L’afrocentrismo tra miti e menzogne, di Bernard Lugan

Il primo uomo era nero. L’antico Egitto era “nero”, Cleopatra aveva la pelle nera.

Tutte le invenzioni primordiali sono state fatte dagli egiziani da persone di colore. La civiltà nera egiziana

civiltà egizia nera è quindi all’origine di tutti gli sviluppi intellettuali e tecnologici, in particolare dell’elettricità prodotta dalle piramidi, che di fatto erano centrali elettriche. I neri Africani hanno scoperto l’America prima di Colombo, sono all’origine della civiltà Maya e hanno imparato la mummificazione dagli Inca… ecc…

Queste sono solo alcune delle sciocchezze che costituiscono il “corpus dottrinale” dell’afrocentrismo. Eredità dei postulati “pittoreschi” e fantasmagorici di Cheick Anta Diop, ha avuto origine in America, in particolare nei campus degli Stati Uniti. Tormentati dall’inferno della loro storia, gli intellettuali afroamericani  inventarono l’afrocentrismo, un miraggio che permise loro di seppellire le loro frustrazioni nel rifugio dell’immaginario.

Con l’afrocentrismo e i suoi derivati, non ci troviamo però di fronte a semplici voli di fantasia prodotti dagli illuminati. Si tratta di un’ideologia coerente nella sua dottrina presentata come un’alternativa alla storia ufficiale  che si ritiene essere lo strumento della dominazione maschile bianca.

Un’ideologia razziale alimentata dal mito di una  “nazione africana la cui grande storia è stata oscurata a causa di una “cospirazione razzista” di cospirazione” dei bianchi-coloniali scienza storica bianco-coloniale.

Oggi, nell’epoca del wokismo e del de colonialismo  (si veda il mio libro Pour répondre aux décoloniaux),

per alcuni intellettuali afroamericani e africani, gli inverosimili postulati dell’afrocentrismo sono diventati

tante verità che prosperano sulla negazione della realtà.

Chi vi aderisce si rifiuta di riconoscere che esiste una differenza di natura tra fatto e mito.

Per gli afrocentristi e i decolonialisti la storia non è una scienza con regole e leggi proprie, metodologia, ma uno strumento dell’imperialismo coloniale bianco, progettato per sminuire i neri per far dimenticare di essere stati  il motore della storia umana.

In risposta alla storia bianca-coloniale, la “storia scritta dagli afrocentristi e dai decoloniali pretende di ristabilire la verità. In realtà, però, non è altro che un tentativo di affermare visioni tali da superare le frustrazioni dei gruppi lacerati dai loro complessi esistenziali.

Nel tentativo di giustificare i propri postulati, afrocentristi e decolonialisti hanno definitivamente rinunciato alla storia scientifica. Qualsiasi critica è vietata  “in quanto razzista” da parte degli afrocentristi. Questo permette loro di porre fine al dibattito, i loro avversari sono immediatamente disarmati e paralizzati da una un’accusa del genere…

Bibliographie du dossier – Carbonell, E et alii (2008) « The first hominin of Europe ». Nature, 452, 465-469. – Froment, A., (1992) « Origines du peuplement de l’Egypte Ancienne : l’apport de l’anthropobiologie ». Archéonil, 2, pp 79-98. – Froment, A., (1994) « Race et Histoire : la recomposition idéologique de l’image des Egyptiens Anciens. » Journal des Africanistes, 64, pp 37-64. – Hrdy, D.R., (1978) « Analysis of Hair Samples of Mummies from Semna-South ». American Journal of Physical Anthropology, n°49, 1978, pp 277-283. – Lazaridis, I et alii (2014) « Ancient human genomes suggest threre ancestral populations for presentday Européans ». Nature, 513, 409-413. – Lieberman, D.E (2007) « New described fossils from Georgia in Eurasia and from Kenya ». Nature, 449, 291-292. – Lucotte, G et Mercier, G., (2003) « Brief Communication : Y- Chromosome Haplotypes in Egypt. ». American Journal of Physical Anthropology, n°121, pp 63-66, 2003. – Lucotte, G ; Aouizérate A et Berriche, S., (2000) « Y-chromosome DNA haplotypes in North African populations. » Human Biology, 72 : 473-480, 2000 – Rabino-Massa, E et Chiarelli, B., (1972) « The Histology of Naturally Dessicated and Mummified Bodies ». Journal of Human Evolution, 1972, 1, pp 259-262. – Shuenemann, V et alii., (2017) « Ancient Egyptian mummy genomes suggest an increase of SubSaharan African ancestry in post-Roman periods ». Nature Communications, 8, 2017, 11 pages. – Taylor, J.H., (1991) Egypt and Nubia. London, British Museum. – Vercoutter, (1976) L’iconographie du Noir dans l’Egypte ancienne, des origines à la XXVe dynastie. In Vercoutter, Leclant, Snowdon, Desanges, « L’image du Noir dans l’art occidental », Fribourg, pp 33- 88. – Vercoutter, J., (1996) « L’image du Noir en Egypte ancienne ». Bulletin de la Société française d’Egyptologie, n° 135, 1996, pp 167-174. – Walker, S., (1997) « Ancient Faces : an exibition of Mummy Portraiture at the British Museum ». Egyptian Archaeology, 10, 1997, pp 19-23. – Wilding, D., (1997) « L’image des Nubiens dans l’art égyptien ». In Soudan, Royaumes sur le Nil, catalogue de l’exposition de l’Institut du Monde Arabe, 1997, pp 144-157.

