Il caso Oto/WASS e “l’anomalia” italiana nell’industria della Difesa

Qui sotto un articolo tratto dal sito https://www.analisidifesa.it/  Il Governo Draghi deve seguire il solco del PNRR, una delle sue ragioni essenziali di esistenza. Di Draghi, della sua caratteristica di funzionario, piuttosto che di leader politico e capo del governo, abbiamo discettato frequentemente su questo sito. L’azione politica è però fatta di singoli eventi chiarificatori. Il trattato internazionale prossimo venturo con la Francia e il possibile accordo industriale OTO/WASS  di cui all’articolo in calce faranno più luce sulla missione e sull’investitura dell’attuale Presidente del Consiglio. Del primo, a pochi giorni dalla firma, non si conoscono termini e linee generali; sul secondo non mancano le riserve, tanto più che la cessione della tecnologia hardware legata all’artiglieria navale, pur secondaria in ordine di importanza rispetto all’elettronica e al software, ambito nel quale le aziende italiane primeggiano, comporta delle implicazioni sul settore siderurgico già traballante e sulla sicurezza nelle forniture in mancanza di strategie comuni, non confliggenti, tra i paesi implicati. Un problema per altro già sorto, anche se non evidenziato dalla stampa, nei rapporti di cooperazione militare e tecnologica tra Germania e Francia. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il caso Oto/WASS e “l’anomalia” italiana nell’industria della Difesa

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E’ bufera sulla cessione da parte di Leonardo della ex Oto Melara, storico produttore di cannoni navali e mezzi blindati e corazzati, e la ex WASS, società di punta nella realizzazione di siluri, equipaggiamenti e droni subacquei, dopo che è stata ufficializzata un’offerta di acquisto da parte del consorzio franco-tedesco KNDS.

Il colosso europeo nel settore degli armamenti terrestri che unisce KMW e Nexter, ha presentato a Leonardo un’offerta che si inserisce nei negoziati che da qualche settimana si susseguono tra Leonardo e Fincantieri, evidenziando il bivio strategico e industriale davanti a cui si trova l’Italia.

La notizia dell’offerta franco-tedesca, da tempo a conoscenza degli addetti ai lavori, pone il Governo Draghi davanti a una scelta che avrà ripercussioni rilevanti sull’industria della Difesa nazionale e al tempo stesso definirà le reali linee guide dell’esecutivo in termini di sovranità nazionale e di tutela del ruolo dell’Italia in Europa.

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Legittima la volontà di Leonardo, azienda pubblica, di cedere le attività e gli stabilimenti ex Oto Melara di La Spezia e Brescia ed ex Whitehead Sistemi Subacquei (WASS) di Livorno, dal 2016 confluite nella Divisione Sistemi di Difesa di Leonardo.

Il gruppo di Piazza Montegrappa vorrebbe cedere le attività per rafforzarsi in Europa nel settore dell’elettronica puntando a incassare dalla vendita i 600 milioni necessari all’acquisto del 25 per cento delle azioni dell’azienda tedesca Hensoldt.

Fincantieri, azienda anch’essa a controllo pubblico e leader mondiale nella produzione di navi da crociera e militari (ma attiva anche in numerosi altri settori militari e civili), si è offerta di rilevare le attività che Leonardo intende cedere anche se per alcune settimane sono circolate voci di una difficile intesa tra le due società italiane proprio sul prezzo. Nei giorni scorsi sono circolate sui quotidiani indiscrezioni che valutano l’’offerta di KNDS addirittura tripla di quella di Fincantieri: ipotesi che fonti ben informate sentite da Analisi Difesa hanno smentito.

La differenza sembra confermata tra le due offerte ma sarebbe di circa 100 milioni o poco più per un affare dal valore compreso tra 500 e 650 milioni di euro.

La vera anomalia, tutta italiana, è che un’operazione di cessione di attività e stabilimenti che coinvolge due aziende di Stato operanti in un settore così delicato non venga gestita direttamente, preventivamente e senza troppi clamori fino alla conclusione dell’accordo dal governo che di fatto è l’azionista di maggioranza di entrambi i gruppi.

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Si presume che la volontà di Leonardo di dismettere alcuni rami di attività (anche DRS negli Stati Uniti) per rafforzarsi in altri sia nota e condivisa dall’esecutivo così come l’opportunità di potenziare Fincantieri che con Oto Melara e WASS si rafforzerebbe sensibilmente nel settore navale entrando in quello degli armamenti terrestri e munizionamento avanzato.

Inoltre dovremmo considerare quanto meno auspicabile la volontà del governo di mantenere la proprietà italiana e pubblica degli stabilimenti e delle capacità delle due aziende. Mantenere all’interno del perimetro industriale nazionale aziende leader come OTO e WASS significa infatti salvaguardare nel tempo capacità produttive, posti di lavoro e competitività sui mercati.

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Per queste ragioni il dibattito sull’offerta straniera e sul “chi offre di più” risulta anomalo e poteva tranquillamente venire evitato gestendo nei ministeri appropriati l’intera vicenda, garantendo gli interessi di entrambi i gruppi industriali nazionali e quindi dello Stato.

A meno che non si voglia politicamente cogliere la palla al balzo per avviare, sull’onda del dibattito sull’offerta straniera finanziariamente più ricca, la svendita dell’industria italiana ad alta tecnologia di valore strategico.

E’ infatti di tutta evidenza che cedere le ex Oto Melara e WASS ai franco-tedeschi significa consentire ai nostri rivali europei di acquisire il know-how e le eccellenze nazionali in settori strategici col rischio che entro qualche anno gli stabilimenti italiani vengano chiusi per concentrare la produzione in Francia e Germania.

Per qualche centinaio di milioni vale forse la pena cedere a stranieri l’azienda leader nel mondo nei cannoni navali soprattutto ora che è stato validato il rivoluzionario munizionamento intelligente a lungo raggio Vulcano per cannoni navali da 127 mm e terrestri da 155mm?

Ha forse un senso cedere ai nostri competitor un’azienda che con i suoi siluri hi-tech compete nel mondo proprio con aziende francesi e tedesche in questo mercato ad alto valore strategico?

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E’ vero che sul fronte dei mezzi corazzati Oto Melara non è più da tempo competitiva ma rivitalizzarla, come intende fare Fincantieri per inserirla all’interno di progetti di cooperazione europea come il carro armato franco-tedesco MGCS o il nuovo cingolato da combattimento è cosa ben diversa dal cederla alla concorrenza.

Nei grandi programmi europei l’Italia può entrare da protagonista, più ad alto profilo nel settore navale, certamente con meno pretese in quello terrestre, ma mentendo sovranità, impianti produttivi e maestranze qualificate.

Oppure, in alternativa, l’Italia può entrarci con la cessione di interi rami industriali determinando così la nascita dell’Europa della Difesa non su una base di cooperazione ma rafforzando l’egemonia franco-tedesca e favorendo l’assimilazione della nostra industria a quelle delle due maggiori potenze continentali.

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Probabile che dell’affare Oto Melara/WASS abbiano parlato ieri Draghi e Macron e non c’è dubbio che l’esecutivo italiano sia oggi chiamato a mostrare un preciso indirizzo in termini di tutela degli interessi strategici nazionali.

Specie in un contesto in cui ben poca chiarezza è stata fatta finora circa l’accordo strategico bilaterale in fase di definizione con la Francia il cui dossier è gestito dal Quirinale.

Il ritornello della cessione di sovranità necessaria nel nome dell’Europa risulta infatti oggi quanto meno fuori luogo: basti ricordare dopo anni di trattative Parigi si è rifiutata di cedere il controllo dei Chantiers de l’Atlantique (STX) all’italiana Fincantieri mentre non aveva avuto difficoltà a cederne per anni il controllo a un partner sudcoreano.

Per comprendere poi con quale spirito di amicizia, cooperazione e “fratellanza europea” i francesi considerino le aziende italiane e il loro peso sul mercato è sufficiente leggere cosa ha scritto recentemente il quotidiano economico La Tribune, vicino all’industria della difesa d’OItralpe, che lamenta l’aggressività e i successi commerciali di Fincantieri nel settore delle navi militari come un grosso ostacolo e un temibile rivale per la cantieristica francese.

Difficile immaginare oggi che Parigi e Berlino siano disposti a cedere a gruppi italiani il controllo di aziende hi-tech, del settore della Difesa o meno.

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Nell’intera operazione Oto/WASS inoltre, risulterebbe arduo giustificare come conveniente per gli interessi nazionali la cessione degli stabilimenti italiani a un consorzio straniero per consentire in cambio all’azienda italiana che li pone in vendita di acquisire un quarto delle azioni di un’industria elettronica tedesca.

Sulla necessità di fare chiarezza e di mantenere le ex Oto Melara e WASS “italiane e pubbliche” si sono espressi in questi ultimi giorni tutti i sindacati e quasi tutti i partiti: per prima la Lega seguita poi da Partito Democratico, Forza Italia, Italia Viva, Coraggio Italia e Fratelli d’Italia.

Sulla stessa linea il governatore della Liguria, Giovanni Toti, mentre nel governo sono emerse finora solo le voci dei due sottosegretari alla Difesa. Stefania Pucciarelli (Lega) ha affrontato per prima la questione, l’11 novembre, sottolineando la necessità che “dall’ipotesi di vendita non debba derivare la consegna della proprietà nelle mani di imprese straniere”.

Giorgio Mulè, parlando oggi a Sky Tg24, si è espresso a favore della vendita a Fincantieri per “dare quella spinta che eviti ad un’azienda nazionale e strategica di finire in mano franco-tedesche”.

