Il primato del politico_con Gianfranco La Grassa

A partire dagli anni ’90 Gianfranco La Grassa, partendo da una revisione dell’opera di Marx, ha operato una netta rottura con l’economicismo e il determinismo che ha afflitto il marxismo ed altre correnti di pensiero dei due secoli trascorsi. Essi stessi basati, comunque, su alcuni fondamentali assunti del grande pensatore. Da qui l’adozione della teoria del conflitto tra centri decisori strategici e del primato del politico come chiavi di interpretazione delle dinamiche che vedono negli stati il luogo privilegiato dell’azione politica. Un punto di vista certamente più adeguato a comprendere efficacemente le vicende in corso. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Le Lezioni Nascoste del “Millennium Challenge 2002”… e altro, di Giuseppe Gagliano

Italia e il mondo, in particolare Roberto Buffagni, ha più volte segnalato i meriti di Paul van Riper in numerosi articoli_Giuseppe Germinario

http://italiaeilmondo.com/category/dossier/contributi-esterni/marine-corps-gazette/

Le Lezioni Nascoste del “Millennium Challenge 2002” 

Come noto nel 2002 venne posta in essere dagli Stati Uniti  l’esercitazione militare denominata “Millennium Challenge 2002” (MC02), la più grande simulazione di guerra della storia, condotta dal United States Joint Forces Command. Con un budget di 250 milioni di dollari e la partecipazione di 13.500 persone, la simulazione aveva l’obiettivo di validare le nuove teorie della “military transformation”. La simulazione  ha coinvolto forze virtuali e reali in nove location e diciassette ambienti simulati, con un Paese mediorientale immaginario come avversario.(Probabilmente l’Iran o l’Iraq)

Il tenente generale dei Marines Paul K. Van Riper ha assunto il ruolo di comandante delle forze nemiche. Van Riper ha espresso profonda insoddisfazione per i risultati dell’esercitazione, affermando che l’esito era stato manipolato per garantire la vittoria statunitense. Ha descritto queste azioni in una email di protesta inviata prima della fine della simulazione , mettendo in dubbio l’onestà del processo e le implicazioni negative di un’applicazione pratica di teorie non verificate.

Durante la simulazione, Van Riper ha dimostrato ingegnosità, utilizzando metodi non convenzionali come motociclisti per inviare messaggi, luci e bandiere per le comunicazioni, e informazioni fuorvianti per confondere la “squadra blu” (le forze statunitensi). Dopo essere stato isolato tecnologicamente, ha lanciato un attacco massiccio con mezzi aerei e navali leggeri, affondando sedici navi nemiche e teoricamente uccidendo oltre 20.000 nemici. Questa mossa ha sconvolto i blu e dimostrato la vulnerabilità delle loro forze di fronte a tattiche asimmetriche.

In risposta, gli organizzatori dell’esercitazione hanno “resettato” lo scenario, limitando le opzioni di Van Riper e assicurando il successo dei blu. Ciò ha portato Van Riper a ritirarsi dalla simulazione , e il risultato finale ha visto una vittoria incontestata dei blu.

Il report di Van Riper post-esercizio fu una critica impietosa verso la simulazione, esprimendo come la guerra reale sia intrinsecamente imprevedibile e caotica.

Il “Millennium Challenge 2002” diventa così un monito sul pericolo della sovrainformazione e sull’importanza di rimanere aperti a strategie non convenzionali e all’ascolto di opinioni diverse. Un eccesso di informazioni, come dimostrato, può paralizzare il processo decisionale e infondere un senso ingannevole di sicurezza, trasformando un apparente vantaggio in una vulnerabilità critica.

Non solo :Van Riper, con la sua esperienza in Vietnam e la sua adesione ai principi di Clausewitz, ha evidenziato che la superiorità tecnologica non assicura il successo.

Nonostante le lezioni offerte dall’esercitazione, le autorità militari americane – come oggi quelle israeliane -competenti sembrano non averne tenuto conto, continuando a ripetere gli stessi errori, con un’eccessiva fiducia nella tecnologia e una mancanza di attenzione alle critiche e alle strategie alternative.

SCENARI/ 2. Usa-Ue, realismo e potere: perché l’autonomia di Bruxelles è solo un’utopia

Giuseppe Gagliano

La dottrina di Christian Harbulot, fondatore della scuola di guerra economica francese, sarebbe un utile aiuto per le élites europee

biden vonderleyen 1 lapresse1280 640x300 Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue. A sin., Joe Biden (LaPresse)

Secondo il fondatore della scuola francese di guerra economica Christian Harbulot affinché l’Europa possa rinascere e avere un ruolo di grande rilevanza dal punto di vista politico e militare, le sue élites non solo devono riflettere sul ruolo determinante della guerra economica, ma soprattutto devono ricominciare a riflettere sul ruolo rilevante del concetto di potere. In caso contrario l’Europa rimarrà semplicemente un’appendice degli Stati Uniti o una sorta di vaso di coccio – come avrebbe detto Manzoni – tra vasi di ferro, quali gli Stati Uniti, la Cina, i Paesi arabi e i Paesi africani esportatori di petrolio e di gas, come d’altra parte l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina da una parte e quello tra Israele e Palestina dall’altra stanno ampiamente dimostrando.

La guerra economica è per Harbulot l’espressione estrema dei rapporti di potere non militari. Esiste ovviamente una forte correlazione tra guerra militare e guerra economica. Le questioni economiche giocano un ruolo importante nelle cause dei conflitti. Tutto ciò appare nel lungo periodo della storia. Nel rapporto originario con la sopravvivenza nelle società preistoriche, l’acquisizione della sussistenza implica un rapporto violento. In una fase successiva, anche il rapporto tra nomadi mobili e predatori e popolazioni sedentarie attaccate alla terra e prese di mira da saccheggi e razzie nasce da un conflitto la cui origine è economica. In un ordine diverso, le società basate sulla schiavitù si basano anche sulla sconfitta militare degli schiavi o sull’invasione e occupazione del loro territorio. Più vicino a noi, è la ricerca di nuove risorse che determina la conquista dei territori, come è stato per la conquista spagnola dell’America o l’espansione coloniale del XIX secolo. Il fenomeno è spesso mascherato da altre giustificazioni, quelle derivanti da antagonismi religiosi o da litigi dinastici, ma resta comunque decisivo. Le cose sono cambiate con il XIX secolo, che vide l’emergere dei mercati aperti e del discorso liberale che li precedette o lo accompagnò. Il liberalismo, allora prevalente, veniva presentato come la migliore garanzia per il mantenimento della pace e proprio per questo esclude qualsiasi dibattito o riflessione relativa alla guerra economica.

Ma, nonostante le bugie e le omissioni, la storia degli ultimi due secoli ha dimostrato che le rivalità economiche devono essere considerate in termini di equilibri di potere, sempre più associati alle realtà militari. Dove non c’è conflitto, in senso stretto, possiamo ritrovarci, nonostante ciò, in una dialettica del conflitto. Il confronto economico consenta di accrescere il potere di uno Stato. A tale proposito, Harbulot sottolinea come per decenni la riflessione sul potere è stata assente, e il minimo che si possa dire è che difficilmente attira l’attenzione dell’opinione pubblica. De Gaulle, ai suoi tempi, pensava in termini di potere, anche se non usava questa parola. Preferiva quello della “grandezza”, ma quest’ultimo concetto era visto come obsoleto o anacronistico già dalle generazioni contemporanee di quell’epoca. In effetti, la parola “potere” sembrava riferirsi all’oscurità del totalitarismo. Dopo de Gaulle, la priorità data alla costruzione europea ha fatto sì che la Francia rinunciasse in gran parte alla sua libertà d’azione e si integrasse nel gruppo euroatlantico.

Un esempio di quanto sia reale e concreto il potere – alludiamo ora a quello degli Stati Uniti – è dimostrato in modo esemplare dal caso di Edward Snowden, la cui defezione ha rivelato la portata dello spionaggio portato avanti su scala mondiale dai servizi americani, in particolare dalla NSA (National Security Agency). Qualunque governo può considerarsi condannato a scomparire se non tiene rapidamente conto delle esigenze del potere. Al contrario l’Europa è andata in una direzione esattamente contraria. L’Europa è allo stato attuale soltanto uno spazio geografico dai limiti incerti, posto sotto l’egemonia politica, ideologica e militare degli Stati Uniti. Date queste condizioni, l’autonomia dell’Europa è oggi un’utopia. Dopo l’obsolescenza, nel dopo Guerra Fredda, della solidarietà ideologica che si era formata contro la minaccia sovietica, appare chiaramente che l’allora alleato divenne un avversario, che attuò il programma formulato nel 1917 dal presidente americano Wilson e dal suo consigliere colonnello Edward Mandell House: “L’Inghilterra e la Francia non hanno affatto le nostre stesse opinioni sulla pace. Quando la guerra sarà finita, potremo costringerle a seguire il nostro modo di pensare, perché allora, tra le altre cose, saranno nelle nostre mani anche finanziariamente”.

Da allora, il caso Snowden ha screditato, agli occhi di molti, il ruolo degli Stati Uniti come motore della democrazia globale. Gli americani oggi beneficiano della duplicità propria del liberalismo, che sfruttano abilmente al servizio dei propri interessi imponendo un equilibrio di potere a loro favorevole. Sebbene questa nazione sia stata costruita sul genocidio dei nativi americani, le sue élites intendono dire al mondo dov’è il bene e imporre ovunque l’ideologia dei diritti umani. Questo vero e proprio cavallo di Troia ha lo scopo di neutralizzare le reazioni identitarie e trasformare il mondo in un vasto mercato globale. Il singolo consumatore, controllato dalla nuova versione del Grande Fratello orwelliano, sarà tagliato fuori dalle sue radici etniche e culturali e sarà condannato a sottomettersi a una globalizzazione fatale per le diverse identità che costituiscono la ricchezza della società. Gli europei devono innanzitutto pensare in termini di rapporti di potere, esprimere un reale desiderio di potere e affermare ancora una volta una chiara consapevolezza della propria identità, essenziale per affrontare le sfide del mondo che li aspetta.

L’intelligence economica sta cambiando profondamente: ecco tutte le mosse della Cia di William Burns.

7 Novembre 2023 07:22

La scacchiera globale dell’intelligence economica sta vivendo un profondo cambiamento, con la Central Intelligence Agency (CIA) degli Stati Uniti in prima linea nel ridefinire la sua strategia di fronte alle minacce transnazionali. Questo nuovo corso ha portato alla dissoluzione del Centro per la Sicurezza Economica, un tempo pilastro sotto la guida di David Petraeus, il cui impatto è ora disperso tra i vari rami dell’agenzia.

IL CAMBIO DI PARADIGMA DI BURNS

Sotto la direzione di William Burns, si assiste a un vero e proprio cambio di paradigma, con l’istituzione di centri specializzati quali il Centro Missione sulla Cina e il Centro Missione su Transnazionali e Tecnologia. Questi organi sono i nuovi fulcri dell’intelligence economica, e si propongono di scrutare e comprendere le complessità delle dinamiche economiche globali, con un occhio particolare alla potenza emergente cinese.

Burns, forte del suo passato diplomatico, ha sposato un modello organizzativo flessibile e integrato, in netto contrasto con la struttura precedente. Tale modello promuove un’integrazione tra analisti, operatori sul campo e specialisti tecnici per affrontare con maggiore sinergia le sfide odierne.

Tuttavia, la transizione non è esente da critiche e resistenze interne. In particolare, gli ufficiali del Directorate of Operations temono di perdere terreno a favore degli analisti nell’ambito della ristrutturazione. A ciò si sommano le difficoltà nel mantenere un team stabile e competente, come dimostrano i problemi di turnover affrontati dal Centro Missione sulla Cina.

IL RUOLO DEL CONGRESSO

Sul fronte legislativo, l’occhio vigile del Congresso si è tradotto in pressioni per ampliare e rafforzare le competenze in materia di intelligence finanziaria e tecnologica. L’ultimo atto normativo in materia di intelligence sottolinea la necessità di un incremento del personale specializzato e di politiche mirate di reclutamento e formazione, un segnale chiaro della prioritaria rilevanza data a queste aree.

LE SFIDE DELLA CIA

In definitiva, la CIA si sta attrezzando non solo per fronteggiare le sfide del presente, ma anche per prevedere e modellare gli scenari futuri, con la consapevolezza che la sicurezza nazionale passa anche attraverso la comprensione e la gestione dell’intelligence economica.

Cambio di regime”, una grande specialità americana

Giuseppe GAGLIANO

Président du Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis (Côme, Italie). Membre du comité des conseillers scientifiques internationaux du CF2R.

 

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Durante il conflitto tra Iran e Iraq negli anni ’80, la Siria di Hafez al-Assad, padre dell’attuale presidente Bashar al-Assad, occupava una posizione di grande importanza strategica, con implicazioni significative per gli interessi americani nella regione. Un documento segreto della CIA del 14 settembre 1983 descriveva la Siria come una minaccia per gli Stati Uniti a causa del suo sostegno a vari gruppi terroristici e all’occupazione del Libano, che andava contro gli interessi americani e quelli di alleati come Israele. La chiusura dell’oleodotto iracheno-siriano aveva inoltre danneggiato l’economia irachena, con il rischio di un’ulteriore estensione del conflitto con l’Iran.

La CIA ha preso in considerazione diverse strategie per esercitare pressione su Assad, tra cui la possibilità di una minaccia militare coordinata da parte di Iraq, Israele e Turchia, i vicini della Siria. Ankara, in particolare, aveva motivi di insoddisfazione nei confronti di Damasco a causa del sostegno che Assad aveva fornito ai militanti curdi e armeni, una situazione considerata un atto ostile dalla Turchia.

In un altro documento, datato 30 luglio 1986 e proveniente dal Foreign Subversion and Instability Center della CIA, intitolato Syria: Scenarios of Dramatic Political Change (Siria: scenari di un cambiamento politico drammatico), venivano analizzate varie ipotesi per rimuovere Assad dal potere. La CIA prevedeva che una risposta sproporzionata del governo siriano a proteste minori avrebbe potuto scatenare disordini su larga scala, fino a sfociare in una guerra civile. Questa previsione teneva conto del fragile equilibrio etnico e settario della Siria. Un governo sunnita al potere avrebbe potuto ridurre l’influenza sovietica nella regione, dato il sostegno dell’URSS al regime di Assad, dominato dagli alawiti.

Il documento del 1986 avvertiva anche che un governo debole a Damasco avrebbe potuto trasformare il Paese in un centro per il terrorismo. Gli interessi americani erano chiari: un governo sunnita filo-occidentale avrebbe potuto ridurre le tensioni con Israele ed essere più aperto agli aiuti e agli investimenti occidentali. Tuttavia, si temeva che un governo sunnita potesse cadere sotto il controllo dei fondamentalisti, che avrebbero potuto instaurare una repubblica islamica ostile a Israele e sostenere il terrorismo; questa preoccupazione rimane attuale.

I tentativi degli Stati Uniti di destabilizzare la Siria sono stati ampiamente illustrati da WikiLeaks, che ha mostrato come, già nel 2006, attraverso comunicazioni segrete dell’ambasciata statunitense a Damasco, fossero state identificate e studiate le vulnerabilità del governo siriano. Tali vulnerabilità includevano le preoccupazioni dei sunniti per l’interferenza iraniana, la situazione dei curdi e la presenza di estremisti che vedevano nella Siria un rifugio sicuro.

Il documento 06DAMASCUS5399_a del 13 dicembre 2006 sottolineava che, nonostante la stabilità economica del Paese e la debolezza dell’opposizione interna, esistevano opportunità di sfruttare la situazione interna della Siria. In particolare, ha evidenziato il pericolo dell’espansione dell’influenza iraniana, sia attirando gli sciiti sia convertendo i sunniti economicamente più deboli attraverso attività come la costruzione di moschee e attività commerciali.

Un’e-mail di Hillary Clinton, datata 31 dicembre 2012 – all’apice della guerra civile siriana – ha definito chiaramente l’obiettivo degli Stati Uniti: rovesciare Bashar al-Assad per aumentare la sicurezza di Israele di fronte alla minaccia nucleare iraniana e ridurre l’influenza regionale di Teheran.

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Anche Cuba è stata oggetto di numerosi processi di destabilizzazione. Uno in particolare merita di essere esaminato.

Nel 2009, gli Stati Uniti hanno cercato di scuotere le fondamenta del governo cubano attraverso un’iniziativa piuttosto insolita e ingegnosa: la creazione di una rete sociale. L’operazione è stata attuata dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) con la nascita di ZunZuneo, una piattaforma digitale rivolta ai giovani cubani. Il progetto ha comportato l’acquisizione clandestina dei dati personali di mezzo milione di cittadini cubani destinatari di questa azione sovversiva.

Per mascherare le intenzioni americane dietro questa manovra, ZunZuneo ha funzionato inizialmente come un servizio di messaggistica con contenuti superficiali e di intrattenimento, come notizie sportive e previsioni del tempo. Dietro questa facciata, l’obiettivo era creare un canale per contenuti dissidenti e fomentare le proteste.

Il finanziamento dell’operazione è stato celato attraverso conti esteri e la creazione di due società di comodo, una in Spagna e l’altra nelle Isole Cayman. Inoltre, i fondi inizialmente destinati a progetti umanitari in Pakistan sono stati dirottati, aggirando le leggi statunitensi che richiedono la notifica al Congresso per le operazioni segrete.

La “facciata” commerciale di ZunZuneo è stata rafforzata da campagne promozionali e falsi annunci pubblicitari volti a conferirgli credibilità e ad attirare l’attenzione dei giovani cubani, che si sono iscritti in massa, attratti dalla novità del servizio digitale. La massiccia diffusione del social network ha presto sollevato dubbi e preoccupazioni nel governo cubano, che ha avviato un’indagine e ha iniziato a monitorare i contenuti condivisi sulla piattaforma.

Dietro le quinte, i dati degli utenti sono stati raccolti e analizzati dagli organizzatori del social network, che hanno classificato gli iscritti in diverse categorie in base all’età, al sesso e all’atteggiamento nei confronti del regime, senza che questi ne fossero a conoscenza o avessero dato il loro consenso.

Nonostante il successo iniziale – 40.000 iscritti – la crescente sfiducia del governo cubano nei confronti di ZunZuneo ha portato alla sua chiusura nel settembre 2012, ponendo fine a quello che era stato uno dei tentativi più audaci e controversi degli Stati Uniti di influenzare il clima politico all’interno di Cuba.

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Quali conclusioni si possono trarre da questi due esempi di tentativi di cambio di regime da parte di Washington?

Secondo l’analisi dello storico brasiliano Luiz Alberto Moniz Bandeira, la politica estera degli Stati Uniti si concentra sul mantenimento e sull’espansione della propria sfera d’influenza globale, utilizzando una varietà di metodi per garantire che nessun Paese rappresenti una minaccia per i suoi interessi. Questo processo viene attuato indipendentemente dal contesto politico o geografico del Paese interessato.

La strategia americana di “correzione” è particolarmente incisiva nei confronti dei governi percepiti come ribelli o che si discostano dalla linea imposta dalla Casa Bianca. Bandeira sostiene che l’imperativo statunitense di sovrapporre i propri presupposti agli interessi stranieri si intensifica quando il dominio degli Stati Uniti sembra diminuire anziché crescere, perché in queste circostanze si avverte maggiormente la necessità di riaffermare il proprio potere.

Per mettere a tacere gli oppositori o eliminare gli ostacoli politici, gli Stati Uniti ricorrono ai loro servizi speciali, alle organizzazioni non governative e alle fondazioni private. Questi attori e i loro metodi (guerra psicologica, guerra dell’informazione, ecc.) hanno il compito di destabilizzare i governi avversari, sfruttando le loro tensioni interne e cercando di dirigere i disordini come se fossero spontanei e non influenzati dall’esterno, per evitare la resistenza che di solito segue la percezione di un’interferenza straniera. Ciò è stato eloquentemente illustrato in numerosi studi, non solo da Éric Denécé, ma anche da Christian Harbulot e dalla sua École de Guerre Économique (EGE).

L’obiettivo finale è il rovesciamento di un governo, idealmente attraverso un processo che sembra derivare dalla volontà popolare e dai principi democratici piuttosto che da un colpo di Stato. In questa prospettiva, un regime che crolla sotto la pressione di un movimento popolare apparentemente “spontaneo” è visto come un successo per la politica statunitense.

Per influenzare l’opinione pubblica e promuovere azioni civili contro i governi presi di mira, gli Stati Uniti fanno ampio uso dei media, di Internet e dei social network. Attraverso questi canali, possono manipolare le percezioni e indirizzare il dissenso – a volte incanalando il desiderio di vendetta o semplicemente il desiderio di migliorare le condizioni di vita – per stimolare le proteste contro il governo da rovesciare.

La “defiance politica”, termine adottato ufficialmente dagli Stati Uniti, consiste nell’orchestrare campagne per indebolire e infine disintegrare le basi di potere dei Paesi avversari. Questa strategia, ispirata alle teorie del politologo Gene Sharp e di un colonnello della Joint Military Attaché School, prevede una pianificazione meticolosa e una mobilitazione popolare per minare dall’interno i governi non allineati agli interessi statunitensi. Secondo Moniz, questi meccanismi potrebbero essere all’opera in varie parti del mondo, illustrando il coinvolgimento degli Stati Uniti nei processi di destabilizzazione.

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Giornata agitata per il Game of Thrones ucraino!_di SIMPLICIUS THE THINKER

Il progetto ucraino sta iniziando a disfarsi. Quello che era iniziato come un accenno di conflitto si è ora trasformato in una vera e propria spaccatura tra la leadership ucraina e lo staff militare.

Una tempesta di nuovi rapporti dipinge un quadro desolante di una disperata lotta finale per il potere.

⚡️ Il Ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov sta preparando le richieste di archiviazione: – Comandante delle Forze congiunte delle Forze armate dell’Ucraina Sergei Naev (potrebbe diventare uno dei principali imputati nel caso che riguarda la difesa della regione di Kherson nel 2022);- Comandante del Gruppo operativo-strategico di truppe “Tavria” Alexander Tarnavsky;- Comandante delle Forze mediche delle Forze armate ucraine Tatyana Ostashchenko;Questo è stato riferito da Ukrayinska Pravda con riferimento a fonti del Ministero della Difesa dell’Ucraina.

And:

Cominciano a circolare voci sull’imminenza di una grande epurazione del Ministero della Difesa. Il nuovo Ministro della Difesa Umerov sta preparando proposte per il licenziamento del comandante delle Forze mediche delle Forze armate dell’Ucraina T. Ostashchenko Comandante del Gruppo operativo-strategico di truppe “Tavria” Alexander Tarnavsky Comandante delle Forze congiunte delle Forze armate dell’Ucraina Sergei Naev. All’inizio di oggi, l’ex deputato del popolo Borislav Bereza, citando fonti dell’Ufficio di Stato, ha detto che Naev e il comandante in capo delle Forze armate dell’Ucraina Valery Zaluzhny potrebbero essere notificati con sospetti (di reati).

Ecco il post di Bereza citato sopra:

Tenete presente che in una tale marea di rapporti è quasi impossibile confermarli o verificarli tutti, ma nel complesso rappresentano un senso generale dell’urgente escalation che si sta verificando dietro le quinte.

Dal canale Rezident_UA:

Fonti ucraine scrivono che Andriy Ermak cercherà di coordinare con l’amministrazione Biden la sostituzione del comandante in capo delle forze armate ucraine Zaluzhny, che non è soddisfatto dell’ufficio del presidente. È stato Zaluzhny a rifiutare di iniziare la seconda fase della controffensiva con l’attraversamento del Dnieper e a proporre di passare alla difensiva invece che all’offensiva..

Quindi Yermak/Zelensky stanno cercando di coordinarsi con Biden per sbarazzarsi di Zaluzhny, mentre le altre forze si coordinano con Zaluzhny per far partire Zelensky?

Ihor Mosiychuk, ex deputato della Rada ed ex vicecomandante del Battaglione Azov, ha pubblicato oggi una serie di video sull’argomento, che ho raccolto qui sotto. Egli sembra confermare il viaggio di Yermak a Washington per avviare Zaluzhny:

In realtà, il dramma e l’intrigo stanno arrivando a un punto tale da raggiungere livelli di assurdità mai visti. Un deputato del popolo alla Rada ucraina, Dubinsky, che si dà il caso sia in forte polemica con il suddetto Mosiychuk, ha rilasciato oggi questa dichiarazione sui suoi account ufficiali sui social media. Definisce apertamente Yermak “il vero presidente dell’Ucraina”, implorando Tucker Carlson di intervenire, e conferma persino la folle teoria di ieri secondo cui Zelensky starebbe cercando di contattare Trump per convincerlo a “sbloccare” gli aiuti all’Ucraina attraverso il partito repubblicano che Trump sembra controllare:

Mi rivolgo pubblicamente al giornalista Tucker Carlson, che non avrà paura di trattare l’argomento della persecuzione politica dell’unico politico ed ex giornalista ucraino che ha parlato apertamente della corruzione degli alti funzionari del Paese e dei fatti di furto dell’assistenza finanziaria degli Stati Uniti attraverso il Ministero della Difesa dell’Ucraina, in cui sono coinvolti deputati del Partito del Servo del Popolo e funzionari dell’Ufficio del Presidente. Ora il vero presidente dell’Ucraina, Yermak, si trova negli Stati Uniti per cercare di convincere il governo americano che in Ucraina non c’è corruzione e per attribuire i furti commessi da lui e da quelli della sua cerchia alle trame degli “agenti del Cremlino”. Sta anche cercando di organizzare una conversazione telefonica tra Zelensky e Trump per ottenere il sostegno del Congresso per gli aiuti all’Ucraina, che lui e Zelensky stanno saccheggiando. Sono l’unico a parlare di questa corruzione, che è supportata da numerosi fatti e indagini giornalistiche, ed è per questo che vogliono mettermi in prigione con l’ennesima accusa inventata.Unendo le nostre forze, saremo in grado di rivelare al mondo la verità sulla banda di truffatori che ha catturato l’Ucraina. Rivelare la brutta verità che Yermak, Zelensky e i loro soci stanno cercando di nascondere.

Ed ecco che ora sembra esserci un caso di tradimento contro Dubinsky, che sarebbe stato visitato dall’SBU. Mosiychuk ha pubblicato un nuovo video in cui afferma che Dubinsky è agli arresti domiciliari per ordine di Yermak, presumibilmente per le dichiarazioni di cui sopra, e che è sospettato di essere un agente della GRU russa con il nome in codice “Buratino”.

State già scuotendo la testa?

Continuando, l’ultima volta ho fatto riferimento ai recenti commenti dell’ex generale ucraino Marchenko nei confronti di Zaluzhny, che Mosiychuk cita anche qui sopra. Ora potete vedere voi stessi come nella società ucraina sia diventato improvvisamente di moda iniziare a condizionare gli spettatori all’accettazione di Zaluzhny come presidente. Qui, su una rete popolare, il conduttore e Marchenko hanno apertamente ventilato l’idea:

Dice che Dio conceda che Zaluzhny diventi presidente, ed entrambi vorrebbero tanto che ciò accadesse. Capite cosa sta succedendo, gente?

Ora, si dice che il direttore della CIA in persona, William Burns, si stia dirigendo direttamente a Kiev il 15 novembre, con la spiegazione ovviamente logica che lo scopo della visita urgente è quello di convincere Zelensky a congelare il conflitto. Leggete l’astuta analisi qui sotto:

Mercoledì 15 novembre è prevista una visita a Kiev del direttore della CIA William Burns. Il capo dell’intelligence americana cercherà di convincere Zelensky che è necessario congelare temporaneamente il conflitto e rifiutare per ora di restituire i territori perduti con mezzi militari. In altre parole, Burns suggerisce a Zelensky di commettere un suicidio politico, perché una tregua e un congelamento significano il crollo completo e definitivo della sua carriera. Se il Presidente dell’Ucraina accetta, ci sarà una carota ad attenderlo: una pensione onoraria in Europa o negli Stati Uniti. Se rifiuta, useranno la frusta: l’amministrazione Biden aprirà il rubinetto dell’assistenza militare e finanziaria. Molto probabilmente, Zelensky rifiuterà e diventerà un problema per gli Stati Uniti. E loro sanno come risolverli; la storia del Vietnam del Sud non permette di mentire. In linea di principio, la visita di Burns è l’ultima possibilità per Zelensky di rientrare nei binari della politica americana. La sua resistenza significherà che gli Stati Uniti cominceranno a perseguire una linea di “congelamento” con metodi più severi.Un’altra cosa è che questo “congelamento” è un fenomeno temporaneo. Qualsiasi amministrazione americana – Biden, Trump o il diavolo pelato – non rinuncerà mai a una tale testa di ponte ai confini della Russia, che è l’Ucraina di oggi. La sua comparsa è un grande successo di politica estera per gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno bisogno di una pausa nella guerra per risolvere i loro problemi interni, spegnere il fuoco in Medio Oriente, cercare di trovare uno status quo con la Cina e allo stesso tempo riequipaggiare l’esercito ucraino. Pertanto, la guerra continuerà in ogni caso, l’unica questione è con o senza una pausa. Ebbene, Burns non lascerà nulla a Kiev. Ma darà a Zelensky un marchio nero.

Ricordiamo che proprio ieri un nuovo articolo “bomba” del WaPo ha cercato di addossare subdolamente la colpa del NordStream a Zaluzhny, per mezzo di qualche tirapiedi che “prendeva ordini”. L’articolo si è spinto ad affermare che Zelensky “non era a conoscenza di ciò che stava accadendo”.’

È interessante notare come le informazioni contenute nell’articolo non fossero particolarmente nuove, dato che un articolo di molto tempo fa aveva già delineato le stesse teorie. Quindi, perché riesumarlo ora?

Appare evidente che due fazioni concorrenti stanno cercando di superarsi a vicenda nella sfera dei media occidentali. Zaluzhny ha sparato il suo colpo nel pezzo non approvato dell’Economist, e sembra che i sostenitori di Zelensky stiano facendo il loro lavoro parallelo di contrasto.

Riassumiamo quindi i recenti sviluppi:

I collaboratori di Zaluzhny sono stati eliminati, uno con un assassinio.
Dalla parte di Zelensky viene annunciata una nuova “pulizia” su larga scala dell’intero stato maggiore.
Grandi campagne mediatiche da entrambe le parti spingono narrazioni urgenti di stallo, Zaluzhny che insinua che la guerra sarà persa, e un’esposizione illuminante su una versione “isolata” e “messianica” del Fuhrer-bunker di Zelensky
Zelensky cancella improvvisamente le elezioni presidenziali, probabilmente intuendo il piano per promuovere Zaluzhny come sfidante.
Il rubinetto del denaro è ancora chiuso per il prossimo futuro, senza piani realistici all’orizzonte.
L’Ucraina sta perdendo catastroficamente su quasi tutti i fronti della guerra e presto perderà un’altra città importante e strategicamente critica.
Molte voci influenti come Arestovich ora spingono apertamente per il cessate il fuoco
Il direttore della CIA “mietitore” sta per fare visita, cosa che accade solo alla vigilia di qualche grande svolta o escalation. Diplomatici e Segretari degli Esteri vengono inviati per “discutere le opzioni” o “negoziare” – i direttori della CIA vengono mandati per consegnare le minacce finali di azione.
Molte di queste informazioni sono già state discusse altrove. Ma la domanda principale che nessuno sembra porsi è la più critica di tutte: se le fazioni occidentali intendono sostituire Zelensky con Zaluzhny, qual è lo scopo effettivo? Cosa intendono fare o realizzare per Zaluzhny che Zelensky non può fare?

