Le potenzialità di cooperazione fra Mosca e Teheran sono promettenti, se i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire alle sanzioni. Resta l’incognita della stabilità regionale.
Come sapete, è attiva la possibilità di abbonarsi “a pagamento” alla newsletter (con formula di abbonamento mensile o annuale), oppure di offrire piccole donazioni“una tantum”. Gli articoli restano accessibili a tutti! Il motivo lo spiego qui.
Chi di voi volesse offrire un contributo, anche piccolo, mi darà un aiuto essenziale a mantenere in vita questa pubblicazione. Vi ringrazio.
E un grazie di cuore a coloro che si sono abbonati o hanno fatto una donazione! Il vostro è un aiuto importante.
Il presidente russo Vladimir Putin insieme all’omologo iraniano Masoud Pezeshkian (Kremlin, CC BY 4.0)
Appena tre giorni prima dell’inaugurazione della presidenza Trump, lo scorso 17 gennaio, Russia e Iran hanno firmato dopo lunghe trattative un atteso “accordo di partenariato strategico globale”.
La coincidenza è stata rilevata soprattutto dai commentatori occidentali, i quali hanno ricordato l’aiuto fornito da Teheran a Mosca sul teatro di guerra ucraino (in particolare attraverso l’invio di droni di fabbricazione iraniana).
Essi hanno anche menzionato il fatto che il nuovo presidente americano ha preannunciato un atteggiamento duro nei confronti dell’Iran, ed ha invece promesso di porre fine al conflitto in Ucraina, sebbene non sia assolutamente certo in qual modo, e (a detta dello stesso Trump)non sia escluso un inasprimento delle sanzioni contro Mosca.
Dal canto suo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha negato che vi fosse qualche relazione tra la firma dell’accordo e l’insediamento di Trump, ma l’evento ha segnato senza dubbio un ulteriore rafforzamento delle relazioni fra due paesi che sono entrambi oggetto di un duro embargo occidentale ed hanno rapporti conflittuali con l’Occidente.
La firma del trattato è avvenuta al Cremlino, in occasione della visita a Mosca del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a capo di una nutrita delegazione.
Questo evento lungamente atteso si inserisce in una fase in cui soprattutto l’Iran si sente minacciato “dall’amministrazione Trump, da Israele, dal crollo del regime siriano, dal collasso di Hezbollah”, ha affermato Nikita Smagin, analista che ha lavorato per i media governativi russi a Teheran prima dello scoppio del conflitto ucraino.
Tra gli osservatori, vi è chi ha descritto l’intesa come una “svolta epocale” e chi l’ha sminuita definendola vaga e inferiore alle aspettative.
Nessuna intenzione di inasprire i rapporti con l’Occidente
Nematollah Izadi, l’ultimo ambasciatore iraniano in Unione Sovietica, l’ha descritta come un patto volto a rafforzare la fiducia reciproca. Secondo lui, Teheran punterebbe a rassicurare Mosca che non tradirà questo promettente rapporto bilaterale anche se nel frattempo tenterà una distensione delle relazioni con l’Occidente.
Pezeshkian, esponente dell’ala riformista iraniana, ha vinto le elezioni presidenziali con una piattaforma che punta a porre al primo posto il miglioramento delle malandate condizioni economiche del paese.
Ciò può essere ottenuto solo attraverso l’abrogazione delle durissime sanzioni che soffocano l’economia iraniana, e dunque tramite una risoluzione della questione nucleare per via negoziale.
Il programma nucleare di Teheran ha ormai raggiunto un livello di sviluppo tale da rendere l’Iran una potenza nucleare “latente”. I vertici iraniani sono soddisfatti di questo risultato e sperano di riaprire il dialogo con l’Occidente.
Pezeshkian, in accordo con la Guida Suprema Ali Khamenei, punta non solo ad ottenere la rimozione delle sanzioni, ma anche a scongiurare un attacco militare israelo-americano alle installazioni nucleari del paese che potrebbe sprofondare l’intera regione in una guerra catastrofica.
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca pone senz’altro una pesante ipoteca su un simile tentativo. Fu lui ad uscire unilateralmente dall’accordo nucleare con Teheran negoziato dal suo predecessore Obama, e fu lui a far assassinare il generale Qassem Soleimani, considerato alla stregua di un eroe nazionale in Iran. Ma gli iraniani paiono determinati a tentare ugualmente.
Segnali incoraggianti, peraltro, provengono anche dalla Casa Bianca, dove il presidente appena insediato sembra intenzionato ad affidare il negoziato con l’Iran a Steve Witkoff, l’inviato speciale che ha già imposto a Netanyahu il cessate il fuoco a Gaza.
Dal canto suo, Mosca è sembrata aver a cuore che l’accordo di partenariato con l’Iran non venisse interpretato come la nascita di un’alleanza anti-occidentale ed anti-israeliana.
E’ probabilmente per questa ragione che la firma dell’intesa è stata così a lungo rinviata. In occasione del vertice dei BRICS, lo scorso ottobre nella città russa di Kazan, l’accordo sembrava sul punto di essere ratificato, ma il presidente russo Vladimir Putin chiese a Pezeshkian di compiere un’altra visita a Mosca appositamente per sottoscrivere questo documento.
La richiesta, che poteva essere attribuita a ragioni di protocollo, fu invece verosimilmente motivata dall’esigenza russa di attendere un allentamento delle tensioni in Medio Oriente (infuriava in quel momento la guerra fra Israele e Hezbollah in Libano, e i rapporti fra Teheran e Tel Aviv erano tesissimi).
Un lungo percorso di avvicinamento
L’idea di un accordo di partnership strategica, che sostituisse il precedente trattato siglato dai due paesi nel 2001, emerse per la prima volta nel 2020. Non essendo riuscito a migliorare le relazioni con l’Occidente, l’allora presidente iraniano Hassan Rohani decise di guardare ai paesi non occidentali.
Il primo accordo di partnership strategica fu siglato con la Cina nel marzo 2021. Seguirono quelli con Venezuela e Siria. I negoziati con la Russia si sono intensificati dopo lo scoppio del conflitto ucraino. Secondo alcune fonti diplomatiche, la finalizzazione del testo avrebbe richiesto da 20 a 30 sedute negoziali nel corso di cinque anni.
Nel frattempo, i rapporti fra i due paesi si sono rinsaldati a livello economico e militare a causa della crisi ucraina e dell’isolamento nel quale entrambi si sono venuti a trovare in conseguenza dell’ostracismo occidentale.
Il testo dell’accordo di partenariato, dunque, non contiene novità particolarmente eclatanti, ma più che altro riassume ed esplicita il rafforzamento delle relazioni registratosi negli ultimi tre anni, e gli accordi che ne sono derivati nei diversi settori di cooperazione.
Il nuovo trattato contiene 47 articoli che coprono un gran numero di aree differenti: la cooperazione economica e commerciale, la collaborazione tecnologica, l’impiego pacifico dell’energia nucleare, l’antiterrorismo, la cooperazione regionale, ecc.
A differenza degli accordi stipulati dalla Russia con Corea del Nord e Bielorussia, il documento non contiene una clausola di “difesa comune”.
Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la Russia non vuole correre il rischio di andare direttamente in guerra contro Israele o gli Stati Uniti per difendere l’Iran.
Per altro verso, anche i vertici iraniani conservano un certo livello di cautela nei confronti di Mosca, ricordando le cessioni territoriali che il paese dovette fare all’impero russo nella prima metà del XIX secolo e il ruolo di potenza coloniale che quest’ultimo giocò sul territorio iraniano, in competizione con l’impero britannico, all’inizio del XX.
Molto più di recente, frizioni si sono registrate fra Teheran e Mosca in occasione dell’inaspettato e repentino crollo del regime del presidente Bashar al-Assad in Siria, importante alleato di entrambi nella regione mediorientale.
Si tratta tuttavia di dissapori non in grado di guastare la partnership fra i due paesi, sebbene i loro interessi strategici non siano sempre convergenti.
Riserbo sulla cooperazione militare
Il testo dell’intesa prevede in compenso (articolo 4) lo scambio di informazioni di sicurezza e di intelligence, aggiungendo che il livello di cooperazione in quest’ambito sarà specificato in “accordi separati”.
L’articolo 5, che riguarda le relazioni militari, copre un vasto ambito ma è anch’esso a prima vista alquanto vago: “Le parti contraenti si consulteranno e coopereranno nel contrasto a comuni minacce militari e di sicurezza di natura bilaterale e regionale”.
Anche in questo caso, tuttavia, il testo specifica che lo sviluppo della cooperazione militare fra gli organismi competenti sarà implementato da accordi separati. Sembra dunque che il trattato sia improntato ad un certo livello di segretezza per quanto riguarda la collaborazione militare e di intelligence.
In riferimento alle sanzioni di cui entrambi i paesi sono oggetto, il documento invece dichiara esplicitamente che Mosca e Teheran collaboreranno per contrastare “l’applicazione di misure coercitive unilaterali” e “garantiranno la non-applicazione” delle suddette misure “rivolte direttamente o indirettamente contro ciascuna delle parti contraenti”.
Il nodo del Caucaso
Una sezione importante dell’accordo è dedicata al Caucaso, dove si deciderà una componente non secondaria del futuro della partnership fra i due paesi.
L’articolo 12, definito di “fondamentale importanza” da alcuni esperti russi della regione, impegna i due firmatari a rafforzare la pace e la sicurezza in quest’area (oltre che in Asia Centrale, Transcaucasia e Medio Oriente) ed a “cooperare con l’obiettivo di impedire l’ingerenza” e la “presenza destabilizzante” di “paesi terzi”.
Si può ragionevolmente ipotizzare che tali paesi includano gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, Israele, i paesi dell’UE, e probabilmente la Turchia.
A tale riguardo, va ricordato che i “flirt” del premier armeno Nikol Pashinyan con Stati Uniti e UE, e gli stretti rapporti del presidente azero Ilham Aliyev con Turchia e Israele, pongono Erevan e Baku in contrasto rispettivamente con Mosca e Teheran.
L’articolo 14 impegna le parti a promuovere l’espansione del commercio tra l’Iran e l’Unione Economica Eurasiatica(UEE), di cui la Russia è paese fondatore. Quest’anno vedrà l’implementazione di un accordo di libero scambio tra Iran e UEE che ridurrà i dazi sul 90% delle merci scambiate.
A questo proposito è di particolare importanza il confine condiviso fra l’Iran e l’Armenia, paese membro dell’UEE, nella provincia montuosa di Syunik.
L’Azerbaigian rivendica in questa regione il cosiddetto “corridoio di Zangezur” che lo metterebbe in collegamento con la sua exclave di Nakhchivan. Un’ambizione che punta a creare quello che Teheran definisce il “corridoioTuranico NATO”, il quale unirebbe le repubbliche dell’Asia centrale, e le loro risorse energetiche, alla Turchia (membro dell’Alleanza Atlantica) tramite Azerbaigian e Nakhchivan.
Corridoio di Zangezur
La realizzazione di tale corridoio avrebbe l’effetto di permettere alla NATO di avere accesso al Mar Caspio. Si comprende dunque come l’esito di questa disputa sarà fondamentale per il futuro dei rapporti tra Russia e Iran.
La sfida energetica e commerciale
L’articolo 13 si concentra esclusivamente sulla regione del Caspio, importante per Mosca e Teheran non solo sotto il profilo della sicurezza (come abbiamo visto), ma anche di quello energetico, dei trasporti e della cooperazione commerciale.
Esso riflette l’aspirazione dell’Iran a diventare un hub internazionale del gas, una visione che i vertici russi avevano in passato proposto alla Turchia, quando i rapporti fra i due paesi erano più amichevoli.
Mosca intenderebbe riorientare parte dei propri piani di esportazione energetica dalla Cina (con Pechino, infatti, continuano a sussistere problemi nella definizione del prezzo di esportazione del gas) in direzione dell’Iran, in una sorta di “pivot verso sud” che rappresenterebbe una terza via di sbocco delle risorse energetiche russe, alternativa a quella europea e a quella cinese.
Tramite un gasdotto che dovrebbe attraversare l’Azerbaigian, Mosca esporterebbe inizialmente appena 2 miliardi di metri cubi di gas all’anno verso l’Iran, per poi arrivare fino a 55 miliardi, la stessa capacità dell’ormai inutilizzabile Nord Stream 1 diretto in Germania.
Tecnologie ed investimenti russi potrebbero inoltre sbloccare le enormi riserve di gas iraniano, liberando Teheran dalla crisi energetica che paradossalmente la sta soffocando a causa delle sanzioni e della mancanza di investimenti, e portando i due paesi a creare una sorta di cartello del gas in grado di gestire i prezzi globali e rifornire la vicina India.
Caspio e Caucaso sono essenziali per la realizzazione del cosiddetto International North-South Transport Corridor (INSTC), corridoio logistico che consente a Mosca di esportare i propri beni verso l’Asia e l’Africa attraverso l’Iran, bypassando il Baltico, il Mar Nero e il Canale di Suez.
L’INSTC (in rosso) e la rotta tradizionale attraverso il Canale di Suez (in blu) (Public Domain)
Il valore degli scambi tra Russia e Iran è tuttavia al momento abbastanza magro, aggirandosi fra i 4 e i 5 miliardi di dollari. L’economia iraniana continua ad essere fiaccata dalla scarsità di investimenti e dal pluridecennale embargo occidentale.
Lo sviluppo dell’INSTC dovrebbe fornire a Mosca e Teheran un importante canale per aggirare le sanzioni che affliggono entrambi i paesi, i quali a tal fine stanno anche integrando i propri sistemi nazionali di pagamento. Nel 2024, le transazioni effettuate in rubli russi e rial iraniani hanno rappresentato oltre il 95% del commercio bilaterale.
Le potenzialità di cooperazione economica fra Russia e Iran sono dunque promettenti, nella misura in cui i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire al cappio delle sanzioni.
Da un punto di vista militare, invece, Mosca e Teheran non sono completamente allineate, e ciò lascia soprattutto Teheran esposta al rischio di un intervento militare israelo-americano qualora dovesse fallire il prossimo negoziato con l’amministrazione Trump appena insediatasi.
Mosca, IRNA – Il testo dell’accordo strategico globale congiunto tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa, che è stato firmato dai presidenti dei due paesi, Masoud Pezeshkian e Vladimir Putin, venerdì 17 gennaio 2025, in una cerimonia al Cremlino, è stato pubblicato sotto forma di un’introduzione e 47 articoli come segue:
TREATIA
sul Partenariato strategico globale
tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa.
La Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa, di seguito denominate “le Parti contraenti”,
esprimendo l’interesse a portare le relazioni interstatali amichevoli a un nuovo livello e a conferire loro un carattere globale, a lungo termine e strategico, nonché a rafforzarne le basi giuridiche,
convinti che lo sviluppo di un partenariato strategico globale serva gli interessi fondamentali della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran,
basandosi sui profondi legami storici tra i popoli iraniano e russo, sulla vicinanza delle loro culture e dei loro valori spirituali e morali, sulla comunanza di interessi, sui forti legami di buon vicinato e sulle ampie opportunità di cooperazione in campo politico, economico, militare, culturale, umanitario, scientifico, tecnico e in altri settori,
tenendo conto della necessità di rafforzare ulteriormente la cooperazione nell’interesse della pace e della sicurezza a livello regionale e globale,
Desiderando contribuire a un processo oggettivo di formazione di un nuovo ordine mondiale multipolare giusto e sostenibile, basato sull’uguaglianza sovrana degli Stati, sulla cooperazione in buona fede, sul rispetto reciproco degli interessi, sulle soluzioni collettive ai problemi internazionali, sulla diversità culturale e di civiltà, sul principio del diritto internazionale in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, compresa la rinuncia alla minaccia o all’uso della forza, sulla non interferenza negli affari interni e sul rispetto dell’integrità territoriale di entrambi gli Stati,
Riaffermando l’impegno a rispettare lo spirito, gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute in materia di relazioni amichevoli e cooperazione tra gli Stati, nonché guidati da tutti gli accordi esistenti tra le Parti contraenti, compresa la Dichiarazione tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa sulla promozione del diritto internazionale datata 27 Khordad 1399 dell’Hijri solare (corrispondente al 16 giugno 2020),
Sottolineando che il Trattato tra la Persia e la Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa del 7 Esfand 1299 di Solar Hijri (corrispondente al 26 febbraio 1921), il Trattato di Commercio e Navigazione tra l’Iran e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche del 5 Farvardin 1319 di Solar Hijri (corrispondente al 25 marzo 1940), il Trattato sulle basi delle relazioni reciproche e sui principi della cooperazione tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa datato 22 Esfand 1379 del Solar Hijri (corrispondente al 12 marzo 2001) e altri strumenti fondamentali conclusi dalle Parti contraenti hanno gettato una solida base giuridica per le relazioni bilaterali,
hanno concordato quanto segue:
Articolo 1
Le Parti contraenti cercheranno di approfondire ed espandere le relazioni in tutti i settori di reciproco interesse, di rafforzare la cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa, di coordinare strettamente le attività a livello regionale e globale, in linea con un partenariato globale, a lungo termine e strategico.
Articolo 2
Le Parti contraenti attuano una politica statale basata sul rispetto reciproco degli interessi nazionali e della sicurezza, sui principi del multilateralismo, della soluzione pacifica delle controversie e sul rifiuto dell’unipolarismo e dell’egemonia negli affari mondiali, nonché sul contrasto dell’ingerenza di terzi negli affari interni ed esterni delle Parti contraenti.
Articolo 3
Le Parti contraenti rafforzano le loro relazioni sulla base dei principi di uguaglianza sovrana, integrità territoriale, indipendenza, non ingerenza negli affari interni dell’altra Parte, rispetto della sovranità, cooperazione e fiducia reciproca.
2. Le Parti contraenti adotteranno misure per promuovere reciprocamente i suddetti principi nei vari livelli di relazione a livello bilaterale, regionale e globale e aderiranno e promuoveranno politiche coerenti con tali principi.