Foto: Leonardo, Fincantieri e Il Secolo XIX

https://www.analisidifesa.it/2021/11/il-caso-otowass-e-lanomalia-italiana-nellindustria-della-difesa/

Istituzioni e sovranità! La funzione dell’Esercito Italiano. Ne discutiamo con il Generale Marco Bertolini

Da troppi decenni l’Esercito Italiano fatica a godere di quella considerazione indispensabile a garantire nel migliore dei modi l’esercizio della sovranità nazionale, la cura degli interessi nazionali stessi e la costruzione di una identità e coesione più solida del popolo italiano. Sempre presente nelle ricorrenti situazioni di emergenza interna al paese e costantemente impegnato in numerosi teatri operativi internazionali, questi ultimi a volte giustificati dalla presenza di interessi nazionali, a volte trascinato da strategie estranee, spesso viene relegato al riconoscimento di una funzione ausiliaria. Un atteggiamento che inibisce il peso politico di una istituzione fondamentale nella costruzione di una coesione nazionale lungi dall’essere ancora compiuta. La crisi dell’ideologia globalista sta riproponendo nella giusta dimensione il ruolo degli stati nazionali e la affermazione delle prerogative loro proprie. Le classi dirigenti italiane non sembrano ancora consapevoli delle implicazioni di questo cambio di paradigma. Ne discutiamo con il Generale Marco Bertolini_Giuseppe Germinario

*Il Generale di Corpo d’Armata (ris.), Marco Bertolini, è nato a Parma il 21 giugno 1953. Figlio di Vittorio, reduce della battaglia di El Alamein, dal 1972 al 1976, Marco Bertolini ha frequentato l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione d’Arma di Torino. Nel 1976, con il grado di Tenente, è stato assegnato al il IX Battaglione d’Assalto Paracadutisti Col Moschin – una delle unità di elite delle Forze Armate italiane – del quale, per ben due volte (dal 1991 al 1993 e dal 1997 al 1998), è stato comandante.

Già comandante, dal 1999 al 2001, del Centro Addestramento Paracadutismo, dal 2002 al 2004 è stato posto al comando della Brigata Paracadutisti Folgore per poi assumere il comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) e, successivamente, quello del Comando Operativo di vertice Interforze (COI). Dal luglio del 2016 Marco Bertolini ha cessato il suo servizio attivo nelle Forze Armate. Attualmente è Presidente dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia.

L’intervista ha preso spunto dall’articolo apparso sul sito www.ordinefuturo.it , link https://www.ordinefuturo.it/2020/04/14/considerazioni-in-tema-di-forze-armate/?fbclid=IwAR1-mMCh4_OTj74yS8-gPHsw7oYi9qHcsfmTY3iVCmX_dpwd0N9CbGnDYcY , a sua volta ripreso dal nostro sito il 15 aprile scorso

Considerazioni in tema di Forze Armate, del Generale Marco Bertolini

La crisi delle Forze Armate italiane non è cosa recente, ma affonda le sue radici nella storia degli ultimi tre quarti di secolo. Fino alla fine del millennio, in particolare, l’Italia aveva Forze Armate a coscrizione obbligatoria, con pochissime componenti professionali pure. Anche tra gli Ufficiali, vale a dire tra coloro che rappresentano la struttura portante dell’Istituzione, il ricorso a personale di complemento, o dal complemento passato in servizio permanente (il cosiddetto “Ruolo Speciale”- RS) previo superamento di un concorso, era generalizzato. Si trattava comunque di personale preparato, non essendo il superamento di tale concorso una bazzecola. In ogni caso, solo per le figure destinate ad assumersi, con la carriera, responsabilità dirigenziali, si ricorreva ad Ufficiali del “Ruolo Normale”, vale a dire passati attraverso l’iter selettivo e formativo dell’Accademia Militare, e poi della Scuola d’Applicazione e della Scuola di Guerra.  L’Ufficiale d’Accademia era, così, quasi una mosca bianca anche in molti reparti operativi, nei quali molte minori unità (plotoni e compagnie) erano comandate da Ufficiali di complemento o comunque del RS, a conferma della loro sostanziale validità.

Quanto alla truppa, era costituita da giovani chiamati alle armi con una preparazione all’impiego operativo piuttosto superficiale, per forza di cose dato il breve tempo a disposizione per affrontare attività comunque complesse.

Ma un problema ulteriore era rappresentato dalla percezione dell’importanza dello strumento militare da parte dell’opinione pubblica, condizionata a ritenerlo marginale, se non a supporto di altre istituzioni per affrontare situazioni critiche per lo più “interne”. Questo stato delle cose ha portato ad una continua diminuzione delle risorse per una realtà che si riteneva sostanzialmente poco utile, riducendo sempre più le possibilità di addestramento per il quale venivano negati fondi, poligoni, aree addestrative in un vero e proprio crescendo rossiniano.

Arriviamo così all’inizio del millennio ad un punto di svolta: come in tutti i paesi occidentali si decide di trasformare l’Esercito[1] in senso professionale per far fronte ad una nuova missione: l’esportazione della democrazia all’estero e non semplicemente la difesa della soglia di casa. Da Esercito di coscritti, insomma, ad Esercito di professionisti, nel malinteso che la qualità possa sostituirsi alla quantità per un impiego nel quale tra i principi dell’”Arte della Guerra” che si insegnano in tutto il mondo la Massa continua ad avere un ruolo primario. Venne così stabilito, al termine di un processo di ridimensionamento durato anni, che le FA italiane dovessero arrivare ad assommare 150 mila uomini di cui solo 90 mila per l’Esercito, la Forza Armata di riferimento. Quest’ultima, inoltre, veniva privata dell’Arma dei Carabinieri in ossequio al principio bufala della priorità dell’impiego di Polizia rispetto a quello militare puro, mentre l’Arma veniva portata, da sola, ad oltre 120 mila uomini che, in aggiunta ad altrettanti della Polizia di Stato e circa 60 mila della Finanza, e senza contare altre polizie minori e locali, assicurano all’Italia una componente di Ordine Pubblico estremamente importante. Il mito della corruzione italiana e della nostra criminalità congenita che non ci dovrebbe lasciare il tempo di curare i nostri interessi all’estero (con le Forze Armate, quindi) è così servito.

Con tale provvedimento, insomma, si buttò il bambino con l’acqua sporca, arruolando infatti per un impiego che richiede energia ed una certa dose di spregiudicatezza giovanile, personale destinato ad “invecchiare” col fucile in mano. Personale che, contemporaneamente e conseguentemente, era destinato ad un progressivo imborghesimento dovuto all’età che avanza, alle esigenze della famiglia che si costituisce e ai problemi connessi con un menage casalingo che non può adattarsi più di tanto ad un’attività che presuppone trasferimenti, lunghi periodi di impiego lontano dai propri cari, ecc. Le conseguenze di questa situazione assurda le vediamo oggi con la pretesa di sindacalizzare le Forze Armate, con un provvedimento ideologico di portata epocale che tende a snaturarle. Forse non inconsapevolmente.

Insomma, quanto sopraindicato vuole semplicemente evidenziare quale è stato il sostrato sul quale si sono innestati successivamente molti dei provvedimenti che ci portano alla situazione attuale, alla quale si deve certamente porre rimedio, nella consapevolezza che non c’è Sovranità che tenga senza uno strumento militare che la rappresenti e la difenda.

Ma si tratta di un problema molto serio e complesso, che richiederebbe interventi a giro d’orizzonte impossibili da trattare prescindendo da analisi tecniche che devono essere affrontate dagli addetti ai lavori. In linea di principio, invece, quello che credo sia possibile a livello concettuale è individuare i macro-problemi da risolvere, avendo però chiaro che non sono di facile soluzione anche per l’impatto sociale che potrebbero avere.

Uno di questi riguarda la già citata esiguità dello strumento, con particolare riferimento all’Esercito. 90 mila uomini sono pochini, tenuto conto che a differenza delle forze di Polizia una Forza Armata è, per esigenze operative e per la complessità delle funzioni ad essa destinate, una struttura molto gerarchizzata e sfaccettata, nella quale buona parte del personale è destinato a funzioni di Comando e controllo, Comunicazioni, logistiche, scolastiche, addestrative, incomprimibili. Anzi.

In sostanza, in un Esercito di 90 mila uomini quelli materialmente impiegabili sul campo in ruoli esecutivi (col fucile in mano, per intenderci) non possono superare 1/3, 1/4 del totale. E il tutto dovrebbe essere sostenibile nel lungo periodo, fino alla fine dell’emergenza, cosa impossibile in caso di impieghi onerosi in termini di risorse utilizzate, tra cui le vite dei militari.

Ad integrazione di tale componente, quindi, una limitata componente di leva, per tre o quattro Brigate (15-20 mila uomini), da impiegare in compiti meno impegnativi come quelli di supporto alle Forze dell’Ordine o per alimentare la componente professionale con personale già scremato, a questo punto, potrebbe essere quindi opportuna; ma non si può ignorare che per una funzione che implica selezione, chiamata, ricezione, vestizione, accasermamento, vettovagliamento di personale sempre nuovo servono strutture e strumenti che abbiamo in buona parte perso, a partire dai Distretti Militari. E dalle caserme, molte delle quali ormai dismesse ed inutilizzabili. Insomma, non credo che sia possibile procedere ad una ripresa della leva senza investimenti significativi.

Una soluzione ottimale, per integrare in un primo tempo e poi per rimpolpare la componente “professionale” dell’Esercito, ma difficile da percorrere in un paese che aborrisce ogni accenno al precariato, è quello di una ferma limitata a tre, massimo sei anni, per chi ne faccia domanda. Una soluzione del genere potrebbe essere percorribile anche a fronte della presumibile crisi occupazionale dei prossimi anni, offrendo ai giovani che lo vogliano un impiego a tempo determinato, e non rinnovabile a meno di casi eccezionali da valutare di volta in volta. Con i giovani in uscita da questo impiego, si potrebbero così ricostituire delle riserve effettivamente operative, da richiamare per periodici aggiornamenti ed alle quali assicurare  alcuni dei pochi benefit rimasti ai militari in servizio, come la fruizione dei pochissimi circoli sopravvissuti alla furia iconoclasta dei moralizzatori antimilitaristi che ha dato il peggio di sé negli ultimi tre decenni.

Ciò detto, riterrei quindi prima di tutto necessario invertire urgentemente l’attuale decremento dell’Esercito portandolo ad una forza decisamente superiore all’attuale, auspicabilmente dell’ordine delle 120 mila unità circa, almeno. Ma si tratta di un argomento che non può essere affrontato a colpi d’accetta e deve soprattutto tenere conto di esigenze di fattibilità che non si possono banalizzare. Tra queste, la necessità – di segno contrario – di “smaltire” (si perdoni il termine crudo) molti dei militari di truppa più anziani di cui accennerò oltre. E poi, ci sarebbe la necessità di rendere più attrattiva la professione militare, per incentivare domande di arruolamento che, da quando ha cominciato a venire meno l’impiego impegnativo e rischioso in Afghanistan per essere sostituito da quello ripetitivo e frustrante di Strade Sicure, è in drammatico calo.

