Gli squilibri interni e internazionali, a cura di Jacopo1949

Con grande piacere,vi propongo la traduzione integrale di un capitolo del bestseller cinese de 2021 “置身事内:中国政府与经济发展》Potere intrinseco: Governo cinese e sviluppo economico di Lan Xiaohuan, professore associato (con incarico) della Scuola di Economia dell’Università Fudan.

Molti importanti opinionisti cinesi hanno raccomandato il libro, così come Lan, che ha conseguito il dottorato in Economia presso l’Università della Virginia nel 2012.

Wang Shuo, capo redattore dell’autorevole media cinese Caixin, lo ha raccomandato perché “rivela, in un linguaggio profano, come il principale attore dell’economia cinese – il governo – svolge il suo ruolo nel tenere il passo con lo sviluppo economico del Paese”. Se dovessi tirare a indovinare, il titolo del libro ha due livelli di interpretazione: uno è quello di mettersi nella situazione di capire le azioni del governo, e l’altro è quello di cogliere come le conseguenze si ripercuotono su tutti”.


Dopo l’ingresso nella Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, la Cina è diventata rapidamente la “fabbrica del mondo” e nel 2010 il valore aggiunto del settore manifatturiero ha superato quello degli Stati Uniti, diventando il primo al mondo. Nel 2019, il valore aggiunto del settore manifatturiero ha rappresentato il 28% del totale mondiale (Figura 7-1). Le esportazioni del Paese non sono solo elevate in termini di volume, ma anche di tecnologia, con il 30% delle esportazioni nel 2019 classificate come “prodotti ad alta tecnologia” e circa un quarto del totale delle esportazioni globali di tali prodotti ad alta tecnologia. Grazie all’enorme volume di produzione locale, la catena industriale globale sta convergendo in Cina e i fornitori locali si stanno rafforzando. Di conseguenza, il modello di esportazione della Cina non è più semplicemente un modello di “lavorazione per conto terzi” e la maggior parte del valore delle esportazioni viene creato a livello locale.

Nel 2005, per ogni 100 dollari esportati dal Paese, 26 dollari erano il valore dei componenti importati dall’estero e solo 74 dollari il valore dei componenti esportati.

Nel 2015, il valore delle forniture provenienti dall’estero è sceso dal 26% al 17%.

Dietro questi grandi successi, ci sono due problemi. Il primo è uno squilibrio nella struttura interna dell’economia: l’enfasi posta sulla produzione e sugli investimenti è relativamente poco attenta al benessere e al consumo delle persone, con il risultato di un consumo interno insufficiente rispetto all’enorme capacità produttiva e l’esportazione di prodotti che non possono essere assorbiti. Questo ci porta al secondo problema: l’instabilità della domanda estera e i conflitti commerciali. Negli ultimi 20 anni, la quota della Cina nel settore manifatturiero mondiale è aumentata dal 5% al 28%, in corrispondenza di un calo della quota del G7 dal 62% al 37%, mentre la quota di tutti gli altri Paesi è rimasta pressoché invariata (Figura 7-1). Non si tratta solo di un cambiamento radicale nel panorama economico cinese, ma anche di un cambiamento drammatico nella struttura economica dei Paesi sviluppati. Non sorprende affatto che di fronte a questo drastico adeguamento siano emersi conflitti commerciali e persino guerre commerciali.

La prima sezione di questo capitolo analizza gli squilibri della struttura economica interna, che sono direttamente collegati ai modelli di sviluppo economico dei governi locali e che influenzano anche gli squilibri del commercio estero. La seconda sezione esamina l’impatto e il contraccolpo dell’economia cinese sui Paesi stranieri, utilizzando come esempio la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. In questo contesto, nel 2020 il governo centrale ha proposto di “promuovere la formazione di un nuovo modello di sviluppo in cui il principale mercato domestico sia il pilastro e i cicli nazionali e internazionali si rafforzino a vicenda”. La sezione 3 analizza le condizioni necessarie per un tale modello e le relative riforme.

Sezione I. Basso consumo e sovraccapacità

La caratteristica più evidente dello squilibrio strutturale della nostra economia è il sottoconsumo. Nel 2018, la quota dei consumi delle famiglie sul PIL è stata solo del 44%, rispetto a quasi il 70% negli Stati Uniti e a circa il 55% nell’UE e in Giappone. (2) Dagli anni ’80 al 2010, la quota dei consumi totali (consumi delle famiglie + consumi delle amministrazioni pubbliche) sul PIL è scesa dal 65% al 50%, di ben 15 punti percentuali, prima di risalire gradualmente al 55% (Figura 7-2). La quota dei consumi delle famiglie sul PIL è passata dal 54% degli anni ’80 al 39% del 2010, con un calo di 15 punti percentuali. Il divario tra i consumi totali e i consumi finali della popolazione nella figura è rappresentato dai consumi pubblici, che sono rimasti relativamente stabili a circa l’11% del PIL.

Quando si assiste a un calo dei consumi in rapporto al PIL, si verifica una delle due cose: o diminuisce la quota di PIL a disposizione della popolazione, oppure la popolazione risparmia una quota maggiore del proprio reddito e il tasso di risparmio aumenta. In realtà, sono accadute entrambe le cose. Come si può vedere nella Figura 7-3, tra gli anni ’90 e il 2010, il reddito disponibile in percentuale del PIL è sceso dal 70% al 60%, con un calo di 10 punti percentuali, prima di risalire gradualmente al 65%. Il tasso di risparmio, invece, è aumentato di 10 punti percentuali rispetto al 25% dell’inizio del XXI secolo ed è diminuito solo negli ultimi anni. Sia il calo che l’aumento sono strettamente legati al modello di sviluppo economico guidato dai governi locali e hanno un impatto macroeconomico significativo.

Elevato risparmio della popolazione

Il nostro tasso di risparmio è molto elevato e negli anni ’90 ha raggiunto il 25-30%. Nello stesso periodo il tasso di risparmio negli Stati Uniti era solo del 6-7% e nei principali Paesi europei, come Germania e Francia, del 9-10%. Si ritiene che il Giappone abbia un alto tasso di risparmio, ma è solo del 12-13%. Le differenze nei tassi di risparmio tra i Paesi possono essere spiegate dalla cultura, dalle abitudini e persino dalla lingua e dalla sensibilità. Forse i cinesi sono sempre stati particolarmente parsimoniosi e non riescono a permettersi di spendere soldi. Alcuni anni fa è stato condotto uno studio affascinante sul rapporto tra lingue e tassi di risparmio nel mondo. Molte lingue (ad esempio l’inglese) hanno i tempi, quindi quando si parla di “passato”, “presente” e “futuro”, la grammatica deve cambiare, creando un senso di “distacco”. “Il futuro non è la stessa cosa del presente, quindi perché preoccuparsi del futuro quando si può vivere il presente? Per questo motivo le persone che parlano questa lingua hanno un tasso di risparmio più basso. Molte lingue (ad esempio il cinese e il tedesco) non hanno il tempo, e l'”io del passato”, l'”io di oggi” e l'”io di domani” si susseguono, per cui le persone hanno un tasso di risparmio più elevato. Ci sono molte altre teorie fantasiose, ma la lingua, la cultura e i costumi non cambiano nel tempo e non possono spiegare gli alti e bassi del nostro tasso di risparmio negli ultimi anni, quindi dobbiamo cominciare ad analizzare i cambiamenti dell’ambiente economico. La spiegazione prevalente è l’effetto combinato della pianificazione familiare, dell’insufficiente spesa del governo per il sostentamento delle persone (sanità,istruzione) e dell’aumento dei prezzi delle abitazioni. In seguito alla pianificazione familiare, la percentuale di bambini nella popolazione è diminuita rapidamente e la percentuale di persone in età lavorativa (14-65 anni) è aumentata, rendendo questi ultimi la principale fonte di risparmio. La riduzione del numero di figli ha ridotto l’efficacia della “crescita dei figli per la vecchiaia” e i genitori hanno dovuto aumentare i loro risparmi per la pensione. All’inizio del XXI secolo, solo i figli hanno iniziato a lavorare e con l’urbanizzazione, la riforma dell’edilizia commerciale e l’aumento dei prezzi degli immobili, non solo hanno dovuto risparmiare per una casa, sposarsi e crescere la generazione successiva, ma hanno anche dovuto condividere la pensione e le spese mediche di diversi genitori e persino dei nonni. Diversi elementi di questo processo sono legati alle amministrazioni locali. Il primo è l’aumento dei prezzi delle case, strettamente legato al modello di urbanizzazione guidato dai governi locali attraverso la “finanza fondiaria” e la “finanza della terra” (Capitoli 2 e 5). Nelle aree in cui l’offerta di terreni è limitata e i prezzi delle case aumentano rapidamente, le persone devono risparmiare per pagare gli acconti e i mutui, il che naturalmente aumenta il tasso di risparmio e riduce i consumi. Sebbene l’aumento dei prezzi delle case aumenti la ricchezza dei proprietari e possa teoricamente stimolare i consumi e ridurre il risparmio, l'”effetto ricchezza” dell’aumento dei prezzi delle case non è significativo, poiché la maggior parte dei proprietari possiede una sola casa, dispone di una liquidità limitata e i livelli di consumo sono ancora ampiamente limitati dal reddito. Nel complesso, quindi, l’aumento dei prezzi delle case ha ridotto i consumi e aumentato i risparmi.

In secondo luogo, il modello di sviluppo del governo locale, che privilegia la terra rispetto alle persone, ha portato a spendere una grande quantità di risorse per la costruzione di infrastrutture e la promozione degli investimenti, mentre la spesa per i mezzi di sussistenza delle persone, come l’istruzione pubblica e la sanità, è stata relativamente inadeguata (Capitolo 5). Inoltre, per ragioni istituzionali, l’offerta di mercato di istruzione e assistenza sanitaria è limitata e i prezzi dei servizi di mercato sono elevati, per cui le famiglie devono aumentare i propri risparmi per far fronte a queste spese. Questo ha portato a un fenomeno unico: l’alto tasso di risparmio degli anziani in Cina. In generale, le persone risparmiano quando sono giovani e spendono quando sono vecchie, quindi il tasso di risparmio degli anziani è generalmente basso. Tuttavia, anche il tasso di risparmio dei nostri anziani è elevato, poiché devono sovvenzionare le spese abitative dei figli e l’istruzione della terza generazione, oltre alle proprie spese mediche. Inoltre, le amministrazioni locali pianificano la fornitura di servizi pubblici su base annuale in base alle dimensioni della popolazione iscritta al registro delle famiglie, il che non soddisfa le esigenze della popolazione residente che non ha un’iscrizione al registro delle famiglie. Queste persone hanno difficoltà a portare le mogli e i figli a vivere con loro, e quindi il loro consumo di beni durevoli, abitazioni e istruzione è basso. Hanno aumentato i loro risparmi e inviato denaro alle loro famiglie al di fuori dei confini regionali. Il gran numero di questi lavoratori espatriati contribuisce anche al tasso di risparmio complessivo.

Quota di popolazione a basso reddito

Le famiglie spendono poco non solo perché hanno un alto tasso di risparmio e possono risparmiare, ma anche perché davvero non hanno soldi. Dall’inizio del XXI secolo, la quota del reddito delle persone nella distribuzione complessiva della torta economica è diminuita, fino a 10 punti percentuali, prima di risalire di 5 punti percentuali (Figura 7-3). Non è sorprendente che questo cambiamento nel corso dello sviluppo economico sia stato seguito da un aumento. Nelle prime fasi di sviluppo, il processo di industrializzazione richiede input intensivi di capitale, la cui quota è naturalmente più alta che in una società agricola. Tra la metà e la fine degli anni ’90, il processo di industrializzazione ha cominciato ad accelerare e una gran parte del lavoro agricolo è stato trasferito ai settori industriali, cosicché la quota del lavoro rispetto al capitale è diminuita.

Inoltre, all’interno del settore industriale, le imprese statali avevano il compito di stabilizzare l’occupazione e i salari, impiegando un numero maggiore di lavoratori e rappresentando una quota maggiore dei salari rispetto alle imprese private, quindi la riforma su larga scala delle imprese statali a metà e fine anni ’90 ha anche ridotto la quota di reddito da lavoro nell’economia. Con lo sviluppo dell’economia, l’aumento del settore dei servizi, che è più intensivo di manodopera rispetto ai settori industriali, ha fatto risalire la quota del reddito da lavoro.

In questo processo di trasformazione strutturale, i governi locali hanno promosso l’industrializzazione in modo da accelerare l’aumento della quota del capitale e la diminuzione della quota del lavoro. I capitoli da 2 a 4 descrivono il modello di investimento e finanziamento locale, che è quello di “impresa, produzione, scala e capitale”. I governi locali sono disposti a sostenere i “grandi progetti” e a fornire varie sovvenzioni, tra cui terreni a basso costo, tassi di interesse agevolati sui prestiti e sgravi fiscali, che stimolano le imprese a investire maggiormente in capitale e a ridurre la domanda di manodopera. Sebbene l’industria cinese sia ancora generalmente ad alta intensità di manodopera rispetto a quella dei Paesi sviluppati, c’è effettivamente una distorsione dovuta all’eccessivo investimento di capitale nell’industria rispetto alle dimensioni dell’enorme forza lavoro cinese. Da un lato, la diminuzione delle tariffe sui beni strumentali importati ha aumentato gli investimenti di capitale; dall’altro, la concentrazione dell’industria sulla costa sud-orientale ha portato a una migrazione di popolazione su larga scala, mentre le politiche relative alla registrazione delle famiglie e ai terreni hanno fatto aumentare i prezzi delle abitazioni e il costo del lavoro, che non favoriscono il benessere dei lavoratori migranti. La “carenza di manodopera” è un fenomeno ricorrente e le aziende sono quindi più propense a investire in capitale. Naturalmente, il fatto che le imprese utilizzino più capitale quando il prezzo del capitale scende rispetto a quello del lavoro dipende dalla sostituibilità del capitale e del lavoro nel processo produttivo. Le odierne tecnologie informatiche hanno reso le macchine sempre più “intelligenti” e capaci di fare un numero sempre maggiore di cose, e sono maggiormente sostituibili alla manodopera, per cui, quando il prezzo delle macchine diminuisce rispetto alla manodopera, esse spiazzano la manodopera. Ad esempio, la Cina è il più grande utilizzatore di robot industriali al mondo, rappresentando il 30% del mercato mondiale dei robot industriali nel 2016, e una delle ragioni principali è l’aumento del costo del lavoro.

Dal punto di vista del reddito, se la quota della popolazione nella distribuzione dell’economia nazionale diminuisce, la quota del governo e delle imprese deve aumentare. Allo stesso modo, dal punto di vista della spesa, una diminuzione della quota di consumi da parte della popolazione porterà a un aumento della quota di spesa da parte del governo e delle imprese, la maggior parte della quale viene spesa per gli investimenti. In altre parole, il reddito della popolazione viene trasferito al governo e alle imprese e diventa infrastrutture come strade e ferrovie ad alta velocità, impianti e macchinari, mentre la quota di beni di consumo come automobili ed elettrodomestici per la popolazione è relativamente più bassa. Inoltre, esiste anche una componente della spesa totale che viene effettuata dagli altri paesi, vale a dire le nostre esportazioni. Il calo della quota di spesa per consumi non corrisponde solo a un aumento della quota di investimenti, ma anche a un aumento della quota di esportazioni. Per molto tempo, quindi, gli investimenti e le esportazioni sono stati i principali motori della crescita del PIL del Paese, mentre i consumi interni sono stati relativamente fiacchi.

Come valutare questo modello di sviluppo economico? Innanzitutto, è importante notare che le cifre sopra citate sono in termini relativi, non in termini assoluti. L’economia nel suo complesso è in rapida espansione e la quota di reddito della popolazione, sebbene relativamente bassa, è in rapido aumento. Anche i livelli di consumo e di spesa stanno aumentando rapidamente, anche se a ritmi diversi.In termini di crescita economica, un aumento della quota di capitale significa un aumento della quantità di capitale pro capite, che è una tappa necessaria per la produttività e l’industrializzazione. Il nostro Paese ha attraversato in pochi decenni il processo di industrializzazione che ha richiesto all’Occidente diverse centinaia di anni, ed è inevitabile che attraversi una fase di accumulazione di capitale. Lo stesso è avvenuto per l’Europa, l’America e il Giappone. I lettori conosceranno il “movimento di recinzione” britannico e la descrizione di Marx del processo di accumulazione del “capitale primitivo“. Uno dei temi centrali della “nuova storia capitalista” emersa negli ultimi anni è il processo “coercitivo” di accumulazione del capitale in Europa e in America, come l’oppressione delle colonie da parte delle potenze europee e la schiavitù negli Stati Uniti. Nel miracolo dell’Asia orientale, i cittadini hanno dimostrato una grande operosità, un alto livello di risparmio, un alto livello di investimento e un’accumulazione di capitale ben nota in tutto il mondo. Il nostro Paese non fa eccezione. Oltre al duro lavoro delle persone, l’accumulo di capitale è stato accelerato da vari meccanismi. Ad esempio, la “compravendita unificata” di grano e la “forbice” tra i prezzi dei prodotti industriali e agricoli durante l’economia pianificata sono state utilizzate per trasferire le risorse in eccesso dall’agricoltura all’industria. Nelle città, le banche hanno abbassato i tassi di interesse sui prestiti alle imprese per ridurre il costo del capitale e stimolare gli investimenti e l’industrializzazione. Per tenere a galla le banche e garantire i loro margini di profitto, i tassi di interesse pagati dalle banche alla popolazione per i loro risparmi sono stati abbassati. Questo “disincentivo finanziario” riduce il reddito della popolazione. I bassi tassi di interesse hanno anche aumentato il tasso di risparmio e ridotto i consumi per poter risparmiare a sufficienza.

In questo contesto, il rapporto del 19° Congresso del Partito ha rivisto la principale contraddizione della nostra società in “contraddizione tra il crescente bisogno del popolo di una vita migliore e uno sviluppo squilibrato e insufficiente”. Il cosiddetto “squilibrio” comprende sia gli squilibri urbani-rurali e regionali, sia il divario tra ricchi e poveri (Capitolo 5), sia gli squilibri strutturali dell’economia, come gli investimenti e i consumi. Un aspetto importante dell'”inadeguatezza” si riferisce alla bassa percentuale di reddito delle persone e alla mancanza di un senso di “accesso”.

In risposta al problema della bassa percentuale di reddito delle persone, il 19° Congresso del Partito ha proposto di “migliorare la qualità dell’occupazione e del reddito delle persone” e ha specificato i seguenti principi: “Eliminare le carenze del meccanismo istituzionale che ostacolano la mobilità sociale del lavoro e dei talenti, in modo che tutti abbiano l’opportunità di raggiungere il proprio sviluppo attraverso il duro lavoro”. Migliorare il meccanismo di consultazione e coordinamento tra governo, sindacati e imprese e costruire relazioni sindacali armoniose. Aderire al principio della distribuzione in base al lavoro, migliorare il meccanismo istituzionale di distribuzione in base ai fattori e promuovere una distribuzione più razionale e ordinata del reddito. Incoraggiare il lavoro duro e la prosperità rispettosa della legge, espandere il gruppo di reddito medio, aumentare il reddito dei lavoratori a basso reddito, regolamentare il reddito eccessivo e bandire il reddito illegale. Insistiamo sulla necessità di ottenere una crescita simultanea dei redditi dei residenti di pari passo con la crescita economica e un aumento simultaneo della retribuzione del lavoro di pari passo con l’aumento della produttività del lavoro. Ampliare i canali per i redditi da lavoro e da proprietà dei residenti. Svolgere la funzione del governo di regolare la redistribuzione, accelerare la perequazione dei servizi pubblici di base e ridurre il divario nella distribuzione del reddito”.

Se le persone spendono una quota fissa del loro reddito per i consumi, non è sufficiente mantenere la crescita del reddito delle famiglie “in sincronia” con la crescita economica per aumentare la quota dei consumi nel PIL. Nel novembre 2020, il vicepremier Liu He ha pubblicato un articolo sul Quotidiano del Popolo intitolato “Accelerare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo in cui il ciclo nazionale principale è quello principale e i cicli nazionali e internazionali si promuovono reciprocamente”, in cui ha affermato che “dovremmo aderire alla direzione della prosperità comune, migliorare il modello di distribuzione del reddito, espandere il gruppo a reddito medio e sforzarci di rendere il reddito medio più elevato. L’articolo afferma che “dovremmo aderire alla direzione della prosperità comune, migliorare il modello di distribuzione del reddito, espandere il gruppo di reddito medio e sforzarci di far crescere il reddito dei residenti più velocemente della crescita economica”.

Per attuare questi principi, sono necessarie molte riforme specifiche. Il capitolo 2 introduce le riforme della spesa pubblica, richiedendo ai governi locali di aumentare la spesa per i mezzi di sussistenza delle persone. Il capitolo 3 introduce riforme nel sistema di valutazione dei funzionari, imponendo ai funzionari locali di concentrarsi sulla spesa per il sostentamento delle persone e di affrontare il problema degli squilibri e delle inadeguatezze. Il capitolo 5 introduce le riforme del mercato dei fattori, che mirano ad aumentare i redditi da lavoro e a ridurre i prezzi degli alloggi e l’onere del debito della popolazione per aumentare i consumi. Ecco un altro esempio: la riforma del trasferimento di capitale dalle imprese statali ai fondi di previdenza sociale.

Nella distribuzione del reddito nazionale, il calo della quota di reddito delle famiglie corrisponde in gran parte a un aumento della quota di reddito trattenuta dalle imprese (cioè il “risparmio delle imprese”). Per aumentare il reddito della popolazione, è necessario trasferire le risorse aziendali trattenute alla popolazione. Le imprese private hanno una redditività complessiva superiore a quella delle aziende di Stato, quindi hanno più redditi da capitale o “risparmi lordi”, ma tutto questo denaro viene investito ed è ancora insufficiente, quindi i “risparmi netti” sono negativi e devono essere finanziati. Le imprese statali, invece, hanno guadagni complessivi e “risparmi lordi” inferiori a quelli delle imprese private, ma i loro “risparmi netti” sono positivi. Sebbene il “risparmio netto” sia positivo, il tasso medio di distribuzione dei dividendi delle imprese di Stato è inferiore a quello delle imprese private. Nel 2017, il Consiglio di Stato ha proposto di trasferire il patrimonio netto delle aziende di Stato (centrali e locali), comprese le istituzioni finanziarie, ai fondi di previdenza sociale, con un rapporto di trasferimento uniforme del 10%. Questa riforma, che coinvolge trilioni di yuan di capitale e interessi profondamente intrecciati, sarà difficile, ma deve essere portata a termine con determinazione. Alla fine del 2019 è stato completato il trasferimento di 1.300 miliardi di yuan dalle imprese centrali. Al momento in cui scriviamo, all’inizio del 2020, il trasferimento delle aziende di Stato locali è ancora in corso.

Sovraccapacità, debito, squilibri esterni

In un mondo sempre più aperto, gli squilibri interni sono accompagnati da squilibri esterni. Il PIL è costituito da tre componenti principali: consumi, investimenti ed esportazioni nette (esportazioni meno importazioni). Dall’adesione alla Organizzazione Mondiale del Commercio, la quota degli investimenti e delle esportazioni nette è aumentata notevolmente (Figura 7-4), mentre la quota dei consumi è fortemente diminuita (Figura 7-2). Questa struttura economica è fragile e insostenibile. Da un lato, la domanda estera è fortemente influenzata dai cambiamenti politici ed economici all’estero ed è difficile da controllare; dall’altro, è impossibile mantenere la quota degli investimenti al di sopra del 40%. Gli investimenti in eccesso rispetto alla capacità di consumo possono diventare capacità in eccesso e sprechi. La quota degli investimenti sul PIL dei Paesi sviluppati in Europa e negli Stati Uniti è solo del 20-23%.

Se è vero che da un punto di vista contabile gli investimenti possono aumentare i valori attuali del PIL, se le attività create dall’investimento non portano a una maggiore produttività, a redditi più alti e a consumi più elevati in futuro, l’investimento non crea ricchezza sostanziale ed è uno spreco. Se il governo prende in prestito denaro per costruire una strada e molte persone la utilizzano, riducendo i costi di pendolarismo e logistica e aumentando la produttività, si tratta di un buon investimento. Ma se il governo continua a scavare e riparare, o si limita a costruire strade fuori dai sentieri battuti, il costo economico non sarà recuperato. Le entrate generate da questi progetti sono di gran lunga inferiori ai costi e il risultato è un debito sempre crescente. Anche se il PIL della città aumenta, le risorse vengono in realtà sprecate. Questi esempi non sono rari. Queste perdite non sono ancora state calcolate, ma prima o poi saranno registrate nei libri contabili.