ALL’ORIGINE DELL’AFROCENTRISMO C’È CHEIK H ANTA DIOP

Cheikh Anta Diop (1929-1986) è il principale ispiratore dell’afrocentrismo e del nazionalismo culturalista nero su base razziale, che afferma il primato creativo della negritudine.

Di nazionalità senegalese, Cheikh Anta Diop era un uomo di biblioteca e un compilatore selettivo, conservando solo gli elementi che confermavano i suoi postulati, tutti rifiutati dagli specialisti di tutte le discipline interessate.

Per Cheikh Anta Diop:

“Il negro non sa che i suoi antenati (…) sono le più antiche guide dell’umanità nel mondo.

Le più antiche guide dell’umanità sulla strada della civiltà; che sono stati loro a creare l’arte, la religione (in particolare il monoteismo), la letteratura, la prima letteratura filosofica, i primi sistemi filosofici, la scrittura, le scienze esatte (fisica, matematica, meccanica, astronomia, calendario…), la medicina, l’architettura, l’agricoltura, l’arte e la cultura.[1], ecc. in un’epoca in un momento in cui il resto del mondo (Asia, Europa: Grecia, Roma…) era immerso nella barbarie”.

(Allarme ai tropici, 196, 48).

Quindi, secondo Diop, i neri hanno la precedenza in tutte le aree della storia umana.

1) Le australopitecine, l’Homo erectus e l’uomo moderno (Homo Sapiens)  erano neri. Grazie all’incrocio – con chi? -poi sono comparsi i bianchi e i gialli.

2) L’Egitto, che era “negro”, fu la madre della civiltà.

La cultura greca gli deve tutto. La civiltà europea da cui scaturisce è quindi un eredità e retaggio. Inoltre, gli antichi greci non erano altro che plagiatori.

I postulati di C.A.Diop furono esposti a partire dal 1952 nel n. 1 de La Voix de l’Afrique, l’organo studentesco dell’RDA (Rassemblement Démocratique Africain), un partito che sosteneva l’indipendenza delle colonie africane dalla Francia. L’articolo, pubblicato nel febbraio 1952 e intitolato “Verso un’ideologia politica africana”, era una sintesi della tesi che avrebbe dovuto difendere alla Sorbona nel 1951, ma che era stata respinta per l’impossibilità di formare una giuria, motivo che nascondeva i suoi colossali “errori” metodologici. Un intero gruppo si attivò immediatamente per trovare un editore e la tesi fu pubblicata in forma di libro nel 1954 con il titolo “Nations nègres et culture”, che Aimé Césaire definì nel suo “Discours sur le colonialisme” come “il libro più audace che un negro abbia mai scritto”. Nel 1960, sotto la pressione degli intellettuali africani di lingua francese, la tesi fu finalmente difesa. Tuttavia, la giuria le assegnò solo una menzione “molto onorevole”, il che significava che era “mediocre”. Un voto così squalificante significava che C.A. Diop non poteva contemplare una carriera universitaria, che poteva essere raggiunta solo con la distinzione “Très Bien avec félicitations du jury”. Tenuto fuori dal mondo accademico senegalese dal presidente Senghor, anch’egli un vero accademico, C.A. Diop è stato nominato professore all’Università di Dakar per decisione politica del presidente Abdou Diouf nel 1981. C.A. Diop ha ripreso i suoi postulati e li ha sviluppati ulteriormente, in particolare in :