Nella componente più operativa, dovrebbe poi essere potenziata la componente corazzata e pesante, ridotta al lumicino con la scusa delle “operazioni di pace” e si dovrebbero ripristinare le scorte, letteralmente “mangiate” da decenni di operazioni fuori area senza finanziamenti sufficienti a sostenerle.

Sarebbe necessario inoltre rivitalizzare capacità trascurate negli ultimissimi decenni e fondamentali, come la componente sanitaria militare, che si è dimostrata fondamentale in Afghanistan e che si conferma importantissima ancorché sottodimensionata con l’esplodere dell’epidemia del coronavirus. In sostanza, all’unico Policlinico Militare del Celio ritengo che dovrebbero aggiungersi altri 2 o 3 Ospedali militari con le stesse potenzialità nel resto del territorio, almeno nelle maggiori città. Si tratterebbe, insomma, di un parziale ma necessario ritorno all’antico.

Un altro argomento importante riguarda la Riserva, strumento indispensabile per assicurare sostenibilità a impieghi prolungati nel tempo e “usuranti”. Infatti, la riserva che ci era assicurata ai tempi della Leva da un complesso meccanismo che consentiva di tracciare i congedati, di richiamarli per addestramento e anche di farli avanzare nei gradi, non esiste più se non nella cosiddetta “riserva selezionata” finalizzata però ad assicurare professionalità non militari per compiti non operativi (giornalisti, laureati in scienze politiche, avvocati, laureati in economia, ecc..) nelle cosiddette operazioni “di pace”. Per assicurare invece il ricambio o il rinforzo delle componenti operative vere e proprie è necessaria una riserva diversa, prevalentemente fatta da giovani già addestrati e selezionati. In questo, il ricorso alla leva o alla forma di servizio “precario” citato in precedenza dai quali trarli è imprescindibile.

Quanto al modello della Nazione Armata al quale molti fanno riferimento, come quello svizzero o dell’ex Jugoslavia, si tratta di un’idea seducente ma difficile da attuare. Non si potrebbe trattare di un’alternativa all’Esercito attuale, ma di una realtà ad esso complementare, stante la necessità comunque di una componente professionale idonea ad utilizzare procedure e mezzi sempre più complessi. Insomma, si dovrebbero avere due linee di comando, due strutture di formazione, logistiche, di comunicazione.  Si tratterebbe anche qui di partire da zero per realizzare quello che non c’è, ma non sarebbe né facile né a buon mercato: a meno che non si pensi che basti un po’ di addestramento al tiro e qualche lezione di ordine chiuso in cortile per avere un’unità moderatamente affidabile, ancorché per compiti di basso livello. E’ certamente un’idea seducente, dicevo, ma deve essere sfrondata dalla tentazione, da parte di molti non-militari invaghiti della militarità, di ritagliarsi un ruolo con le stellette al quale dedicare il proprio tempo libero. Insomma, non deve essere lasciato spazio a quella specie di “grillismo” trasversale che porta anche molti dei favorevoli alle Forze Armate a ritenere che “la guerra sia una cosa troppo seria per lasciarla fare ai Generali”, propendendo per un approccio dilettantesco destinato a non rappresentare molto più di un hobby di lusso.

Detto questo, un problema molto difficile da risolvere è poi quello del complessivo invecchiamento dello strumento. Un errato riferimento alle forze di Polizia, già basate su personale “professionale”, nonché femminile, al momento della professionalizzazione dell’Esercito ha portato infatti al transito nel “servizio permanente” anche gli incarichi della truppa, nell’intesa che per fare le “operazioni di pace” anche un 50enne con lo schioppo sarebbe stato sufficiente. Ma questo non è vero, come si è visto parzialmente nelle nostre operazioni e come fa presagire lo scenario conflittuale che ci circonda. Il Soldato, insomma, deve essere giovane e scavezzacollo. E rassegnato ad una sobria e decorosa precarietà, a meno di diventare immancabilmente un peso quando la pancetta avanza. Quindi è necessario cercare di smaltire i più anziani, tentativo intrapreso anche da qualche governo precedente (non gli ultimi due che sono di quanto più a-militare possa essere concepito), ma si tratta di uno sforzo inutile se la consapevolezza di tale esigenza non è unanimemente accettata. Si tratterebbe infatti di dirottare in altre amministrazioni, dove un 50enne affidabile potrebbe dare ancora molto, chi non è più nell’età e nelle condizioni fisiche di fare il passo del leopardo. Ma appunto, è questo un problema non indifferente, per il quale non esistono soluzioni facili e a buon mercato.

Insomma, le Forze Armate fanno quello che possono in un paese che non brilla per attenzione per le stesse e per la disponibilità di una politica estera matura che ne motivi l’esistenza. Normalmente, anzi sistematicamente, si fanno apprezzare in ambito internazionale per efficienza e per una serietà e disponibilità all’impiego che contraddicono molti degli stereotipi che come Italiani ci portiamo nello zaino, ma hanno bisogno di essere aiutate a ripristinare capacità e risorse che negli ultimi lustri si sono assottigliate pericolosamente. Chi le ama e ne vuole approfondire vulnerabilità e punti di forza per migliorarle deve però esercitare prudenza e buonsenso, partendo dal presupposto che in una materia di tale complessità i sogni pindarici di chi crede che si possa partire da un foglio bianco per tracciare la rotta del futuro commette un errore madornale. Le Forze Armate sono prima di tutto, infatti, uomini, con i loro sogni, le loro aspirazioni e le loro capacità, delle quali è necessario tenere conto.  E sono come un treno in movimento, che non può fermarsi per sostituire una ruota o per rinnovare un vagone sgarrupato. Sono interventi che devono quindi essere effettuati in corsa, con tutte le difficoltà del caso, tra cui quella di evitare un deragliamento del quale pagherebbe lo scotto tutta l’Italia.

*Il Generale di Corpo d’Armata (ris.), Marco Bertolini, è nato a Parma il 21 giugno 1953. Figlio di Vittorio, reduce della battaglia di El Alamein, dal 1972 al 1976, Marco Bertolini ha frequentato l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione d’Arma di Torino. Nel 1976, con il grado di Tenente, è stato assegnato al il IX Battaglione d’Assalto Paracadutisti Col Moschin – una delle unità di elite delle Forze Armate italiane – del quale, per ben due volte (dal 1991 al 1993 e dal 1997 al 1998), è stato comandante.

Già comandante, dal 1999 al 2001, del Centro Addestramento Paracadutismo, dal 2002 al 2004 è stato posto al comando della Brigata Paracadutisti Folgore per poi assumere il comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) e, successivamente, quello del Comando Operativo di vertice Interforze (COI). Dal luglio del 2016 Marco Bertolini ha cessato il suo servizio attivo nelle Forze Armate. Attualmente è Presidente dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia.


[1] Quanto riferito all’Esercito è parzialmente sovrapponibile alle altre due Forze Armate (Marina e Aeronautica), fatti i debiti distinguo per la maggiore componente tecnologica del loro impiego.

https://www.ordinefuturo.it/2020/04/14/considerazioni-in-tema-di-forze-armate/?fbclid=IwAR1-mMCh4_OTj74yS8-gPHsw7oYi9qHcsfmTY3iVCmX_dpwd0N9CbGnDYcY

MEDITAZIONE IN MORTE DI UN CARABINIERE, di Antonio de Martini

Non leggo i fatti di cronaca nera , ma inciampo sempre più spesso in notizie e commenti su membri delle forze dell’ordine – sarebbe più appropriato ahimè parlare di forze armate- che soccombono di fronte all’aggressività di criminali di vario conio.

Inevitabile chi lamenta , come Alga Fratini le misere condizioni economiche del militare coinvolto e chi come Luca Pardi si lancia in una filippica contro i cittadini che non hanno votato come vorrebbe lui.

Improprio prendersela con vaghe categorie dello spirito come “ la classe politica” l’immigrazione irregolare o le coltellerie di Maniago ( Solingen per gli europeisti).

Se si andasse a guardare le statistiche dell’ultimo mezzo secolo, gli unici tre anni in cui nessun carabiniere è rimasto ferito o deceduto per causa di servizio, è stato il triennio in cui a capo dell’Arma dei Carabinieri è stato il generale ingegnere Giovanni de Lorenzo.

E questo è un dato di fatto.

Si, tre anni , anche non facili e nemmeno un ferito in un incidente automobilistico.

Seguiti dall’invio – quando de Lorenzo divenne capo di Stato Maggiore dell’Esercito – di sedicimila militari a salvare Firenze da una disastrosa alluvione di cui adesso mena vanto qualche quaquaraquà con accesso in TV.

Sedicimila uomini a spalare fango e raccattar cadaveri per giorni ( leggete le cronache di quei giorni de “ La Nazione” di Firenze) e anche questa missione fu portata a termine senza un ferito un annegato o un incidente.

Si chiama arte del comando e si acquisisce negli anni e non nei cocktail o nelle cerimonie commemorative.

Le nostre Forze Armate hanno il “know how” per addestrare gli uomini ( ed ora anche le donne) a svolgere ogni compito che venga loro assegnato.

Ma cominciarono col sottrarre loro l’addestramento dei controllori di volo e conclusero con una ipocrita “ sospensione” del servizio militare.

Le FFAA. Non dovevano essere un punto di riferimento morale o professionale.

Se da così tanto tempo ci sono incidenti che sarebbero stati evitabili ( come “check point pasta” ( Somalia) Nassirya ( Irak) o Stazione Termini ( casbah) la colpa è dei comandanti che ormai giungono al vertice attraverso una tale catena di servilismi da rasentare il grottesco se non ci fosse da piangere.

Sanno servire i potenti, ma non più lo Stato.

L’Arma dei Carabinieri – continuiamo a chiamarla così , ma è diventata una FORZA ARMATA come la Marina o l’Esercito grazie a un patto scellerato -che deve essere cancellato al più presto – tra D’Alema e il generale Del Sette e pochi altri vendutisi in cambio di un’altra stelletta sulle spalline e una pletora di posizioni da “ aiutanti di campo” che un tempo erano posti riservati agli incapaci di comando.

Oggi sono invece, queste attività servili, trampolini per le posizioni di vertice dato che le nomine le fanno coloro ai quali questi signori portano a spasso il cane o la moglie quando non vanno in giro a sparlare dei concorrenti del padrone di turno.