Lo squilibrio tra investimenti e consumi non è un problema nuovo. Già nel 2005-2007, il reddito e i consumi delle famiglie in rapporto al PIL sono scesi al minimo (Figure 7-2 e 7-3). Il governo era già consapevole di questo problema e nel 2007 l’allora premier Wen Jiabao dichiarò che “l’economia cinese ha enormi problemi, che rimangono problemi strutturali e che rendono l’economia cinese instabile, squilibrata, non coordinata e non sostenibile”, come “la mancanza di coordinamento tra investimenti e consumatori e l’eccessiva dipendenza della crescita economica da investimenti e dalle esportazioni estere”.

Tuttavia, quando nel 2008 è scoppiata la crisi finanziaria globale, le esportazioni cinesi sono diminuite drasticamente e per aumentare gli investimenti è stato introdotto il piano “4 trilioni“, che ha portato a un ulteriore aumento della quota degli investimenti sul PIL dal già elevato 40% al 47% (Figura 7-4), che ha compensato il calo del PIL causato dalla diminuzione delle esportazioni nette e stabilizzato la crescita economica, ma ha anche rafforzato gli squilibri strutturali. Tra il 2007 e il 2012, la quota dei consumi, la quota del reddito familiare e il tasso di risparmio sono rimasti pressoché invariati (Grafici 7-2 e 7-3). La mancanza di reddito e di consumi interni, così come l’assenza di domanda estera, hanno naturalmente dato alle imprese meno incentivi a investire nelle industrie reali, con il risultato che una grande quantità di investimenti è stata destinata alle infrastrutture e al settore immobiliare, facendo salire i prezzi delle case e dei terreni e aumentando l’onere del debito e i rischi (Capitoli 3-6). Solo dopo il 18° Congresso del Partito nel 2012 è stata introdotta gradualmente una “riforma strutturale dal lato dell’offerta” sistematica.

A causa della bassa quota di consumo in Cina, anche con un tasso di investimento molto elevato, non tutta la produzione può essere consumata completamente e l’eccedenza deve essere esportata. Il fatto che le nostre esportazioni siano sempre maggiori delle nostre importazioni significa che ci devono essere altri Paesi, soprattutto gli Stati Uniti, le cui importazioni sono sempre maggiori delle loro esportazioni. A causa delle nostre enormi dimensioni, anche l’impatto sul commercio internazionale è enorme e l’aggiustamento economico che ne deriva non sarà facile.

Naturalmente, il mercato interno e quello internazionale sono due facce della stessa medaglia: gli squilibri interni possono portare a squilibri internazionali e gli squilibri internazionali possono a loro volta portare a squilibri interni. I nostri squilibri interni, con più produzione e meno consumo, rendono necessaria l’esportazione del surplus. D’altra parte, quando gli Stati Uniti spendono molto e acquistano da noi a prezzi elevati, le risorse corrispondenti vengono dirottate dai consumatori nazionali ai produttori d’esportazione per soddisfare la domanda estera, il che aggrava lo squilibrio tra consumo interno e produzione. Gli Stati Uniti hanno consumato grandi quantità di risorse a causa della guerra globale al terrorismo, mentre il settore immobiliare nazionale ha continuato a riscaldarsi e la ricchezza delle persone si è apprezzata, aumentando i consumi, che in gran parte sono stati soddisfatti dalle importazioni dalla Cina. Gli Stati Uniti hanno così accumulato un enorme debito estero, di cui uno dei maggiori debitori è la Cina, che ha anche aggravato i nostri squilibri economici interni. All’indomani della crisi finanziaria globale, sia la Cina che gli Stati Uniti hanno avviato un difficile processo di aggiustamento e riequilibrio. L’aggiustamento della Cina comprendeva, tra l’altro, “riforme strutturali dal lato dell’offerta”, riforme del mercato dei fattori e l’introduzione di una strategia di sviluppo basata su un “grande ciclo interno, con cicli internazionali e interni che si promuovono a vicenda”. Negli Stati Uniti, questo aggiustamento è stato accompagnato dalla polarizzazione politica, dall’aumento del protezionismo commerciale e da altri fenomeni.

Sezione 2: Il conflitto commerciale USA-Cina

Il grado di equilibrio della struttura economica interna di ciascun Paese si riflette nella posizione della bilancia dei pagamenti. La nostra produzione interna non viene interamente assorbita dai consumi e dagli investimenti interni, quindi le esportazioni superano le importazioni e il conto corrente (che può essere inteso semplicemente come una sintesi delle importazioni e delle esportazioni di beni e servizi) è in attivo, con un’esportazione esterna netta. Gli Stati Uniti non hanno una produzione interna sufficiente a soddisfare le loro esigenze di consumo e investimento, quindi le importazioni superano le esportazioni e le partite correnti sono in deficit, con un’importazione esterna netta. Il Grafico 7-5 illustra gli squilibri della bilancia dei pagamenti dagli anni ’90 ad oggi, con alcuni Paesi in avanzo (sopra la linea nera, maggiore di zero) e altri in deficit (sotto la linea nera, minore di zero).

Logicamente, il saldo aggregato globale delle partite correnti dovrebbe essere pari a zero quando i Paesi si compensano a vicenda. Nelle statistiche reali, tuttavia, questo saldo si aggira intorno allo 0,3% del PIL globale, a causa degli sfasamenti temporali dei trasporti o delle false dichiarazioni dovute all’evasione fiscale, ecc. Negli anni ’90 lo squilibrio era meno grave, intorno allo 0,5% del PIL globale o meno. Lo squilibrio è aumentato a partire dall’inizio del XXI secolo, raggiungendo un picco prima della crisi finanziaria globale, pari a circa l’1,5-2% del PIL mondiale. Dopo la crisi, gli squilibri si sono attenuati e sono scesi a meno dell’1% del PIL mondiale. In secondo luogo, il deficit globale delle partite correnti è costituito in gran parte dagli Stati Uniti, mentre il surplus è costituito soprattutto da Cina, Europa e Medio Oriente. Il rapido sviluppo della Cina dopo la sua adesione alla Organizzazione Mondiale del Commercio ha aumentato la sua quota di surplus globale in misura considerevole e ha anche portato a un “superciclo” per le materie prime come il petrolio, che ha visto i prezzi del petrolio salire alle stelle e il surplus del Medio Oriente aumentare in modo significativo. All’indomani della crisi finanziaria, la spesa dei consumatori statunitensi è diminuita, mentre la rivoluzione del petrolio e del gas di scisto negli Stati Uniti ha rivoluzionato la loro dipendenza dalle importazioni di gas naturale e petrolio, trasformandoli nel più importante produttore ed esportatore di petrolio e gas al mondo, con un conseguente forte calo del prezzo internazionale del petrolio e del gas, che ha ridotto sia il deficit della bilancia dei pagamenti statunitense che il surplus del Medio Oriente. Nel 2017, la Cina ha superato il Canada come maggior importatore di greggio statunitense.

Gli Stati Uniti sono in grado di assorbire le esportazioni estere nette degli altri Paesi grazie alla loro forza economica e allo status di valuta di riserva internazionale del dollaro. Ogni anno gli Stati Uniti importano più di quanto esportano, il che equivale a un costante “prestito” di risorse dall’estero, che li rende il più grande debitore del mondo. Ma quasi tutto il debito estero è denominato in dollari, e in linea di principio gli Stati Uniti possono sempre “stampare dollari per pagare i propri debiti” senza andare in default. In altre parole, finché il mondo si fiderà ancora del valore del dollaro, gli Stati Uniti potranno continuamente scambiarlo con prodotti e risorse reali di altri Paesi, un vero e proprio “privilegio esorbitante” che nessun altro Paese possiede. Di tutto il deficit commerciale degli Stati Uniti, la quota del deficit bilaterale con la Cina è aumentata, passando da un quarto nei primi anni del XXI secolo al 50-60% negli ultimi cinque anni. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno sempre visto la Cina come il loro principale rivale, nonostante i conflitti commerciali con molti paesi.

Shock tecnologici

L’impatto dell’aumento della produzione cinese e del commercio USA-Cina sui posti di lavoro statunitensi non è realmente rilevante. Gli shock tecnologici e le sfide per gli Stati Uniti sono più tangibili dell’effetto sulla occupazione,e questo è il motivo per cui il conflitto commerciale tra Cina e Stati Uniti e il contenimento tecnologico degli Stati Uniti sono destinati a prolungarsi. Anche se l’industria manifatturiera rappresenta un’occupazione a una sola cifra negli Stati Uniti, continua ad essere una fonte di innovazione tecnologica, con il 60-70% della spesa statunitense in R&S e dei brevetti aziendali provenienti da aziende manifatturiere. (25)

Variazione relativa nella scienza e nella tecnologia tra Stati Uniti e Cina (gli indicatori statunitensi sono impostati a 1) Fonte: dati sul valore aggiunto manifatturiero della Banca Mondiale; domande di brevetto internazionali dell’OMPI; pubblicazioni internazionali dell’Indice Nature.

La figura 7-7 mostra l’evoluzione dei nostri indicatori rispetto agli Stati Uniti. In primo luogo, il valore aggiunto manifatturiero, che nel 1997 era solo 0,14 quello degli Stati Uniti, ha superato gli Stati Uniti nel 2010 ed era 1,76 volte quello degli Stati Uniti nel 2018. La seconda è la tecnologia, misurata dal numero di domande di brevetti internazionali, che proviene dal sistema Patent Cooperation Treaty (PCT) dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO). Da quando il sistema è diventato operativo nel 1978, gli Stati Uniti hanno perso il primo posto nel mondo per la prima volta nel 2019 a favore della Cina. Ancora una volta, le scienze di base sono misurate dal numero di pubblicazioni internazionali di alto livello, noto come Nature Index. Nel 2012, il numero della Cina era solo 0,24 quello degli Stati Uniti, leggermente superiore a Germania e Giappone, ma nel 2019 ha raggiunto 0,66 quello degli Stati Uniti, tre volte quello della Germania e 4,4 volte quello del Giappone.

Questi indicatori quantitativi non sono ovviamente pienamente rappresentativi della qualità. Ma nell’industria e nella tecnologia, non c’è qualità senza una base quantitativa. Inoltre, queste cifre sono il flusso annuale di nuovi dati, non lo stock accumulato. In termini di base tecnologica accumulata, come il numero di brevetti e il livello di ricerca scientifica, la Cina è ancora molto indietro rispetto agli Stati Uniti. È come se un giovane, dopo anni di duro lavoro, guadagnasse finalmente più di un milione di dollari all’anno e raggiungesse il livello di un dirigente d’azienda, ma i dirigenti più anziani guadagnano milioni di dollari all’anno da decenni e hanno accumulato molta più ricchezza e risorse familiari del giovane. Ma il flusso di milioni di dollari all’anno manda un segnale forte: i giovani non sono più quelli di una volta, hanno la capacità di guadagnare, lo slancio è forte, il futuro è promettente, ed è solo una questione di tempo prima che accumulino una fortuna familiare. C’è un ritardo nel riconoscimento della qualità dei prodotti “made in China”, che è molto più alta oggi che dieci anni fa. Lo stesso vale per la tecnologia e la scienza.

Per i paesi all’avanguardia della scienza e della tecnologia, l’invenzione e l’applicazione di nuove tecnologie iniziano generalmente con la ricerca scientifica e i laboratori, poi passano all’applicazione della tecnologia e ai brevetti, e infine alla produzione industriale di massa su larga scala. Ma per un paese in via di sviluppo che è un ritardatario, la sequenza è spesso invertita: inizia con la produzione, imparando facendo, accumulando tecnologia ed esperienza, e poi lentamente migliorando la tecnologia e creando alcuni brevetti secondo i suoi bisogni. Nel 2010, il valore aggiunto manifatturiero della Cina ha superato quello degli Stati Uniti, e nel 2019, il numero di domande di brevetti internazionali ha superato quello degli Stati Uniti. E al ritmo attuale di crescita delle pubblicazioni scientifiche, la Cina potrebbe superare gli Stati Uniti intorno al 2025 (Figura 7-7).

Per i paesi in ritardo di sviluppo, quindi, la produzione industriale è la base del progresso tecnologico. Non esiste al mondo una potenza di innovazione tecnologica che non sia anche una potenza manifatturiera (o almeno lo era). Il modo giusto per entrare nella catena industriale globale è attraverso il settore manifatturiero, che non solo ha un effetto di apprendimento, ma anche un forte effetto di agglomerazione e di scala. Nell’ultimo decennio circa, la capacità delle catene manifatturiere cinesi di irrobustirsi ha attirato le aziende straniere lungo la catena di fornitura ad aprire fabbriche in Cina, mentre anche i produttori nazionali a monte e a valle stanno crescendo rapidamente e l’effetto sinergico di innovazione delle filiere è forte. La categoria più importante delle esportazioni cinesi è quella delle apparecchiature per la tecnologia delle comunicazioni e dei relativi prodotti elettronici (ad esempio i telefoni cellulari), che nel 2005 rappresentavano il 43% del valore dei componenti importati dall’estero e solo il 57% del valore creato localmente. Nel 2015, tuttavia, il valore proveniente dall’estero era sceso al 30%. (26)

Mi riferisco all’esempio dell’iPhone prodotto da Apple. Anni fa, i media e gli analisti fecero circolare l’idea che un iPhone “made in China” sarebbe stato venduto a centinaia di dollari, ma il valore apportato dalla Cina continentale sarebbe stato di soli due o tre dollari per l’assemblaggio da parte di Foxconn. Negli ultimi due anni, di tanto in tanto, si vede ancora citare questa cifra, ma è ben lontana dalla verità. Ogni anno Apple pubblica un elenco dei suoi 200 principali fornitori, che rappresentano il 98% delle materie prime, della produzione e dell’assemblaggio di Apple. Nell’edizione 2019 dell’elenco, sono presenti in totale 40 società provenienti dalla Cina continentale e da Hong Kong, di cui 30 società continentali, comprese diverse società quotate in borsa.

Nel mercato delle azioni A esiste da tempo il cosiddetto “concetto di catena della frutta”, che comprende società quotate in borsa come Lanshi Technology, che produce cover per iPhone, Ovation, che produce moduli per fotocamere, Geer, che produce unità audio, e Desai, che produce batterie. Sebbene sia difficile stimare l’esatto valore aggiunto dalla catena industriale cinese (inclusa Hong Kong) in un iPhone, alcuni “teardown report” nazionali e internazionali stimano i prezzi dei vari componenti, suggerendo che le aziende cinesi (inclusa Hong Kong) contribuiscono a circa il 20% del valore dell’hardware dell’iPhone.

In teoria, il commercio tra Stati Uniti e Cina non danneggia necessariamente l’innovazione tecnologica statunitense. Anche se alcune delle aziende più deboli perdessero il loro vantaggio nei confronti della Cina, i loro profitti si ridurrebbero, sarebbero costrette a ridurre le spese di R&S e le attività di innovazione e potrebbero infine cessare l’attività. Ma per molte grandi aziende, spostando la produzione in Cina, vicino al mercato più grande e in più rapida crescita del mondo, si guadagnerebbe molto di più, che potrebbe essere investito in R&S negli Stati Uniti per continuare a innovare e migliorare il proprio vantaggio competitivo, e in definitiva la capacità di innovazione complessiva degli Stati Uniti non sarebbe necessariamente influenzata negativamente. Ma nella politica e nei media statunitensi ha prevalso negli anni una mentalità conservatrice e probabilmente continuerà una politica di repressione tecnologica nei confronti della Cina. Se il più grande mercato del mondo e il più forte centro per la scienza e l’innovazione dovessero allontanarsi, sarebbe una grande perdita per entrambe le parti e per il mondo. Dopo tutto, la Cina ha ancora molta strada da fare in termini di qualità della ricerca di base e di efficienza nella trasformazione dei risultati scientifici, e sarebbe impossibile per gli Stati Uniti trovare un altro grande mercato nel mondo. Senza un mercato, sarà difficile per le aziende statunitensi sostenere le loro elevate spese di R&S e mantenere il loro vantaggio tecnologico a lungo termine. Allo stesso tempo, sebbene l’elevata pressione sulla tecnologia possa frustrare le aziende cinesi nel breve termine, molte tecnologie nazionali relativamente arretrate hanno anche guadagnato opportunità di mercato e possono aumentare la quota di mercato e i ricavi, il che a sua volta porterà a un ciclo virtuoso di “mercato – R&S – iterazione – mercato più grande” e, in ultima analisi, alla sostituzione interna. Ma tutto ciò presuppone che il mercato interno cinese possa effettivamente continuare a crescere, che i consumi nazionali possano continuare ad aumentare e che possano davvero sostenere il modello del “doppio ciclo” di un “grande ciclo interno”.

Sezione 3: Il riequilibrio e il grande ciclo interno

Nel 2019, il PIL della Cina è stato equivalente al PIL mondiale del 1960 (al netto dei fattori di prezzo). Tuttavia, il modello di sviluppo passato è insostenibile, con un grave squilibrio tra la struttura interna ed esterna dell’economia, e la situazione internazionale sta diventando sempre più complessa, per cui nel 2020 il Governo centrale propone di “accelerare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo con un grande ciclo interno e un ciclo interno e internazionale che si rafforza reciprocamente”. Si tratta di un cambiamento nella strategia di sviluppo.

Dal punto di vista dell’analisi proposta in questo capitolo, la chiave di questa trasformazione strategica è l’aumento del reddito e dei consumi delle persone. Sebbene il governo continui ad enfatizzare la “riforma strutturale dal lato dell’offerta”, “offerta” e “domanda” non sono due cose diverse, ma modi diversi di vedere la stessa cosa. Ad esempio, dal punto di vista dell’offerta si tratta di regolare la capacità produttiva, mentre dal punto di vista della domanda si tratta di adeguare la spesa per investimenti; dal punto di vista dell’offerta si tratta di riqualificare le industrie, mentre dal punto di vista della domanda si tratta di migliorare i livelli di reddito e le strutture di consumo. La Conferenza centrale per il lavoro economico del dicembre 2020 ha proposto di “mantenere saldamente la linea principale della riforma strutturale sul lato dell’offerta, di concentrarsi sulla gestione della domanda, di sbloccare i blocchi, di colmare le carenze, di collegare la produzione, la distribuzione, la circolazione e il consumo e di formare un livello superiore di equilibrio dinamico in cui la domanda tira l’offerta e l’offerta crea la domanda”.

Per aumentare i redditi delle persone, l’urbanizzazione deve continuare, con la concentrazione della popolazione nelle città, soprattutto quelle grandi. Sebbene l’industria manifatturiera sia il principale veicolo della produttività e del progresso tecnologico, gli attuali sviluppi tecnologici e l’esperienza dei Paesi sviluppati dimostrano che un ulteriore sviluppo dell’industria manifatturiera non può assorbire più posti di lavoro. In seguito alla globalizzazione delle catene industriali, si assiste a un crescente grado di standardizzazione e la maggior parte delle operazioni viene eseguita da macchine. La fascia alta del settore manifatturiero è ad alta intensità di capitale, tanto che i lavoratori nelle officine automatizzate sono pochi. Sebbene il settore manifatturiero sia stato forte negli Stati Uniti, sta assorbendo sempre meno occupazione (Figura 7-6) e questo processo non si sta invertendo. La soluzione alla crescita dell’occupazione e del reddito deve quindi essere una grande espansione del settore dei servizi, che può avvenire solo nelle città densamente popolate. Non solo i negozi e i ristoranti tradizionali hanno bisogno di essere sostenuti dal traffico pedonale, ma anche i nuovi taxi online, i corrieri e i take away dipendono tutti da una popolazione densa. Per proseguire l’urbanizzazione, la popolazione residente deve essere dotata di servizi pubblici adeguati per poter vivere e lavorare in città. Ciò comporta la riforma dei mercati dei fattori, compreso il sistema di registrazione delle famiglie e il sistema fondiario, come spiegato in dettaglio nel capitolo 5.

Per aumentare il reddito e i consumi delle persone, è necessario sottrarre maggiori risorse al governo e alle imprese per destinarle ai cittadini. La chiave della riforma è cambiare il ruolo dei governi locali nell’economia, frenando i loro impulsi di investimento, riducendo la spesa per la produzione e aumentando la spesa per il benessere delle persone. Ciò avrà quattro importanti implicazioni. In primo luogo, l’aumento della spesa per il sostentamento delle persone cambierà il modello di urbanizzazione che vede la “terra al di sopra delle persone” e renderà le città “incentrate sulle persone”, in modo che i residenti possano vivere e lavorare in pace e soddisfazione, al fine di ridurre i risparmi ed espandere i consumi. In secondo luogo, aumentando la spesa per il sostentamento delle persone, i governi locali possono limitare la spesa produttiva per gli investimenti. Nell’attuale fase di sviluppo economico, gli investimenti industriali sono diventati molto complessi e lo spreco degli investimenti approssimativi del passato sta diventando sempre più grave, riducendo le risorse reali disponibili per il settore abitativo. Inoltre, il processo di investimento industriale è per lo più irreversibile, quindi una volta che i governi locali sono coinvolti, non è facile uscirne (Capitolo 3). Anche se le imprese locali non sono competitive, il governo potrebbe essere costretto a continuare a fornire loro trasfusioni di sangue, eliminando le risorse e riducendo l’efficienza del mercato nazionale (Capitolo 4). In terzo luogo, la promozione di un ciclo domestico di grandi dimensioni richiede l’aggiornamento della tecnologia e la conquista di vari snodi chiave. L’elemento centrale del progresso tecnologico sono le “persone”. Pertanto, l’aumento della spesa del governo locale per l’istruzione e l’assistenza sanitaria rappresenta un investimento in capitale umano, che nel lungo periodo favorisce il progresso tecnologico e lo sviluppo economico. In quarto luogo, aumentare la spesa per i mezzi di sussistenza delle persone e frenare gli impulsi agli investimenti può anche ridurre la dipendenza dei governi locali dai modelli di sviluppo “land finance” e “land finance”, limitare il loro uso della terra per aumentare la leva finanziaria e le risorse di credito, ridurre la loro dipendenza dai prezzi della terra e aiutare a Stabilizzare i prezzi delle abitazioni e impedire che i consumi vengano erosi da un ulteriore aumento dell’indebitamento della popolazione (Capitolo 5).

Per aumentare il reddito delle persone, è necessario anche ampliare i redditi da capitale e sviluppare diversi canali di finanziamento diretto, in modo che un maggior numero di persone abbia l’opportunità di condividere i frutti della crescita economica, il che implica la riforma del sistema finanziario e dei mercati dei capitali. Tuttavia, come si è detto nel Capitolo 6, il finanziamento e l’investimento sono due facce della stessa medaglia: se il corpo principale delle decisioni di investimento rimane invariato, con i governi locali e le imprese statali che continuano a dominare, il sistema di finanziamento concentrerà inevitabilmente le risorse e i rischi a loro favore, rendendo difficile la promozione sostanziale di un sistema di finanziamento diretto con la partecipazione di una più ampia gamma di attori.

La strategia del “doppio cerchio” enfatizza il “riequilibrio” e l’espansione del grande mercato interno, sottolineando al contempo la necessità di aprirsi al mondo esterno. Se le esportazioni creano più posti di lavoro e reddito nel settore manifatturiero, anche le importazioni possono creare più posti di lavoro e reddito nei servizi, tra cui il commercio, i magazzini, la logistica, i trasporti, la finanza e i servizi post-vendita. Con l’aumento della produttività cinese e il continuo apprezzamento del renminbi nel lungo periodo, l’espansione delle importazioni aumenterà il potere d’acquisto reale dei cittadini, amplierà le loro scelte di consumo e aumenterà il loro tenore di vita, continuando ad aumentare l’attrattiva del nostro mercato a livello internazionale.