3. Nel caso in cui una delle Parti Contraenti sia oggetto di un’aggressione, l’altra Parte Contraente non fornirà all’aggressore alcuna assistenza militare o di altro tipo che possa contribuire al proseguimento dell’aggressione e contribuirà a garantire che le divergenze sorte siano risolte sulla base della Carta delle Nazioni Unite e delle altre norme applicabili del diritto internazionale.
4. Le Parti contraenti non permetteranno l’uso dei loro territori a sostegno di movimenti separatisti e di altre azioni che minacciano la stabilità e l’integrità territoriale dell’altra Parte contraente, nonché a sostegno di azioni ostili reciproche.
Articolo 4
1. Al fine di rafforzare la sicurezza nazionale e affrontare le minacce comuni, i servizi di intelligence e di sicurezza delle Parti contraenti si scambiano informazioni ed esperienze e aumentano il livello della loro cooperazione.
2. I servizi di intelligence e di sicurezza delle Parti contraenti cooperano nell’ambito di accordi separati.
Articolo 5
1. Al fine di sviluppare la cooperazione militare tra le rispettive agenzie competenti, le Parti Contraenti condurranno la preparazione e l’attuazione dei rispettivi accordi in seno al Gruppo di lavoro sulla cooperazione militare.
2. La cooperazione militare tra le Parti Contraenti coprirà un’ampia gamma di questioni, tra cui lo scambio di delegazioni militari e di esperti, gli scali in porto di navi e imbarcazioni militari delle Parti Contraenti, l’addestramento del personale militare, lo scambio di cadetti e istruttori, la partecipazione – previo accordo tra le Parti Contraenti – alle esposizioni internazionali di difesa ospitate dalle Parti Contraenti, lo svolgimento di competizioni sportive congiunte, di eventi culturali e di altro tipo, le operazioni congiunte di soccorso e salvataggio marittimo, nonché la lotta alla pirateria e alle rapine a mano armata in mare.
3. Le Parti Contraenti interagiranno strettamente nello svolgimento di esercitazioni militari congiunte nel territorio di entrambe le Parti Contraenti e al di fuori di esso, di comune accordo e tenendo conto delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute applicabili.
4. Le Parti Contraenti si consulteranno e coopereranno per contrastare le minacce militari e di sicurezza comuni di natura bilaterale e regionale.
Articolo 6
1. Nell’ambito di un partenariato globale, a lungo termine e strategico, le Parti contraenti confermano il loro impegno a sviluppare la cooperazione tecnico-militare sulla base dei rispettivi accordi tra loro, tenendo conto degli interessi reciproci e dei loro obblighi internazionali, e considerano tale cooperazione come una componente importante per il mantenimento della sicurezza regionale e globale.
2. Al fine di garantire un adeguato coordinamento e l’ulteriore sviluppo della cooperazione tecnico-militare bilaterale, le Parti contraenti terranno sessioni degli organi di lavoro pertinenti su base annuale.
Articolo 7
1. Le Parti contraenti cooperano a livello bilaterale e multilaterale nella lotta contro il terrorismo internazionale e altre sfide e minacce, in particolare l’estremismo, la criminalità organizzata transnazionale, la tratta di esseri umani e la presa di ostaggi, l’immigrazione clandestina, i flussi finanziari illeciti, la legalizzazione (riciclaggio) dei proventi del crimine, il finanziamento del terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il traffico illecito di merci, denaro, strumenti monetari, beni storici e culturali, armi, stupefacenti, sostanze psicotrope e loro precursori, lo scambio di informazioni operative e di esperienze nell’ambito della guardia di frontiera.
2. Le Parti contraenti sostengono l’interazione nella protezione dell’ordine pubblico e nel mantenimento della sicurezza pubblica, nella protezione di importanti strutture statali e nel controllo statale del traffico di armi.
3. Le Parti contraenti coordinano le loro posizioni e promuovono sforzi congiunti per combattere le sfide e le minacce menzionate nelle pertinenti sedi internazionali, nonché cooperano nell’ambito dell’Organizzazione internazionale di polizia criminale (INTERPOL).
4. Le Parti contraenti, nell’attuazione della cooperazione prevista dal presente articolo, si ispirano alla loro legislazione nazionale e alle disposizioni dei trattati internazionali di cui sono parti.
Articolo 8
1. Le Parti contraenti tutelano i diritti e gli interessi legittimi dei loro cittadini sul territorio delle Parti contraenti.
2. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione in tutti i settori giuridici di interesse, in particolare per quanto riguarda l’assistenza legale in materia civile e penale, l’estradizione e il trasferimento di persone condannate a pene detentive e l’attuazione di accordi per il recupero dei proventi di reato.
Articolo 9
1. Guidate dall’obiettivo di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, le Parti contraenti si consultano e cooperano nell’ambito delle organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate, sulle questioni globali e regionali che possono, direttamente o indirettamente, rappresentare una sfida per gli interessi comuni e la sicurezza delle Parti contraenti.
2. Le Parti contraenti cooperano e sostengono su base reciproca l’appartenenza di ciascuna Parte contraente alle organizzazioni internazionali e regionali pertinenti.
Articolo 10
Le Parti contraenti cooperano strettamente per il controllo degli armamenti, il disarmo, la non proliferazione e le questioni di sicurezza internazionale nell’ambito dei pertinenti trattati internazionali e delle organizzazioni internazionali di cui sono parti e si consultano regolarmente su tali questioni.
Articolo 11
1. Le Parti contraenti attuano la cooperazione politica e pratica nel campo della sicurezza informatica internazionale conformemente all’Accordo tra il Governo della Repubblica islamica dell’Iran e il Governo della Federazione russa sulla cooperazione nel campo della sicurezza informatica del 7 Bahman 1399 del Solar Hijri (corrispondente al 26 gennaio 2021).
2. Le Parti contraenti contribuiscono alla creazione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, di un sistema di sicurezza internazionale dell’informazione e di un regime giuridicamente vincolante per la prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti basato sui principi di uguaglianza sovrana e di non interferenza negli affari interni degli Stati.
3. Le Parti contraenti ampliano la cooperazione nel campo della lotta all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali, coordinano le azioni e promuovono congiuntamente iniziative nell’ambito delle organizzazioni internazionali e di altre sedi negoziali. Le Parti contraenti promuovono la sovranità nazionale nello spazio informativo internazionale, scambiano informazioni e creano le condizioni per la cooperazione tra le autorità competenti delle Parti contraenti.
4. Le Parti contraenti sostengono l’internazionalizzazione della gestione della rete Internet di informazione e telecomunicazione, sostengono l’uguaglianza dei diritti degli Stati nella sua gestione, considerano inaccettabile qualsiasi tentativo di limitare il diritto sovrano di regolare e garantire la sicurezza dei segmenti nazionali della rete globale e sono interessate a un maggiore coinvolgimento dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni nella soluzione di questi problemi.
5. Le Parti contraenti sostengono il rafforzamento della sovranità nello spazio internazionale dell’informazione attraverso la regolamentazione delle attività delle imprese internazionali nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonché attraverso lo scambio di esperienze nella gestione dei segmenti nazionali di Internet e lo sviluppo di infrastrutture nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e cooperano nel campo dello sviluppo digitale.
Articolo 12
Le Parti contraenti faciliteranno il rafforzamento della pace e della sicurezza nella regione del Caspio, dell’Asia centrale, della Transcaucasia e del Medio Oriente, collaboreranno per prevenire le interferenze nelle regioni specificate e la presenza destabilizzante di Stati terzi in tali regioni e scambieranno opinioni sulla situazione in altre regioni del mondo.
Articolo 13
1. Le Parti contraenti cooperano al fine di preservare il Mar Caspio come una zona di pace, buon vicinato e amicizia basata sul principio della non presenza nel Mar Caspio di forze armate non appartenenti agli Stati costieri, nonché per garantire la sicurezza e la stabilità nella regione del Caspio.
2. Le Parti contraenti, tenendo conto dei vantaggi della loro vicinanza territoriale e della loro connettività geografica, si sforzano di utilizzare tutte le capacità economiche del Mar Caspio.
3. Le Parti contraenti interagiscono attivamente per promuovere e approfondire il partenariato multidimensionale tra gli Stati della regione del Caspio. Durante la cooperazione nel Mar Caspio, le Parti contraenti si ispirano a tutti i trattati internazionali pentalaterali in vigore tra gli Stati del Caspio, di cui la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran sono parti, e confermano la competenza esclusiva degli Stati litoranei del Caspio nell’affrontare le questioni relative al Mar Caspio. Le Parti contraenti migliorano l’interazione bilaterale sulle questioni relative al Mar Caspio.
4. Le Parti contraenti cooperano, anche nell’ambito di attività progettuali congiunte, nel campo dell’uso sostenibile delle opportunità economiche del Mar Caspio, garantendo al contempo la sicurezza ambientale, la protezione della diversità biologica, la conservazione e l’uso razionale delle risorse biologiche acquatiche e dell’ambiente marino del Mar Caspio, e adottano misure per combattere l’inquinamento del Mar Caspio.
Articolo 14
Le Parti contraenti approfondiscono la cooperazione all’interno delle organizzazioni regionali, interagiscono e armonizzano le posizioni all’interno dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai nell’interesse del rafforzamento del suo potenziale nei settori della politica, della sicurezza, dell’economia e in ambito culturale e umanitario, e facilitano l’espansione dei legami commerciali ed economici tra l’Unione Economica Eurasiatica e la Repubblica Islamica dell’Iran.
Articolo 15
Le Parti contraenti promuovono lo sviluppo della cooperazione tra i loro organi legislativi, anche nel quadro delle organizzazioni parlamentari internazionali, dei vari formati multilaterali, dei comitati e delle commissioni specializzate, dei gruppi competenti per le relazioni tra l’Assemblea federale della Federazione russa e l’Assemblea consultiva islamica (Parlamento islamico) della Repubblica islamica dell’Iran, nonché della Commissione per la cooperazione tra la Duma di Stato dell’Assemblea federale della Federazione russa e l’Assemblea consultiva islamica (Parlamento islamico) della Repubblica islamica dell’Iran.
Articolo 16
1. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione interregionale, assumendo la sua particolare importanza per ampliare l’intera gamma delle relazioni bilaterali.
2. Le Parti contraenti creano condizioni favorevoli all’instaurazione di legami diretti tra le regioni russe e iraniane, facilitano la conoscenza reciproca delle loro potenzialità economiche e di investimento, anche attraverso l’organizzazione di missioni commerciali, conferenze, mostre, fiere e altri eventi interregionali.
Articolo 17
Le Parti contraenti sosterranno la cooperazione commerciale ed economica in tutti i settori di reciproco interesse coordinando tale interazione nell’ambito della Commissione permanente russo-iraniana per il commercio e la cooperazione economica.
Articolo 18
1. Le Parti contraenti facilitano lo sviluppo della cooperazione commerciale, economica e industriale, creando vantaggi economici reciproci, compresi gli investimenti comuni, il finanziamento delle infrastrutture, la facilitazione dei meccanismi commerciali e imprenditoriali, la cooperazione nel settore bancario, la promozione e la fornitura reciproca di beni, opere, servizi, informazioni e risultati di attività intellettuali, compresi i diritti esclusivi su di essi.
2. Consapevoli delle loro capacità di investimento, le Parti contraenti possono effettuare investimenti congiunti nell’economia di Stati terzi e, a tal fine, mantenere il dialogo nel quadro dei pertinenti meccanismi multilaterali.
Articolo 19
1. Le Parti contraenti contrastano l’applicazione di misure coercitive unilaterali, comprese quelle di natura extraterritoriale, e considerano la loro imposizione come un atto illecito e ostile a livello internazionale. Le Parti contraenti coordinano gli sforzi e sostengono le iniziative multilaterali volte a eliminare la pratica di tali misure nelle relazioni internazionali, guidati, tra l’altro, dalla Dichiarazione della Repubblica islamica dell’Iran e della Federazione russa sui modi e i mezzi per contrastare, attenuare e rimediare agli impatti negativi delle misure coercitive unilaterali, datata 14 Azar 1402 del Solar Hijri (corrispondente al 5 dicembre 2023).
2. Le Parti contraenti garantiscono la non applicazione di misure coercitive unilaterali dirette o indirette contro una delle Parti contraenti, le persone fisiche e giuridiche di tale Parte contraente o i loro beni soggetti alla giurisdizione di una Parte contraente, le merci, le opere, i servizi, le informazioni, i risultati di attività intellettuali, compresi i diritti esclusivi su di essi provenienti da una Parte contraente e destinati all’altra Parte contraente.
3. Le Parti contraenti si astengono dall’aderire a misure coercitive unilaterali o dall’appoggiare tali misure di terzi, se tali misure colpiscono o sono dirette direttamente o indirettamente contro una delle Parti contraenti, le persone fisiche e giuridiche di tale Parte contraente o i loro beni soggetti alla giurisdizione di tali terzi, le merci originarie di una Parte contraente e destinate all’altra Parte contraente, e/o le opere, i servizi, le informazioni, i risultati dell’attività intellettuale, compresi i diritti esclusivi su di essi forniti da fornitori dell’altra Parte contraente.
4. Qualora una terza parte introduca misure coercitive unilaterali nei confronti di una delle parti contraenti, le parti contraenti si adoperano concretamente per ridurre i rischi, eliminare o attenuare l’impatto diretto e indiretto di tali misure sui legami economici reciproci, sulle persone fisiche e giuridiche delle parti contraenti o sui loro beni soggetti alla giurisdizione delle parti contraenti, sui beni originari di una parte contraente e destinati all’altra parte contraente, e/o sulle opere, i servizi, le informazioni, i risultati dell’attività intellettuale, compresi i diritti esclusivi su di essi, forniti dai fornitori delle parti contraenti. Le Parti contraenti si adopereranno inoltre per limitare la diffusione di informazioni che potrebbero essere utilizzate da tali terzi per imporre e inasprire tali misure.
Articolo 20
1. Al fine di incrementare il volume degli scambi commerciali reciproci, le Parti contraenti creeranno le condizioni per sviluppare la cooperazione tra le organizzazioni di prestito, tenendo conto degli strumenti giuridici internazionali in materia di lotta al riciclaggio dei proventi del crimine e al finanziamento del terrorismo di cui le Parti contraenti sono parte, utilizzeranno vari strumenti di finanziamento del commercio, svilupperanno progetti comuni di sostegno alle esportazioni, svilupperanno il potenziale di investimento, amplieranno gli investimenti reciproci tra individui, società pubbliche e private e garantiranno un’adeguata protezione degli investimenti reciproci.
2. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione al fine di creare una moderna infrastruttura di pagamento indipendente da Stati terzi, di passare a regolamenti bilaterali in valute nazionali, di rafforzare la cooperazione interbancaria diretta e di promuovere prodotti finanziari nazionali.
3. Le Parti contraenti ampliano la loro cooperazione al fine di sviluppare il commercio e incoraggiare gli investimenti nelle zone economiche speciali/libere delle Parti contraenti.
4. Le Parti contraenti forniranno assistenza alle zone economiche speciali/libere della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran nello svolgimento di attività volte alla creazione di joint venture in aree di reciproco interesse e presteranno attenzione alla creazione di zone industriali.
5. Le Parti contraenti si dichiarano pronte a sviluppare una cooperazione reciprocamente vantaggiosa nei settori dell’estrazione dell’oro, della lavorazione dell’oro, dei diamanti e dei gioielli.
Articolo 21
1. Le Parti contraenti, tenendo conto delle loro capacità e competenze, sostengono una stretta cooperazione nel settore dei trasporti e riaffermano la loro volontà di sviluppare in modo globale il partenariato nel settore dei trasporti su base reciprocamente vantaggiosa.
2. Le Parti contraenti creano condizioni favorevoli per l’operatività dei vettori della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran, la facilitazione del processo di trasporto di merci e passeggeri con tutte le modalità di trasporto e l’aumento dei loro volumi, l’uso efficace delle infrastrutture stradali e di confine.
3. Le Parti contraenti svilupperanno la cooperazione nel settore dei trasporti stradali, ferroviari, aerei, marittimi e multimodali, nonché nella formazione di specialisti nel settore dei trasporti.
4. Le Parti contraenti collaborano attivamente allo sviluppo di corridoi di trasporto internazionali che attraversano il territorio della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran, in particolare il corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud. Tale cooperazione comprende la promozione delle merci provenienti dalle Parti contraenti nei mercati degli Stati terzi, nonché la creazione di condizioni per lo sviluppo di un trasporto senza soluzione di continuità attraverso i corridoi di trasporto, sia nel trasporto bilaterale che in quello di transito attraverso i loro territori.
5. Le Parti contraenti introdurranno sviluppi moderni nel settore dei sistemi di trasporto digitali.
6. Le Parti contraenti sostengono uno stretto coordinamento all’interno delle organizzazioni internazionali del settore dei trasporti, stabiliscono una cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra le autorità esecutive e le organizzazioni del settore dei trasporti e facilitano la loro partecipazione agli eventi internazionali del settore.
Articolo 22
1. Le Parti contraenti ampliano la cooperazione nel settore del petrolio e del gas secondo i principi di uguaglianza e di reciproco vantaggio e adottano misure per migliorare la sicurezza energetica delle Parti contraenti attraverso l’uso efficiente dei combustibili e delle risorse energetiche.
2. Le Parti contraenti promuovono la cooperazione energetica bilaterale nei seguenti settori:
2.1. Assistenza scientifica e tecnica, scambio di esperienze e introduzione di tecnologie avanzate e moderne nella produzione, lavorazione e trasporto di petrolio e gas;
2.2. Assistenza alle aziende e alle organizzazioni russe e iraniane del settore dei combustibili e dell’energia nell’espansione della cooperazione, comprese le forniture di energia e le operazioni di swap;
2.3. Promozione degli investimenti attraverso la cooperazione bilaterale nei progetti di sviluppo dei giacimenti di petrolio e gas nel territorio delle Parti contraenti;
2.4. Promozione di progetti infrastrutturali importanti per la sicurezza energetica globale e regionale;
2.5. Garantire un accesso non discriminatorio ai mercati energetici internazionali e aumentarne la competitività;
2.6. Cooperazione e attuazione di una politica coordinata nell’ambito di forum internazionali sull’energia, come il Forum dei Paesi esportatori di gas e l’OPEC-plus.
