Andrea Zhok
Qualche osservazione sparsa e da profano sugli ultimi eventi relativi al ‘coronavirus’.
1) Il problema fondamentale rappresentato da una possibile epidemia di Covid-19 non sta nella mortalità, che è di poco superiore ad una normale influenza, ma nella pesantezza del decorso, che richiede spesso ricovero ospedaliero.
2) Quindi l’impatto problematico del Covid-19 si manifesta (potenzialmente) in primo luogo sulle strutture ospedaliere, che incidentalmente sarebbero lì per occuparsi di una pluralità di problemi, e che si possono trovare rapidamente al collasso. – In quest’ottica si comprende sia la sollecitudine (e mostruosa efficienza) cinese nella costruzione di nuovi ospedali, sia la preoccupazione di molti operatori ospedalieri italiani in un settore scarnificato dai tagli negli ultimi anni.
3) In seconda battuta, l’impatto del Covid-19 è particolarmente severo sull’intero sistema delle transazioni, sul ‘libero movimento di merci e persone’. In quest’ottica poche cose illustrano in modo più plastico di questa epidemia il sistema di interconnessioni ed interdipendenze globali. Al contempo ciò mostra l’immensa strutturale fragilità di sistemi produttivi così estesi, che dopo essere stati più volte messi sotto accusa per le ripercussioni ambientali di questa ‘frenesia di movimento’, e per le loro ripercussioni in termini di destabilizzazione economica (delocalizzazioni, ecc.), ora mostrano anche la corda nei termini di fragilità del controllo nazionale (quando il controllo nazionale è l’unica cosa cui puoi ricorrere, come in caso di epidemia).
4) Nel caso italiano temo che il rischio di essere il vaso di coccio del sistema sia altissimo. Paesi come la Cina giocano le loro carte sull’export, ma hanno un forte controllo nazionale, e ciò gli consentirà plausibilmente, nonostante una situazione inizialmente assai più grave, di rimettersi in carreggiata tra uno o due mesi. Se la curva dei contagi, come sembra, continua a ridursi, la Cina riprenderà (non senza strascichi) il suo ruolo attuale di ‘fucina del mondo’.
Altri paesi, come gli USA, hanno un mercato interno forte, che risentirà relativamente di eventuali prolungate interruzioni delle ‘supply chains’ mondiali.
I paesi europei sono quelli destinati a soffrire di più nel caso di un prolungarsi od aggravarsi della situazione, e l’Italia più di tutti, perché dipende più di ogni altro dalle proprie relazioni internazionali (sia come export, che come settore turistico).
5) Sul piano strettamente empirico, in Italia, in questo quadro c’è un particolare che finora mi sembra curiosamente assente dalla discussione. Siamo di fronte a due focolai distinti, di cui uno ha un possibile paziente zero (ma per ora non confermato), mentre nell’altro caso non mi risulta che ci sia alcun paziente zero.
Ora, la mancata individuazione dei focolai originanti dell’infezione è un evento di straordinaria gravità. Se il/i soggetto/i che diffonde il virus non viene isolato può contagiare un numero indefinito di persone, che visti i tempi di incubazione (da 2 a 15 giorni, sembra), potrebbe provocare una condizione pandemica in capo a un paio di settimane.
Ci si potrebbe trovare, e non è una proiezione particolarmente pessimistica, con una situazione di dimensioni ‘cinesi’. Scarsa consolazione sembra provenire dalla presunta stagionalità del virus, giacché a quanto pare si sta diffondendo anche in aree calde. Un quadro del genere può significare per l’Italia essere tagliati fuori come anelli dell’approvvigionamento europeo e come destinazione turistica.
Il tutto in una cornice già economicamente logorata e socialmente tesa.
E, per inciso, senza la possibilità di poter ricorrere a pratiche di autofinanziamento statale (per la ben nota deprivazione della potestà sulla propria erogazione di moneta).
Direi la tempesta perfetta.
Spero vivamente che chi ci governa abbia chiaro davanti agli occhi questo scenario, al momento non solo di principio possibile, ma significativamente probabile. Non è un momento in cui si può aspettare e stare a vedere cosa succede, per poi metterci delle toppe. Le toppe sono già quasi finite, e potremmo essere solo all’inizio.
Vincenzo Cucinotta
Conte dice “stiamo facendo tutto il possibile”.
Il punto è che non si fa mai tutto il possibile, perchè se ciò che si fa esaurisce tutto il possibile, allora, non ci sarebbe nulla da decidere.
Quel Conte mi pare l’emblema stesso di questo aspetto più ignobile dell’italianità, questa approssimazione, questo volemose bene, uno che dice che gli italiani possono stare tranquilli perchè il governo sta facendo del suo meglio.
Vedo che non ci sono grandi consensi alla mia posizione “estrema”, cioè affrontiamo il contagio senza illuderci di poterlo contenere, ma credo che non sia chiaro che ogni battaglia che si intraprende, lo si fa per vincerla.
Mi chiedo allora coloro che sono nel panico per ogni possibile estensione del contagio, a quali sacrifici estremi siano pronti, a rimanere barricati in casa fino a esaurimento delle scorte, e poi affidarsi a lanci di derrate alimentari da elicotteri? Non so, non capisco, forse non è chiaro a tutti che ormai abbiamo una pluralità di fonti di contagio, molte delle quali tuttora ignote, e ognuna di queste può rapidamente dar luogo a numerosissime fonti di contagio. Come possiamo davvero credere che si riesca a controllarle tutte?
Mi chiedo se siano così scemi o se siano solo furbi, e invece di puntare a delimitare il contagio, stiano solo tentando di difendere la propria immagine dicendo appunto che “hanno fatto tutto il possibile”. A noi, che facciano tutto il possibile non interessa per niente, vogliamo risultati, e quindi se qualcuno ha un’idea in proposito, che adottino una strategia ben definita e articolata, sennò sarebbe meglio che non facessero nulla, il possibile di cui parlano può essere molto pernicioso.
http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-31/14163