Non esiste mai un mercato astratto e privo di ostacoli. La scala e l’efficienza dei mercati devono essere gradualmente migliorate dalla creazione alla perfezione, e un mercato perfetto è un risultato dello sviluppo economico, non un prerequisito. In un Paese con un territorio vasto e una popolazione numerosa, la creazione e il collegamento di un unico mercato nazionale di beni ed elementi, nonché l’interconnessione di beni e persone, non è meno difficile di una mini-globalizzazione e richiede anni di costruzione e istituzionalizzazione. Negli ultimi decenni, il rapido sviluppo di tutti i tipi di infrastrutture, dalle ferrovie a Internet, ha gettato solide basi per lo sviluppo di un grande mercato nazionale unificato e ha anche eliminato alcune delle barriere del vecchio sistema. In futuro, solo continuando a promuovere riforme orientate al mercato di vari fattori, espandendo l’apertura e trasformando realmente il ruolo dei governi locali da orientato alla produzione a orientato ai servizi, potremo realizzare l’enorme potenziale del mercato interno e spingere la Cina tra i paesi a medio e alto reddito.

1

Per un elenco specifico e una breve descrizione delle aziende, si rimanda all’articolo di Ning Nanshan “From Apple’s Top 200 Global Suppliers in 2019″ pubblicato sul suo sito web pubblico: “I 200 principali fornitori globali nel 2019: uno sguardo alla catena dell’industria elettronica globale in evoluzione”.

https://jacopo1949.substack.com/p/gli-squilibri-interni-e-internazionali?utm_source=post-email-title&publication_id=406229&post_id=98251230&isFreemail=true&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

La caduta. Lineamenti e prospettive del prossimo futuro, di Piero Pagliani

Un saggio interessante che tenta di riprendere e ricalcare impostazioni e contesti teorici classici, in particolare marxisti, ma con alcuni aggiustamenti che tentano di superare il loro determinismo, laddove recupera il ruolo del politico ed ideologico in maniera più autonoma. Si tratta, però, a parere dello scrivente, comunque di un tentativo dal quale l’autore rischia sempre di allontanarsi per ricadere in una impostazione economicista in almeno tre occasioni:

  • quando parla della crisi attuale come di sconvolgimento sistemico determinato dalle dinamiche dell’accumulazione capitalistica, quando queste dinamiche in realtà non determinano tendenze irreversibili assolute, ma sono la conseguenza e/o contribuiscono a ridefinire gli equilibri e i rapporti di forza
  • quando stabilisce negli anni ’60 il momento di innesco della crisi egemonica statunitense, scambiando questa con una crisi dell’egemonismo. Il momento di crisi, in realtà, si è innescato solo dopo un paio di lustri dall’implosione del blocco sovietico grazie alla sicumera di aver conseguito definitivamente la condizione egemonica nel mondo e al dato strutturale che qualsiasi tendenza egemonica, nella fattispecie quella definita “globalismo”, genera di per sé spazi ed opportunità di azione di attori rivali
  • quando lamenta la mancanza di una analisi di classe. Ma di quale rapporto di classe: quella tra salariati e proprietari di mezzi di produzione; quella tra “rapinati” e “rapinatori”; quella tra ricchi e poveri, da deboli e forti. Siamo proprio sicuri che il conflitto sociale sia condotto dalle classi e che quest’ultimo determini più o meno direttamente l’antagonismo ed il conflitto tra centri decisori?

Buona lettura, Giuseppe Germinario

Introduzione: i lineamenti della crisi in breve

La formidabile espansione economica occidentale del dopoguerra, guidata dagli Stati Uniti, ultimi eredi dell’egemonia occidentale sulla maggior parte del mondo, che era culminata con l’Impero Britannico, è entrata in crisi verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Si tratta di una crisi sistemica. Una crisi è sistemica quando non coinvolge un gruppo limitato di comparti economici né un gruppo limitato di Paesi ma investe tutta una economia-mondo e la sua organizzazione intorno al potere economico, finanziario, politico e militare di un centro egemone. Da quanto detto si capisce che ogni crisi sistemica ha un carattere “ibrido”, per l’appunto politico, militare, economico e finanziario. Ne ha ovviamente anche uno sociale, perché le economie-mondo reggono sistemi sociali e sono rette da rapporti sociali. E ne ha uno ideologico che riguarda il complesso delle idee dominanti.

Oggi l’economia-mondo in crisi ha un’estensione planetaria e il centro egemone in crisi sono gli Stati Uniti d’America. Ma la natura più spettacolare della crisi sistemica corrente è data dal fatto che con essa potrebbe chiudersi la lunghissima sequenza di economie-mondo che a partire da Venezia sono state centrate sull’Occidente e, al suo interno, la sequenza dei cicli sistemici dominati dal mondo anglosassone. Da qui il carattere fortemente ideologizzato dello scontro che va oltre le ovvie manovre di propaganda e disinformazione. Oltre ad avere arruolato militarmente gli eredi più puri del nazismo hitleriano, l’Occidente collettivo ha infatti dovuto riesumare anche l’armamentario lessicale del fascismo. Gli alti funzionari della UE ormai parlano della Russia in termini di “Paese non civilizzato” e dei Russi come “solo apparentemente europei”, così come al momento del lancio dell’Operazione Barbarossa si parlava di “barbarie dei territori orientali” e di popolazione “semiasiatica”. In definitiva, una professione di fede razzista da parte di chi per il resto della giornata parla di “inclusione” e “democrazia”.

La campagna d’odio contro tutto ciò che è russo, comprese la grande letteratura e la grande musica, parti integranti della cultura europea, racconta di uno stato di disperazione che conduce ad atti di autolesionismo, di automutilazione, che ritroviamo tali e quali nella sfera economica e sono il risultato di una perniciosa incapacità di adattamento.

Questa resistenza all’adattamento è in gran parte indotta dalla nazione egemone in crisi, di cui gli Europei sono semplici vassalli. Ma ha anche radici locali in quelle élite che sanno che la perdita di egemonia degli Stati Uniti travolgerebbe anche i propri straordinari patrimoni e interessi e le proprie posizioni di potere semidivine.

Il campanello d’allarme della crisi sistemica fu il Nixon shock del Ferragosto del 1971, quando il presidente degli Stati Uniti mise fine alla convertibilità del Dollaro in oro. Dopo quasi un decennio d’incertezza, dovuta al braccio di ferro tra Washington (il Potere del Territorio) e Wall Street (il Potere del Denaro), la pace tra i due poteri fu decretata dal Volcker shock, quando il neo appuntato presidente della Fed portò i tassi dei fondi federali dal 11.2% al picco del 20% nel giugno del 1981. Le conseguenze furono disoccupazione, fallimenti, concentrazione e centralizzazione di capitali e il raffreddamento dell’inflazione che per tutto il decennio precedente si era accompagnata alla stagnazione. Infatti le spinte inflazionistiche agevolate dal governo statunitense per rilanciare l’economia non avevano sortito alcun effetto data la perdurante crisi di profittabilità degli investimenti. I capitali man mano si spostavano dal commercio e dall’industria, cioè dall’economia reale, verso le speculazioni finanziarie rompendo gli argini delle restrizioni legislative nazionali anche grazie alle operazioni delle multinazionali che inizialmente cercavano di difendersi dall’instabilità dei cambi provocata dal Nixon shock. Col Volcker shock e l’avvento del presidente Reagan, emulato in Europa dalla signora Thatcher negli UK e poi via via da tutti gli altri Paesi della UE, gli investimenti nel circuito finanziario presero decisamente il sopravvento. Era iniziata la finanziarizzazione, storicamente segno di crisi, in cui l’accumulazione di capitale reale è stata esponenzialmente sostituita da quella di capitale fittizio, i cui valori nominali niente hanno a che vedere con la ricchezza reale prodotta o esistente. Si è così giunti ad ammassare titoli di credito totalmente inesigibili, come la strabiliante massa di prodotti derivati il cui valore nozionale per la Bank for International Settlements di Basilea ammonta a 558,1 trilioni di dollari (con una stima totale di 1 quadrilione di dollari calcolando anche i contratti non-Over The Counter). La sola prima cifra, quella più bassa, equivale al doppio della ricchezza immobiliare di tutto il Pianeta, a poco meno di 6 volte il denaro nel mondo (inteso come monete, banconote e depositi di ogni tipo) e a 6 volte il PIL mondiale. Se si considera la stima più alta abbiamo che i soli titoli derivati equivalgono a 10 volte il PIL mondiale 2021.

Questa ricchezza fittizia, ma politicamente e militarmente supportata e quindi attiva, se in Occidente dava spazio a fantasie che da noi ben si accompagnavano alla “Milano da bere”, come gli “intangible assetes”, il “knowledge management” e cose simili (tutti concetti che quando si cercava di concretizzare facevano semplicemente riferimento al delta tra il valore reale di un’azienda e il suo valore borsistico), fantasie che altre ne hanno generate grazie a immaginifici teorici della “sinistra marxista”, questa ricchezza fittizia, si diceva, nel concreto intercettava i profitti che venivano creati là dove solo era possibile crearli, cioè al di fuori dei circuiti capitalisti storici: alla finanziarizzazione era necessario accoppiare la globalizzazione.

Ma la globalizzazione faceva crescere potenze che collocate al di fuori del controllo politico occidentale, nel giro di un paio di decenni sarebbero emerse come competitor strategici degli USA, la Cina e la Russia, intorno alle quali si aggregava un numero crescente di Paesi che cercavano di sottrarsi al predominio dell’Occidente collettivo (si pensi alla Shanghai Cooperation Organisation o ai BRICS+).

Fin dal 2000 (si veda il report “Rebuilding America’s Defenses: Strategies, Forces, and Resources For a New Century” del think tank neo-conservatore Project for a New American Century) si prevedeva che il decennio 2020 sarebbe stata l’ultima finestra utile entro la quale gli Usa potevano e dovevano intervenire, anche militarmente, in modo diretto contro i propri competitor per non perdere l’egemonia mondiale.

E così è stato.

La sequenza crisi sistemica-finanziarizzazione-guerre mondiali è ricorrente nella storia del capitalismo.

Dalla caduta dell’URSS abbiamo assistito a una guerra dopo l’altra: Jugoslavia (prima guerra in Europa dal 1945, e qualcuno già capiva che non sarebbe stata l’ultima) Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Yemen. E ora siamo di nuovo a una guerra europea, quella in Ucraina. Tutta questa cortina di fuoco, se da una parte serve a circondare la landmass eurasiatica (dove insistono quattro potenze atomiche, le nazioni più popolose del mondo, quella con la maggiore economia mondiale, ed è la sede di enormi e diversificate risorse naturali), dalla parte opposta serve a dividere l’Europa da essa e da buona parte dell’Africa. In altri termini serve a fare dell’Europa un’appendice incistata degli USA. E per far questo era necessario che la UE fosse “weaponized” (cioè trasformata in un’arma), diventasse un’estensione civile della Nato, da spendere contro la Russia, via l’Ucraina, la vittima sacrificale.

E qui arriviamo al centro del problema. Gli Stati Uniti, con tutti i suoi alleati, non sono in grado di sconfiggere in una guerra convenzionale né la Russia né la Cina. Vale la pena ricordare che il maresciallo Montgomery in un’audizione alla Camera dei Lord nel 1962 riguardante lo scenario di una futura terza guerra mondiale avvertì: «La regola 1, alla pagina 1 del manuale di guerra dice: “Mai marciare su Mosca”. La regola 2 dice: “Non combattete con un esercito di terra in Cina”».

In una guerra atomica saremmo tutti sconfitti, USA compresi. E lo sanno. Per lo meno c’è molta gente con posti di responsabilità negli Usa che lo sa perfettamente. A mio avviso lo sa anche Biden che è ondivagante perché deve tener testa a una massa di crazy freaks, a volte drammaticamente ideologizzati (il “Destino manifesto”), che non sanno cos’è una guerra convenzionale, men che meno sanno cos’è una guerra di difesa esistenziale (nozione che ai Russi è stata impressa nel DNA a suon di milioni di morti), e assolutamente non hanno idea di cosa sia una guerra atomica, pensano che poterebbe essere combattuta solo in Europa mentre loro stanno a guardare magari da un bunker extra lusso, e la cui unica strategia, sia economica che militare e politica, è rilanciare sempre esattamente la stessa mossa.

La crisi dei subprime fu, dopo le avvisaglie della crisi borsistica delle “dot-com” (cioè del “capitalismo immateriale”, del “capitalismo della conoscenza”), lo scoppio di un’enorme bolla di capitale fittizio. Grazie alla Cina la crisi fu faticosamente tamponata ma la logica occidentale di accumulazione rimaneva quella basata sul capitale fittizio. Tutte le mosse che avevano portato alla crisi vennero ripetute a scala ancora maggiore. Si pensi agli enormi quantitative easing in dollari o euro, che arrivavano all’economia reale solo col contagocce mentre la massa si fermava nei circuiti finanziari che la bloccavano lì. Ora incombe lo scoppio di una bolla colossale in un mondo non più globalizzato ma frammentato a livello geopolitico, commerciale e finanziario. Per mitigare lo scoppio si darà corso alle solite rapine: privatizzazioni del dominio pubblico, mergers and acquisitions, scorrerie immobiliari, compressione dei salari e tutto il resto a cui destra e ancor più sinistra ci hanno abituati in questi anni [1]. Rapine che ridurranno la società in uno stato miserevole, ma che comunque non basteranno, per via delle grandezze in gioco, del fatto che la ricchezza esistente è uno stock finito e infine che queste manovre e l’isolamento mondiale a cui ci stiamo auto-condannando impediranno ogni ripresa, se non in limitati settori, e quindi la creazione di nuovi flussi di ricchezza.

Ne consegue che sarà necessaria una progressiva sospensione/limitazione/abolizione delle libertà democratiche di espressione, organizzazione, eccetera, libertà non più sostenute dallo sviluppo ma, anzi, ostacoli alla riorganizzazione sempre più violenta, sempre più urgente e sempre più veloce dei processi di accumulazione di denaro e di potere. Ovunque verrà applicata l’autorità di questo nuovo impero aristocratico, fondamentalmente una nuova talassocrazia, sia sulle “colonie esterne” sia sulle “colonie interne” si applicherà il metodo classico di appoggiarsi a forze e gruppi sociali elitari e reazionari, ma avendo cura di accendere i riflettori sulla patina “libertaria” di woke culture, del tutto inutile per redimere vecchi torti e non farne di nuovi, ma molto utile per abituare le persone ad aderire a protocolli ideologici e comportamentali decisi dall’alto.

Negli Usa, pervasi dai neocon, l’unica via di salvezza è vista nella ripresa del ruolo di potenza egemone mondiale che però deve passare dalla sconfitta della Cina che richiede a sua volta la sconfitta della Russia. Mentre si tenta questa strada, che necessariamente spacca il mondo in un terzo occidentale e in due terzi “altro” e che quindi spezza violentemente il circuito finanziarizzazione-globalizzazione, gli Usa possono solo rapinare i propri alleati a partire dalla (ancora per poco) ricca Europa. Ma se anche questa rapina riuscisse in pieno gli Usa, nella migliore delle ipotesi, finirebbero per rimanere bloccati in una situazione di ricchezza solipsistica simile a quella da cui dovettero uscire nel dopoguerra inventandosi la Guerra Fredda e rifornendo di dollari un’Europa che doveva essere ricostruita dopo la II Guerra Mondiale. Ma quel ciclo non sarebbe più ripetibile, perché la situazione mondiale è oggi drasticamente diversa e più che altro è drasticamente compromessa. Non è chiaro se in questo modo gli Usa intendono solo guadagnar tempo mentre cercano di indebolire i propri avversari in vista di una loro capitolazione, o se la nuova posizione di assoluto comando su 1/5 del globo (quasi un impero formale) sarà usata per negoziare i nuovi rapporti di forza in un mondo multipolare ormai impossibile da contrastare. Dipenderà dall’andamento della crisi.

Come procederà?

La crisi è direttamente proporzionale al tasso di finanziarizzazione, all’accumulo di capitali fittizi, e quindi è massima nell’Occidente collettivo dove, come si è visto, non verrebbe risolta nemmeno rovesciando sotto sopra il Vecchio Continente e i suoi sempre meno numerosi annessi e connessi.

La crisi è causata dai meccanismi mossi dalla logica dell’accumulazione. Quindi all’interno del costruendo impero formale a guida anglosassone essa non ha modo di essere risolta. La domanda allora immediata è: “Al suo esterno cosa sta succedendo, cosa succederà?”.

A questa domanda io non so rispondere. Se un mondo multipolare finalmente emergerà sarà perché l’Occidente collettivo, che oggi è neoliberista, sarà sconfitto da un Sud (o Est) collettivo di cui per ora non si capisce quale potrà essere la natura. O quanto meno, io non lo capisco.

In realtà, al di là del chiaro intento della Russia di spezzare il sempre più minaccioso assedio della Nato culminato con l’appoggio occidentale ai neo-nazisti ucraini, e della possibilità – prevista dal Cremlino – che una gran parte del Sud globale vi sta cogliendo per sottrarsi al secolare giogo dell’Occidente, in crisi e quindi sempre più rapinoso e aggressivo (due aspetti in diretto contrasto con la nozione di “egemonia”), non credo che nessuno possa in scienza e coscienza affermare di aver chiare le linee profonde della contrapposizione, quelle che plasmeranno il mondo a venire.

Si parla genericamente di uno scontro tra l’Occidente neoliberista e … . E manca il secondo termine. Spesso il “neoliberismo” viene inteso come una sorta di “fase terminale” del capitalismo (cosa che in sé non è) e altrettanto spesso viene enfatizzata la sua accezione ideologica, visibile nelle iperboli della woke culture che seppure hanno una relativa forza distruttiva, sono ancora solo “sperimentali” e minoritarie (anche se non sembra, per via di media e testimonial vociferanti) e hanno il compito di celare sostanziosi “fenomeni di classe” nazionali e internazionali che non si è quasi ancora iniziato ad analizzare (le eccezioni sono pregevoli ma rare e tenute in stato di clandestinità). Così, ipnotizzato dagli effetti speciali della woke culture, c’è chi si immagina uno scontro tra un mondo indirizzato verso il transumanesimo e un mondo che difende i valori umanistici, non di rado descritti come “valori tradizionali”. E quando si usa il concetto di “tradizione” si entra in una selva di rovi. Quando inizia e quando finisce la “tradizione”? Per qualcuno nel Medioevo – inteso in senso storico, non spregiativo – per qualcun altro nell’Illuminismo, e via così secondo i propri punti di riferimento. E dove è localizzata questa “tradizione”, in Europa, in Cina, in Russia, in Argentina, in Thailandia? A quale sistema filosofico fa riferimento? “Tradizione” vuol solo dire rifiutare gli insopportabili “genitore 1” e “genitore 2”? Consiglio di lasciare queste schermaglie al lato propagandistico dei discorsi di Vladimir Putin, il lato che, per ovvi motivi, vuol far leva sui sentimenti più condivisi della società russa, e alle anime candide che sono pronte a vedervi una natura reazionaria e addirittura “fascista”. Perché non è su questo che si giocano i destini del mondo.

Ma su che cosa, allora?

Durante la guerra fredda si contrapponevano due progetti distinti, due visioni del mondo distinte, due sistemi economici e sociali distinti. C’erano poderosi corpi dottrinari, da una parte e dall’altra, che permettevano di interpretare quello scontro, pur con tutti i limiti che i corpi dottrinari hanno rispetto al fluire storico. Oggi non è più così.

Nello scontro che ora sta seguendo la dissoluzione dell’ordine mondiale della guerra fredda, si sa che da una parte c’è un complesso neoliberista, ma dalla parte opposta c’è un complesso ancor meno decifrabile di quanto lo fosse il sistema sovietico e che si sta arricchendo di soggetti eterogenei. Una nave che affonda viene abbandonata da tutti: ufficiali, sottufficiali, macchinisti, camerieri, passeggeri di lusso, di prima classe, di seconda classe, di terza classe, persino dai clandestini.

Apparentemente non siamo nemmeno di fronte a un classico scontro interimperialistico, nonostante si possa riscontrare la ripetizione di alcuni schemi presenti nella prima parte del secolo scorso – ad esempio la finanza anglosassone da una parte vs l’industrializzazione della Germania (oggi della Germania, della Russia e della Cina).

Ciò porta a doversi chiedere quali sono le condizioni per l’emergere effettivo di un mondo multipolare, per la sua stabilità e quale sarà la sua natura.

 

Cambio di partita

Il 4 ottobre scorso il Consiglio Federale russo ha ratificato il passaggio degli oblast di Zaporizhie, Cherson, Donetsk e Lugansk dall’Ucraina alla Federazione Russa, dopo che lo aveva fatto la Duma di Stato. Questa decisione, assieme all’ordine di mobilitazione parziale riguardante 300.000 soldati, è la risposta russa alla presa d’atto di due cose: 1) La Nato (qui intesa come Usa e UK) non permetterà a Zelensky di negoziare la pace con Mosca (finora glielo ha sempre impedito utilizzando i propri pretoriani neonazisti, pressioni e ricatti di ogni tipo), 2) La Nato ha preso il comando diretto delle operazioni militari in Ucraina.

Dal 4 ottobre Mosca considera dunque quelle regioni parti integranti della Russia. Che questa annessione sia o non sia riconosciuta dall’Occidente collettivo (che è primatista nelle operazioni di secessione, si vedano i Balcani) o da altre nazioni, conta molto poco. Perché in questo caso è evidente che ciò che conta è quel che pensa Mosca, ovvero le motivazioni strategiche dietro questa mossa. E questa mossa cambia totalmente le carte in tavola, o meglio cambia la scacchiera: ora non è più la Russia che combatte in Ucraina ma, per Mosca e per la stragrande maggioranza dei Russi come rilevano varie survey, è la Nato che combatte contro la Madre Russia con tutte le conseguenze che ciò comporta.

L’ex cancelliera Angela Merkel, che dimostra di avere ancora la stoffa da statista mentre Super Mario Draghi, che nella fantasia dei nostri politici e dei media Minculpop doveva essere il suo erede, ha solo dimostrato di essere un tecnocrate privo di ogni consapevolezza storica, lo sa e lo ha detto, pur se dietro il velo dello spettro di Helmut Kohl:

[D]ietro il velo di Kohl l’ex Cancelliera critica le condotte di Washington e della Nato, incapaci di “pensieri storicamente contestualizzati”, di “pensare l’impensabile” e di ascoltare lo spiraglio aperto da Putin nel discorso minaccioso del 21 settembre: un accordo con Kiev era quasi pronto a marzo, incentrato sulla neutralizzazione ucraina, e Londra e Washington l’affossarono. [2]

Mentre i media Minculpop si stanno esaltando per le “riconquiste” ucraine (Izjum, Balaklija, Lyman e qualche villaggio), mentre generali come Petraeus, che non hanno mai vinto una guerra in vita loro, parlano di “inizio del collasso dell’esercito russo” e al loro seguito una teoria di “esperti” stampati o teletrasmessi scambiano il successo di un’offensiva tattica con una vittoria operativo-strategica, dimenticandosi della distruzione immensa di materiale bellico e del numero spaventoso di perdite ucraine, mentre dunque l’Occidente collettivo si sta eccitando con questa “pornografia bellica” il quadro strategico è totalmente cambiato.

Una guerra non si vince sul piano tattico (anche se la pornografia bellica continuerà ancora, e al solo pensiero c’è da piangere). La parte “cinetica” di una guerra si vince sul piano operativo e la guerra come confronto strategico si vince nella dimensione politica. E’ per questo che le guerre sono sempre state ibride, anche se qualche commentatore pensa che sia una novità e comunica con un certo orgoglio al suo pubblico questa strabiliante “scoperta”. Ed è per questo che l’ammissione delle quattro regioni ucraine nella Federazione Russa cambia il gioco in modo drammatico.

Ora la Nato deve decidere se vuole combattere direttamente contro la Madre Russia (trattando di strategia, è opportuno parlare di “Madre Russia” come abbiamo visto). Non ci sono altre possibilità: o il compromesso o il confronto aperto, senza più l’interposizione del regime fantoccio di Kiev, col tentativo, a costi disumani per gli Ucraini, di strappare qualche nuova vittoria prima che la mobilitazione russa saturi il fronte e probabilmente passi alla controffensiva, nella speranza di indebolire Putin internamente (cosa che non sarà perché, per l’appunto, è in gioco la Madre Russia, e bastano due nozioni storiche e culturali per capirlo) e isolarlo dai suoi alleati, come la Cina, che in questo momento finge di fare il pesce in barile, ma ha perfettamente chiara la posta in gioco (anche perché basta un’imbecille arrogante come Nancy Pelosi per ricordarla a un miliardo e 400 milioni di Cinesi – e spaventare la stessa presidentessa di Taiwan, Tsai Ing-wen: “Lo scontro armato con la Cina non è un’opzione”).