Alcuni non ci hanno riflettuto a fondo e si limitano a pensare che “Zaluzhny è un leader forte” e quindi è stato fatto per sostituire Zelensky in modo che possa mettere in riga l’esercito e vincere la guerra. Ma perché Zaluzhny dovrebbe essere presidente per farlo? È già il comandante in capo delle forze armate e questo è letteralmente il suo compito.

Quindi, da un punto di vista logico, l’unica spiegazione possibile che vedo sensata è che Zaluzhny sia stato scelto per vendere il cessate il fuoco alla popolazione. Una cosa del genere sarebbe più accettabile dal punto di vista di un leader militare e di uno stratega che può spiegare che la situazione è senza speranza senza il tempo di recuperare e ricostituire le forze con un armistizio. E, cosa più importante, di venderlo alle truppe. Se venisse detto direttamente dal generale che le truppe rispettano, sarebbe molto più appetibile che non da chi ha il fiuto, la voglia di fare e la testa nei pantaloni.

Ma il problema è che questo si scontra con l’Oped dello stesso Zaluzhny, in cui spingeva per avere più armi e più guerra, e non sembrava intenzionato ad accettare alcun cessate il fuoco, ma si limitava ad avvertire che questo sarebbe stato il caso se non si fosse fatto nulla. Naturalmente, potrebbe potenzialmente trasformare questo fatto in un assecondamento di entrambi gli antipodi, proponendo che tutte le armi e i robot di nuova concezione che ha richiesto nel suo articolo possano essere forniti durante una “distensione temporanea”, in particolare una venduta al pubblico con l’aggiunta di una sorta di garanzia di candidatura alla NATO, ecc.

Si tratta di speculazioni, ma in base alla semplice logica, posso solo supporre che la ventilata iniziativa di Zelensky di ripulire i ranghi sia finalizzata a sbarazzarsi di tutti i “collaboratori” che potrebbero già far parte di una crescente cospirazione ordita da Zaluzhny per spodestarlo. In breve, potrebbe cercare di decapitare tutti i lealisti di Zaluzhny per evitare la presa del potere da parte di un colpo di stato militare armato nel prossimo futuro a medio termine.

Per la cronaca, questo annuncio è stato fatto da Alexey Goncharenko, deputato di alto livello della Verkhovna Rada:

Sul suo Telegram ufficiale con oltre 250.000 iscritti ha postato:

 

Questa settimana ci saranno azioni procedurali contro i generali. La Bankova fa la sua mossa.
E questo è stato sostenuto, come affermato in precedenza, dall’ex deputato della Rada, Bereza, che ha dichiarato che le sue fonti nell’Ufficio statale di investigazione hanno confermato l’imminente epurazione:

:

 

L’ex deputato della Rada Borislav Bereza si schiera con Goncharenko. Afferma che sono imminenti licenziamenti di militari di alto livello sulla base delle sue “fonti all’interno dell’Ufficio di Stato per le indagini“.
Ricordiamo la recente dichiarazione del pezzo grosso dell’intelligence russa Patrushev, secondo cui ci sono persone “in attesa dietro le quinte” pronte a prendere il potere a Kiev, alludendo a un prossimo colpo di stato militare.

Oggi, i soldati della 28a brigata dell’AFU hanno dichiarato che prenderanno le armi se Zaluzhny verrà arrestato:

 

I militanti ucraini intervengono in difesa di ZaluzhniyGli uomini dell’AFU della 28ª brigata hanno dichiarato che se il comandante in capo verrà arrestato, prenderanno le armi per salvarloCome si suol dire, fate scorta di popcorn

!⚡️

Un’ultima osservazione interessante è che l’aspetto della “corruzione” è stato molto spinto dagli attori coinvolti. Ne abbiamo già parlato in precedenza, ma c’è un motivo per cui negli ultimi due mesi sono cominciati ad apparire articoli del MSM che accusavano ancora una volta l’Ucraina di essere corrotta, e Zelensky in particolare, mettendo in onda vari panni sporchi sul suo regime.

Poi Arestovich ha iniziato a condire lo stufato con una serie costante di attacchi, in particolare contro la “corruzione” di Zelensky e su come questa sia il problema principale che affligge l’Ucraina.

El Mundo:

Ora, con la sua nuova promessa di sostegno a Zaluzhny, l’ex generale Marchenko ha in realtà citato la corruzione come ragione principale di questo sostegno; ricordo:

Il Maggior Generale dell’AFU Dmitry Marchenko ritiene che l’Ucraina abbia bisogno di un presidente con l’esperienza dell’esercito francese Charles de Gaulle, che sconfigga la corruzione, e questo potrebbe essere il comandante in capo delle truppe ucraine Valery Zaluzhny – RIA Novosti
È chiaro quindi che l’aspetto della corruzione può essere usato come punta di diamante contro Zelensky, ma la seconda parte è che potenzialmente potrebbe anche essere usato come uno dei motivi per sospendere le ostilità. Per esempio, Zaluzhny potrebbe prendere il potere e dire: “Non possiamo vincere questa guerra con la vasta corruzione che il precedente regime di Zelensky ci ha lasciato in eredità, quindi approfittiamo di questa distensione per ripulire tutto il disordine che Zelensky ha lasciato, e in un paio d’anni emergeremo come una gloriosa e scintillante nazione europea™, attraverso l’adesione all’UE e alla NATO, ecc. Si può sostenere che ci vorrà del tempo per ripulire tutta la corruzione di rango profondamente radicata in tutti gli strati dello Stato che Zelensky ha apparentemente lasciato.

Ecco un’analisi astuta su questo punto:

Sempre più esperti e capi dei servizi segreti di tutto il mondo sono propensi a pensare che senza la rimozione, anche con la forza, dei vertici politico-militari dell’Ucraina nella primavera del 2024, il processo di assestamento dell’Ucraina non inizierà. L’elenco di coloro che sono soggetti a cure o arresti comprende da 10 a 25 persone che devono assorbire tutta la tossicità delle attuali realtà politiche: dal fallimento degli accordi di Istanbul e dalle esplosioni di SP-1 e 2 alla morte e all’emigrazione di 18 milioni di cittadini ucraini. Sebbene questa opzione non sia adatta solo al Regno Unito, negli Stati Uniti sono iniziate discussioni attive su questo tema. Dall’estate, gli europei hanno discusso attivamente il tema della corruzione nelle più alte sfere del potere in Ucraina. La società Stratfor ha condotto le sue misurazioni tra gli alti funzionari di Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Turchia, Unione Europea, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita sul tema “Come vi sentireste di fronte allo scenario forzato della partenza del Presidente V. Zelensky e del suo entourage?”. I dati hanno mostrato che se la perdita di Zelensky alla guida dell’Ucraina porterà a una soluzione a lungo termine del conflitto armato ucraino-russo, il 62% è pronto a consentire una tale soluzione della questione.In relazione alla comprensione di queste realtà, la percentuale di videomessaggi di Vladimir Zelensky in stato confusionale da una stanza con le pareti bianche non potrà che aumentare.
Ma c’è un’ultima parte dell’equazione. Tutto questo tiene conto solo dell’angolo dell’Ucraina, con l’ipotesi che la Russia stia al gioco e accetti un cessate il fuoco. Supponiamo che Zaluzhny conquisti il potere e segua il manuale di gioco descritto sopra, allora iniziano le pesanti pressioni internazionali sulla Russia affinché firmi un cessate il fuoco. E se la Russia dicesse inequivocabilmente no? A quel punto le cose si faranno davvero interessanti, perché non credo che l’Occidente abbia pensato fino a questo punto, né abbia un piano per cosa fare dopo quel momento.

L’unica cosa che può accadere a quel punto è che Zaluzhny, da presunto generale simpatizzante dei gringo qual è, tradisca l’Occidente e si arrenda totalmente alla Russia per salvare altre centinaia di migliaia di vite ucraine, oppure che non abbia altra scelta se non quella di diventare Zelensky 2.0, prendendo il posto dell’ex leader come amministratore condannato dell’Apocalisse ucraina, portando con sé la nave che affonda mentre la Russia semplicemente travolge e distrugge ciò che resta di questo stato monco.

L’unica domanda è: quale sarà il punto di rottura? Un’idea è che Avdeevka sarà la goccia che farà traboccare il vaso. Non solo sarà difficile per Zelensky in generale coprire il suo fallimento, ma anche le forze che stanno aspettando il colpo di stato contro di lui potrebbero aspettare il momento finale per poter usare il suo fallimento di Avdeevka per aumentare la propaganda del “fallimento” come colpo finale per spodestarlo. In tal caso, possiamo aspettarci un torrente di articoli e di resistenze architettate contro di lui.

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I coltelli sono estratti!

Detto questo, passiamo brevemente ad Avdeevka per vedere quanto siamo vicini a questo momento.

Gli ultimi aggiornamenti indicano che le forze russe si sono brevemente spostate in direzione sud-est e hanno effettuato diversi importanti sfondamenti di circa 700 metri nel settore industriale al margine SE della città vera e propria:

Ecco come appaiono le battaglie in questo momento in quel preciso settore:

Nel frattempo, il nord sta consolidando le sue nuove conquiste a Stepove e nella “steppa” periferica dei campi..

Da fonti ucraine:

La situazione continua a peggiorare per l’Ucraina. Come al solito, l’Ucraina è ricorsa a falsi e provocazioni, pubblicando video di perdite russe a partire da metà ottobre. Nonostante ciò, una fonte russa in prima linea ha dichiarato che le perdite sono attualmente 1:8 a favore della Russia:

Che ci si creda o meno, il fatto è che la Russia avanza quotidianamente e non sembra diversa dal lento processo di restrizione di Soledar-Bakhmut.

Ho visto un recente articolo pro-UA in cui si sostiene che le condizioni invernali saranno ugualmente negative per entrambe le parti, o addirittura peggiori per la Russia. Questo non ha senso: le condizioni invernali saranno chiaramente peggiori per l’AFU perché, soprattutto in inverno, è necessaria una fornitura costante di cose come petrolio e gas per le stufe, i generatori, ecc. Il cibo diventa più critico perché i corpi umani bruciano molte più calorie al giorno con il freddo. Tutte queste cose, sottoposte a una pressione estrema a causa del controllo del fuoco sulle linee di rifornimento, significano che i difensori ucraini, trincerati e circondati, si troveranno in condizioni di miseria atroce.

Inoltre, la completa defogliazione della copertura arborea fornirà una linea di vista ancora più chiara alle capacità di controllo del fuoco russo e consentirà una più facile identificazione delle posizioni nemiche da colpire.

Detto questo, la Russia non ha particolare fretta e probabilmente si sta godendo l’attuale crollo della leadership ucraina. A questo ritmo Avdeevka potrebbe ancora resistere potenzialmente per altri 2-3 mesi, a seconda dell’intensità con cui la Russia preme. Soprattutto se i rapporti ucraini sono accurati, secondo i quali la Russia non ha ancora il pieno controllo del fuoco su quell’unico MSR principale.

Sostengono che la Russia abbia un controllo parziale tentando di colpire i veicoli con i droni FPV, cosa di cui ho parlato l’ultima volta. Ma non è una forma di controllo del fuoco altamente sicura o affidabile. Devono ancora avvicinarsi per stabilire un LOS diretto per i veri sistemi FC come ATGM, carri armati o mortai a guida laser, ecc.

Ma alla velocità con cui le cose stanno andando, a volte sembra che sia una gara tra Avdeevka e l’Ucraina come Stato stesso, su chi crollerà per primo.


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Il Drago e l’Orso in Africa: Le relazioni sino-russe sono messe a dura prova, di Robert E. Hamilton

Osservatorio a stelle e strisce sull’Africa. Mancano, però, all’attenzione altri protagonisti presenti nel continente, in particolare India e Turchia_Giuseppe Germinario

Il Drago e l’Orso in Africa: Le relazioni sino-russe sono messe a dura prova

Nonostante le regolari dichiarazioni di ammirazione personale tra Xi Jinping e Vladimir Putin e la loro descrizione della partnership tra i loro paesi come “senza limiti”, un quadro diverso emerge ai livelli di analisi più bassi.

Questo rapporto analizza l’attività diplomatica, militare ed economica cinese e russa in Africa , gli interessi che ciascuna attività è progettata per promuovere e il modo in cui Pechino e Mosca interagiscono in ciascuna di queste aree.

Il rapporto caratterizza queste interazioni in quattro modi: cooperativa, complementare, compartimentata e competitiva.

Per gli Stati Uniti, questa è probabilmente la relazione bilaterale più importante al mondo oggi. Una partnership solida e resiliente tra Pechino e Mosca ha il potenziale per rimodellare l’ordine mondiale. Inaugurerebbe un’era di relazioni internazionali basate sul potere e sulla polarità, erodendo il ruolo del diritto e delle istituzioni internazionali e minando la sovranità e l’azione degli Stati più piccoli.

Questo ordine mondiale rappresenterebbe una seria minaccia per gli interessi statunitensi, come attualmente definiti.

Aree chiave di interazione

Diplomatico

Laddove la Cina cerca di promuovere il proprio modello di governance, la Russia cerca di minare quello dei paesi occidentali.

Laddove la Cina è disposta a collaborare con le democrazie, la Russia preferisce collaborare con regimi autoritari, in particolare quelli in cui può utilizzare pratiche di corruzione per acquistare influenza.

Militare

Dal punto di vista militare, la presenza della Russia in Africa è maggiore di quella della Cina, ma non è convenzionale e in gran parte non riconosciuta.

Laddove gli appaltatori privati ​​​​cinesi nel settore militare e della sicurezza (PMSC) limitano le loro attività a garantire la sicurezza degli interessi economici della Cina in Africa, il coinvolgimento di Wagner è stato molto più ampio e profondo.

Economico

La presenza economica della Cina in Africa ha un’ampia base ed è istituzionalizzata attraverso la Belt and Road Initiative (BRI) e la Global Development Initiative (GDI).

La Russia si concentra più strettamente sulla protezione dei governi africani amici e dei propri interessi economici ristretti, spesso estrattivi.

Circa l’autore

Il colonnello (in pensione) Robert E. Hamilton , Ph.D., è il capo della ricerca presso il programma Eurasia del Foreign Policy Research Institute e professore associato di studi eurasiatici presso l’US Army War College.

 

Introduzione

Questa relazione si basa su un capitolo del mio libro di prossima pubblicazione sulle relazioni tra Cina e Russia. Per gli Stati Uniti, questa è probabilmente la relazione bilaterale più importante al mondo oggi. Una partnership solida e resistente tra Pechino e Mosca ha il potenziale per ridisegnare l’ordine mondiale. Inaugurerebbe un’era di relazioni internazionali basate sul potere e sulla polarità, erodendo il ruolo del diritto e delle istituzioni internazionali e minando la sovranità e l’autorità degli Stati più piccoli. Questo ordine mondiale rappresenterebbe una seria minaccia per gli interessi degli Stati Uniti, come attualmente definiti. D’altro canto, i legami transazionali e “sottili” tra Cina e Russia consentono agli Stati Uniti di avere un po’ di respiro. Invece di un’alleanza autoritaria revisionista, gli Stati Uniti si confronterebbero con due Stati che rappresentano diversi tipi di sfide. In questo caso, Washington potrebbe affrontare la minaccia acuta e militarizzata della Russia nel breve termine, rimanendo al tempo stesso preparata ad affrontare la minaccia “di passo” della Cina, l’unico potenziale concorrente alla pari degli Stati Uniti, nel lungo termine.

Il mondo accademico e quello politico sono alle prese con la relazione Cina-Russia da quasi due decenni. I dibattiti politici ruotano intorno al modo in cui affrontare le due realtà, con alcuni che sostengono che l’attuale concentrazione sull’inversione dell’invasione russa dell’Ucraina mette gli Stati Uniti a rischio di essere impreparati alla minaccia rappresentata dalla Cina. Altri sostengono che la Russia non è solo una potenza dirompente, ma rappresenta un pericolo profondo e immediato per gli interessi degli Stati Uniti. La competizione per le risorse si nasconde spesso sullo sfondo di questo dibattito: le organizzazioni governative statunitensi che si occupano di Europa tendono a sostenere la necessità di concentrarsi in primo luogo sulla Russia, mentre quelle che si occupano dell’Indo-Pacifico tendono a sostenere che l’attenzione dovrebbe essere rivolta alla Cina. Ciò che questo dibattito spesso non considera è la natura delle loro relazioni e il loro impatto sulle opzioni politiche degli Stati Uniti. Il dibattito scientifico colma questa lacuna concentrandosi direttamente sulla natura della relazione: una parte la definisce una partnership strategica e l’altra un “asse di convenienza”. Spesso, però, manca nell’analisi degli studiosi un’analisi delle implicazioni per la politica statunitense. In altre parole, gli studiosi spesso sostengono con forza una di queste caratterizzazioni del rapporto Cina-Russia, ma poi non consigliano cosa gli Stati Uniti dovrebbero fare in risposta. La loro analisi si concentra invece sulle implicazioni della relazione per gli approcci teorici alle relazioni internazionali.

Il libro che includerà questa relazione mira a colmare questo divario tra i dibattiti politici e quelli accademici. Si propone di fornire una migliore comprensione della natura del rapporto Cina-Russia e di utilizzare tale comprensione per informare le opzioni politiche degli Stati Uniti. Lo farà attraverso un approccio innovativo. Invece di concentrarsi sull’interazione tra Cina e Russia a livello di sistema internazionale, come fa la maggior parte degli approcci, si concentra sulla loro interazione “sul campo” nelle regioni in cui entrambi hanno importanti interessi in gioco. Questa relazione esamina l’interazione cino-russa in Africa; altri capitoli del libro si concentrano sull’Asia centrale, l’Europa orientale e l’Asia orientale. L’Africa e l’Asia centrale rappresentano un buon banco di prova per le relazioni tra Cina e Russia, perché entrambe hanno interessi importanti ma diversi. Il modo in cui promuovono e difendono tali interessi e il modo in cui interagiscono nel farlo possono fornire importanti indicazioni sulla natura delle loro relazioni complessive. Queste regioni sono importanti anche perché l’impronta degli Stati Uniti è leggera. Gli Stati Uniti sono stati definiti il “legante” nei legami tra Pechino e Mosca. L’idea è che la resistenza condivisa agli Stati Uniti sia l’unica cosa importante che hanno in comune. In quest’ottica, l’eliminazione degli Stati Uniti dall’equazione renderà più probabile che Cina e Russia trovino motivi per competere piuttosto che per cooperare.

Il presidente cinese Xi Jinping assiste alla sessione plenaria mentre il presidente russo Vladimir Putin pronuncia le sue osservazioni durante il Vertice BRICS 2023 al Sandton Convention Centre di Johannesburg, in Sudafrica, il 23 agosto 2023.. GIANLUIGI GUERCIA/Pool via REUTERS

L’Europa dell’Est e l’Asia orientale rappresentano un altro tipo di test per le relazioni. In ognuna di queste regioni, uno dei due è impegnato in una competizione geopolitica con gli Stati Uniti e definisce la posta in gioco come esistenziale. In Europa orientale, la Russia e gli Stati Uniti (insieme ai loro alleati e partner) stanno lottando per il destino dell’Ucraina e, più in generale, per il futuro ordine di sicurezza euro-atlantico. In Asia orientale, la Cina insiste sul fatto che gli Stati Uniti cedano una sfera di influenza territoriale e considera le relazioni degli Stati Uniti con i vicini cinesi, Corea del Sud e Giappone, come violazioni inaccettabili di questa sfera. Pechino insiste anche sul fatto che Taiwan è parte integrante della Cina e sembra sempre più disposta a usare la coercizione – e forse anche la forza militare – per ottenere il suo scopo.

Per analizzare l’interazione tra Cina e Russia, questo rapporto e il libro di prossima pubblicazione utilizzano un quadro di riferimento comune negli ambienti governativi statunitensi: gli strumenti di potere. Questo rapporto analizza le attività diplomatiche, militari ed economiche cinesi e russe in Africa, gli interessi che ciascuna attività intende promuovere e le modalità di interazione tra Pechino e Mosca in ciascuna di queste aree. Il rapporto caratterizza queste interazioni in quattro modi: cooperativa, complementare, compartimentata e competitiva. L’interazione cooperativa si verifica quando Cina e Russia coordinano congiuntamente e formalmente le loro attività per perseguire obiettivi condivisi. L’interazione complementare ha luogo quando ciascuna delle due parti è consapevole delle attività dell’altra e struttura le proprie attività in modo da completarle, o almeno da non interferire con esse. L’interazione compartimentale si ha quando ciascuno persegue i propri obiettivi senza che quelli dell’altro siano un fattore. Infine, l’interazione competitiva si verifica quando la Cina e la Russia si considerano rivali e lavorano per ottenere un vantaggio sull’altra.

Nonostante le regolari dichiarazioni di ammirazione personale tra Xi Jinping e Vladimir Putin e la descrizione della partnership tra i loro Paesi come “senza limiti”, a livelli di analisi più bassi emerge un quadro diverso. Molti africani che hanno a che fare con entrambi i Paesi vedono una rivalità emergente tra loro in Africa; molti ritengono anche che la Cina sia in posizione superiore e che il suo vantaggio si amplierà con il tempo. Ma questo non significa necessariamente che i due Paesi siano destinati al conflitto, in Africa o altrove. Dopo tutto, gli Stati Uniti e i loro alleati e partner sono in competizione in molti modi, senza che ciò influisca sulle loro relazioni complessive. Come mi ha detto uno studioso sudafricano, anche se la Cina e la Russia in Africa hanno, nel migliore dei casi, una partnership passiva, di tipo proxy, “allo stesso tempo, nei prossimi vent’anni non si pugnaleranno alle spalle”.[2]

 

 

Lo sguardo dall’Africa
Nel febbraio 2023, sei navi da guerra – tre cinesi, due russe e una sudafricana – si sono incontrate nelle acque dell’Oceano Indiano. Per i dieci giorni successivi, queste navi hanno condotto un’esercitazione che, secondo i critici, “equivaleva ad avallare l’attacco del Cremlino al suo vicino”[3], poiché durante le esercitazioni cadeva l’anniversario di un anno dell’invasione russa dell’Ucraina. L’esercitazione, denominata Mosi-2 – la prima del 2019 – era simbolica anche per un altro motivo: indicava la crescente importanza dell’Africa per Pechino e Mosca. Dopo un aumento costante per due decenni, l’interesse e le attività cinesi e russe in Africa hanno registrato un enorme incremento nel 2022 e 2023. Oltre alle esercitazioni navali, Pechino e Mosca si sono impegnate in una serie di attività diplomatiche in Africa. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che non si era mai recato in Africa in precedenza, ha effettuato quattro visite nel 2022 e nella prima metà del 2023, toccando 14 Paesi. Qin Gang, all’epoca ministro degli Esteri cinese, ha visitato cinque Paesi africani all’inizio del 2023, mentre il presidente Xi Jinping si è recato in Sudafrica per il vertice BRICS nell’agosto dello stesso anno, prolungando la sua visita per condurre incontri con il suo omologo sudafricano, Cyril Ramaphosa. In Mali, le missioni di pace francesi e delle Nazioni Unite hanno ammainato le loro bandiere e sono partite su richiesta del governo maliano, che ha invitato i mercenari russi Wagner a prendere il loro posto. Con l’espansione della presenza cinese e russa, gli osservatori hanno iniziato a chiedersi se tra loro ci sarà cooperazione, competizione o qualcos’altro.

Sebbene non vi sia un chiaro consenso tra gli esperti africani sulla natura dell’interazione tra Cina e Russia, pochi vedono i due come veri e propri partner strategici. Sandile Ndlovu, un dirigente dell’industria della difesa sudafricana, ha osservato che la Russia e la Cina sono in competizione, anche se non c’è animosità esteriore.[4] Vede poca cooperazione o addirittura complementarietà nelle loro attività e sostiene che i contatti russi spesso gli chiedono informazioni sulle attività cinesi in Sudafrica.[5] Il dottor Philani Mthembu ha fatto un’osservazione simile, osservando che quando si incontra uno dei due, spesso viene fuori l’altro. I rappresentanti cinesi e russi chiedono spesso come il Sudafrica si stia impegnando con l’altro e quali siano le posizioni sudafricane in merito agli interessi e alle sfide geopolitiche dell’altro.[6] Ndlovu ha concluso dicendo: “Non si piacciono, sono qui per contrastarsi”[7] Molti africani, ha detto, fanno una chiara distinzione tra i due, con la Russia vista come più interessata e aggressiva nei confronti di ciò che vuole. La Russia è anche vista come un partner rischioso a causa della sua “aggressività verso l’Occidente”[8].

Paul Tembe, uno studioso sudafricano, ha affermato che l’Occidente si preoccupa troppo della Cina e della Russia in Africa. Tembe non vede alcuna strategia coordinata tra loro e ha notato che la fissazione degli Stati Uniti per la Cina dà al Sudafrica un’agenzia e un’influenza su Washington che altrimenti non avrebbe. Nella migliore delle ipotesi, secondo Tembe, la Cina ha un’alleanza “passiva e di prossimità con la Russia”. In realtà, Tembe afferma di vedere “più cooperazione tra Stati Uniti e Cina, in termini di presenza in Africa, piuttosto che [tra] Russia e Cina”. Tembe ha concluso che, mentre Pechino e Mosca non sono partner in Africa, “allo stesso tempo non si pugnaleranno alle spalle a vicenda nei prossimi due decenni”[9] In Etiopia, il dottor Woldeamlak Bewket vede una dinamica simile: per deferenza reciproca, Pechino e Mosca si tengono alla larga dai progetti e dagli interessi dell’altro. Il risultato è che tra loro non c’è né collaborazione né competizione.[10] Queste caratterizzazioni implicano una relazione che è meno di una vera alleanza o partnership. Se i due paesi si considerassero veri e propri alleati, le loro attività sarebbero cooperative o complementari, non compartimentate come le descrivono Tembe e Woldeamlak.

Gli esperti africani concordano sul fatto che la Cina e la Russia hanno un’influenza disuguale, con la seconda molto più influente. La Russia potrebbe avere una “forza d’attrazione storica” dovuta al sostegno dell’Unione Sovietica ai movimenti di liberazione nazionale durante la Guerra Fredda, ma questa sta rapidamente svanendo. [Alcuni esperti ritengono che la Cina sia così avanti in Africa che la Russia rischia di non essere presa sul serio.[12] La presenza della Cina è ampia e su vasta scala, e abbraccia le sfere diplomatica, della sicurezza ed economica. Quella della Russia è molto più ristretta e si concentra sulla vendita di armi, sulla fornitura di sicurezza ai governi amici e sullo sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche del continente.

Russian frigate Admiral Gorshkov and Chinese frigate Rizhao (598) are seen ahead of scheduled naval exercises with Russian, Chinese and South African navies, in Richards Bay, South Africa, February 22, 2023. REUTERS/Rogan Ward

Presenza e interazione diplomatica

Con ambasciate in tutti i 54 Paesi africani, la presenza diplomatica della Cina in Africa è significativamente più forte di quella della Russia, che gestisce 39 ambasciate. Anche nei Paesi in cui entrambi hanno ambasciate, quella cinese è spesso molto più grande. Un funzionario americano in Kenya, ad esempio, ha notato che la Cina ha tre addetti alla difesa in loco, mentre la Russia non ne ha nessuno. Il declino dell’influenza diplomatica della Russia in Africa è stato visibile nel vertice Russia-Africa del luglio 2023. Mentre 49 dei 54 Paesi africani hanno inviato delegazioni, solo 17 capi di Stato hanno partecipato, in netto calo rispetto ai 43 che hanno partecipato al primo vertice di questo tipo nel 2019.[13] La statura personale di Putin è diventata un problema al Vertice dei BRICS del 2023 ospitato dal Sudafrica: il Presidente russo ha scelto di non partecipare a causa di un mandato di arresto emesso nei suoi confronti dalla Corte penale internazionale (CPI). In quanto membro della Corte, il Sudafrica sarebbe stato legalmente obbligato a far rispettare il mandato e ad arrestare Putin.

Nonostante l’assenza di Putin, Pechino e Mosca hanno voluto sfruttare il vertice BRICS per sottolineare la loro partnership e l’allineamento dei loro interessi in Africa. I due sono stati i maggiori sostenitori dell’espansione del blocco, un passo sul quale altri membri hanno espresso scetticismo. Al vertice, Cina e Russia hanno ottenuto il loro consenso: l’organizzazione ha annunciato che inviterà Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Argentina, Egitto ed Etiopia ad aderire, con effetto dal 1° gennaio 2024.[14] I Paesi BRICS rappresentano già il 40% della popolazione mondiale e il 25% del PIL, e ora sono destinati ad aumentare ulteriormente. Tre dei nuovi membri – Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – sono tra i maggiori produttori di petrolio al mondo e si uniranno alla Russia, attualmente terzo paese al mondo, come membri dei BRICS. Ma i nuovi membri portano con sé anche delle sfide: L’Argentina e l’Egitto sono i maggiori debitori del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e hanno richiesto salvataggi, mentre gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno criticato aspramente la guerra dell’Etiopia nella regione del Tigray.[15] Resta da vedere se i BRICS riusciranno a mantenere il loro obiettivo dichiarato di voce del Sud globale dopo l’espansione.

Sia la Cina che la Russia considerano il Sudafrica, che ha ospitato il vertice BRICS del 2023, come il loro partner regionale preferito e il loro surrogato.[16] Ci sono buone ragioni per questo. Il Sudafrica ha la terza economia e la sesta popolazione dell’Africa e una lunga storia di legami amichevoli con Mosca e Pechino. L’élite politica sudafricana è ancora in gran parte composta dalla generazione che ha lottato contro l’apartheid. Mentre i Paesi occidentali hanno equivocato o addirittura appoggiato il regime dell’apartheid, la Cina e l’Unione Sovietica hanno sostenuto il movimento anti-apartheid.[17] Questo sostegno alla lotta sudafricana contro l’apartheid ha proseguito lo schema del sostegno sovietico e, in misura minore, cinese ai movimenti di liberazione anticoloniali in altre parti dell’Africa. Il sostegno ai movimenti indipendentisti e l’aiuto ai governi in lotta contro conflitti interni o esterni permisero all’Unione Sovietica di penetrare in tutti i principali Paesi africani, tra cui, ma non solo, Algeria, Angola, Egitto, Etiopia, Libia e Mozambico.[18]

President of China Xi Jinping and South African President Cyril Ramaphosa attend the China-Africa Leaders’ Roundtable Dialogue on the last day of the BRICS Summit, in Johannesburg, South Africa, August 24, 2023. REUTERS/Alet Pretorius/Pool 

Questi legami da Guerra Fredda possono ancora pagare dividendi diplomatici. Il Sudafrica è stato leader in Africa e l’Africa è stata leader nel Sud globale nel minare i tentativi occidentali di isolare diplomaticamente la Russia per la sua invasione dell’Ucraina. Poco dopo l’invasione da parte della Russia, il Presidente sudafricano Ramaphosa ha chiamato Putin e gli ha proposto di fare da mediatore nel conflitto. Putin ha accettato l’offerta e ha incoraggiato Ramaphosa a svolgere il suo “ruolo di mediazione dovuto”[19] Ramaphosa ha poi guidato un gruppo di sette leader africani in Ucraina e in Russia in un tentativo di mediazione. Anche le votazioni dei Paesi africani alle Nazioni Unite riflettono questa visione “senza colpe” della guerra in Ucraina. Nella risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del marzo 2022 che condannava l’invasione russa, il Sudafrica ha guidato un blocco di Paesi africani che si sono astenuti. Oltre l’81% degli Stati non africani ha votato a favore della risoluzione, ma poco più del 51% dei membri africani lo ha fatto, sottolineando il fatto che l’opinione nel continente è divisa sulle colpe della guerra.[20] Quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato nell’ottobre 2022 per condannare l’annessione da parte della Russia di quattro regioni ucraine, il Sudafrica ha anche guidato un gruppo di 19 Paesi africani che si sono astenuti dal voto. Questo numero di astensioni su 54 Paesi africani è notevole per una risoluzione che è passata con 143 Paesi che hanno votato sì, solo cinque che hanno votato no e 35 astensioni totali.[21] Infine, nella risoluzione del febbraio 2023 che chiedeva alla Russia di ritirarsi dall’Ucraina, passata con il sostegno di 141 Paesi, il Sudafrica era tra un gruppo di 15 Paesi africani astenuti.