Chi lotta contro il banditismo non va più a comandare. Ne hanno paura. Et pour cause.

Li odiano e li lasciano massacrare da magistrati che da poco cominciano a far conoscere il loro vero volto e i loro interessi reali.

Gli ufficiali e i sottufficiali bravi a comandare vengono schiacciati tra questa incudine di incapaci e il martello dei magistrati arrivisti.

I carabinieri – e non solo loro – sono quindi molto mal comandati da almeno venti anni e le conseguenze si notano nella disciplina, nel tono psicofisico; nella propaganda fatta a colpi di fiction TV; negli episodi di cronaca nera di cui sono ad in tempo guardie e ladri; nell’impiego operativo affidato a magistrati che non hanno mai udito il suono di un colpo di pistola e arrembano verso l’alto “ senza badare agli uomini né ai mezzi”.

I danni creati da Del sette e compagni dureranno per almeno una intera generazione.

Potete sfogarvi a imprecare , a chiamarli eroi , vittime o altro, ma il DNA dei Carabinieri è cambiato e non in meglio.

Per far tornare a vincere ( è di questo che stiamo parlando) i carabinieri bisogna che tornino ad essere LA PRIMA ARMA DELL’ESERCITO; ESSERE COMANDATI DA UN UFFICIALE ESTRANEO ALLE CORDATE INTERNE; E CHE IL LORO IMPIEGO NON VENGA FRAZIONATO TRA I MAGISTRATI.

I vertici operativi e di comando non vengano scelti tra chi ha fatto l’ufficiale di collegamento di ministri, sottosegretari, e compagnia bella.

Per comandare bisogna aver comandato non vagato tra gli uffici altrui.
Vedrete che miracolo di resurrezione.

Premiare , come faceva de Lorenzo: ( es. invece di tanti premi da duemila lire, un minor numero ma da ventimila) , colpire chi trescava nelle forniture. ( con lo stesso stanziamento scambiò – grazie al colonnello Tagliamonte- settemila biciclette con tremila “Giulie”).

Dare spirito di corpo ( suo fu l’ordine – ancora in vigore- di usare solo la divisa nera e non più quella cachi).
Premi di sette giorni di licenza a chi reagiva energicamente ai contrasti di chiunque .

Diventato capo di Stato Maggiore si accorse che tutte le forniture del triennio erano già state appaltate al gruppo FIAT. Gli lasciavano da comandare una scatola vuota .

Le cancellò tutte.

Gli Agnelli fecero lobby per oltre un anno e poi scatenarono prima i rivali interni e poi i cani.

Dopo uno scontro politico cruento de Lorenzo fu defenestrato e da allora iniziò il piano inclinato delle stellette, intervallato da qualche singulto, ma si indovinava già, ad ogni giro, il rantolo di un sistema morente.

Dopo il sistema muoiono i singoli. Guardate le statistiche.

SALVATE IL SOLDATO ESPOSITO di Marco Bertolini

Non tutti se ne sono accorti, ma con la fine della leva che proiettava le nuove Forze Armate in una dimensione nuova, è scomparso il Soldato. E’ scomparso realmente, materialmente, anche e prima di tutto da un punto di vista semantico, terminologico. Ed è scomparso anche come “grado”, seppellito da un ammasso di “caporali” “caporal maggiori”, “caporal maggiori scelti”, “caporal maggiori capi scelti” e “caporal maggiori capi scelti con qualifica speciale”, promossi indipendentemente dalla funzione, che relegano il vecchio “soldato semplice” ad una specie transeunte in via d’estinzione, riservata a poche reclute nei primi mesetti di servizio.

Al suo posto, è comparso il “Volontario”, titolare di un termine ambiguo che lo doveva rendere meno sospetto per la classe politica, non solo in questo periodo infastidita da tutto quello che sa di militare; termine che – a orecchio – lo confonde coi molti benemeriti volenterosi della nostra realtà nazionale, quelli delle Misericordie, delle Croci Rosse e dei Vigili del Fuoco, ma anche con quegli operatori normalmente ben remunerati delle ONG che si occupano di traghettare in Italia i clandestini in afflusso dalle coste libiche.

La scelta di questa definizione civettuola nascondeva un’avvilente pulsione al “travestimento”, una presa di distanza dal passato, come se il titolo di Soldato fosse andato stretto alla nostra realtà tecnologica, come se ce ne dovessimo vergognare! Forse, un motivo tra i tanti di questa scelta è da ricercare nel fatto che Volontario si declina meglio al femminile (Volontaria) del termine Soldato (Soldata? Soldatessa?); e questo non è un dettaglio per un’istituzione che si è dovuta aprire all’arruolamento femminile sulla spinta di istanze politiche che non puntavano a sfruttare l’indubbio valore aggiunto della femminilità in selezionati settori dell’orbe militare, quanto piuttosto a mettere la sordina a quel complesso di sgradevoli e politicamente scorrettissimi valori “virili” che lo caratterizzavano. Da questo rinnegamento sono poi scaturiti altri “frutti” tutt’altro che gustosi, come il venir meno di standard fisici che erano normali, oltre che ovvi, ai tempi della leva e che ora avrebbero il sapore di ingiusti ostacoli per le “pari opportunità” da assicurare a tutti, alti e bassi, belli e brutti, maschi e femmine, omo ed etero.

Contemporaneamente, è entrato di gran voga il termine “professionista”, per dare una asettica connotazione “lavorativa” al mestiere delle armi. I recenti provvedimenti volti a consentire l’associazionismo sindacale nell’ambito della Difesa derivano, in fin dei conti, da questa nuova prospettiva, mettendola alla mercé di frotte di faccendieri autoproclamatisi esperti di misteri militari e di stuoli di azzeccagarbugli specializzati nella “tutela dei diritti”, anche i più turpi, che fino ad ora sarebbero stati trascurati o addirittura conculcati da Comandanti col monocolo chiusi nelle torri eburnee dei propri Circoli Ufficiali. Cosa c’è di meglio, insomma, di una catena di comando parallela a quella tradizionale, che misuri i passi dei Comandanti, ne registri le parole, gli sguardi imbronciati, ne vagli gli ordini, gli atteggiamenti e ne stronchi i cazziatoni? Una catena di occhiuti inquisitori, non trasferibili e intoccabili, magari al riparo dagli obblighi dell’indice di massa corporea, che ci sbarazzi una volta per tutte del precetto della subordinazione militare, fastidioso caposaldo della militarità “vera”. Ha gettato una luce sinistra, ma chiara, sulle motivazioni di quest’ultimo provvedimento un recente “post” su FaceBook di un attuale sottosegretario alla difesa, con il quale lo stesso si è permesso di utilizzare uno spezzone di un noto film sulle ultime ore di Hitler per irridere con una serie di luoghi comuni le “vecchie” Forze Armate, quelle pre-sindacali e pre-antinfortunistica che per un paio di guerre mondiali, con tutto quello che c’è stato in mezzo, e tre quarti di secolo hanno servito l’Italia. Il Ministro ha preso le distanze da un’iniziativa certamente non adeguata da parte di un componente del vertice della Difesa; ma a tutt’ora il sottosegretario è ancora lì, adeguatezza o meno.

Tornando a noi, questi “professionisti” hanno portato all’eclisse del soldato, termine al quale si ricorre raramente, per lo più quando lo si può aggettivare con l’espressione “…di pace”. Non c’è dubbio che la pace sia un bene al quale teniamo tutti (anche se a ben vedere qualche pazzo scatenato che soffia continuamente sul fuoco delle guerre – anche civili – c’è sempre), ma l’imbarazzo che deriva dalla constatazione che non esiste ancora nessuna risorsa migliore dell’uomo col fucile per tutelarla ha portato a inventare l’ossimoro del “soldato di pace”, chiara contraddizione in termini, vuota affermazione retorica priva di significato. Un po’ come “paese denuclearizzato” o “città della pace” che campeggia sui risibili cartelli stradali di tanti nostri borghi più o meno di provincia.

Inoltre, tale aggettivazione lascerebbe intendere che in essa risiede la vera nobiltà del militare di oggi, quasi fosse una giusta presa di distanza da chi non poteva fregiarsene, i nostri vecchi: quelli che abbiamo ricordato l’anno scorso in occasione del centenario della Vittoria; quelli che erano i destinatari di antichi monumenti nelle nostre piazze, inaugurati alla presenza di vedove ed orfani commossi ed oggi spesso oltraggiati da imbrattamuri senza fantasia consapevoli della propria impunità; quelli che tra di loro si consideravano camerati, o commilitoni per usare un nobilissimo termine coniato da Cesare stesso, e non colleghi, come con civetteria è in voga oggi anche a livello truppa; quelli che non avevano bisogno di travestirsi da “soldier of fortune de noantri” con tutti gli ammennicoli del caso: berrettino da baseball e pecetta nera ad occultarne gli occhi nelle foto, come si trattasse di agenti dei Servizi in missione speciale e non di spavaldi rappresentanti di un paese grande e pulito.

La negatività di questo approccio culturale diventa, se possibile, ancora più odiosa quando applicata alla categoria dei “Caduti”, quando il soldato che perde la vita in operazioni viene commemorato e onorato soprattutto perché “Caduto per la pace”, quasi che non bastasse il fatto che abbia sacrificato tutto “solo” per il Dovere. Ne consegue un’indotta graduatoria morale, per la quale il soldato caduto semplicemente in guerra ottanta o cent’anni fa sarebbe meno meritevole del nostro affetto e della nostra riconoscenza di quello che ha perso la vita distribuendo aiuti umanitari o prendendosi a fucilate col talebano di turno.

