DONBASS GAME-OVER, MA TRATTATIVE ANCORA FERME, di Marco Giuliani
DONBASS GAME-OVER, MA TRATTATIVE ANCORA FERME
Quarto mese di guerra: i russi avanzano. Ciò nonostante, Russia, Nato e Ue non trattano
Caduta Mariupol, si può dire che Mosca controlli oramai quasi tutto il Donbass; evidentemente, però, per lo stop alle armi, ci vorrà tempo. O quanto meno, le parti, a cominciare dalla Nato del falco Stoltemberg (e di chi fa le veci di Zelensky), non trattano ancora la beneaugurata tregua. Perché gli alleati atlantici sembrano essere il primo soggetto giuridico a voler procrastinare (sulla pelle degli ucraini) il raggiungimento di una pace duratura? Esaminiamo alcuni dati.
Innanzitutto, per stessa ammissione di Kiev, le cose si stanno mettendo molto male. La resa dei neonazisti dell’Azov ha accelerato un processo che di giorno in giorno è apparso lento, ma irreversibile; lo ha riconosciuto alcuni giorni fa proprio Zelensky, il quale, stavolta si, sembrava aver preso atto realisticamente che occorresse giungere a dei colloqui seri, e magari non eterodiretti, come sono stati e continuano a essere per gran parte. Suddetta “apertura” si è purtroppo infranta contro quello che è sembrato a tutti gli effetti un veto incrociato Nato-UE, tanto che il premier ucraino, a distanza di poche ore, ha di nuovo parlato di “futura vittoria” smentendo sé stesso e affermando principi non percorribili, ancorché vecchi di tre mesi. Detto e ribadito, anche per bocca di personaggi non certo noti per essere dei filo-putiniani – vedi Bloomberg e Parmelin, ministro dell’Economia elvetico – che le sanzioni non stanno avendo l’effetto che Washington e Bruxelles desideravano, ora succede che aumenta il traffico indiscriminato di armi verso Kiev senza una tracciabilità e senza uno straccio di riscontro che le stesse armi approdino presso l’esercito gialloblù (o di quello che ne è rimasto). È per questo che di fronte alla mattanza di soldati e civili, Zelensky, intestardendosi su una presunta liberazione dei territori russofoni a Sud, appare sempre più una pedina mossa dal giogo anglo-americano.
Con la guerra non si scherza. In una condizione del genere, è opportuno ripensare alla scarsa sensibilizzazione mostrata in passato dalla comunità europea rispetto al problema delle minoranze in territorio ucraino, alle quali, nella migliore delle ipotesi, sono stati tolti una serie di diritti fondamentali e nella peggiore sono state bombardate. Non va dimenticato inoltre nel referendum del 1991, dissolta l’URSS, il 20% degli ucraini, corrispondente a circa 8 milioni di elettori, si pronunciò a favore dell’inglobamento amministrativo nella nuova Russia guidata da Boris Eltsin. In un contesto simile, come non tener conto delle comunità ucrainofone filorusse che dal 2014 sono vessate perché culturalmente diverse? Allo stesso modo, tutti coloro che da più di trent’anni hanno la cittadinanza russa (circa un milione di persone) non possono continuare a essere oggetto di discriminazione. Ne va che Unione Europea e comunità occidentale si sono spesso voltate dall’altra parte.
Detto che Mosca martella ormai sistematicamente Kharkiv e Donetsk e sta puntando su Sloviansk (dove il cerchio si chiuderà), cosa impedisce ancora l’allestimento di un tavolo per trovare accordi ed evitare altre migliaia di vittime? Cosa c’è dietro il rifiuto dei belligeranti e dei cobelligeranti? I miliardi che muove l’industria militare, oppure un forte interesse perché la Russia venga fiaccata in modo tale da ottenere un nuovo ordine geopolitico ed economico mondiale? Un ritorno alla vocazione imperialista post-sovietica? Ogni ipotesi o congettura sono possibili, come è possibile che tutto cambi perché nulla cambi. Ma, repetita iuvant: come può un capo di Stato accettare di sacrificare la sua popolazione e trasformarla in cavia per difendere le libertà europee o il principio di democrazia in senso astratto? Premesso che il governo ucraino di liberal-democratico ha sempre avuto ben poco, è proprio quest’ultima considerazione, giusta o sbagliata, che suscita fortissimi dubbi. Fermo restando che agli occhi dell’opinione pubblica internazionale – eccetto forse Di Maio – Kiev non appare più credibile, è il caso che la comunità internazionale cominci a riflettere se sia il caso di riconoscere le repubbliche russofone meridionali, almeno come entità autonome. Solo così si aprirà uno spiraglio.
MG
BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA
Blick, quotidiano svizzero, intervista a Guy Parmelin del 05/06/2022 –
Il sole 24 ore del 22/02/2022 –
Limes, mappa geografica politica dell’Ucraina (compreso il fronte di guerra) –
notiziegeopolitiche.net
Televideo Rai del 04 e 05/06/2022, pp. 150 e 180 –