La Russia è desiderosa di utilizzare il suo limitato peso diplomatico in Africa per garantire che ciò persista, e a tal fine si è impegnata in un’intensa attività diplomatica. Il ministro degli Esteri Lavrov, che non aveva mai visitato l’Africa prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, ha effettuato quattro visite nei primi 18 mesi dopo l’inizio della guerra. Nel luglio 2022, Lavrov ha visitato l’Egitto, il Congo-Brazzaville, l’Uganda e l’Etiopia e ha incontrato la leadership dell’Unione Africana (UA) ad Addis Abeba, in Etiopia. In due visite nella prima metà del 2023, Lavrov ha visitato due volte il Sudafrica e l’Eswatini (Swaziland), l’Angola, l’Eritrea, il Mali, la Mauritania, il Sudan, il Kenya, il Burundi e il Mozambico.[22] Infine, ha rappresentato Putin al Vertice dei BRICS dell’agosto 2023 in Sudafrica, che il Presidente russo ha saltato a causa del mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei suoi confronti.

Il sostegno storico della Cina ai movimenti di liberazione in Africa continua a dare i suoi frutti, così come la sua continua attenzione al Sudafrica come leader regionale. Dopo l’insediamento di Xi J come Presidente della Repubblica Popolare Cinese nel 2013, il suo primo viaggio internazionale è stato in Sudafrica, che ha visitato tre volte nei cinque anni successivi. Di conseguenza, il Sudafrica è diventato il primo Paese africano a firmare un memorandum di cooperazione con la Cina sulla Belt and Road Initiative (BRI) e attualmente il Paese rappresenta il 25% degli scambi commerciali dell’Africa con la Cina.[23] Quasi tutti i Paesi africani hanno seguito l’esempio del Sudafrica: entro il 2020 solo cinque – Eritrea, Benin, Mali, São Tomé e Príncipe ed Eswatini – non avevano ancora firmato un accordo o espresso il loro sostegno. Anche in questi Paesi, la Cina ha investito in progetti infrastrutturali e ha spinto per i legami diplomatici senza scoraggiarsi e con grande successo.[24] È interessante notare che, nonostante l’investimento di energie diplomatiche in Sudafrica come surrogato regionale da parte di Cina e Russia, l’opinione pubblica sudafricana è scettica nei confronti di entrambe. Solo il 28% dei sudafricani ha una visione positiva della Russia, mentre il 57% ha una visione negativa.[25] La Cina se la cava leggermente meglio, con il 49% di opinioni positive e il 40% di opinioni negative. Le opinioni negative sulla Cina sono aumentate del 5% dal 2018.[26] Sarà importante osservare queste percezioni negative dell’opinione pubblica per capire se persistono e influenzano la politica di Pretoria.

Nonostante il diverso peso diplomatico e le priorità divergenti in Africa, la Cina e la Russia condividono l’obiettivo di minare l’influenza occidentale nel Paese. Inoltre, fanno leva sul loro status di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per mobilitare il potere di voto dei Paesi africani, che formano il più grande blocco regionale di voti nell’Assemblea Generale dell’ONU.[27] Le azioni diplomatiche della Cina in Africa contengono un pragmatismo e – almeno retoricamente – un elemento di cooperazione win-win assenti in quelle della Russia. Nel Corno d’Africa, ad esempio, i diplomatici cinesi hanno chiesto pubblicamente di intensificare il dialogo intraregionale per affrontare le sfide della sicurezza, di sviluppare la ferrovia Mombasa-Nairobi e la ferrovia Etiopia-Djibouti, accelerando lo sviluppo lungo le coste del Mar Rosso e dell’Africa orientale, e di lavorare per superare le sfide della governance.[28]

Sebbene gli sforzi diplomatici di Pechino portino talvolta nomi imbarazzanti, essi si concentrano su risultati tangibili. Ad esempio, “Uphold Original Aspirations and Glorious Traditions Set Sail for An Even Brighter Future of China-Africa Cooperation” contiene un linguaggio che promuove l’amicizia, la buona fede, gli interessi condivisi e la costruzione di una comunità Cina-Africa più forte con un futuro condiviso.[29] La Cina sembra anche a suo agio nel lavorare con governi di ogni tipo, mentre la Russia preferisce i regimi autoritari. A Gibuti, gli analisti cinesi notano che il sistema politico stabile, aperto e multipartitico e le politiche commerciali liberalizzate lo rendono attraente per gli investimenti cinesi.[30] Infine, l’approccio della Cina è ampio e multilaterale e comprende la BRI, l’Iniziativa per lo sviluppo globale (GDI) e l’Iniziativa per la sicurezza globale (GSI). Insieme, queste iniziative estendono gli investimenti infrastrutturali, il rafforzamento delle capacità e l’impegno per la sicurezza regionale di Pechino come piattaforme per propagare il modello di governance cinese in Africa.[31]

Come altrove, la Russia è più un disgregatore che un costruttore in Africa. Inoltre, rispetto alla Cina, dà maggiore priorità all’obiettivo comune di minare l’influenza occidentale. Mentre la Cina è disposta a lavorare con le democrazie (come dimostra l’esempio di Gibuti), la Russia preferisce lavorare con i regimi autoritari, soprattutto quelli in cui può usare le pratiche di corruzione per acquistare influenza. Il modello “autoritario-kleptocratico” di Mosca è popolare in Paesi come il Sudan, il Madagascar, lo Zimbabwe, il Congo-Brazzaville, il Sud Sudan, l’Eritrea, l’Uganda e il Burundi, dove le élite beneficiano finanziariamente della presenza della Russia. Mercenari, interferenze elettorali, disinformazione e intimidazione sono tattiche russe comuni in questi Paesi.[32] Il Gruppo Wagner, un noto appaltatore privato russo di sicurezza e militare (PMSC), agisce spesso come surrogato del Cremlino in Africa. Wagner ha contribuito a portare al potere il signore della guerra Khalifa Haftar in Libia nel 2019; nella Repubblica Centrafricana (RCA), un russo ha assunto il ruolo di consigliere per la sicurezza nazionale e la Russia ha svolto un ruolo influente nella rielezione del presidente Faustin-Archange Touadéra nel 2020; in Mali, la Russia ha diffuso disinformazione e partecipato a un colpo di Stato militare nell’agosto 2020. Dopo il colpo di Stato del 2023 in Niger, la giunta militare ha chiesto apertamente l’assistenza del Gruppo Wagner per mantenere il potere dopo gli appelli dei Paesi occidentali a ripristinare la democrazia. L’interruzione della Russia ha senso se si considerano i suoi interessi economici ristretti ed estrattivi, rispetto agli interessi economici più ampi della Cina, che hanno bisogno di stabilità per avere successo.

La storia della presenza e dell’interazione diplomatica cinese e russa in Africa è complessa. I due paesi condividono l’obiettivo di minare l’influenza occidentale in quel Paese, anche se la Russia sembra più determinata a farlo, a prescindere dalle perturbazioni che potrebbe causare in altre aree. Entrambi sono anche felici di lavorare con regimi autoritari e di trascurare la corruzione e le violazioni dei diritti umani che spingono i Paesi occidentali a non collaborare con alcuni governi africani. La Cina, tuttavia, è più pragmatica in questo senso, ed è disposta a collaborare con governi democratici se ciò favorisce i suoi obiettivi di infrastrutture, sviluppo economico e sicurezza. Pechino e Mosca – soprattutto quest’ultima – hanno anche sfruttato con successo il loro sostegno ai movimenti di liberazione africani per mantenere forti relazioni diplomatiche con molti governi africani. Il Sudafrica è stato un punto focale per l’impegno diplomatico cinese e russo, che Pretoria ha ripagato con un costante sostegno alla Cina e alla Russia nelle istituzioni internazionali.

Tuttavia, definire le loro relazioni diplomatiche in Africa come cooperative è un po’ azzardato. In alcuni settori – il loro sostegno al ruolo del Sudafrica ne è un esempio – Pechino e Mosca coordinano le loro attività. Più spesso, le loro attività sono compartimentate: ognuno è consapevole di ciò che fa l’altro e si tiene fuori dai giochi. Come hanno notato diversi esperti, ogni Paese chiede spesso agli africani cosa sta facendo l’altro nel continente, il che implica che condividono poche informazioni direttamente tra loro. Come ha osservato Tembe, nel migliore dei casi la Cina ha un'”alleanza passiva, di tipo proxy, con la Russia”. Ha poi concluso: “Vedo più cooperazione tra Stati Uniti e Cina, in termini di presenza in Africa, piuttosto che [tra] Russia e Cina”[33] Sebbene Stati Uniti e Cina non siano certamente partner in Africa, il punto di vista di Tembe è che i due condividono obiettivi simili per lo sviluppo economico dell’Africa. La Russia vede l’Africa in termini più strumentali, come una regione in cui estrarre risorse, accrescere la propria reputazione di fornitore di sicurezza a regimi amici e minare l’influenza occidentale. La principale area di divergenza che potrebbe emergere tra Cina e Russia in Africa è tra il ruolo della Russia come disgregatore dell’influenza occidentale, indipendentemente dal caos che provoca, e l’attenzione della Cina per i progetti infrastrutturali, lo sviluppo economico e i legami commerciali, che richiedono stabilità.

Ufficiali russi del Gruppo Wagner si vedono intorno al presidente centrafricano Faustin-Archange Touadera mentre fanno parte del sistema di sicurezza presidenziale durante la campagna referendaria per cambiare la costituzione e rimuovere i limiti di mandato, a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, il 17 luglio 2023.. REUTERS/Leger Kokpakpa

Presenza militare e interazione
In termini di presenza militare o di sicurezza in Africa, la Russia occupa per il momento una posizione superiore. Ciò è dovuto in parte al fatto che la presenza militare di Mosca ha scopi e mezzi diversi da quelli di Pechino. La Cina dà la priorità ai suoi obiettivi economici e le sue attività di sicurezza servono a sostenerli. L’obiettivo è quello di garantire la sicurezza affrontando le cause dei conflitti senza dover dispiegare le proprie forze militari. La Russia si concentra più strettamente sulla protezione dei governi africani amici e sui propri interessi economici, spesso estrattivi. A tal fine, spesso utilizza PMSC come il Gruppo Wagner piuttosto che forze militari convenzionali. Come per la loro presenza diplomatica in Africa, i due paesi condividono l’obiettivo di minare la presenza occidentale in materia di sicurezza, anche se ciò è più importante per la Russia. Entrambe utilizzano gli aiuti militari, la vendita di armi, le esercitazioni e gli scambi e le basi per promuovere i loro obiettivi di sicurezza in Africa; la Russia ricorre anche all’intervento diretto, quasi esclusivamente tramite il Gruppo Wagner.

Un modo semplice per comprendere la presenza cinese e russa in Africa è quello di confrontare il numero di Paesi a cui ciascuno invia armi e PMSC. Da questo punto di vista, il vantaggio della Russia in termini di “presenza sul terreno” è evidente. Le PMSC russe operano in 31 Paesi africani, mentre le loro controparti cinesi sono presenti in 15 Paesi. Non si tratta di una misura esatta del potere e dell’influenza, poiché le PMSC russe e cinesi sono entità molto diverse. La PMSC russa più nota è il Gruppo Wagner, che si impegna in combattimenti diretti, è stato sanzionato a livello internazionale e ha commesso crimini di guerra e altre atrocità documentate dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni. Le PMSC cinesi operano quasi sempre disarmate e servono a proteggere e rendere sicuri gli interessi economici della Cina in Africa, come impianti minerari, porti e progetti infrastrutturali. La Cina è leggermente in vantaggio per quanto riguarda il numero di Paesi che acquistano armi: 17 Paesi africani hanno acquistato armi cinesi, mentre 14 hanno acquistato armi russe.[34] Ma in termini di valore complessivo delle armi esportate in Africa, la Russia ha recentemente guadagnato un leggero vantaggio.[35]

Il quadro di riferimento per la presenza della Cina in Africa, come in molti altri luoghi, è il GSI. Presentata nel 2022, la GSI ha due scopi principali: offrire un modello di sicurezza alternativo a quello contenuto nell’ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti (che Pechino descrive come “egemonia” statunitense) e affrontare le cause di insicurezza che minacciano gli interessi economici della Cina. Attraverso il GSI, in cui l’Africa occupa un posto di rilievo, la Cina si promuove come “arbitro delle controversie, architetto di nuovi quadri di sicurezza regionale e formatore di professionisti della sicurezza e di forze di polizia nei Paesi in via di sviluppo”[36].

In linea con le sue ambizioni globali e gli investimenti economici in Africa, gli aiuti e le vendite di armi della Cina ai Paesi africani sono aumentati in modo significativo negli ultimi anni. Tra il 2017 e il 2022, Pechino ha offerto 100 milioni di dollari in nuovi aiuti militari ai Paesi dell’UA. Tra il 2017 e il 2021, la Cina ha esportato nei Paesi dell’Africa subsahariana un numero di armi tre volte superiore a quello degli Stati Uniti. Sei Paesi africani – Zimbabwe, Mozambico, Namibia, Seychelles, Tanzania e Zambia – hanno ricevuto più del 90% delle armi dalla Cina in questo periodo.[37] Oltre agli aiuti e alla vendita di armi, Pechino utilizza l’istruzione militare per promuovere i propri interessi in Africa. Sebbene sia difficile ottenere dati concreti, gli analisti statunitensi affermano che migliaia di militari africani frequentano annualmente programmi di istruzione e formazione in Cina.[38] Solo un college militare cinese vanta dieci capi della difesa, otto ministri della difesa e diversi ex presidenti tra i suoi ex allievi africani.[39]

Anche le esercitazioni e gli scambi militari della Cina con i Paesi africani si sono intensificati negli ultimi anni, spesso con un focus marittimo. Dal punto di vista geografico, l’Africa occidentale è oggetto di particolare attenzione da parte dei militari cinesi per una buona ragione. La regione rappresenta il 25% del traffico marittimo africano, il 67% della sua produzione di petrolio e deve far fronte a significative minacce alla sicurezza. La pirateria è una delle principali preoccupazioni sia per Pechino che per i Paesi della regione e rappresenta la perdita di circa il 6% della produzione di petrolio della Nigeria, il più grande produttore del continente. Nel tentativo di aumentare la sicurezza e proteggere i propri interessi nella regione, la Cina ha condotto quasi 40 scambi con partner del Golfo di Guinea e ha schierato la propria marina in operazioni antipirateria.[40] Dall’altra parte del continente, anche il Corno d’Africa riceve un’attenzione particolare. Afflitto dalla pirateria come il Golfo di Guinea e proteso verso lo stretto di Bab al-Mandab, strategicamente importante, che collega il Mar Rosso e il Golfo di Aden, il Corno d’Africa è da tempo al centro dell’attenzione navale cinese.

In effetti, il Corno d’Africa è stato il luogo della prima base militare cinese all’estero, aperta a Gibuti nel 2017. Ufficialmente una “struttura di supporto per il riposo e il rifornimento”, la base permette alle forze armate cinesi di svolgere missioni come la scorta, il mantenimento della pace e l’assistenza umanitaria nel Golfo di Aden e nelle acque al largo della Somalia.[41] Gli esperti cinesi notano che la base migliora il supporto alle operazioni antipirateria cinesi al largo della costa orientale dell’Africa, dove la Marina cinese ha dispiegato 28 task force navali tra il 2008 e il 2017. In passato, le navi cinesi rifornivano principalmente l’Oman e lo Yemen, quest’ultimo coinvolto in una guerra civile dal 2014. La base a Gibuti, gestita dalla Cina e in un Paese relativamente stabile, allevia il problema della logistica per le navi cinesi nella regione. Naturalmente, gli stessi analisti fanno notare che Gibuti si trova in una posizione strategica e che Francia, Stati Uniti e Giappone hanno tutti delle basi lì. Essi sostengono inoltre che, con il crescente numero di imprese finanziate dalla Cina a Gibuti, “la protezione degli interessi cinesi all’estero è diventata una questione da prendere in considerazione”[42] La prima base cinese all’estero è più di un hub per consentire le operazioni umanitarie e antipirateria di Pechino; ha anche un valore geopolitico e geoeconomico.

La prossima base cinese in Africa sarà probabilmente in Guinea Equatoriale, sulla costa atlantica del continente. Nonostante sia dotata di importanti riserve petrolifere e vanti il PIL pro capite più alto dell’Africa, la corruzione e la cattiva gestione della Guinea Equatoriale le hanno fatto accumulare un debito nei confronti della Cina pari al 49,7% del PIL. La Cina ha concesso un credito di 2 miliardi di dollari per lo sviluppo del porto di Bata, che è stato completato nel 2019. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ritiene che una base in Guinea Equatoriale non sarebbe l’ultima in Africa per la Cina, e ha fatto notare che Pechino ha preso in considerazione 13 Paesi per l’accesso a basi militari, tra cui Angola, Kenya, Seychelles e Tanzania.[44]

Sebbene l’interesse per l’acquisizione di basi in Africa sia aumentato, la Cina rimane riluttante a dispiegarvi le proprie forze armate. Uno dei motivi è la politica di non interferenza di Pechino, che è stata un principio fondamentale della sua politica estera da quando è stata sancita nel comunicato della Conferenza Africa-Asia del 1955. Questa politica è importante per la Cina per due motivi: fornisce uno scudo retorico contro le critiche alle politiche e alle azioni di Pechino nei confronti di Taiwan, dello Xinjiang e di Hong Kong; e permette alla Cina di criticare le altre grandi potenze – specialmente quelle occidentali – quando intervengono negli affari interni di altri Paesi.[45] A questo punto, la Cina ha protetto i suoi interessi in Africa assumendo imprese di sicurezza private, dispiegando le proprie forze di polizia e contribuendo alle operazioni delle Nazioni Unite. Le imprese statali cinesi spendono più di 10 miliardi di dollari all’anno, una parte consistente dei quali va a pagare le società di sicurezza cinesi per proteggere i propri interessi in Africa.[46]

La presenza delle forze dell’ordine cinesi in Africa si è espansa in modo esponenziale nell’ultimo decennio. Pechino ha sviluppato accordi formali di polizia con circa 40 Paesi africani, ha inviato in Cina più di duemila poliziotti e personale delle forze dell’ordine africane per la formazione tra il 2018 e il 2021 e ha addestrato più di 40.000 avvocati africani dal 2000.[47] Oltre a proteggere gli interessi economici della Cina in Africa, la presenza di polizia e gli accordi di estradizione consentono al governo cinese di monitorare e, quando lo ritiene necessario, punire il comportamento dei suoi cittadini all’estero. Quasi tutta la presenza militare cinese in Africa è costituita da contributi alle operazioni delle Nazioni Unite. Oltre l’80% di tutti i peacekeepers cinesi sono dispiegati in Africa e più di 32.000 soldati cinesi hanno prestato servizio nelle missioni ONU, il numero più alto tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.[48] Come molti altri Paesi, la Cina utilizza i suoi dispiegamenti di peacekeeping ONU per sostenere i propri obiettivi di politica estera sotto la copertura della bandiera ONU. In Africa, questi includono “un mezzo legale e normalizzato per proteggere i suoi massicci investimenti, ottenere le necessarie competenze militari dure e morbide e migliorare la sua reputazione di benevola superpotenza in ascesa attivamente impegnata nel sistema delle Nazioni Unite”[49].

Poiché gli interessi della Cina in Africa continuano ad espandersi, è improbabile che sia in grado di proteggerli con l’attuale modello di sicurezza privata, polizia cinese e presenza delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. Un lavoratore cinese è stato ferito in un attacco del gruppo militante al-Shabaab nel 2022 e nove lavoratori cinesi sono stati uccisi in un attacco di militanti a una miniera d’oro nella RCA nel marzo 2023.[50] Nel luglio dello stesso anno – in un raro caso di interazione diretta russo-cinese in Africa – i mercenari del Gruppo Wagner hanno salvato un gruppo di minatori cinesi quando i militanti hanno attaccato nuovamente la stessa miniera d’oro. [Incidenti come questi costituiranno un forte incentivo per Pechino a dispiegare un numero maggiore di forze di sicurezza meglio armate per proteggere i suoi interessi africani, il che potrebbe indurla a qualificare o ad abbandonare de facto la sua dottrina di non interferenza.

La Russia non ha una dottrina di questo tipo, il che la libera di promuovere i suoi interessi in Africa in qualsiasi modo ritenga opportuno. Come la Cina, per farlo utilizza una combinazione di strumenti militari, tra cui aiuti militari, vendita di armi, esercitazioni e scambi e basi. A differenza della Cina, la Russia è stata disposta a intervenire direttamente in Africa, di solito attraverso il Gruppo Wagner. Mentre le PMSC cinesi si limitano a garantire la sicurezza degli interessi economici della Cina in Africa, il coinvolgimento di Wagner è stato molto più ampio e profondo. Un’altra differenza tra Cina e Russia riguarda la fornitura di aiuti militari. La Cina fornisce aiuti finanziari diretti ai Paesi e alle organizzazioni africane, come i 100 milioni di dollari promessi all’UA. L’approccio della Russia è più mercenario: pur essendo felice di fornire armi, si aspetta un pagamento, e i Paesi africani sembrano felici di farlo. Nel contesto di un calo complessivo delle importazioni di armi da parte dei Paesi africani tra il 2018 e il 2022, la Russia ha superato la Cina come principale esportatore di armi verso l’Africa subsahariana: la sua quota di mercato è passata dal 21% al 26%, mentre quella della Cina è scesa dal 29% al 18%. Nel complesso delle vendite di armi al continente, la quota della Russia è ancora maggiore, pari al 40%, grazie ai suoi importanti clienti di lunga data, Egitto, Algeria e Sudan.[52] Le prestazioni inferiori delle armi russe in Ucraina potrebbero diminuire le vendite di armi della Russia all’Africa. Sebbene i Paesi occidentali sembrerebbero trarne vantaggio grazie alla qualità superiore dei loro equipaggiamenti, ciò è incerto perché questi Paesi applicano i diritti umani o altre condizioni alla fornitura di equipaggiamenti militari. Poiché ciò è sgradito ad alcuni governi africani – tra cui alcuni dei maggiori importatori di armi – la Cina potrebbe essere tra i principali beneficiari di un calo della domanda africana di armi russe.

South African soldiers march during the Armed Forces Day parade ahead of scheduled naval exercises with Russian and Chinese navies in Richards Bay, South Africa, February 21, 2023. REUTERS/Rogan Ward

I programmi di istruzione militare e di scambio della Russia per i militari africani sono più modesti di quelli della Cina: circa 500 africani studiano annualmente nelle istituzioni militari russe, rispetto alle migliaia che studiano in Cina.[53] I suoi programmi formali di esercitazione e addestramento militare sono quasi inesistenti. Mosca non ha nemmeno basi permanenti in Africa, anche se da tempo cerca di costruire una base navale in Sudan. Dopo anni di ritardi causati dall’instabilità politica del Sudan, l’esercito sudanese ha finalmente approvato l’accordo per la base all’inizio del 2023.[54] Tuttavia, la guerra civile scoppiata subito dopo sembra destinata a ritardare la base o a cancellarla del tutto. Anche la RCA ha espresso la volontà di ospitare una struttura russa, sebbene non esistano ancora piani o accordi concreti.

Gli indicatori tradizionali della presenza militare non tengono conto della maggior parte del coinvolgimento militare diretto russo in Africa, che si concretizza nel Gruppo Wagner. Wagner addestra le forze militari africane, protegge gli interessi economici russi, fornisce un canale per la vendita di armi russe, esplora i siti per le strutture militari russe e si impegna in combattimenti diretti sia per conto che contro i governi africani. Il denominatore comune di tutte queste attività è l’avanzamento degli obiettivi geopolitici e geoeconomici russi, solitamente definiti come l’indebolimento di quelli degli avversari occidentali di Mosca. Sebbene sia la più grande e la più nota delle PMSC russe in Africa, Wagner non è l’unica: un’analisi del Center for Strategic and International Studies ha concluso che ci sono “almeno sette PMSC russe che hanno condotto almeno 34 operazioni in 16 Paesi africani dal 2005″[55].

Wagner ha dispiegato forze almeno in Libia, Madagascar, Mozambico, RCA, Sudan e Mali. Il numero totale di combattenti in Africa potrebbe aggirarsi intorno alle cinquemila unità, di cui la metà nella RCA.[56] Utilizza un approccio su tre fronti per insinuarsi nei Paesi africani, espandendo l’influenza del Cremlino. In primo luogo, conduce una guerra di disinformazione e informazione, che comprende sondaggi falsi e tecniche di contro-dimostrazione. Poi, ottiene concessioni nelle industrie estrattive. Particolarmente interessante è l’estrazione di metalli preziosi. Infine, instaura un rapporto con le forze armate del Paese conducendo attività di addestramento, consulenza, sicurezza personale e operazioni di controinsurrezione.[57] Almeno una parte dell’attrattiva di Wagner in Africa risiede nell’ipotesi che agisca per conto del governo russo e che fornisca ai governi africani l’accesso al Cremlino.

Una breve rassegna delle attività di Wagner in Africa illustra la sua utilità per il Cremlino. In Sudan, dove la Russia ha legami di lunga data, il coinvolgimento di Wagner ha rafforzato questa relazione. Sebbene sia stato inizialmente schierato per sorvegliare le miniere d’oro sudanesi, Wagner ha dato il via allo sviluppo delle strutture navali russe a Port Sudan. Nella RCA, nel 2018 sono arrivati fino a 670 “consiglieri” Wagner e da allora l’impronta del gruppo si è ampliata. I combattenti Wagner addestrano le forze governative e le milizie filogovernative e forniscono sicurezza personale ai funzionari governativi, tra cui il Presidente Touadéra. In Mali, Wagner ha agito come avanguardia di una nascente ma crescente relazione militare con la Russia e di una rottura con la comunità internazionale. Nel 2020, il governo di transizione del Mali ha accettato di accettare mille contractor del Gruppo Wagner “per condurre operazioni di addestramento, protezione ravvicinata e antiterrorismo”. Nel 2021, la Russia ha consegnato al Mali quattro elicotteri d’attacco come parte di un accordo di cooperazione militare tra il Mali e la Russia.[58] Nel 2022, la Francia e i suoi alleati europei hanno annunciato la fine della loro missione antiterrorismo in Mali dopo quasi dieci anni, citando “molteplici ostruzioni” da parte del governo maliano.[59] Infine, nel giugno 2023, il governo maliano ha chiesto alle Nazioni Unite di ritirare i suoi 13.000 peacekeepers, lasciando Wagner come unica forza straniera nel Paese.

Per la Russia, la vendita di armi e le attività del Gruppo Wagner costituiscono la maggior parte della sua presenza militare in Africa. Quest’ultima spesso permette la prima: dove va Wagner, spesso segue la vendita di armi, come dimostra l’esempio del Mali. Come ha fatto in Sudan, Wagner spesso permette alla Russia di utilizzare strutture militari senza una presenza ufficiale. Questa capacità di testare nuovi ambienti per la cooperazione militare senza un coinvolgimento esplicito del Cremlino è uno dei principali vantaggi di Wagner per il governo russo.[60] Non è chiaro se questo vantaggio sia superiore al chiaro pericolo che Wagner rappresenta per lo Stato russo, come dimostra l’insurrezione del giugno 2023. Non è chiaro nemmeno l’effetto della morte del leader Wagner Yevgeny Prigozhin sulle operazioni Wagner in Africa. Ciò che è chiaro è che, in Africa, la Russia trae vantaggio dalla sua presenza militare informale e il Cremlino cercherà di preservare questi vantaggi attraverso un Gruppo Wagner riformato, dopo Prigozhin, o altre PMSC.

La presenza militare cinese e russa in Africa differisce l’una dall’altra e l’interazione tra i due eserciti è scarsa. La presenza della Cina è palese, istituzionalizzata e utilizza strumenti tradizionali di statecraft. La sua presenza formale in Africa avviene attraverso il GSI. Pechino è intenzionata ad aumentare le vendite di armi, gli aiuti militari, le esercitazioni e le basi in Africa. La sua impronta militare convenzionale è leggera al di fuori delle forze assegnate alle missioni ONU, forze che servono anche agli obiettivi di politica estera della Cina. Le PMSC e le forze di polizia cinesi sono il centro di gravità della presenza di Pechino in Africa, che serve principalmente a difendere e promuovere i suoi interessi economici. Coerentemente con i suoi obiettivi economici, la Cina si concentra geograficamente sul Golfo di Guinea e sul Corno d’Africa. Il primo è l’epicentro del commercio petrolifero africano ed entrambi sono stati colpiti dalla pirateria. Con l’espansione degli interessi economici della Cina in Africa, aumenterà la pressione per difenderli con mezzi militari più tradizionali. Ciò ha due implicazioni. In primo luogo, il modello delle PMSC e della polizia potrebbe rivelarsi inadeguato. In tal caso, Pechino potrebbe essere costretta a considerare il dispiegamento di forze militari convenzionali in Africa o la creazione di una PMSC più robusta, in stile Wagner, per difendere i propri interessi. In secondo luogo, potrebbe sentirsi sotto pressione per abbandonare, almeno di fatto, la sua politica di non interferenza e intervenire apertamente negli affari interni dei Paesi africani in cui ha importanti interessi economici.

Dimostranti tengono in mano fotografie del presidente russo Vladimir Putin e bandiere russe durante un sit-in di protesta contro la visita del presidente francese Emmanuel Macron e il presunto sostegno della Francia al vicino Ruanda, che il Congo accusa di sostenere i ribelli dell’M23 nell’est del Paese, davanti all’ambasciata francese a Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, il 1° marzo 2023.REUTERS/Justin Makangara

La presenza militare della Russia in Africa è in gran parte non convenzionale e non riconosciuta, ma i suoi effetti sono più significativi di quelli della Cina, almeno per ora. A parte la vendita di armi, da sempre un punto di forza della Russia, l’uso dei tradizionali strumenti di statecraft militare è inferiore a quello della Cina. Il dispiegamento di circa cinquemila forze del Gruppo Wagner in almeno una mezza dozzina di Paesi africani (e probabilmente il doppio in realtà) conferisce alla Russia una forte presenza di sicurezza nel continente. L’approccio di Wagner, che combina la guerra d’informazione, l’ottenimento di concessioni economiche nelle industrie estrattive e la costruzione di un rapporto con le forze militari africane, ha dato a Mosca un’influenza ben superiore a quella che gli indicatori tradizionali suggerirebbero. L’area geografica in cui la Russia si concentra è il Sahel, dove la minaccia terroristica unita a una governance debole e spesso corrotta costituiscono un terreno fertile per il Cremlino, attraverso Wagner, per mettere radici. Dopo la morte di Prigozhin, il futuro di Wagner non è chiaro. Il Cremlino potrebbe scioglierlo, assorbirlo nell’esercito formale o lasciarlo intatto e insediare un lealista a dirigerlo. Tutte e tre le opzioni presentano degli svantaggi. Lo smembramento in PMSC più piccole riduce le economie di scala e l’unità di comando che Wagner aveva sotto Prigozhin, che a sua volta ridurrebbe l’efficacia complessiva delle operazioni russe in Africa. Portare il Kremin sotto il controllo dell’esercito formale riduce la capacità del Kremin di negare la responsabilità delle sue azioni, compresi i crimini di guerra quasi ovunque operi. L’installazione di un nuovo leader lealista presenta i minori svantaggi a breve termine. A lungo termine, è probabile che riemerga la rivalità emersa tra Prigozhin, amico di lunga data di Putin, e le strutture di potere formali. Non esiste una risposta facile alla questione Wagner, ma dato il ruolo indispensabile del gruppo in Africa, il Cremlino non risparmierà sforzi per trovarne una.