Per concludere queste riflessioni nelle quali ho voluto parlare solo di parole – dalle quali peraltro derivano deviazioni, e malattie, che intaccano la realtà – vorrei soffermarmi su un’altra idea falsata, per la quale le Forze Armate sarebbero semplici strumenti per fronteggiare ogni (ogni!) situazione di emergenza, ovunque si manifesti. E’ il precetto del “doppio uso”, termine utilizzato come una clava per convincerci che altro non sarebbero che una specie di Protezione Civile più o meno “militarizzata”, pronta ad intervenire dopo la prima scossa di terremoto e solo in ultima istanza in contesti bellici, dai quali il dettato costituzionale ci metterebbe al riparo, con un semplice artifizio retorico. Un ribaltamento di prospettiva incredibile, se si tiene conto che è solo grazie all’addestramento all’impiego in contesti bellici che le Forze Armate, soprattutto l’Esercito, furono in grado in passato di prestare la propria entusiastica e meritoria opera di soccorso alle popolazioni vittime di calamità e di proporsi quale esempio per chi sentì finalmente il bisogno di dotare l’Italia di una Protezione Civile efficiente. Si è, così, persa l’occasione di affermare semplicemente che le Forze Armate sono uno dei principali strumenti di Politica Estera del nostro paese, con il quale l’Italia può affermare i suoi interessi, funzione essenziale e non delegabile ad altri nel momento storico attuale. E chi conosce il rispetto e anche l’ammirazione che i nostri militari si sono guadagnati in tutto il mondo, sa di cosa parlo. Dovrebbero saperlo anche coloro che per motivi banalmente politici hanno l’onore di esserne al vertice, seppur temporaneamente; ma questa è un’altra triste storia.

Lungi dall’aver la pretesa di rappresentare, in tale contesto, lo strumento risolutivo per ogni situazione, i nostri uomini dovrebbero essere quindi considerati, in Afghanistan come in Libano, Somalia, Iraq, Niger o Libia, degli ottimi “alzatori di palla” che altri potrebbero e dovrebbero “schiacciare” nell’interesse di tutti, e l’osservazione di quello che fanno al proposito altri Paesi a noi molto vicini potrebbe essere illuminante.
Insomma, per quel che ci riguarda, per sostenere questa realtà e quella nella quale i nostri soldati vivono ogni giorno, pericolosamente, il primo dovere che dobbiamo rispettare è quello di coltivare una freschezza e chiarezza di idee che non può essere disgiunta da un corretto uso delle parole.
Che non sono solo fiato al vento, ma pietre, come sanno anche i sassi (appunto!).

Marco Bertolini

uguale tra gli uguali, di Antonio de Martini

Una delle mancanze che venivano rimproverate alle alte gerarchie militari dell’Esercito Italiano, durante la seconda guerra mondiale e non solo, era la distanza e la separazione di ceto e di casta dalla truppa, anche nei momenti cruciali del confronto bellico. Una tara che provocò l’esplicito disprezzo verso i primi e la stima verso i secondi del generale Rommel durante la campagna d’Africa. Le più alte autorità stanno evidentemente cercando di cancellare quel retaggio vergognoso. Una volontà di riscatto apprezzabile, ma con la giusta misura.

Se non ci fosse, Antonio de Martini bisognerebbe inventarlo_Giuseppe Germinario

COME GESTIRE IL MONDO MILITARE. L’UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO.

Servono ufficiali preparati, vivaci di corpo e di spirito e…democratici.

Il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Graziano è senz’altro un democratico a 24 carati e saluta tutti con una virile stretta di mano.
Eccolo, nella foto, tentare di stringere la mano a un manichino che scambia per un soldato.
Democrazia dieci e lode. Per il resto fidiamo nei buoni rapporti tra San Gennaro e Di Maio.

RIPRISTINO DELLA LEVA, del Generale Marco Bertolini

Proseguiamo con il dibattito innescato da Antonio de Martini, sulla base delle dichiarazioni del Ministro Salvini_Giuseppe Germinario

fonte: http://www.congedatifolgore.com/it/ripristino-della-leva-la-opinione-del-generale-bertolini-si-per-collaborare-con-i-professionisti/

RIPRISTINO DELLA LEVA: LA OPINIONE DEL GENERALE BERTOLINI . SI PER COLLABORARE CON I PROFESSIONISTI

cortesia FORMICHE.NET

 

È necessario cogliere l’opportunità assicurata dalla proposta del ministro dell’Interno, comunque la si voglia considerare, per mettere a fuoco i problemi delle Forze Armate, che sono molto seri e che rischiano di intaccarne funzionalità e ragion d’essere
La proposta del ministro dell’Interno circa un parziale ritorno al servizio militare di leva, la vecchia coscrizione obbligatoria, da affiancare come complemento all’ormai imprescindibile e preponderante componente professionale delle Forze Armate, si è attirata il facile e scontato sarcasmo delle opposizioni. Dal canto suo, il ministro della Difesa l’ha considerata una proposta “romantica” ed inattuabile, definendo non più necessarie Forze Armate cospicue come quelle di un tempo.

Se il dibattito si esaurisse qui, si tratterebbe di un’occasione persa, perché una seria riflessione sull’argomento sarebbe opportuna, a tre lustri da quando gli ultimi soldati di leva lasciarono le nostre caserme in balia delle erbacce infestanti, per valutare pregi e difetti di una trasformazione che ha inciso profondamente sulle nostre Forze Armate e sulla percezione delle stesse da parte dell’opinione pubblica. Tale riflessione potrebbe anche essere intesa come un omaggio ai dimenticati protagonisti della vittoria nella Prima Guerra Mondiale di cent’anni fa esatti, quando i 5 milioni di coscritti che la giovanissima Italia scagliò contro le armate austro-ungariche completarono a un prezzo elevatissimo la nostra unificazione nazionale, creando l’Italia indipendente che è giunta fino ai nostri giorni, pur con non pochi acciacchi. Ma, come si sente, non sono questi i temi capaci di commuovere chi pare al contrario affannosamente preso soprattutto dal desiderio di sbarazzarsi dei fastidi e delle responsabilità che questa indipendenza comporta. Peccato.

Volendo fare una superficiale istantanea della situazione di oggi, gettando una rapida luce sui suoi pregi e difetti, non c’è dubbio che ora disponiamo di unità molto efficienti, grazie a militari di truppa in ferma prolungata o addirittura in servizio permanente capaci di utilizzare sistemi d’arma e di comando e controllo molto più sofisticati di quelli di un tempo. Molti si muovono con disinvoltura nelle difficili procedure operative della Nato, utilizzando con padronanza la lingua inglese e gli acronimi in uso nell’Alleanza che fanno impazzire i rappresentanti dei media.

Peraltro, la consistenza delle unità è drasticamente diminuita e le stesse sono state ridotte drammaticamente di numero. In sostanza, la più cospicua tra le Forze Armate, l‘Esercito, verrà in pochi anni ad assommare poco meno di 90.000 soldati ed analoghi tagli riguarderanno Marina ed Aeronautica; solo i Carabinieri aumenteranno di numero, superando i 120.000 uomini, forti dell’attenzione non disinteressata di cui le Forze dell’Ordine hanno sempre goduto in Italia.

Una cosa è, inoltre, certa: con la fine della leva non esistono più riserve nella società civile, richiamabili per rinforzare le unità operative in vita in caso di necessità; non è certamente utile a tal fine la cosiddetta “riserva selezionata”, idonea tutt’al più per rendere disponibile qualche laureato in giornalismo o scienze politiche per rinforzare temporaneamente qualche Comando in operazioni all’estero. Poca roba, insomma.

Inoltre, un aspetto non trascurabile è rappresentato dal progressivo invecchiamento del personale di truppa in servizio permanente, che crea situazioni inaccettabili soprattutto nell’Esercito, dove l’energia fisica dei soldati continua a rappresentare la risorsa principale a cui attingere.

Quanto all’hardware, forse con la scusa che le nuove Forze Armate non hanno più bisogno dei ritmi addestrativi del passato quando le classi alla leva si alternavano a ritmo mensile, tesi paradossale e assolutamente falsa, si sono ridotte all’osso le aree addestrative e vi sono stati imposti vincoli di utilizzazione che con la leva non sarebbero mai stati accettati; nei magazzini, si sono affievolite le scorte di materiali e mezzi mentre il patrimonio infrastrutturale è in larga misura abbandonato senza manutenzione. Solo la Marina continua a godere di una certa attenzione grazie agli interessi della cantieristica nazionale impegnata nel rinnovo della flotta, mentre i parcheggi dell’Esercito sono pieni di carri e di mezzi inefficienti per scarsa manutenzione.

Ma come si è verificata tale situazione? Innanzitutto c’è da osservare che la fine della leva non è stata improvvisa ma, al contrario, è stata perseguita con un processo durato decenni, conclusosi con uno dei pochi provvedimenti bi o tri-partisan della nostra politica, unanimemente concorde nello sbarazzarsi di quello che riteneva, a mio avviso affrettatamente, un anacronismo. Sotto quest’aspetto, si agitavano considerazioni di carattere politico, ma anche questioni di carattere tecnico-operativo da parte degli addetti ai lavori.

Non è mia intenzione affrontare nel dettaglio quest’aspetto, ma è indubbio che mentre i partiti di destra speravano in una professionalizzazione delle Forze Armate che irrobustisse un’istituzione sostanzialmente percepita quale “conservatrice”, quelli di sinistra puntavano al contrario ad una riduzione quantitativa delle stesse, da decenni considerate impermeabili a quella sindacalizzazione che già erano riusciti ad imporre alla Polizia di Stato, smilitarizzata negli anni ’70; è triste ed allarmante constatare che questo tema sta tornando alla ribalta. Quanto al centro, vedeva confermata nell’abolizione della leva l’escatologia laica di cui si sentiva portatore e che avrebbe dovuto condurre a una fine della storia preconizzata dai teorici della democrazia quale destino obbligatorio per tutti; per la soddisfazione, soprattutto, di quel cattolicesimo post-conciliare che era a disagio con le liturgie civili della marzialità esibita, indispensabili per chi deve saper esercitare la violenza legittima delle armi per affermare la libertà e l’indipendenza della nazione.

Da parte loro, gli Stati Maggiori risentivano in parte di queste pulsioni extra-militari, ma erano soprattutto concentrati sulla necessità di adeguarsi agli impegni nelle operazioni che eufemisticamente dovevano sempre essere definite “di pace”. In essi, si pensava che il ricorso classico alla massa, al fuoco e alla manovra sarebbe stato sostituito in larga misura dalla tecnologia, da parte di pochi “professionisti” capaci di ottenere risultati un tempo impensabili anche per grandi masse di coscritti; e senza sporcarsi troppo le mani. Insomma, l’illusione che la storia fosse effettivamente finita giustificava, per questi, la totale rivisitazione di uno strumento che era passato indenne attraverso secoli di evoluzione, inalterato nei suoi principi costitutivi.