E la decisione degli Usa (che dovrà tramutarsi in acquiescenza dell’Occidente collettivo) deve tener conto che l’Ucraina è solo uno dei terreni, attualmente il più caldo ma non per questo il più decisivo, del cambiamento epocale ormai conclamato e sotto gli occhi di tutti.

 

Un nuovo termine:unprovoked

Noam Chomsky ha fatto notare che quando si parla dell’invasione russa dell’Ucraina si usa automaticamente e obbligatoriamente un termine che in questi contesti è una novità: “non provocata” (unprovoked). «Ogni articolo che si trova [su Google] deve parlare dell’invasione dell’Ucraina come “non provocata”. Ovviamente è stata provocata. Altrimenti non si riferirebbero ad essa in continuazione come “non provocata” … Questa non è solo la mia opinione, è l’opinione di qualsiasi alto funzionario dei servizi diplomatici statunitensi che abbia una qualche familiarità con la Russia e l’Europa Orientale. Si va da George Kennan [il teorico del contenimento dell’Unione Sovietica] negli anni Novanta, all’ambasciatore di Reagan Jack Matlock, per includere l’attuale direttore della CIA» [3].

Ma se la Russia è stata provocata, occorre capirne i motivi. Quello più evidente è di tipo meccanico: la Russia deve “cambiare regime”, sottomettersi agli USA e se possibile deve essere balcanizzata, cioè frantumata in più stati. L’Ucraina in questo progetto funge da trappola dove migliaia di russo-ucraini del Donbass uccisi dal 2014 e, per ora, decine di migliaia di soldati ucraini caduti assieme a un migliaio di civili sono serviti da esca.

Perché la Russia deve cessare di esistere come stato sovrano?

Qui la pubblicistica russa ricorda che questo è da secoli un obiettivo dell’Occidente e fa riferimento all’invasione svedese e a quella dei Cavalieri Teutonici sconfitte da Alexandr Nevskij nel XIII secolo, all’invasione polacca durante il Periodo dei Torbidi tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, all’invasione napoleonica, a quella prussiana e a quella nazifascista. E’ interessante questa lettura russa della Storia, perché anche se a volte ha un non convincente sapore millenaristico che passa sopra troppi particolari, tuttavia segnala un sentimento e il fatto che per i Russi il concetto di difesa della patria (e di denazificazione) ha un alto contenuto emotivo.

Fatto sta che la Russia è sostanzialmente vista dall’Occidente come una nazione troppo grande, troppo ricca di risorse e troppo “diversa”. E’ una nazione che sfugge al controllo politico dell’Occidente e anche a quello ideologico, cosa non meno importante. Pur essendo parte integrante – e indispensabile – della cultura europea, la Russia è Russia. Il suo cristianesimo sta al di fuori della dialettica (a lungo fratricida) tra cattolici e protestanti ed è estraneo alla loro “modernizzazione” ambiguamente in bilico tra riconoscimento di diritti dovuti e adeguamento agli interessi di lobby politico-ideologiche. Ci sono motivi profondi perché i Russi vedano l’attuale Occidente collettivo non solo composto da irriducibili “odiatori” della Russia ma anche pervaso da una “civilizzazione” aliena, con “valori” non condivisibili [4].

La storica ricchezza etnico-culturale della Russia, composta da ortodossi, musulmani, ebrei, buddisti, da popoli diversi e culture diverse che pure si riconoscono in una sola entità nazionale, fenomeno che possiamo chiamare di “centralizzazione della varietà”, lascia spiazzata un’Europa dove una pletora di stati essenzialmente monocromatici per secoli non sono riusciti a venire a termini con l’Altro [5].

Ed è quindi paradossale, ma non sorprendente che, come si è visto, alti diplomatici della UE dichiarino che la Russia “non è civilizzata”, esattamente come pensavano i nazisti e i fascisti [6].

 

Scontro di civiltà o scontro generazionale?

La centralizzazione della varietà non è un’esclusiva della Russia. Si pensi alla Cina e all’India.

La centralizzazione della varietà si è plasmata in lunghi processi storici che sono stati permessi da meccanismi socio-economici lenti. Non è quindi da confondere col pot-pourri statunitense, formatosi in modo disordinato sotto la pressione di veloci e straordinari processi di accumulazione di denaro e di potere, né con quello disorganico dell’immigrazione nell’Europa post coloniale.

Lo scontro tra Stati Uniti e Russia, preliminare a quello tra Stati Uniti e Cina, è lo scontro tra una giovane nazione anglosassone alleata ad altre giovani nazioni anglosassoni (il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda) sotto la supervisione della loro matriarca, la Gran Bretagna, e nazioni che si sono formate in secoli e secoli: 1.000 anni la Russia, 4.000 la Cina.

Sotto questo punto di vista il blocco anglosassone mette in campo molti punti di forza dovuti alla giovinezza, all’elasticità, alla dinamicità delle scelte, alla spregiudicatezza, alla geografia stessa, ma presenta, specialmente negli Stati Uniti, una direi “fragilità strutturale” che potrebbe essere spiegata, con un abuso di metafora, in termini quasi “politico-psicanalitici”: è il frutto della premura, dell’ansia di recuperare una storia che non si è avuta, un’infanzia e un’adolescenza che sono state negate. Gli Stati Uniti sono Jack Torrence che in “Shining” si blocca su una frase infantile (che nella traduzione italiana, curata da Kubrick stesso, evoca la fase orale: “Il mattino ha l’oro in bocca”) per poi trasformare i deliri infantili di onnipotenza in odio mostruoso per chi egli accusa di bloccare la sua creatività, cioè per chi gli pone vincoli sociali e affettivi e gli ricorda le sue responsabilità di adulto.

Nella millenaria vicenda del Paese di Mezzo, il periodo di soggezione all’Occidente è effettivamente stato quel “paio di secoli non molto brillanti da cui ci stiamo però riprendendo” a cui si riferiscono i Cinesi. Un paio di secoli in 4.000 anni di storia possono essere visti con ironia, come qualcosa di passeggero.

I 77 anni di egemonia statunitense possono invece essere veramente una fiammata, straordinaria, decisiva ma che rischia di essere irripetibile e al suo seguito i trecento anni di predominio dell’Occidente sembrano essere un fenomeno di enorme importanza ma in via di irreversibile esaurimento. Cosa che in sé non sarebbe destinata a sfociare nel dramma se il millenario Occidente non fosse forzato a imitare gli Stati Uniti.

Nel mondo giovane e veloce degli Usa la memoria della Storia o ha un valore mercantile di cui appropriarsi oppure è vista come un’arma potente e pericolosa che a loro manca e che deve essere tolta ai nemici. È così che gli Usa nel 2003 devastarono quel museo di Baghdad istituito da un agente segreto britannico, Gertrude Bell, nel 1915, quando l’espansione dell’impero della “vecchia Inghilterra” stava avvicinandosi al suo apice.

Le nazioni con radici profonde non sono tollerate così come non lo sono le nazioni geograficamente grandi. Gli Stati Uniti devono tenere sotto controllo sia l’ampiezza sia la profondità delle altre potenze. Gli Stati Uniti sono convinti che per “destino manifesto” sono i soli ad avere il diritto ad essere grandi, dove “grande” ha innanzitutto un significato geografico, e che i propri valori fast and furious devono sostituire quelli lenti e calmi degli altri popoli.

Per parafrasare Jawaharlal Nehru, la civiltà occidentale [gli Inglesi] era portatrice di una qualità di cui gli altri popoli [l’India] erano carenti: la dinamicità. Ma lo era fino al parossismo. La società, ogni società, e il capitalismo (col suo alter ego, l’imperialismo) hanno sempre avuto ritmi molto differenti e col tempo questa differenza ad ogni ciclo è diventata un solco che appare sempre più incolmabile.

Ritorneremo a ritmi più lenti, saremo di nuovo capaci di voltarci indietro, di creare “tipi sociali arcaici in una forma superiore” (Marx), o ormai il virus si è propagato ovunque? Cosa uscirà da questo caos sistemico?

 

La guerra per evitare la rivoluzione

La Russia è stata provocata, dunque, e la provocazione è servirà a trascinarla in una guerra. E la guerra serve a minare politicamente la Russia al suo interno, a distruggerla come grande nazione e come nazione sovrana. Poi verrà il turno della Cina e a seguire, posso pensare, quello di un’India che senza il contrappeso della Cina potrebbe rischiare di acquisire un ruolo “troppo importante”.

Washington non vuole perdere la supremazia che ha acquisito grazie a una straordinaria posizione geografica, a una dinamicità selvaggia ancor più che parossistica, e alla scaltrezza da giocatore di poker che l’ha consigliata di entrare a metà corsa nelle due guerre mondiali precedenti. Non la vuol perdere perché è l’unica cosa che tiene insieme una società frantumata, col 15,1% in stato di povertà, il 18% che deve rivolgersi ai banchi alimentari, e che con poco più del 4% della popolazione mondiale ha circa il 25% della popolazione carceraria mondiale.

Per accettare la Storia e il resto del mondo gli Stati Uniti dovrebbero essere in grado di rivoluzionare i rapporti sociali che sono stati plasmati da recenti, veloci e impetuosi processi di accumulazione di denaro e di potere. Ma le sue élite dominanti non lo permettono e non sarebbero comunque in grado di farlo, perché la logica dell’accumulazione capitalistica si erge come un potere oggettivo anche sopra di loro. Sono dunque obbligate a cercare di perpetuare uno strapotere che dura da 77 anni (uno schioccar di dita nella storia umana) da parte di una nazione che per la fine del 2022 conterà solo il 4,2% della popolazione mondiale. Uno strapotere gestito da una minuscola élite che assieme a un numero ristrettissimo di alleati internazionali governa una parte finora ricchissima del pianeta, utilizzando il sostegno di ceti sociali vassalli che si riconoscono negli interessi, o a volte solo nell’ideologia, di questa neo-aristocrazia allevata dalla ormai quasi cinquantennale stagione della finanziarizzazione e del neo-liberismo, allevata cioè dalla crisi sistemica.

Si faccia però bene attenzione a una cosa: benché in differenti circostanze, è già avvenuto che una nazione che “non aveva i numeri” abbia controllato direttamente o indirettamente l’intero pianeta. Pensate alla minuscola Inghilterra di fronte all’immenso subcontinente indiano (sottoposto direttamente) e all’immensa Cina (controllata indirettamente) e al resto dell’Europa (di cui controllava il flusso degli affari e a cui imponeva il “balance of power”). Al momento della sua massima estensione, nel 1921, l’Impero Britannico copriva 35.5 milioni di kmq, il 24% delle terre emerse, 145 volte l’estensione delle isole britanniche e aveva 448 milioni di abitanti, un quinto della popolazione mondiale di allora e ben 10 volte la popolazione della Gran Bretagna. Ma al momento della conquista dell’India, il PIL britannico era solo l’1,9% di quello mondiale e la Gran Bretagna non controllava ancora economicamente e finanziariamente il resto dell’Europa, anzi era indebitatissima coi banchieri olandesi. Eppure conquistò un Paese che vantava più del 22% del PIL mondiale. Ma, come commentava Immanuel Wallerstein, l’Inghilterra era largamente superiore nell’ “arte criminale”, cioè nell’arte della guerra [7].

Ma oggi, sarà ancora possibile dispiegare tutta la propria arte criminale quando ciò può significare la fine dell’intera umanità? Se a Washington ci sono senz’altro mostri impazziti per la disperazione, non c’è veramente nessuno da quelle parti capace di tenerli a bada?

Tuttavia l’aspetto militare è solo uno dei fattori in campo. Si ricordi che oggi il PIL statunitense, benché in contrazione, in Parità di Potere d’Acquisto è il 15,78% di quello mondiale e il Dollaro è punto di riferimento per due terzi del PIL mondiale. Ha quindi ragione Raffaele Sciortino quando suggerisce di «prendere con estrema cautela le ipotesi decliniste riferite agli Stati Uniti». E ciò si ricollega al nostro caveat [8].

Il problema da analizzare è come e quando si combineranno le dinamiche belliche con quelle economiche e quelle finanziarie, tenuto conto che, ceteris paribus, il castello di carte finanziario, esemplificato dal famoso ammontare dei titoli derivati pari a 10 PIL mondiali, cioè pari al nulla dato che non esistono 10 Terre, è destinato a crollare, trascinando con sé banche, industrie e crisi fiscali. E qui “ceteris paribus” vuol dire senza il sostegno dei sistemi finanziari del Sud collettivo, a partire da quello cinese [9].

 

La Storia e lo show-down della crisi sistemica

La lettura del discorso tenuto da Vladimir Putin il 30 settembre nella sala San Giorgio del Cremlino in occasione della firma dei decreti di ammissione nella Federazione Russa delle quattro regioni ucraine, mi ha impressionato per un motivo molto preciso: se prosciugato degli slanci retorici, del riferimento al neoliberismo come “cultura” contrapposta ai “valori tradizionali” russi (cosa non sorprendente in chi sta conducendo una “grande guerra patriottica”), sembra una nota d’aggiornamento a piè di pagina del capolavoro di Giovanni Arrighi “Il Lungo XX Secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo”.

Una nota che ci riguarda da vicino perché con questo discorso la Russia si è staccata dall’Europa e con una notevole dose di astio, come quella di un’amante tradita. La nostra incapacità di porci come soggetto terzo tra gli Stati Uniti e le potenze emergenti ha reso questo strappo inevitabile a causa proprio delle dinamiche che erano state descritte da Arrighi a partire dalla prima metà degli anni Novanta. In quegli anni Vladimir Putin era presidente del comitato per le relazioni internazionali di Leningrado. Il suo compito era quello di promuovere i rapporti con l’estero e attirare gli investimenti stranieri. E fu ufficialmente criticato perché le sue decisioni favorivano troppo gli investitori occidentali. Ricordo che fino alla metà dello scorso decennio Putin sognava un mercato unico “da Lisbona a Vladivostok” (e con lui lo sognavano anche gli imprenditori tedeschi).

Bastano solo questi elementi biografici per capire che Vladimir Putin non è ideologicamente antioccidentale ma ha dovuto cambiare le proprie idee per far fronte alle circostanze che doveva gestire. Ne consegue che il 30 settembre scorso al Cremlino parlava come un attore sovrapersonale che rappresentava una dinamica storica. E quel che più impressiona è che sembrava che ne fosse consapevole. Cosa che affascina e inquieta. Perché sono sempre inquieto quando qualcuno, anche a ragione, pensa di interpretare la logica della Storia.

 

Excursus metodologico

Qui serve una precisazione. La Storia è frutto di una sequenza di scelte fatte in circostanze oggettive. Anzi, con un’analogia matematica, più che di una sequenza si tratta di un fascio di scelte.

«Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione». Così Karl Marx ne “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”.

In questa dialettica tra scelta e condizione oggettiva, si gioca la storia umana e l’etica dei suoi protagonisti.

La composizione delle varie scelte, così come la composizione delle forze in Fisica, spinge la Storia in direzioni che possono essere inintenzionali, cioè non volute, non previste e persino non gradite dagli attori storici che prendono le decisioni, che compiono le scelte.

r0mboyehdhIl classico esempio di composizione delle forze è il rombo: la forza F1 si compone con quella F2, che ha una direzione, un verso e una intensità differenti da F1, per fornire la risultante R, che ha direzione, verso e intensità diversi da entrambe. Se si concepisce la Storia come un procedere per successive composizioni di forze, si evita di cadere sia nel meccanicismo sia nel complottismo. Sia chiaro, che i complotti avvengono in continuazione, da quelli che servono a coprire realtà scomode (Ustica), a eventi semplici costruiti ad arte (l’incidente del Golfo del Tonchino, i falsi bombardamenti chimici di al Assad, eccetera) a macchinazioni più complesse, come l’omicidio Kennedy, Piazza Fontana. Abbiamo persino complotti nel complotto, come quello straordinario che prevedeva che Maria Stuarda si lasciasse implicare in un complotto contro Elisabetta I che doveva essere scoperto per obbligare la recalcitrante regina d’Inghilterra a decapitare la cugina Maria, così che finalmente il cattolicissimo ma anch’egli recalcitrante re di Spagna, Filippo II, si decidesse a muovere guerra contro la cugina protestante con la sua Invincibile Armata. Così avvenne, ma ci si mise di mezzo il caso, cioè una serie di tempeste che fecero letteralmente affondare i progetti spagnoli.

Il caso, e ce ne sono tanti esempi, è parte delle forze da comporre. Al contrario, i complotti sono semplici frazioni di una forza e non sono in grado di imporre una risultante voluta.

Occorre però sottolineare che quanto detto non impedisce di poter intravedere o ipotizzare linee di tendenza più verosimili di altre.

 

Una dichiarazione di guerra all’Europa

«Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o in un altro il Nord Stream 2 non andrà avanti»

Victoria Nuland, gennaio 2022 [10].

In molti hanno visto nell’attentato ai due Nord Stream un atto di guerra contro la Germania e l’Europa [11]. Non mette conto leggere i penosi tentativi di sedicenti esperti politici e geopolitici che cercano di dare la colpa alla Russia. Non ha nessun senso. Punto.

uytgvbhtrIo suggerisco di leggere l’attentato terroristico internazionale al Nord Stream come il più recente di una sequenza di atti che, cose si diceva nell’Introduzione, hanno come obiettivo la separazione dell’Europa occidentale dalla restante massa Eurasiatica (con prolungamenti nel Nord Africa e nel Corno d’Africa) e, specularmente, l’accerchiamento della Russia e della Cina (e in prospettiva aggiungerei anche l’India – il fronte del Kashmir è sempre disponibile, oltre ad attentati e scontri intercomunitari).

L’attentato al Nord Stream sembra inoltre una risposta anticipata a ogni futuro ripensamento tedesco: d’ora in poi scordatevi la vostra pacifica Drang nach Osten 2.0.

Separato dal resto del mondo, l’Occidente collettivo avrà come unica scelta l’auto-cannibalismo. La scelta unilaterale di Berlino di stanziare 200 miliardi di euro in deficit per calmierare i prezzi energetici ha creato malumori nella UE e ha iniziato a rievocare lo spettro di Weimar. E ciò a causa della logica dell’accumulazione, che procede per differenziali di sviluppo e non lascia scelta: là dove si possono creare, vengono creati, non si guarda in faccia a nessuno. Inoltre, l’accumulazione odierna, cioè l’accumulazione in tempi di crisi, si svolge in larga parte non per sviluppo ma per rapina – o in termini più soft, tramite l’acquisizione della ricchezza esistente, già prodotta, da parte dei più forti. Per diverso tempo questo tipo di accumulazione era principalmente orientato ai danni del Sud globale. Poi ha dovuto iniziare a prendere di mira anche i centri capitalistici storici, con privatizzazioni del dominio pubblico, mergers and acquisitions, ristrutturazioni, scorrerie sui debiti pubblici e sulle risorse naturali ove esistono. Da oggi dovrà rivolgersi prevalentemente all’interno dell’Occidente stesso a meno di non riuscire a imporre un selvaggio sfruttamento neocoloniale su una parte di quel Sud collettivo che però, ben consapevole, guarda con crescente speranza al blocco Russia-Cina. In modo molto esplicito Vladimir Putin nel suo discorso del 30 settembre ha sottolineato come la Russia moderna intende raccogliere dall’Unione Sovietica la bandiera della protezione del Sud globale: «Noi siamo orgogliosi che nel XX secolo sia stato il nostro Paese a guidare il movimento anticoloniale, che ha aperto a molti popoli del mondo la possibilità di svilupparsi, di ridurre la povertà e le disuguaglianze e di sconfiggere la fame e le malattie».

Non sono parole retoriche lasciate al caso né nostalgie sovietiche: sono prove di egemonia nella lotta verso un mondo multipolare. Una lotta che la Russia deve condurre adesso, perché anche per la Russia le finestre operative non rimangono aperte all’infinito: la sua attuale supremazia militare in termini convenzionali e strategici non durerà per sempre, i gap sono destinati a colmarsi.

Nel mondo fratturato che caratterizza questa lotta, gli Stati occidentali più forti prenderanno di mira quelli più deboli, secondo una gerarchia che vede in testa gli Stati Uniti mentre le neo-aristocrazie locali prenderanno di mira la loro declinante classe media, un neo Terzo Stato che si sta mischiando progressivamente in modo disorganico a un Quarto Stato formato sempre più da proletari che sono intimiditi o sono indotti, e a volte obbligati, a credere di essere classe media, lavoratori autonomi [12].

Una condizione che in termini di coscienza politica e sociale mi ricorda il periodo tra la Rivoluzione Francese e i moti del 1848.

Questa cascata di rapine che si compie lungo una gerarchia ramificata dove ogni nodo cerca in qualche modo di risalire di livello a scapito degli altri, non può alimentarsi a lungo se la ricchezza rapinata non viene rigenerata. Ma proprio la cascata di rapine indurrà disfunzionalità e corti circuiti che ostacoleranno la produzione di nuova ricchezza. Già sta avvenendo, perché la necessità di non far crollare di colpo il castello di carte finanziario induce uno spreco immane di risorse, a partire dai quantitative easing che arrivano all’economia reale solo col contagocce o dai profitti d’impresa reinvestiti al 90% in operazioni di borsa.

Gli Usa vogliono venderci a caro prezzo il loro shale gas, come alternativa obbligata a quel gas russo a buon mercato che ha avuto un ruolo chiave per gran parte dello sviluppo economico europeo del dopoguerra [13]. Ma l’Europa come lo pagherà se contemporaneamente gli Usa applicano politiche tariffarie, fiscali e monetarie, per favorire la propria re-industrializzazione a scapito di una de-industrializzazione dell’Europa? E’ facilmente prevedibile uno scenario di austerity, di indebitamento crescente, di “aggiustamenti strutturali”, di disoccupazione, di impoverimento generale delle società europee. Ma a macchia di leopardo, in ragione delle “preferenze politiche” (ed economiche) degli Stati Uniti che lavoreranno su un terreno già frammentato.

La crisi del “sistema Germania” metterà infatti in crisi l’Euro e la già traballante solidarietà europea [14]. Ha misurato attentamente le parole Bruno Le Maire, il ministro francese dell’Economia, della Finanza e della Sovranità Industriale e Digitale (così Macron ha ribattezzato quest’anno il dicastero mentre sparava a zero contro i “sovranismi”) quando ha affermato che bisogna evitare «che il conflitto in Ucraina sfoci nella dominazione economica americana e nell’indebolimento europeo» [15].

Ma a cosa serve capire? Secondo Putin a nulla, ormai: «Capiscono chiaramente che gli Stati Uniti, spingendo l’UE ad abbandonare totalmente l’energia e le altre risorse russe stanno praticamente deindustrializzando l’Europa e si stanno impadronendo completamente del mercato europeo – capiscono tutto, queste élite europee, capiscono tutto, ma preferiscono servire gli interessi degli altri. Non si tratta più di una banalità, ma di un diretto tradimento dei loro popoli. Ma che Dio li accompagni, sono affari loro».

In realtà, più che il tradimento di un popolo, quella delle nostre élite è una scelta di classe, la scelta di servire interessi che ormai non hanno più alcuna connessione col benessere sociale e nazionale.

Con l’approfondirsi della crisi, infatti, alcuni grandi gruppi si arricchiranno, mentre altri collasseranno assieme a una miriade di imprese e di reti d’imprese con limitata disponibilità di capitale mobile, o meno protette politicamente, o meno strategiche (ad esempio non legate all’apparato militare). I fenomeni di concentrazione e centralizzazione dei capitali subiranno un’accelerazione perché il tempo diventerà risorsa rara: per via degli intrecci tra capitali reali e capitali fittizi queste operazioni dovranno essere compiute prima che inizino i grandi disastri finanziari, prima che si scopra che 10 Terre non esistono.

Se in corso d’opera la strategia anglosassone virerà dal tentativo di distruggere la Russia al tentativo di guadagnar tempo per rimandare più in là le scelte, bisogna considerare che sarà difficile “comprare tempo” senza lasciarsi attrarre da ricche sirene come il futuro mercato internazionale dello Yuan e forse anche del Rublo e gli stratosferici investimenti richiesti dalle nuove “vie della seta” (la Belt and Road Initiative cinese) e dagli altri colossali progetti eurasiatici. C’è una quantità strabiliante di capitali in Occidente che non intendono star fermi ad aspettare che la prossima crisi li “macelli” (Marx). E questo indurrà altri moti sussultori che si sommeranno allo scontro tra placche tettoniche.