Come nel campo diplomatico, anche nel sostegno militare al Sudafrica c’è un’interazione significativa tra Cina e Russia. Entrambi i Paesi hanno cercato di rafforzare i loro legami militari con Pretoria e ognuno sembra essere a proprio agio con il ruolo dell’altro. Nel febbraio 2023, le marine cinesi, russe e sudafricane hanno condotto l’esercitazione navale Mosi-2 al largo delle coste sudafricane. Questa ha fatto seguito alla prima esercitazione di questo tipo, tenutasi alla fine del 2019. Il primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si è verificato durante l’esercitazione del 2023, rendendo la partecipazione di Cina e Sudafrica una sorta di colpo di propaganda per la Russia. Per la Cina, l’esercitazione ha permesso di evidenziare la portata in espansione della sua marina. Sia Pechino che Mosca avevano motivi di interesse personale per partecipare all’esercitazione, ma essa ha rappresentato comunque un importante esempio di cooperazione militare in Africa.

Oltre al Sudafrica, sono cinque i Paesi in cui Cina e Russia hanno interazioni militari o di sicurezza degne di nota. Angola, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Mali e Sudan hanno ricevuto armi sia dalla Cina che dalla Russia e in tutti sono state attive PMSC cinesi e russe.[61] La vendita di armi ha senso perché tutti questi Paesi stanno combattendo, o hanno combattuto di recente, contro minacce insurrezionali o terroristiche. I dispiegamenti delle PMSC raccontano una storia diversa: L’Angola (48 miliardi di dollari nel periodo 2000-2020) e l’Etiopia (13,7 miliardi di dollari) sono i due principali beneficiari di prestiti cinesi in Africa, quindi le PMSC cinesi probabilmente sorvegliano i progetti finanziati da questi prestiti. In Mali, Repubblica Centrafricana e Angola, il Gruppo Wagner russo è presente con il suo modello di diffusione della disinformazione, ottenimento di concessioni economiche e cooptazione delle forze di sicurezza del Paese. In generale, le relazioni militari russo-cinesi in Africa sono meglio descritte come compartimentate. Ciascuno è consapevole delle attività e degli interessi dell’altro nel continente e in genere se ne tiene alla larga. In ambito militare, la natura compartimentata delle loro relazioni è dovuta a un elemento geografico: La Cina si concentra sulle regioni economicamente importanti ma instabili del Golfo di Guinea e del Corno d’Africa, mentre la Russia prospera e contribuisce all’instabilità della regione del Sahel.

Presenza e interazione economica
Lo strumento economico dello statecraft è l’ambito in cui la Cina supera la Russia in Africa. L’impegno economico cinese ha un quadro istituzionale composto dal BRI e dal GDI, mentre quello della Russia è più ad hoc. I prestiti, gli aiuti, il commercio e gli investimenti diretti della Cina in Africa superano quelli della Russia. Il motivo è in parte l’enorme differenza di dimensioni delle loro economie: Il PIL 2022 della Russia, pari a 1.800 miliardi di dollari, la rende un attore economico minore rispetto alla Cina, che ha un PIL 2022 di 18.000 miliardi di dollari. Mentre la crescita della Cina sta rallentando, quella della Russia è scesa di oltre il 2% tra il 2021 e il 2022 e sembra destinata a continuare a diminuire a causa delle sanzioni occidentali.[62] Un’altra ragione del diverso peso economico del continente è che l’Africa è semplicemente più importante per la Cina dal punto di vista economico che per la Russia. Sebbene sia Pechino che Mosca considerino il loro impegno con l’Africa come un mezzo per raggiungere un fine, i fini della Cina sono in gran parte geoeconomici, mentre quelli della Russia sono geostrategici.

Il BRI e il GDI costituiscono il quadro istituzionale dell’impegno economico governativo cinese con l’Africa. I due operano su binari paralleli: il BRI si concentra sulla crescita economica, principalmente attraverso la costruzione di infrastrutture fisiche, mentre il GDI si concentra sullo sviluppo. Come si legge in un’analisi, “la BRI fornisce hardware e corridoi economici, mentre la GDI si concentra su software, mezzi di sussistenza, trasferimento di conoscenze e sviluppo di capacità”[63] La prima è più consolidata e conosciuta, essendo stata lanciata nel 2013, nove anni prima della seconda. In totale, 46 Paesi africani hanno aderito alla BRI, rappresentando il 94% dell’Africa subsahariana e l’85% della regione del Medio Oriente e del Nord Africa.[64] Questi Paesi contano inoltre oltre un miliardo di persone e coprono circa il 20% della massa terrestre del mondo.[65] In gran parte grazie alla BRI, l’Africa è diventata il secondo più grande mercato cinese per gli appalti all’estero; le imprese cinesi hanno costruito o aggiornato oltre 10.000 chilometri di ferrovia e oltre 100.000 chilometri di autostrada in Africa.[66]

I vantaggi che la Cina trae dalla BRI non sono solo di natura economica. La BRI offre posti di lavoro a imprese e lavoratori cinesi e costruisce infrastrutture che consentono la consegna di merci cinesi ai mercati esteri, ma offre anche vantaggi diplomatici a Pechino. Ad esempio, in parte grazie all’assistenza economica della Cina, l’Etiopia ha sostenuto la legge cinese contro la secessione di Taiwan e, come membro del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha contribuito a sconfiggere le risoluzioni critiche nei confronti della Cina.[67] La Cina utilizza i progetti BRI anche in modo più coercitivo. Quando nel 2018 il Kenya ha vietato le importazioni di pesce cinese per proteggere l’industria ittica locale, la Cina ha minacciato di bloccare i finanziamenti per un importante progetto ferroviario BRI nel Paese, inducendo il governo keniota a revocare rapidamente la sua decisione.

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Nonostante l’influenza che i suoi prestiti conferiscono alla Cina sui governi africani, la BRI mantiene la sua popolarità, come indicato da prove aneddotiche e statistiche. Un sondaggio del 2022 condotto da un think tank keniota ha dimostrato che la Cina se la cava meglio dell’UE quando si tratta di soddisfare quelle che gli intervistati considerano le loro esigenze prioritarie, come costruire infrastrutture utili, farlo rapidamente e non interferire negli affari interni dei Paesi africani. [Un altro think tank keniota ha pubblicato un rapporto in cui si afferma che la BRI ha ampliato lo “spazio di sviluppo” del Paese, ha aiutato il governo a realizzare il suo piano di visione 2023 e ha rallentato l’aumento del debito del Kenya grazie a modelli innovativi di investimento e cooperazione.[70] Gli studiosi kenioti descrivono il rapporto Cina-Africa come simbiotico. La Cina ha bisogno di materie prime per l’industria manifatturiera, mentre l’Africa ha materie prime ma non ha le infrastrutture per portarle sul mercato, quindi “la Cina estrae le risorse naturali e fornisce il sostegno finanziario tanto e urgentemente necessario per lo sviluppo infrastrutturale”[71] Uno studioso etiope ha osservato che i progetti BRI cinesi sono “cose osservabili, anche nelle regioni più remote del Paese” e che molti etiopi vedono la Cina come un “risolutore di problemi per i loro problemi più immediati”. “Un altro ha osservato che, a differenza dell’Occidente che investe molto nella creazione di capacità, la Cina investe in “progetti fisici” e li porta a termine rapidamente, due aspetti che piacciono alla gente.[73] Un’altra ragione meno positiva della popolarità della BRI tra i governi africani è l’approccio “senza vincoli” della Cina, che consente ai beneficiari di non accettare gli standard lavorativi e ambientali richiesti dai finanziatori occidentali e dalle istituzioni finanziarie internazionali.[74]

Attraverso la BRI, la Cina è diventata il più grande prestatore bilaterale all’Africa.[75] Tra il 2000 e il 2020, la Cina ha prestato poco meno di 160 miliardi di dollari ai Paesi africani: Angola (42,6 miliardi di dollari), Etiopia (13,7 miliardi di dollari), Zambia (9,8 miliardi di dollari) e Kenya (9,2 miliardi di dollari) sono stati i principali beneficiari dei prestiti.[76] Le aree di interesse per i prestiti BRI sono state ferrovie, strade, porti, giacimenti di petrolio e gas e centrali elettriche. Dopo vent’anni di prestiti da parte della Cina, cresce la preoccupazione per la capacità dei Paesi africani di pagare i propri debiti. A novembre 2022, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno elencato 22 Paesi africani in difficoltà debitorie o ad alto rischio.[77] Lo Zambia, uno dei principali beneficiari dei prestiti cinesi, è nelle condizioni peggiori. Nel 2020, ha fatto default sul suo debito estero di 17,3 miliardi di dollari, di cui la Cina possiede 5,8 miliardi. I prestatori cinesi, a differenza delle istituzioni finanziarie internazionali, hanno poca esperienza nel gestire le insolvenze dei debitori, dato che la Cina è un importante prestatore internazionale solo da due decenni. Mentre la People’s Bank of China si è mostrata disponibile a ristrutturare i prestiti dello Zambia, il Ministero delle Finanze ha espresso delle riserve. La preoccupazione del Ministero delle Finanze è che se la parte cinese dovesse sostenere ingenti perdite in Zambia, ciò “creerebbe un costoso precedente” segnalando ad altri Paesi che l’insolvenza nei confronti della Cina è un’opzione.[78] Gli analisti cinesi hanno espresso preoccupazione anche per Gibuti, un partner diplomatico chiave e sede della prima base militare cinese all’estero. L’esiguità del PIL, le basse entrate fiscali, le limitate riserve valutarie e l’elevato rapporto debito/PIL mettono in dubbio la capacità del Paese di rimborsare gli 1,5 miliardi di dollari di prestiti cinesi accettati.[79]

La Cina ha risposto alla crescente sofferenza debitoria dei Paesi africani riducendo i prestiti al continente. Tra il 2019 e il 2020, gli impegni di prestito cinesi all’Africa sono calati del 30%.[80] Al Forum per la cooperazione Cina-Africa (FOCAC) del dicembre 2021, la Cina si è impegnata a concedere all’Africa prestiti per 40 miliardi di dollari per il 2022, con un calo del 33% rispetto a ciascuno dei due anni precedenti.[81] Con l’aggravarsi della situazione debitoria dell’Africa, la BRI è stata oggetto di notevoli critiche, soprattutto da parte dei governi occidentali. Secondo questa narrazione della “diplomazia della trappola del debito”, le pratiche di prestito opache, i termini di prestito predatori e la risposta draconiana di Pechino ai problemi di liquidità dei suoi debitori la rendono un creditore pericoloso con cui fare affari. Peggio ancora, quando i debitori non sono in grado di effettuare i pagamenti, si dice che la Cina intervenga e si appropri delle infrastrutture che ha costruito. Nonostante la forza di questa narrazione e la sua diffusa accettazione in molti Paesi occidentali, la verità è più complicata.

In un’analisi del 2019 sulle pratiche di prestito cinesi, il Dr. Patrick Maluki e il Dr. Nyongesa Lemmy definiscono la diplomazia della trappola del debito come un Paese che concede prestiti eccessivi a un altro con l’aspettativa di ottenere concessioni economiche o politiche quando il mutuatario è inadempiente. Il porto di Hambantota nello Sri Lanka ne è un primo esempio: quando il governo dello Sri Lanka non ha rispettato il prestito nel 2017, ha ceduto il porto alla Cina per un leasing di 99 anni.[82] In Africa, molti si aspettavano un destino simile per l’Uganda. Alla fine del 2021, una raffica di notizie dei media ha avvertito che l’Uganda era sull’orlo dell’insolvenza su un prestito per l’espansione del suo unico aeroporto internazionale di Entebbe, e alcuni sostenevano addirittura che la Cina ne avesse già preso il controllo. In realtà, i pagamenti del prestito sono iniziati solo nell’aprile del 2022 e, sebbene il COVID abbia colpito duramente l’economia ugandese, che dipende dal turismo, al momento non è a rischio di insolvenza. Le condizioni del prestito – un piano di pagamento di 20 anni con un interesse del 2% – sono così generose da essere classificate come “agevolate” nel mondo dei finanziamenti allo sviluppo. Ma ci sono anche parti meno generose dell’accordo di prestito. In primo luogo, l’accordo prevede che l’Uganda depositi tutte le entrate dell’Autorità per l’aviazione civile su un conto presso la EXIM Bank cinese e che i fondi di tale conto siano destinati al rimborso del prestito prima di qualsiasi altro debito o necessità. Inoltre, in caso di controversia o inadempienza, l’accordo di prestito prevede che le udienze arbitrali si tengano a Pechino e che la decisione arbitrale sia definitiva e vincolante, senza possibilità di appello. Accordi di questo tipo, con termini agevolati ma misure di applicazione severe, sono tipici dei prestiti governativi cinesi in Africa.[83]

Nel 2019, l’Etiopia – uno dei principali debitori africani della Cina con circa 13,7 miliardi di dollari di prestiti – ha chiesto a Pechino una ristrutturazione del suo debito. In risposta, la Cina ha esteso i termini di pagamento da dieci a trent’anni. Nel 2023, la Cina ha annunciato una parziale cancellazione del debito dell’Etiopia, pur non fornendo alcun dettaglio.[84] Molti analisti ritengono che la Cina consideri la ristrutturazione del debito preferibile al sequestro dei beni e credono che altri Paesi africani potrebbero essere in linea per accordi come quello ottenuto dall’Etiopia. Credono che Pechino estenderà i termini di pagamento e modificherà i tassi di interesse su altri prestiti, essenzialmente “dando un calcio al barattolo” fino a quando i suoi debitori non troveranno i mezzi per saldare i loro debiti.[85] C’è una buona ragione per questo. In primo luogo, preserva l’influenza di Pechino sulle scelte politiche dei suoi debitori, come dimostrano gli esempi del sostegno diplomatico dell’Etiopia e dell’inversione del divieto di importazione del pesce da parte del Kenya. Inoltre, preserva la reputazione della Cina e l’immagine della BRI presso l’opinione pubblica africana, entrambe positive. Nella conclusione del loro esame dei prestiti cinesi in Africa, Maluki e Lemmy concludono che la Cina sta usando lo stesso approccio utilizzato dal FMI e dalla Banca Mondiale dagli anni ’80 fino alla metà degli anni 2000 e che la narrazione della trappola del debito è in gran parte una “creazione dei concorrenti, per contrastare la crescente influenza della Cina nel mondo”[86].

La Cina è uno dei principali donatori di aiuti all’Africa, ma i suoi aiuti differiscono da quelli forniti dai Paesi occidentali e dalle organizzazioni internazionali. La spesa cinese per gli aiuti esteri è aumentata costantemente dal 2003 al 2015, per poi calare bruscamente nel 2016, ma da allora si è ripresa. Nel 2021, gli aiuti cinesi si attesteranno a 3,18 miliardi di dollari, il livello più alto della sua storia. Tra il 2013 e il 2018, quasi il 45% di tutti gli aiuti cinesi è stato destinato all’Africa.[87] La Cina è il più grande fornitore di aiuti in generale, ma segue Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Germania e Francia per quanto riguarda gli aiuti tradizionali, spesso definiti Aiuto allo sviluppo d’oltremare (APS). L’APS consiste in sovvenzioni e prestiti altamente agevolati (con un elemento di sovvenzione di almeno il 25%), il cui scopo è migliorare il benessere e lo sviluppo economico. A titolo di confronto, tra il 2000 e il 2017, il 73% degli aiuti statunitensi consisteva in APS, mentre solo il 12% degli aiuti cinesi. Circa l’81% degli aiuti di Pechino è invece costituito dai cosiddetti Altri flussi ufficiali (OOF). Si tratta di prestiti e crediti all’esportazione semi-concessionali (con un elemento di sovvenzione inferiore al 25%) e non concessionali (cioè a tasso di mercato), che non hanno necessariamente un intento di sviluppo.

Il commercio della Cina con l’Africa, come quello con il resto del mondo, è aumentato esponenzialmente negli ultimi decenni. Nel 1992 il fatturato commerciale totale (esportazioni e importazioni) era di appena 1,75 miliardi di dollari; nel 2021 aveva raggiunto i 251 miliardi di dollari. Il Sudafrica, l’Angola e la Repubblica Democratica del Congo sono stati i maggiori esportatori verso la Cina; la Nigeria, il Sudafrica e l’Egitto sono stati i maggiori importatori di beni cinesi.[88] Nel 2009 la Cina ha superato gli Stati Uniti diventando il principale partner commerciale bilaterale dell’Africa e, entro il 2021, il commercio cinese con l’Africa sarà quattro volte quello degli Stati Uniti. [Tuttavia, il commercio con l’Africa rappresenta solo il 6,35% del commercio totale della Cina, il che rende il continente un attore piuttosto secondario nell’economia cinese in generale.[91]

Gli investimenti diretti esteri (IDE) cinesi in Africa sono aumentati costantemente dal 2003, passando da 75 milioni di dollari a circa 5 miliardi di dollari nel 2021.[92] Nel 2013 la Cina ha superato gli Stati Uniti diventando la principale fonte di IDE in Africa e, nel 2018, il 16% di tutti gli investimenti in Africa proveniva dalla Cina.[93] RDC, Zambia, Guinea, Sudafrica e Kenya sono state le principali destinazioni degli IDE cinesi.[94]

In tutti i settori della presenza economica in Africa – prestiti, aiuti, commercio e IDE – la Russia è a malapena presente rispetto alla Cina. Ciò è dovuto in parte alla recente storia economica dei due Paesi. L’impegno economico della Cina in Africa ha subito un’accelerazione nel decennio successivo al crollo dell’Unione Sovietica, quando la Russia è crollata insieme al resto della sua economia. In una spiegazione sorprendentemente franca della situazione, un membro russo del Comitato per la politica economica del Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, ha dichiarato: “Non è facile, perché 30 anni dopo aver lasciato la regione, dobbiamo entrare in un ambiente competitivo… e le condizioni che si stanno aprendo oggi per le imprese russe – non sono proprio le stesse di quelle per gli uomini d’affari francesi, dell’Unione Europea, dell’India o della Cina”[95] Un’altra ragione per cui la Russia non può competere con l’influenza economica della Cina in Africa è la dimensione delle loro economie: Il PIL russo di 1.800 miliardi di dollari è ben lontano da quello cinese di circa 18.000 miliardi di dollari. Sebbene la crescita economica della Cina sia rallentata, si prevede che quella della Russia si contrarrà del 5,5% fino al 2023 e non recupererà il suo valore prebellico fino al 2030. Ciò segue un calo del 5,1% del PIL pro capite russo tra il 2010 e il 2020.[96]

I prestiti e gli aiuti allo sviluppo della Russia in Africa non sono componenti significative dell’impegno economico di Mosca nel Paese. A differenza del BRI e del GDI della Cina, che forniscono un quadro istituzionale per gli aiuti cinesi e sono orientati a uno sviluppo su larga scala, gli aiuti della Russia all’Africa tendono a essere più ad hoc e apertamente strumentali. Pur fornendo poca nuova assistenza all’Africa, la Russia ha cancellato alcuni prestiti precedenti nel tentativo di rafforzare la propria immagine di partner. In occasione del secondo vertice Russia-Africa del 2023, il presidente russo Putin ha annunciato che la Russia ha cancellato debiti di Stati africani per 23 miliardi di dollari. Putin ha anche affermato che il 90% dei debiti dei Paesi africani è stato saldato, senza più debiti “diretti” ma con alcuni obblighi finanziari rimanenti.[97] Poiché Putin ha annunciato la cancellazione di circa 19 miliardi di dollari di debito africano al primo vertice Russia-Africa del 2019, questo sembra essere un aumento incrementale di circa 4 miliardi di dollari di riduzione del debito. Putin ha promesso grano gratis a sei Paesi africani al vertice del 2023.[98] Non si tratta tanto di un’indicazione della generosità di Mosca quanto di un tentativo di riparare i danni alla sua reputazione di fornitore affidabile. Poco prima del vertice, Putin ha annunciato che la Russia avrebbe posto fine alla sua partecipazione all’accordo che consentiva l’esportazione di grano ucraino attraverso il Mar Nero, riducendo drasticamente le forniture di grano ai Paesi africani altamente dipendenti dalle importazioni.

Come si è detto, il fatturato commerciale della Russia con l’Africa è solo un quindicesimo di quello della Cina, con meno di 18 miliardi di dollari nel 2021.[99] Il modesto commercio russo con l’Africa è sbilanciato in termini di esportazioni/importazioni e di focalizzazione geografica. Le esportazioni russe in Africa sono costituite principalmente da cereali, armi, prodotti estrattivi ed energia nucleare e sono sette volte superiori alle importazioni russe dall’Africa, che consistono in gran parte di prodotti freschi. Circa il 70% di tutto il commercio russo con l’Africa è concentrato in soli quattro Paesi: Egitto, Algeria, Marocco e Sudafrica.[100] Nonostante il basso livello di scambi commerciali tra Russia e Africa, la dipendenza commerciale è un problema per i partner africani della Russia. L’Africa dipende dalla Russia per il 30% delle sue forniture di cereali. La quasi totalità (95%) è costituita da grano, l’80% del quale è destinato al Nord Africa (Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia); altri grandi importatori sono Nigeria, Etiopia, Sudan e Sud Africa. L’interruzione delle forniture alimentari per questi Paesi, causata dall’uscita della Russia dall’accordo di esportazione del grano, potrebbe indurli a diversificare le fonti di approvvigionamento.[101]

Gli IDE russi in Africa sono complessivamente esigui, pari a meno dell’1% di tutti i fondi investiti nel Paese, e si concentrano su pochi progetti di alto profilo.[102] Il più grande di questi è la centrale nucleare di El Dabaa in Egitto, finanziata in parte con un prestito russo di 25 miliardi di dollari, il cui completamento è previsto per il 2026. Rosatom, l’azienda nucleare russa di proprietà statale, ha firmato accordi di cooperazione nucleare con altri 17 Paesi africani, tra cui Etiopia, Nigeria, Ruanda e Zambia. Gli analisti notano che gli enormi costi delle centrali nucleari le rendono impraticabili per la maggior parte dei governi africani, ma creano “ampie opportunità di frode, generando incentivi politici per i funzionari governativi africani e del Cremlino ben piazzati”.[103]

Dopo quattro anni di costruzione, il 5 ottobre 2016 è stata inaugurata ufficialmente la ferrovia Addis Abeba-Djibouti, la più lunga ferrovia elettrica dell’Africa che attraversa Etiopia e Gibuti. La prima ferrovia elettrica transfrontaliera dell’Africa è stata costruita da imprese cinesi e l’apertura della ferrovia segna una tappa significativa nello sviluppo dei due Paesi. REUTERS

Le società russe sono protagoniste dell’industria petrolifera e del gas in Africa. Sono investitori significativi nelle industrie del petrolio e del gas dell’Algeria e hanno investimenti minori, ma comunque significativi, in Libia, Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio ed Egitto. Sebbene la Russia abbia sbandierato il suo interesse per l’espansione degli investimenti nel settore del petrolio e del gas, la maggior parte di questi non si è concretizzata, portando alcuni analisti africani a sostenere che “il vero obiettivo della Russia è quello di impedire che il petrolio e il gas africani raggiungano il mercato globale, riducendo la quota di mercato della Russia”. “Gli analisti africani notano anche progetti falliti in altre aree, tra cui Rosatom in Sudafrica, Norilsk Nickel in Botswana, l’impianto siderurgico di Ajaokuta in Nigeria, progetti minerari in Uganda e Zimbabwe e Lukoil in Camerun, Nigeria e Sierra Leone. Questi fallimenti hanno minato l’incentivo alla cooperazione bilaterale con la Russia, portandola a essere “invisibile” nella fornitura di infrastrutture per l’Africa.[105]

La presenza economica cinese e russa in Africa differisce per dimensioni e obiettivi. La presenza e le attività della Cina beneficiano di un quadro istituzionale composto dalla BRI e dalla GDI, che conferiscono una strategia al suo approccio. Gli obiettivi di Pechino sono in gran parte geoeconomici e ruotano attorno allo sviluppo dei legami commerciali che favoriscono la sua economia orientata all’esportazione. La Cina è il più grande prestatore bilaterale, donatore di aiuti, partner commerciale e investitore estero in Africa. I detrattori di Pechino l’hanno accusata di essere impegnata nella “diplomazia della trappola del debito”, estendendo prestiti predatori ai Paesi africani e sequestrando i beni quando questi non sono in grado di rispettare i termini dei prestiti. I prestiti cinesi tendono ad avere condizioni agevolate ma misure di applicazione severe. Queste misure non includono il sequestro dei beni. Al contrario, la Cina ha risposto alle difficoltà del debito rinegoziando i termini dei singoli prestiti e riducendo i prestiti complessivi all’Africa.

Rispetto alla Cina, la Russia è una forza economica trascurabile in Africa e il suo approccio è più ad hoc e apertamente strumentale. Sebbene non sia stata uno dei principali finanziatori dell’Africa dai tempi della Guerra Fredda, Mosca ha condonato miliardi di debiti africani per rafforzare la sua reputazione e la sua posizione economica nel continente. Il commercio russo con l’Africa è relativamente scarso e sbilanciato, concentrato su pochi prodotti di base e pochi Paesi, con la Russia che esporta molto più di quanto importa. Gli IDE russi in Africa sono esigui e dominati da pochi grandi progetti. Sia Pechino che Mosca favoriscono la corruzione attraverso le loro attività economiche in Africa: la Cina con il suo approccio “senza vincoli” e la Russia con investimenti che offrono opportunità di frode.

In termini di focalizzazione geografica delle attività economiche cinesi e russe in Africa, il Sudafrica è l’unico punto di convergenza significativo. Il Paese è stato il primo in Africa a sottoscrivere la BRI, è il più grande partner commerciale africano della Cina ed è una delle principali destinazioni degli IDE cinesi. È il quinto partner commerciale africano della Russia. Al di fuori del Sudafrica, la sovrapposizione economica tra Cina e Russia in Africa è scarsa. Mentre Pechino si concentra sull’Africa subsahariana, in particolare su Angola, RDC, Etiopia, Kenya e Zambia, Mosca si concentra sul Nord Africa, in particolare sull’Egitto.

Conclusioni
Un’indagine sull’attività e l’interazione di Cina e Russia in Africa non fornisce una risposta semplice alla natura delle loro relazioni. Tuttavia, da un’analisi delle loro attività emerge il quadro di due potenze molto diseguali. Dal punto di vista diplomatico ed economico, la Cina è più piccola della Russia in Africa. Dal punto di vista militare, la Russia mantiene ancora una presenza significativa, anche se non convenzionale e non riconosciuta.

Sul piano diplomatico, Cina e Russia fanno entrambe leva sulla mancanza di un passato coloniale in Africa e sul loro sostegno ai movimenti di liberazione africani per assicurarsi il supporto delle loro posizioni nelle votazioni dell’ONU da parte dei 54 Paesi africani, che formano il più grande blocco geografico di voti. Entrambi guardano al Sudafrica come leader nel rappresentare i loro interessi in Africa e nelle Nazioni Unite. Pechino e Mosca hanno spinto e ottenuto l’espansione dei BRICS per sfruttare il potere del Sud globale sotto la loro guida congiunta. Se da un lato un BRICS più grande migliorerà la sua reputazione in questo senso, dall’altro un insieme più ampio e diversificato di membri peggiorerà l’agilità e la reattività dell’organizzazione. La Cina e la Russia si differenziano soprattutto per i fini del loro impegno diplomatico in Africa e per i modi in cui li perseguono. Pur condividendo l’obiettivo di minare l’influenza occidentale, per la Russia questo obiettivo prevale su tutti gli altri. Come dimostrano le attività del Gruppo Wagner, Mosca è disposta a disturbare e degradare la sicurezza in Africa se, nel frattempo, si riduce anche l’influenza occidentale. L’impegno diplomatico della Cina è ampiamente basato, istituzionalizzato e ha obiettivi positivi che mancano all’impegno della Russia. Mentre la Cina cerca di promuovere il suo modello di governance, la Russia cerca di minare quello dei Paesi occidentali.

Dal punto di vista militare, la presenza della Russia in Africa è maggiore di quella della Cina, ma non è convenzionale ed è largamente misconosciuta. Anche l’impegno della Russia nel settore della sicurezza è più diretto e “cinetico”. Il Gruppo Wagner protegge la leadership dei governi amici, addestra le loro forze militari e combatte anche per loro conto. Sebbene abbia accordi che le consentono di utilizzare strutture militari in diversi Paesi africani, Mosca non ha ancora stabilito una base permanente nel continente. La presenza cinese si concretizza in PMSC che proteggono gli investimenti cinesi, forze militari cinesi convenzionali a Gibuti (e forse in futuro in Guinea Equatoriale) e una presenza significativa nelle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite. Quest’ultima è un’area in cui gli interessi cinesi e russi potrebbero divergere. La Cina è uno dei principali contributori alle operazioni delle Nazioni Unite in Africa, dove dispiega circa l’80% dei suoi peacekeepers. La Russia, attraverso il Gruppo Wagner, è impegnata a minare le operazioni delle forze di pace delle Nazioni Unite, come dimostra il caso del Mali. In termini di interazione militare diretta tra Cina e Russia, Angola, RCA, Etiopia, Mali e Sudan sono da tenere d’occhio. Tutti questi Paesi importano armi sia dalla Cina che dalla Russia e hanno la presenza di PMSC di entrambi all’interno dei loro confini. Se la competizione dovesse scatenarsi, probabilmente avverrà all’interno di questi Paesi o al di sopra di essi.

Dal punto di vista economico, non c’è paragone tra Cina e Russia in Africa. Come la sua presenza diplomatica e militare, la presenza economica della Cina in Africa è ampiamente basata e istituzionalizzata attraverso la BRI e la GDI. Lo scetticismo nei confronti dell’attività economica cinese che esiste altrove, soprattutto in Asia centrale, è assente in Africa, dove la BRI è ancora vista in termini positivi. La narrazione della trappola del debito promulgata da molti concorrenti della Cina trova pochi acquirenti in Africa, e per una buona ragione. Le condizioni dei prestiti cinesi sono spesso così generose da essere considerate concessioni, e la Cina ha risposto alla sofferenza del debito quando si è verificata in Africa abbassando i tassi di interesse o prolungando i periodi di pagamento. L’opacità dei prestiti cinesi e la scarsa adesione a standard lavorativi equi e ambientali responsabili in Africa lasciano spazio a critiche, anche se non sono emerse. Rispetto alla Cina, la presenza economica russa in Africa è appena percettibile. Il commercio tra la Russia e i Paesi africani è piccolo e sbilanciato, con le importazioni dalla Russia sette volte superiori alle esportazioni verso la Russia. Inoltre, è concentrato geograficamente e si concentra su settori economici ristretti: L’Egitto, l’Algeria, il Marocco e il Sudafrica rappresentano la maggior parte degli scambi commerciali tra l’Africa e la Russia, e gli scambi riguardano soprattutto i settori del petrolio, del gas e del nucleare. È interessante notare che la Russia riconosce non solo che la Cina è un concorrente economico in Africa, ma anche che la Russia non è attrezzata per competere a causa del suo ritiro economico dall’Africa negli anni Novanta.