Si è trattato di un processo che ha interessato tutti i principali strumenti militari dei Paesi occidentali che però hanno posto molta più attenzione del nostro a non buttare il bambino con l’acqua sporca. In questo contesto, quest’ultima era indubbiamente rappresentata dalle ingenti spese connesse con Forze Armate cospicue e concepite sostanzialmente quali consumatori di preziose risorse, unicamente al fine di fare danni se necessario a chi ormai nell’ambito della Comunità Internazionale non era più politicamente corretto considerare avversario o, peggio, nemico. Per contro, il bambino era rappresentato dalla disponibilità di ingenti masse di giovani che, tornati alle loro case, avevano comunque una buona infarinatura militare che gli consentiva di essere riutilizzati, o “richiamati”, se interessi vitali del Paese lo avessero richiesto. Insomma, in una specie di appello al “tutti a casa” ci si rassegnò a tagli drastici alle nostre unità, ridotte nel numero e nella loro consistenza e, per di più, private di “riserve” nella società civile.

Ma il pupo era anche di un’altra natura, e qui si innesta il condivisibile auspicio del ministro dell’Interno relativo ad un ripensamento del nostro modello di Difesa che ci faccia, almeno in minima parte, tornare all’antico. Le Forze Armate, infatti, dall’affermazione dello Stato italiano unitario hanno anche svolto un ruolo educativo nei confronti della gioventù del quale indubbiamente si sente la mancanza ai nostri giorni. Nelle caserme, i soldati venivano abituati a una percezione di se stessi quali titolari di doveri nei confronti della comunità nazionale ai quali né le nostre famiglie né, a maggior ragione, la scuola post-’68 li sanno più preparare. Da qui, l’esplosione della cultura dei diritti individuali, in opposizione ai doveri, che non cedono il passo all’interesse generale neppure se si tratta dei più assurdi e, spesso, aberranti.

In fin dei conti, la difficoltà che ogni governo nazionale si trova sistematicamente ad affrontare, di qualsiasi orientamento politico si tratti, è quella di pretendere condivisione su obiettivi vitali comuni, in uno scenario internazionale sempre più complesso, nel quale è la logica della competizione tra Stati che è tornata a farsi largo, anche sulle sponde del nostro democraticissimo e tollerantissimo continente europeo. Non può non amareggiare la constatazione che addirittura l’indipendenza nazionale – un tempo unica base comune e condivisa che faceva fremere all’unisono Peppone e Don Camillo alle note del “Piave” – sia diventata terreno di scontro e motivo di divisione. Ovvio che chi ad essa fosse tenuto a giurare fedeltà, come i najoni di un tempo, sarebbe nei suoi confronti più sensibile, se non altro per una nostalgica reminiscenza dei propri vent’anni in uniforme.

Da quanto sopra, risulta abbastanza evidente che il problema riguarda soprattutto l’Esercito, quella che dovrebbe continuare ad essere la Forza Armata di massa e di riferimento e che, al contrario, sta attraversando una crisi profonda. È una crisi sottesa da molti malintesi, primo fra tutti quello secondo il quale il soldato classico del passato non troverebbe più alcuna giustificazione in un mondo nel quale esistono mezzi tecnologici capaci di sostituirsi all’impegno fisico del combattente.

logico per il quale le Forze Armate quali strumenti operativi destinati alla funzione bellica non sarebbero più proponibili. Da qui, lo sforzo per rassicurare la parte meno favorevole dell’opinione pubblica definendole dual-use, mediante un uso dell’inglese, come spesso sperimentato anche in altri settori, che fa sempre un certo effetto, conferendo dignità di verità assoluta anche ad affermazioni opinabili.

Ma si tratta, appunto, di un malinteso, in quanto la tecnologia che incide in misura preponderante nelle operazioni della Marina e dell’Aeronautica, non è che una sfaccettatura, seppur importante, delle operazioni terrestri che si basano ancora sulla disponibilità di unità cospicue e formate da soldati preparati e forti fisicamente. Ed è quello che abbiamo anche noi stessi toccato con mano in Afghanistan, dove la limitata disponibilità di unità di fanteria ha spesso causato grandi difficoltà a esercitare il controllo di molte delle delicate aree poste sotto la nostra responsabilità. Immaginiamo quindi cosa succederebbe se si rendesse necessario un impiego in uno degli scenari più turbolenti tra quelli nel nostro intorno immediato.

Gioca, inoltre, un ruolo non indifferente in questo quadro una specie di condizionamento ideologico per il quale le Forze Armate quali strumenti operativi destinati alla funzione bellica non sarebbero più proponibili. Da qui, lo sforzo per rassicurare la parte meno favorevole dell’opinione pubblica definendole dual-use, mediante un uso dell’inglese, come spesso sperimentato anche in altri settori, che fa sempre un certo effetto, conferendo dignità di verità assoluta anche ad affermazioni opinabili.

 

Nel caso specifico, in particolare, si vorrebbe con esso far passare l’idea che i nostri soldati di professione, che in operazioni utilizziamo in contesti difficili per i quali è necessario un addestramento continuo in patria, una volta non impegnati nelle loro mansioni elettive possono benissimo sostituirsi alle Forze dell’Ordine per “piantonare” qualche stazione della metropolitana o per ripulire qualche strada delle nostre città al posto degli addetti dell’Agenzia dei rifiuti. Sembrerebbe, in effetti, una soluzione razionale se non comportasse la rinuncia a quello che è il compito fondamentale al quale i soldati di tutto il mondo si devono applicare in guarnigione: l’addestramento, ridotto così ad una funzione da riservare ai “ritagli di tempo”.

Per tornare al punto, ritengo che una seppur limitata disponibilità di militari di leva – anche ridotta a sei mesi per un numero minimo di reggimenti di fanteria – potrebbe essere utilmente impiegata in tali ruoli, per i quali la preparazione dei “professionisti” delle nostre unità operative è eccessiva (sanno fare molto di più di quanto viene loro chiesto, infatti). In questo modo, si potrebbe contemperare l’esigenza di supportare le nostre Forze di Polizia o la Protezione Civile in patria con personale di medio livello addestrativo, ma comunque adeguato a quello che viene loro richiesto, lasciando a quelle più operative la possibilità di prepararsi per gli impegni più significativi.

Ed è qui che casca l’asino, purtroppo. Infatti, è difficile sperare che da un “contratto di governo” nel quale alla funzione Difesa sono state riservate poche righe di affermazioni generiche – in assoluta continuità col disinteresse per le Forze Armate, e soprattutto per l’Esercito, dei governi del passato – possa derivare un’attenzione per tematiche così lontane dai problemi che agitano il dibattito politico interno. Queste, al contrario, richiederebbero una conoscenza approfondita dello strumento militare da parte della classe politica che invece si conferma ancora di nicchia, per “amatori”. Pare quindi difficile sperare in un’attenzione per le Forze Armate che, ad esempio, non le faccia sistematicamente confondere con le Forze dell’Ordine, certamente molto importanti ma decisamente meno esigenti in termini di risorse e profondamente diverse per compiti e costituzione; o che faccia mettere a fuoco le esigenze della componente corazzata e di artiglieria terrestre, ridotta in condizioni assolutamente inaccettabili per un paese esposto come l’Italia in un teatro nel quale si cumulano tensioni crescenti e dove si concentrano le attenzioni dei principali attori internazionali.

Un’ultima considerazione forse di qualche rilevanza: in questa discussione sul servizio di leva, spesso si dimentica che l’ultimo governo ha istituito una specie di coscrizione con il “servizio civile”, di qualunque cosa si tratti, proponendo un concorrente alla realtà militare del quale non si sentiva il bisogno (anche nelle frequenti calamità naturali sono sempre gli uomini con le stellette a tirare la carretta, quando c’è da fare seriamente).

Peraltro, con questa novità esibita con orgoglio ai Fori Imperiali il 2 giugno, si è dimostrato con le intenzioni che l’apporto part-time dei giovani può essere apprezzato anche ai nostri giorni, contraddicendo buona parte delle obiezioni alla proposta del ministro Salvini. Inoltre, non si vuole ammettere che tale realizzazione ha avuto tra le conseguenze forse non casuali una caduta verticale delle vocazioni per le Forze Armate, anche in sistema al venir meno del passaggio obbligatorio in esse per potersi arruolare successivamente in quelle di Polizia. Ma questa è un’altra storia.

Insomma, è certamente necessario cogliere l’opportunità assicurata dalla proposta del ministro dell’Interno, comunque la si voglia considerare, per mettere a fuoco i problemi delle Forze Armate, che sono molto seri e che rischiano di intaccarne funzionalità e ragion d’essere. In merito a quest’ultimo aspetto, non è forse inutile osservare che esse sono per costruzione finalizzate proprio alla salvaguardia di quell’indipendenza, o sovranità, che è centrale nel dibattito odierno. E questo non è un dettaglio di poco conto per gettare una luce sulle motivazioni di un dibattito inaspettato ma doveroso.

servizi di leva: si o no?, di Fulvio Gagliardi

tratto da facebook https://www.facebook.com/fulvio.gagliardi.1/posts/10215138279764390

Servizi di leva: si o no?
di recente ho letto varie opinioni sull’argomento, Soloni che erano a favore o contro con vari forbiti argomenti.
Prima di dire ciò che penso vorrei riportare quanto scritto da un soldato di leva del gruppo alpini Udine Sud.