– “Nations nègres et Culture: de l’antiquité nègre égyptienne aux problèmes actuels de l’Afrique noire aujourd’hui”, Présence Africaine, Parigi. Présence Africaine, Parigi, 1954 (nuove edizioni nel 1964, 1979 ecc.) – “Les fondements culturels techniques et industriels d’un futur Etat fédéral d’Afrique noire”, Présence Africaine, Parigi, 1960. – Antériorité des civilisations nègres. Mito o verità storica? Présence Africaine, Parigi, 1967. – Civilisation ou Barbarie”, Présence Africaine, Parigi 1981. La critica ai postulati di Diop è iniziata negli anni Sessanta con la potente confutazione di Raymond Mauny, seguita nel 1972 da quella di Marcel d’Hertefelt, professore di antropologia al Museo Reale di Tervuren. Per quest’ultimo: “Le tesi di C.A. Diop ci impongono di decidere una volta per tutte di ignorare ciò che l’archeologia preistorica e protostorica, l’iconografia e la critica storica dei testi antichi ci dicono sulle popolazioni del Vicino Oriente e dell’Egitto, sullo sviluppo e la diffusione dell’agricoltura e della metallurgia e sui rispettivi contributi di queste due culle di civiltà alla scienza e alla scrittura. Va detto subito che generazioni di archeologi, egittologi, sumerologi, indoeuropei, semitologi e persino africanisti sono stati ideologicamente mistificati fino a falsificare la storia culturale, finché C.A. Diop non ha scoperto la verità. Questo è davvero chiedere molto. [2] Per una critica approfondita delle tesi di Diop, vedere :

– En collaboration (2000) Afrocentrismes. L’histoire des Africains entre Egypte et Amérique, Paris. – Fauvelle, F-X., (1996) L’Afrique de Cheikh Anta Diop, histoire et idéologie., Paris. – Froment, A., (1991) « Origine et évolution de l’homme dans la pensée de Cheikh Anta Diop : une analyse critique. ». Cahiers d’Etudes africaines, 121-122, XXXI-1-2, 1991, pp 29-64. – Hertefelt, (d’) M., (1972) Eléments pour une histoire culturelle de l’Afrique. Université du Rwanda. – Lugan, B., (2023) Histoire de l’Egypte des origines à nos jours. Paris. – Mauny, R., (1960) Recension de Nations nègres de C.A.Diop, in Bulletin de l’IFAN. XXII (1960), série B/544-551). Traduction anglaise sous le titre « Nations nègres et culture. A review. In Problems in African History, London, 1968, pp 16-23.

1_[Se ci limitiamo all’agricoltura, gli afrocentristi ignorano che intorno al 5000 a.C., dalle Fiandre al Danubio, si è formata una civiltà contadina europea che utilizzava la trazione animale.
La civiltà contadina europea utilizzava la trazione animale, mentre l’Africa sud-sahariana, l’Africa nera, ha scoperto questa tecnologia solo alla fine del XIX secolo.
L’Africa nera, da parte sua, ha scoperto la trazione animale, così come la ruota, la carrucola e la coltivazione a cavallo… solo con la conquista araba e poi la colonizzazione, cioè quasi un secolo dopo l’arrivo degli arabi.
conquista e la colonizzazione, cioè quasi 6.000 anni dopo… Per quanto riguarda i tre quarti delle piante alimentari consumate
consumati oggi a sud del Sahara (mais, fagioli, manioca, patate dolci, banane, ecc.) sono di origine americana o asiatica…
origine asiatica…

http://bernardlugan.blogspot.com/

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La Francia tra l’Edipo algerino e quella dei decoloniali, di Bernard Lugan

 

Quando l’ingustizia e la sopraffazione diventano un alibi per giustificare la propria esistenza e protrarre la propria agonia_Giuseppe Germinario

Il “sistema” algerino e i “decoloniali” accusano la Francia di essere responsabile dei loro problemi. Un atteggiamento edipico già ben descritto a suo tempo da Agrippa d’Aubigné quando scrisse che:

“Il cadavere della Francia si sta decomponendo sotto gli occhi di due bambini: il primo è un criminale e il secondo un parassita. Uno è rivolto alla morte e l’altro alla devastazione. ”

Nel gennaio 2021, un giornalista algerino, rilanciato compiacentemente dai media francesi, ha persino chiesto un risarcimento alla Francia per il “saccheggio” del ferro “algerino” che, secondo lui, sarebbe stato utilizzato per realizzare la Torre Eiffel !!!