Come per la maggior parte dei Paesi che non sono né alleati né in guerra tra loro, l’interazione russo-cinese in Africa è un misto di comportamenti cooperativi, complementari, compartimentali e competitivi. La loro principale area di cooperazione in Africa consiste nel minimizzare e minare l’influenza occidentale. Lo fanno in diversi modi. Utilizzano il loro status di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per mobilitare il potere di voto dei Paesi africani. Offrono inoltre aiuti e investimenti “senza vincoli” in alternativa a quelli dei Paesi occidentali, che sono accompagnati da requisiti volti a promuovere la responsabilità e la trasparenza. A livello diplomatico, militare e, in misura minore, economico, Pechino e Mosca collaborano anche nel coltivare il Sudafrica come leader tra i Paesi africani e rappresentante dei loro interessi. Questo non vuol dire negare l’autorità sudafricana: la Pretoria ha i suoi interessi e li persegue, a volte utilizzando il sostegno cinese e russo per farlo. È interessante notare che diversi analisti sudafricani vedono una scarsa cooperazione tra i due, e uno di loro ha osservato: “Non si piacciono, sono qui per contrastarsi”[106] Sebbene la loro partnership possa mancare di amicizia, è strategica: ognuno capisce l’importanza dell’altro per il suo obiettivo di erodere l’influenza occidentale in Africa, e questo permette la cooperazione. Come ha concluso un altro analista sudafricano, il loro interesse comune conferisce durevolezza alla loro cooperazione, poiché “nei prossimi due decenni non si pugnaleranno alle spalle a vicenda”[107].

Le relazioni russo-cinesi in Africa sono poco complementari. Al contrario, sono meglio descritte come compartimentate: piuttosto che coordinare le loro attività in modo che siano indipendenti ma di supporto reciproco, i due paesi spesso si limitano a stare lontani l’uno dall’altro, sia dal punto di vista funzionale che geografico. Dal punto di vista funzionale, la Cina si concentra sugli strumenti diplomatici ed economici dello statecraft, mentre la Russia si concentra sulla presenza militare, soprattutto sotto forma del Gruppo Wagner e di altre PMSC. Con l’espansione degli interessi economici africani della Cina, è probabile che la sua presenza in materia di sicurezza aumenti per proteggerli. La reazione della Russia sarà un importante indicatore dello stato generale delle relazioni. Dal punto di vista geografico, al di fuori del Sudafrica, Cina e Russia si concentrano su parti distinte del continente. Per la Cina, il Corno d’Africa e il Golfo di Guinea sono stati punti focali, a causa della loro importanza come rotte commerciali e, in quest’ultimo caso, come fonte di esportazioni di petrolio. Il Nord Africa e il Sahel hanno fatto la parte del leone nell’interesse di Mosca per l’Africa, il primo a causa delle relazioni economiche di lunga data con Paesi come l’Egitto e l’Algeria, il secondo per la sua attrattiva come terreno di gioco per il Gruppo Wagner e altre PMSC russe. Cinque Paesi – Angola, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Mali e Sudan – importano armi sia dalla Russia che dalla Cina e hanno la presenza di PMSC di entrambi. Anche in questo caso ci sono poche prove che i due Paesi stiano coordinando le loro attività.

Sebbene Cina e Russia non siano apertamente in competizione in Africa, alcuni dei loro obiettivi sono disallineati e potrebbero causare problemi in futuro. Sebbene entrambi, come tutti i Paesi, mantengano i propri interessi in primo piano nelle loro politiche in Africa, la Cina ha un elemento di cooperazione win-win all’interno dei suoi interessi che manca a quelli della Russia. Mosca vede l’Africa in termini molto più strumentali ed è più fissata a minare l’influenza occidentale, anche a costo della stabilità. L’approccio della Cina è più ampio e combina investimenti in infrastrutture, sviluppo di capacità per i governi africani e impegno per la sicurezza regionale. L’obiettivo è estendere il modello di governance cinese all’Africa e al di fuori di essa e creare mercati per i prodotti cinesi. Per raggiungere questo obiettivo, la Cina ha bisogno di stabilità, rendendo inutile il ruolo della Russia come agente del caos. Non è chiaro quanto Pechino sia disposta a tollerare le perturbazioni, ma la risposta rivelerà molto sullo stato delle loro relazioni.

The views expressed in this article are those of the author alone and do not necessarily reflect the position of the Foreign Policy Research Institute, a non-partisan organization that seeks to publish well-argued, policy-oriented articles on American foreign policy and national security priorities.


 

[1] Information is also often considered an instrument of power, but it is more difficult to directly measure than diplomatic, military, and economic instruments, so I do not consider it here.

[2] Dr. Paul Tembe, Associate Professor at the University of South Africa, interview with the author, August 24, 2022.

[3] Charles A. Ray, “South Africa’s Naval Exercises with China and Russia: Cause for Concern?” Foreign Policy Research Institute, April 13, 2023, https://www.fpri.org/article/2023/04/south-africas-naval-exercises-with-china-and-russia-cause-for-concern/

[4] Sandile Ndlovu, Chief Executive Office of the South African Aerospace Maritime Defence Council (SAAMDEC), interview with the author, August 22, 2022.

[5] Ibid.

[6] Dr. Philani Mthembu, Executive Director of the Institute for Global Dialogue, interview with the author, August 24, 2022.

[7] Ndlovu, interview.

[8] Ibid.

[9] Tembe, interview.

[10] Dr. Woldeamlak Bewket, Professor at Addis Ababa University, interview with the author, August 29, 2022.

[11] Mthembu, interview.

[12] Dr. Patrick Maluki, Professor at the University of Nairobi, interview with the author, September 1, 2022.

[13] Camille Behnke, “Putin searches for more friends at Africa summit but low turnout dampens bid for influence,” NBC News, July 29, 2023, https://www.nbcnews.com/news/world/putin-searches-friends-africa-summit-low-turnout-dampens-bid-influence-rcna96599

[14] Gerald Imray, Mogomotsi Mogome, and John Gambrell, “Iran and Saudi Arabia are among 6 nations set to join China and Russia in the BRICS economic bloc,” The Associated Press, August 24, 2023, https://apnews.com/article/brics-russia-china-summit-b5900168d165cc78b36d5d5c068b7a50

[15] Gerald Imray, Mogomotsi Mogome, and John Gambrell, “Iran and Saudi Arabia are among 6 nations set to join China and Russia in the BRICS economic bloc.”

[16] Mercy A. Kuo, “China-Russia Cooperation in Africa and the Middle East,” The Diplomat, April 3, 2023, https://thediplomat.com/2023/04/china-russia-cooperation-in-africa-and-the-middle-east/

[17] Dr. Philani Mthembu, interview with the author.

[18] Mathieu Droin and Tina Dolbaia, “Russia Is Still Progressing in Africa. What’s the Limit?” Center for Strategic and International Studies, August 15, 2020, https://www.csis.org/analysis/russia-still-progressing-africa-whats-limit

[19] “South African Presidential Palace: Hope to play a mediating role in the Russian-Ukrainian conflict (南非总统府:希望在俄乌冲突中发挥调解作用),” China Internet Information Center, March 12, 2022, http://news.china.com.cn/2022-03/12/content_78103688.htm

[20] Abraham White, Leo Holtz, “Figure of the week: African countries’ votes on the UN resolution condemning Russia’s invasion of Ukraine,” Brookings Institution, March 9, 2022, https://www.brookings.edu/articles/figure-of-the-week-african-countries-votes-on-the-un-resolution-condemning-russias-invasion-of-ukraine/

[21] “African countries divided over UN vote against Russia,” africanews, October 13, 2022, https://www.africanews.com/2022/10/13/african-countries-divided-over-un-vote-against-russia/

 

[22] Boris Bondarev, “Lavrov Returns to Africa”, Eurasia Daily Monitor Volume: 20 Issue: 91, June 6, 2023, https://jamestown.org/program/lavrov-returns-to-africa/

[23] “The first African country to sign the ‘Belt and Road’ cooperation document, providing 1/4 of the trade volume between China and Africa! (第一个签订“一带一路”合作文件的非洲国家,提供了中非1/4贸易额!),” China Industry News, June 26, 2019.

[24] L. Venkateswaran, “China’s belt and road initiative: Implications in Africa,” Observer Research Foundation, August 24, 2020, https://www.orfonline.org/research/chinas-belt-and-road-initiative-implications-in-africa/

[25] Moira Fagan, Jacob Poushter, and Sneha Gubbala, ”Overall opinion of Russia,” Pew Research Center, July 10, 2023, https://www.pewresearch.org/global/2023/07/10/overall-opinion-of-russia/

[26] Laura Silver, Christine Huang, and Laura Clancy, “China’s Approach to Foreign Policy Gets Largely Negative Reviews in 24-Country Survey,” Pew Research Center, July 27, 2023, https://www.pewresearch.org/global/2023/07/27/chinas-approach-to-foreign-policy-gets-largely-negative-reviews-in-24-country-survey/

[27] Mercy A. Kuo, “China-Russia Cooperation in Africa and the Middle East.”

[28] Ma Xinmin, Chinese Ambassador to Sudan, “China-Sudan Relations and China’s Current Foreign Policy——Remarks at the ‘China Teahouse’ Salon Press Briefing,” May 27, 2022, https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/wjb_663304/zwjg_665342/zwbd_665378/202205/t20220528_10693891.html

[29] “Uphold Original Aspirations and Glorious Traditions Set Sail for An Even Brighter Future of China-Africa Cooperation,” Embassy of The People’s Republic of China In The Federal Democratic Republic of Ethiopia, November 28, 2021,http://et.china-embassy.gov.cn/eng/zagx/202111/t20211128_10454424.htm

[30] Sun Degang (孙德刚) and Bai Xinyi (白鑫沂), “Current situation and prospects of China’s participation in Djibouti port construction (中国参与吉布提港口建设的现状与前景),” Contemporary World (当代世界), 2018, https://kns.cnki.net/kcms/detail/detail.aspx?dbcode=CJFD&dbname=CJFDLAST2018&filename=JSDD201804019&uniplatform=NZKPT&v=q9ShY4HhGkvPpHSByRhCdCXhz_ZmWigDbD-mwjQ7tVuKaSKxXEa3zZ_ztqAsQKcp

[31] Mercy A. Kuo, “China-Russia Cooperation in Africa and the Middle East.”

[32] Joseph Siegle, “Russia and the Future International Order in Africa,” Africa Center for Strategic Studies, May 11, 2022, https://africacenter.org/spotlight/russia-future-international-order-africa/

 

[33] Dr. Paul Tembe, interview with the author.

[34] Cortney Weinbaum, Melissa Shostak, Chandler Sachs, and John V. Parachini, Mapping Chinese and Russian Military and Security Exports to Africa, Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2022.

[35] Pieter D. Wezeman, Justine Gadon, and Siemon T. Wezeman, “Trends in International Arms Transfers 2022,” Stockholm International Peace Research Institute, March 2023, 7–8, https://www.sipri.org/sites/default/files/2023-03/2303_at_fact_sheet_2022_v2.pdf

[36] Mercy A. Kuo, “China-Russia Cooperation in Africa and the Middle East.”

[37] Judd Devermont, Marielle Harris, and Alison Albelda, “Personal Ties: Measuring U.S. and Chinese Engagement with African Security Chiefs,” Center for Strategic and International Studies, August 2020, https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/publication/210804_Devermont_Personal_Ties.pdf?.YCq8Uld.T5woHvt58xPvmugt_2NNfNj

[38] Paul Nantulya, “Chinese Professional Military Education for Africa: Key Influence and Strategy,” United States Institute of Peace, July 5, 2023, https://www.usip.org/publications/2023/07/chinese-professional-military-education-africa-key-influence-and-strategy

[39] Jevans Nyabiage, “Africa sets sights on China as a top destination for military training,” South China Morning Post, August 2, 2023, https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3229118/africa-sets-sights-china-top-destination-military-training

[40] Robert Bociaga, “China boosts military aid to Africa as concerns over Russia grow,” Nikkei Asia, December 12, 2022, https://asia.nikkei.com/Politics/International-relations/China-boosts-military-aid-to-Africa-as-concerns-over-Russia-grow

[41] Sun Degang (孙德刚) and Bai Xinyi (白鑫沂), “Current situation and prospects of China’s participation in Djibouti port construction (中国参与吉布提港口建设的现状与前景),” Contemporary World (当代世界), 2018.

[42] Ibid.

[43] Michaël Tanchum, “China’s new military base in Africa: What it means for Europe and America,” European Council on Foreign Relations, December 14, 2021, https://ecfr.eu/article/chinas-new-military-base-in-africa-what-it-means-for-europe-and-america/

[44] Eric A. Miller, “More Chinese Military Bases in Africa: A Question of When, Not If,” Foreign Policy, August 16, 2022, https://foreignpolicy.com/2022/08/16/china-military-bases-africa-navy-pla-geopolitics-strategy/

[45] Zoe Jordan, “How Beijing Squares Its Noninterference Circle,” Council on Foreign Relations, March 7, 2022, https://www.cfr.org/blog/how-beijing-squares-its-noninterference-circle

[46] Michaël Tanchum, “China’s new military base in Africa: What it means for Europe and America.”

[47] Paul Nantulya, “China’s Policing Models Make Inroads in Africa,” Africa Center for Strategic Studies, May 22, 2023, https://africacenter.org/spotlight/chinas-policing-models-make-inroads-in-africa/

[48] Chen Qingqing, “China-Africa security forum injects positive energy into global peace,” Global Times, August 28, 2023, https://www.globaltimes.cn/page/202308/1297125.shtml

[49] Thomas Dyrenforth, “Beijing’s Blue Helmets: What to Make of China’s Role in UN Peacekeeping in Africa,” Modern War Institute, August 19, 2021, https://mwi.westpoint.edu/beijings-blue-helmets-what-to-make-of-chinas-role-in-un-peacekeeping-in-africa/

[50] “Armed men kill nine Chinese nationals in Central African Republic,” The Guardian, March 20, 2023, https://www.theguardian.com/world/2023/mar/20/armed-men-kill-chinese-nationals-central-african-republic

[51] Minnie Chan, “Wagner mercenaries rescued Chinese gold miners in Central African Republic in July, paramilitary group says,” South China Morning Post, July 13, 2023, https://www.scmp.com/news/china/military/article/3227490/wagner-mercenaries-rescued-chinese-gold-miners-central-african-republic-july-paramilitary-group-says

[52] Pieter D. Wezeman, Justine Gadon, and Siemon T. Wezeman, “Trends in International Arms Transfers 2022.”

[53] Joseph Siegle, “Russia’s Strategic Goals in Africa,” Africa Center for Strategic Studies, May 6, 2021, https://africacenter.org/experts/joseph-siegle/russia-strategic-goals-africa/

[54] Samy Magdy, “Sudan military finishes review of Russian Red Sea base deal,” AP, February 11, 2023, https://apnews.com/article/politics-sudan-government-moscow-803738fba4d8f91455f0121067c118dd

[55] Mathieu Droin and Tina Dolbaia, “Russia Is Still Progressing in Africa. What’s the Limit?”

[56] Vera Bergengruen, “Despite Rift With Putin, the Wagner Group’s Global Reach is Growing,” Time, August 2, 2023, https://time.com/6300145/wagner-group-niger-future/

[57] Raphael Parens, “The Wagner Group’s Playbook in Africa: Mali,” Foreign Policy Research Institute, March 18, 2022, https://www.fpri.org/article/2022/03/the-wagner-groups-playbook-in-africa-mali/

[58] Ibid

[59] ”France, European allies announce military withdrawal from Mali,” Al Jazeera, February 17, 2022, https://www.aljazeera.com/news/2022/2/17/france-allies-announce-military-withdrawal-from-mali

[60] Raphael Parens, “The Wagner Group’s Playbook in Africa: Mali.”

[61] Weinbaum et al., Mapping Chinese and Russian Military and Security Exports to Africa.

[62] “Data for China, Russian Federation,” World Bank, accessed September 1, 2023,  https://www.aljazeera.com/news/2022/2/17/france-allies-announce-military-withdrawal-from-mali

[63] Mercy A. Kuo, “China-Russia Cooperation in Africa and the Middle East.”

[64] Ibid.

[65] Michaël Tanchum, “China’s new military base in Africa: What it means for Europe and America.”

[66] Zhao Zhiyuan, Ambassador of the People’s Republic of China to the Federal Democratic Republic of Ethiopia, “Uphold Original Aspirations and Glorious Traditions Set Sail for An Even Brighter Future of China-Africa Cooperation,” Embassy of The People’s Republic of China In The Federal Democratic Republic of Ethiopia, November 28, 2021, http://et.china-embassy.gov.cn/eng/zagx/202111/t20211128_10454424.htm

[67] Patrick Maluki and Nyongesa Lemmy, “Is China’s Development Diplomacy in Horn of Africa Transforming into Debt Trap Diplomacy? An Evaluation,” The HORN Bulletin, II, no. I (January–February 2019): 12.

[68] Ibid, 12.

[69] Huang Peizhao (黄培昭) and Ding Yuqing (丁雨晴), “Kenya think tank report: China is significantly better than the EU in meeting priority needs of Africa (肯尼亚智库报告:在满足非洲优先需求方面,中国明显优于欧盟),” Global Times, July 22, 2022, https://world.huanqiu.com/article/48v9W51hWli

[70] “Kenya research report: ‘The Belt and Road’ is profoundly expanding the development space of Kenya (肯尼亚研究报告: ‘一带一路’正在深刻拓展肯发展空间),” Xinhua, December 3, 2021, http://www.news.cn/2021-12/03/c_1128127004.htm

[71] Patrick Maluki and Nyongesa Lemmy, “Is China’s Development Diplomacy in Horn of Africa Transforming into Debt Trap Diplomacy? An Evaluation.”

[72] Dr. Balew Demissie, Associate Professor at Addis Ababa University, interview with the author, August 26, 2022.

[73] Bewket, interview.

[74] Ralph Jennings, “Charting the Future of China’s Infrastructure Projects in Africa After a Decade of Lending,” Voice of America, December 15, 2021, https://www.voanews.com/a/charting-the-future-of-china-s-infrastructure-projects-in-africa-after-a-decade-of-lending-/6355784.html

[75] Fikayo Akeredolu, “China’s Role in Restructuring Debt in Africa,” OXPOL: The Oxford University Politics Blog, February 16, 2023, https://blog.politics.ox.ac.uk/chinas-role-in-restructuring-debt-in-africa/

[76] Chinedu Okafor, “10 African countries with the highest debt to China,” Business Insider Africa, March 6, 2023, https://africa.businessinsider.com/local/lifestyle/10-african-countries-with-the-highest-debt-to-china/6zkd9nf

[77] Fikayo Akeredolu, “China’s Role in Restructuring Debt in Africa.”

[78] “Zambia desperately needs debt restructuring, China is in a dilemma (赞比亚急需债务重组 中国左右为难),” Deutsche Welle, May 31, 2022.

[79] Sun Degang (孙德刚) and Bai Xinyi (白鑫沂), “Current situation and prospects of China’s participation in Djibouti port construction (中国参与吉布提港口建设的现状与前景).”

[80] Ralph Jennings, “Charting the Future of China’s Infrastructure Projects in Africa After a Decade of Lending.”

[81] “China cuts down investment pledges for Africa amid mounting debt fears,” ANI, May 9, 2022, https://www.aninews.in/news/world/asia/china-cuts-down-investment-pledges-for-africa-amid-mounting-debt-fears20220509135947/

[82] Patrick Maluki and Nyongesa Lemmy, “Is China’s Development Diplomacy in Horn of Africa Transforming into Debt Trap Diplomacy? An Evaluation.”

[83] “Uganda Airport Deal: A Chinese Belt and Road Debt Trap?” Globely News, March 7, 2022, https://globelynews.com/africa/china-takes-international-airport-of-uganda/

[84] Dawit Endeshaw, “Africa should not be arena for international competition, says Chinese foreign minister,” Reuters, January 11, 2023, https://www.reuters.com/world/africa/africa-should-not-be-arena-international-competition-says-chinese-foreign-2023-01-11/

[85] Ralph Jennings, “Charting the Future of China’s Infrastructure Projects in Africa After a Decade of Lending.”

[86] Patrick Maluki and Nyongesa Lemmy, “Is China’s Development Diplomacy in Horn of Africa Transforming into Debt Trap Diplomacy? An Evaluation.”

[87] “Data: Chinese Global Foreign Aid,” Johns Hopkins University School of Advanced International Studies, 2023, http://www.sais-cari.org/data-chinese-global-foreign-aid

[88] “Data: China-Africa Trade,” Johns Hopkins University School of Advanced International Studies.

[89] Thomas P. Sheehy, “10 Things to Know about the U.S.-China Rivalry in Africa,” United States Institute of Peace, December 7, 2022, https://www.usip.org/publications/2022/12/10-things-know-about-us-china-rivalry-africa

[90]  https://globaledge.msu.edu/countries/russia/tradestats

[91]  https://globaledge.msu.edu/countries/china/tradestats

[92] “Data: Chinese Investment in Africa,” Johns Hopkins University School of Advanced International Studies.

[93] Lars Kramer, “Leading sources of foreign direct investment (FDI) into Africa between 2014 and 2018, by investor country’, Statista, June 8, 2022, https://www.statista.com/statistics/1122389/leading-countries-for-fdi-in-africa-by-investor-country/

[94] Data: Chinese Investment in Africa,” Johns Hopkins University School of Advanced International Studies.

[95] Kester Kenn Klomegah, “Russia On Africa’s Side: Dreams Versus Realities,” Eurasia Review, June 13, 2022, https://www.eurasiareview.com/13062022-russia-on-africas-side-dreams-versus-realities-oped/

[96] Joseph Siegle, “Decoding Russia’s Economic Engagements in Africa,” Africa Center for Strategic Studies, January 6, 2023, https://africacenter.org/spotlight/decoding-russia-economic-engagements-africa/

[97] Elena Teslova, “Putin says Russia wrote off $23B in African debt,” Anadolu Agency, July 28, 2023, https://www.aa.com.tr/en/economy/putin-says-russia-wrote-off-23b-in-african-debt/2956814

[98] “Putin promises grains, debt write-off as Russia seeks Africa allies,” Al Jazeera, July 28, 2023, https://www.aljazeera.com/news/2023/7/28/putin-promises-grains-debt-write-off-as-russia-seeks-africa-allies

[99]  https://globaledge.msu.edu/countries/russia/tradestats

[100] Joseph Siegle, “Decoding Russia’s Economic Engagements in Africa.”

[101] Ibid.

[102] Ibid.

[103] Ibid.

[104] Ibid.

[105] Mercy A. Kuo, “China-Russia Cooperation in Africa and the Middle East.”

[106] Sandile Ndlovu, interview with the author.

[107] Dr. Paul Tembe, Associate Professor at the University of South Africa, interview with the author.

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SITREP 11/10/23: L’economia israeliana vacilla, la Russia sfonda ad Avdeevka, di SIMPLICIUS THE THINKER

Non c’è un grande aggiornamento in particolare oggi, ma le cose continuano a scaldarsi ovunque, su ogni fronte globale.

Israele va avanti, ma continua a muoversi in punta di piedi intorno a Gaza City senza entrare nel suo cuore. Commentatori esperti hanno notato come Israele si attenga ai propri veicoli blindati e abbia pochissimi soldati a piedi per sorvegliarli: l’esatto “errore da dilettanti” che le forze meccanizzate russe sono state accusate di aver commesso nella prima parte della guerra.

Ma ora vediamo che per molti versi è una necessità, perché i soldati diventano bersagli per i cecchini. Per esempio, una storia esemplificativa è stata la seguente: un carrista dell’IDF che è uscito solo per un secondo per rifornire la sua unità, ed è stato immediatamente eliminato:

Questo ha portato a ipotizzare che l’IDF sia terrorizzato dall’idea di ingaggiare scontri a fuoco con le unità di Hamas, preferendo bombardare tutto fino a ridurlo in polvere prima di far avanzare le sue enormi colonne corazzate, centimetro dopo centimetro. Questa è la dottrina standard della NATO, ma ne stiamo vedendo i limiti. Enormi colonne corazzate sono sedute allo scoperto, senza fare nulla, ma aspettando che l’aviazione liberi la strada. Contro un nemico competente verrebbero presi di mira e fatti fuori in massa.

Dobbiamo riconoscere il fatto che nel primo mese della SMO, la Russia si era già addentrata per centinaia di chilometri nel territorio ucraino, utilizzando solo 70-80k uomini in totale contro una forza AFU di 250-700k altamente addestrata e finanziata dalla NATO (a seconda della fonte a cui ci si affida). In una settimana e spiccioli, la Russia aveva catturato la città principale di Kherson, circondato Mariupol e Kiev, ecc.

L’IDF, con una forza totale di oltre 500.000 uomini contro una forza di Hamas di appena 5.000 soldati a piedi nudi, è avanzata di un paio di chilometri in un mese di guerra e non ha mostrato alcuna prova di aver eliminato una quantità apprezzabile di combattenti nemici.

Certo, si tratta di un paragone un po’ ironico, ma il punto è che i due pesi e le due misure e l’ipocrisia quando si parla di Russia sono fuori scala. Se fosse stato un qualsiasi esercito della NATO a fare quello che sta facendo la Russia, sarebbe stato celebrato e ricoperto di gloria, e i titani di Hollywood avrebbero già messo in fila i loro copioni per realizzare ricostruzioni di mega-blockbuster. E se fosse stata la Russia al posto dell’IDF, sarebbe stata ridicolizzata a livello globale come una forza assolutamente inetta, incapace di far fuori una minuscola quantità di bifolchi non armati con armi leggere, che sono già stati completamente bloccati senza la possibilità di ricevere aiuti esterni.

“Oh, ma hanno i tunnel sotterranei! Ecco perché l’IDF ha problemi!”. E cosa pensate che la Russia stia affrontando ad Avdeevka? Se non fosse che i tunnel sotterranei sono finanziati con 200 miliardi di dollari dalla NATO e ricevono quotidianamente spedizioni dall’alleanza più potente della storia. Mentre i tunnel di Hamas sono fortunati ad avere un po’ di acqua stagnante e pane raffermo.

Immaginate se Russia e Cina cominciassero a fornire ad Hamas un ISR satellitare completo, oltre a spedirgli artiglieria di massa, carri armati e missili stand-off come gli Iskander? Quanto durerebbe l’IDF?

Per quanto riguarda coloro che pensano che Israele stia prendendo tempo, molti rapporti indicano che l’economia israeliana sta affrontando enormi shock a causa di questa guerra. Si tratta di un’emorragia di oltre 600 milioni di dollari a settimana, pari al 6% del PIL, dovuta a una combinazione di costi di guerra, mancati introiti turistici, così come molte attività agricole che, secondo quanto riferito, hanno chiuso completamente i battenti a causa della fuga di coloni e lavoratori, soprattutto nel nord, vicino al Libano.

L’economia israeliana è a picco. La mobilitazione di 360.000 riservisti ha portato via l’8-10% della forza lavoro. I redditi sono diminuiti di 1/3, i progetti di costruzione sono aumentati. Il flusso turistico si è quasi fermato. Nel frattempo, le spese per l’esercito aumentano. Si prevede che l’economia scenderà dell’11% in questo trimestre.

Quanto sopra è sostenuto da Bloomberg:

Un’altra notizia da Bloomberg:

Il governatore della Banca d’Israele Amir Yaron ha dichiarato che la guerra con Hamas è un “grande shock” per l’economia che si sta rivelando più costoso di quanto inizialmente stimato.
Inoltre

“…il rapporto debito/PIL è probabile che aumenti un po’ più del 65% (dal 60%) entro la fine del ’24, poiché i costi sono maggiori di quanto inizialmente previsto”.
Quindi, per quanto tempo Israele può permettersi di “prendere tempo” e di camminare in punta di piedi lungo il perimetro di Gaza City, senza mai entrarvi realmente per fare il vero e duro lavoro di estirpazione di “Hamas”?

Naturalmente, gli Stati Uniti faranno del loro meglio per sostenere il loro “più grande alleato” con finanziamenti illimitati, come al solito, ma finora i finanziamenti più importanti continuano a essere bloccati dallo stallo del Congresso americano.

Tra l’altro, secondo quanto riferito, l’economia dell’Ucraina si è ridotta solo del 30% dopo un anno e più di assalti nella sua guerra molto più intensa. Quindi una distruzione economica dell’11% è piuttosto massiccia, e potrebbe potenzialmente aumentare se le nazioni arabe mostrassero una certa solidarietà nell’attuare una delle misure punitive proposte, come l’embargo congiunto su Israele.

Nel momento in cui scriviamo, si sta svolgendo un altro incontro importante e senza precedenti, con Assad, l’iraniano Raisi e l’emiro del Qatar che sono atterrati in Arabia Saudita per quello che alcuni hanno descritto come un “incontro di emergenza” sulla situazione di Gaza.

La verità è che, a mio avviso, non è un’azione importante prevista in sé a costituire la grande storia. È la continua riconciliazione e la nascita di una nuova gerarchia mediorientale e di un’architettura [geo]politica e di sicurezza; in breve, il costante riallineamento e l’istituzione di un “polo” arabo/musulmano – come lo chiama Dugin – nella nascente sfera del multipolarismo.

Molti prevedono un evento appariscente, come una dichiarazione di guerra totale di Hezbollah e l’invasione del nord di Israele. Ma in realtà, la lenta strategia di tensione da parte dell’Iran sta facendo molto male all’Occidente e al suo tessuto politico. Si rincorrono voci di “ammutinamenti” enormi e senza precedenti all’interno del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

Ieri è uscito un articolo secondo il quale i diplomatici e i consulenti americani nel Medio Oriente, che agiscono come canarini nella miniera di carbone, stanno inviando segnali allarmanti dai loro ambienti, secondo i quali un’intera “generazione di consenso arabo” sta perdendo il suo sostegno a causa di ciò che gli Stati Uniti stanno aiutando a perpetrare a Gaza:

I diplomatici americani hanno trasmesso un “forte avvertimento” all’amministrazione Biden sulla “crescente rabbia contro gli Stati Uniti nel mondo arabo”, scrive la CNN, citando un telegramma ricevuto dai redattori. In esso, i diplomatici scrivono che a causa del sostegno di Washington alla campagna militare di Israele a Gaza, gli Stati Uniti stanno “perdendo la società araba per un’intera generazione”. “Un cablogramma inviato mercoledì dall’ambasciata statunitense in Oman, che cita conversazioni con “un’ampia gamma di contatti fidati e lucidi”, afferma che il sostegno attivo degli Stati Uniti alle azioni di Israele è visto “come una colpa materiale e morale per quelli che considerano possibili crimini di guerra”. L’ambasciata del Cairo ha trasmesso alla Casa Bianca il commento di un giornale egiziano statale, secondo il quale la “crudeltà e il disprezzo del presidente Biden nei confronti dei palestinesi hanno superato tutti i precedenti presidenti degli Stati Uniti”. Secondo quanto riferito, all’interno dell’amministrazione stanno crescendo le preoccupazioni per il sostegno degli Stati Uniti a Israele, e Biden sta anche affrontando “una crescente frustrazione in patria”. “La CNN ricorda che in un recente vertice con Blinken, i leader arabi hanno chiesto un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, e il Segretario di Stato ha ribadito l’opposizione degli Stati Uniti, dicendo che avrebbe dato ad Hamas il tempo di riorganizzarsi e lanciare un nuovo attacco contro Israele.

Nel frattempo, le basi statunitensi nella regione sono state colpite quasi ogni giorno, mentre la stampa continua a cercare disperatamente di minimizzare la situazione. Ora è emerso che oltre 50 truppe statunitensi hanno nuovamente subito gravi “traumi cerebrali” dopo essere state colpite da “milizie sostenute dall’Iran”.