“Era il 1992 e avevo 20 anni quando è arrivato il momento della fatidica chiamata alle armi. Un disastro!!!
Avevo già un lavoro e la fidanzata, quindi solo il pensiero di perdere un anno della mia vita lontano dagli affetti e dal mondo lavorativo mi sconvolgeva. I primi giorni non sono stati facili e arrivare a sera con serenità non era una cosa contemplata dagli istruttori della caserma. Tra alti e bassi il primo mese era passato e da quel momento il mio servizio militare è diventato una parte importante della mia vita. In un solo anno ho avuto la possibilità di partecipare ad esperienze meravigliose e indimenticabili che hanno contribuito a costruire l’uomo che sono oggi. Ovviamente non tutti i ragazzi sono stati così fortunati da passare un anno costruttivo (infatti molti hanno passato un anno in attesa senza svolgere alcun compito), ma sono sicuro che in ognuno quell’anno abbia lasciato un segno. A sostegno della mia esperienza vi propongo un messaggio che girava a Trento in occasione dell’ultima adunata nazionale. Ad ognuno di voi trarne le conclusioni.
-Al netto di tutte le sterili (politiche) polemiche voglio esprimere il mio sentire verso il corpo degli Alpini del quale ho fatto e faccio parte. Posto che aborrisco ogni forma di violenza, sia fisica che psicologica, e ritenendo le armi una di queste forme, il mio anno di appartenenza al Gruppo Artiglieria da Montagna Belluno è stato il mio svezzamento alla vita. Ho capito il valore dell’acqua quando dovevo percorrere 30 km a piedi sotto il sole cocente con una sola borraccia nel mio zaino da 30 kg.
Ho capito che quando avevo fame, una gavetta di pasta scotta pallidamente condita era una bontà da leccarsi i baffi, sperando in un bis.
Ho imparato a tacere, ascoltare e parlare solo quando venivo interpellato e al contempo pronunciare, scandire bene le parole per non essere frainteso.
Ho capito che per comandare bisogna saper obbedire.
Ho capito che il mio prossimo da amare non aveva necessariamente sembianze umane; il mio mulo, gli alberi che cingevano e proteggevano la piazza d’armi, il fiume Fella che costeggiava la caserma…tutti miei prossimi.
Ho capito che “Frà” significa fratello, anche se il mio cognome era diverso e anche se non gli somigliavo per niente.
Ho imparato a rispettare la Montagna, il suo silenzio e i suoi abitanti, flora o fauna che fossero.
Ho imparato a tener duro e raggiungere la meta prefissata a tutti i costi.
Ho capito che quello in difficoltà potevo essere io e che per chiudere il cerchio dovevo aiutare chi lo era più di me.
Ho visto che la neve poteva nascondere insidie ma anche i primi bellissimi fiori d’inverno.
Ho sentito sulla mia pelle e nel mio profondo che “l’unione fa la forza” non è solo un proverbio.
Ho imparato a rispettare e capire la Natura, sentendomi parte di essa fino all’ultima stilla di sangue (se spezzi quel ramo deve servirti per sopravvivere altrimenti lascialo dov’è).
Ho sentito quanta felicità mi può dare la piggia incessante e battente che cade sul mio corpo dopo 3 ore di cammino con 40 gradi all’ombra e provare altrettanta felicità sentendo un raggio di sole che mi scalda in una gelida giornata d’inverno.
Ho capito che il valore di un Uomo non si misura con denaro, potere, fama e successo, ma solo con la sua umanità.
Oggi (ma da qualche anno a questa parte) ho capito che se non avessi passato quell’anno Alpino sarei sicuramente un Uomo peggiore.
Questo …e molto di più.”

Ecco cosa sente uno che ha fatto il servizio di leva e come è cambiato: è difficile raggiungere gli stessi risultati in qualsiasi altro modo.
Riflettendo ho un’altra considerazione da sottoporre:
E’ vero che limitandoci agli scenari attuali basta un esercito di specialisti, ma…se davvero fossimo coinvolti in una guerra seria pensate che sia ipotizzabile lasciarla ai soli specialisti mentre tutti gli altri se ne stanno con le mani in mano?
Io credo di no! Allora verrebbero chiamati alle armi tutti gli altri, impreparati, grassi e ignavi cittadini da addestrare in fretta e furia, se mai ce ne sarebbe il tempo.
Che ne pensate?
Vale la pena di creare un vero cittadino e per di più saper che se mai dovesse servire (speriamo mai) sarebbe già parzialmente pronto?
Cosa fanno gli svizzeri? Oltre che addestrarlo nella leva lo richiamano ogni tanto con regolarità per un aggiornamento…
Riflettiamo su quanto detto prima di affermare frettolosamente che basta un esercito di soli specialisti!
Evidenzio che io che dico questo sono stato nel genio aeronautico, il massimo in tema di specialisti….

stellette anonime, di Antonio de Martini

CRONACHE DAL GRUPPO ANONIMI DI VIA XX SETTEMBRE

Non discuto circa il diritto di appartenenti a ” ambienti della Difesa” di dire il proprio parere circa l’esecuzione dell’articolo 52 della Costituzione Italiana che definisce ” sacro Dovere” il servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini.

Non mi soffermo nemmeno sul fatto che l’Inghilterra abbia rinunziato all’esercito di professione in occasione della prima e seconda guerra mondiale ed abbia usato i quadri permanenti per galvanizzare e addestrare i giovani.

Capisco che si possa essere militari di scarso conio e non capire che il ripristino del servizio militare sia il solo mezzo a disposizione per riprendere alla mano la nostra gioventù priva di capacità fisiche e psichiche che l’aiutino ad affrontare la vita in condizioni di parità con i coetanei.

La naturale pigrizia dei quadri delle Forze Armate che un tempo erano costrette ad addestrare i vari scaglioni di coscritti ogni quattro mesi, impiegandoli a livello gruppo tattico, non può non aver influito nella dichiarazione di ignoti personaggi delle FFAA che hanno definito ” romantica” la presa di posizione del ministro Salvini a favore del servizio militare.

Meglio, molto meglio, addestrare dei militari ” di carriera” a fare posti di blocco con operazioni sconclusionate tipo ” strade sicure”, un tempo appannaggio dei vigili urbani e dei carabinieri.

QUEL CHE TROVO INSOPPORTABILE, è l’anonimità della “fonte della Difesa” ( che un successivo TG attribuisce al Ministro TRENTA) che denota incapacità di razionalizzare il proprio punto di vista e di argomentare senza temere il contraddittorio. Sono passati dalle lettere anonime aille chiacchiere senza onere della prova.

QUEL CHE E’ INACCETTABILE IN ASSOLUTO, è l’anonimità della ” Fonte” che ora viene attribuita al Ministro. Un vigliacco che lancia il sasso e nasconde la mano.
Se il ministro Salvini e il suo staff fanno sul serio, devono identificare la “fonte” e farla licenziare. Non perché non si possano avere idee diverse da quelle di un ministro, ma perché

a) è anonimo e per l’etica militare è un atteggiamento inconcepibile.

b) ha fatto ironia sul più importante obbligo previsto dall’ articolo 52 della Costituzione. Oggi la leva, domani le tasse.

c) ha nascosto la propria ignoranza dei numerosi problemi sociali e politici del paese ( e di quelli militari) connessi al tema.

d) E’ stato incapace di fornire esempi di servizio miliare continuativo o periodico ( Israele o la Svizzera tanto per citarne due) e di capire che a venti anni un assaltatore è un assaltatore preparato ( se lo è), ma a quaranta è un padre di famiglia o uno dei gangsters che periodicamente assaltano ” con stile militare” i convogli di orafi e li derubano mettendo a frutto le esperienze fatte o un “addestratore” di soldatesse dai poco saldi principi.

e) Con questo sistema di esercito professionale non addestrato al combattimento , continueremo a fornire carne da cannone agli ” alleati” e viene a mancare ( ormai da un pezzo) il controllo democratico sulle forze armate e sul loro impiego.

I paesi di serie “A” avranno le armi NBC e noi forniremo la carne e i posti di blocco come facciamo adesso.

NOI ROMANTICI

Mentre avevo appena pubblicato il post precedente sul servizio di leva, al quale sono da sempre risolutamente favorevole, ho ricevuto dall’ex ufficiale all’intelligence delle prime spedizioni in Libano – quando si sparava – Corrado Cantatore, una mail che ne conteneva un’altra molto significativa.
Spero siano leggibili e sono la miglior risposta a quella gaudente che chiamano ministro e che è incapace di pensiero articolato.

Carissimo Antonio,
dopo tanti anni (37) mi e’ arrivato oggi il piu’ ambito riconoscimento per le mie imprese libanesi e molto orgogliosamente te lo inoltro
Charlie

———- Messaggio inoltrato ———-
Da: spartaco proietti checchi <spartaco.virtus@gmail.com>
Date: 12 agosto 2018 10:50
Oggetto: Re:
A: cantatore.c@gmail.com

Il Dom 12 Ago 2018, 10:45 spartaco proietti checchi <spartaco.virtus@gmail.com> ha scritto:
Sig. Capitano non mi scambi per un nostalgico o bizzarro ex soldato, ma le volevo dare il mio saluto, lei non mi conosce sono stato al logistico per circa 6 mesi in Libano l’ho incontrata molte volte, io ero in armeria so’ che Lei ha fatto tanto per noi soldati di leva..Per la nostra sicurezza, e dopo tanti anni sento la necessità di Ringraziarla.
Buone cose Sig.Capitano e Buona Vita

Spartaco Proietti Checchi ex armiere

Saluto lo sconosciuto soldato Proiett, Corrado Cantatore – in arte Charlie- e invito il movimento 5 stelle a cambiare giumenta.

Antonio de Martini

PS In tarda mattinata è arrivata una dichiarazione del Ministro Trenta, contraria alla reistituzione del servizio di leva obbligatorio

IL TESTO DI UNA INTERESSANTE CONVERSAZIONE SULL’ARGOMENTO SU FACEBOOK 

Ettore Petraroli Grande Com.te! Credo che la Ministra, in politichese, abbia espresso lo stesso concetto…..
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Fulcieri Graziani Pur contrario al ripristino della coscrizione obbligatoria, osservo che in altri paesi (e.g Germania) è in tuttora vigore: l’importante è fare le cose bene! … e, se non ne siamo capaci, meglio evitare.

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Vincenzo Camporini Caro Graziani, mi dispiace contraddirla: in GE qualcuno ha aperto un dibattito, in verità poco vocale, sull’opportunità di ripristinare la leva, a causa della scarsità di ‘vocazioni’ per la carriera militare; invece la leva è stata ripristinata in Finlandia e se ne sta parlando anche in Svezia. Ma le condizioni di quei paesi e la loro storia non sono certo comparabili con la nostra.
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Fulcieri Graziani Evidentemente, ho sbagliato e me ne scuso.