Un discorso a parte, che qui non può essere sviluppato, riguarda l’agricoltura e i regimi alimentari. Un settore imprescindibile e che per gli Stati Uniti è stato strategico fin dalla loro formazione. E legato ad esso bisognerà affrontare il tema ecologico tenendolo distinto dal suo utilizzo a fini speculativi, che è quello corrente.

 

Conclusioni

Le conclusioni sono sempre le stesse che Giovanni Arrighi esponeva circa 30 anni fa:

«Prima di soffocare (o respirare) nella prigione (o nel paradiso) di un impero mondiale postcapitalistico o di una società mondiale di mercato postcapitalistica, l’umanità potrebbe bruciare negli orrori (o nelle glorie) della crescente violenza che ha accompagnato la liquidazione dell’ordine mondiale della guerra fredda. Anche in questo caso la storia del capitalismo giungerebbe al termine, ma questa volta attraverso un ritorno stabile al caos sistemico dal quale ebbe origine seicento anni fa e che si è riprodotto su scala crescente a ogni transizione. Se questo significherà la conclusione della storia del capitalismo o la fine dell’intera storia dell’umanità, non è dato sapere».

Queste domande e queste incertezze sono ineludibili e segnalano l’inadeguatezza dei nostri strumenti di analisi di fronte a fenomeni caotici e sommamente complessi.

Qua e là nei discorsi di Putin sembra di cogliere alcuni apprezzamenti precisi dei fenomeni in gioco, come la finanziarizzazione, come quando ricorda che con le «capitalizzazioni gonfiate», con la «capitalizzazione virtuale» non si può «riscaldare nessuno». Ma questo testimonia solo di una asincronicità tra le fasi di sviluppo e di crisi occidentali e quelle eurasiatiche. La finanziarizzazione non è uno stadio del capitalismo, ma l’espressione delle sua crisi sistemiche, crisi che sono indotte dai meccanismi di accumulazione. Quindi si può ipotizzare in prima battuta che per ora non sono entrati in contrasto due sistemi di rapporti sociali distinti, ma due “orologi” che non possono sincronizzarsi. Che poi questo contrasto assuma contorni ideologici è naturale. E’ sempre stato così e lo è ancora di più in un’epoca dove la comunicazione e il dominio delle idee sono diventati un’arma diretta. Ma la domanda è: sappiamo quali interessi difende Biden, ma quali interessi difende Putin, quali Xi? Che sistemi hanno in mente? Quanto sono praticabili? Quanto sono compatibili con la stabilità di un mondo multipolare? Si andrà incontro a una situazione permanente di caos, a una società di mercato postcapitalistica, o a che altro?

Non ne abbiamo idea. Io non ne ho idea. Sono anni che non si fa più un’analisi di classe e da un punto di vista di classe, militante e di ampio respiro. Così quando questo inverno saremo immersi nella riedizione del XIII secolo con la nuova guerra dei cent’anni, la nuova peste e i nuovi tumulti dei ciompi quel che avremo a disposizione sarà un pensiero simbolico pericolosamente vicino a un pensiero magico e rimpiangeremo la riga e il compasso.


Note
[1] “Non fate gestire la crisi ai banchieri centrali”, così il Guardian lo scorso 16 ottobre 2022 (https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/oct/16/the-guardian-view-on-central-bankers-dont-put-them-in-charge-of-the-crisis). Come dei cani di Pavlov, i banchieri centrali per contrastare l’inflazione colpiscono automaticamente sul lato della domanda, cioè i salari, suscitando l’allarme di Richard Kozul-Wright, il responsabile del rapporto ONU sul commercio e lo sviluppo: «Cercate di risolvere un problema dal lato dell’offerta con una soluzione dal lato della domanda? Pensiamo che sia un approccio molto pericoloso». Qui il rapporto ONU: https://unctad.org/system/files/official-document/tdr2022_en.pdf e qui il commento di Michael Roberts, economista marxista britannico, ex analista finanziario nella City di Londra: https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/24075-michael-roberts-la-terapia-d-urto-sull-economia-mondiale.html
[2] Barbara Spinelli, “Meloni deve scegliere: o Draghi o Merkel”. Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2022.
http://barbara-spinelli.it/2022/09/30/meloni-deve-scegliere-o-draghi-o-merkel/
[3] https://www.ramzybaroud.net/rationality-is-not-permitted-chomsky-on-russia-ukraine-and-the-price-of-media-censorship/
[4] Per fare un esempio importante, in Russia l’omosessualità non è né illegale né perseguitata. A inaugurare le Olimpiadi di Sochi fu un duo canoro, il t.A.T.u., che si presentava in scena in esibiti atteggiamenti lesbici (in realtà solo Julia Volkova era dichiaratamente bisessuale), Čajkovskij non è messo al bando perché omosessuale – lo è invece in diversi posti in Occidente perché russo – e potete trovare testimonianze di omosessuali russi che vivono all’estero e non amano Putin ma negano che in Russia ci sia una persecuzione omofoba. In Russia c’è invece una legge per “proteggere i minori dalle informazioni che promuovono la negazione dei valori tradizionali della famiglia”. Una dicitura su cui si può discutere (cosa significa “tradizionale”?) ma che intende evidentemente porre un argine, magari mal formulato, alle estremizzazioni a cui sta giungendo l’Occidente sulla base di una concezione illimitata (e ipocrita) della coppia individualismo-desiderio. Anche le società occidentali, in quanto comunità che hanno necessità di valori condivisi e di solidarietà, cercano di difendersi dalla teorizzazione e dalla pratica dell’illimitatezza, dell’apeiron, di individualismo e desiderio. In mancanza di forze comuniste che elaborino e indichino la strada dell’emancipazione, pressata dall’apeiron dei progressisti (anche economico: l’accumulazione infinita) e alla ricerca di un katéchon, un freno ad esso, questa necessità di difesa vede un rifugio immediato, benché profondamente errato, nella conservazione reazionaria, bigotta, intollerante, persino fascistoide, politicamente scorretta non per provocazione ma per convinzione. Succede in Occidente così come in Russia.
[5] Un’amica russa mi raccontava con nostalgia di quando viveva in Uzbekistan in epoca sovietica perché nel suo palazzo vivevano ortodossi, ebrei e musulmani e tutte le ricorrenze religiose erano occasioni condivise di festeggiamento.
[6] https://www.entilocali-online.it/prezzo-gas-lontano-accordo-ue-su-tetto-contatti-draghi-meloni/
[7] E non solo. La Gran Bretagna era abile nello sfruttare le contraddizioni sociali e politiche delle nazioni che conquistava, la loro cultura, le loro tradizioni, persino le loro superstizioni, e sapeva corrompere. E non si faceva scrupoli di nessun tipo. Oggi negli UK queste abilità, a parte la mancanza di scrupoli, a quanto pare sono un ricordo. Ma è vero o è apparenza? Certo, a parità di mancanza di scrupoli c’è un abisso tra un Winston Churchill e una Liz Truss: il declino occidentale si riflette anche nel disperante declino della caratura del suo personale politico. Ma al di là di questo penoso spettacolo, cosa bolle in pentola? Gli UK sono usciti dalla UE per avere le mani libere in vista della svolta che da lì a poco sarebbe stata impressa alla crisi sistemica. Questo è un punto che mi sembra assodato. Eppure sono sempre descritti come i “junior partner” degli Stati Uniti. Ma fino a che punto è vero? Gli Inglesi, gli eredi del più grande impero della storia, possono accontentarsi di essere solo dei “junior partner”? Notate che essere eredi d’imperi conta, e conta molto. Conta per il piccolo Belgio e conta per la piccola Olanda. E’ persino contato per l’Italia essere erede dell’Impero Romano: fino al 1600, quando fu superata dalla Province Unite, ha goduto del più alto PIL pro capite mondiale. E’ ovvio che quindi conti anche per la Gran Bretagna. Provate a pensare alla City di Londra. A Parità di Potere d’Acquisto gli UK vantano solo il 2,34% del PIL mondiale. Eppure nonostante gli USA abbiano una quota parte quasi 7 volte più grande, Londra supera New York per servizi finanziari, surplus degli scambi e per il mercato dei bond internazionali (si veda https://www.theglobalcity.uk/competitiveness).
Questa capacità di “resilienza” è dovuta all’accumulo nei secoli, grazie all’impero, di densi grumi di potere, di capacità di influenza, di vaste e importanti relazioni, di presenza internazionale, di abilità organizzative del business e di acquisizione e gestione delle informazioni. E’ la prova che queste capacità non sono determinate solo dalla potenza militare o da quella economica (nemmeno quella reale, altrimenti questi primati spetterebbero alla Cina). Persiste, ovviamente, anche la mancanza di scrupoli, esemplificata oggi nel modo più squallido da Liz Truss. Mentre qualsiasi politico, anche il più spudorato, parla del ricorso all’arma nucleare come di una risorsa della disperazione, Liz Truss è l’unica che ha dichiarato che si sentirebbe onorata a schiacciare il bottone dell’attacco nucleare contro la Russia. Ha anche dichiarato di essere una “enorme sionista” (a huge Zionist). Ma quando le dichiarazioni sono esagerate delle due l’una: o il soggetto è psicopatico, o nasconde qualcosa, tipicamente il contrario dell’esagerazione affermata. Tenuto conto che tradizionalmente Londra e Mosca hanno canali di comunicazione preferenziali, fino a che punto gli UK sono disposti a seguire gli USA nella loro avventura ucraina e nella loro crociata antirussa? Si tenga conto che la Gran Bretagna è sì al di là della Manica, ma è ben al di qua dell’Atlantico. Così come negli Usa dell’Ottocento c’era un partito anglofilo, i Democratici, e uno anglofobo, i Repubblicani, specularmente negli attuali UK sembra che ci sia un partito, trasversale, filo-americano e un partito, trasversale, sovranista-aristocratico (si veda https://www.cumpanis.net/la-gran-bretagna-non-puo-piu-sbagliare-la-sua-strategia-globale/). Ricordo che la regina Elisabetta fece trapelare il suo endorsement alla Brexit. E se la Brexit può voler dire abbandono dell’Europa a favore del ruolo di partner privilegiato degli Usa, fondamentalmente vuol dire tenersi le mani libere. La Gran Bretagna sembra in bilico tra il ruolo di junior partner e quello di matriarca delle giovani nazioni anglosassoni, delle Five Eyes.
In attesa quindi di vedere se Liz Truss è una volpe (per lo meno per conto terzi) o è veramente psicopatica, saremo costretti a subire i suoi spettacoli di cinismo, di arroganza e di mancanza totale di etica che uguagliano quelli di Hillary Clinton, che sembravano inarrivabili.
[8] Raffaele Sciortino, “Prove di internazionalizzazione del renminbi yuan e de-dollarizzazione”. ACro-Pólis, 19-09-2022 (https://www.acro-polis.it/2022/09/19/prove-di-internazionalizzazione-del-renminbi-yuan-e-de-dollarizzazione/).
[9] Le provocazioni statunitensi alla Cina segnalano che Washington, Wall Street, Londra e la City sono ormai sicure che Pechino si opporrà all’integrazione della finanza cinese nei giochi finanziari occidentali – e la vicenda di Ali Baba lo dimostra. Quindi Washington e Londra devono ricorrere a tentativi di destabilizzazione.
[10] https://youtu.be/igAfB8LdZaE
[11] Uno per tutti, si veda un importante articolo del grande giornalista brasiliano Pepe Escobar, uno dei pochi che all’epoca di Osama bin Laden condusse inchieste in Afghanistan (e fu imprigionato dai Talebani). Dato che è stato bannato da Twitter e da Facebook, lo potete trovare qui:
https://canadiandimension.com/articles/view/germany-and-the-eu-have-been-handed-over-a-declaration-of-war
[12] «In questo universo di soggetti lavorativi, che da un ventennio almeno rappresentano in Italia circa l’80% dei nuovi posti di lavoro, si distinguono nettamente due categorie: quelli che ancora conservano una coscienza della subordinazione o della dipendenza economica e ritengono che i rapporti di forza sul mercato sono tali per cui il conflitto presenta alti o troppi rischi e quelli che hanno perduto completamente questa coscienza e ritengono che la legittimazione sociale, il riconoscimento sociale siano la massima ricompensa cui hanno diritto di aspirare nel rapporto di lavoro, il quale, come tale, non può essere messo in discussione. Ritengono che negoziare le condizioni di lavoro sia un sovvertimento dell’ordine sociale. […]
Stretto nella morsa della sua solitudine, incapace di protestare o di riuscire a negoziare il rapporto di lavoro e la condizione lavorativa, volendo comunque migliorare la propria situazione, cerca una diversa situazione di lavoro, abbandona il possibile campo di scontro e crea in questo modo, da un lato, una precarietà cercata, voluta, dall’altro, un ulteriore indebolimento del fronte che avrebbe potuto configurarsi in maniera antagonista.
Mi sono fatto la convinzione che il problema del conflitto impossibile o negato ruota attorno alla tragica condizione dell’individualismo e che il problema del neofascismo, del sovranismo, del nazionalismo, del populismo – in una parola dell’antiglobalizzazione – sia essenzialmente una riproposizione dell’identità collettiva, del senso stesso di collettività, ottenuto attraverso la costruzione di un nemico immaginario (ieri gli ebrei, oggi i migranti). Questo è risaputo, è la spiegazione mainstream del neofascismo. Quello su cui non si riflette abbastanza è che alla radice sta sempre il problema del lavoro (o del welfare) e che il senso di frustrazione che è la molla dei comportamenti razzisti deriva proprio dai problemi occupazionali e in ultima analisi dall’impossibilità/incapacità di negoziare le proprie condizioni di lavoro o di migliorare la propria condizione esistenziale.
La differenza sostanziale tra il nostro modo di superare l’individualismo e quello dei populisti sta nel fatto che noi vorremmo costruire la solidarietà attraverso un conflitto reale che comporta notevoli rischi mentre loro costruiscono identità attraverso un conflitto immaginario che non comporta nessun rischio. Per questo il loro ostentare ardimento e aggressività nasconde una profonda, innata, vigliaccheria» (Sergio Bologna, “Fine del lavoro come la fine della storia? 2/2”, AcrO-Polis, 23-06-2022
https://www.acro-polis.it/2022/06/23/fine-del-lavoro-come-la-fine-della-storia-2-2/)
L’intersecarsi disorganico di istanze di una classe media in via di proletarizzazione con quelle di un proletariato costretto a pensarsi classe media è stato messo in luce sia dalla vicenda Covid sia dalle elezioni in Europa e negli Stati Uniti.
[13] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/italia-russia-una-storia-tutto-gas-21400
[14] Si vedano “La Germania balla da sola” di Stefano Porcari e “On the Euro without Germany” di Michael Hudson (https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23957-stefano-porcari-la-germania-balla-da-sola.html e https://www.nakedcapitalism.com/2022/09/michael-hudson-on-the-euro-without-germany.html).
[15] https://www.ilsole24ore.com/art/gas-francia-inaccettabile-che-usa-facciano-utili-forniture-all-europa-AEkvx27B?refresh_ce=1

https://sinistrainrete.info/crisi-mondiale/24083-piero-pagliani-la-caduta-lineamenti-e-prospettive-del-prossimo-futuro.html?fbclid=IwAR1YX4WMYrPRwbrjZpnMdGcpEZ6tEOvhrWEoeThZr-Ct6Q1wK68PL7vHKKE

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

L’Europa nell’interregno: il nostro risveglio geopolitico dopo l’Ucraina, di Josep Borrell

Una piatta perorazione di una “Bussola strategica” europea tanto sciatta nella esposizione quanto ambigua e approssimata nelle sue linee. Josep Borrell ha ragione su un punto: il tramonto della certezza che ” l’idea di interdipendenza genera di per sé prosperità e pace”, ragion per cui bisogna ““imparare a parlare la lingua della potenza”. E’ il colpo mortale, anche qui in Europa, all’idea liberal/liberista che la progressione dell’interdipendenza e dei commerci globalizzati siano il viatico naturale alla pace. Per il resto il suo intervento è pura mistificazione tesa a coprire la sciatteria di un documento raffazzonato anche nell’eloquio e dalle finalità opposte a quelle dichiarate. Mistificazione nell’attribuire alla Russia la responsabilità di aver sconvolto i principi regolatori dell’equilibrio europeo rimuovendo le reali dinamiche del primo vero importante episodio di rottura, la spinta alla dissoluzione della Jugoslavia, la guerra successiva contro la Serbia e il riconoscimento del Kosovo. Il tutto per additare il reprobo e celare e giustificare la politica aggressiva e fomentatrice di caos della NATO. L’anarchia in Libia, il terrorismo, la fomentazione della guerra civile in Siria diventano una sorta di catastrofe naturale da fronteggiare. Il resto va semplicemente rimosso, a partire dalla natura dei regimi dei paesi baltici e dell’Ucraina. Nessun accenno alle conseguenze di una politica ottusa di imposizione della “democrazia” in società tribali che con il voto legittimano il predominio di una etnia sulle altre. In poche parole Borrell rivela la reale indole dell’interventismo europeo e precisamente quando dice che “dovremmo riconoscere che, accanto a coalizioni di partner che la pensano allo stesso modo, abbiamo anche paesi che lavorano con noi su alcune questioni mentre si oppongono su altre. E se il governo centrale non è d’aiuto, dovremmo lavorare di più con le forze locali o i gruppi della società civile”. Questo vale, come abbiamo già visto, sia all’interno della UE, che all’esterno. Quell’esterno, probabilmente, significherà soprattutto l’Africa, laddove sono state particolarmente cocenti le batoste subite. Borrell parla di potenza dell’Europa, ma la “bussola strategica” non fa che confermare che la vera potenza sono gli Stati Uniti, che l’Unione Europea funge da semplice supporto e ausiliare, che l’Europa è destinata a terra di drenaggio di risorse amiche e a campo di battaglia dei contendenti. Come i lettori potranno riscontrare nei due testi riportati qui sotto, sono la stessa impostazione del documento della “bussola” e il relativo vocabolario adottato a rivelare tutto questo.

  • Lo scacchiere mondiale è definito senza alcuna priorità legata agli interessi europei seguendo alla lettera i quadranti operativi disegnati dal comando strategico statunitense.
  • L’arco temporale di azione di dieci anni serve a costituire una forza di pronto intervento coordinata ed integrata di appena cinquemila uomini. Per inciso cinquemila sono i militari europei attualmente impegnati all’estero. I trascorsi ci dicono del naufragio di proposte o semplici intenzioni del genere; tra tutte il recente naufragio del progetto di costruzione di un corpo militare unico franco-tedesco. Su questo, però, Borrell ha ragione: i tempi sono cambiati, le dinamiche geopolitiche corrono, la realtà, con essa il mentore americano, impone delle scelte. Si tratta di migliorare drasticamente la loro rapida fungibilità. In realtà, si tratta di una forza di pronto intervento a supporto di raid, incursioni e processi di stabilizzazione nei vari angoli del mondo e, inquietante novità, propedeutica all’intervento massiccio di eserciti nazionali, presumibilmente di paesi appartenenti alla NATO.

Il documento non addita esplicitamente la Russia come il nemico politico da affrontare; lo marchia come emblema del male. Paradossalmente, ammesso e non concesso che la Russia sia il nemico, il documento dovrebbe servire quindi ad approntare i mezzi necessari e autonomi di difesa sul proprio territorio europeo. Niente di tutto questo. Si presume che rimanga la delega in bianco riservata alla NATO vista la natura e l’esiguità del corpo militare in gestazione.

La “bussola”, opportunamente non si ferma qui. Perora la causa della creazione di un complesso industriale-militare a supporto dell’eventuale sforzo bellico e ne individua le procedure: un sistema di incentivi agli stati e alle loro industrie vincolate alla costruzione di sistemi d’arma il più possibile compatibili; l’utilizzo delle tecnologie civili (in particolare il sistema di comunicazione “Galileo”, sin qui osteggiato dagli americani e quello di trasporto aereo “AIRBUS”) a fini militari, seguendo un percorso curiosamente inverso a quello statunitense e in parte cinese. Già le grandi difficoltà di progettazione del carro armato franco-tedesco compatibile con i diversi teatri, la profonda diffidenza nella progettazione dell’aereo di sesta generazione ispanico-franco-tedesco, specie se confrontata con la maggiore fluidità dell’analogo progetto anglo-italiano dovrebbero servire da monito. Il documento, in realtà, non chiarisce colpevolmente quali saranno i legami di questo complesso industriale in divenire con il complesso industriale ben strutturato e dominante statunitense; ci ha pensato per altro il fu-governo di Angela Merkel ad inibire ogni proposito francese di inibire l’accesso del complesso statunitense all’arsenale europeo. Nemmeno può rassicurare sul fatto che una semplice pratica di incentivi riesca a conciliare le esigenze militari di stati europei dalle proiezioni geopolitiche divergenti. Lo stesso utilizzo duale delle infrastrutture civili, così enfatizzato nel documento, non è altro che la scopiazzatura dei grandi progetti di collegamento veloce ed integrato propugnati dalla NATO, ma spacciati per altre finalità in realtà complementari. Grazie a Luigi Longo, ne abbiamo lungamente trattato su questo sito.

Ciò che Borrell chiama “collaborazione” è in realtà puro supporto della UE alle politiche della NATO e della sua componente più oltranzista. Non saranno certo quattro scribacchini incaricati di metter giù qualche pastrocchio ad impensierire la leadership statunitense. Il collante che tiene uniti i paesi europei è la subordinazione agli Stati Uniti; la Unione Europea, senza nemmeno la flessibilità che iniziano a mostrare gli statunitensi nel NSS, è lo specchietto delle allodole che impedisce ai paesi europei di trovare una propria strada di accordo autonoma ed indipendente. Da qui il fumo dello scorrazzare per conto terzi nei vari quadranti del globo terrestre presentato come piano strategico curiosamente privo di priorità e di iniziative proprie non necessariamente conflittuali con i propri vicini di casa. Per il resto cercheremo in futuro di approfondire ulteriormente i temi indicati e sottesi. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559

La guerra contro l’Ucraina dimostra che l’Europa è ancora più in pericolo di quanto si pensasse solo pochi mesi fa. La brutale invasione russa dell’Ucraina non è solo un attacco non provocato contro un paese sovrano che si batte per i suoi diritti e la sua democrazia; è anche la più grande sfida all’ordine di sicurezza europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. Sono in gioco i principi stessi su cui sono costruite le relazioni internazionali, non ultimi quelli della Carta delle Nazioni Unite e l’Atto finale di Helsinki.

Le crisi tendono a cristallizzare gli sviluppi, e questo ha reso ancora più chiaro che viviamo in un mondo plasmato da una pura politica di potenza, dove tutto è armato e dove ci troviamo di fronte a un feroce scontro di narrazioni. Tutte queste tendenze erano già evidenti prima della guerra in Ucraina; ora stanno accelerando.

Questo significa che anche la nostra risposta deve accelerare – e lo ha fatto. Abbiamo intrapreso un’azione rapida in tutto lo spettro politico e cosí facendo abbiamo infranto diversi tabù: sanzioni senza precedenti e sostegno massiccio all’Ucraina, ivi compreso, per la prima volta in assoluto, il finanziamento della consegna di attrezzature militari a un paese sotto attacco. Abbiamo anche costruito un’ampia coalizione internazionale per sostenere l’Ucraina, isolare la Russia e ripristinare la legalità internazionale. Da qualunque punto di vista la si guardi, la risposta dell’UE è stata impressionante – anche se non è abbastanza, con la guerra ancora in corso.

Non sappiamo come e quando questa guerra finirà. Come scrive Le Grand Continent nel suo recente numero cartaceo, stiamo ancora navigando in un interregno1. Ma possiamo già dire che la guerra in Ucraina del 2022 ha visto la nascita – per quanto tardiva – di una UE geopolitica. Per anni, gli europei hanno discusso su come rendere l’UE più consapevole della propria sicurezza, con un’unità di intenti e capacità di perseguire i suoi obiettivi politici sulla scena mondiale. Nelle ultime settimane siamo probabilmente andati più avanti su questa strada di quanto abbiamo fatto nel decennio precedente. Questo è benvenuto, ma dobbiamo assicurarci che il risveglio geopolitico dell’UE si trasformi in una posizione strategica più permanente. Perché c’è ancora molto da fare, in Ucraina e altrove.

Stiamo ancora navigando in un interregno.