Si ha l’impressione che ora siano gli Stati Uniti a combattere disperatamente in contropiede, cercando di non essere costretti a una risposta troppo aggressiva. Il motivo è che sanno di essere stati attirati a infiammare sempre di più la resistenza e l’insurrezione nella regione. Inducendo gli Stati Uniti a compiere attacchi eclatanti, stanno fomentando una crescente sete di sangue tra i combattenti agitati della sfera della resistenza nell’intera regione. E gli Stati Uniti sentono che stanno iniziando a fare un passo avanti in qualcosa che può trasformarsi in un’enorme conflagrazione che annullerebbe decenni di controllo imperiale occidentale sulla regione.

Vi sembra un uomo troppo impaziente di affrontare l’Iran?

Il video risale a ieri. Molti dei sostenitori del “rah rah” dicono che in passato gli Stati Uniti avrebbero “annientato” qualsiasi Paese che avesse colpito apertamente le proprie truppe. Ora succede quotidianamente e Biden mormora con aria da pecorone che saranno colpiti solo “se continueranno a colpirci”.

Per me questo rappresenta un Impero in declino che cerca disperatamente di evitare che la situazione vada fuori controllo. Ma se sono così timidi, perché la massiccia armata e i gruppi di portaerei verso l’Iran, vi chiederete?

In primo luogo, ci sono fazioni nel governo che probabilmente sono divise sul da farsi. I sionisti/neocon, ovviamente, faranno valere il loro considerevole peso e si assicureranno che l’esercito americano sostenga Israele almeno a livello difensivo, per creare uno scudo intorno a loro “per ogni evenienza”.

Ho già detto in precedenza che tutto questo potrebbe essere un bluff, tuttavia ci sono certamente fazioni all’interno del deepstate che probabilmente stanno spingendo per un’escalation della situazione, in particolare perché i loro superiori della cabala finanziaria globalista chiedono di fomentare una grande guerra globale al fine di resettare il sistema monetario in spirale. Ma queste voci sarebbero ancora tecnicamente una minoranza e per la maggior parte annegate dalla grande paura che attualmente viene trasmessa dalle viscere dell’intero establishment. Per la maggior parte, gran parte della postura di forza potrebbe essere semplicemente causata dalla pressione ad agire all’interno di un ruolo compreso, in modo da non apparire deboli, ma in realtà gran parte dell’establishment statunitense teme potenziali escalation.

Questa “paura” non è solo quella di “perdere il sostegno” dell’intero Medio Oriente, come già detto, ma anche quella di invischiare gli Stati Uniti in un pantano che li vedrà quasi indifesi sul doppio fronte della Russia e della Cina. Gli addetti ai lavori ritengono che gli Stati Uniti non possano affrontare tre fronti contemporaneamente, quindi perché rischiare una guerra regionale con l’Iran e poi perdere l’Europa a favore della Russia, Taiwan e il Pacifico occidentale a favore della Cina?

A questo proposito, una linea di ragionamento è che gli Stati Uniti stiano cercando di scaricare l’Ucraina sull’Europa, facendo pagare loro il “conto”. Lo dimostra, da ultimo, l’annuncio dell’UE che sta discutendo su come aggirare il veto dell’Ungheria e concedere all’Ucraina un massiccio sussidio di 50 miliardi di dollari, che è quasi esattamente l’importo mancante (60 miliardi di dollari) dal bilancio previsto da Biden, ora impantanato al Congresso.

In breve, gli Stati Uniti non sono un monolite, ma sono lacerati dall’interno dal disaccordo e dalla partigianeria. La navigazione delle sue gigantesche armate verso il Medio Oriente rappresenta una sorta di azione distratta e riflessiva di una superpotenza del passato, i cui sensi la spingono a fare una “dimostrazione di forza” senza una ragione migliore che non sia quella di imitare la propria caricatura percepita, come un vecchio malato di Alzheimer che ripercorre i movimenti nebbiosi di qualcosa che “sente” di dover fare, ma non sa più bene perché.

Questo non significa che non ci sia ancora il rischio che scoppino grandi cose, ma semplicemente che per la prima volta sembra che l’Iran e il suo asse siano al posto di guida.

Parliamo ora di Avdeevka, in quanto è l’unico vero fronte degno di essere approfondito al momento.

Ci sono notizie di importanti sfondamenti da parte delle forze russe. Il più importante è quello sul fronte settentrionale dove, secondo alcuni rapporti, le forze RF si sono finalmente insediate a Stepove, mentre altri sostengono addirittura di averla completamente catturata, anche se per ora è improbabile.

Alcuni ritengono che la mappa abbia ora il seguente aspetto (Stepove nella foto):

Mentre altri, come Romanov, sono un po’ più conservatori:

Anche ieri, i resoconti ucraini hanno confermato la presenza di punti di appoggio russi, ma questo prima della svolta odierna, ancora più ampia:

Infatti, abbiamo la conferma video dei combattimenti fino a qui: 48.19722, 37.6849 geolocalizzazione.

Quindi le forze russe stanno sicuramente occupando almeno la prima parte della periferia di Stepove, come si vede negli edifici che vengono colpiti da un M2 Bradley.

Ecco un post ucraino più lungo di un giorno o due fa. Anch’esso precede lo sfondamento completo, ma contiene alcune informazioni interessanti, soprattutto se si considera la strategia che l’AFU sta cercando di adottare:

 

Avdiyivka La situazione rimane difficile. I combattimenti sono molto intensi in tutte le direzioni. In direzione di Stepovoy, il nemico è ancora riuscito a prendere piede in due aree a ovest della ferrovia. Nell’ultima settimana l’hanno attraversata continuamente, ma non sono riusciti a stabilirsi grazie alla nostra influenza di fuoco.Ora la situazione è leggermente peggiorata, ma non è ancora critica. Il nemico non dispone ancora di una testa di ponte sufficientemente profonda e ampia per un attacco potente alla Steppa stessa.Nella zona di AKHZ, il nemico non è ancora riuscito a conquistare un punto d’appoggio alla periferia dello stabilimento. Nella zona a nord di Vodyanyi, la situazione non è più facile. Il nemico sta premendo attivamente da questo villaggio sia su Severny che su Pervomaiske. Per il momento, il nemico mantiene le riserve, non si affretta a portarle in battaglia, perché sta aspettando di coprire Severny da est e da ovest.Lo stesso vale per il distretto di Krasnohorivka. Gli occupanti attendono la creazione di una testa di ponte stabile a ovest della ferrovia, profonda almeno 2 km e larga 5 km, e solo allora verranno introdotte le riserve. Ma è ancora lontano. “Avdiivka per una settimana” non ha funzionato come ci si aspettava. Nella configurazione attuale, la città può essere tenuta a lungo, se non si commettono errori critici. La cosa principale è che non ci sono problemi con le cassette sulla fanteria nemica e gli m31a1 – sulle retrovie. Penso che costringeremo il nemico a portare le riserve prematuramente, come ha fatto molte volte in passato. Allora la posta in gioco sarà la più alta possibile, ma allo stesso tempo ci sarà una grande possibilità di fermare il nemico in direzione.Ma il tempo ce lo dirà. Non pensiamo ai fondi di caffè. La posta ucraina
Quindi si dice che la Russia stia aspettando di allargare il suo saliente almeno fino a qualcosa come sotto, prima di introdurre le riserve di sfondamento che ha accumulato nelle retrovie:

L’AFU crede di poterli aspettare, di poterli distruggere abbastanza da costringere l’introduzione delle riserve in anticipo. Questo è ciò che la Russia ha notoriamente fatto nella controffensiva di Rabotino, se ricordate. Quando il famoso 9° corpo d’armata si esaurì, fecero entrare prematuramente il 10°, che avrebbe dovuto essere introdotto solo dopo che il 9° avesse sfondato fino a Tokmak, in modo che le riserve potessero potenzialmente penetrare fino a Melitopol o oltre.

Ma le forze della RF avrebbero fatto progressi anche più a nord. Un rapporto sostiene la cattura dei villaggi della dacia di Tokmash, che si trova qui, a nord di Stepove:

Avdiivka, il nemico riferisce che l’esercito russo ha occupato il villaggio di dacia “Sadovoye Tovarishchestvo Tochmash”, che si trova a nord-ovest di Stepovoye. I nostri aerei da attacco al suolo riferiscono che il nemico si sta ritirando, lasciando 2-3 “kamikaze” nelle trincee, che dovrebbero essere difese da un plotone o addirittura da una compagnia.
Non ho ancora trovato conferme da nessun’altra parte, quindi dobbiamo aspettare e vedere.

Ma anche il sud sta registrando progressi. Non è chiaro dove si trovino esattamente, perché ci sono rapporti contrastanti. Alcuni hanno detto che hanno proceduto attraverso i campi visti in giallo qui sotto:

A tal punto che un rapporto ha persino affermato che il prossimo ordine del giorno nel prossimo futuro sarà l’assalto ai complessi del “Palazzo della Cultura e della Tecnologia dello Sport”, come si vede qui sotto:

Nel frattempo, a est, le forze russe stanno facendo progressi su diversi fronti. Uno di questi, nei pressi della “Caccia Reale” all’estremità meridionale di Avdeevka, viene descritto dal combattente di prima linea Vozhak Z come segue:

URGENTE! Dopo 4 ore di preparazione dell’artiglieria, i nostri gruppi d’assalto hanno attaccato il nemico nelle fasce forestali a est di Stepovoye e sono passati all’offensiva; il nemico ha subito pesanti perdite ed è stato respinto, grazie al supporto di fuoco di qualità delle nostre truppe d’assalto senza vittime, il che è un indicatore del massimo livello di professionalità della nostra fanteria. Inoltre, mentre il riepilogo veniva compilato, abbiamo ricevuto una notizia secondo la quale i nostri gruppi d’assalto hanno esaurito le difese nemiche alla periferia di Stepovoye e sono entrati nel territorio dell’insediamento, attualmente stanno mettendo in sicurezza le loro posizioni, l’informazione richiede una conferma, ci stiamo lavorando.Continuano i pesanti combattimenti lungo il fronte di Avdiivka, la linea del fronte è instabile, una posizione può spostarsi da una parte all’altra più volte al giorno, attenzione alle notizie premature, è troppo presto per festeggiare la chiusura del calderone.

Ricordiamo che questo è lo stesso resoconto di una o due settimane fa che i commentatori pro-UA citavano come se avesse un’aria da “doomer” su quanto le cose stessero andando male, solo perché si era lamentato di una carenza una volta. Ora è chiaramente il contrario: dice che l’artiglieria funziona perfettamente, che l’ultima avanzata non ha registrato perdite, ecc. Naturalmente ometteranno opportunamente questi aggiornamenti dai loro resoconti di parte. A differenza di loro, io spesso fornisco entrambe le versioni, compresi i rapporti ucraini che a volte mettono in cattiva luce le forze russe.

Infatti, nel rapporto precedente a questo, Vozhak ha descritto come le forze russe stiano sistematicamente smantellando le difese degli UA ad Avdeevka:

GIORNO VENTINOVE Dire che non ci sono cambiamenti sul fronte di Avdiivka sarebbe falso. Questi cambiamenti semplicemente non sono visibili a occhio nudo. Continua il sistematico smantellamento degli ordini difensivi dell’AFU, vengono effettuati quotidianamente attacchi di artiglieria, carri armati e aviazione. Individuazione di punti di tiro, magazzini, antenne, torri di comunicazione, trasporti, officine di riparazione, luoghi di schieramento permanente e temporaneo. E, naturalmente, assalti puntuali in direzione di Stepnoye e a nord di Vodyanoye.

I tedeschi non si muovono più di giorno sulla cartolina, non rispondono quasi più al lavoro dell’artiglieria, hanno persino smesso di elaborare la nostra prima linea da mortai e AGS – risparmiando munizioni. Questo non significa che completare l’accerchiamento sarà facile. Non significa che non avremo perdite. Significa solo che il caldo non si placherà e che Avdeevka sarà conquistata. Il gruppo nemico non ha alcuna possibilità di sopravvivere. E del fatto che non deporranno le armi sono sicuro al 90%. Il nostro prezzo. un giorno sarà trasformato in un film. il mio nome di battaglia è Leader. la vittoria sarà nostra!
Si noti che afferma che la loro artiglieria non funziona quasi più, perché sembra che stiano conservando le munizioni ora che la loro via di rifornimento principale è sotto il controllo del fuoco, cosa che affronterò tra un attimo.

Ora, per coloro che non l’hanno visto: come prova di questo inizio di collasso, la 110ª Brigata dell’AFU ad Avdeevka ha pubblicato ieri un video in cui implora il comando di salvarli:

Per coloro che vogliono saltare il video e leggere la trascrizione, il testo è il seguente:

Noi, soldati del 3° battaglione della 110ª brigata meccanizzata separata, siamo ad Avdiivka e la stiamo difendendo dagli invasori.Il nostro appello al Presidente dell’Ucraina e al Comandante supremo in capo. Signor Presidente, non siamo traditori o disertori, ma nelle condizioni che si sono create nella nostra zona, non siamo in grado di svolgere i nostri compiti.Perché è successo così? Mi spiego: Ogni giorno veniamo mandati all’assalto del TERRICON (Slag Heap), il nostro comandante non è in grado di fornirci la quantità di munizioni necessaria.Ogni giorno, decine di soldati muoiono in assalti insensati perché le unità d’assalto non hanno un adeguato supporto di artiglieria. L’intera area circostante è sotto il fuoco, ci sono decine, forse centinaia di cadaveri di nostri compagni che giacciono in tutta l’area, che nessuno sta evacuando.Il comando non si preoccupa di questo, nessuno si occupa di questo problema, inoltre, per favore, spieghi a noi, ragazzi comuni, come è successo che di notte, di nascosto dal personale, l’intera composizione del nostro comando è stata evacuata dalla città. Vi chiediamo di intervenire in questa situazione”.
Questo conferma molte cose, non è vero?

C’è stato anche un altro video in cui i soldati ucraini hanno affrontato il loro ufficiale politico ad Avdeevka sulla corruzione e il tradimento del loro comando, che getta via le loro vite.

Ora, un video dall’interno della stessa città di Avdeevka, girato da un corrispondente pro-USA, offre un altro sguardo:

Ed ecco un video che mostra le truppe ucraine che escono barcollando dalle loro posizioni ad Avdeevka:

Tuttavia, l’unico video illuminante e in qualche modo preoccupante è stato questo, che mostra per la prima volta l’effettivo MSR che corre da Orlovka ad Avdeevka, datato 9 novembre:

Strada asfaltata da Orlovka ad Avdeevka (svolta vicino a Lastochkino)09.11.2023Non ci sono danni da artiglieria lungo questo percorso logistico.Gli alberi nelle piantagioni lungo le strade non sono stati tagliati dai frammenti.
La didascalia dice che si tratta della svolta vicino a Lastochkino, che sarebbe più o meno qui:

Si noti l’ulteriore commento preoccupante che la strada non sembra ancora particolarmente colpita, sebbene sia visibile un veicolo bruciato. Questo sembra indicare la possibilità, che ho illustrato in precedenza, che il controllo del fuoco non sia ancora abbastanza diretto su questa MSR.

Le ragioni per cui ciò sarebbe accaduto sono ovvie:

Ho già mostrato come la vista dallo Slag Heap sia bloccata dall’alta struttura dell’impianto di coke AKHZ.
L’MSR ha alberi/arbusti ai lati, che bloccano la strada anche se defogliati. Solo il fuoco dell’artiglieria pesante può farli esplodere abbastanza da “potare” l’intera carreggiata.
Si possono vedere chiaramente i dislivelli della strada, il che indica che ci sono molte deviazioni topografiche che potrebbero significare colline e ostruzioni naturali che precludono la possibilità di avere l’MSR in LOS diretto anche da uno o due chilometri di distanza.
A titolo comparativo, ecco come appariva la principale via di rifornimento di Bakhmut a Chasov Yar nell’aprile di quest’anno:

Non passava letteralmente nulla ed era uno spettacolo dell’orrore di veicoli ucraini distrutti e di equipaggiamenti della NATO. Ma si noti come la strada sia “aperta” ai lati, senza ostruzioni che bloccano la linea di vista.

Detto questo, non è un binomio: credo che l’MSR di Avdeevka consenta probabilmente un passaggio molto restrittivo e sfacciato, ma non è qualcosa che si vorrebbe far passare per diversi carri armati lenti e cose di questo tipo, perché probabilmente verrebbero presi di mira. Penso che solo qualche Bukhanka piccolo e veloce possa passare. E il precedente rapporto russo diceva che non si muovono più molto durante il giorno. Detto questo, questo dimostra chiaramente che Avdeevka non è ancora completamente blindata e che è necessario conquistare più territorio per ottenere un vero LOS.

In questo momento si sta puntando tutto su Avdeevka. Il secondo di questi due nuovi video sui missili LMUR è geolocalizzato a 48.134700, 37.63333, che si trova qui:

Quindi si può vedere che la Russia sta sparando i suoi materiali più avanzati anche contro i punti logistici dell’Ucraina su questo fronte.

È chiaro che il cappio si sta stringendo e che l’offensiva non si è “fermata”, come molti hanno presuntuosamente sostenuto dopo il primo grande assalto. È solo questione di tempo, perché le posizioni ucraine si stanno deteriorando.

Per concludere, ecco un video della brigata Pyatnashka (15a) della DPR mentre si reca in battaglia ad Avdeevka – credo che si trovi sul lato orientale, nelle radure della foresta a sud del cumulo di scorie:

Notizie varie
Nel più ironico degli aggiornamenti, un ricercatore britannico ha rivelato che il grande pennacchio radioattivo generato dalla distruzione da parte della Russia dei proiettili britannici all’uranio impoverito a Khmlenitsky all’inizio di quest’anno, in realtà ha raggiunto il Regno Unito in grande stile.

Sputnik ha scritto:

Il grafico della figura 1 mostra che l’uranio presente nell’aria dell’Inghilterra sudorientale è aumentato di circa 600ng/metro cubo a causa delle particelle rilasciate dall’esplosione di Khmelnitsky. Che cosa significa? La dimensione media di una particella di uranio è inferiore a 1 micron. Un individuo inala circa 24 metri cubi al giorno. Quindi, se le particelle sono rimaste lì per un mese, o 30 giorni, possiamo calcolare l’assunzione polmonare come 0,432 mg. Non sembra molto, vero? Ma si trasforma in 200 milioni di particelle per persona nell’area e, naturalmente, nel percorso del pennacchio nel Regno Unito. Non va bene, visti gli effetti riscontrati a Falluja.
Beh, non è un caso memorabile di raccogliere ciò che si semina?

Il prossimo:

 

Abbiamo seguito gli sviluppi del drone Lancet qui per un po’. Ora sembra che sia arrivata una nuova variante con sensori di luce LIDAR, che consente al Lancet di aggirare le reti/barricate/maglie anti-drone “rilevando” la distanza dal bersaglio, quindi facendo esplodere il jet cumulativo a diversi metri di distanza, tagliando la barricata ma penetrando comunque la corazza.

 

I nuovi UAV kamikaze Lancet hanno ricevuto telecamere aggiuntive che consentono il LIDAR, un sistema per ottenere dati su oggetti lontani riflettendo la luce e disperdendola in ambienti trasparenti e traslucidi. Con questa tecnologia, la testata del drone esplode a distanza dal bersaglio e, dopo l’esplosione, il getto cumulativo raggiunge l’oggetto e lo colpisce. Pochi metri non riducono le proprietà di penetrazione di queste munizioni.

Non appena la notizia è stata diffusa, ci è stato fornito questo filmato che sembra mostrare questa variante in azione, dato che l’esplosione avviene chiaramente a diversi metri di distanza dall’obiettivo Bradley ucraino:

Per coloro che potrebbero essere confusi su come il jet cumulativo possa ancora penetrare, ricordiamo che i Javelin e le NLAWS funzionano, così come varie munizioni russe come le SPBE ‘sensor-fuzed’ che esplodono tutte da “sopra il bersaglio” inviando un penetratore al suo interno, piuttosto che colpirlo direttamente (il Javelin ha due modalità).

Come questa mina russa PTKM-1R, ad esempio, che distrugge chiaramente il bersaglio corazzato “sparandogli” da molti metri di distanza:

Ma la cosa interessante è che quasi tutti i nuovi video di Lancet che vengono pubblicati sembrano mostrare le nuove varianti avanzate dell’IA. Per esempio questo di oggi, in cui si può vedere il reticolo di inseguimento autonomo/riconoscimento delle immagini che segue il bersaglio:

E per chi si chiedesse che differenza fa, può funzionare autonomamente o con il controllo dell’operatore. Non sappiamo con certezza cosa usino attivamente, ma oggi c’è stato un video, che purtroppo mi è sfuggito, che mostrava un altro colpo del Lancet in cui un qualche tipo di disturbo EW sembrava disturbare il segnale o la trasmissione video del Lancet mentre stava ancora acquisendo il bersaglio con il nuovo tracker. Tuttavia, quando si è passati alla visuale del drone secondario Zala, si è visto che il Lancet aveva comunque colpito il bersaglio. Questa sembra una chiara dimostrazione del fatto che la nuova IA riesce a tracciare e colpire il bersaglio in modo autonomo anche in caso di perdita di segnale da parte dell’operatore.

Rimane solo un passo finale per queste innovazioni, ovvero la nuova evoluzione del Lancet 53 Izdeliye (Prodotto) mostrata in precedenza:

Cioè la capacità di integrare e collegare in rete un intero sciame e di dotarlo di un cervello di gruppo autonomo, che consenta di assegnare gli obiettivi al drone appropriato nello sciame, in base alle sue funzioni/capacità uniche, alla sua posizione, ecc. Questa soluzione è già in fase di sviluppo avanzato e potenzialmente può essere impiegata sul campo di battaglia in forme iniziali.

Il prossimo:

Gli Stati Uniti hanno fatto volare per la prima volta pubblicamente dalla base aerea di Edwards il nuovo sostituto stealth del B-2 Spirit, il B-21 Raider:

Il prossimo:

Il video che segue è molto interessante perché rappresenta una nuova tattica d’assalto russa di cui si è parlato in diverse fonti e pubblicazioni. All’inizio sembrava uno di quei “sentito dire” diffusi in giro, più che altro una voce mitica, ma poi ne abbiamo avuto la prova diretta attraverso un video.

In breve, le truppe d’assalto russe stanno coordinando i lanci di droni FPV-kamikaze al volo per eliminare i nemici nelle trincee proprio di fronte a loro. Nel caso in cui non si capisca subito il significato, un altro modo per descriverlo è che sono arrivati a un livello incredibile di destrezza e coordinazione, tanto da usare i droni come bombe a mano. Cioè, mentre assaltano attivamente una trincea, una trincea o una fortificazione, nel bel mezzo dello scontro a fuoco lanciano un drone in aria ed eliminano il nemico proprio di fronte a loro. Non si può sottovalutare il livello di destrezza e di addestramento che questo richiede sotto l’intensa pressione di uno scontro a fuoco attivo.

Il video è stato girato intorno a Priyutnoye-Staromayorskoye a 47.75547, 36.73387. Come premessa, la voce che si sente è quella della squadra di ricognitori del drone che sta osservando l’assalto in corso e trasmette via radio le informazioni critiche sulla situazione alle truppe d’assalto:

Guardate attentamente qui sotto. Proprio al minuto 0:20 si può vedere che tentano di inviare il primo drone, ma sembra che non esploda per qualche motivo, almeno non visibilmente. Ma poi, all’1:05, si vede che ne lanciano un altro con successo, che colpisce il bersaglio.

Al minuto 2:00, si vedono le truppe russe avvicinarsi lentamente con un drone che le guida in avanti verso la trincea nemica, che esplode pochi secondi dopo.

Ma oltre ai droni, ciò che è altrettanto impressionante è il livello di coordinamento con i ricognitori e gli osservatori che forniscono comandi tempestivi sulla posizione del nemico, fornendo loro una consapevolezza critica della situazione che può fare la differenza nella battaglia. Inoltre, si può vedere il numero enorme di droni che sono in grado di schierare in un singolo piccolo combattimento. Ogni pochi secondi lanciano un nuovo lotto. A 5:15 è il momento critico in cui il loro drone colpisce la principale concentrazione nemica e lo spotter li incita a cogliere di sorpresa il nemico nel momento del disorientamento. È come un balletto ben coordinato, ma sempre estremamente teso e pieno di pericoli.

Alla fine, una volta scacciato il nemico dalla trincea, le carte in tavola vengono brevemente ribaltate e gli FPV vengono inviati verso le forze russe che avanzano. Immaginate di essere un soldato di fanteria in questo periodo, eh?

E se non vi siete saziati, ecco un altro video delle forze russe del 2° Corpo d’Armata (LPR) che assaltano le roccaforti AFU in direzione di Seversk. Quelle con i riquadri colorati di rosso intorno e con la scritta BCY (VSU) in basso sono AFU, le altre sono russe/LPR. A 2:06 si vede un carro armato ucraino che lavora sui soldati russi da una posizione coperta. Ma un T-90 russo arriva a 2:18 e fa scappare il carro armato ucraino verso le colline. A 2:58 lo schermo recita: “a causa di un colpo ravvicinato la trasmissione meccanica del carro armato è danneggiata”, il che fa sì che il carro armato ucraino finisca contro un albero – ma questi VSUshnik sono dei combattenti tenaci. Alle 3:30 scoppia un combattimento ravvicinato: i caccia della RF entrano nelle trincee dell’AFU e iniziano a darsi battaglia – riquadro bianco: Russo, rosso: Ucraino:

Episodio della battaglia nella direzione di Seversk Un gruppo di esploratori del 2° Corpo d’Armata russo del Gruppo di Forze Sud ha preso d’assalto un caposaldo nemico nelle foreste in direzione di Seversk.
Il finale dice che il caposaldo è stato catturato.

 

Il prossimo:

Molti sono rimasti scioccati dal nuovo video di una donna ucraina incinta che viene catturata dalle forze russe. Alcuni hanno creduto che potesse essere un falso, giudicate voi stessi:

Ma è davvero così difficile da credere? Questo video è stato diffuso dall’AFU stessa solo un paio di mesi fa, mostrando la preparazione dei combattenti AFU incinta per il fronte:

Si tratta di una situazione normale per l’Ucraina in fase avanzata.

Infine:

Il famoso colonnello austriaco Reisner ne ha finalmente abbastanza. Mostrando una rabbia fuori dal comune, ha dichiarato che l’Occidente deve andare “all in” e spingere tutto in Ucraina, oppure fare causa per la pace: è finita.

A conferma di ciò, il nuovo articolo dell’Economist di ieri annuncia finalmente che la controffensiva ucraina è ufficialmente finita:

Utilizzando le immagini NASA delle mappe di calore, hanno tracciato l’intera offensiva, registrando oltre 1000 “incendi” giornalieri legati all’offensiva al culmine di agosto. Tuttavia ora sostengono che sono meno di 300 e arrivano alla conclusione che i partner dell’Ucraina dovrebbero “prepararsi a una lunga [guerra]”.:


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Russia, Ucraina! La guerra attraverso le immagini, 12a puntata Con Max Bonelli

Proseguiamo il nostro impegno di documentazione del conflitto Russo-Ucraino-NATO. In repertorio immagini particolarmente significative sullo stato dell’esercito ucraino e sulle funzioni svolte dalle formazioni mercenarie o distaccate straniere sul fronte. Buona visione, Giuseppe Germinario

 

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Il nazionalismo americano: la nascita di una politica estera messianica, di Éric Juillot

Dopo aver osservato, in un precedente articolo, le condizioni di nascita e l’estrema singolarità del nazionalismo americano, è ora opportuno avvicinarsi al suo dispiegamento storico, per coglierne le diverse modalità e la sorprendente resistenza al tempo. A tal fine, la politica estera di Washington nel corso dei decenni offre il miglior punto di osservazione.

pubblicato il 01/11/2023 Par Éric Juillot

Messianismo, realismo, isolazionismo: questi tre termini rappresentano le determinanti strutturali della politica estera americana. Ognuno di essi è plasmato dalla cultura politica del Paese, al centro della quale si trovano le convinzioni e le idee che costituiscono il nazionalismo.

Il realismo è caratterizzato da una preoccupazione per la moderazione e la moderazione, da un’enfasi sulla stabilità delle relazioni internazionali e da un’analisi approfondita dei rischi connessi all’eventualità di una guerra. Sebbene il realismo possa peccare di pusillanimità o cinismo, non è sinonimo di inerzia, ma di razionalità nella scelta o nel rifiuto della guerra. Nella sua versione americana, non presenta alcuna singolarità che lo distingua da quello di altre potenze.

Non si può dire lo stesso del messianismo, l’idealismo della nazione americana: l’estrema importanza del legame diretto e privilegiato con la Provvidenza – credenza incisa nel cuore del nazionalismo americano – induce un sentimento di elezione, la convinzione incrollabile della superiorità morale dell'”America” e della necessità della sua affermazione, per la propria felicità e per quella del resto dell’umanità. Forti di questa certezza, gli Stati Uniti hanno dato alla loro politica estera una dimensione guerrafondaia molto presto e a lungo termine. Sebbene il suo messianismo nel XIX secolo non fosse originale in linea di principio – poteva essere osservato in molte altre nazioni in un momento o nell’altro – era già evidente per la sua coerenza e intensità.

L’isolazionismo, infine, è una caratteristica specificamente americana, l’altra possibile conseguenza del sentimento di elezione: piuttosto che agire nel mondo e per esso, il nazionalismo americano sceglie di isolarsi dal mondo, a distanza dal suo tumulto e dalla sua corruzione, nella soddisfazione di una società e di un regime politico ideali sotto gli auspici del Creatore.

Sarebbe irrilevante cercare di individuare fasi della politica estera americana segnate a loro volta da ciascuno di questi tre elementi, poiché ognuno di essi è in realtà costantemente in gioco nell’elaborazione – in parte sotterranea – di un rapporto americano con il mondo, nel complesso processo di determinazione della politica estera e nei dibattiti politici che presiedono al processo decisionale. Emerge però una tendenza: l’isolazionismo, pur essendo una caratteristica specifica americana, è la tendenza più debole, quella che ha meno influenza sul corso degli eventi. Il messianismo, invece, è sorprendentemente costante e virulento. Al massimo, il realismo interviene regolarmente, sia per moderarlo che per rafforzarlo.

Espansione territoriale aggressiva
A parte l’acquisto della Louisiana dalla Francia (1803), della Florida dalla Spagna (1819) e dell’Alaska dalla Russia (1867), per non parlare del terribile destino riservato alle popolazioni indigene degli Stati Uniti, la formazione del territorio americano si inseriva in una politica estera apertamente bellicosa, in cui l’aggressione agli Stati vicini era apertamente accettata.

Il Canada fu la prima vittima di questo desiderio di espansione, che affrontò per decenni. Quella che oggi è la provincia di Québec fu oggetto di un tentativo di invasione militare già nel 1775, prima ancora della Dichiarazione di Indipendenza, che sancì la nascita degli Stati Uniti l’anno successivo. Le truppe americane conquistarono Montreal, ma non riuscirono a conquistare Quebec City. Al termine della Guerra d’Indipendenza, gli Stati Uniti ottennero comunque dalla Gran Bretagna la cessione di un vasto “Territorio del Nord-Ovest” incentrato sul lago Michigan: l’espansione territoriale oltre le tredici colonie originarie era avviata.