3. Le Parti contraenti rafforzeranno il livello di cooperazione e lo scambio di opinioni ed esperienze nel settore delle fonti energetiche rinnovabili.
Articolo 23
Le Parti contraenti promuovono lo sviluppo di relazioni a lungo termine e reciprocamente vantaggiose per la realizzazione di progetti comuni nel settore dell’uso pacifico dell’energia nucleare, compresa la costruzione di impianti nucleari.
Articolo 24
1. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione nei settori dell’agricoltura, della pesca, della veterinaria, della protezione e della quarantena delle piante e della produzione di sementi al fine di incrementare gli scambi reciproci e l’accesso dei prodotti agricoli ai mercati delle Parti contraenti e ai mercati degli Stati terzi.
2. Le Parti contraenti adottano le misure necessarie per garantire la sicurezza dei prodotti agricoli, delle materie prime e degli alimenti, che devono soddisfare i requisiti stabiliti in materia di controllo sanitario ed epidemiologico, veterinario, fitosanitario di quarantena e delle sementi (ispezione), nonché i requisiti per la manipolazione sicura dei pesticidi e dei prodotti chimici agricoli o altri requisiti stabiliti dalla legislazione delle Parti contraenti.
Articolo 25
Le Parti contraenti attuano la cooperazione doganale, compresa la realizzazione di progetti per la creazione di un corridoio doganale semplificato, il riconoscimento reciproco dei rispettivi programmi di operatore economico autorizzato al fine di promuovere la creazione di catene di approvvigionamento sicure, l’organizzazione della cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni doganali tra le rispettive autorità doganali.
Articolo 26
Le Parti contraenti, al fine di promuovere una concorrenza leale nei mercati nazionali e migliorare il benessere della popolazione, sviluppano la cooperazione nel campo della politica antimonopolistica.
Articolo 27
Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione su questioni quali il riconoscimento reciproco di norme, rapporti di prova e certificati di conformità, l’applicazione diretta di norme, lo scambio di esperienze e sviluppi avanzati nel campo dell’uniformità delle misure, la formazione di esperti e la promozione del riconoscimento dei risultati delle prove tra la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran.
Articolo 28
Le Parti contraenti interagiscono nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’educazione medica e della scienza, anche nell’ambito delle organizzazioni internazionali competenti, nei seguenti ambiti:
1.) Organizzazione del sistema sanitario statale e gestione dell’assistenza sanitaria;
2.) Prevenzione e trattamento delle malattie trasmissibili e non trasmissibili;
3.) Protezione della salute materna e infantile;
4.) Regolamentazione statale della circolazione dei farmaci per uso medico e dei dispositivi medici;
5.) Promozione di uno stile di vita sano;
6.) Ricerca medica;
7.) Introduzione delle tecnologie digitali nell’assistenza sanitaria;
8.) Formazione professionale degli specialisti del settore sanitario;
9.) Altri settori di cooperazione di interesse reciproco.
Articolo 29
1. Le Parti contraenti rafforzano la cooperazione per garantire il benessere sanitario ed epidemiologico della popolazione sulla base della legislazione nazionale e delle politiche statali di prevenzione e controllo delle infezioni, nonché dei trattati internazionali di cui le Parti contraenti sono parti.
2. Le Parti contraenti rafforzano il coordinamento nel campo del benessere sanitario ed epidemiologico e della sicurezza alimentare.
3. Le Parti contraenti promuovono l’armonizzazione dei requisiti sanitari e degli standard di sicurezza alimentare e la partecipazione reciproca agli eventi pertinenti da esse organizzati.
Articolo 30
1. Le Parti contraenti promuovono e rafforzano legami a lungo termine e costruttivi nei settori dell’istruzione superiore, della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, realizzano progetti scientifici e tecnici comuni, incoraggiano l’instaurazione e lo sviluppo di contatti diretti tra le istituzioni educative e scientifiche interessate delle Parti contraenti.
2. Le Parti contraenti promuovono il partenariato diretto tra le istituzioni educative e scientifiche di istruzione superiore interessate, anche per quanto riguarda lo sviluppo e l’attuazione di programmi e progetti scientifici, tecnici e di ricerca congiunti, lo scambio di operatori scientifici e pedagogici e di studenti, l’informazione scientifica e tecnica, la letteratura scientifica, i periodici e le bibliografie.
3. Le Parti contraenti facilitano lo scambio di esperienze e informazioni su questioni relative alla regolamentazione giuridica nel campo delle attività scientifiche, tecniche e innovative, l’organizzazione e lo svolgimento di seminari scientifici congiunti, simposi, conferenze, mostre e altri eventi.
4. Le Parti contraenti promuovono lo studio della lingua, della letteratura, della storia e della cultura ufficiali dell’altra Parte contraente nei loro istituti di istruzione superiore.
5. Le Parti contraenti assistono i propri cittadini nel perseguire l’istruzione in istituti scolastici dell’altra Parte contraente.
Articolo 31
Le Parti contraenti rafforzano l’interazione e lo scambio di opinioni e di esperienze in materia di esplorazione e sfruttamento dello spazio extra-atmosferico per scopi pacifici.
Articolo 32
Le Parti contraenti rafforzano i legami tra i mezzi di comunicazione di massa, nonché in settori quali la stampa e l’editoria, la promozione della letteratura russa e persiana, nonché le relazioni socio-culturali, scientifiche ed economiche, incoraggiando la conoscenza reciproca e i contatti di comunicazione tra i popoli della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran.
Articolo 33
Le Parti contraenti incoraggiano i loro mezzi di comunicazione di massa a cooperare ampiamente per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la libera diffusione delle informazioni al fine di opporsi congiuntamente alla disinformazione e alla propaganda negativa diretta contro la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran e di contrastare la diffusione di false informazioni di importanza pubblica che minacciano gli interessi nazionali e la sicurezza di ciascuna delle Parti contraenti, nonché altre forme di abuso dei media.
Articolo 34
1. Le Parti contraenti promuovono ulteriori interazioni nel campo della cultura e dell’arte, anche attraverso lo scambio di eventi culturali e la promozione di contatti diretti tra le loro istituzioni culturali al fine di mantenere il dialogo, approfondire la cooperazione culturale e realizzare progetti comuni a fini culturali ed educativi.
2. Le Parti contraenti facilitano la familiarizzazione dei popoli della Repubblica islamica dell’Iran e della Federazione russa con la cultura e le tradizioni reciproche, promuovono lo studio delle lingue ufficiali (russo e persiano), incoraggiano i contatti tra le istituzioni scolastiche, compreso lo scambio di esperienze tra i professori di lingua russa e persiana, la loro formazione e riqualificazione professionale, lo sviluppo di materiale didattico per lo studio del russo e del persiano come lingue straniere, tenendo conto delle specificità nazionali, e incoraggiano i contatti tra le personalità della letteratura, dell’arte e della musica.
3. Le Parti contraenti creeranno condizioni favorevoli per il funzionamento del Centro culturale iraniano a Mosca e del Centro culturale russo a Teheran, in conformità con l’Accordo tra il Governo della Repubblica islamica dell’Iran e il Governo della Federazione russa sull’istituzione e il quadro operativo dei Centri culturali del 24 Farvardin 1400 del Solar Hijri (corrispondente al 13 aprile 2021).
Articolo 35
Le Parti contraenti sostengono un’intensa cooperazione nel settore pubblico e privato nei campi della promozione del patrimonio culturale, del turismo, dell’arte e dell’artigianato, al fine di sensibilizzare la popolazione alla ricchezza socio-culturale e alle varie attrazioni turistiche della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran e di promuovere i contatti diretti tra le loro organizzazioni turistiche.
Articolo 36
Le Parti contraenti incoraggiano gli scambi bilaterali di giovani, facilitano l’instaurazione di contatti diretti tra associazioni creative, sportive, socio-politiche e altre associazioni giovanili e promuovono conferenze, seminari e consultazioni tematiche congiunte sulle questioni giovanili.
Articolo 37
Le Parti contraenti facilitano il rafforzamento della cooperazione nel campo della cultura fisica e dello sport attraverso lo scambio di allenatori e altri specialisti in educazione fisica e sport, nonché l’ampliamento dei contatti diretti tra le loro organizzazioni sportive.
Articolo 38
Le Parti contraenti si prestano reciprocamente assistenza per la prevenzione, la risposta e la mitigazione delle catastrofi naturali e di origine umana, nonché per lo sviluppo e il miglioramento del sistema di gestione delle crisi.
Articolo 39
Le Parti contraenti cooperano nel campo della protezione dell’ambiente attraverso la condivisione di esperienze sull’uso razionale delle risorse naturali, l’introduzione di tecnologie rispettose dell’ambiente e l’attuazione di misure di protezione ambientale.
Articolo 40
Le Parti contraenti facilitano la cooperazione e lo scambio di opinioni ed esperienze nel campo della gestione delle risorse idriche.
Articolo 41
Le Parti contraenti, al fine di definire aree e parametri specifici di cooperazione previsti dal presente Trattato, possono, se necessario, concludere accordi separati.
Articolo 42
Le Parti contraenti si scambieranno opinioni sull’attuazione delle disposizioni del presente Trattato, anche in occasione di vertici periodici e riunioni ad alto livello.
Articolo 43
Il presente Trattato non pregiudica i diritti e gli obblighi delle Parti contraenti derivanti da altri trattati internazionali.
Articolo 44
Qualsiasi controversia derivante dall’interpretazione o dall’attuazione delle disposizioni del presente Trattato sarà risolta attraverso consultazioni e negoziati tra le Parti contraenti per via diplomatica.
Articolo 45
1. Il presente Trattato è soggetto a ratifica ed entrerà in vigore allo scadere di 30 (trenta) giorni dalla data dell’ultima notifica scritta del completamento da parte delle Parti Contraenti delle relative procedure interne, e sarà valido per 20 (venti) anni con rinnovo automatico per successivi periodi di cinque anni.
2. Il presente Trattato sarà denunciato se una delle Parti contraenti notificherà per iscritto all’altra Parte contraente la sua intenzione di denunciare il presente Trattato al più tardi 1 (uno) anno prima della sua scadenza.
Articolo 46
La cessazione del presente Trattato non pregiudicherà i diritti e gli obblighi delle Parti Contraenti, così come i loro progetti, programmi o accordi in corso che sono stati realizzati nel corso dell’attuazione del presente Trattato prima di tale cessazione, a meno che non concordino diversamente per iscritto.
Articolo 47
Di comune accordo scritto delle Parti contraenti, il presente Trattato può essere emendato e integrato. Tali emendamenti e integrazioni costituiranno parte integrante del presente Trattato ed entreranno in vigore in conformità con l’articolo 45 dello stesso.
Il presente Trattato, composto da un preambolo e da 47 (quarantasette) articoli, è stato concluso nella città di Mosca il 28 dicembre 1403 dell’Hijri solare, corrispondente al 17 gennaio 2025, in due originali in lingua persiana, russa e inglese, tutti i testi facenti ugualmente fede.
In caso di disaccordo nell’interpretazione o nell’attuazione del presente Trattato, sarà utilizzato il testo inglese.
Teheran, IRNA – I leader dei Paesi arabi della regione del Golfo Persico hanno chiesto al presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump di adottare “una posizione più morbida” nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran, secondo quanto riportato da un rapporto.
Il New York Times ha riportato lunedì che i leader arabi hanno anche esortato Trump – che diventerà ufficialmente presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio – ad adottare “una linea più dura nei confronti di Israele”.
Durante il suo primo mandato, Trump ha ritirato gli Stati Uniti da un accordo storico tra l’Iran e sei potenze mondiali, tra cui l’America. Aveva fatto campagna elettorale contro l’accordo ed era amareggiato dal fatto che non avesse portato benefici finanziari agli Stati Uniti. Successivamente, poiché l’Iran si rifiutava di negoziare un altro accordo con uno Stato perfido, Trump ha lanciato quella che ha definito una campagna di “massima pressione” su Teheran.
Sempre durante il suo primo mandato, Trump ha abbracciato i Paesi arabi in quella che era percepita come una coalizione anti-Iran.
In quello che il New York Times descrive come un cambiamento significativo, quegli stessi Paesi arabi hanno ora chiesto al prossimo presidente degli Stati Uniti di ammorbidire la sua posizione sull’Iran durante il suo secondo mandato.
Il rapporto ha evidenziato i commenti pubblici dei leader arabi nell’ultimo anno, da quando Israele ha lanciato una guerra contro la Striscia di Gaza nell’ottobre 2023, e ha affermato che i commenti rivelano un riposizionamento dell’atteggiamento.
L’orrenda perdita di vite umane e l’essenziale appiattimento della Striscia di Gaza, che molti Paesi ora considerano equivalente a un genocidio, ha spinto i leader arabi, in precedenza per lo più ignari della condizione dei palestinesi sotto l’occupazione e l’assedio israeliano, a cambiare la loro posizione.
La guerra israeliana in corso ha ucciso più di 46.500 palestinesi, e non solo.
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIOll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo oppure https://it.tipeee.com/italiaeilmondo/Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 4.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIO
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:
postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704
Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Un nuovo discorso della pretendente georgiana Salome Zourabichvili al Parlamento europeo è un must. È l’apoteosi del declino terminale dell’Ordine basato sulle regole, su cui ci siamo soffermati qui. Mentre le cose si fanno serie e l’élite dirigente europea spreca il suo mandato dal popolo, non ha altra via d’uscita che intensificare le politiche totalitarie per restare al potere e per mantenere il sistema , quella griglia interconnessa di potere dello stato profondo d’élite al controllo. Mentre ciò accade, i loro appelli antidemocratici diventano sempre più sfacciati, poiché sono costretti a dire le parti silenziose ad alta voce:
È nel contesto di quanto accaduto di recente in Romania e altrove che il suo discorso è visto nella sua luce più eclatante. In sostanza, chiede alle potenze europee di intervenire nel suo stesso paese, di agire contro il suo stesso popolo e governo, che lei definisce illegittimi; per la cronaca, ha ora definito illegittime sia le elezioni parlamentari che quelle presidenziali e ha giurato di restare illegalmente oltre la scadenza.
Ci sono così tante dichiarazioni palesemente ipocrite e traditrici che sarebbe troppo lungo elencarle tutte. Fin dall’inizio accusa le “tendenze imperialistiche” russe di voler influenzare la Georgia, ma quasi nello stesso fiato dichiara che la Georgia è un “interesse strategico” per l’Europa e che l’Europa dovrebbe quindi intervenire per prenderne il controllo. Non è forse imperialismo con lo stesso nome?
Prosegue nel suo discorso dicendo il non detto, citando ogni vantaggio strategico che la NATO e l’UE vedrebbero con la Georgia sotto il loro controllo, come il controllo del Mar Nero, dell’Armenia, del Caucaso, tra le altre cose.
Saluta l’annullamento illegale delle elezioni rumene, che viene accolto con fragorosi applausi dai burocrati corrotti e non eletti. ¹ E questo dimostra la flagrante corruzione del sistema: un impero morente cerca solo il potere assoluto e l’espansione a tutti i costi, nient’altro conta. Leggi, regole, principi democratici sono mere frivolezze da usare come merce di scambio o argomenti di discussione come mezzi per raggiungere un fine.
Questo discorso ha un significato particolare perché il mandato di Zourabichvili scade il 29 dicembre, quando il neoeletto ex presidente del Dream Party Mikheil Kavelashvili è pronto a entrare in carica. La pazza madame ha apertamente giurato che non si dimetterà, il che significa che un punto culminante di proporzioni senza precedenti è previsto tra una settimana e mezza.
Ma i saggi leader del Sud del mondo hanno dato ascolto alle incomprensioni dei burattini corrotti dell’Occidente. Bisogna solo ascoltare con quanta acutezza comprendono ciò che sta accadendo. In un momento in cui il governo di Macron sta crollando, Scholz ha perso un voto di fiducia parlamentare che ha portato a elezioni anticipate a febbraio, Biden è stato praticamente colpito e sostituito, Trudeau pronto a dimettersi secondo le voci, con l’intero ordine occidentale in crisi terminale, i saggi leader come Aliyev dell’Azerbaijan capiscono tutto. Qui afferma che Macron sta trasformando la Francia in uno “stato fallito”:
Ciò avviene proprio mentre risuonano i segnali d’allarme sul prossimo fallimento economico della Germania:
L’articolo continua descrivendo il malessere crescente:
Mentre gli standard di vita si erodono, gli elettori si guardano intorno per cercare qualcuno a cui dare la colpa, e le tensioni sociali allontanano i talenti stranieri di cui il paese ha disperatamente bisogno. Il cocktail tossico di cautela e risentimento si riverserebbe poi in tutta Europa.
“La vita di tutti, a poco a poco, peggiora un po’ per il resto della loro esistenza”, ha affermato Webb.
Nel frattempo, nel grande Q&A di oggi, Putin ha effettivamente sottolineato qualcosa di molto trascurato: che mentre l’inflazione in Russia era del 9%, i salari russi sono cresciuti di circa il ~9% nello stesso periodo, pareggiando così l’inflazione. I problemi economici della Russia possono essere caratterizzati più come: “troppo di una cosa buona”. E questo è un problema molto migliore da avere rispetto a quello che la maggior parte dell’Europa sta vivendo.
Come ultima riflessione generale: mentre le istituzioni che hanno governato il mondo dalla Guerra Fredda lentamente si disfano, il mondo inizia a entrare in una fase attiva di “uomo forte”. Una fase governata da gente come Netanyahu ed Erdogan, che non temono più i freni e gli sconcerti precedentemente in atto grazie al rispettato peso istituzionale internazionale che l’Occidente ha ora eroso in modo inetto. Anni e anni di totale disprezzo per il vero Stato di diritto da parte di governanti occidentali corrotti e cooptati hanno portato al completo screditamento di tutto, dall’ONU, alla CPI, all’OSCE, all’AIEA e a decine di altri baluardi adiacenti contro il caos.