JOSEP BORRELL

Fare dell’Europa un hard power

Sono convinto che l’UE debba essere più di un soft power: abbiamo bisogno anche di un hard power. Tuttavia, dobbiamo renderci conto che il concetto di hard power non può essere ridotto a mezzi militari: si tratta di usare l’intera gamma dei nostri strumenti per raggiungere i nostri obiettivi. Si tratta di pensare e agire in termini di potere. E, a poco a poco, si stanno realizzando le condizioni perché questo accada.

In primo luogo, c’è una crescente consapevolezza tra gli europei delle minacce che si trovano ad affrontare insieme e del grado in cui i loro destini sono legati. Oggi nessuno in Europa può credere o pensare che quello che sta succedendo in Ucraina non li riguardi, non importa quanto siano lontani dal dramma. Di conseguenza, il nostro sostegno all’Ucraina non è solo un atto di solidarietà, ma anche un modo di difendere i nostri interessi comuni e di agire per autodifesa contro un aggressore pesantemente armato e spietato.

In secondo luogo, i popoli europei hanno raggiunto un livello di prosperità e benessere sociale senza precedenti, che l’adesione all’UE ha ulteriormente aumentato. Questo rende l’Europa un’area fondamentalmente pacifica costruita intorno all’idea di interdipendenza che genera prosperità e pace. Tuttavia, una delle lezioni della guerra in Ucraina è che l’interdipendenza economica da sola non può garantire la nostra sicurezza. Al contrario, può essere strumentalizzata contro di noi. Quindi dobbiamo essere pronti ad agire contro coloro che vogliono usare i benefici dell’interdipendenza per danneggiarci o fare la guerra.

Questo è ciò che sta accadendo oggi. Introducendo sanzioni senza precedenti contro l’invasione della Russia in Ucraina, stiamo rendendo il costo dell’aggressione sempre più proibitivo. Allo stesso tempo, dobbiamo migliorare ulteriormente la nostra resilienza e ridurre le vulnerabilità strategiche, che si tratti di infrastrutture critiche, materie prime, prodotti sanitari o altri domini.

Una delle lezioni della guerra in Ucraina è che l’interdipendenza economica da sola non può garantire la nostra sicurezza. Al contrario, può essere strumentalizzata contro di noi.

JOSEP BORRELL

In tutta l’UE, c’è un chiaro impegno a trarre le giuste lezioni da questa crisi. Questo implica che finalmente prendiamo sul serio le minacce ai nostri interessi strategici di cui siamo stati consapevoli ma non sempre abbiamo agito. Prendiamo l’energia. Sappiamo da anni che l’energia gioca un ruolo sproporzionato nelle relazioni UE-Russia e che la Russia ha usato l’energia come arma politica. Ora ci siamo mobilitati pienamente per tagliare la nostra eccessiva dipendenza dalle importazioni di energia dalla Russia (di petrolio, gas e carbone).

In modo simile, la guerra in Ucraina sta rendendo più urgente un salto di qualità nella sicurezza e nella difesa dell’UE. Qui il punto principale è sottolineare che gli investimenti extra che gli stati membri dell’UE stanno facendo ora – che sono molto benvenuti – dovrebbero comportare un maggiore coordinamento nell’UE e nella NATO. Non è solo che ognuno di noi dovrebbe spendere di più; è che dobbiamo spendere di più tutti insieme.

Un nuovo mondo di minacce

La guerra in Ucraina è la più grave crisi di sicurezza in Europa da decenni, ma le minacce alla sicurezza europea provengono chiaramente da una varietà di fonti, sia in Europa che fuori. I nostri interessi di sicurezza sono in gioco nei Balcani occidentali, nel Sahel, nel Medio Oriente, nell’Indo-Pacifico, ecc.

Mentre la guerra in Ucraina infuria ed esige i suoi tremendi tributi, non dobbiamo dimenticare che il mondo è pieno di situazioni in cui ci troviamo di fronte a tattiche ibride e dinamiche intermedie di competizione, intimidazione e coercizione. Infatti, in Ucraina come altrove, gli strumenti del potere non sono solo soldati, carri armati e aerei, ma anche sanzioni finanziarie o divieti di importazione ed esportazione, così come i flussi di energia, e operazioni di disinformazione e interferenza straniera.

Inoltre, abbiamo visto negli ultimi anni la strumentalizzazione dei migranti, la privatizzazione degli eserciti e la politicizzazione del controllo delle tecnologie sensibili. Si aggiunga a questo la dinamica degli stati falliti, la ritirata delle libertà democratiche, con in più gli attacchi ai “beni comuni globali” del cyber spazio, dell’alto mare e dello spazio esterno, e la conclusione è chiara: la difesa dell’Europa richiede un concetto globale di sicurezza.

Fortunatamente, c’è ora una maggiore consapevolezza e accordo in Europa sulla natura delle minacce che affrontiamo – così come un processo di convergenza strategica su cosa fare al riguardo.

In Ucraina come altrove, gli strumenti del potere non sono solo soldati, carri armati e aerei, ma anche sanzioni finanziarie o divieti di importazione ed esportazione, così come i flussi di energia, e operazioni di disinformazione e interferenza straniera.

JOSEP BORRELL

La Bussola Strategica: un salto in avanti per la sicurezza e difesa europeee

Se vogliamo evitare di essere uno spettatore in un mondo modellato da e per gli altri, dobbiamo agire – insieme. Questa è la filosofia della Bussola Strategica che ho presentato lo scorso novembre e che è stata finalizzata dai ministri degli esteri e della difesa dell’UE il 21 marzo2. Ci sono molti dettagli nella Bussola, che si sviluppa su 47 pagine, raggruppate in quattro filoni di lavoro (Agire, Assicurare, Investire e Sviluppare partnership). Permettetemi di evidenziare solo alcune delle idee principali:

Per rafforzare la nostra capacità di azione, lavoreremo per rafforzare le nostre missioni e operazioni di gestione delle crisi e svilupperemo una capacità di dispiegamento rapido dell’UE per permetterci di schierare rapidamente fino a 5.000 truppe per diversi tipi di crisi. Aumenteremo la prontezza delle nostre forze attraverso regolari esercitazioni dal vivo (mai fatto prima a livello UE), rafforzeremo i nostri accordi di comando e controllo e promuoveremo un processo decisionale più rapido e flessibile. Espanderemo la nostra capacità di affrontare le minacce informatiche, la disinformazione e le interferenze straniere. E approfondiremo gli investimenti nei necessari abilitatori strategici e nelle capacità di prossima generazione. Questo renderà l’UE un fornitore di sicurezza più capace per i suoi cittadini, ma anche un partner globale più forte che lavora per la pace e la sicurezza internazionale.

Più che i documenti che produciamo di solito a Bruxelles, la Bussola Strategica stabilisce azioni concrete – con scadenze chiare per misurare i progressi. La Bussola è un documento di proprietà degli Stati membri, ora adottato dal Consiglio. Durante tutto il processo, gli Stati membri sono stati al posto di guida. Apponendo la loro firma, si impegnano ad attuarla. Ci sarà un robusto processo di follow-up per garantire l’attuazione. Queste sono le principali differenze con la strategia di sicurezza dell’UE del 2003 e la strategia globale del 2016.

Un’Unione più forte significa anche un rapporto transatlantico più forte

A questo punto della conversazione, si tende a dire: “Tutto questo è molto bello, ma che ne sarà della NATO?” Vorrei sottolineare che la NATO rimane al centro della difesa territoriale dell’Europa. Nessuno lo mette in discussione. Tuttavia, questo non dovrebbe impedire ai paesi europei di sviluppare le loro capacità e condurre operazioni nel nostro vicinato e oltre. Dovremmo essere in grado di agire come UE in scenari come quello che abbiamo visto l’anno scorso in Afghanistan (in cui abbiamo dovuto assicurare un aeroporto per l’evacuazione di emergenza) o intervenire rapidamente in una crisi in cui la violenza minaccia la vita dei civili.

Sono convinto che una maggiore responsabilità strategica europea sia il modo migliore per rafforzare la solidarietà transatlantica. Non è UE o NATO: è sia UE che NATO. Permettetemi di aggiungere che le esitazioni ad andare avanti su questo progetto “a causa della NATO” provengono dall’interno dell’UE, non dagli Stati Uniti. Qui posso citare dalla dichiarazione congiunta che il segretario Blinken e io abbiamo rilasciato lo scorso dicembre, vale a dire che gli Stati Uniti vogliono: “una difesa europea più forte e capace che contribuisca alla sicurezza globale e transatlantica”. Gli Stati Uniti essenzialmente dicono: “Non parlate, agite. Per favore, procedete e aiutateci a condividere l’onere della sicurezza”.

Non è UE o NATO: è sia UE che NATO.

JOSEP BORRELL

Se non ora, quando?

Mi rendo conto che chi, come me, vuole un cambio di passo in materia di sicurezza e difesa dovrebbe spiegare perché pensiamo che ‘questa volta sarà diverso’. Dovremmo riconoscere che nella storia della difesa europea ci sono stati numerosi piani e iniziative, pieni di acronimi, che vanno dal Piano Pleven e dalla Comunità Europea di Difesa; al lancio della Politica Estera e di Sicurezza Comune dopo Maastricht; alle guerre nell’ex Jugoslavia e all’”ora dell’Europa”, a Saint Malo, all’inizio della PESD, poi della PSDC, dell’obiettivo primario di Helsinki, della PESCO, del Fondo Europeo di Difesa e del Fondo Europeo di Pace, ecc.

Eppure il fatto fondamentale rimane che la sicurezza e la difesa sono probabilmente l’area dell’integrazione europea con il più grande divario tra aspettative e risultati. Tra ciò che potremmo essere e ciò che i cittadini chiedono – e ciò che effettivamente realizziamo.

Quindi è il momento di fare un altro tentativo. E la ragione per cui sento che la Bussola Strategica potrebbe avere più impatto dei piani precedenti sta nella velocità con cui le tendenze globali e il contesto geopolitico stanno cambiando e peggiorando. Questo rende le ragioni per l’azione urgenti e davvero irresistibili. È vero per la guerra in Ucraina e per le più ampie implicazioni di una Russia revisionista per la sicurezza europea.

Ma va oltre: tutte le minacce che affrontiamo si stanno intensificando e la capacità dei singoli stati membri di farvi fronte è insufficiente e in declino. Il divario sta crescendo e non si può andare avanti cosí.

Il mio compito è stato quello di abbozzare una via d’uscita. Ma so fin troppo bene che i risultati non dipendono dai documenti strategici, ma dalle azioni. Queste appartengono agli Stati membri: sono loro a detenere le prerogative e le risorse.

La buona notizia è che ogni giorno vediamo sempre più Stati membri pronti a investire di più nella sicurezza e nella difesa. Dobbiamo garantire che questi graditi investimenti aggiuntivi siano fatti in modo collaborativo e non in modo frammentato e nazionale. Dobbiamo usare questo nuovo slancio per assicurarci che, finalmente, ci dotiamo della mentalità, dei mezzi e dei meccanismi per difendere la nostra Unione, i nostri cittadini e i nostri partner.

Politicamente vedo la scelta che affrontiamo come simile a quando abbiamo lanciato l’euro o il Recovery Plan. Quando i costi della “non Europa” sono diventati così alti che la gente era pronta a ripensare le proprie linee rosse e a investire in soluzioni veramente europee. Abbiamo saltato insieme, per così dire, e, in entrambi i casi, i risultati sono chiari e positivi. Facciamo un simile salto in avanti sulla sicurezza e la difesa europea, come si aspettano i nostri cittadini. Se non ora, quando?

Ripensare la lingua della potenza

Nel bene o nel male, sospetto che il mio mandato di Alto Rappresentante dell’UE sarà associato a una frase che ho usato durante la mia audizione nell’ottobre 2019 al Parlamento europeo, cioè che gli europei dovevano “imparare a parlare la lingua della potenza”.

Ho sostenuto che l’origine dell’integrazione europea è scaturita da un rifiuto della politica di potenza tra gli stati partecipanti. Il progetto europeo era riuscito a trasformare i problemi politici in problemi tecnocratici e a sostituire i calcoli di potere con procedure legali. Nella storia delle relazioni internazionali e nel nostro continente devastato dalla guerra, questa è stata una rivoluzione copernicana. Fu anche un successo spettacolare, cementando la pace e la cooperazione tra paesi che prima erano in guerra, creando istituzioni, mappe mentali e un vocabolario unici.

Ma questo capitolo storico si è concluso, mentre l’UE ha affrontato diverse crisi e shock: la crisi finanziaria e dell’euro, la crisi migratoria e la Brexit. Tutte queste crisi hanno innescato dibattiti intensamente politici sulla natura dell’UE e sulle fonti di solidarietà e legittimità. Tali dibattiti non potevano essere risolti con la solita tattica dell’UE di depoliticizzarli e di proporre soluzioni tecniche e di mercato.

Da molti anni stiamo vivendo una nuova fase della storia europea che non riguarda tanto gli spazi (uno dei temi preferiti a Bruxelles, quello delle frontiere aperte e della libera circolazione) ma i luoghi (da dove vengono e a cui appartengono le persone, la loro identità). Sembriamo meno concentrati sulle tendenze (globalizzazione, progresso tecnologico) e più sugli eventi storici (e su come rispondiamo ad essi): come la pandemia e l’attacco della Russia all’Ucraina.

Il successo dell’integrazione dell’UE e il metodo scelto di depoliticizzazione hanno avuto anche un prezzo: la riluttanza e l’incapacità di venire a patti con il fatto che, fuori dal nostro giardino post-moderno, “la giungla stava ricrescendo”.

JOSEP BORRELL

A questo bisogna aggiungere un importante fattore esterno. Il successo dell’integrazione dell’UE e il metodo scelto di depoliticizzazione hanno avuto anche un prezzo: la riluttanza e l’incapacità di venire a patti con il fatto che, fuori dal nostro giardino post-moderno, “la giungla stava ricrescendo”3. Trent’anni fa, molte discussioni e libri parlavano di come il mondo fosse piatto, di come la storia fosse finita e di come l’Europa e il suo modello avrebbero gestito il XXI secolo. Oggi si parla dell’armamento dell’interdipendenza e di come un’Europa presunta ingenua non sia adatta all’era della politica di potenza4.

In tutto questo, sono stato convinto di due punti fondamentali:

In primo luogo, dobbiamo essere realistici e riconoscere che l’attuale fase della storia e della politica globale ci impone di pensare e agire in termini di potenza (da qui, la frase “la lingua della potenza”). La guerra contro l’Ucraina è l’ultima e più drammatica illustrazione di questo.

In secondo luogo, il modo migliore per esercitare un’influenza, plasmare gli eventi e non essere guidati da essi, è a livello dell’UE: investendo nella nostra capacità collettiva di agire.5

Tutto il resto è abbellimento e dettaglio.

Di conseguenza, dobbiamo dotarci della mentalità e dei mezzi per gestire l’era della politica di potere e dobbiamo farlo in scala. Questo non accadrà da un giorno all’altro – dato chi siamo e da dove veniamo. Tuttavia, credo che stiamo mettendo in atto gli elementi costitutivi e che la crisi ucraina abbia accelerato questa tendenza.

Già nel 2021 mostravamo di essere pronti ad adottare una postura forte per contrastare le aperte manifestazioni di politica di potere ai nostri confini orientali. Oltre al nostro sostegno all’Ucraina, si può indicare quello che abbiamo fatto sulla Bielorussia, dove abbiamo tenuto duro anche sulla strumentalizzazione dei migranti, o sulla Moldavia, a cui abbiamo esteso il nostro sostegno.

Inoltre, abbiamo rafforzato il nostro approccio alla Cina e definito come l’UE può rafforzare il suo impegno nella e con la regione dell’Indo-Pacifico. Sulla Cina, siamo diventati meno ingenui e abbiamo fatto il nostro dovere per contrastare la sfida dell’apertura asimmetrica con le nostre politiche di screening degli investimenti, 5G, appalti e lo strumento anti-coercizione, come anche esposto da Sabine Weyand su queste pagine.

Inoltre, con la nostra strategia indo-pacifica, siamo impegnati in un processo di diversificazione politica, investendo nei nostri legami con l’Asia democratica. Centrale in questo sforzo è il nostro lavoro sul Global Gateway, per spiegare la nostra offerta e come si differenzia da quella di altri attori. Il punto del Global Gateway è quello di costruire legami, non dipendenze. Infatti, molti partner africani e asiatici accolgono con favore l’approccio europeo alla connettività con la sua enfasi su regole concordate, sostenibilità e proprietà locale. Ma questo è un campo competitivo e c’è una battaglia in corso sugli standard. Pertanto, dobbiamo essere concreti e non limitare la nostra posizione a dichiarazioni generali di principi e di intenti. Ecco perché prevediamo di mobilitare fino a 300 miliardi di euro nell’ambito del Global Gateway, con 150 miliardi di euro specialmente per l’Africa, più diverse iniziative faro, per rendere la cooperazione il più concreta e tangibile possibile.6

Potrei continuare, ma il punto principale è sottolineare che, a poco a poco, la nozione di un’UE geopoliticamente consapevole stava già prendendo forma prima della guerra contro l’Ucraina. Il compito che ci attende è quello di rendere il risveglio geopolitico dell’Europa più permanente e consequenziale. Questo ci richiede non solo di imparare la lingua della potenza, ma di parlarla.

La nozione di un’UE geopoliticamente consapevole stava già prendendo forma prima della guerra contro l’Ucraina. Il compito

JOSEP BORRELL

A metà mandato: cosa possiamo fare in modo diverso e meglio?

Questa Commissione europea ha iniziato il suo mandato nel dicembre 2019. Dopo più di due anni e dopo aver analizzato come portiamo avanti la politica estera dell’UE, la mia principale preoccupazione è che non stiamo tenendo il passo. Come dice il mio amico e primo Alto Rappresentante dell’UE Javier Solana, il tempo in politica, come in fisica, è relativo: se la velocità con cui stai cambiando è inferiore alla velocità del cambiamento intorno a te, stai andando all’indietro. E questo non possiamo permettercelo. La nostra risposta alla crisi ucraina mostra cosa si può fare se la pressione è estrema. Tuttavia, è troppo presto per concludere che questo sia diventato il modo generale di operare nella politica estera dell’UE.

Quindi vorrei condividere alcune idee su quelli che potrebbero essere i quattro ingredienti chiave per il successo e un maggiore impatto dell’UE in un mondo turbolento:

1. Pensare e agire in termini di potenza

Gli europei, con buone ragioni, continuano a preferire il dialogo al confronto; la diplomazia alla forza; il multilateralismo all’unilateralismo. Ma se si vuole che il dialogo, la diplomazia e il multilateralismo abbiano successo, bisogna metterci forza e risorse. Ogni volta che lo abbiamo fatto – in Ucraina, Bielorussia o con la nostra diplomazia del clima – abbiamo avuto un impatto. Ogni volta che abbiamo optato per affermare posizioni di principio senza specificare i mezzi per renderle efficaci, i risultati sono stati meno efficaci.

La mia sensazione è che le idee intorno alla lingua della potenza o all’armamento dell’interdipendenza siano ora ampiamente accettate. Tuttavia, l’implementazione, le risorse e gli impegni necessari continuano a essere una sfida.

La mia sensazione è che le idee intorno alla lingua della potenza o all’armamento dell’interdipendenza siano ora ampiamente accettate. Tuttavia, l’implementazione, le risorse e gli impegni necessari continuano a essere una sfida.

JOSEP BORRELL

2. Prendere l’iniziativa ed essere pronti a sperimentare

In generale, siamo troppo spesso in una modalità reattiva, rispondendo ai piani e alle decisioni di altre persone. Credo anche che dobbiamo evitare la routine burocratica (“cosa abbiamo fatto l’ultima volta?”) e recuperare un senso di iniziativa.

Inoltre, dobbiamo essere pronti a sperimentare di più. Spesso è l’opzione più sicura attenersi a ciò che conosciamo e che abbiamo sempre fatto. Ma questo non è sempre il modo migliore per ottenere risultati.

3. Costruire coalizioni variegate e agire più velocemente

Dobbiamo essere più orientati agli obiettivi e pensare a come mobilitare i partner intorno alle nostre priorità, questione per questione. Dovremmo riconoscere che, accanto a coalizioni di partner che la pensano allo stesso modo, abbiamo anche paesi che lavorano con noi su alcune questioni mentre si oppongono su altre. E se il governo centrale non è d’aiuto, dovremmo lavorare di più con le forze locali o i gruppi della società civile.

Nell’UE, siamo molto occupati con noi stessi e ci vuole molto tempo per stabilire posizioni comuni. Quando gli Stati membri sono divisi, la regola dell’unanimità in politica estera di sicurezza è una ricetta per la paralisi e il ritardo. Ecco perché sono a favore dell’uso dell’astensione costruttiva e di altre opzioni previste dal trattato, come l’uso del voto a maggioranza qualificata (VMQ) in aree selezionate, per facilitare un processo decisionale più rapido.7

C’è il rischio che diamo la priorità alla ricerca dell’unità interna rispetto alla massimizzazione della nostra efficacia esterna. Cosí va a finire che, quando abbiamo finalmente raggiunto una posizione comune – spesso aggiungendo molta acqua al vino – il resto del mondo è andato avanti.

Ho sottolineato l’importanza di investire in una cultura strategica comune, che ha bisogno di un dibattito europeo, uno spazio per discutere su ciò che possiamo e non possiamo fare in politica estera dell’UE e perché. Di conseguenza, contribuisco regolarmente a questa rivista, che considero un esempio tangibile della nascita di un dibattito strategico, politico e intellettuale su scala continentale.

JOSEP BORRELL

4. Modellare la narrazione

Dopo aver trascorso decenni in politica, sono convinto che probabilmente l’ingrediente più importante per il successo è dare forma alla narrazione. Questa è la vera moneta del potere globale.8

Per questo motivo, all’inizio della pandemia ho parlato dell’esistenza di una “battaglia di narrazioni”9 e ho sottolineato l’importanza di investire in una cultura strategica comune, che ha bisogno di un dibattito europeo, uno spazio per discutere su ciò che possiamo e non possiamo fare in politica estera dell’UE e perché. Di conseguenza, contribuisco regolarmente a questa rivista e ai seminari del Groupe d’études géopolitiques, che considero un esempio tangibile della nascita di un dibattito strategico, politico e intellettuale su scala continentale.10

Ai cittadini dell’UE non interessa molto chi fa cosa a Bruxelles, né le discussioni astratte. Non si preoccupano del numero di dichiarazioni che facciamo, o delle sanzioni che adottiamo. Ci giudicano sui risultati, non sugli input. In altre parole sui risultati: sono più sicuri o più prosperi grazie all’azione dell’UE? L’UE è più o meno influente, anche in termini di difesa dei nostri valori, rispetto a un anno fa? Abbiamo più o meno fiducia negli altri? Abbiamo ottenuto di più o di meno sostenendo i nostri partner? Queste sono le metriche che contano.

La guerra contro l’Ucraina ha reso chiaro che in un mondo di politica di potere abbiamo bisogno di costruire una maggiore capacità di difenderci. Sì, questo include i mezzi militari, e dobbiamo svilupparli di più. Ma l’essenza di ciò che l’UE ha fatto in questa crisi è stata quella di utilizzare tutte le politiche e le leve – che rimangono principalmente di natura economica e normativa – come strumenti di potere.

Dovremmo costruire su questo approccio, in Ucraina ma anche altrove. Il compito principale dell’”Europa geopolitica” è semplice: usare il nostro ritrovato senso di scopo e renderlo il “nuovo normale” nella politica estera dell’UE. Proteggere i nostri cittadini, sostenere i nostri partner e affrontare le nostre responsabilità di sicurezza globale.