Nel 1812, approfittando del coinvolgimento del Regno Unito nelle guerre napoleoniche, l’aquilotto americano dichiarò guerra al vecchio leone britannico nella speranza di conquistare il Canada. Henry Clay, presidente della Camera dei Rappresentanti, ad esempio, dichiarò (1: citato in Stanley B. Ryerson, The Founding of Canada: Beginnings to 1815, Totonto, Progress Books, 1963, p.230.1):

“Non sono d’accordo sul fatto che dovremmo fermarci a Québec o in qualsiasi altro posto; propongo di prendere l’intero continente da loro, senza chiedere il loro parere. Non voglio la pace finché non avremo fatto questo. Dio ci ha dato il potere e i mezzi per farlo. Saremo colpevoli se non li useremo”.
Trent’anni prima della sua esplicita formulazione, il Destino Manifesto animava già alcune menti. A quel tempo, la certezza della superiorità della civiltà consentiva di arrivare agli estremi, almeno nel linguaggio utilizzato. Il generale americano alla testa delle truppe che invadevano l’Alto Canada (poi Ontario) non esitò a fare il seguente proclama (2: D.B. Read, Life and Times of Sir Isaac Brock, Toronto, William Briggs, 1894, p.125.2):

“Sono alla testa di un esercito che schiaccerà ogni opposizione. […] Se permetterete ai selvaggi [amerindi] di massacrare i nostri compatrioti, le nostre donne e i nostri bambini, sarà una guerra di sterminio. [Ogni bianco che combatte a fianco di un indiano non sarà fatto prigioniero, ma sarà massacrato sul posto”.
Il tentativo di invasione del Canada ebbe però vita breve. Anche se il conflitto culminò, in un simbolo molto sfortunato, nella cattura e nell’incendio di Washington da parte dell’esercito britannico nell’agosto del 1814, il Trattato di Gand che vi pose fine nel dicembre dello stesso anno determinò uno status quo ante bellum, di cui gli Stati Uniti potevano essere soddisfatti: la loro presunzione non si era trasformata nella catastrofe che avrebbe potuto provocare.

Trent’anni dopo, nel 1844, James Polk vinse la campagna per la presidenza degli Stati Uniti con lo slogan “54°40′ o guerra!”, utilizzando queste coordinate di latitudine per rivendicare il territorio fino ad allora occupato congiuntamente da sudditi britannici e cittadini americani, che comprendeva l’intera costa occidentale del Nord America, dall’Oregon all’Alaska. In difesa di questo slogan, il direttore del New York Morning News, John O’Sullivan, affermò nel suo articolo “The Authentic Title” (3: citato in Albert K. Weinberg, Manifest Destiny: A Study of Nationalist Expansionism in American History, Baltimore, Johns Hopkins Press, 1935, p.145.3):

“Il nostro titolo è ancora più valido di qualsiasi titolo attestato da quegli antichi testi di diritto internazionale. Liberiamoci di quei polverosi volumi in cui sono registrati i diritti di scoperta, esplorazione, insediamento, continuità, ecc. Abbiamo un titolo più solido: quello che il destino ci ha dato per renderci padroni dell’intero continente che la Provvidenza ci ha lasciato in eredità”.
Al posto della diplomazia tradizionale, l’illuminismo politico fu usato come unica giustificazione per le ambizioni espansionistiche: un simile modo di pensare aveva pochi equivalenti in altre parti dell’Occidente, all’epoca o in seguito. Il Trattato dell’Oregon, firmato nel 1846, fu comunque il risultato di un compromesso: il confine americano-canadese a ovest delle Montagne Rocciose doveva essere un’estensione di quello già esistente a est, cioè lungo il 49° parallelo.

Forti di questo accordo con l’ex metropoli, gli Stati Uniti rivolgono ora la loro attenzione al Messico. Il Texas, divenuto indipendente dal Messico nel 1836, si unisce alla federazione americana nel 1845. La questione del confine americano-messicano generò ben presto una serie di tensioni tra i due Stati. Washington voleva che il confine corresse lungo il Rio Grande, mentre il Messico si opponeva al Rio Nueces, 300 km più a nord. Con posizioni inconciliabili, la guerra scoppiò infine nel 1846: gli Stati Uniti usarono l’imboscata di un piccolo distaccamento dell’esercito americano appartenente a una guarnigione da poco stabilita a Fort Texas, sul Rio Grande, come pretesto per dichiarare guerra al loro vicino meridionale il 13 maggio 1846.

Il partito della guerra dominava il Paese, soprattutto tra i politici e nella stampa. L’ampia maggioranza che votò a favore della guerra al Congresso trovava eco nelle dichiarazioni bellicose che abbondavano sui giornali. Per il New York Evening Post, “i messicani sono indiani nativi e devono condividere il destino della loro razza”. L’American Review spiegava che i messicani dovevano piegarsi a “una popolazione superiore […] che si stabilirà nel loro territorio, cambierà i loro costumi e […] li libererà dal loro sangue impuro” (4: Evening Post, dicembre 1847, citato in Graebner, Manifest Destiny, American heritage series N°48, 1968; American Review, marzo 1847, citato in Graebner, op. cit.4).

In risposta alla domanda del Segretario di Stato americano James Buchanan, “Come faremo a governare la razza bastarda che popola questo Paese?”, la Democratic Review propose una soluzione radicale: “Le azioni che abbiamo compiuto nel Nord – e con questo intendo il fatto che abbiamo cercato di reprimere gli indiani o di annientare la razza – devono essere compiute allo stesso modo nel Sud”. Da parte sua, l’ex presidente del Texas, Sam Houston, sostenne che grazie alla guerra “l’Essere Divino […] sta compiendo il destino della razza americana” (5: Democratic Review, xx, 1847, p.100, citato in Weinberg, op. cit., pp.168-169; Houston, citato in Weinberg, op. cit., p.178.5).

Nel gennaio 1848, quasi da solo, il futuro presidente Lincoln denunciò davanti al Congresso le provocazioni, le manipolazioni e l’aggressività da parte americana che avevano portato alla guerra. La guerra si concluse il 2 febbraio 1848 con la firma del Trattato di Guadalupe Hidalgo. Il Messico, sconfitto, riconobbe il Rio Grande come suo confine e cedette agli Stati Uniti un immenso territorio di 1,36 milioni di km², corrispondente essenzialmente agli attuali Stati della California, del Nevada e dello Utah, oltre ai due terzi settentrionali dell’Arizona.

La prima espansione oltremare alla fine del XIX secolo
Una volta raggiunto l’Oceano Pacifico e dopo aver superato il trauma della guerra civile americana, gli Stati Uniti intrapresero una politica estera apertamente espansionistica. Non si trattava più di dare alla giovane nazione il territorio di cui aveva bisogno; a partire da quella base territoriale, essa doveva affermarsi come potenza da tenere in considerazione nel concerto delle nazioni, inizialmente sulla scala del continente americano e poi, per spostamenti successivi, su quella del pianeta.

Le Hawaii furono il primo territorio interessato da questa strategia di espansione. Unificato alla fine del XVIII secolo sotto l’unica autorità di un monarca, l’arcipelago delle Isole Hawaii vide riconosciuta la propria indipendenza nel 1840 da Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Nei decenni successivi, l’apertura del Paese portò a una forte immigrazione asiatica, europea e americana, le ultime due sotto forma di minoranze benestanti che acquistarono attivamente terreni e svilupparono la coltivazione della canna e la produzione di zucchero. Nel 1898, alla vigilia dell’annessione delle Hawaii agli Stati Uniti, il 90% della terra era di proprietà di stranieri, ricchi proprietari terrieri euro-americani.

Ansiosa di difendere i propri interessi, questa minoranza si scontrò frontalmente con le autorità politiche negli anni Ottanta del XIX secolo. La sequenza che portò all’annessione iniziò nel 1887, quando la Lega hawaiana, un gruppo di un centinaio di ricchi proprietari terrieri, usò la forza armata per imporre al re Kalakua la “Costituzione della baionetta”: la vecchia monarchia feudale fu abolita a favore di un sistema di tipo parlamentare, con il potere affidato principalmente a un’assemblea dominata da proprietari terrieri stranieri.

Nel gennaio 1893, la nuova regina Liliuokalani annunciò la sua intenzione di abrogare la Costituzione. La reazione dei piantatori fu travolgente: raggruppati attorno a un Comitato di Salvezza Pubblica, organizzarono e riuscirono a fare un colpo di Stato il 17 gennaio, chiedendo aiuto al governo degli Stati Uniti: “Non siamo in grado di proteggerci senza assistenza esterna e quindi speriamo nella protezione delle truppe americane”. Con l’appoggio di 162 marinai della USS Boston – ma senza spargimento di sangue – i membri del comitato presero il potere, formarono un governo provvisorio e costrinsero il sovrano ad abdicare.

I cospiratori non intendevano perdere tempo: il 18 gennaio fu inviata a Washington una commissione per chiedere l’annessione dell’arcipelago agli Stati Uniti. Tuttavia, quest’ultimo passo si scontrò con la volontà del nuovo presidente americano, Grover Cleveland, un democratico anti-espansionista. Cleveland chiese l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle circostanze del colpo di Stato, che stabilì formalmente che le minacce ai cittadini americani nelle Hawaii erano false e che l’intervento americano era illegale. L’annessione avvenne solo diversi anni dopo e con l’elezione di un nuovo presidente, William McKinley. Il 7 luglio 1898, il Congresso degli Stati Uniti adottò unilateralmente la Risoluzione di Newlands, che rese le Isole Hawaii un territorio degli Stati Uniti.

Se un tempo l’idealismo poteva ostacolare l’espansione, nel caso delle Hawaii dovette piegarsi alle realistiche necessità della geostrategia: nel contesto della guerra che allora opponeva gli Stati Uniti alla Spagna, Washington riteneva che fosse nel suo massimo interesse mettere le mani sulle Hawaii una volta per tutte, poiché la sua posizione nel Pacifico centrale, a metà strada tra Asia e America, era eminentemente strategica. La marina statunitense, la principale componente delle forze armate americane, si stava sviluppando rapidamente sotto l’influenza degli scritti di Alfred Mahan – il grande teorico della talassocrazia americana – ed era in grado di espandere senza controllo la base di Pearl Harbor, dove si trovava dal 1887.

Contemporaneamente all’annessione delle Hawaii, gli Stati Uniti erano in guerra con la Spagna da diverse settimane: il Congresso aveva approvato l’entrata in guerra il 25 aprile 1898, poche ore dopo la dichiarazione di guerra spagnola, mentre la Marina statunitense imponeva il blocco a Cuba da quattro giorni. Per gli Stati Uniti si trattava di sostenere la causa dell’indipendenza cubana, sostenuta da alcuni abitanti dell’isola che nel 1895 avevano intrapreso la lotta contro la loro metropoli. Più che le considerazioni economiche, la dimensione umanitaria sembra aver giocato un ruolo importante nell’influenzare l’opinione pubblica a favore dell’intervento.

Per mesi e mesi, la stampa sensazionale riportò – in articoli che non tardarono a suscitare l’indignazione – le crudeltà e le atrocità commesse dalle forze spagnole incaricate di sedare l’insurrezione, ignorando deliberatamente la violenza degli insorti. A questa indignazione si aggiungeva un elemento più decisivo: il fervore di un nazionalismo che ormai manifestava apertamente le sue mire espansionistiche sui territori francesi d’oltremare. Sebbene gli ambienti economici fossero divisi sulla prospettiva del conflitto e alcuni esponenti di spicco dell’establishment politico dessero prova di moderazione – a cominciare dal presidente McKinley -, nel corso dei mesi si formò un partito della guerra che penetrò in tutti gli ambienti e si espresse con una virulenza tale da costringere la presidenza ad agire.

Quando, il 15 febbraio 1898, la USS Maine esplose nel porto dell’Avana dove il governo americano l’aveva inviata tre settimane prima, causando la morte di 266 marinai, il furore nazionalista e bellico di gran parte dell’opinione pubblica esplose nelle strade, sui giornali, nelle piattaforme di partito e nelle aule parlamentari. La pressione divenne così forte che i moderati iniziarono a piegarsi. Il Chicago Times Herald disse, con lucidità e rassegnazione: “L’intervento a Cuba è ormai inevitabile. Le nostre condizioni politiche interne rendono impossibile rimandarlo”.

Le operazioni militari durarono dieci settimane, durante le quali l’esercito statunitense, nonostante le sue debolezze materiali e umane, riuscì a prevalere sulle forze di terra spagnole schierate sull’isola. Le battaglie più decisive, tuttavia, si svolsero in acqua, a migliaia di chilometri di distanza, quando la Flotta americana del Pacifico distrusse le navi spagnole ancorate nella baia di Manila il 1° maggio 1898. Con la loro vittoria, sancita dal Trattato di Parigi, gli Stati Uniti non solo garantirono l’indipendenza di Cuba – che occuparono militarmente fino al 1902 – ma, applicando con vigore la Dottrina Monroe, distrussero le ultime vestigia dell’ordine coloniale europeo nel continente americano; si impadronirono di Guam e soprattutto delle Filippine, conquistando un punto d’appoggio in Asia e partecipando a pieno titolo, insieme agli altri imperialisti occidentali, all’espansione che li stava guidando in quel momento.

In questo senso, la piccola guerra contro la Spagna rappresentò un punto di svolta: fece convergere la maggioranza sull’idea che il proprio Paese potesse e dovesse intromettersi negli affari del vasto mondo. Un editoriale del Washington Post lo chiarì ancor prima della fine della guerra, il 2 giugno 1898, in un momento in cui era possibile dare libero sfogo a una sfrenata smania di potere:

Una nuova coscienza sembra entrare in noi – un sentimento di forza accompagnato da un nuovo appetito, un vivo desiderio di mostrare la nostra forza […]. Ambizione, interesse, sete di conquista territoriale, orgoglio, puro piacere di combattere, comunque lo si voglia chiamare, siamo animati da una nuova sensazione. Siamo di fronte a uno strano destino. Il sapore dell’Impero è sulle nostre labbra, come il sapore del sangue nella giungla.
Da quel momento in poi, la linea era stata presa: il sentimento nazionale americano era ormai compatibile con il fatto che gli Stati Uniti si impadronissero del vasto mondo e usassero le loro forze armate in nome della civiltà americana, dei loro legittimi interessi e dei loro diritti in virtù della loro superiorità morale. L’arrivo al potere di Theodore Roosevelt accelerò, se ce ne fosse stato bisogno, questo cambiamento: presidente dal 1901 al 1909, nel 1903 appoggiò la creazione di Panama – che si era emancipata dalla Colombia – per garantire la costruzione del Canale di Panama, di cui gli Stati Uniti presero il controllo.

Il 18 novembre 1903, in base al trattato Buneau-Varilla, Panama concesse agli Stati Uniti “l’uso, l’occupazione e il controllo di una zona di terra (…) per la costruzione, la manutenzione, il funzionamento, l’igiene e la protezione del suddetto canale”, dove Washington installò molto rapidamente diverse basi militari con 10.000 uomini. Nel 1904, in un famoso discorso, Roosevelt affermò che gli Stati Uniti avevano il dovere di intervenire in America Latina e nei Caraibi quando i loro interessi erano minacciati (6: Theodore Roosevelt, Discorso al Congresso, 6 dicembre 1904.6):

L’ingiustizia cronica o l’impotenza che derivano da un generale allentamento delle regole della società civile possono alla fine richiedere, in America o altrove, l’intervento di una nazione civile, e nell’emisfero occidentale l’adesione degli Stati Uniti alla Dottrina Monroe può costringere gli Stati Uniti, per quanto a malincuore, in casi flagranti di ingiustizia e impotenza, a esercitare il potere di polizia internazionale“.
“In America o altrove”: questo discorso, presentato come un “corollario alla Dottrina Monroe”, contribuì in realtà a metterla in discussione. Tredici anni dopo, la partecipazione alla Prima guerra mondiale avrebbe completato questa conversione al mondo con un’ingerenza su larga scala negli affari europei di cui, cento anni prima, la giovane nazione americana non aveva voluto sentir parlare.

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L’umiliazione di Blinken

L’umiliazione di Blinken

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Ovunque si sia rivolto in Medio Oriente, il Segretario di Stato americano ha incontrato l’opposizione, come riferisce Joe Lauria.

Antony Blinken in July. (Office of U.S. Department of State Spokesperson Matthew Miller/Wikimedia Commons)

di Joe Lauria
Riservato a Consortium News

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha concluso la sua escursione di quattro giorni in Medio Oriente, dove è stato pubblicamente respinto da Israele, istruito da Egitto e Giordania e contestato in Turchia.

Blinken tornerà negli Stati Uniti dove centinaia di migliaia di americani, tra cui molti elettori del Partito Democratico, sono in piazza per sviscerare l’Amministrazione Biden per il suo ruolo nel genocidio.

Torna in un Dipartimento di Stato dove un funzionario si è dimesso per il sostegno incondizionato dell’amministrazione a Israele e un secondo dipendente del Dipartimento ha accusato Joe Biden sui social media di essere “complice del genocidio”.

Gli elettori arabo-americani del partito di Blinken, che hanno aiutato Joe Biden a conquistare la Casa Bianca nel 2020 consegnandogli lo swing state del Michigan, questa volta si stanno apertamente ribellando perché vedono sui loro schermi ciò che chiunque abbia un po’ di cuore sta vedendo e sanno che Biden è coinvolto.

Secondo un nuovo sondaggio del New York Times e del Siena College, Biden è in vantaggio su Donald Trump solo in uno dei sei swing state. Il livello di barbarie scatenato dal regime rabbioso e di destra di Tel Aviv ha colto di sorpresa Blinken e Biden, se non altro per le conseguenze politiche.

I funzionari statunitensi sono così abituati ad appoggiare automaticamente Israele che hanno difficoltà a capire cosa stiano appoggiando esattamente questa volta. Ma si sta iniziando a capire. Se in Biden e Blinken è rimasto un briciolo di coscienza umana, non sono indifferenti. Privi di reazioni umane normali, è chiaro che non sanno cosa fare se non quello che hanno sempre fatto: appoggiare Israele fino in fondo, nonostante quello che dicono i loro occhi.

Il calcolo politico è confuso a causa dell’inequivocabile potere della lobby israeliana di distruggere le carriere politiche americane “facendo le primarie” di un candidato o appoggiando un avversario alle elezioni generali. Tutto ciò si aggiunge al dilemma di Biden.

Caitlin Johnstone, in una rubrica ripubblicata oggi su Consortium News, commenta un articolo del Washington Post che dice:

Con l’intensificarsi dell’invasione di terra di Israele a Gaza, l’amministrazione Biden si trova in una posizione precaria: I funzionari dell’amministrazione affermano che il contrattacco di Israele contro Hamas è stato troppo severo, troppo costoso in termini di vittime civili e privo di una strategia finale coerente, ma non sono in grado di esercitare un’influenza significativa sul più stretto alleato dell’America in Medio Oriente affinché cambi rotta. …Ad ogni missile sganciato su Gaza, ad ogni uccisione di un bambino palestinese – e Israele ha ucciso in questa guerra più bambini di tutti i conflitti globali dal 2019 – l’intera regione sta affondando in un mare di odio che definirà le generazioni a venire”. ”
Considerando che Washington è il finanziatore militare di Israele e che la Casa Bianca ha chiesto al Congresso altri 14 miliardi di dollari per Israele nel bel mezzo delle sue atrocità, Johnstone osserva: “L’amministrazione Biden ha in realtà tonnellate di leva che può usare per fermare il massacro genocida a Gaza, solo che non vuole farlo perché sarebbe ‘politicamente impopolare’ e perché ‘Biden stesso ha un attaccamento personale a Israele‘”.

Umiliato da Netanyahu

Blinken meets Netanyahu in Tel Aviv on Friday. (Israeli Government Press Office)

Blinken è volato in Israele venerdì per fare pressioni su Benjamin Netanyahu affinché accettasse ciò che gli Stati Uniti, pochi giorni prima, avevano posto il veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU: pause umanitarie per far entrare gli aiuti a Gaza e far uscire i cittadini stranieri. È un po’ come fermare il torturatore per un minuto per dare alla vittima un sorso d’acqua prima di incoraggiare la ripresa della tortura.

Il fatto che l’amministrazione stia ora spingendo queste pause – invece di un cessate il fuoco – laddove prima esercitava il proprio veto contro di esse – una questione non da poco – dimostra in che situazione si trovi e quanto disperata sia la ricerca di una via d’uscita.

Lo sprovveduto Blinken non può competere con un machiavellico di livello mondiale come Benjamin Netanyahu. Tuttavia, ha dovuto incontrare Blinken perché dopo tutto ci sono 14 miliardi di dollari sul tavolo. Ritirarli sarebbe una grave battuta d’arresto per Netanyahu e un sollievo per i gazesi. Così ha dato una pacca sulla testa a Blinken e gli ha detto: “Grazie per essere venuto, ma non grazie alle tue pause”.

Blinken ha dovuto rilasciare una dichiarazione alla stampa da solo, quando normalmente sarebbe stato accanto al leader che aveva appena incontrato. Ma Netanyahu era troppo impegnato. Ha un’operazione di pulizia da portare avanti.

In seguito Netanyahu si è presentato da solo in camicia nera per dire no alle pause umanitarie, no al carburante, no a tutto ciò che arriva a Gaza tranne che alla morte.

Netanyahu at the Ramon Air Force Base on Sunday: “There will be no ceasefire without the return of the hostages. We say this to our friends and to our enemies. We will continue until we defeat them.” (Israeli Government Press Office)

Una lezione dall’Egitto e dalla Giordania

Poi è stata la volta di Amman, dove Blinken è stato completamente surclassato dai ministri degli Esteri di Giordania ed Egitto, che lo hanno istruito sugli enormi crimini che Israele sta commettendo 24 ore su 24. Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha parlato dell'”importanza del rispetto” del

“il diritto umanitario internazionale… e il rifiuto dello sfollamento dei palestinesi, della loro terra. … Riteniamo che questo sia un crimine di guerra che fermeremo con tutte le nostre forze. … Le uccisioni devono cessare e anche l’immunità israeliana dal commettere crimini di guerra deve cessare. … Come possiamo anche solo pensare a ciò che accadrà a Gaza quando non sappiamo che tipo di Gaza rimarrà dopo la fine di questa guerra? Parleremo di una terra desolata? Parleremo di un’intera popolazione ridotta a profughi?”.
Il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry non avrebbe potuto essere più diretto quando ha detto, con Blinken nella stanza:

“La punizione collettiva – Israele che prende di mira civili innocenti e strutture, strutture mediche, paramedici, oltre a cercare di costringere i palestinesi a lasciare le loro terre – non può assolutamente essere una legittima autodifesa. … Vorrei chiedere un immediato e intenso cessate il fuoco a Gaza, senza alcuna condizione, e che Israele cessi … le sue violazioni del diritto internazionale e delle leggi di guerra”.
C’è un grave scollamento nel pensiero di Blinken, quando dice: “Crediamo che le pause possano essere un meccanismo critico per proteggere i civili, per far entrare gli aiuti, per far uscire i cittadini stranieri, pur consentendo a Israele di raggiungere il suo obiettivo: sconfiggere Hamas”.

Non capisce che l’obiettivo di Israele è la distruzione del popolo palestinese a Gaza per sconfiggere Hamas?

Completamente ignaro di dove si trovasse o con chi si stesse presentando, Blinken ha pensato ad alta voce, giustificando la mostruosa politica israeliana di bombardare obiettivi civili come gli ospedali a causa della presunta presenza di Hamas e del loro uso di “scudi umani”.

Tamer Smadi di Al Jazeera ha chiesto a Blinken: “Quali sono i risultati che Israele ha ottenuto, e qual è il numero esatto di vittime, di civili, che indurrebbe gli Stati Uniti a fermarsi a riflettere e a guardare a questo massacro più aperto e a chiedere a Israele di fermare con decisione questo spargimento di sangue nella Striscia di Gaza?”.

Blinken ha risposto giustificando esplicitamente i crimini di guerra di Israele:

“Hamas si è cinicamente, mostruosamente inserito in mezzo ai civili; mette i suoi combattenti, i suoi comandanti, le sue armi, le sue munizioni, il comando e il controllo in edifici residenziali, sotto le scuole e nelle scuole, sotto gli ospedali e negli ospedali, sotto le moschee e nelle moschee – mostruoso”.
Farsi impagliare in Turchia

Dopo una deviazione inaspettata a Baghdad, Blinken è volato ad Ankara, dove solo una settimana prima il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva guidato una manifestazione di quasi un milione di persone all’aeroporto, che aveva condannato duramente Israele.

Due giorni prima dell’arrivo di Blinken, Erdogan lo ha messo in imbarazzo richiamando l’ambasciatore turco da Israele. (Ovviamente non taglierà il 40% delle forniture di petrolio di Israele che passano attraverso la Turchia). Blinken è arrivato nella capitale turca, ma Erdogan non ha avuto il tempo di incontrarlo. La Turchia chiede un cessate il fuoco e non crede alle pause tardive di Blinken.

Prima dell’incontro di Blinken con il ministro degli Esteri turco, la polizia turca ha dovuto usare gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per impedire a centinaia di manifestanti di prendere d’assalto la base aerea di Incirlik, che ospita le truppe statunitensi. Circa 1.000 manifestanti hanno anche manifestato davanti all’ambasciata statunitense ad Ankara.

È stato un fine settimana che dovrebbe catturare le menti di Washington.

Come ha detto Blinken ad Amman,

Quando vedo un bambino o una bambina palestinesi estratti dalle macerie di un edificio, mi colpisce allo stomaco come colpisce lo stomaco di tutti, e vedo i miei stessi figli nei loro volti. E come esseri umani, come possiamo non sentirci allo stesso modo?”.
Allora agite di conseguenza. Fermate Israele.

Joe Lauria is editor-in-chief of Consortium News and a former U.N. correspondent for The Wall Street Journal, Boston Globe, and numerous other newspapers, including The Montreal Gazette, the London Daily Mail and The Star of Johannesburg. He was an investigative reporter for the Sunday Times of London, a financial reporter for Bloomberg News and began his professional work as a 19-year old stringer for The New York Times. He is the author of two books, A Political Odyssey, with Sen. Mike Gravel, foreword by Daniel Ellsberg; and How I Lost By Hillary Clinton, foreword by Julian Assange. He can be reached at joelauria@consortiumnews.com and followed on Twitter @unjoe

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Esternare i nostri odi. Ucraina e Gaza. Di nuovo. _ di AURELIEN

Esternare i nostri odi.
Ucraina e Gaza. Di nuovo.

AURELIEN
8 NOV 2023

Dato che alcuni degli argomenti di cui scrivo possono essere controversi, c’è sempre il rischio che si sviluppino discussioni di cattivo umore su aspetti periferici, come è successo con l’ultimo saggio. Mi preme cercare di mantenere questo spazio libero da polemiche (ce ne sono già in abbondanza), quindi vi prego di cercare di esprimervi con moderazione.

Grazie a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta ora pubblicando anche alcune traduzioni in italiano.

Questi saggi saranno sempre gratuiti, e potete sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

E ora ….

Ho già scritto in passato del simbolismo più profondo dell’atteggiamento dell’élite occidentale nei confronti della guerra in Ucraina. “Sostegno” è una parola inadeguata per descrivere la loro posizione isterica e xenofoba, meno a favore dell’Ucraina, a dire il vero, che contro la Russia. E poi, come ho sostenuto, la “Russia” in questo senso non è un Paese vero e proprio, ma un nemico simbolico da distruggere, perché contravviene alle più care nozioni ideologiche universalistiche della nostra Casta Professionale e Manageriale e, continuando comunque a esistere, suggerisce che esse potrebbero non essere assolutamente universali, dopo tutto.

È chiaro che questa intolleranza della differenza è una parte importante dell’odio cieco che l’Occidente porta nelle sue azioni nel conflitto tra Ucraina e Russia. E chiaramente spiega anche in parte l’atteggiamento occidentale nei confronti del conflitto a Gaza. Israele si è sempre presentato socialmente e ideologicamente come uno Stato occidentale, piuttosto europeo, quindi distinto dai suoi vicini arabi, con un sistema politico che assomiglia ad alcuni paesi europei e basato su alta tecnologia e alti livelli di istruzione. (Quanto questa sia una descrizione accurata di Israele non posso dirlo, perché non ci sono mai stato). Inoltre, mentre la dimensione di uno Stato europeo di coloni è stata minimizzata negli ultimi anni, c’è ancora un forte richiamo non dichiarato al tipo di persone che hanno sostenuto la Rhodesia e il Sudafrica dell’apartheid in passato. E poi l’opinione pubblica occidentale è sempre propensa a guardare con favore ai Paesi che fanno della tecnologia militare avanzata un feticcio. Quindi c’è sempre stata un’identificazione istintiva di Israele con gli Stati Uniti, piuttosto che con Loro.

Eppure. C’è qualcosa nell’inanità robotica della risposta politica occidentale a Gaza, con la sua ripetizione meccanica di slogan vuoti e il suo atteggiamento di mite interesse non giudicante mentre gli edifici vengono fatti saltare in aria, che fa pensare che possano essere all’opera anche forze più profonde e inconsce. In questo saggio voglio suggerire quali potrebbero essere almeno alcune di esse. Non entrerò nei dettagli di ciò che sta accadendo a Gaza, né tanto meno dei diritti e dei torti: Lascio questo compito ai più informati. Ma, al contrario, è stato detto molto poco sulle dinamiche e sulle origini più profonde degli atteggiamenti occidentali, ed è su questo che voglio concentrarmi qui. Suggerirò anche che una variante della stessa logica è all’opera sull’Ucraina, oltre ai fattori che ho discusso nel mio precedente saggio. Parlerò soprattutto dell’Europa, concentrandomi in particolare sulla Francia, ma sospetto che molte delle stesse argomentazioni si applichino agli Stati Uniti. Ma iniziamo con Gaza, attraverso una piccola escursione nella sociologia occidentale, perché temo che Gaza sia il primo esempio di nuove sollecitazioni per alcuni sistemi politici europei, a cui potrebbero non sopravvivere.

Un aspetto sorprendente della storia di Gaza è lo scollamento tra l’atteggiamento delle élite e quello della popolazione in Occidente. Si tratta di uno sviluppo relativamente nuovo. Nella maggior parte dei Paesi occidentali, fino a poco tempo fa, gli israeliani erano visti come degli occidentali che davano un calcio a quei maledetti arabi, come avremmo dovuto fare noi. Ma forse negli ultimi vent’anni, gli atteggiamenti popolari hanno iniziato a divergere da quelli delle élite, e questo può essere in qualche modo rintracciato nei sondaggi d’opinione. Di per sé questo non è sorprendente: riflette in parte la scomparsa di una generazione che dava per scontato il colonialismo e l’uso della forza contro i neri e gli uomini di colore, sostituita da generazioni che sono cresciute sentendo parlare sempre di diritti umani. D’altra parte, questo scollamento tra le opinioni popolari e quelle delle élite è molto tipico dei nostri sistemi politici occidentali, quasi a prescindere dall’argomento, il che induce a pensare che anche in questo caso possano esserci forze più ampie all’opera.

Possiamo partire dal giudizio che, in tutta la storia moderna, raramente si è verificata una maggiore distanza tra le opinioni e gli interessi delle élite, riflessi nei media e nel discorso politico, e quelli della gente comune. A volte si fanno paragoni con il XVIII secolo, ma in realtà nella Francia pre-rivoluzionaria c’era molta più omogeneità di pensiero di quanta ce ne sia oggi nella nostra società. C’erano certamente potenti correnti liberali, ma erano più che controbilanciate dai tradizionalisti a tutti i livelli della società: era la gente comune della Vandea, dopo tutto, che andava a combattere gli eserciti rivoluzionari con lo slogan “per Dio e per il Re”: questi due elementi erano per loro, così come per l’aristocrazia, l’intera base della società. In effetti, credo sia ormai assodato che la dottrina dell’estremo liberalismo sociale ed economico sposata dal PMC abbia il sostegno veramente entusiasta solo di una parte molto piccola della popolazione occidentale: forse il dieci per cento al massimo. L’effettivo controllo dei principali partiti politici occidentali da parte dell’ideologia del PMC nasconde in qualche modo questo dato, ma i sondaggi d’opinione e i referendum mostrano con grande chiarezza che gli elettori occidentali vogliono qualcos’altro. Possono registrare un voto di protesta o non votare affatto, e al massimo possono votare per quello dei principali partiti che quella settimana sembra meno ripugnante.