Ora, probabilmente entriamo in una fase di folli che corrono sfrenati, approfittando del periodo di illegalità globale per espandere i loro aspiranti imperi. Erdogan ha di nuovo accennato a tanto in un nuovo discorso, dichiarando che la Turchia non sarà più vincolata alla sua originaria grandezza geografica:
Ciò sta per innescare un effetto a cascata di altre nazioni più piccole ovunque, in Africa e altrove, che vedono la loro possibilità di risolvere vecchi stalli geopolitici o di mettere in atto una vendetta. La Russia, naturalmente, è complice di ciò con la sua invasione dell’Ucraina solo perché l’irrefrenabile smisurata estensione antidemocratica dell’Occidente, la dipendenza dall’espansione imperiale e la conseguente abrogazione del diritto internazionale hanno portato alla frattura di questo sistema a cui la Russia è stata costretta a reagire. Il recente clamore attorno ai missili MRBM e all’Oreshnik è solo un esempio: è un sistema che non sarebbe esistito se non fosse stato per il rifiuto sfacciato degli Stati Uniti di onorare il Trattato INF.
Ancora guerra e caos da parte del Partito della Guerra e del suo Quarto Potere.
Israele cercherà allo stesso modo di spartirsi il resto della Palestina e della Siria a causa del crollo inconcludente dell’autorità morale e del potere istituzionale dell’Occidente. Ad esempio, l’infame Likudnik Bezalel Smotrich ha parlato di nuovo di spopolamento di Gaza e della formazione di un “impero” israeliano.
Ecco perché inevitabilmente il mondo deve rivolgersi alle stelle polari dell’Oriente, con la Cina come principale ancora benevola e centro di gravità dell’Ordine.
Passando all’Ucraina, c’è un aggiornamento interessante che vorrei sottolineare.
Nonostante le vittorie iniziali ucraine e il fallimento della Russia nel conquistare Kiev, Kharkiv e Odessa, in altre parole nel sottomettere il paese, “il numero di truppe russe è in continuo aumento”, ha detto. “Quest’anno, stimiamo che ci siano 100.000 truppe russe in più sul suolo ucraino”.
Aspetta un attimo. Quindi, nonostante tutte le chiacchiere sulle vittime russe senza precedenti, le truppe russe sono aumentate di 100.000 unità in Ucraina solo quest’anno ?
Considera questo: solo pochi report fa ho trattatoIl nuovo rapporto di Meduza che affermava che la Russia sta ora subendo una perdita netta di truppe. Lo ricordate?
Hanno affermato di usare “dati del bilancio federale” per dimostrare che la Russia ora è scesa a un numero potenzialmente basso di 14.000 reclute al mese, con perdite dichiarate ben oltre i 30-50k al mese. Com’è possibile che il suo esercito sia cresciuto di ben 100k quest’anno?
In effetti, abbiamo i numeri di Putin secondo cui la Russia arruola ancora circa 30.000 al mese. Per aggiungere 100.000 all’anno, la Russia deve guadagnare 8.000 al mese di guadagno netto, poiché 8.000 x 12 mesi sono 100.000. Ciò significa che la Russia sta subendo perdite di 22.000 al mese? Bene, sappiamo che il reclutamento non è andato tutto allo SMO, ma anche alla costruzione di vari eserciti e unità di riserva della Russia, in particolare per i nuovi distretti militari destinati a rafforzare il fianco occidentale della Russia contro gli accrescimenti della NATO. La Russia ha anche molti militari che terminano i contratti e si smobilitano dallo SMO, avendo bisogno di essere sostituiti. Solo i 300.000 mobilitati originali, per quanto ne so, sono obbligati a rimanere “fino alla fine”, mentre altri volontari arruolati possono arruolarsi per determinati periodi di tempo, come 6 mesi o 2 anni. Ho pubblicato diverse interviste con militari che hanno terminato il loro contratto e hanno scelto di non arruolarsi di nuovo come prova di ciò. L’Ucraina, d’altro canto, non consente a nessuno di “smobilitare”, quindi devono andarsene senza permesso.
Quindi chi sta mentendo qui? E chi è più vicino ai numeri, il vero comandante in capo o il giornale di propaganda occidentale Meduza?
Questa è la prova più chiara finora che la Russia non può assolutamente sostenere perdite nette o addirittura “perdite elevate”, poiché ciò comporterebbe che gli sforzi di reclutamento russi siano monumentalmente più grandi di quanto qualsiasi fonte occidentale possa mai ammettere.
Ma ciò che abbiamo sono resoconti di prima mano reali che ho trattato qui più volte da funzionari o ufficiali ucraini che affermano che l’Ucraina sta subendo una perdita netta mensile. Questo dovrebbe mettere a tacere la questione una volta per tutte.
Tornando all’ultimo argomento, un analista intrepido avrebbe ordinato il suo lotto di foto satellitari dell’attacco di Oreshnik all’impianto Yuzhmash di Dnipro. Ora abbiamo per la prima volta foto satellitari di alta qualità, che gli analisti occidentali erano così restii a ordinare per qualche motivo:
11 ore fa · 38 Mi piace · 15 commenti · Amerikanets
È un po’ inconcludente perché alcuni hanno sottolineato che alcuni dei buchi sono dovuti a precedenti scioperi sia nel 2022 che nel 2023, ma mostra alcuni crolli importanti di edifici che sono in realtà enormi. Se si studiano le dimensioni di quell’impianto e si confrontano con alcuni dei grandi blocchi di appartamenti sulla sua proprietà e nei dintorni, si nota che le officine della fabbrica sono di dimensioni enormi, come nota Amerikanets:
È anche importante notare che gli edifici di Yuzhmash sono grandi. Davvero grandi. Molti sono alti più di tre piani, con oltre 500.000 piedi quadrati per piano. Altri sono alti più di dieci piani. Tenetelo a mente quando guardate le immagini. Questo tipo di analisi ha una curva di apprendimento.
Per pura coincidenza, gli esperti ucraini hanno pubblicato le foto satellitari del presunto attacco di ieri allo stabilimento russo di Rostov Kamensk-Shakhtinsky
Nel caso te lo fossi perso, ecco i danni a un edificio causati da un presunto Storm Shadow o ATACMS. L’edificio in questione si trova a 48.29657145504684, 40.18249951977653 e misura esattamente 158 piedi di larghezza:
Si notino i miseri buchi qui sopra, ciascuno dei quali misura circa 4,5 metri di diametro.
D’altro canto, alcuni dei colpi di Oreshnik sembrano aver completamente demolito edifici o sezioni di edifici di lunghezza approssimativamente uguale, circa 150 piedi:
Il numero “1” soprastante corrisponde esattamente all’edificio “1” della prima immagine.
Questo aveva un’estensione di distruzione di 183 piedi:
Da una fonte esterna a scopo di confronto.
Ricordiamo che si trattava di un singolo missile con più testate e che la Reuters ha riferito, tramite fonti di intelligence occidentali, che si trattava di versioni “di prova” cinetiche inerti, dalle quali erano state rimosse le testate esplosive.
Detto questo, non sono convinto che Oreshkin sia economicamente sostenibile come arma di uso regolare, dato che le armi in stile ICBM costano in genere decine di milioni di dollari l’una. O forse sì? Una fonte afferma che nei primi anni 2000 il costo del missile singolo russo Topol-M avrebbe dovuto essere di 18 milioni di rubli, che al tasso di cambio di quel momento dovrebbe essere di circa 700.000 $ se i miei calcoli sono corretti.
Ora, dopo l’annuncio di Putin che l’Oreshnik entrerà nella produzione di massa, le affermazioni su quanti Oreshnik la Russia potrà produrre variano:
Dopo il primo utilizzo in combattimento da parte della Russia del missile balistico a raggio intermedio Oreshnik il 21 novembre, la Direzione principale dell’intelligence del Ministero della difesa ucraino ha reso pubblica una valutazione dell’intelligence sulla capacità produttiva dell’industria russa per il nuovo sistema d’arma. Si stima che la Russia sia in grado di produrre fino a 25 missili Oreshnik al mese, il che equivale alla produzione di 300 missili all’anno.
Quanto sopra afferma che i numeri di GUR sono 25 al mese, ma non sono riuscito a verificarlo da nessuna parte, il che suggerisce che è falso. Infatti, l’Ucraina lo ha confutato e in questo caso sono d’accordo con loro. 25 al mese è un numero enorme anche per i missili stile Kalibr o Kh-101, per Oreshnik è assolutamente impossibile. Più realistico è forse un paio di mesi o qualche dozzina all’anno al massimo, almeno per ora.
Detto questo, cosa pensi della nuova “sfida tecnologica” di Putin?
Va notato che subito dopo il debutto dell’Oreshnik, forse lottando per recuperare terreno e salvare la faccia, gli Stati Uniti hanno lanciato un test del loro Dark Eagle o LRHW (arma ipersonica a lungo raggio) :
Il test ha dimostrato che il Common Hypersonic Glide Body (C-HGB) raggiunge velocità ipersoniche superiori a Mach 5. Con una portata operativa segnalata di oltre 2.775 chilometri (1.724 miglia), il missile “Dark Eagle” offre la portata più lunga di qualsiasi sistema di attacco terrestre attualmente nell’inventario degli Stati Uniti. La testata dell’arma è progettata per fornire un immenso potere distruttivo, in grado di neutralizzare installazioni militari pesantemente fortificate, centri di comando e infrastrutture critiche con precisione millimetrica. Ciò rende il missile una risorsa decisiva in scenari che richiedono un rapido impegno di obiettivi di alto valore e critici in termini di tempo.
È stato il primo fuoco vivo in assoluto del sistema completo dell’erettore TEL. Con velocità dichiarate di “Mach 5” (rispetto ai Mach 10+ di Oreshnik) e un’autonomia di 2700 km (rispetto ai 5000-7000 km di Oreshnik), non è esattamente rivoluzionario.
—
Per concludere, ecco un canale televisivo francese che prende in giro Zelensky che visita un fittizio “Groland” francese per chiedere più armi:
Il tuo supporto è inestimabile. Se hai apprezzato la lettura, apprezzerei molto se sottoscrivessi un impegno mensile/annuale per supportare il mio lavoro, così che io possa continuare a fornirti report dettagliati e incisivi come questo.
Il partito conservatore non liberale “Sogno georgiano” raccoglie da solo, senza alleati, il 54,1% del voto secondo sistema proporzionale: per contro, le forze filo-UE e filoatlantiche – 4 mini coalizioni – raccolgono in tutto il 37%.
**
In che modo interpretare queste elezioni a beneficio dell’osservatore europeo/italiano nel modo più semplice possibile ? Innanzitutto chiarendo il campo di gioco e i suoi giocatori.
Abbiamo un paese, la GEORGIA, che si trova in una posizione geografica assai particolare, ai margini estremi del continente europeo (se ancora può definirsi tale), inserito in quella grande catena montuosa che è la fusione con il vicino medio oriente turco/iranico. Malgrado questo si tratta di un paese CRISTIANO (chiesa ortodossa autocefala georgiana) in mezzo al mare musulmano circostante, entrato nell’orbita russo imperiale 2 secoli fa, attraversando assieme a Mosca il settantennio sovietico, cosa che ne ha fondamentalmente secolarizzato il costume. Al termine dell’era sovietica, si rende indipendente, manifestando nel corso di tale processo, fisiologici moti antirussi post-sovietici, comuni in differenti misure in tutta la galassia post-sovietica (come i figli adolescenti che arrivano al momento della ribellione con i genitori).
Sulla base di tutti i fattori riportati sopra, ormai da oltre 20 anni si pianifica da parte europea di integrare tale paese nella casa comune guidata da Strasburgo e Bruxelles.
Insomma, si vuole la Georgia come membro dell’Unione Europea, questo è il punto.
Quanto questo intento sia plausibile e giustificabile non si può che lasciarlo al giudizio di ogni osservatore: si giudichi da sé quale e quanto senso possa avere cercare di integrare a tutti i costi in UE un minuscolo stato nazionale, la cui area storica non ha mai fatto parte dell’Europa – nè occidentale, ma per lungo tempo nemmeno di quella orientale – se non come margine estremo verso l’Asia musulmana, dotato di un’economia al medesimo livello di quelle nordafricane (che quindi non può apportare nulla, ma al contrario sarebbe un oggettiva zavorra aggiuntiva all’Unione. I parametri economici d’accesso, i requisiti non esistono per caso, ce lo si ricordi).
A questo punto perché non fare entrare anche la TURCHIA ? (è quello che Ankara ha domandato per anni prima di stancarsene, sostenuta a gran voce da Washington che – ricordiamocelo – voleva la Turchia nell’UE tanto quanto nella Nato). Oppure perché non fare il grande passo ed ammettere anche lo stato di ISRAELE ?? (c’è chi l’ha proposto, eccome).
Come ho cercato di sottolineare in precedenza, non sussiste (disgraziatamente) alcun fondamento razionale all’ingresso della Georgia, se ci si basa su un rispetto stretto dei criteri economici e culturali di adesione; il fondamento razionale invece esiste invece, eccome,…..se per tali criteri utilizziamo invece quelli geopolitici e geostrategici: un ulteriore tassello euro-atlantico nel cuore del Caucaso espanderebbe l’influenza politico/militare nell’area, a danno principalmente di Mosca che si ritroverebbe la Nato ai confini da meridione (e secondariamente di Teheran).
UE e NATO viaggiano (si propagano) in parallelo, ricordiamocelo anche se sembra banale dirlo: sono rispettivamente il braccio civile e militare della medesima entità di fondo, e l’uno va avanti seguito dall’altro a brevissima distanza o viceversa perchè servono lo stesso interesse (…)
Ergo, la chiave sono le RAGIONI (quelle reali) per le quali si vuole la Georgia in UE. Si può concordare o meno con tali ragioni – dipende dall’orientamento del lettore – ma quelle sono, quindi è giusto essere chiari in proposito senza accampare alibi vari.
Si può scegliere ciò che si vuole (sono chiaro), ma allora si abbia il coraggio di dirlo e affrontarne tutto quello che consegue (non ci si può aspettare che Mosca – o qualsiasi altra potenza di quel calibro – se ne stia con le mani in mano mentre gli si costruisce attorno un confine fatto di missili puntati contro: in Ucraina quanto a Taiwan o in qualsiasi altro posto…non fa testo se fatto volontariamente o meno, democraticamente o meno ! Sia come sia, su un piano geostrategico si traduce in un rischio per Mosca, la quale chiaramente si interesserà alla questione in un modo o in un altro).
–
Se è chiaro quanto scritto sopra allora si può proseguire.
Allora CHI vuole la Georgia nell’UE ? Le cosiddette correnti filoccidentali che in concreto sono i partiti, movimenti e coalizioni a sostegno tanto dell’integrazione europea quanto (al 99,9%) all’ingresso nell’Alleanza atlantica. Sono quelli che organizzano le parate di piazza a favore dei diritti civili come di tradizione newyorkese, londinese o parigina……alfieri dell’ideologia liberale di classico conio, affiancati da una piccola galassia di ONG generosamente finanziate dall’estero. Si tratta del popolo che urla a squarciagola e issa vessilli arcobaleno per tutta la città nel nome della giustizia. In parole altre, mi spiace dirlo, sono quella fascia di società che, imbevuta di un’immagine idilliaca delle società euro-americane (desiderandone la prosperità), finisce per esserne usata per scopi altri (che nulla hanno che fare con la prosperità).
Questo popolo, molto rumoroso sulla strada lo chiameremo “Popolo Arcobaleno” (che in questo caso non è nemmeno tanto ad indicare l’associazione col movimento Lgbtq, quanto una visione del mondo “prospera”, per quanto illusoriamente).
CHI è contro costoro ?
Un partito sorto una quindicina di anni fa ad opera di un miliardario locale: si chiama “SOGNO GEORGIANO”, nome attorno al quale da adesso tutto girerà.
Diciamo da subito che la natura di questo partito è decisamente più complessa di quanto sia semplificato sui media occidentali: a beneficio del lettore diciamo che NON si tratta di un partito “filorusso” a scanso del fatto che tale etichetta gli è stata applicata un po’ ovunque (…).
Si tratta di un partito nato come “di sinistra” sul piano della presenza dello stato e dell’assistenza sociale (cose che da un punto di vista liberal/anglosassone sono automaticamente considerate di sinistra), ma le combina con un deciso conservatorismo sul piano sociale. In pratica una destra di tipo SOCIALE (per così esprimersi): il problema è che alla filosofia liberal non sta bene alcuno dei due aspetti ! Dal momento che promuove un modello di libero mercato (assai poco assistenziale) e del tutto progressista su quello sociale. Oltre a tutto questo (cosa più grave in assoluto), “Sogno georgiano” promuove una politica di realpolitik con la RUSSIA; si muove in direzione di una normalizzazione dei rapporti e di una pacificazione della zona di frontiera – tormentata dal 2008 – così come una riapertura del commercio russo-georgiano (molto grande in rapporto alla piccola economia del paese).
Tutto questo scaturisce da un’impostazione di fondo che consiste nel realizzare la natura peculiare del paese, collocato sul piano storico/culturale tra due mondi: quello occidentale da un lato, ma anche quello russo dall’altro (col quale il legame è inscindibile). Si cerca pertanto un bilanciamento tra le due forze. L’obiettivo, pertanto, non è di essere per forza “amici della Russia” quanto trovare un equilibrio ragionevole che non costringa ad esserle nemici. Questa è la chiave di tutto: equilibrio e bilanciamento. Concetti che tuttavia stridono con le aspettative occidentali, nella misura in cui mal coincidono con un orientamento rigidamente antirusso adottato da tutto l’asse euro-americano. In base a questa ricerca di equidistanza si è limitata la presenza di ONG finanziate dall’estero (sapendo benissimo da chi sono finanziate; ricordiamo che non sono state vietate, ma solo è stato posto l’obbligo di registrarsi ed essere trasparenti……cose che sembrano ragionevoli da un altro punto di vista. Oppure no ? Si vorrebbe liberissimo e non trasparente finanziamento dall’estero ? Per nascondere cosa ? Si risponda anche a questo in coscienza, prego…). Si limita anche la forza del movimento LGBTQ nella misura in cui lederebbe il consenso in ampie parti del paese non in grado di metabolizzare idee del genere, generando divisioni e frizioni in seno a una società molto tradizionale.