NOTE
  1. Le Grand Continent, «  Politiques de l’interrègne », Gallimard, 2022
  2. Potete leggere di più sulla logica e gli elementi principali nella mia prefazione personale: https://eeas.europa.eu/sites/default/files/en_updated_foreword_-_a_strategic_compass_to_make_europe_a_security_provider_v12_final.pdf
  3. Si veda il libro di Robert Kagan del 2018: https://www.brookings.edu/books/the-jungle-grows-back-america-and-our-imperiled-world/
  4. https://legrandcontinent.eu/fr/2022/02/18/lere-de-la-paix/
  5. Luiza Bialasiewicz, “Le moment géopolitique européen : penser la souveraineté stratégique” in le Grand Continent, “Politiques de l’interrègne”, March 2022, Gallimard
  6. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_21_6433
  7. https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/86276/when-member-states-are-divided-how-do-we-ensure-europe-able-act_en
  8. Lorenzo Castellani, “Le nouveau visage du pouvoir” in le Grand Continent, “Politiques de l’interrègne”, Gallimard, March 2022.
  9. https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/76379/coronavirus-pandemic-and-new-world-it-creating_en
  10. https://geopolitique.eu/en/2021/05/05/european-foreign-policy-in-times-of-covid-19/

https://legrandcontinent.eu/it/2022/03/24/leuropa-nellinterregno-il-nostro-risveglio-geopolitico-dopo-lucraina/