Il PMC lo sa, ed è per questo che i suoi discorsi e i suoi scritti sono spesso solo delle filippiche contro coloro che, a loro dire, minacciano la democrazia, la civiltà, la libertà, i diritti umani e altre cose degne di nota. Non avendo politiche concrete che offrano vantaggi specifici alla gente comune, ci invitano a mobilitarci contro le minacce di nemici chimerici, in particolare il “fascismo”, l'”estrema destra”, i “nazionalisti intransigenti” e altri bersagli in gran parte intercambiabili. Il che è strano, se si considera da dove proviene la violenza contro le società occidentali, per la maggior parte, negli ultimi anni. Ma certe cose è meglio non dirle. In parole povere, il PMC odia e disprezza il resto di noi, che ancora si aggrappa a idee superate come giustizia ed equità, società e famiglia, uguaglianza e solidarietà, a prescindere dalle convenzionali differenze tra destra e sinistra. Ma in realtà è un po’ più complicato di così.

Ho spesso sostenuto che ha senso trattare il PMC come qualcosa di simile al vecchio Partito Comunista Sovietico, con tendenze e fazioni e dispute politiche interne, ma con una salda presa collettiva sul potere. Mi viene in mente che un’altra immagine utile potrebbe essere quella del Partito in 1984, con la sua distinzione tra livelli interni ed esterni. In realtà, gran parte della PMC, che ulula e sbraita contro Putin, che firma petizioni per i bagni per transessuali e che ora assiste con tranquilla indifferenza alla distruzione di Gaza, è in realtà l’equivalente del Partito Esterno, che gode di pochi dei benefici e dei vantaggi di cui godono i suoi equivalenti del Partito Interno, ma che spera disperatamente di unirsi a loro un giorno. Dopotutto, se si considerano alcune delle parti più ferventi del PMC (docenti universitari, giornalisti, ONG, manager della finanza, avvocati di medio livello, per esempio), è difficile sostenere che l’attuale sistema economico e sociale dia loro molti vantaggi reali. Infatti, anche se possono indossare l’uniforme grigia e conservare la fantasia di entrare un giorno nel Partito Interno, la maggior parte di loro lavora in condizioni di stress e insicurezza che non avrebbero mai potuto immaginare nemmeno vent’anni fa. E anche i loro persecutori (gli androidi delle risorse umane, per esempio, la Polizia del Pensiero di oggi) hanno i loro problemi e il loro stress. Nessuno è felice.

Esiste quindi un conflitto profondo e inconciliabile tra gli interessi della PMC nel suo complesso (soprattutto il Partito Esterno) e le vere élite, spesso descritte come “l’uno per cento” o, in questo modo di analizzare le cose, il Partito Interno. Il Partito Esterno è soggetto a disciplina, controlli di fedeltà e conformità ideologica obbligatoria, ma sembra godere di uno status aggiuntivo o di vantaggi concreti rispetto alla gente comune. Il Partito Esterno è il discendente storico della classe dei servitori intellettuali: i precettori e i segretari, i funzionari delle grandi case, gli avvocati e gli intellettuali. È forse significativo che sia questa la classe che ha sottratto la Rivoluzione francese alla gente comune e l’ha portata alla sua conclusione. Come gli intellettuali del XVIII secolo, il Partito Esterno di oggi premia (o si affeziona a) la logica, la scienza e la razionalità. E come quegli intellettuali, sospetto che ribollano di ambizione e rabbia frustrata, odiando l’aristocrazia da un lato e la gente comune dall’altro.

Supponiamo che tu sia un membro del Partito Esterno: un ricercatore senior presso una ONG per i diritti umani in un grande Paese occidentale. Avete trascorso tre o quattro anni all’università per conseguire una laurea in legge, poi un altro paio di anni di specializzazione in diritto dei diritti umani, seguiti da un prestigioso stage presso la Corte europea dei diritti dell’uomo e un altro presso le Nazioni Unite. Non male, eh? Beh, in alcuni Paesi potresti essere indebitato per il resto della tua vita, e anche nei Paesi in cui l’istruzione è gratuita probabilmente hai trascorso un decennio vivendo alla giornata. Questo è il vostro secondo contratto a breve termine senza diritto alla pensione. La tua ONG dipende per la maggior parte della sua esistenza dai finanziamenti di una Fondazione che sta “rivalutando le sue priorità strategiche” e la sua dirigenza passa la maggior parte del tempo a occuparsi di controversie interne sulla discriminazione e sulla sottorappresentazione delle minoranze. Tua sorella, di qualche anno più grande, che studia economia e ha un lavoro da dirigente medio un po’ insicuro in una banca, si è appena separata dal suo compagno e sta cercando di trovare un modo per occuparsi del loro bambino, visti gli orari assurdi che le vengono richiesti. Non è sicura di potersi permettere di rimanere nella casa che la coppia ha comprato. Vostro cugino, giornalista, lavora dodici ore al giorno, sette giorni su sette, per pubblicare un numero sufficiente di articoli che fanno da click-bait per guadagnarsi da vivere. Tuo zio è andato in pensione anticipata dal servizio sanitario perché non ce la fa più e tua zia ha rinunciato a un buon lavoro in un’azienda energetica privatizzata per lo stesso motivo. Non puoi fare a meno di pensare a quanto fosse più semplice e facile la vita dei tuoi genitori (un’insegnante e un funzionario dell’amministrazione locale, che non sono mai andati all’università, ma avevano una casa di proprietà).

Ma non si tratta solo di insicurezza e della necessità di placare i finanziatori. La pressione del lavoro è incessante e vi viene chiesto continuamente di aderire a campagne, firmare petizioni, sostenere cause e, soprattutto, di esprimervi sempre nel modo giusto usando le parole giuste. Tutto questo sta diventando più che sopportabile e può solo peggiorare. Siete molto arrabbiati, ma non osate esprimere la vostra rabbia, nemmeno in privato, contro le persone che ritenete responsabili. Partecipate a sessioni pubbliche di odio contro nemici ufficialmente designati, isti e ismi, ma i veri bersagli del vostro odio sono altrove. E l’Ucraina è, ovviamente, un’opportunità meravigliosa e liberatoria per lasciar andare un po’ di quell’odio e unirsi ad altri che gridano alla morte e alla distruzione, senza alcun rischio per voi stessi. E ben al di sopra di voi nella gerarchia del Partito, persone che in sostanza non sono più felici della vostra vita, provano lo stesso sentimento, nei confronti di chi sta sopra di loro e di chi sta sotto.

Ma con Gaza c’è un elemento in più. Non ha un nome certo, e tende a chiamarsi come la politica del giorno richiede. Forse “movimento di massa dei popoli” è il termine migliore. Ma comunque lo si descriva – immigrazione, ricerca di asilo, movimenti di rifugiati – si tratta in realtà di un fenomeno abbastanza nuovo, che ha origini specifiche e che ora sta cominciando a generare problemi specifici e intrattabili che persino i membri più anziani del Partito Interno fanno fatica a ignorare. Per generazioni, individui, famiglie e piccoli gruppi si sono trasferiti in Europa per sfuggire alle persecuzioni e trovare una vita migliore (non conosco abbastanza i dettagli dell’esperienza statunitense per commentare a lungo, ma credo sia la stessa cosa). (I due primi ministri francesi più importanti del periodo tra la Prima guerra mondiale e l’ascesa al potere di De Gaulle, Léon Blum e Pierre Mendes-France, provenivano entrambi da famiglie ebree immigrate).

Negli ultimi trent’anni, tuttavia, senza alcuna discussione o decisione formale, le élite occidentali hanno optato per un nuovo modello di immigrazione di massa dai Paesi poveri, per lo più, ma non esclusivamente, islamici, in gran parte per fornire una classe operaia più compiacente, e senza alcuna seria considerazione delle cose che dovevano essere fatte per rendere accettabili e di successo tali massicci cambiamenti sociali. In Francia, ad esempio, alcune parti del sistema politico volevano solo manodopera a basso costo, mentre eventuali problemi sociali potevano essere risolti da altri. In pratica, si trattava per lo più di giovani maschi single e non qualificati, che potevano essere fatti lavorare fino all’esaurimento della loro utilità e poi scambiati con una nuova partita. Solo in seguito, e sempre senza un serio dibattito, è diventato comune consentire ai lavoratori migranti di portare con sé le proprie famiglie e ai bambini nati in Francia di richiedere la cittadinanza francese in determinate circostanze. All’epoca nessuno pensava che fosse un problema importante.

Le ragioni di questi sviluppi sono complesse e richiederebbero un lungo saggio per essere spiegate, ma, oltre che con l’avidità dei datori di lavoro, hanno a che fare con l’avvento al potere e l’influenza della sinistra post-1968 (o “sinistra”, se preferite), che ha abbandonato le tradizionali priorità economiche a favore di nuove priorità sociali. Quando questa nuova politica iniziò a diffondersi in Francia negli anni ’80, Georges Marchais, il leader di lungo corso del Partito Comunista, si oppose fermamente, sostenendo che avrebbe solo fatto scendere i salari e peggiorato le condizioni di lavoro. Naturalmente aveva ragione, ma la sua opposizione è naufragata sull’entusiasmo della generazione post-1968 per la “libera circolazione dei popoli” e altre idee astratte di fratellanza e unità, oltre che sulla loro totale mancanza di interesse per il benessere della gente comune. Se appartenete a quella generazione, ricorderete il facile ottimismo dell’epoca sulla mescolanza di popoli e culture. Siamo tutti fratelli e sorelle, in realtà. Il colore della pelle non ha significato. Le differenze possono essere appianate con discussioni amichevoli e campagne antidiscriminatorie. Uniamo le mani e portiamo la pace nel mondo, cantando Kumbaya.

Soprattutto, la religione non era un problema. Era un’epoca di secolarizzazione galoppante, non solo nella generale separazione tra Chiesa e Stato in Occidente, ma anche nel precipitoso calo della frequenza alle chiese e nell’altrettanto repentino declino dell’importanza sociale e politica della religione organizzata. Il cristianesimo stesso ha abbandonato in gran parte ogni pretesa di autorità morale o di giustificazione soprannaturale e ha dedicato i suoi sforzi a rendere Dio “rilevante” per il mondo moderno, il che è strano, se ci si pensa, dato che se si fosse davvero un cristiano credente, la questione sarebbe sicuramente opposta.

Questo atteggiamento si è esteso anche alle altre religioni e ai movimenti verso il culto ecumenico e le buone relazioni tra le diverse fedi. Si presumeva che le altre fedi e i leader religiosi del mondo avrebbero ricambiato. La religione, in quanto tale, era vista come un fenomeno puramente sociale, una questione di identità culturale che sarebbe scomparsa con il tempo, man mano che il mondo sarebbe diventato sempre più omogeneo. È per questo motivo che l’ayatollah Khomeini fu rimandato in Iran nel 1979 senza troppa riflessione: come leader religioso ci si aspettava che fosse una forza di pace e di moderazione, un misto, se vogliamo, di Gandhi e Martin Luther King. Tutti commettiamo errori, ma alcuni sono davvero gravi.

La PMC dell’epoca aveva scarsa conoscenza o interesse per la vita della gente comune nei Paesi da cui sarebbe arrivata la nuova immigrazione. I cittadini che conoscevano erano stati educati in Europa o negli Stati Uniti e pensavano e parlavano come noi. Ma qui c’era una grande opportunità per sentirsi bene con se stessi, per espiare, a loro modo di vedere, i precedenti misfatti coloniali e, soprattutto, per trovare una nuova comunità da patrocinare. In Francia, ad esempio, la sinistra aveva progressivamente perso interesse per la becera classe operaia francese: aveva successivamente sposato la causa dell’FLN in Algeria, della rivoluzione cubana, dei vietnamiti, dei maoisti cinesi durante la Rivoluzione culturale, persino dei manifestanti iraniani che portarono Khomeini al potere. Ma le lotte anticolonialiste erano ormai finite (non c’è mai stato molto interesse per il Sudafrica) e la difesa delle preferenze sessuali delle minoranze poteva portare solo fino a un certo punto. Con la fine della Guerra Fredda, è arrivata la fine dei partiti di massa della vecchia sinistra, basati sulla classe, e la loro trasformazione in consulenze sullo stile di vita.

I partiti della “sinistra” non sono mai stati molto interessati all’Islam, così come non hanno mai letto, anziché sventolare, il Libretto Rosso di Mao o non hanno mai tentato di dare un senso ad Althusser. Piuttosto, la religione era accessoria per poter codificare le nuove comunità di immigrati di massa non solo come vittime di cui la “sinistra” poteva difendere la causa, vittime del razzismo, della violenza, della discriminazione, della repressione o di qualsiasi altra cosa, ma anche come vittime su cui si poteva contare per votare nel modo giusto, e quindi mantenere la “sinistra” al potere, soprattutto a livello locale. Oltre a trattarli come materia prima per le proprie ambizioni politiche e spettacoli performativi, la “sinistra” non aveva alcun interesse per queste comunità di immigrati e faceva poco o nulla per loro. Naturalmente gli immigrati in Francia avevano storicamente votato per la vecchia sinistra, anche perché un numero sproporzionato di loro apparteneva alla classe operaia. L’appello tradizionale al voto degli immigrati si basava in gran parte sulla solidarietà di classe, non sull’attribuzione dello status di vittima. Tra gli elettori immigrati più anziani, questa memoria popolare è rimasta potente e non è ancora scomparsa del tutto.

Ma, saltando rapidamente su una storia lunga e complessa, la “sinistra” non ha capito che queste comunità avevano i loro costumi sociali, la loro fede religiosa e le loro organizzazioni politiche. Hanno dormito durante l’arrivo degli imam radicali finanziati dagli Stati del Golfo e dalla Turchia e delle moschee costruite con i soldi dei loro governi. Poiché non prendevano sul serio la religione, e non riuscivano a immaginare perché qualcun altro avrebbe dovuto farlo, hanno respinto tutte le preoccupazioni sul radicalismo islamico, sulla progressiva presa di controllo di parti delle città da parte di bande religiose e sulla crescente violenza verbale e reale contro le scuole e gli insegnanti, perché non rientravano nel loro atteggiamento utilitaristico e paternalistico nei confronti di queste comunità. Invece, chiunque si lamentasse di questi problemi, o anche solo riconoscesse la loro esistenza, poteva essere liquidato come un “islamofobo”. ”

Vale la pena soffermarsi su quest’ultimo punto soprattutto per la Francia, perché la Costituzione francese, in un riflesso delle terribili battaglie contro la Chiesa cattolica nel XIX secolo, è sempre stata laica: cioè la completa separazione tra Chiesa e Stato è esplicitata. Per gli islamisti radicali, l’idea stessa è un’eresia, perché vedono l’esistenza stessa dello Stato come dipendente dalla direzione religiosa. Come recita il ricorrente slogan islamista: “se le leggi ripetono ciò che c’è nel Corano, non hanno alcuna importanza. Se differiscono da ciò che è scritto nel Corano, sono peccaminose e non devono essere rispettate”. La “sinistra” francese ha potuto ignorare questo problema qualificando le rivolte, gli omicidi e gli attacchi terroristici come reazioni al “razzismo istituzionale” o altro: l’idea che le persone possano essere realmente motivate a uccidere da un credo religioso è al di là della loro comprensione.

Sono successe diverse cose che hanno disturbato questo comodo stato di cose. Il Partito vive in gran parte lontano dalle comunità di immigrati che patrocina, e gli attacchi alle scuole e agli insegnanti, per esempio, sono trattati brevemente, se lo sono. L’ultimo omicidio di un insegnante, avvenuto ad Arras il mese scorso, è stato però significativo perché l’aggressore (figlio di una famiglia di rifugiati ceceni) stava cercando un insegnante di storia da uccidere. È stato affrontato da diversi insegnanti (uno dei quali è stato ucciso) e da alcuni membri del personale di supporto, che alla fine lo hanno sopraffatto. La storia fece un breve scalpore, anche se il Partito Interno educa i suoi figli altrove, per cui l’interesse svanì rapidamente. Ma perché un insegnante di storia? La questione si fa interessante e potenzialmente significativa.

La Francia ha la più grande comunità ebraica d’Europa ed è politicamente potente, anche se molto più piccola della comunità musulmana. Ha avuto successo nel promuovere le sofferenze della comunità ebraica in Francia durante la Seconda guerra mondiale, e in effetti il programma scolastico ufficiale di storia per quel periodo pone grande enfasi su quella che i francesi chiamano la shoah, adottando la parola ebraica per la persecuzione e l’assassinio degli ebrei sotto il Terzo Reich. Negli ultimi anni, tuttavia, i genitori musulmani hanno iniziato a opporsi, talvolta in modo violento, a questo insegnamento. Alcuni hanno fatto proprie le teorie cospiratorie diffuse da predicatori radicali, secondo cui le persecuzioni non sono mai avvenute, o perlomeno sono state esagerate. Molti altri le considerano semplicemente una propaganda, che oscura e giustifica il trattamento israeliano dei palestinesi. Oggi è pericoloso essere un insegnante di storia, e mai come dopo l’inizio dei combattimenti a Gaza.

La “sinistra” non si preoccupa di qualche insegnante morto e tra i suoi più ferventi sostenitori ci sono proprio i giovani insegnanti che hanno accettato completamente la sua nuova agenda sociale e che vedono i loro alunni musulmani come una minoranza perseguitata. Tuttavia, si sta cominciando a capire che in Francia c’è un’ampia popolazione di immigrati con idee sociali e religiose prevalentemente conservatrici, molti dei quali non accettano i precetti fondamentali di una democrazia o di una repubblica, pesantemente influenzati da predicatori estremisti e alcuni dei quali hanno già mostrato una propensione alla violenza. Questa comunità vota e, come la popolazione rurale della Francia di un secolo fa, spesso lo fa seguendo le indicazioni dei leader religiosi. Per molto tempo, i membri della PMC “dell’immigrazione”, come dicono i francesi (e sono numerosi), hanno pensato e si sono comportati come il resto della PMC. Ma ora cominciano a comparire rapper e stelle dello sport della classe operaia immigrata che fanno proprio il vocabolario dell’Islam politico. Gaza ha complicato enormemente la situazione. Se i media ufficiali e la classe politica sono quasi istericamente a favore di Israele, si sta aprendo una vera e propria spaccatura nella società francese, e non solo tra “musulmani” in senso banale e “non musulmani”. Ad esempio, una parte consistente della popolazione “araba” della Francia è costituita da libanesi, siriani ed egiziani cristiani, che tuttavia provano una certa solidarietà con la popolazione di Gaza.

Pertanto, l’ingresso incontrollato in Francia (e in altri Paesi) di un gran numero di immigrati, spesso poco istruiti, ma religiosamente e socialmente conservatori, che ora iniziano a organizzarsi e a votare secondo le loro convinzioni, ha avuto conseguenze facilmente prevedibili, ma ovviamente non previste. Nelle elezioni in Europa hanno già iniziato a comparire partiti islamici politici appena mascherati. Chi avrebbe mai potuto immaginarlo? Cosa faremo al riguardo? Vi sorprenderà sapere che né il Partito Interno né il Partito Esterno ne hanno la più pallida idea, ed è per questo che articoli seri e preoccupati sulla possibilità di un esodo di massa degli ebrei francesi dopo l’ultima serie di slogan imbrattati sulle sinagoghe coesistono con fotografie e testimonianze sull’assalto a Gaza, spesso l’uno accanto all’altro sulla pagina, o in sequenza in un notiziario. Le due cose esistono in mondi diversi e non possono essere conciliate. Lo sporco segreto è che, nella misura in cui l’antisemitismo attivo è davvero un problema in Francia al giorno d’oggi, non proviene tanto dall’estrema destra tradizionale, quanto dai giovani musulmani radicalizzati. Sono stati loro a deturpare le sinagoghe all’inizio di quest’anno, durante i disordini che M. Mélenchon ha definito una “rivolta popolare”. Il PMC non ha idea di come affrontare tutto questo e spera solo che sparisca.

In nome dell’agenda del PMC, che prevede l’apertura delle frontiere, la libera circolazione delle persone, manodopera a basso costo, qualcuno da trattare con condiscendenza e verso cui sentirsi superiori, abbassando i salari e lasciando che qualcun altro faccia il lavoro sporco, l’immigrazione ha creato una popolazione per lo più povera e insicura, spesso radicalizzata, che ora rappresenta una forza elettorale formidabile da catturare per qualsiasi partito politico, ma che, d’altra parte, ha opinioni ben al di fuori e in ritardo rispetto al mainstream della politica dei Paesi dell’Europa occidentale, soprattutto in Francia. Ironia della sorte, questa forza elettorale sta iniziando a far sentire la sua voce su questioni come l’aborto, l’omosessualità e persino l’educazione di bambini e bambine nella stessa scuola, di cui i partiti consolidati dovranno tenere conto se vogliono i loro voti. Si può sentire M. Mélenchon soffocare da qui. Ma il problema è più ampio: è chiaro che l’intera politica è stata un disastro e un fallimento. Da un lato, non ha prodotto la forza lavoro flessibile e flessibile sognata dai datori di lavoro. Gli standard educativi sono bassi e in calo, perché si è investito poco, ad esempio, nell’insegnamento della lingua francese, mentre i diversi costumi sociali continuano a creare grattacapi ai datori di lavoro su questioni come i maschi e le femmine non sposati che lavorano uno accanto all’altro. E dall’altra parte della spartizione politica, la “sinistra” non può più contare sul voto degli immigrati (più immigrati=più voti!) come in passato. In effetti, il voto degli “immigrati” si sta spostando lentamente verso destra, soprattutto per ragioni sociali.

Le cose sono andate così male che anche il partito deve prendere atto. Alcuni membri del partito esterno devono mandare i loro figli nelle scuole pubbliche e vedere i risultati della guerra islamista all’istruzione in prima persona e la vendita di droga fuori dalle scuole. Non possono protestare, a causa del razzismo, ma questo non fa che aumentare la loro rabbia e la loro disperazione. Persino l’Inner Party sta iniziando a notare che i suoi ristoranti preferiti nei centri cittadini chiudono prima, per paura di scontri violenti tra bande di immigrati per le loro quote di criminalità organizzata. Non doveva essere così.

Se la crisi a Gaza si protrarrà ancora a lungo, in diversi Paesi europei si aprirà una frattura politica che non ha precedenti né rimedi evidenti. Non si tratta solo della lobby ebraica contro un blocco elettorale importante e radicalizzato: anzi, questa è solo una piccola parte del problema. Il partito, in tutta Europa, è già massicciamente alienato dalle preoccupazioni economiche e sociali della gente comune, e ora, grazie alla pressione di Gaza, una comunità elettoralmente significativa le cui preoccupazioni sono selvaggiamente lontane da quelle del PMC sta trovando voce, e i partiti che vogliono essere eletti dovranno corteggiarla. Una cosa è liquidare gli elettori bianchi con atteggiamenti socialmente conservatori come fascisti e idioti, un’altra è liquidare gli elettori non bianchi che dicono la stessa cosa, perché ancora una volta si tratta di razzismo.

Ma cosa può fare il Partito? Per definizione, non ha mai torto: può solo essere messo in difficoltà dalla realtà. Molte cose possono essere gettate nel buco della memoria della storia, ma il Partito non può controllare tutto e non può controllare il modo in cui la gente comune vive la vita. Il che ci riporta di nuovo all’Ucraina. Il Partito (e in particolare il Partito esterno) ha trovato negli ultimi due anni uno sfogo per la sua rabbia e il suo odio repressi nei confronti della gente comune e delle loro idee arretrate e reazionarie, oltre che, naturalmente, dei suoi stessi padroni. Se non può distruggerli letteralmente, allora può distruggerli simbolicamente, distruggendo la Russia, un Paese che hanno arbitrariamente deciso di rappresentare tutte le peggiori caratteristiche non-PMC dei loro stessi Paesi. Non funzionerà, ovviamente, perché le soluzioni simboliche non funzionano mai davvero, ma per un po’ darà uno sfogo alla rabbia e all’odio, ed è per questo che pensano che la guerra debba continuare.

I paragoni sono sempre difficili, ma è almeno possibile che Gaza occupi una parte dello spazio mentale all’interno delle teste dei membri scontenti del Partito Esterno adiacente a quella occupata dalla Russia. (Proprio come i sogni originari di alcuni dei sionisti più moderati, le fantasie del Partito di comunità di culture radicalmente diverse che vivono in pace fianco a fianco in Occidente si sono rivelate irrimediabilmente sbagliate e fuorvianti. Forse se tutto fosse stato fatto in modo diverso? Chi lo sa. Ma il fatto è che né il sogno della destra di una forza lavoro istruibile, disperata, flessibile e sostituibile, né quello della “sinistra” di una docile base elettorale da assecondare e da usare per sentirsi bene con se stessa, hanno mai potuto realizzarsi. In entrambi i casi, le motivazioni erano egoistiche ed egoiste, e l’unica funzione degli immigrati era quella di svolgere i ruoli loro assegnati. Non sono un esperto di Stati Uniti, ma ho la sensazione che qualcosa di simile possa accadere anche lì.

Quindi la massa di immigrati, molti dei quali alla seconda generazione, altri alla terza, ha deluso gli ideatori del progetto. Ora, se solo potessimo fare qualcosa con queste persone deludenti… se solo potessimo trasferirle, mandarle via, rimandarle a casa. Naturalmente, a causa dei nodi del Pensiero-Criminale in cui la “sinistra” si è legata, queste idee non possono mai essere espresse. Anzi, non devono essere pensate consapevolmente. Così, invece, abbiamo l’indecente entusiasmo della “sinistra” occidentale per l’espulsione dei palestinesi da Gaza, come sostituto sublimato e non riconosciuto.

Non si possono fare paragoni troppo azzardati tra Gaza e le aree ad alta densità di immigrati delle città occidentali, naturalmente, ma mi ha colpito molto la somiglianza tra i tetri e squallidi condomini di Gaza e i sordidi grattacieli ai margini dei principali centri abitati in Francia, dove le comunità di immigrati sono state parcheggiate, per essere dimenticate se non quando possono essere utili a qualcosa. Come nel caso di Gaza, il problema delle comunità di immigrati in Europa è rimasto eternamente irrisolto, e per molti versi non affrontato. E ora è troppo tardi.

Comincio a chiedermi se, dopo aver esternato tutto il resto, non ci sia rimasto altro da esternare che l’odio per altri membri della nostra società. .

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Il sangue di tutti ribolle, Breaking the Silence

Il sangue di tutti ribolle. Tutti conosciamo qualcuno che è stato ucciso, rapito, che è ancora disperso. Molti parlano di vendetta, di cancellare Gaza, di definire i suoi abitanti “2,5 milioni di terroristi”, di trasferimenti forzati.

Ma cosa sta accadendo in realtà sul campo?
Da un mese Gaza è sottoposta a un bombardamento senza precedenti. Solo nelle prime due settimane, l’aviazione israeliana ha sganciato più bombe su Gaza di quante gli Stati Uniti ne abbiano sganciate sull’Afghanistan in un anno intero. Una spiegazione è la reale necessità di Israele di eliminare le minacce alle forze di terra, >>>.
ma questo non spiega completamente la portata dei bombardamenti o i loro obiettivi.

Il nostro lavoro si basa sulle testimonianze dei soldati. Raccogliere e verificare queste testimonianze è un processo lungo e complesso, e ci vorrà ancora del tempo prima di ottenere un quadro completo e accurato >>> di ciò che sta accadendo sul campo.
di ciò che sta accadendo sul campo. Tuttavia, le dichiarazioni degli alti ufficiali israeliani e l’entità delle distruzioni sollevano già il sospetto che l’esercito stia seguendo la stessa dottrina utilizzata nelle operazioni precedenti: La Dottrina Dahiya.
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La Dottrina Dahiya è stata formulata intorno alla guerra del Libano del 2006. Il suo principio fondamentale era: attacchi sproporzionati, anche contro strutture e infrastrutture *civili*.
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Se la dottrina è davvero in gioco, come sembra, allora i massicci bombardamenti su Gaza delle ultime settimane sono deliberatamente mirati a danneggiare infrastrutture e proprietà appartenenti a civili innocenti.
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I pesanti bombardamenti nella guerra del Libano del 2006 non hanno spazzato via Hezbollah o neutralizzato le sue capacità militari, né avrebbero dovuto farlo. Avevano lo scopo di creare una deterrenza. Da allora, Hezbollah si è rafforzato e ora spara quotidianamente contro i civili nel nord di Israele.
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Anche in Libano, abbiamo causato una distruzione massiccia di civili per comprare una calma temporanea e niente di più.

Israele ha usato questa dottrina anche durante l’ultima invasione di terra di Gaza nel 2014. Dopo la guerra, i residenti di Gaza sono tornati nei quartieri che erano stati rasi al suolo.
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Giornalisti e soldati che hanno preso parte all’operazione hanno descritto gli enormi danni. I politici e i membri dell’establishment della sicurezza si sono dichiarati vittoriosi, sostenendo che abbiamo “marchiato a fuoco la coscienza palestinese”, il che significa che ogni palestinese ricorderà esattamente chi comanda, >>> e non oserà resistere.
e non oserà opporre resistenza. L’ultimo mese ha dimostrato, ancora una volta, che questo approccio ci ha portato zero sicurezza.

Questa dottrina si basa sull’idea dei “round” di combattimento, come vengono chiamati in Israele. Non è pensata per essere decisiva, ma per rimandare >>>.
e scoraggiare il prossimo, inevitabile, round. Sembra che il nostro governo stia scegliendo di ripetere, anche se con maggiore intensità, ciò che ha fatto senza successo nei round precedenti. Lo stesso portavoce dell’IDF ha dichiarato che: “L’enfasi [durante questa operazione] è sul danno e non sulla precisione”.
Questa dottrina è anche immorale, perché la “consapevolezza bruciante” si ottiene attraverso la distruzione diffusa dei civili. Decine di migliaia di case a Gaza sono state distrutte o danneggiate. Interi quartieri sono stati cancellati dalla mappa.
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Perché secondo la Dottrina Dahiya, il metodo è semplice: la potenza di fuoco *deve* essere usata in modo sproporzionato; ed è per questo che il risultato è sempre lo stesso: spingere la sicurezza a lungo termine più lontano dalla portata a favore di un senso di calma a breve termine.
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Israele è entrato in guerra a causa di un criminale, orribile massacro. Se ci atteniamo alla distruzione di massa dei civili in risposta; se continuiamo a danneggiare una popolazione che non ha fatto nulla di male, una popolazione di cui più del 40% ha meno di 15 anni, >>>
il nostro unico risultato sarà quello di perpetuare il ciclo di violenza e spargimento di sangue. Il numero delle vittime è spaventoso: più di 1.400 israeliani e oltre 10.000 palestinesi. Non è stato versato abbastanza sangue?
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E ancora, la domanda rimane: come sarà il giorno dopo la guerra? Come farà il nostro governo a garantire a tutti noi sicurezza e protezione? Sorprendentemente, il nostro Gabinetto ha deciso di “non discutere il destino della Striscia di Gaza”. È un lusso che non possiamo permetterci.
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Una cosa è certa: la risposta deve tenere conto di un futuro libero e sicuro per tutti – cittadini di Israele, residenti di Gaza e sì, anche residenti della Cisgiordania. Altrimenti, la prossima guerra è solo una questione di tempo.

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