In definitiva: cosa è “Sogno georgiano” e cosa vuole ? E’ un partito multisfaccettato, dall’approccio molto realistico: NON intende far sì che la propria società sia investita di cambiamenti che non condivide, nè che si ritrovi incastrata in alleanze politico/militari che non coincidono col proprio percorso storico. Sono leggi ed iniziative simili, analoghe a quelle russe sì, ma in realtà che non sono state prodotte al fine di emulare la Russia (idea questa, diffusa da occidente), quanto piuttosto perché vogliono riflettere il paese reale, il quale, coincidentalmente, è tanto conservatore quanto la Russia. Si tratta di una convergenza culturale piuttosto che di un piano geopolitico. PUNTO.
In nulla “Sogno georgiano” è specificamente “filorusso”: quest’ultima è una definizione data dai centri di potere e dai mezzi di informazione euro-americani (che hanno contribuito ad instaurarla nel pensiero comune). In realtà questo partito georgiano è “filorusso” soltanto se lo si osserva da una prospettiva severamente ANTIRUSSA: una prospettiva che Washington/Bruxelles gradirebbe per qualsiasi nuovo alleato che coopta (l’equivoco di fondo sta tutto lì : la Georgia è un paese fiero e indipendente, ma NON antirusso quanto paesi baltici e Polonia, che quindi punta ad una posizione più sfumata, nella crisi presente. Questo, ahimè, è sufficiente per farlo bollare come “filorusso” dall’asse euro-americano che nella propria foga tende a considerare come sospetto qualsiasi atteggiamento che non sia in linea col proprio. Diventa pertanto “filorusso” non soltanto chi è filorusso per davvero, ma anche colui che non si dichiara antirusso, pretendendo di mantenere una posizione equidistante.
Lo chiameremo quindi partito del paese profondo
= ……….ecco I due attori fin qui descritti si confrontano: il “popolo arcobaleno” e il “paese profondo” si confrontano direttamente (come oramai sta accadendo in tanti paesi dell’occidente europeo, vedi Francia e Germania).
I risultati sono quelli che si vedono. Il paese profondo veniva dato al 40% dai sondaggi commissionati dagli avversari (le forze liberal-progressiste si vedevano vincitrici e diffondevano tale idea), ma alla prova reale sul campo prende invece il 54% al voto nazionale e senza nemmeno alleati coi quali dover dividere il potere. Nelle zone rurali poi tale voto arriva a sfiorare il 90%.
Il popolo arcobaleno e le 4 coalizioni che lo rappresentano, sono andate poco sopra 1/3 del consenso nazionale.
Un messaggio forte che fa intendere lo scarto tra la minoranza rumorosa che va in piazza ad urlare ed il paese reale (che questo piaccia o meno a chi rimane affascinato dalle piazze solcate di bandiere e slogan).
Si deve aggiungere qualche nota specifica sul voto: come in tanti fanno notare, “Sogno georgiano” si è presentato su manifesti elettorali con iconografia che riflette ancora l’europeismo (vero). Un punto che consente dunque di evidenziare ulteriormente il grande equivoco che grava su queste elezioni e sulla natura del partito stesso di cui abbiamo già parlato addietro: il conservatismo georgiano NON è antieuropeo e non lo è mai stato………semplicemente non è disposto ad abbracciare per intero l’ideologia liberal/anglosassone che sembra ad esso esserne ormai connaturata. Il conservatismo georgiano è disposto a far parte della UE da un punto di vista economico (così come essa è sempre stata concepita), ma non a stravolgere il proprio background culturale per questo; piuttosto, è dalla sponda opposta (Bruxelles) che si pretende di imporre un’agenda politica e geopolitica assieme al benessere (illusorio) che darebbero in cambio. Ci si può dunque a questo punto domandare chi sia il più ipocrita: se “Sogno georgiano” che vuole il benessere europeo senza pagarne il prezzo sul piano dei valori, oppure la stessa UE, la quale formalmente si presenta come un’associazione economica, ma poi pretende di imporre una precisa agenda politica che interferisce direttamente con la società e la politica interna dei nuovi membri che vorrebbero aderire (di nuovo, ognuno in cuor proprio opti per la variante che crede).
D’altro canto si deve sottolineare un fatto: se ammettiamo che non è stato corretto da parte di “Sogno georgiano” servirsi della simbologia UE nella sua campagna elettorale non condividendone i valori, allora parimenti non è stato corretto da parte filoccidentale trasformare l’intera campagna in un referendum pro o contro la RUSSIA.
Quanto è accertato è che le forze liberali e filoccidentali in campagna elettorale hanno da subito stravolto il senso delle cose: quello che doveva essere un confronto, di per sé importante, sulla politica interna del paese e sulla sua società……….è divenuto un confronto di politica ESTERA, focalizzato sul “filorussismo” o meno. La cosa è stata fatta ingenuamente oppure deliberatamente. C’è da temere sia la seconda. Esattamente come nel caso moldavo una settimana fa, si è fatto sì che il tema geopolitico divenisse impropriamente l’ago della bilancia, argomento da sventolare minacciosamente e a sirene spiegate in modo proprio da convincere quella parte del paese, la più nazionalista e conservatrice, a votare PRO-Europa, pur non condividendone l’orientamento liberale.
La dinamica è proprio la medesima a pensarci: il fronte liberale filoccidentale, ben consapevole della difficoltà di far accettare ad una società tradizionalista come quella georgiana un’agenda molto progressista, allora ricorre allo spauracchio Russia/Urss, consapevole dell’avversione istintiva che provoca in tutta la popolazione, trasversalmente….nella speranza di ottenere voti anche in quelle fasce che non voterebbero MAI riforme di matrice troppo liberale.
Escamotage semplice ed efficace: il problema è che non è bastato e nemmeno lontanamente. Ha pesato il fatto che la Georgia, a differenza della Moldavia, ha molti meno emigrati residenti in Europa (oltre 1 milione in realtà, ma tutti in Russia) e, pertanto non c’è stato nessun flusso di voti filoeuropeo dall’estero a ribaltare il verdetto, come nel caso moldavo (…). Trasformare le elezioni in un referendum contro la Russia è stato fallimentare; una mossa poco responsabile che riflette più la foga antirussa dell’occidente che non una reale valutazione dell’interesse georgiano, puntando tutto sul risveglio di un antirussismo che non è presente nella società georgiana (non nella medesima misura di paesi baltici o Polonia) con pochi risultati. Potrebbe al contrario aver spaventato molti georgiani alla prospettiva di far diventare il paese un ennesimo fronte armato, costantemente attivo, contro il gigante vicino.
Nella sostanza l’errore UE/USA è stato questo: hanno sponsorizzato (perché gli sponsor ideologici e materiali sono loro) una campagna elettorale basata non tanto su un oggettivo benessere nazionale da condividere quanto sulla paura di un ipotetico nemico alle frontiere. Il timore anziché una qualche giustizia. C’è da ritenere che la società georgiana in fondo abbia percepito qualcosa di tutto questo: che il guadagno sarebbe stato minimo (l’UE non regala a nessuno il proprio benessere, al massimo fa “prestiti”, come Kiev ben presto scoprirà) e il prezzo da pagare sarebbe stato alto (trovarsi una Russia eternamente nemica, e questo senza peraltro che i georgiani fossero nemici della Russia).
CONCLUSIONE
Chi di dovere (cioè chi aveva accesso ai sondaggi veri e non di propaganda), si è reso conto già da molte settimane delle scarse possibilità di successo , tanto in Moldavia quanto in Georgia e difatti (NOTARE bene*) la copertura mediatica nelle ultime settimane si è gradualmente assottigliata fino a scomparire in prossimità di tali consultazioni elettorali che sono letteralmente scomparse dalle pagine delle testate principali.
Se il caso moldavo è stata una delusione, e lo si prevedeva, allora tanto più si sapeva che quello georgiano – più difficile per le ragioni ricordate – sarebbe andato anche peggio; così è stato. Per tale ragione non se ne sente parlare da nessuna parte, cosa strana per un evento che si diceva tanto importante.
Cosa accadrà da qui in avanti non è per nulla certo: nè come si muoverà l’ora potentissimo “Sogno georgiano”, nè come si muoveranno le opposizioni così imbarazzantemente sconfitte. La disfatta è stata troppo netta, purtroppo, per invocare con forza i brogli elettorali (cosa che comunque stanno già facendo come di rito); l’unica cosa che rimane in alternativa è un atto di forza, ossia una rivoluziona colorata, che però a questo punto determinerebbe rischi di guerra civile inenarrabile alimentata da opposti attori geopolitici esterni (penso che nemmeno il fronte liberale georgiano osi una carta del genere, ma soprattutto per l’Europa la Georgia stessa non è così importante)
FINE.
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 3.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIO
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate:
postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704
Su PayPal, Tipee, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
C’era una volta la mezzaluna fertile, con le sue prime forme di aggregazione umana, i suoi primi minuscoli centri abitati, i suoi embrioni rudimentali di stato…….e quindi codici scolpiti nella pietra, sovrani feroci le cui sagome si stagliano in eterno su steli di basalto, altari che brillano della luce di mille idoli e tutto il resto (i manuali scolastici ci rendono l’idea sin dall’infanzia).
Dirigendosi a nord di questo primo bagliore della civilizzazione, l’umanità si dirada, torna ai suoi albori, ma non scompare: già i monarchi accadici sono al corrente di una “presenza” stanziata ai più remoti terminali a settentrione dei propri regni mesopotamici, là dove le lande desertiche della penisola arabica vanno ad incontrare sterminate catene rocciose di Anatolia e Caucaso. Si tratta della popolazione autoctona dell’altipiano caucasico, barbari delle montagne organizzati in tribù grossomodo federate tra loro: a questa presenza si assegna il nome di “NAIRI” (Na-‘i-ru, o “terra dei fiumi”), ossia il nome che si da alla regione a partire da quest’epoca.
Abbiamo a che fare con gli antenati dell’attuale popolo armeno, come avrà già capito chi legge: l’appellativo NAIRI, verrà ancora usato dai letterati locali del XX secolo, come sinonimo poetico per “Armenia”. Costoro per lingua ed origine non rientrano nella famiglia semitica e nemmeno in quella indoeuropea (per il momento), ma in una a parte, del tutto autoctona di genere caucasico (oggi estinta).
L’utilizzo del nome “NAIRI” passa dall’era accadica a tutta la fase ASSIRA della storia del vicino oriente: i guerrieri dell’altopiano, sebbene meno sofisticati comparativamente allo standard mesopotamico, sono indomiti e rappresentano una forza incombente in tutta una fascia a settentrione, capace di mettere in pericolo gli equilibri di potere del tempo sul territorio, tanto per la potenza assira tra il Tigri e l’Eufrate, quanto per quella ittita sul versante mediterraneo (siamo a circa 1200 anni prima di Cristo): insomma, un primordiale popolo delle montagne che tende a riversarsi pericolosamente sulle pianure circostanti (…).
La federazione di tribù delle montagne, i Nairi, riesce tuttavia ad evolversi abbastanza – nel giro di alcuni secoli – da prendere le sembianze di un regno organizzato, che prende il nome di URARTU (9° secolo A.C.): i suoi eserciti avanzano su ogni punto cardinale – ma soprattutto a sud – diventando il principale rivale dell’impero assiro e arrivando a strappare regioni agli ittiti, guadagnandosi quindi uno sbocco sul mare. Il regno di URARTU è tuttavia una realtà temporanea nel corso della storia : complessivamente dura non più di 400 anni (il suo apice circa 100 anni) ma rappresenta l’autentico zenit del popolo delle montagne: teniamo a mente questo nome astruso quindi, poiché rappresenta probabilmente il massimo momento di gloria che questo popolo abbia mai avuto, in ogni epoca (sebbene si possa porre l’interrogativo se considerare i sudditi di Urartu come “armeni”, dal momento che in questa fase storica NON parlano nemmeno ancora l’idioma armeno, quanto un non bene identificato sostrato caucasico anteriore all’indo-europeità che bene o male tutti conosciamo: al tempo di Urartu si utilizza l’alfabeto cuneiforme assiro per mettere per iscritto la propria parlata autoctona. Lascio il giudizio al lettore sulla questione di identità). Dopo la fine di URARTU….la storia dei “Nairi” continuerà – sotto altri nomi e idiomi – , e con pagine di rilievo, ma quasi sempre sotto l’egida di altre potenze vicine, direttamente o meno, per il mezzo millennio a venire.
Abbreviando una ragnatela di vicende che riguarda la storia antica della regione, possiamo dire che il declino di Urartu avviene quasi subito: dopo una finestra di tempo (il suo primo centinaio di anni) di illusoria potenza, inizia a collassare in primissimo luogo sotto i colpi delle armate del tardo impero ASSIRO – opponente storico – nonchè di barbari ancora più a nord di essi (i mitici CIMMERI). Gli assiri colpiscono il cuore di Urartu, ne distruggono il tempio (a Musasir, la sua città sacra) avviando quindi un processo irreversibile di assorbimento di quel regno nella più grande compagine imperiale assira.
Un successo – quello assiro – di notevole significato per l’epoca, ma del tutto effimero: la vittoria finale contro Urartu avviene cronologicamente TARDI, ossia da parte di un impero assiro già di per sé sulla via del declino (siamo nel 7° secolo prima di Cristo). Abbiamo quindi a che fare con un paradosso geopolitico per il quale uno stato collassa e si dissolve per mano di un altro più grande, il quale tuttavia è a sua volta in fase di declino e disfacimento per altre ragioni, lasciando sul campo un TERZO concorrente, agguerrito ed energico, che raccoglie le spoglie di ENTRAMBI (…).
Il concorrente di cui si parla sono i MEDI (e quindi i persiani stessi): il tardo impero assiro finisce tecnicamente, nel 612 A.C. tra le rovine di Ninive, la sua antica capitale, lasciando il proprio grande corpo nelle mani di nuovi invasori che lo riplasmeranno sotto il nome di “impero persiano”: quest’ultimo ricomprendendo tutto ciò che gli assiri avevano costruito e conquistato……ingloba pertanto anche il regno cliente di URARTU, che a questo punto scompare in tutti i sensi, diventando una semplice provincia caucasica dell’impero.
La conclusione storica di Urartu, regno che caratterizza l’età del ferro nel vicino oriente, non rappresenta la fine di tutto, quanto invece uno snodo essenziale tra quelli che ci condurranno verso il popolo armeno delle ere successive. Il territorio in questione – l’antico Nairi – rinasce come SATRAPIA persiana che ora prende il nome di “Armina” o “Arminiya”: l’impero regola la vita di questo territorio periferico attraverso una dinastia locale, ossia gli ORONTIDI (dal greco Ὀρόντης, che tuttavia è un adattamento dell’originale persiano “Arvand”, a sua volta derivato dall’antico armeno “Eruand”. Quest’ultimo nome diventa Yervand, nell’armeno moderno, il nome della capitale stessa…..).
Etimologie a parte, la dinastia orontide per quanto destinata per ragioni “naturali” ad un ruolo subordinato (sovrani di uno stato cliente), accompagna lo sviluppo dell’ “armenità” per i successivi 300 anni, lungo i passaggi tortuosi che vedono succedersi tre differenti realtà di genere universale: la compagine imperiale ACHEMENIDE (persiana) e quella ELLENISTICA, sino alla vigilia dell’ingresso della romanità nella regione (…).
Ora, senza addentrarci in interminabili narrazioni cronologiche delle vicende antiche – che non ha senso fare qui – e concentrandoci sul piano strettamente culturale, seguiamo l’evoluzione dell’identità del popolo che da titolo al post. La satrapia d’Armenia (che gode di prestigio ed autonomia particolari) subisce un pesante influsso durante la parentesi achemenide: si innesca un processo di persianizzazione – a partire dalle elite – il cui risultato permane per secoli (anche durante l’ellenismo) che vede armeno e persiano utilizzati a corte come l’aramaico – in alfabeto cuneiforme – utilizzato a scopi amministrativi, ma cosa più importante, in questo lasso di tempo avviene una conversione religiosa che coinvolge la maggior parte della popolazione, la quale abbandona definitivamente i vecchi politeismi caucasici per abbracciare lo ZOROASTRISMO. Alla vigilia dell’avvento della cristianità – molti secoli dopo – massima parte degli armeni era ancora saldamente zoroastriana, quanto gli imperatori di Persia ormai scomparsi mezzo millennio prima (…).
La dinastia riesce a sopravvivere al cataclisma che sprofonda l’impero achemenide al passaggio delle armate di Alessandro il macedone: a partire dal 321 A.C. riacquisisce una sua indipendenza come regno, ma solo per un tempo brevissimo prima di ritornare in stato di subalternità ad una delle principali derivazioni della galassia geopolitica ellenistica (i Seleucidi), sebbene con un grado di indipendenza superiore ad altre regioni (status quo già presente in era persiana). L’antica satrapia d’Armenia – ora satrapia di un regno ellenistico – continua ad esistere nelle circostanze presenti, in sinergia con l’impero seleucide, fino al momento in cui non inizia il suo declino (in coincidenza alla collisione militare con la Roma repubblicana nel 190 A.C. e la sconfitta sul campo a Magnesia, che segna il declino della falange macedone: da quell’anno il regno d’Armenia riacquisisce una sua indipendenza, che durerà per i 150 anni a venire, all’incirca).
E’ il secondo zenit, potremmo dire, della storia armena nell’età antica, dopo i primordi di Urartu: il regno di Armenia, appena riemerso indipendente dalla parentesi seleucide, cresce in potenza fino a rappresentare – sebbene non imponente territorialmente – un’importante realtà nello scacchiere geopolitico del vicino oriente del primo secolo avanti Cristo, o più precisamente uno dei più importanti opponenti (o alleati) di Roma in oriente. La collisione con quest’ultima tuttavia diventa inevitabile e il primo secolo prima di Cristo per l’appunto, vede una serie di sconfitte politiche e militari del regno di Armenia, il quale gradualmente traversa tutti i “livelli” di subordinazione ad un’altra potenza: nel giro di poco più di 50 anni il proprio status passa da rivale ad “alleato” e quindi “regno cliente”, giusto prima della nascita di Cristo.