Tuttavia, come ha mostrato Paul Sugy, i pezzi che compongono il monumento emblematico sono stati fusi in Lorena, nelle acciaierie di Pompeo, dal minerale di ferro estratto dalla miniera di Lurdres, anch’essa situata a Meurthe-et-Moselle …

L’affermazione tanto esorbitante quanto surrealista di questa borsa di studio del “Sistema” algerino non è la follia di un miniato. Al contrario, fa parte di una strategia di richieste eccessive intese a ottenere scuse, quindi riparazioni “dure e veloci” dalla Francia.

Tuttavia, bisogna vedere che, fino all’arrivo al potere di François Hollande, la posizione algerina era stata relativamente “mantenuta”. Né Georges Pompidou, né Valéry Giscard d’Estaing, né François Mitterrand, né Jacques Chirac né Nicolas Sarkozy avrebbero accettato tali richieste di scuse. Tuttavia, tutto è cambiato con le dichiarazioni irresponsabili di François Hollande seguite da quelle di Emmanuel Macron sul tema della colonizzazione. Da lì, essendosi autoumiliata la Francia, l’Algeria si è trovata quindi in una posizione di forza per pretenderne sempre di più. Tanto più che messo alle strette dalla strada, pur essendo in gioco la sua sopravvivenza, il “Sistema” algerino ha solo due mezzi per cercare di deviare la marea della protesta popolare che minaccia di prevalere:

1) Attacco al Marocco, come nel 1963, quando la “Guerra delle Sabbie” gli permise di mettere da parte la rivolta Kabyle. Ma, con il Marocco, che si strofina contro di esso …

2) Niente del genere con il cappone francese i cui attuali leader non osano ricordare ai loro omologhi algerini che nel 1962, la Francia “madre generosa”, lasciò in eredità alla sua “cara Algeria” secondo l’espressione del compianto Daniel Lefeuvre, un’eredità composta da 54.000 chilometri di strade e binari (80.000 con binari sahariani), 31 strade nazionali di cui quasi 9.000 km asfaltate, 4.300 km di ferrovie, 4 porti attrezzati a standard internazionali, 23 porti sviluppati (di cui 10 accessibili a grandi cargo e di cui 5 che potrebbero essere serviti da navi di linea), 34 fari marittimi, una dozzina di aeroporti principali, centinaia di strutture ingegneristiche (ponti, gallerie, viadotti, dighe, ecc.), migliaia di edifici amministrativi, caserme, edifici ufficiali, 31 idroelettrici o centrali termiche, un centinaio di importanti industrie nell’edilizia, metallurgia, cemento, ecc. dic scuole, istituti di formazione, scuole superiori, università con 800.000 bambini iscritti a 17.000 classi (cioè altrettanti insegnanti, due terzi dei quali francesi), un ospedale universitario da 2.000 posti letto ad Algeri, tre grandi ospedali della capitale ad Algeri, Orano e Costantino , 14 ospedali specializzati e 112 ospedali polivalenti, l’eccezionale cifra di un letto ogni 300 abitanti. Per non parlare del petrolio scoperto e messo in funzione dagli ingegneri francesi. Nemmeno un’agricoltura fiorente è rimasta incolta dopo l’indipendenza, a tal punto che oggi l’Algeria deve importare anche concentrato di pomodoro, ceci e persino semola di cuscus …

Tutto ciò che esisteva in Algeria nel 1962 era stato pagato con le tasse francesi. Nel 1959, l’Algeria ha così assorbito il 20% del bilancio statale francese, vale a dire più dei bilanci combinati di istruzione nazionale, lavori pubblici, trasporti, ricostruzione e alloggi, industria e commercio! E tutto ciò che la Francia ha lasciato in eredità all’Algeria era stato costruito dal nulla, in un paese che non era mai esistito da quando era passato direttamente dalla colonizzazione turca alla colonizzazione francese. Anche il suo nome gli era stato dato dalla Francia …

L’atteggiamento dei “decoloniali”, da parte sua, nasce da un complesso edipoesistenziale accoppiato con una dose di schizofrenia.

Secondo loro, la Francia, che li accoglie, li nutre, li veste, li accudisce, li ospita e li educa, è una nazione “geneticamente schiava, razzista e colonizzatrice”, in cui i discendenti dei colonizzati sono in una situazione ”, cioè di” dominato “. Da qui la loro cosiddetta “emarginazione”. A questa affermazione di vittimismo si aggiunge un sentimento vendicativo e conquistatore, ben riassunto da Houria Bouteldja, una delle figure di spicco di questa corrente:

“La nostra semplice esistenza, unita a un peso demografico relativo (da 1 a 6) africanizza, arabizza, berberizza, creolizza, islamizza, i neri, la figlia maggiore della Chiesa, una volta bianca e immacolata, come sicuramente lucidano il sacco e le onde del surf e ripulire i blocchi di granito con pretese di eternità (…) ”.

