando della debolezza dei paesi mediterranei che si possono comprare assegnando loro la sede dell’ente preposto a fare gli interessi altrui, quattro posti di lavoro e due prebende.

Adesso vogliono insabbiare il canale di Suez che l’Egitto difende con le unghie e coi denti presidiandolo giorno e notte nonostante le ingenti perdite umane di cui nessuno parla.

Adesso hanno deciso di giocare la carta del massacro ( se succede in Irak se ne fregano tutti) per costringere il governo egiziano a disperdere le forze e allentare la sorveglianza sul canale in maniera da ostacolare i dragaggi.

E non sono stati i fratelli mussulmani.