Ancora una volta quindi (per la terza), lo stato armeno antico cede la sua indipendenza per entrare a far parte di una realtà più grande, universale, confrontandosi questa volta con la latinità (…).
Un’Armenia romana durerà per centinaia di anni, costituendone un tormentato confine orientale: essa è il punto d’incontro (e confronto) tra la potenza imperiale romana e quella PARTICA più ad oriente. Per brevissimo tempo annessa integralmente all’impero (114-118 d.C.) è in realtà governata da dinastie locali per massima parte della propria fase romana, che rappresentano di per sé il grado indispensabile di compromesso cui Roma deve prestarsi per mantenere l’equilibrio in una zona così periferica e vulnerabile dei propri confini.
Non determinabile, non calcolabile, l’influsso romano per il plasmarsi dell’identità armena dei millenni successivi: se già l’ellenismo aveva esercitato un effetto (adagiandosi ed adattandosi tuttavia molto, per molti versi, sul sostrato orientale anteriore), il contatto con l’universo latino è quanto veramente fa virare la storia d’Armenia verso occidente, imprimendo nel suo DNA culturale quelle premesse che ne determinano un’evoluzione di lungo corso la cui traiettoria va verso un meme “mediterraneo” che non affine alle pur fiorenti (e addirittura lussureggianti) realtà dell’Asia centrale limitrofa.
Si approssima il tempo della CRISTIANITA’…………………
(CONTINUA, su può interessare).
FONDAMENTI DI STORIA ARMENA [2]
* La luce di Cristo, tra Persia e Bisanzio.
—
Sono trascorsi centinaia di anni da quando le legioni hanno messo i loro avamposti alle pendici del Caucaso.
Chi si ricorda più dei Nairi o di Urartu e delle sue divinità ? Sono nomi dimenticati già allora: la “terra dei fiumi” si chiama “Armenia” adesso ed è un minuscolo regno arroccato sullo spartiacque montuoso caucasico, formalmente indipendente, ma in realtà subordinato a quella ciclopica macchina che è la romanità imperiale, della quale costituisce un remoto confine ad oriente; gli ARSACIDI (da Arshakuni) sono la dinastia regnante armena, “approvata” dagli imperatori di Roma, che si ritrovano a dover gestire la perenne collisione di quest’ultima con la Persia sassanide (sostenuta in questa fase della tarda antichità, dalla selvaggia forza dei Parti).
Il confronto tra le due forze – come si sa – è destinato a rimanere irrisolto ed il territorio armeno finisce per essere una martoriata area grigia, un confine “mobile” che passa da un contendente all’altro svariate volte nel corso di 400 anni di contrapposizione, in media 2 volte per ogni secolo (…): un trend circolare, senza termine, perlomeno fino al momento in cui il venir meno degli interpreti e delle strutture stesse che caratterizzano la tarda antichità non cessano gradualmente di esistere, per dar vita al contesto dell’era successiva.
Tale processo di superamento può essere identificato a partire dal 387 dopo Cristo quando l’Armenia viene divisa definitivamente in due parti: quella orientale – la parte più ampia – ai sassanidi che ne fa una regione persiana abolendo la dinastia arsacide, e quella occidentale che rientra in toto tra i confini della romanità di Costantinopoli.
La tarda antichità vede quindi apparire un’Armenia persiana ad oriente, ed una occidentale sotto egida bizantina, divisione che durerà oltre un secolo, ma a questo punto è indispensabile tuttavia prestare attenzione alla dimensione culturale dell’Armenia che trascende quella prettamente geopolitica: la realtà è che a prescindere dalle subalternità che vi sono (e vi saranno in seguito), il processo di etnogenesi armeno prosegue, dando forma ad una più specifica identità collettiva e quindi nazionale che sopravvive per il millennio a venire. Più precisamente, nel mentre che il confronto romano/partico è in corso, l’Armenia in quanto area facente parte del contesto imperiale romano è coinvolta nel generale processo di diffusione della cristianità che ne caratterizza gli ultimi secoli: massima parte della popolazione armena abbraccia la nuova religione (superando il precedente zoroastrismo), al punto che il regno adotta il nuovo culto come religione di stato nel 301 dopo Cristo, ossia ben 80 anni prima che lo stesso avvenga a Roma (editto di Teodosio del 380).
San Gregorio “portatore di luce”, è considerato il fondatore della chiesa apostolica armena (*intervento a parte prossimamente).
Circa un secolo più tardi (406 dopo Cristo), un sovrano armeno autorizza un linguista ( Mesrop Mashtots, divenuto poi santo della chiesa armena) a creare un nuovo alfabeto che attecchirà nelle generazioni a venire distinguendo l’abitato culturale armeno da quelli limitrofi, tanto musulmani che caucasici.
La suddivisione politica sopramenzionata tra Armenia bizantina ed Armenia persiana non arresta questo percorso di formazione dell’identità nazionale, che addirittura ne risulta rafforzato (nell’Armenia persiana si tenta di riconvertire la popolazione all’antico zoroastrismo, ma la popolazione si solleva dando vita ad una ribellione che, nonostante la sconfitta contro gli eserciti imperiali sassanidi, garantisce la libertà di culto (484 d.C.).
All’alba del 6° secolo dopo Cristo abbiamo dunque un areale armeno, saldamente cristiano (sotto l’egida di una propria chiesa autocefala) che parla un’unica lingua, riflessa da un alfabeto proprio, nonostante i dominatori del momento sullo scacchiere geografico ( a turno impero bizantino, persiano e prossimamente….arabo).
Con queste sembianze l’Armenia fa il suo ingresso in una nuova era (benvenuti nel medioevo)
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppurePayPal.Me/italiaeilmondoSu PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
L’imminente defezione dell’Armenia dal CSTO non sarà sostanziale se la NATO non le garantirà un accesso affidabile attraverso la Georgia, ma non si prevede che le autorità in carica di quest’ultima siano d’accordo. Ecco perché si sta preparando un’altra serie di disordini della Rivoluzione Colorata con il pretesto di “protestare” contro il procedimento di impeachment del presidente liberal-globalista.
Il presidente del parlamento georgiano ha chiesto spiegazioni agli Stati Uniti dopo che i servizi di sicurezza hanno smascherato un complotto per un cambio di regime finanziato dall’USAID nella capitale Tbilisi. Tre serbi di CANVAS, l’organizzazione responsabile dell’organizzazione della “Rivoluzione Bulldozer” del loro Paese nel 2000, sono stati arrestati alla fine della scorsa settimana con il sospetto di aver insegnato ai cosiddetti “attivisti” locali come rovesciare il governo. Dopo l’interrogatorio sono partiti per l’estero, ma lo scandalo ha fatto pensare a un nuovo sforzo di destabilizzazione del Paese.
Prima di quest’ultimo incidente, la Georgia aveva accusato l’Ucraina di complottare disordini contro le sue autorità, cosa che Kiev aveva ovviamente negato. Per coincidenza, però, nel fine settimana il parlamentare ucraino Aleksey Goncharenko ha scritto su Telegram: “Siamo pronti ad essere alleati degli Stati Uniti in tutte le operazioni militari più della Gran Bretagna”. Ciò ha fatto seguito alle notizie secondo cui l’Ucraina avrebbe effettuato attacchi con i droni contro i ribelli sudanesi presumibilmente sostenuti dalla Russia, presumibilmente su ordine degli Stati Uniti, se vero.
Considerando questo contesto, le affermazioni dei servizi di sicurezza sulla complicità ucraina nell’ultimo intrigo di cambio di regime del loro Paese sono credibili anche se Kiev non è stata direttamente coinvolta nello scandalo della scorsa settimana. Sorge quindi spontaneo chiedersi perché la Georgia sia stata presa di mira, visto che si tratta di un Paese filo-occidentale che vuole ufficialmente entrare a far parte dell’UE e della NATO. Quello che sta accadendo oggi è in realtà la seconda fase dello stesso processo che è stato messo in moto mezzo anno fa.
A marzo, gli Stati Uniti hanno tentato di rovesciare il governo del Paese, sostenendo che la sua proposta di legge sugli agenti stranieri, modellata su quella americana, sarebbe stata indicativa di un desiderio segreto di avvicinamento alla Russia. Non c’era nulla di vero in questa affermazione, ma è servita a provocare una Rivoluzione Colorata, poi fallita, che mirava ad aprire un secondo fronte di guerra per procura nella Nuova Guerra Fredda. Le analisi che seguono illustrano nel dettaglio le macchinazioni strategiche in atto e svelano il falso pretesto alla base di questo complotto:
* “La Georgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un ‘secondo fronte’ contro la Russia”.
* “Il ritiro da parte della Georgia della legge sugli agenti stranieri ispirata dagli Stati Uniti non porrà fine alle pressioni occidentali”.
* “La Russia ha denunciato gli Stati Uniti per i doppi standard nei confronti di Georgia-Moldova e Bosnia-Serbia”.
* “Esporre i due pesi e le due misure degli Stati Uniti nei confronti delle leggi sugli agenti stranieri simili o identiche di altri”.
Il governo conservatore-nazionalista della Georgia ha una politica sorprendentemente pragmatica nei confronti della Russia, nonostante voglia ancora ufficialmente entrare a far parte dell’Unione Europea e della NATO, tanto da rifiutarsi di imporre sanzioni contro di essa o di fare la voce grossa sull’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Per questo motivo, l’Occidente ha iniziato a preparare i suoi proxy liberal-globalisti alla rivolta come punizione, con l’obiettivo di fare pressione su di loro per farli tornare indietro o di sostituirli con burattini più compiacenti se si rifiutassero di farlo.
Questa campagna è stata forzata ad agire prematuramente in risposta all’imminente legislazione del governo che avrebbe permesso di gestire meglio queste crescenti minacce liberal-globaliste e quindi di neutralizzarle col tempo. L’Occidente ha ritenuto che la finestra di opportunità per aprire un secondo fronte contro la Russia attraverso la Georgia si stesse rapidamente chiudendo, motivo per cui ha dato l’ordine di iniziare le ostilità della guerra ibrida a marzo.
La crisi si è conclusa quasi subito dopo l’inizio, quando il governo ha prontamente ritirato il disegno di legge, eliminando così la base su cui i gruppi liberal-globalisti chiedevano le loro dimissioni. Il risultato finale è stato l’avvio di una sorta di cessate il fuoco in cui tutti hanno deciso informalmente di congelare la situazione per il momento, per convenienza reciproca. Il motivo per cui tutto si è scongelato nell’ultimo mese ha a che fare con una combinazione di sviluppi interni e regionali.
Sul fronte interno, il governo conservatore-nazionalista ha avviato la procedura di impeachment contro il presidente liberale-globalista del Paese, che l’opposizione sostenuta dall’Occidente considerava un gioco di potere che violava il cessate il fuoco informale di questa primavera. Allo stesso tempo, il governo liberal-globalista della vicina Armenia ha iniziato ad allontanarsi decisamente dalla Russia verso l’Occidente, il che ha rappresentato un gioco di potere regionale che ha inavvertitamente posto fine al conflitto del Karabakh, come spiegato di seguito:
* “Le tre ultime provocazioni anti-russe dell’Armenia rischiano di scatenare un altro conflitto in Karabakh”.
* Korybko ai media olandesi: La fine del conflitto in Karabakh rivoluzionerà la regione”.
* “La ‘pulizia etnica’ del Karabakh, artificiosamente costruita, è una manovra politica della diaspora”.
* Il Cremlino ha respinto le false affermazioni sulla situazione in Karabakh.
Dopo il fallimento dell’Occidente nell’aprire un secondo fronte contro la Russia nel Caucaso meridionale attraverso la Georgia, questo blocco si è orientato verso il suo “piano B” di tentare di farlo attraverso l’Armenia, provocando un altro conflitto in Karabakh che avrebbe potuto trascinare il Cremlino in una conflagrazione regionale se non fosse stato attento. Dopo il fallimento anche di questo piano, l’Occidente ha immediatamente paventato l’ipotesi di “pulizia etnica” e “genocidio”, che è servita a spaventare circa 100.000 armeni del Karabakh affinché si trasferissero volontariamente in Armenia.
Lo scopo della provocazione di questo flusso di popolazione su larga scala era quello di utilizzare queste cosiddette “armi di migrazione di massa” per esercitare pressioni sul governo armeno affinché portasse a termine il suo perno filo-occidentale anti-russo, dopo che sembrava essersi raffreddato, o lo sostituisse con una Rivoluzione Colorata in caso di rifiuto. Questo piano è ancora in corso, ma nel caso in cui venga attuato con successo e non sia compensato da una vera rivoluzione patriottica-multipolare, l’Armenia probabilmente si ritirerà dalla CSTO guidata dalla Russia.
Il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha già fatto pace con questo scenario, dopo averlo recentemente descritto come una “scelta sovrana” del Paese, ma le conseguenze regionali rimarranno gestibili finché la NATO non avrà un accesso affidabile all’Armenia nel periodo successivo. Qui sta la rinnovata importanza strategica della Georgia, poiché è improbabile che il suo governo pragmatico e conservatore-nazionalista faciliti il gioco di potere di quel blocco, ergo il motivo per cui è stato preso di mira per essere rimosso ancora una volta e anche in questo particolare momento.
In sintesi, l’imminente defezione dell’Armenia dal CSTO non sarà sostanziale a meno che la NATO non le garantisca un accesso affidabile attraverso la Georgia, ma non si prevede che le autorità in carica di quest’ultima siano d’accordo. Ecco perché si sta preparando un’altra serie di disordini della Rivoluzione Colorata con il pretesto di “protestare” contro il procedimento di impeachment del presidente liberal-globalista. Se l’Occidente dovesse vincere, potrebbe aprirsi un secondo fronte contro la Russia nel Caucaso meridionale, motivo per cui è imperativo che quest’ultimo gioco di potere fallisca.
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Il post è rivolto alle anime belle, quelle che la mattina si svegliano ignare del mondo, leggono alcune notizie terribili su ciò che accade nel mondo (altre no perché non vengono date) ma non distinguono notizie da giudizi, assumono entrambi come il cappuccino con la brioche.
Caricati di verità sul mondo, sono pronti a far lezione di etica e morale per la quale quelli della loro parte sono in bene e gli altri il male, hanno avuto la loro esaltazione urlante ed isterica le prime settimane del conflitto russo-ucraino. Sono loro che permettono le atrocità del mondo poiché illuminando gli angoli bui della politica internazionale e capendo almeno il minimo dovuto di ciò che succede nel mondo, il mondo sarebbe diverso, almeno un po’.
A questi ciechi chiacchieroni sentenziosi farebbe bene spendere pochi minuti per capire quanto il male del mondo dipende anche dalla loro ignoranza supponente. Ma figurati se ai pasdaran del Bene, interessa scoprire che invece militano a fianco delle file del Male.
Parliamo del breve conflitto o meglio dell’invasione manu militari della ragione Nagorno-Karabakh abitata e rivendicata dall’Armenia pur stando in territorio dell’Azerbaijan, da parte appunto degli azeri. Per ora si lamentano “solo” duecento morti ma si prospetta una pulizia etnica profonda visto che la regione è abitata per tre quarti da armeni che ne erano gli unici abitanti un secolo fa.
Impossibile qui risalire alla storia del conflitto che è complessissima e, come spesso accade, alla fine basata su ragioni di contesa valide da tutti i punti di vista e quindi priva di una verità unica, passibile solo di mediazione, aggiustamento, composizione. Ci provarono quelli dell’OSCE di Minsk (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa, istituzione multilaterale in condominio coi russi, ora bloccata dalle vicende ucraine), già noti per i due protocolli di pacificazione sulle questioni del Donbass tra ucraini e russi, benedetti dalla mediazione europea che un secondo dopo la firma si è disinteressata della loro applicazione. Motivo per il quale l’attuale conflitto ucraino si sarebbe potuto evitare, ma evidentemente non c’era alcun interesse ad evitarlo o meglio c’era interesse palese a lasciar andasse come è andata.
Sulla faccenda del N-G, si stabilì un accordo, poi venne rotto, poi si ridiscusse, poi si litigò di nuovo, poi -nei fatti- nessuno più, soprattutto gli azeri, hanno dato minima attenzione a questo ruolo mediatore esso stesso poco convinto di sé stesso.
I giornali di stamane, giubilano a riferire di manifestazioni armene contro il governo locale ma soprattutto contro i russi che dovevano esser loro protettori. Giorni fa giubilavano per esercitazioni armate congiunte tra armeni ed americani, un accenno di tradimento di allineamento poiché l’Armenia è parte del CSTO e della EEC russa (Lavrov, tra l’altro, è anche di origini armene).
Quindi, gli azeri invadono la regione contesa, tale ritenuta nel diritto internazionale, protetta da accordi, la colpa è dei russi che non l’hanno protetta. Se l’avessero protetta sarebbero stati accusati di imperialismo fuori dei loro confini e ne sarebbe nata una nuova guerra per il Bene. Duecento morti, accordi internazionali calpestati, pulizia etnica in arrivo? Nessun problema, il radicalismo etico spacciato a piene mani per farci sentire “giusti” oggi non si applica, si applica il “crudo realismo”, un altro fallimento russo. Vedi che tenerli sotto pressione in Ucraina li sta indebolendo?
L’Azerbaijan è la classica pedina ambigua piazzata nel fianco del nemico. Sciti amici di Erdogan, di antica origine iranico-caucasica (gli armeni sono invece cristiani indoeuropei caucasici) sono il nostro miglior amico della strategica regione, anche se ce ne vergogniamo un po’ e non diamo pubblicità al fatto. Decine i casi di violazione dei diritti umani, noti livelli stratosferici di corruzione politica e finanziaria, tortura attestata di prigionieri politici. L’Armenia è invece un paese civile e democratico (secondo i nostri standard di democrazia).