Autenticamente francofobici, odiando la Francia, i “decoloniali” rifiutano quindi tutto ciò che è connesso ad essa. Hafsa Askar, vicepresidente del sindacato studentesco UNEF, ha scritto il 15 aprile 2019, il giorno del suo incendio:

“Non mi interessa Notre-Dame de Paris, perché non mi interessa la storia della Francia … Wallah … non ce ne frega niente (traduzione: combattiamo la c …), oggettivamente, è il tuo delirio di piccoli bianchi.

Tuttavia, esprimendo il loro risentimento e il loro odio per la Francia nella lingua dell’odiato “colono”, e affermandosi intellettualmente attraverso i suoi riferimenti filosofico-politici, i “decoloniali” hanno un atteggiamento schizofrenico …

Tuttavia, non c’è il minimo paradosso di questi adulatori il cui “pensiero” è germogliato sul suolo filosofico della rivoluzione del 1789. Attaccando frontalmente, e in modo edipico, i dogmi dei loro genitori – “valori della Repubblica” , “diritti umani”, “convivenza” e “secolarismo” – i “decoloniali” hanno infatti polverizzato il quadro dottrinale e morale di questa sinistra universalista che, per decenni, è stata il vettore della decadenza francese. Poiché non sopravviverà alla morte della sua ideologia e dei suoi “valori fondanti”, qui lascia gradualmente la storia, aprendo così la strada a un cambio di paradigma.

Spetta ai portatori di forze creative cogliere questa storica opportunità!

– Per la critica alla storia ufficiale dell’Algeria scritta dall’FLN e da Benjamin Stora, faremo riferimento al mio libro Algeria, la storia sottosopra .

– Per l’analisi e la confutazione dell’ideologia “decoloniale” si consulti il ​​mio libro Responding to the decolonials, the islamo-leftists and the terrorists of pentance .

la 1a guerra mondiale in Africa, di Bernard Lugan

In questo anniversario della fine della prima guerra mondiale, la commemorazione dei combattimenti sul fronte europeo mette in secondo piano la guerra africana dove, grazie alla loro enorme superiorità umana e materiale, gli Alleati sono riusciti a impadronirsi rapidamente del Togo, da Kamerun e in misura minore dall’Africa sudoccidentale tedesca. Non fu lo stesso per la Deutsche Ost-Afrika (Tanganica e Ruanda-Urundi) e più in generale per tutta l’Africa orientale dove, attraverso gli attuali Stati di Ruanda, Burundi, Tanzania e Mozambico, ordinò del colonnello, allora generale, Paul von Lettow-Vorbeck, qualche centinaio di tedeschi e da due a tremila ascari, l’equivalente dei fucilieri francesi, resistettero infatti fino al 25 novembre 1918, essendo riusciti a immobilizzare lontano dal Fronte europeo fino a 200.000 soldati britannici, sudafricani, portoghesi e belgi. Tagliati fuori da ogni rifornimento, sapendo sfruttare al meglio i loro magri mezzi, vivendo delle catture fatte contro il nemico, la loro esperienza merita di essere studiata nelle accademie militari. Nel marzo 1919, dietro al generale von Lettow-Vorbeck, i cento tedeschi sopravvissuti all’epopea africana fecero un ingresso trionfante a Berlino attraverso la Porta di Brandeburgo e la Pariser Platz. Il contesto era allora irto di tempeste perché nel dicembre 1918 la rivoluzione bolscevica aveva quasi conquistato la Germania e il generale von Lettow-Vorbeck giocava allora un ruolo essenziale e poco conosciuto. Nell’aprile 1919, le tre brigate navali tedesche (fanteria della marina), compresa la famosa brigata Ehrhardt, furono infatti unite al “1 ° reggimento coloniale” (Schutztruppe che non aveva combattuto oltremare), e il reggimento di artiglieria da campo di Osiander, per costituire la “Divisione Marine” di cui fu affidato il comando a Paul von Lettow-Vorbeck. Questa divisione della marina di von Lettow-Vorbeck, nota anche come divisione dei volontari di von Lettow-Vorbeck, fu ordinata da Noske, il ministro degli interni socialista, di spezzare le rivolte degli eredi comunisti degli spartachisti. Ha adempiuto perfettamente alla sua missione, sia ad Amburgo che a Monaco. È a questa epopea che Bernard Lugan ha dedicato un video corso di un’ora e mezza, illustrato con numerose mappe e immagini d’archivio.