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Giambattista Chiarenza Forse potrebbe essere ipotizzabile – con un minimo, ma proprio minimo di “soldo” e solo per giovanissimi – una sorta di esperienza con la protezione civile per insegnare a molti ragazzi (e indirettamente alle loro famiglie) come si aiuta il prossimo, Altro…

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Sauro Serotti Non ci sono soldi per le cose ordinarie. Mi pare una proposta surreale

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Ettore Petraroli Giambattista Chiarenza Lei non ha idea delle risorse richieste solo per gestire un’operazione del genere. Che sia di un mese o di un anno, non fa molta differenza. E probabilmente non ha idea delle risorse necessarie per gestire tutti i problemi (logisAltro…
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Sergio Fulvio Concordo pienamente: tra l’altro la motivazione è assurda in quanto l’educazione del giovane cittadino è prima di tutto un compito della famiglia con l’integrazione culturale della scuola dell’obbligo. La Difesa può avere compiti formativi e addestrativi, ma di certo non ha compiti educativi, per fortuna
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Giuseppe Scarano Metti tuo figlio/a alle dipendenze di un Ufficiale alpino, poi vedi come te lo cambiano, in meglio😅😊😀

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Stella Bartolo Io ce li manderei a calci invece!!!i giovani di oggi sono talmente maleducati che ne hanno proprio bisogno!!!

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Sauro Serotti L’educazione inizia in famiglia e prosegue a scuola, se entrambe “esistono”. Comunque chi ha fatto la Leva sa pregi e difetti dei bei tempi andati…

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Umberto Pizzabiocca Non mi pare che in Germania vada bene! Hanno conclamati problemi di efficienza e manutenzione. Che poi sono gli stessi di sempre….mezzi 8eccezionali all’avanguardia a cui non si accompagna una adeguata capacità di condotta. i

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Sauro Serotti Mi rammento un articolo di RID che evidenziava anche un approccio particolare alla Difesa.

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Antonio de Martini Vorrei far notare al sempre simpatico generale Camporini che – a parte i vantaggi civili ed educativi che certamente non gli sfuggono – ci sono due elementi di carattere finanziario da valutare più attentamente di quanto non si faccia in questi giorni. a) il costo di un vero esercito professionale adeguatamente addestrato ed equipaggiato, è di almeno il 30/40% superiore al presente bilancio che contiene quasi al 75% spese afferenti al personale in servizio e in quiescenza. b) tutti i paesi più ricchi ( e noi non siamo tra questi) e gli imperi ( e noi non siamo tra questi) hanno un esercito di mestiere . In buona sostanza, col nostro attuale equipaggiamento, possiamo solo svolgere un ruolo secondario in un più ampio sistema di alleanze, fare posti di blocco e intervenire in ordine pubblico, ma non in tutta Italia ( e segnatamente, non in Calabria). Un esercito di coscritti, ( parlo sopratutto dell’esercito) costerebbe di meno, potrebbe creare sinergie con la Difesa civile e svolgerebbe lae funzioni egualitarie previste dalla Costituzione e quella nazionale di far conoscere il paese a persone troppo legate al territorio.
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Vincenzo Camporini Mi dispiace contraddirla, ma la qualità dei nostri sistemi d’arma e dei nostri equipaggiamenti è di prim’ordine (la quota di bilancio per l’ammodernamento è solo marginalmente al di sotto di quanto auspicato in sede NATO); quelle che sono drammaticamenAltro…
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Bruno Chiaranti Temo che di fronte a discorsi precotti e elogiativi di vantaggi civili e educativi che mi sfuggono, chi era maleducato lo era anche in servizio, chi si oppone alle idee già propugnate dalla destra missina temo rischi il dileggio come quello dei medici da parte dei novax

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Antonio de Martini Vincenzo Camporini l’utilizzo della forza fuori dai confini è espressamente vietato dall’art 11 della Costituzione italiana. ….

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Francesco D’Agostino apriamo collegi militari con attendamenti nelle periferie urbane.

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Vincenzo Camporini Antonio de Martini Perdoni, ma non diciamo sciocchezze: si rilegga per bene l’articolo 11 e vedrà che siamo tenuti a partecipare alle attività decise nell’ambito delle organizzazioni internazionali di cui facciamo parte, anche di quelle che contemplano l’uso della forza militare.
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Antonio de Martini Sono in campagna e non ho il testo ma temo di conoscere quasi a memoria l’articolo 11 della nostra Carta: ” L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ” Consente, in condizioni di parità con gli altri stati a limitazioni di sovranità necesarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” I costituenti pensavano al Consiglio d’Europa e alla Unione Europea. Poi sono venute l’ONU e la NATO. L’ONU non cauziona la guerra in Afganistan e la NATO non ha nemmeno cauzionato la guerra di Libia, tanto per citarne due. Vede da qualche parte le “condizioni di parità con gli altri Stati? Il Montenegro?

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Vincenzo Camporini Si vede che i Costituenti erano preveggenti visto che secondo lei pensavano ad organizzazioni fondate anni dopo. Quindi secondo lei tutte le operazioni cui abbiamo partecipato negli ultimi decenni erano in violazione della Costituzione? La prima guerra del Golfo? Le operazioni nei Balcani? UNIFIL?

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Antonio de Martini erano legali solo quelle deliberate dall’ONU e non le coalizioni dei volenterosi e nemmeno quelle decise dalla NATO. Consulti qualche esperto di Diritto Costituzionale comparato. Questo sempre tenedo in non cale la situazione di parita con gli altri sAltro…

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Vincenzo Camporini Antonio de Martini Guardi, allo IAI mi vedo spesso con Ronzitti, quindi…Sulla ‘deliberazione dello stato di guerra’ poi, stiamo andando davvero fuori dal seminato. Chiudiamola qui, la prego.
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Antonio de Martini compreferisce.

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Giuseppe Vinci Vincenzo Camporini e bravissimo. Sono contento del mio voto. Complimenti.
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Sauro Serotti Non credo. A meno che si voglia continuare a sostenere che rimane cosa buona e giusta pagare una pasta ed un cappuccio il militare di leva. Ed anche cosi…
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Luigi Calzolaro La difesa non è vero che ha solo compiti formativi e addestrativi,ha avuto anche compiti educativi,sopratutto!,la leva forma i giovani in tutte le forme,mi riferisco in particolare al rispetto reciproco che non esiste più,.aggiungo; i giovani all’età dAltro…
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Antonio de Martini E’ probabile che rimpiangano la gioventù, ma il problema non è quello. L’esercito aduca anche all’uso misurato della forza ( o se preferisce, della violenza) e questa è ormai una necessità assoluta per la convivenza. Alle donne che dicono ” se non lo hanno educato i genitori in diciotto anni” non ci riesce nemmeno l’esercito, consigluio uno psicologo

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Bruno Chiaranti Ha fatto il servizio di leva?

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Giovanni Ingrosso Confondere il servizio militare con una modalità di educazione della gioventù è totalmente assurdo. Le forze armate non servono ad educare i ragazzi alla disciplina, tanto più oggi, dove le forme di guerra modene non concepiscono forme di irreggimentamAltro…
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Rispondi56 min

Sauro Serotti Tutti non so. Io ho visto cose che avrei voluto non vedere. Fermo restando la mia stima mai venuta meno per l’Istituzione Forze Armate. Ma davvero si predicava in un modo e si agiva in un’altro. Nulla é perfetto, ci mancherebbe, ma il mondo che ho visto era ben differente dalla teoria. 3° 90.

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Sauro Serotti Felici di rifarla molti miei amici che hanno servito nella Folgore.

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Alberto Galluccio Arriva per tutti il cambiamento della III REPUBBLICA ITALIANA? Quanto meno ci prova …

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Sauro Serotti Il cambiamento è inevitabile, il Progresso no. Devi costruirlo. E qui vedo solo una proposta di mkt politico.

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Guido Pirzio Come hai ragione Gigi!!!!

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Osvaldo Bizzari Concordo. Aggiungo solo questi punti 1)l’educazione dei giovani resta un compito delle istituzioni primarie (famiglia) e secondarie (scuola) non certo delle FFAA 2) In un contesto di ristrettezze di bilancio allocate nella Difesa sarebbe una spesa inuAltro…
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Antonio de Martini Bizzarra tesi secondo la quale il compito primario dello Stato non debba essere coadiuvato dalle FFAA. Per dichiarare che i militari di leva ” non sono impiegabili in teatri ad alta intensità” lei deve – dopo due guerre mondiali e quattro locali ( LibiAltro…

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Pietrangeli Mario Concordo pienamente con il Comandante Vincenzo Camporini 
Peraltro, la :
Soppressione dei Distretti militari ( primo organo della selezione della leva e cerniera tra mondo civile e militare);
Soppressione degli ospedali militari ( erano uno per regione, ne sono rimasti due Milano Roma) essenziali per la selezione e la cura della leva;
dismissione di migliaia di Caserme ( essenziali per la vita giornaliera della leva);
drastica riduzione dei poligoni addestrativi essenziali per l addestramento;
scarsità di risorse finanziarie,
Impediscono qualsiasi pianificazione relativa al ripristino della leva.
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Antonio de Martini @Pierangeli Mario. Lei inpratica sostiene che essendoci , oggi, impedimenti alla pianificazione di una operazione di reclutamento e smistamento fatta per oltre cento anni, la Difesa non è in grado di riprendere questa attività? Si rende conto di condannare lei stesso questa istituzione?

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Bruno Chiaranti Non è questo il modello di difesa sostenibile a meno di mettere ben profondamente le mani nelle sue e mie tasche
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Luigi Calzolaro Grazie Guido.

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Giuseppe Germinario mi pare che il il Generale Camporini abbia dimenticato o rimosso in maniera preoccupante per gli incarichi svolti due aspetti: il compito istituzionale delle Forze Armate, la difesa dalle minacce esterne; l’autonomia decisionale e politica di una classe dirigente e di una nazione, il che presuppone la costituzione di una arma operativa il più autonoma e autosufficiente possibile. Da qui la valutazione sull’opportunità o meno dell’esercito di leva integrato in settori altamente professionalizzati. E’ il discrimine che consentirebbe alla paese di scegliere le alleanze in posizione di pari dignità e secondo opportunità

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Sergio de Rosa oltre alla importantissima funzione educativa ben più importante di quella tecnica spinta, al limite necessaria solo per alcuni reparti, non ci si dementichi che circa il 40% dei giovani fino ad una età giovanile avanzata sono a spasso e…l’ozio è il padrone dei vizi dicevano i vecchi.

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Sergio de Rosa Quanto guadagnerebbe l’Italia anche dal punto di vista economico da un SERVIZIO DI LEVA CONDOTTO DA QUADRI PROFESSIONISTI DELL’EDUCAZIONE OLTRE CHE DEL TIRO CON IL FUCILE O CON IL MISSILE.