Viaggi, regali, soldi, sostanze e corpi disponibili pagati dal governo azero per la “diplomazia del caviale”, come venne denominata la loro disponibilità verso politici e funzionari occidentali. Ripagati anche dandogli l’improbabile Gran Premio di F1 che dal 2017 romba per le strade di Baku, oltreché chiudendo entrambi gli occhi su quelle effrazioni etico-morali che in altri casi valgono una guerra per “i diritti umani”. Ma ci sono umani ed umani, dipende da dove abitano per la nostra geo-etica.
L’Azerbaijan è il terminale di pompaggio e trasmissione dell’oleodotto promosso per darci una alternativa alle forniture russe, gestito da British Petroleum (ovviamente gli inglesi altrimenti irremovibili sui diritti umani e gli standard democratici, qui fanno eccezione, si sa il petrolio ed il gas rendono l’etica scivolosa ed aeriforme per contagio) e di cui noi italiani siamo i principali clienti. Noi diamo bei soldi a questa gente qua. Chissà se Mentana troverà tempo di farci una puntata del suo serial “qui c’è un aggredito ed un aggressore”, dubito. O forse Gramellini dirà che “no, non è la stessa cosa dell’Ucraina, qui la cosa è più “complessa”.
Ma sull’Azerbaijan ci sono anche progetti più ampi, come passaggio del gasdotto che partirebbe dal Turkmenistan, paese di area d’influenza russa corteggiato affinché defezioni e ci dia energia a basso costo. Così da un bel po’, con gli azeri ogni tanto ci facciamo colloqui per stabilire relazioni strette con l’UE anche se certo non possiamo farli entrare dalla porta principale perché impresentabili. Poiché la geografia li rende strategici, gli azeri ogni tanto fanno finta di avere buoni rapporti coi russi per farci sganciare qualcosa di più per trattenerli dalla nostra parte. Lo stesso fanno in tono minore con l’Iran. Ricattano, detto altrimenti. In Relazioni Internazionali, si dice “si bilanciano”.
L’Azerbaijan fu uno dei pochi paesi ad aprire lo spazio aereo per il transito dell’aviazione americana nella guerra contro Saddam, ma il loro ruolo più strategico e particolarmente scabroso è nella guerra in Afghanistan. Washington Post sosteneva in un articolo del 2016, che lì facevano tappa di trasferimento volumi di almeno un terzo di cibo, vestiti, attrezzature ed ovviamente armi, per le truppe americane in Afghanistan. Ma, come per l’Ucraina, un bel po’ di armi e non pochi soldi, hanno preso altre vie. Ultimamente, Zelensky, ha il suo bel da fare a licenziare capi amministrativi e militari che tramite oligarchi si rivendono le nostre armi inviate lì per la “resistenza”. Poi, tra un po’, ci accorgeremo a chi le hanno vendute, non certo alla camorra o la ndrangheta.
Mi interessai del caso a proposito della giornalista maltese saltata in aria una mattina mettendo in moto l’auto per andare al lavoro. Daphne Caruana aveva messo troppo il naso in un potente traffico d’armi che coinvolgeva banche maltesi (anglo-maltesi spesso), il locale potere politico ed armi che provenivano dall’Azerbaijan, armi NATO. Se ne era accorta anche una giovane giornalista bulgara che indagava in Siria, quando trovò in un covo ISIS appena conquistato e mostrato ai giornalisti, parecchie casse di armi con scritte in bulgaro, domandandosi cosa mai ci facessero lì e risalendo a quelli che ufficialmente dovevano esser flussi NATO per l’Afghanistan, via Azerbaijan. Sappiamo tutti che c’erano grossi flussi di armi NATO in favore dell’ISIS, ma guai a dirlo.
Sulla pagina wiki della Caruana trovate la lista di più di una cinquantina di “awards and honours” dati dagli europei per il suo indomito coraggio investigativo. Dopo che è morta e per altro senza definitiva verità su chi l’ha ammazzata e perché (del resto Malta è UE, UE è bene, quindi Malta è bene, siamo per la potenza delle deduzioni noi razionalisti). Siamo così, con una mano prendiamo, con l’altra diamo, la prima è invisibile, la seconda ci rassicura che siamo quelli dalla parte giusta della storia. Ci sarebbe da scrivere non un post ma un intero libro sulla faccenda dei traffici d’armi NATO via Azerbaijan, basta leggere il minimo e senza poi frequentare chissà quali fonti bizzarre, è tutto abbastanza a portata di onesto interesse, ad averci il tempo.
Ma le anime belle non hanno il tempo, hanno solo fretta di far vedere che sono informati sul mondo e sanno dare giudizi moralmente alti, cappuccino, brioche e che inizi un nuovo giorno nel dorato stile di vita occidentale, il modo giusto di stare al mondo, se non ti piace vai a vivere in Russia! Io vivo qui e ne sono contento per molti aspetti e molto meno per altri, solo, preferirei non doverlo fare accanto a loro.
Grande come il Belgio, l’Armenia è un piccolo Stato montuoso senza sbocco sul mare, al crocevia tra il mondo orientale e quello occidentale. Oggi è la principale vittima delle ambizioni panislamiche e panturche di Ankara e Baku. Tigrane Yégavian, geopolitologo e specialista del Caucaso e del Medio Oriente, ci traccia un quadro della tragica situazione in Armenia e Artsakh.
Tigrane Yégavian: ricercatore presso il Centro francese di ricerca sull’intelligence (CF2R), professore all’Università internazionale Schiller, autore di Géopolitique de l’Arménie, Bibliomonde, 2022.
MappaMundi – Quali sono le origini politiche e storiche delle dispute tra Armenia e Azerbaigian e, più in generale, tra il popolo armeno e quello turco?
Tigrane Yegavian: Il Caucaso è stato una zona di influenza russa fin dagli albori del XIX secolo. Se la popolazione armena testimonia una continuità ininterrotta per diversi millenni nell’Artsakh (ex Nagorno-Karabakh), non è lo stesso per il resto del territorio della Repubblica d’Armenia situato sulla rotta delle invasioni selgiuchide, turcomanne, mongole, ecc.
All’inizio del XX secolo le popolazioni armene e musulmane erano molto mescolate. I Tatari del Caucaso (il nome dato agli antenati degli azeri) costituivano una grande minoranza in Armenia. Baku, invece, era una città cosmopolita, un terzo della quale era armena.
Gli azeri si basano sulla fortissima disparità etno-settaria che esisteva prima del genocidio del 1915 e della creazione degli Stati armeno, azero e georgiano nel 1918 per rivendicare ampie parti del territorio armeno come terre storicamente azere. Per diversi decenni la storiografia di Baku ha fatto di tutto per delegittimare la presenza armena nel Caucaso. Per questo motivo hanno fatto ricorso a una lettura revisionista della storia, sostenendo di essere discendenti degli albanesi del Caucaso, un antico popolo cristiano scomparso nell’VIII secolo il cui territorio si trovava più a nord dell’attuale Artsakh, negando così le loro origini centroasiatiche e selgiuchidi. Secondo la versione azera, gli armeni della Repubblica d’Armenia discendono dai profughi dell’Armenia ottomana espulsi con il genocidio del 1915, il che è parzialmente corretto, e gli armeni dell’Artsakh sono albanesi “armenizzati”.
MappaMundi – Qual è la natura delle numerose esazioni azere contro i civili armeni dal 2020? Sarebbe esagerato dire che la situazione attuale è la continuazione del genocidio del 1915?
Le esazioni hanno avuto luogo principalmente contro i civili e i soldati catturati dall’esercito azero durante e dopo la guerra del 2020. Molti casi di atrocità contro soldati armeni e yezidi di nazionalità armena sono stati compiuti da mercenari islamisti siriani reclutati dall’agenzia turca SADAT. Sono documentati casi di torture, mutilazioni, stupri e smembramenti. Purtroppo, le ONG armene per i diritti umani faticano a richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla detenzione arbitraria dei prigionieri armeni nelle carceri del regime di Aliyev, dove sono sottoposti a gravissimi abusi. Questi atti di tortura sono la logica conseguenza di due processi. In primo luogo, il risentimento causato dalla conquista e dall’occupazione di ampie parti del territorio azero da parte delle forze armene in Artsakh, con la conseguente espulsione di oltre 700.000 persone dalle loro case. In secondo luogo, l’odio viscerale nei confronti degli armeni, che trae origine dall’ostilità del popolo tataro nei confronti della borghesia armena di Baku, proprietaria di pozzi di petrolio. Questa armenofobia è stata impostata come ideologia nazionale e mantenuta dal regime di Ilham Aliyev per distogliere l’attenzione dall’acquisizione delle ricchezze del sottosuolo da parte del clan al potere in barba alla maggioranza della popolazione sottoposta a un regime repressivo.
Dire che la politica dell’etnocidio non è un’illusione. Consiste nello sradicare ogni vestigia, ogni chiesa, ogni lapide, ogni luogo di memoria che evochi la presenza armena, con il seguente obiettivo: un Karabagh senza armeni, così come gli armeni del Nakhchivan sono stati ripuliti etnicamente. Il prossimo obiettivo è ora il Siunik, una stretta striscia montuosa e l’ultima chiusa strategica che collega l’Armenia all’Iran e impedisce la giunzione panturca. Questa politica di sradicamento corrisponde alla continuazione del genocidio del 1915, poiché la pulizia etnica è imminente nell’Artsakh, che è sotto blocco totale dal 12 dicembre 2022. Ci sono tutti gli elementi perché si verifichi un massacro, come ha ricordato più volte negli ultimi mesi l’Istituto Lemkin per la prevenzione dei crimini di massa.
MappaMundi – Quali sono gli obiettivi di Baku? Chi sono i suoi principali alleati?
Nel 2020 l’equilibrio di potere si è chiaramente spostato a favore dell’Azerbaigian. Baku intende tradurre la vittoria militare del 2020 in una vittoria politica. A tal fine, l’Azerbaigian sta perseguendo una strategia di strangolamento dell’Artsakh armeno rimanente, esercitando la massima pressione per spingere i 120.000 armeni autoctoni ad andarsene e risolvere la questione dello status attraverso la pulizia etnica. Il secondo obiettivo era quello di ottenere un corridoio sovrano extraterritoriale che collegasse l’Azerbaigian al Nakhchivan, nel sud dell’Armenia, un mezzo per tagliare l’Armenia fuori dall’Iran e, infine, di ottenere un “accordo di pace” con l’Armenia percepito come una capitolazione da parte di Yerevan, dal momento che Baku chiedeva, oltre all’abbandono di qualsiasi status per gli armeni del Karabakh e del famoso corridoio meridionale, una ridefinizione della rotta di confine, che implicava il rosicchiamento di nuovi territori. Nel maggio e nel settembre dello scorso anno, l’Azerbaigian ha lanciato diverse offensive sul territorio sovrano dell’Armenia e l’esercito di Baku sta ora occupando alture strategiche ed esercitando una pressione sempre maggiore su Erevan per ottenere ciò che vuole. Gli azeri possono contare sul pieno sostegno della Turchia e della Russia, interessata a controllare il famoso corridoio. Ma anche del Regno Unito, il principale investitore diretto nel Paese, nonché di Israele, suo fornitore di droni e suo partner strategico. Gli israeliani considerano l’Azerbaigian come il loro cortile di casa contro l’Iran, dove la popolazione azera è doppia rispetto a quella dell’Azerbaigian. Da qui la rinnovata tensione tra i due Paesi.
MappaMundi – Dal 12 dicembre 2022, attivisti azeri che si dichiarano ambientalisti bloccano il corridoio di Latchine che collega l’Armenia all’enclave di Artsakh. Qual è la situazione attuale degli abitanti dell’Artsakh? Che posto occupa questa enclave nel conflitto?
L’obiettivo dell’Azerbaigian è ottenere con la forza un corridoio nel sud dell’Armenia e spingere i 120.000 abitanti dell’Artsakh ad andarsene rendendo impossibile la loro vita quotidiana.
Da oltre due mesi, solo la Croce Rossa può entrare in Karabakh. Ai 120.000 abitanti dell’enclave manca tutto: alimenti di base, medicinali, latte e pannolini per i bambini. Le riserve si sono esaurite, la gente ha i buoni pasto. Le scuole sono chiuse perché gas ed elettricità sono spesso interrotti. Amnesty International ha pubblicato un rapporto allarmante su questa situazione. Le persone più vulnerabili stanno soffrendo di più e possono essere evacuate solo in modo frammentario attraverso la Croce Rossa per essere curate in Armenia. L’Azerbaigian minaccia di abbattere qualsiasi aereo o elicottero che atterri a Stepanakert. La popolazione reagisce con calma e resilienza, ma le madri sono in uno stato di stress avanzato, la mancata scolarizzazione dei bambini provoca gravi disfunzioni che ad oggi non hanno smosso l’UNICEF…
MappaMundi – L’Armenia è membro del CSTO, un trattato che la lega a Mosca, che ruolo ha quest’ultima nel conflitto?
La CSTO è solo un gadget nelle mani della Russia. Ha una sicurezza collettiva solo di nome.
L’Armenia, che nel gennaio 2022 aveva inviato un contingente per sostenere il governo kazako di fronte alle rivolte, nel settembre dello stesso anno aveva fatto scattare l’articolo 4 di fronte all’offensiva azera sul proprio territorio, che è l’equivalente dell’articolo 5 della NATO. Tuttavia, nessuno dei suoi alleati ha risposto perché i loro interessi erano più a favore dell’Azerbaigian. Bielorussia e Kazakistan sono partner del regime di Aliyev e la Russia non vuole alienarsi il suo vicino meridionale, attraverso il quale transitano le sue esportazioni di gas e che elude le sanzioni internazionali. In breve, l’Armenia non può contare sul sostegno della CSTO con il cappio del boia.
MappaMundi – L’ambasciatrice armena in Francia, signora Hasmik Tolmadjian, ha denunciato lo scorso settembre che “tutta l’attenzione della comunità internazionale [è] rivolta all’Ucraina”, ritenendo che l’Armenia sia una “vittima collaterale dell’attuale grande sconvolgimento geopolitico”. Ritiene che l’indignazione occidentale sia a geometria variabile?
Ovviamente l’Armenia sta pagando il prezzo dei “due pesi e due misure” di fronte alla mobilitazione a favore dell’Ucraina, attaccata dalla Russia. Vedo diverse spiegazioni per questo. Innanzitutto, l’appartenenza dell’Armenia alla sfera d’influenza russa rende irrealistico qualsiasi trasferimento di armi da un Paese amico come la Francia. In secondo luogo, le pressioni dell’Azerbaigian, che fornisce circa l’1% del consumo di petrolio e gas dell’UE, ma intende aumentare le sue esportazioni. Infine, i leader armeni hanno una comunicazione impercettibile, a differenza dei loro omologhi ucraini che sono molto più esperti in questo campo.
MappaMundi – L’estate scorsa, l’Unione Europea ha firmato un accordo eccezionale con Baku che dovrebbe raddoppiare le sue importazioni di gas naturale entro pochi anni, definendo l’Azerbaigian un “partner affidabile”. L’UE può essere vista come ostile all’Armenia e alleata di Baku? L’Armenia viene sacrificata dagli europei sull’altare della realpolitik di Bruxelles?
L’Unione europea si sta comportando come un becchino nei confronti dell’unica democrazia del Caucaso e della regione. La signora Von der Leyen demonizza Vladimir Putin e non si fa scrupoli a legittimare un altro dittatore sanguinario. Ciò che l’UE vuole è una distensione a costi inferiori e sulle spalle degli armeni dell’Artsakh, questo “popolo in eccesso” che lei invita l’Armenia a “lasciar andare” nella speranza di un’ipotetica promessa di aiuti economici. L’unica azione positiva intrapresa dall’UE è l’invio di osservatori civili su iniziativa del Presidente E. Macron, dislocati in diversi Paesi. Macron che sono dislocati a diversi livelli del confine sul lato armeno. Il loro mandato è stato rinnovato. Questo è importante, ma non sufficiente a fermare l’aggressione azera.
MappaMundi – Nancy Pelosi ha visitato l’Armenia l’anno scorso, questo dimostra un reale sostegno di Washington a Yerevan o è semplicemente un desiderio di sfidare Mosca nella sua patria caucasica?
Gli Stati Uniti continuano la loro politica di contenimento e indebolimento della Russia ai margini del Caucaso. L’Armenia non è tanto premiata per i suoi sforzi di democratizzazione e per la sua posizione di vittima, ma è vista più come un “balcone sull’Iran”. La visita della Pelosi ha avuto il merito di mettere l’Armenia sotto i riflettori, ma non si è tradotta in aiuti militari necessari per contrastare la minaccia.
MappaMundi – Yaël Braun-Pivet, presidente dell’Assemblea nazionale, ha recentemente visitato l’Armenia. Come analizza l’attuale posizione della Francia nel conflitto? Come dovrebbe agire Parigi nel conflitto tra Armenia e Azerbaigian e sulla questione dei cristiani orientali? La Francia dovrebbe armare Yerevan come arma Kiev?
L’argomento religioso mobilita solo una frangia della destra francese e associazioni come SOS Chrétiens d’Orient. La Francia è un Paese amico ma non un alleato dell’Armenia. Sono due cose molto diverse. La dipendenza dalla NATO e lo stato dell’esercito sono un grave handicap. Parigi non ha alcun interesse o leva per agire militarmente senza una concertazione con altri due membri chiave del Consiglio di Sicurezza: gli Stati Uniti e l’India, quest’ultima che si è avvicinata all’Armenia e lotta contro il panturkismo, principale sostenitore del suo rivale pakistano.
Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure
Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)
La Russia ha trascorso gran parte del 2021 cercando di ristabilire i cuscinetti persi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ha dispiegato truppe al confine occidentale con l’Ucraina, ha aumentato l’integrazione con la Bielorussia, ha continuato la sua missione di mantenimento della pace nel Caucaso e ha approfondito la cooperazione con le nazioni dell’Asia centrale. Nel 2022 Mosca sposterà la sua attenzione su un Paese del Caucaso meridionale che da anni è in bilico tra Occidente e Russia: l’Azerbaigian. E lo farà utilizzando l’Unione economica eurasiatica, un blocco regionale post-sovietico che domina, come strumento di coercizione.
mano nascosta
Il mese scorso, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha visitato Bruxelles su invito del segretario generale della NATO. Durante il loro incontro, Aliyev ha affermato che l’Azerbaigian è un partner affidabile della NATO e mantiene stretti legami con gli alleati della NATO, in particolare la Turchia. Commenti come questi irritano il Cremlino, che vuole limitare il più possibile la presenza della Nato lungo la sua periferia. L’Azerbaigian è una parte fondamentale di questa strategia, poiché separa la Russia dalle forze della NATO in Turchia.
Di recente, Mosca ha utilizzato una combinazione di cooperazione economica e coinvolgimento militare (nella forma della sua operazione di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh) per mantenere il suo punto d’appoggio nel Caucaso. Ma considerando i suoi crescenti problemi economici e l’assortimento di altre priorità, la capacità della Russia di competere per l’influenza economica qui si sta indebolendo. Ad esempio, rappresenta solo il 5% delle esportazioni azere, mentre l’Italia e la Turchia (entrambi paesi della NATO) rappresentano rispettivamente il 30% e il 18%. Baku sta anche aumentando la cooperazione militare con la Turchia, che ha sostenuto l’Azerbaigian nella guerra del 2020 in Nagorno-Karabakh.
Mosca, però, ha una mano nascosta da giocare. L’Azerbaigian è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas verso l’Occidente. Oggi, circa il 68 percento delle esportazioni totali del paese sono petrolio greggio e prodotti correlati e il 15,9 percento sono gas di petrolio e altri idrocarburi gassosi. Il Cremlino, che comprende meglio della maggior parte delle insidie del fare affidamento così pesantemente sulle esportazioni di energia, probabilmente prevede che Baku vorrà diversificare le sue vendite all’estero per ridurre la sua vulnerabilità economica. Ma questo sarà difficile per un paese come l’Azerbaigian, considerando il livello di concorrenza e la mancanza di domanda per i suoi prodotti non energetici. Così, alla vigilia della visita del presidente dell’Azerbaigian a Bruxelles, il Cremlino ha ricordato a Baku i vantaggi della sua partnership.
Pochi giorni prima che Aliyev partisse per la riunione della NATO, il presidente onorario del Consiglio economico eurasiatico, un organismo di regolamentazione dell’Unione economica eurasiatica, ha affermato che l’Azerbaigian potrebbe ottenere lo status di osservatore nel blocco, di cui fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia. L’adesione all’unione doganale del blocco potrebbe avere vantaggi significativi per l’Azerbaigian, che riceve circa il 18% delle sue importazioni dalla Russia.
Mosca ha anche fornito sottili accenni altrove sui vantaggi della sua cooperazione. Diverse pubblicazioni dei media russi hanno recentemente propagandato i forti legami tra l’Azerbaigian ei membri dell’EAEU. Ad esempio, l’affiliato azero del sito web russo Sputnik News ha pubblicato un articolo il mese scorso evidenziando i vantaggi dell’adesione. Secondo la pubblicazione, l’adesione dell’Azerbaigian alla EAEU aumenterebbe le esportazioni del settore agricolo e non petrolifero del paese di 280 milioni di dollari. Ha inoltre affermato che l’adesione potrebbe aumentare il prodotto interno lordo dell’Azerbaigian dello 0,6 percento rispetto ai livelli attuali e che ogni residente dell’Azerbaigian trarrebbe profitto di 1.013 dollari, un importo sostanziale in un paese il cui PIL pro capite è di soli 4.202 dollari.
Il Cremlino ha anche recentemente menzionato un sondaggio del 2018 del Centro analitico per il governo della Federazione Russa che ha rilevato che quasi il 40% della comunità imprenditoriale dell’Azerbaigian accoglierebbe con favore relazioni economiche più strette con l’UEE. Questi numeri, spera il Cremlino, suoneranno allettanti in un paese la cui economia si sta riprendendo dalla pandemia, ma lentamente. Sebbene l’Azerbaigian abbia sofferto meno degli effetti economici della pandemia rispetto ai suoi vicini, in gran parte a causa delle sue esportazioni di energia, la disoccupazione, la povertà e l’emigrazione (principalmente verso la Russia) rimangono problemi significativi.
Tuttavia, la Russia sa che non può fare affidamento esclusivamente sul mercato interno dell’UEE per attirare l’Azerbaigian, poiché anche le economie di alcuni degli altri membri del blocco sono in difficoltà. Pertanto, l’EAEU è in trattative per un accordo di libero scambio permanente con l’Iran. (Le due parti hanno firmato un accordo commerciale provvisorio nel 2018.) Il blocco ha anche accordi di libero scambio con Serbia, Vietnam e Singapore, e entro il 2025, India, Israele ed Egitto saranno aggiunti all’elenco. Ciò significa che unendosi al blocco, l’Azerbaigian avrà accesso a una serie di mercati aggiuntivi, non solo a quelli dei suoi cinque membri.
Un altro vantaggio è che aiuterebbe a domare le ostilità con il rivale storico dell’Azerbaigian, l’Armenia. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che il suo paese non si opporrà all’adesione dell’Azerbaigian se contribuirà alla pace regionale. La dichiarazione è un chiaro ramoscello d’ulivo visti i frequenti scontri tra i due Paesi.
Ostacoli
Ma ci sono anche ostacoli nel percorso della Russia per trascinare l’Azerbaigian nell’UEE. In primo luogo, acquisire l’appartenenza, o anche lo status di osservatore, può essere un processo lungo che richiede il consenso tra tutti i membri dell’EAEU. Dati i requisiti legali per l’adesione al blocco, nonché le tensioni in corso con l’Armenia, i negoziati potrebbero complicarsi. Mosca potrebbe dover provvedere per un po’ all’Azerbaigian per mantenerlo interessato, il che è difficile da fare data la concorrenza nella regione.
In secondo luogo, Baku deve considerare le reazioni degli altri suoi alleati. L’Azerbaigian sta aumentando il commercio con i paesi europei e stringendo alleati con la Turchia. Preferisce trovare un equilibrio tra Occidente e Russia, piuttosto che schierarsi.
In terzo luogo, l’EAEU ha problemi interni propri. Gli Stati membri non sono d’accordo su una serie di questioni e non sono sempre disposti a concedere per colmare le loro divisioni. È anche in competizione per l’influenza con la Comunità degli Stati Indipendenti, un’altra istituzione guidata dalla Russia che consiste di nazioni post-sovietiche. Inoltre, il mercato comune della UEE è ancora in evoluzione, con problemi sul funzionamento del mercato comune del gas e dell’energia e la migrazione dai paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati.
In definitiva, l’Azerbaigian deve vedere i vantaggi dell’adesione; gli azeri medi devono sostenere il processo di integrazione; e non ci devono essere limiti alla libera circolazione delle merci, anche attraverso la regione del Nagorno-Karabakh, piena di conflitti. Senza che queste condizioni siano soddisfatte, è improbabile che l’Azerbaigian voglia unirsi al blocco. Sarà difficile da raggiungere nel medio termine, ma per Mosca questo è il momento migliore per fare la sua mossa, poiché Baku cerca partner affidabili per rilanciare la sua economia e i suoi partner tradizionali sono impantanati nei propri problemi. Tirare l’Azerbaigian nell’UEE sarebbe una vittoria per il Cremlino. Non è un percorso facile, ma è quello che Mosca seguirà per tutto il prossimo anno.
La pesante sconfitta sul campo delle forze militari armene in Nagorno-Karabakh ha segnato apparentemente un grande smacco per la diplomazia russa. In realtà è solo una battuta di arresto non irrimediabile. La vera sconfitta, con l’onta dell’ignominia, sia pure nell’ombra l’ha subita la Unione Europea. Il Governo armeno, distaccandosi progressivamente e discretamente dalla Russia, ha cercato in questi anni di assecondare e di appoggiarsi sempre più sulla UE e sui due principali paesi dell’Unione, ricevendone scarso sostegno economico e un sostegno diplomatico e militare del tutto illusorio e vacuo. La lezione dell’Ucraina, come pure quella della ex-Jugoslavia, evidentemente non è bastata. Da qui si comprende in parte l’atteggiamento inizialmente tiepido dei russi a sostegno degli armeni; l’altra parte è dovuto alla necessità di non deteriorare irreversibilmente i rapporti con l’Azerbaijan e di non concedere ulteriori spazi alla Turchia di Erdogan. Da qui il preoccupante e tragico isolamento e il collasso della propria presunta superiorità militare, stando agli antefatti, proprio nel momento di maggior attivismo politico-militare della Turchia a sostegno dell’Azerbaijan.
Il Governo e la popolazione armeni sono semplicemente l’ultima, purtroppo non ancora l’ultima, vittima della ecumenica retorica europeista del “volemose bene”, della illusione che la relativa forza economica sia sinonimo di indipendenza politica, autorevolezza diplomatica e forza militare.
L’ulteriore conferma che l’UE, più che una entità politico-diplomatica attiva, è una realtà finalizzata a neutralizzare ed impedire ogni rigurgito di sovranità e autorevolezza degli stati europei e a favorire i giochini opportunistici di bassa lega dei vari paesi, in primis la Germania, a completo rimorchio di strategie altrui. Tutta l’ansia e la precipitazione nel riconoscere anzitempo l’insediamento di Biden alla Casa Bianca sono la classica ciliegina sulla torta di un comportamento miserabile e controproducente persino al più ottuso dei servi._Giuseppe Germinario
L’accordo di cessate il fuoco di martedì è una vittoria strategica per il Cremlino.
A cura di: Geopolitical Futures
Contesto: da settembre, Armenia e Azerbaigian sono impegnate nell’ultimo round di combattimenti per il Nagorno-Karabakh. Russia, Turchia e Iran hanno tutti interessi nella regione strategicamente importante situata nel Caucaso meridionale. La Russia, che la vede come parte della sua zona cuscinetto critica, si è bilanciata tra le due parti, mentre la Turchia è una sostenitrice chiave dell’Azerbaigian.
Cosa è successo: dopo che la Russia, l’Azerbaigian e l’Armenia hanno firmato martedì un altro accordo di cessate il fuoco, il Cremlino ha iniziato a dispiegare forze di pace in Nagorno-Karabakh come parte dell’accordo di pace. In totale, la Russia invierà 1.960 soldati con armi leggere, 90 corazzati da trasporto truppe e 380 unità di equipaggiamento nella regione. Le forze di pace saranno di stanza lì per almeno cinque anni con possibilità di proroga. Il ministero della Difesa russo prevede di creare 16 posti di osservazione lungo la linea di contatto e il corridoio di Lachin. Le truppe dispiegate hanno seguito un addestramento per il mantenimento della pace e la maggior parte in precedenza ha prestato servizio in Siria. Saranno inoltre dispiegate unità di polizia militare. Sebbene il Cremlino avrà alcune comunicazioni con la Turchia attraverso un centro di monitoraggio situato in Azerbaigian , prevede di portare avanti la missione di mantenimento della pace da solo.
Conclusione: includendo un contingente russo di mantenimento della pace come parte dell’accordo di cessate il fuoco, Mosca ha rafforzato la sua presenza nel Caucaso meridionale e, cosa più importante, ha ripristinato il suo status di attore principale nella regione. Pertanto, l’accordo è una vittoria strategica per il Cremlino: offre a Mosca l’opportunità non solo di costruire legami più forti con l’Azerbaigian e aumentare la dipendenza dell’Armenia, ma anche di monitorare le azioni future della Turchia nel Caucaso meridionale.
Domenica, 27 settembre, nelle prime ore dell’alba, gli armeni si sono svegliati alla notizia di una vasta offensiva aerea (missili e bombardamenti di droni) guidata dall’Azerbaigian lungo tutta la linea di contatto che lo separa di Artsakh (ex Karabakh), questa repubblica autoproclamata nel 1991 e non riconosciuta dalla comunità internazionale.
Per la prima volta dalla guerra ad alta intensità del 1988-1994, Stepanakert, la capitale dell’Artsakh, fu bombardata mentre i civili si rifugiarono in rifugi.
Armenia e Karabakh in allerta generale
Nell’arco di dieci ore si sono svolti combattimenti di rara violenza in molti punti del fronte con un focus nelle regioni di Fizouli e Djebraïl che hanno causato perdite significative: 16 soldati e civili uccisi dal lato armeno. e 200 nei ranghi militari azerbaigiani. Da parte sua, la parte armena ha affermato di aver perso alcune posizioni e ha abbattuto 4 elicotteri azeri, 15 droni da combattimento, 10 carri armati e diverse batterie missilistiche. Mentre Baku ha accolto con favore la riconquista di diverse posizioni e villaggi.
Araïk AroutiounianIl presidente dell’autoproclamata piccola repubblica, sostenuta dall’Armenia, ha decretato “la mobilitazione generale degli over 18” in risposta a una grande offensiva da parte dell’Azerbaigian domenica, mentre nella vicina Armenia, volontari accorse, chi arruolare, chi donare il sangue. Dopo l’annuncio dei primi scontri domenica mattina, il premier armeno Nikol Pachinian ha decretato la “mobilitazione generale” e l’istituzione della “legge marziale”, oltre a far eco alla decisione presa dalle autorità del Karabakh . “Vinceremo. Lunga vita al glorioso esercito armeno! Il signor Pachinian ha scritto su Facebook. Il presidente azero Ilham Aliev, da parte sua, ha convocato una riunione del suo Consiglio di sicurezza durante la quale ha denunciato una “aggressione” da parte dell’Armenia.
Appena un’ora dopo lo scoppio delle ostilità, i media azeri e turchi hanno pubblicato rapporti online sullo sviluppo delle operazioni lungo la linea di contatto, suggerendo che questa offensiva turco-azera era premeditata e pianificata per anni. settimane se non mesi.
Turchia in azione
Ci stiamo muovendo verso un conflitto regionale ad alta intensità? Ankara avrebbe pianificato questa operazione volta a stravolgere uno status quo ritenuto troppo favorevole alla parte armena e spingere la Russia ai suoi limiti?
Appena 24 ore prima dello scoppio delle ostilità, informazioni particolarmente inquietanti sono state trasmesse dalla stampa dei due paesi di lingua turca. È il caso in particolare del quotidiano Yeni Şafak , quotidiano turco filogovernativo che, il giorno prima del lancio dell’offensiva, ha denunciato in prima pagina la “collaborazione del PKK e dell’Armenia in Nagorno-Karabakh”. Il quotidiano ritiene di sapere che “dozzine di terroristi curdi del PKK addestrati nei campi di addestramento in Iraq e Siria sono stati trasferiti in Nagorno-Karabakh per occuparsi dell’addestramento delle milizie armene”. Sebbene parallelamente a queste informazioni difficili da verificare, abbiamo appreso che le forze turche che occupano la regione di Afrin nel nord-ovest della Siria, hanno aperto la scorsa settimana dueCentri di reclutamento mercenario per l’Azerbaigian .
Un vantaggio per il regime di Aliyev che, nonostante la propaganda anti-armena, lotta per mobilitare i volontari. A questo si aggiunge che la situazione socioeconomica in Azerbaigian è più che preoccupante. Le battute d’arresto militari degli azeri contro l’Armenia lo scorso luglio nella regione di Tavush hanno gonfiato la frustrazione di una popolazione riscaldata al bianco dalle arringhe di una potenza visibilmente all’erta e fortemente scossa dalle disastrose conseguenze della caduta del domanda di idrocarburi in questi tempi di pandemia.
Vedendo la sua capitale di legittimità sciogliersi al sole con il crollo dei prezzi del petrolio greggio, il regime di Aliyev ha messo il timone a drittaverso il fratello maggiore turco, anche se significa sacrificare tutta una parte della sua sovranità alla volontà degli orientamenti strategici del presidente Erdogan. Vista da Mosca, questa escalation è vista come un tentativo della Turchia di interferire in una regione precedentemente considerata come sua riserva. Non avere alcun interesse a vedere il suo cortile caucasico destabilizzato dalla Turchia, alla ricerca di nuovi fronti nel grande gioco che sta emergendo dalla Libia all’Iraq passando per Cipro, il Mar Egeo, la Russia che vende armi ai due belligeranti, vuole fare da fattore di dissuasione e limitarsi a un ruolo di mediatore. Ma questo compito sembra sempre più difficile. Ricordalo dopo la guerra dello scorso luglioche si è concluso con il collasso militare per Baku, il ministro degli Esteri azero Elmar Mamediarov, che era a capo della diplomazia azera dal 2004, reputato vicino a Mosca, era stato sostituito dall’ex ministro dell’Istruzione Jeyhun Bayramov, acquisito all’ideologia ultranazionalista del pan-turkmeno. Pochi giorni dopo, nell’enclave di Nakhitchevan, a meno di quaranta chilometri da Yerevan, capitale dell’Armenia, hanno avuto luogo importanti manovre militari tra l’esercito turco e quello azero.
A livello regionale, Baku gode di una solidarietà sfrenata da parte del fratello maggiore e partner strategico turco in nome del pan-Turkismo. L’Armenia, da parte sua, ha integrato l’organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO) senza però godere dell’effettivo appoggio dei suoi membri, divisi sulla questione del Karabakh. Con la presenza di una base e guardie di frontiera russe sul suo suolo. Yerevan lo vede come il pegno dell’assicurazione sulla vita, dell’ultima generazione di armi, in cambio di un rapporto sempre più asimmetrico.
Ma l’apparizione di una Turchia irregolare sulla scacchiera del Caucaso, la comprovata presenza di consiglieri militari, membri dei servizi segreti del MIT o persino droni turchi su un campo di gioco finora considerato sotto l’influenza russa, è nel processo di sconvolgere equilibri molto fragili.
Un dispaccio di Asia News informa che i mercenari che hanno combattuto in Siria sono stati inviati dall’esercito turco attraverso l’Azerbaigian per combattere in Artsakh. Sono pagati $ 1800 al mese e hanno un contratto di tre mesi.
Ciò conferma l’impegno della Turchia nel conflitto e il ruolo svolto dai mercenari jihadisti.