Consiglio
dell’Unione europea
Bruxelles, 21 marzo 2022
(OR. en)
7371/22
COPS 130 PROCIV 36
POLMIL 72 ESPACE 27
EUMC 95 POLMAR 26
CSDP/PSDC 155 MARE 24
CFSP/PESC 394 COMAR 23
CIVCOM 50 COMPET 165
RELEX 373 IND 77
JAI 371 RECH 144
HYBRID 27 COTER 79
DISINFO 24 POLGEN 41
CYBER 87 CSC 111
RISULTATI DEI LAVORI
Origine: Segretariato generale del Consiglio
Destinatario: Delegazioni
Oggetto: Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa – Per un’Unione
europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e
contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali.
Si allega per le delegazioni la bussola strategica per la sicurezza e la difesa – Per un’Unione europea
che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e contribuisce alla pace e alla sicurezza
internazionali, approvata dal Consiglio nella sessione del 21 marzo 2022.
7371/22 via/md/S 2
ALLEGATO RELEX.5 IT
ALLEGATO
Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa
Per un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi
e contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali
SINTESI
Con il ritorno della guerra in Europa determinato dall’aggressione ingiustificata e non
provocata della Russia nei confronti dell’Ucraina, nonché a causa dei significativi mutamenti geopolitici in atto, la nostra capacità di promuovere la nostra visione e di difendere i nostri interessi è messa alla prova. Viviamo in un’epoca di competizione strategica e di complesse minacce alla sicurezza. Nel nostro vicinato e oltre assistiamo a un aumento dei conflitti, degli atti di aggressione e delle fonti di instabilità, oltre che a un incremento delle forze militari, che causano gravi sofferenze umanitarie e sfollamenti. Aumentano anche le minacce ibride, sia in termini di frequenza che di impatto. L’interdipendenza è sempre più improntata alla conflittualità e il soft power è trasformato in un’arma: i vaccini, i dati e gli standard tecnologici sono tutti strumenti di competizione politica. L’accesso all’alto mare, allo spazio extra-atmosferico e alla dimensione digitale è sempre più conteso. Ci troviamo ad affrontare crescenti tentativi di coercizione economica
ed energetica. Inoltre i conflitti e l’instabilità sono spesso aggravati dai cambiamenti climatici che agiscono da “moltiplicatore della minaccia”.
L’Unione europea è più unita che mai. Siamo determinati a difendere l’ordine di sicurezza
europeo. La sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza all’interno delle frontiere riconosciute a livello internazionale dovrebbero essere pienamente rispettate. Nel sostenere l’Ucraina di fronte all’aggressione militare russa, stiamo dando prova di una determinazione senza precedenti a ripristinare la pace in Europa, insieme ai nostri partner. Un’UE più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Le relazioni transatlantiche e la cooperazione UE-NATO, nel pieno rispetto dei principi stabiliti nei trattati e di quelli concordati dal Consiglio europeo, compresi i principi di inclusività, reciprocità e
autonomia decisionale dell’UE, sono elementi essenziali per la nostra sicurezza generale. L’UE ribadisce la propria intenzione di intensificare il sostegno all’ordine globale basato su regole, imperniato sulle Nazioni Unite. Rafforzerà altresì il suo partenariato strategico con la NATO e intensificherà la cooperazione con i partner regionali, tra cui l’OSCE, l’UA e l’ASEAN.
A fronte dell’accresciuta ostilità del contesto di sicurezza, dobbiamo compiere un deciso salto di qualità e aumentare la nostra capacità e la nostra volontà di agire, rafforzare la nostra resilienza e garantire solidarietà e assistenza reciproca. La solidarietà tra gli Stati membri è espressa all’articolo 42, paragrafo 7, TUE. L’UE deve accrescere la propria presenza, efficacia e visibilità nel suo vicinato e sulla scena mondiale attraverso sforzi e investimenti congiunti. Insieme possiamo contribuire a plasmare il futuro globale perseguendo una linea d’azione strategica.
Dobbiamo agire come un attore politico forte e coerente per difendere i valori e i principi alla base delle nostre democrazie, assumerci maggiori responsabilità per la sicurezza dell’Europa e dei suoi cittadini e sostenere la pace e la sicurezza internazionali, nonché la sicurezza umana, insieme ai nostri partner, pur riconoscendo il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.
7371/22 via/md/S 3
ALLEGATO RELEX.5 IT
La bussola strategica rappresenta un elevato livello di ambizione per la nostra agenda in materia di sicurezza e difesa in quanto:
1. offre una valutazione condivisa del nostro contesto strategico, delle minacce e delle sfide che dobbiamo affrontare e delle relative conseguenze per l’UE;
2. garantisce maggiore coerenza e un senso di finalità comune con riguardo alle azioni già in corso nel settore della sicurezza e della difesa;
3. definisce nuovi modi e mezzi per migliorare la nostra capacità collettiva di difendere la sicurezza dei nostri cittadini e della nostra Unione;
4. fissa obiettivi e traguardi chiari per misurare i progressi compiuti.
A tal fine, ci impegniamo a realizzare le seguenti azioni prioritarie concrete nell’ambito di quattro filoni di lavoro:
AZIONE
Dobbiamo essere in grado di agire in modo rapido ed energico quando scoppia una crisi, con i partner se possibile e da soli se necessario. A tal fine, provvederemo a:
1. rafforzare le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare conferendo loro mandati più solidi e duttili, promuovendo un processo decisionale rapido e più flessibile e garantendo una maggiore solidarietà finanziaria, favorendo nel contempo una stretta cooperazione con le missioni e operazioni ad hoc a guida europea. Rafforzeremo inoltre la dimensione civile della PSDC attraverso un nuovo patto che consenta un dispiegamento più rapido, anche in ambienti complessi;
2. sviluppare una capacità di dispiegamento rapido dell’UE che ci consentirà di dispiegare
rapidamente fino a 5 000 militari in ambienti non permissivi, per diversi tipi di crisi;
3. rafforzare le nostre strutture di comando e controllo, in particolare la capacità militare di
pianificazione e condotta, e aumentare la nostra prontezza e cooperazione attraverso il
miglioramento della mobilità militare ed esercitazioni reali periodiche, in particolare per la
capacità di dispiegamento rapido.
SICUREZZA
Dobbiamo potenziare la nostra capacità di anticipare le minacce, garantire un accesso sicuro ai settori strategici e proteggere i nostri cittadini. A tal fine, provvederemo a:
4. rafforzare le nostre capacità di intelligence, ad esempio il quadro della capacità unica di
analisi dell’intelligence (SIAC) dell’UE, per migliorare la nostra conoscenza situazionale e la
nostra previsione strategica;
5. creare un pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride, che preveda vari
strumenti per individuare e rispondere a un’ampia gamma di minacce di questo tipo. In tale contesto, metteremo a punto un pacchetto di strumenti dedicato per affrontare la
manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri;
6. sviluppare ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per essere meglio
preparati e rispondere agli attacchi informatici; rafforzare le nostre azioni nei settori marittimo, aereo e spaziale, in particolare estendendo le presenze marittime coordinate ad altre zone, a cominciare dalla regione indo-pacifica, e sviluppando una strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa.
7371/22 via/md/S 4
ALLEGATO RELEX.5 IT
INVESTIMENTI
Dobbiamo investire di più e meglio nelle capacità e nelle tecnologie innovative, colmare le lacune strategiche e ridurre le dipendenze tecnologiche e industriali. A tal fine, provvederemo a:
7. aumentare e migliorare la spesa nel settore della difesa e migliorare lo sviluppo e la
pianificazione delle capacità allo scopo di affrontare più efficacemente realtà operative e
nuove minacce e sfide;
8. cercare soluzioni comuni per sviluppare i necessari abilitanti strategici per le nostre missioni e operazioni nonché capacità di prossima generazione in tutti i settori operativi, tra cui piattaforme navali di alta gamma, sistemi di combattimento aereo del futuro, capacità basate sulla tecnologia spaziale e carri armati da combattimento;
9. sfruttare appieno la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la difesa per sviluppare congiuntamente capacità militari all’avanguardia e investire nell’innovazione tecnologica per la difesa nonché creare un nuovo polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia europea per la difesa.
PARTNER
Dobbiamo rafforzare la nostra cooperazione con i partner per affrontare minacce e sfide comuni.
A tal fine, provvederemo a:
10. rafforzare i partenariati strategici con la NATO e le Nazioni Unite attraverso dialoghi
politici più strutturati e una cooperazione operativa e tematica. Intensificheremo inoltre la
cooperazione con i partner regionali, tra cui l’OSCE, l’UA e l’ASEAN;
11. rafforzare la cooperazione con i partner bilaterali che condividono gli stessi valori e interessi, quali gli Stati Uniti, la Norvegia, il Canada, il Regno Unito e il Giappone. Sviluppare partenariati su misura nei Balcani occidentali, nel nostro vicinato orientale e meridionale, in Africa, in Asia e in America latina;
12. creare un forum di partenariato dell’UE in materia di sicurezza e difesa per collaborare più strettamente ed efficacemente con i partner allo scopo di fronteggiare sfide comuni.
Per tutti questi motivi, la bussola strategica fissa un piano ambizioso ma realizzabile per rafforzare la nostra politica di sicurezza e di difesa entro il 2030. La sicurezza e la difesa dell’UE necessitano di un nuovo impulso: un contesto più ostile e tendenze geopolitiche più ampie impongono infatti all’UE di farsi carico di una parte maggiore di responsabilità per la propria sicurezza.
7371/22 via/md/S 5
ALLEGATO RELEX.5 IT
INTRODUZIONE
L’adozione della presente bussola strategica avviene in un momento in cui assistiamo al ritorno della guerra in Europa. Negli ultimi settant’anni l’UE ha svolto un ruolo importante per garantire la stabilità del nostro continente, proiettare gli interessi e i valori europei e contribuire alla pace e alla sicurezza in tutto il mondo. Con i suoi 27 Stati membri e 450 milioni di cittadini, la nostra Unione rimane il più grande mercato unico al mondo, il principale partner commerciale e di investimento per molti paesi – in particolare nel nostro vicinato – e la maggiore fonte di aiuti allo sviluppo. L’UE è un normatore e un leader coerente che investe in soluzioni multilaterali efficaci.
Con le nostre missioni e operazioni di gestione delle crisi attive in tre continenti, abbiamo
dimostrato di essere pronti ad assumerci rischi per la pace e a farci carico della nostra parte di responsabilità per la sicurezza globale.
La guerra di aggressione della Russia segna un cambiamento epocale nella storia europea. Di fronte all’aggressione militare non provocata e ingiustificata della Russia nei confronti dell’Ucraina, che viola palesemente il diritto internazionale e i principi della Carta delle Nazioni Unite e compromette la sicurezza e la stabilità mondiali ed europee, l’UE è più unita che mai. Stiamo dimostrando una determinazione senza precedenti a difendere i principi della Carta delle Nazioni Unite e ripristinare la pace in Europa insieme ai nostri partner. Un’UE più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Le relazioni transatlantiche e la cooperazione UE-NATO, nel pieno rispetto dei principi stabiliti nei trattati e di quelli concordati dal Consiglio europeo, compresi i principi di inclusività, reciprocità e
autonomia decisionale dell’UE, sono elementi essenziali per la nostra sicurezza generale. La solidarietà tra gli Stati membri è espressa all’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea. Più in generale, l’UE ribadisce la propria intenzione di intensificare il sostegno all’ordine globale basato su regole, imperniato sulle Nazioni Unite.
In quest’epoca di crescente competizione strategica, complesse minacce alla sicurezza e attacco diretto all’ordine di sicurezza europeo, è in gioco la sicurezza dei nostri cittadini e della nostra Unione. Con la crisi del multilateralismo si osservano sempre più spesso relazioni transazionali tra Stati. Lo spettro delle minacce è oggi più diversificato e imprevedibile. I cambiamenti climatici agiscono da “moltiplicatore della minaccia” e ci riguardano tutti. Dopo trent’anni di forte interdipendenza economica, che avrebbe dovuto ridurre le tensioni, il ritorno alla politica di potenza e persino all’aggressione armata rappresenta il cambiamento più significativo intervenuto nelle relazioni internazionali. Il terrorismo minaccia la stabilità di molti paesi e continua a mettere a dura prova i sistemi di sicurezza nazionali in tutto il mondo. L’interdipendenza rimane importante, ma è sempre più improntata alla conflittualità e il soft power è trasformato in un’arma: i vaccini, i dati e gli standard tecnologici sono tutti strumenti di competizione politica.
La sicurezza europea è indivisibile e qualsiasi sfida all’ordine di sicurezza europeo incide sulla sicurezza dell’UE e dei suoi Stati membri. Il ritorno alla politica di potenza induce alcuni paesi ad agire secondo una logica fondata su diritti storici e zone di influenza, anziché aderire alle norme e ai principi concordati a livello internazionale e unirsi per promuovere la pace e la sicurezza internazionali. L’alto mare, lo spazio aereo e quello extra-atmosferico come pure la dimensione informatica sono settori sempre più contesi. Infine, viviamo in un mondo sempre meno libero, in cui i diritti umani, la sicurezza umana e i valori democratici – sia all’interno che all’esterno dell’UE – sono sotto attacco. Assistiamo a una competizione tra sistemi di governance, accompagnata da una vera e propria battaglia di narrazioni.
7371/22 via/md/S 6
ALLEGATO RELEX.5 IT
In questo sistema caratterizzato da forte antagonismo, l’UE e i suoi Stati membri devono
aumentare gli investimenti in materia di sicurezza e difesa per essere un attore politico e di sicurezza più forte. Malgrado i progressi compiuti negli ultimi anni, rischiamo seriamente di perdere terreno rispetto ai nostri concorrenti: l’UE ha ancora molta strada da fare per rafforzare la sua posizione geopolitica. Per questo motivo abbiamo bisogno di compiere un deciso salto di qualità per sviluppare un’Unione europea più forte e più capace che agisca quale garante della sicurezza, sulla base dei valori fondamentali dell’Unione sanciti dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea. Possiamo farlo solo sulla scorta di una valutazione condivisa della minaccia e di un impegno comune ad agire.
Con la presente bussola strategica definiamo una visione strategica comune della politica di sicurezza e di difesa dell’UE per i prossimi 5-10 anni, di cui avvieremo immediatamente
l’attuazione, che a sua volta ci aiuterà a sviluppare una cultura strategica comune, a rafforzare la nostra unità e solidarietà e, soprattutto, ad accrescere la nostra capacità e la nostra volontà di agire insieme, proteggere i nostri interessi e difendere i nostri valori.
In un mondo incerto, dove abbondano minacce e dinamiche geopolitiche in rapida evoluzione, la presente bussola strategica guida e rafforza la nostra azione in modo da rendere l’UE un garante della sicurezza più forte e capace. A tal fine, individua obiettivi chiari nel settore della sicurezza e della difesa dell’UE, i mezzi per conseguirli nonché scadenze specifiche per misurare i progressi compiuti.
Nel concreto, la bussola strategica:
1. offre una valutazione condivisa del nostro contesto strategico, delle minacce e delle sfide che dobbiamo affrontare e delle relative conseguenze per l’UE;
2. garantisce maggiore coerenza e un senso di finalità comune con riguardo alle azioni già in corso nel settore della sicurezza e della difesa;
3. definisce nuove azioni e nuovi mezzi per:
a. consentirci di agire in modo più rapido e deciso davanti alle crisi;
b. preservare i nostri interessi e proteggere i nostri cittadini rafforzando la capacità dell’UE di anticipare e attenuare le minacce;
c. stimolare gli investimenti e l’innovazione per sviluppare congiuntamente le capacità e le
tecnologie necessarie;
d. approfondire la nostra cooperazione con i partner, in particolare con le Nazioni Unite e la NATO, per conseguire obiettivi comuni;
4. fissa obiettivi e traguardi chiari per misurare i progressi compiuti.
La bussola strategica impegna l’Unione europea e i suoi Stati membri a realizzare uno sforzo comune per conseguire risultati concreti. I suoi obiettivi e le azioni proposte fanno parte di un approccio integrato dell’UE e sono pienamente in linea e complementari rispetto alle politiche attuali tese a rispondere alle minacce esterne che incidono sulla nostra sicurezza interna, in particolare quelle stabilite nella strategia per l’Unione della sicurezza presentata dalla Commissione europea nel 2020. Le politiche dell’UE offrono un notevole effetto leva che deve essere pienamente mobilitato per rafforzare la sicurezza e la difesa dell’UE. La presente bussola strategica si basa anche sui pacchetti Difesa e Spazio presentati dalla Commissione europea nel febbraio 2022. Essa contribuisce direttamente all’attuazione dell’agenda di Versailles.
7371/22 via/md/S 7
ALLEGATO RELEX.5 IT
1. IL MONDO CHE ABBIAMO DAVANTI
Per preparare la presente bussola strategica, nel 2020 abbiamo condotto la primissima analisi esauriente della minaccia a livello dell’UE, il che ha contribuito alla definizione di una comune comprensione delle minacce e delle sfide che l’UE si troverà ad affrontare nel prossimo futuro. Per sviluppare una cultura strategica comune, a partire dal 2022 riesamineremo periodicamente – almeno ogni tre anni o prima, se l’evoluzione del contesto strategico e di sicurezza lo richiederà – l’analisi della minaccia.
Il panorama generale della sicurezza è oggi più volatile, complesso e frammentato che mai a causa di minacce a più livelli. Le dinamiche di instabilità locale e regionale, alimentate da una governance disfunzionale e da contese nel nostro più ampio vicinato e oltre e talvolta aggravate da disuguaglianze e da tensioni religiose ed etniche, sono sempre più interconnesse con minacce non convenzionali e transnazionali e rivalità tra potenze geopolitiche. Ne consegue una ridotta capacità del sistema multilaterale di prevenire e attenuare i rischi e le crisi.
Il ritorno della politica di potenza in un mondo multipolare conteso
Convinta sostenitrice del multilateralismo efficace, l’UE ha cercato di sviluppare un ordine
internazionale aperto basato su regole, fondato sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, sui valori universali e sul diritto internazionale. Tale visione del multilateralismo, che è prevalsa a livello internazionale dopo la fine della guerra fredda, è oggi messa fortemente in discussione dallo sgretolamento dei valori universali e dall’uso squilibrato delle sfide globali da parte di coloro che promuovono un approccio rigorosamente sovranista che costituisce in realtà un ritorno alla politica
di potenza. L’attuale realtà internazionale è basata sulla combinazione di dinamiche caratterizzate da un numero crescente di attori che cercano di ampliare il proprio spazio politico e di sfidare l’ordine di sicurezza. Il ricorso alla forza e alla coercizione per cambiare i confini non è ammissibile nel XXI secolo.
Con l’aggressione militare non provocata e ingiustificata nei confronti dell’Ucraina, la Russia viola palesemente il diritto internazionale e i principi della Carta delle Nazioni Unite e compromette la sicurezza e la stabilità mondiali ed europee. Tale violazione fa seguito all’aggressione militare perpetrata in Georgia nel 2008, nonché all’annessione illegale della Crimea e all’intervento militare nell’Ucraina orientale nel 2014. Attraverso questa ingerenza armata in Georgia e in Ucraina, il controllo di fatto sulla Bielorussia e la costante presenza di truppe russe nell’ambito di conflitti di lunga durata, tra cui nella Repubblica di Moldova, il governo russo sta attivamente mirando alla costituzione di quelle che vengono definite sfere di influenza. L’aggressione armata contro l’Ucraina dimostra che è pronto a utilizzare il massimo livello di forza militare, senza riguardo per considerazioni giuridiche o umanitarie, unitamente a tattiche ibride, attacchi informatici, manipolazione delle informazioni e ingerenze esterne, coercizione economica ed energetica e una
retorica nucleare aggressiva. Tali atti aggressivi e revisionisti di cui il governo russo, insieme alla Bielorussia, sua complice, porta l’intera responsabilità, minacciano gravemente e direttamente l’ordine di sicurezza europeo e la sicurezza dei cittadini europei. I responsabili di tali crimini, compresi gli attacchi contro civili e beni di carattere civile, saranno chiamati a rispondere delle loro azioni. La Russia si proietta anche in altri teatri quali la Libia, la Siria, la Repubblica centrafricana e il Mali, sfruttando le crisi in modo opportunistico, anche attraverso il ricorso alla disinformazione e a mercenari, tra cui il Wagner Group. Tutti questi sviluppi costituiscono una minaccia diretta e a lungo termine per la sicurezza europea, minaccia che continueremo ad affrontare con determinazione.
7371/22 via/md/S 8
ALLEGATO RELEX.5 IT
La Cina è un partner per la cooperazione, un concorrente economico e un rivale sistemico con cui possiamo affrontare questioni di portata planetaria come i cambiamenti climatici. La Cina è sempre più coinvolta e implicata in tensioni a livello regionale. L’asimmetria nell’apertura dei nostri mercati e delle nostre società ha suscitato crescenti preoccupazioni per quanto riguarda la reciprocità, la concorrenza economica e la resilienza. La Cina tende a limitare l’accesso al suo mercato e cerca di promuovere i suoi standard a livello mondiale. Persegue le sue politiche anche attraverso una crescente presenza in mare e nello spazio nonché avvalendosi di strumenti informatici e impiegando tattiche ibride. Oltre a ciò, la Cina ha sviluppato in modo considerevole i suoi mezzi militari e mira
a portare a compimento la modernizzazione complessiva delle sue forze armate entro il 2035, impattando in tal modo sulla sicurezza regionale e globale. Lo sviluppo e l’integrazione della Cina nella sua regione, e nel mondo in generale, caratterizzeranno il resto di questo secolo. Dobbiamo garantire che ciò avvenga in un modo che contribuisca a difendere la sicurezza globale e non sia in contrasto con l’ordine internazionale basato su regole e con i nostri interessi e valori. Questo richiede una forte unità tra di noi e una stretta collaborazione con altri partner regionali e globali.
In questo mondo multipolare conteso, l’UE deve assumere una posizione più attiva per proteggere i suoi cittadini, difendere i propri interessi, proiettare i suoi valori e collaborare con i partner al fine di garantire la sicurezza per un mondo più sicuro e più giusto. Insieme ai suoi partner, l’UE difende i principi fondamentali su cui si fonda la sicurezza europea, sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dai documenti costitutivi dell’OSCE, tra cui l’Atto finale di Helsinki e la Carta di Parigi. Tra essi figurano segnatamente la sovrana uguaglianza e l’integrità territoriale degli Stati, l’inviolabilità delle frontiere, il non ricorso alla minaccia o all’uso della forza e la libertà degli Stati di scegliere o modificare le rispettive disposizioni in materia di sicurezza. Tali principi non sono né negoziabili né
soggetti a revisione o reinterpretazione.
Per difendere l’ordine internazionale basato su regole, continueremo a rafforzare le nostre relazioni con i partner e i paesi che condividono gli stessi principi in seno alle Nazioni Unite, alla NATO e al G7. In tale contesto, gli Stati Uniti rimangono il più leale e il più importante partner strategico dell’UE, oltre ad essere una potenza globale che contribuisce alla pace, alla sicurezza, alla stabilità e alla democrazia nel nostro continente.
Il nostro contesto strategico
Oggi l’UE è circondata da instabilità e conflitti e si trova ad affrontare una guerra ai suoi confini.
Ci troviamo di fronte a un mix pericoloso fatto di aggressioni armate, annessioni illegali, Stati fragili, potenze revisioniste e regimi autoritari. In questo contesto trovano terreno fertile molteplici minacce alla sicurezza europea: dal terrorismo, l’estremismo violento e la criminalità organizzata fino ai conflitti ibridi e gli attacchi informatici, la strumentalizzazione della migrazione irregolare, la proliferazione delle armi e il progressivo indebolimento dell’architettura in materia di controllo degli armamenti. L’instabilità finanziaria e le divergenze sociali ed economiche estreme possono aggravare ulteriormente tali dinamiche e avere un impatto sempre maggiore sulla nostra sicurezza.
Tutte queste minacce compromettono la sicurezza dell’UE lungo le nostre frontiere meridionali e orientali e oltre. Laddove non è attiva ed efficace nel promuovere i propri interessi, l’UE lascia il campo libero ad altri attori.
7371/22 via/md/S 9
ALLEGATO RELEX.5 IT
Non possiamo ancora dare per scontate la sicurezza e la stabilità nell’intera regione dei Balcani occidentali, anche a causa delle crescenti ingerenze da parte di attori stranieri, che comprendono campagne di manipolazione delle informazioni, nonché delle potenziali ripercussioni dovute all’attuale deterioramento della situazione della sicurezza europea. A tale riguardo è di particolare interesse sostenere la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina, sulla base dei principi di uguaglianza e non discriminazione di tutti i cittadini e popoli costituenti sanciti dalla costituzione della Bosnia-Erzegovina, nonché il processo di riforma lungo il suo percorso europeo, e portare avanti il dialogo Pristina-Belgrado a guida UE. Servono ulteriori progressi tangibili per quanto riguarda lo Stato di diritto e le riforme basate sui valori, le regole e le norme europei; la
prospettiva europea è una scelta strategica, essenziale per tutti i partner che aspirano a diventare membri dell’UE. Nel nostro vicinato orientale, mentre l’Ucraina subisce l’attacco diretto delle forze armate russe, anche la Repubblica di Moldova, la Georgia e altri paesi nel Caucaso meridionale subiscono costantemente intimidazioni strategiche, minacce dirette alla loro sovranità e integrità territoriale e sono intrappolati in conflitti di lunga durata. L’autoritarismo in Bielorussia si traduce in una repressione violenta in patria, nel sostegno militare attivo all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, in un cambiamento del suo status di paese denuclearizzato e in tattiche ibride contro l’UE. La stabilità e la sicurezza della regione del Mar Nero nel suo complesso risentono pesantemente dell’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, con implicazioni di vasta
portata in termini di sicurezza, resilienza, libertà di navigazione e sviluppo economico. La regione artica sta cambiando rapidamente, in particolare a causa delle ripercussioni del riscaldamento globale, delle rivalità geopolitiche e dell’accresciuto interesse commerciale, anche per quanto riguarda le risorse naturali. Nel vicinato meridionale le crisi in Libia e in Siria rimangono irrisolte, con conseguenze durature e pervasive a livello regionale. La regione, in particolare, è minacciata dai movimenti terroristici, dalla tratta di esseri umani e dalla criminalità organizzata, che affliggono entrambe le sponde del Mar Mediterraneo. Trattandosi di una regione e di una zona marittima di importanza strategica per la nostra sicurezza e stabilità, siamo determinati a intensificare i nostri sforzi per affrontare tali minacce e sfide. Continueremo ad adoperarci per la pace e la sicurezza nella regione euromediterranea, anche attraverso la mediazione, la risoluzione dei conflitti, la
ricostruzione delle istituzioni e la reintegrazione di tutti i membri della società. A tal fine,
rafforzeremo la nostra cooperazione con i partner regionali. Permangono infine tensioni nel
Mediterraneo orientale, dovute a provocazioni e azioni unilaterali nei confronti di Stati membri dell’UE e a violazioni di diritti sovrani contrarie al diritto internazionale, nonché alla
strumentalizzazione della migrazione irregolare, e c’è il rischio che tali tensioni si aggravino rapidamente; garantire un ambiente stabile e sicuro come anche relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose, in linea con il principio delle relazioni di buon vicinato, è nell’interesse sia dell’UE che della Turchia.
Insieme, queste minacce e sfide incidono sulla sicurezza dei nostri cittadini, sulla nostra
infrastruttura critica e sull’integrità delle nostre frontiere. L’impatto di un forte deterioramento delle relazioni con il governo russo è particolarmente grave in molti di questi teatri. Il governo russo interferisce attivamente tramite tattiche ibride, compromettendo la stabilità dei paesi e i loro processi democratici, con implicazioni dirette anche per la nostra propria sicurezza.
7371/22 via/md/S 10
ALLEGATO RELEX.5 IT
Il futuro dell’Africa riveste un’importanza strategica per l’UE. Data la sua crescita economica e demografica, il continente africano ha un notevole potenziale. Tuttavia i conflitti in corso, la governance inadeguata e il terrorismo in tutto il continente incidono sulla nostra sicurezza. Questo è in particolare il caso del Mali, della più vasta regione del Sahel e dell’Africa centrale, in cui instabilità, gruppi terroristici, strutture statali deboli, mercenari e povertà diffusa costituiscono una pericolosa combinazione e richiedono un impegno rafforzato da parte dell’UE. La stabilità nel Golfo di Guinea, nel Corno d’Africa e nel Canale del Mozambico rimane un importante imperativo di sicurezza per l’UE, anche perché si tratta di rotte commerciali chiave. Al tempo stesso in Africa osserviamo una crescente competizione geopolitica, con una maggiore presenza di attori sia globali che regionali. Alcuni di essi non esitano a ricorrere a forze irregolari in zone di instabilità, minando così gli sforzi internazionali a favore della pace e della stabilità, destabilizzando paesi e le relative economie e rendendosi complici di violazioni dei diritti umani.
Nel complesso della regione del Medio Oriente e del Golfo, i conflitti attivi e l’instabilità
persistente mettono a rischio la nostra sicurezza e i nostri interessi economici. Affrontare le sfide della non proliferazione nucleare nella regione rimane di fondamentale importanza. L’Iran è fondamentale per la sicurezza nella regione, anche se il sostegno diretto e indiretto che fornisce a mandatari politici e militari nonché la proliferazione balistica e il trasferimento di missili e di armi ad attori statali e non statali rimangono un’importante fonte di instabilità a livello regionale. Sono estremamente importanti gli sforzi tesi a ripristinare la piena attuazione del piano d’azione congiunto globale (PACG). Gli sforzi della regione tesi a contrastare l’estremismo violento rivestiranno inoltre un’importanza cruciale per la lotta globale contro i gruppi terroristici come Al Qaeda e Da’esh.
Un nuovo centro di competizione globale è emerso nella regione indo-pacifica, dove le tensioni geopolitiche mettono in pericolo l’ordine basato su regole ed esercitano pressioni sulle catene di approvvigionamento globali. L’UE ha un interesse geopolitico ed economico cruciale nella stabilità e sicurezza della regione. Tuteleremo pertanto i nostri interessi nella regione, anche facendo in modo che nel settore marittimo e in altri settori prevalga il diritto internazionale. La Cina è il secondo partner commerciale dell’UE e un partner necessario per affrontare le sfide globali. Ma si registra anche una crescente reazione di fronte al suo comportamento sempre più assertivo a livello regionale.
Altrove in Asia, l’Afghanistan continua a porre gravi problemi in materia di sicurezza per la regione e per l’Unione europea in termini di terrorismo, traffico di stupefacenti e crescenti sfide in materia di migrazione irregolare. Alcuni attori, come la Repubblica popolare democratica di Corea (RPDC), continuano a mettere in pericolo la pace e la sicurezza a livello regionale e internazionale, con armi di distruzione di massa e i relativi programmi nucleari e di missili balistici, ma anche e sempre più tramite operazioni di intelligence, attacchi informatici e campagne di disinformazione. Anche il persistere di vecchi conflitti continua a ostacolare lo sviluppo di accordi globali panregionali in materia di sicurezza.
Infine, con l’America latina condividiamo profondi legami storici e culturali, nonché un impegno a favore del multilateralismo fondato su principi e valori fondamentali comuni. Nondimeno la pandemia di COVID-19 ha messo in evidenza gli squilibri socioeconomici in diversi paesi dell’America latina, minacciandone in taluni casi la stabilità politica. La fragilità dell’America centrale e la crisi prolungata in Venezuela alimentano le divisioni regionali e contribuiscono a determinare forti pressioni migratorie, aggravando ulteriormente le sfide poste dalla criminalità organizzata legata alla droga e mettendo a repentaglio gli sforzi di pace in Colombia.
7371/22 via/md/S 11
ALLEGATO RELEX.5 IT
Minacce e sfide emergenti e transnazionali
Oltre ai conflitti e alle tensioni regionali cui si è accennato sopra, a livello globale ci troviamo anche di fronte a minacce transnazionali e a complesse dinamiche di sicurezza che hanno un impatto diretto sulla sicurezza dell’Unione.
Il terrorismo e l’estremismo violento, in tutte le loro forme e a prescindere dalla loro origine, continuano a evolvere costantemente e rappresentano una grave minaccia per la pace e la sicurezza, all’interno e all’esterno dell’UE. Nel novero figura una combinazione di terroristi endogeni, combattenti stranieri di ritorno nel paese d’origine, attentati diretti, incoraggiati o ispirati dall’estero, nonché la propagazione di ideologie e convinzioni che portano alla radicalizzazione e all’estremismo violento. In particolare, la minaccia rappresentata da Da’esh, da Al Qaeda e dai loro affiliati resta elevata e continua a minare la stabilità di varie regioni e la sicurezza dell’UE.
La proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei relativi vettori rappresenta una
minaccia persistente, come dimostrano in particolare i programmi nucleari dell’RPDC e dell’Iran, il reiterato ricorso alle armi chimiche e lo sviluppo e lo schieramento di nuovi missili balistici, da crociera e ipersonici avanzati. Sia la Russia che la Cina stanno ampliando il loro arsenale nucleare e sviluppando nuovi sistemi d’arma. La leadership russa ha fatto ricorso a minacce nucleari nel contesto della sua invasione in Ucraina. Le potenze regionali possono inoltre accedere ad armi convenzionali sofisticate che vanno dai sistemi anti-accesso/negazione d’area ai missili balistici e da crociera. Dette tendenze sono aggravate dall’erosione dell’architettura di controllo degli armamenti in Europa, che va dal trattato sulle forze armate convenzionali in Europa al trattato sulle forze nucleari a medio raggio e al trattato sui cieli aperti. Questo vuoto normativo incide direttamente sulla stabilità e sulla sicurezza dell’UE. Non può esistere tolleranza di fronte al marcato aumento dell’uso di armi chimiche. La salvaguardia della proibizione globale delle armi chimiche è una responsabilità condivisa a livello mondiale. Continueremo pertanto a sostenere in
particolare l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
Attori statali e non statali utilizzano strategie ibride, attacchi informatici, campagne di
disinformazione, ingerenze dirette nei nostri processi elettorali e politici, la coercizione economica e la strumentalizzazione dei flussi migratori irregolari. Tra i motivi di crescente preoccupazione vi è poi l’aumento di forme di uso improprio del diritto per conseguire obiettivi politici, economici e militari. I nostri concorrenti non esitano a utilizzare tecnologie emergenti e di rottura per ottenere vantaggi strategici e aumentare l’efficacia delle loro campagne ibride. Alcuni hanno approfittato delle incertezze create dalla pandemia di COVID-19 per diffondere narrazioni dannose e false.
7371/22 via/md/S 12
ALLEGATO RELEX.5 IT
Al tempo stesso l’accesso libero e sicuro ai settori strategici globali è sempre più messo in
discussione. Il ciberspazio è diventato un campo di competizione strategica, in un momento di crescente dipendenza dalle tecnologie digitali. Ci troviamo sempre più spesso ad affrontare attacchi informatici più sofisticati. È essenziale mantenere un ciberspazio aperto, libero, stabile e sicuro.
Nonostante il principio dell’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico, la competizione in questo settore ha forti implicazioni in materia di sicurezza e di difesa. Sebbene sia fondamentale per le capacità di osservazione, monitoraggio, navigazione e comunicazione, il settore dello spazio extraatmosferico è congestionato e conteso, come dimostrano i comportamenti irresponsabili dei concorrenti strategici. La sicurezza marittima nel Mar Baltico, nel Mar Nero, nel Mediterraneo e nel Mare del Nord, oltre che nelle acque dell’Artico, nell’Oceano Atlantico e nelle regioni ultraperiferiche, è importante per la sicurezza dell’UE, per il nostro sviluppo economico, per il libero scambio, i trasporti e la sicurezza energetica. Le zone marittime, i corridoi marittimi di comunicazione critici e varie strozzature marittime come anche i fondali marittimi sono sempre più contesi, dal Golfo di Aden allo stretto di Hormuz e oltre lo stretto di Malacca. È infine minacciata anche la nostra sicurezza aerea a causa di atteggiamenti sempre più aggressivi nello spazio aereo,
con un crescente ricorso a tattiche anti-accesso/negazione d’area.
Anche i cambiamenti climatici, il degrado ambientale e le catastrofi naturali avranno un impatto sul nostro panorama della sicurezza nei prossimi decenni, oltre ad essere fattori comprovati di instabilità e conflitto in tutto il mondo – dal Sahel all’Amazzonia, fino alla regione artica. La corsa alle risorse naturali come i terreni agricoli e l’acqua e lo sfruttamento delle risorse energetiche a fini politici sono esempi concreti a tale riguardo. La decarbonizzazione e la transizione verso economie più circolari e più efficienti sotto il profilo delle risorse comportano sfide specifiche in materia di sicurezza, tra cui
l’accesso alle materie prime critiche, la gestione e la sostenibilità della catena del valore, come pure i cambiamenti economici e politici causati dall’abbandono dei combustibili fossili. Anche le crisi sanitarie globali possono mettere a dura prova le società e le economie, con implicazioni geopolitiche di vasta portata. La pandemia di COVID-19 ha alimentato le rivalità internazionali e dimostrato che le perturbazioni delle principali rotte commerciali possono mettere sotto pressione le catene di approvvigionamento critiche e incidere sulla sicurezza economica.
Implicazioni strategiche per l’Unione
Tutte le sfide summenzionate sono multiformi e spesso interconnesse. È in gioco la nostra sicurezza, a livello interno come all’estero. Dobbiamo essere in grado di proteggere i nostri cittadini, difendere i nostri interessi comuni, diffondere i nostri valori e contribuire a plasmare il futuro globale, e dobbiamo essere pronti a farlo. Dobbiamo raddoppiare gli sforzi per attuare il nostro approccio integrato alla sicurezza, ai conflitti e alle crisi. Dobbiamo essere più coraggiosi nel modo in cui abbiniamo i nostri strumenti diplomatici ed economici, ivi compresi i nostri regimi di sanzioni, alle risorse civili e militari per prevenire i conflitti, rispondere alle crisi, contribuire al consolidamento della pace e sostenere i partner.
Rafforzeremo inoltre la nostra cooperazione con le iniziative europee a livello bilaterale, regionale e multilaterale in materia di sicurezza e difesa che contribuiscono alla sicurezza dell’Europa.
La solidarietà, l’unità e la nostra ambizione derivanti dalla strategia globale dell’UE del 2016 sono più che mai essenziali. Rafforzeremo la nostra capacità di contribuire alla pace e alla sicurezza del nostro continente, rispondere alle crisi e ai conflitti esterni, sviluppare le capacità dei partner e proteggere l’UE e i suoi cittadini. Sebbene dal 2016 abbiamo intensificato il nostro lavoro per rafforzare il ruolo dell’UE in materia di sicurezza e difesa, riconosciamo l’emergere di un nuovo panorama strategico che ci impone di agire con un senso di urgenza e una determinazione di gran lunga maggiori e di far prova di
solidarietà e assistenza reciproca in caso di aggressione nei confronti di uno di noi. È giunto il momento di compiere passi decisivi per garantire la nostra libertà di azione.
7371/22 via/md/S 13
ALLEGATO RELEX.5 IT
I recenti cambiamenti geopolitici ci ricordano che l’UE deve assumersi con urgenza maggiori responsabilità per la propria sicurezza agendo nel suo vicinato e oltre, con i partner ogniqualvolta possibile e da sola se necessario. La forza della nostra Unione risiede nell’unità, nella solidarietà e nella determinazione. La presente bussola strategica potenzierà l’autonomia strategica dell’UE e la sua capacità di lavorare con i partner per salvaguardare i suoi valori e interessi. Un’UE più forte e più capace in materia di sicurezza e difesa apporterà un contributo positivo alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Si tratta di due elementi interdipendenti tra loro.
Nei capitoli che seguono, la presente bussola strategica definisce il modo in cui agiremo e saremo pronti a rispondere a varie crisi e sfide. Specifica in che modo dovremmo anticipare le minacce, difendere i nostri interessi e proteggere i nostri cittadini. A tal fine dobbiamo innovare e investire in capacità di difesa tecnologicamente superiori e interoperabili e ridurre le dipendenze per quanto concerne la tecnologia e le risorse. In tutti questi sforzi dobbiamo approfondire i partenariati quando sono al servizio dei valori e degli interessi dell’UE.
2. AZIONE
Per affrontare il mondo che abbiamo davanti, dobbiamo intensificare gli sforzi per prepararci alle crisi e alle minacce e per proiettare stabilità nel nostro vicinato e oltre. La forza dell’UE nel prevenire e nell’affrontare le crisi e i conflitti esterni risiede nella sua capacità di utilizzare mezzi sia militari che civili. Dobbiamo essere in grado di agire prontamente in tutti i settori operativi: a terra, in mare e in aria, nonché nel ciberspazio e nello spazio extra-atmosferico. Per attuare efficacemente l’approccio integrato dell’UE utilizzeremo appieno e coerentemente tutte le politiche e tutti gli strumenti dell’UE disponibili, oltre a ottimizzare le sinergie e la complementarità tra sicurezza interna ed esterna, sicurezza e sviluppo nonché le dimensioni civile e militare della nostra politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC). Potenzieremo la nostra capacità di svolgere l’intera gamma di compiti civili e militari di gestione delle crisi che l’articolo 43 del trattato sull’Unione europea pone al centro della nostra PSDC.
Agire insieme
L’UE deve diventare più rapida, più abile e più efficace nella sua capacità di decidere e agire.
Questo richiede volontà politica. Posto che l’unanimità costituisce la norma del processo decisionale allorché vi sono implicazioni nel settore militare o della difesa, abbiamo bisogno di maggiore rapidità, solidità e flessibilità per svolgere l’intera gamma di compiti di gestione delle crisi.
7371/22 via/md/S 14
ALLEGATO RELEX.5 IT
Dobbiamo essere in grado di rispondere a minacce imminenti o di reagire rapidamente a una situazione di crisi al di fuori dell’Unione in tutte le fasi del ciclo di un conflitto. A tal fine svilupperemo una capacità di dispiegamento rapido dell’UE che ci consentirà di dispiegare rapidamente una forza modulare di un massimo di 5 000 militari, comprese componenti terrestri, aeree e marittime, oltre che i necessari abilitanti strategici. Una tale capacità modulare può essere impiegata in diverse fasi di un’operazione in un ambiente non permissivo, quale prima forza di intervento, rinforzo o forza di riserva per mettere in sicurezza l’uscita. Lo sviluppo di tale capacità sarà basato su scenari operativi che inizialmente si incentreranno sulle operazioni di soccorso ed evacuazione, oltre che sulla fase iniziale delle operazioni di stabilizzazione. La capacità consisterà di gruppi tattici dell’UE sostanzialmente modificati e di forze e capacità militari degli Stati membri
individuate in precedenza, conformemente al principio della “riserva unica di forze”. A tale
proposito ci impegniamo ad accrescere la prontezza e la disponibilità delle nostre forze armate. Una modifica sostanziale dei gruppi tattici dell’UE dovrebbe portare a uno strumento più robusto e flessibile, ad esempio mediante pacchetti di forze su misura comprendenti componenti terrestri, aeree e marittime, diversi livelli di prontezza operativa e periodi di allerta più lunghi. Una panoramica completa e dettagliata di tutti gli elementi disponibili ci fornirà la necessaria flessibilità per adattare la nostra forza alla natura della crisi e alle esigenze e agli obiettivi dell’operazione decisi dal Consiglio, ricorrendo ai gruppi tattici dell’UE sostanzialmente modificati, alle forze militari degli Stati membri o a una combinazione dei due elementi.
Ai fini di un dispiegamento efficace, ci impegniamo a fornire le risorse associate e i necessari abilitanti strategici, in particolare trasporto strategico, protezione delle forze, materiale medico, ciberdifesa, comunicazione satellitare e capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
Svilupperemo queste capacità ove necessario. Per il comando e il controllo utilizzeremo il nostro quartier generale del comando del livello operativo nazionale predefinito o la capacità militare di pianificazione e condotta dell’UE una volta raggiunta la piena capacità operativa. Faremo in modo che il ricorso a modalità decisionali più flessibili e un ampliamento della portata dei costi comuni (compresi i costi delle esercitazioni) contribuiscano alla rapida ed efficiente schierabilità di tale capacità. Organizzeremo formazioni ed esercitazioni nel quadro dell’UE per aumentare la prontezza e l’interoperabilità di tutti gli elementi di tale capacità (anche in linea con gli standard NATO). Ciò è fondamentale se vogliamo superare gli ostacoli che abbiamo incontrato in passato.
Più in generale dobbiamo anche puntare a una maggiore flessibilità nell’ambito del nostro processo decisionale, senza compromettere la solidarietà politica e finanziaria. Utilizzeremo pertanto il potenziale offerto dai trattati dell’UE, compresa l’astensione costruttiva. Decideremo in particolare modalità pratiche per l’attuazione dell’articolo 44 del trattato sull’Unione europea, conformemente al processo decisionale della PSDC, al fine di consentire a un gruppo di Stati membri, disposti e capaci, di pianificare e condurre una missione o un’operazione nel quadro dell’UE e sotto la supervisione politica del Consiglio.
Missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare più solide, flessibili e modulari dovrebbero consentirci sia di aumentarne l’efficacia sia di adattarci rapidamente alle nuove minacce e sfide, anche alla luce del nuovo contesto di sicurezza e della crescente presenza dei nostri concorrenti strategici nei teatri operativi. Tali missioni e operazioni dovrebbero ad esempio poter accompagnare e sostenere meglio le forze di sicurezza e di difesa dei partner nonché offrire formazione e consulenza in materia di riforme strutturali. A tal fine adatteremo ulteriormente il nostro attuale modello di missioni e operazioni militari per accrescerne l’efficacia sul campo. Valuteremo inoltre ulteriori possibilità di fornire consulenza più mirata alle organizzazioni di sicurezza e difesa dei paesi partner. Gli strumenti di comunicazione strategica dovrebbero essere ulteriormente rafforzati
al fine di sostenere meglio le nostre missioni e operazioni.
7371/22 via/md/S 15
ALLEGATO RELEX.5 IT
Attraverso un maggiore ricorso allo strumento europeo per la pace, l’UE può garantire
rapidamente un’importante assistenza ai partner, ad esempio con la fornitura di materiale militare che spesso integra la formazione da parte delle missioni PSDC. Tale obiettivo può essere conseguito anche sostenendo le capacità di difesa dei partner in tempi di crisi, come nel caso del pacchetto di assistenza per sostenere le forze armate ucraine nella difesa dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina e nella protezione della popolazione civile da un’aggressione non provocata e ingiustificata.
Gli Stati membri dell’UE forniscono inoltre, attraverso varie forme di cooperazione, importanti contributi alla difesa degli interessi dell’UE, come anche della pace e della stabilità nel mondo. Una migliore cooperazione tra queste iniziative e le azioni dell’UE dovrebbe portare a un sostegno reciproco e a una maggiore efficacia. A tale proposito, le nostre missioni e operazioni PSDC e le missioni e operazioni ad hoc a guida europea che operano nello stesso teatro o in quelli adiacenti dovrebbero rafforzarsi reciprocamente, in linea con i rispettivi mandati, attraverso il coordinamento operativo, il supporto logistico, la condivisione di intelligence e le capacità congiunte di evacuazione medica. Ciò significa sviluppare una più stretta cooperazione in teatro in questi settori, ad esempio nel Sahel, nel Corno d’Africa e nello stretto di Hormuz. L’UE potrebbe sostenere ulteriormente missioni e operazioni ad hoc a guida europea che siano al servizio degli interessi dell’UE. Tali operazioni potrebbero beneficiare del sostegno politico dell’UE e basarsi su risultati
concreti delle misure di assistenza finanziate attraverso lo strumento europeo per la pace.
Considerando che il settore marittimo si fa sempre più conteso, ci impegniamo a affermare
ulteriormente i nostri interessi in mare e a rafforzare la sicurezza marittima dell’UE e degli Stati membri, anche migliorando l’interoperabilità delle nostre forze navali attraverso esercitazioni reali e organizzando scali portuali per le navi europee. Sulla base dell’esperienza in corso nel Golfo di Guinea e nel nord-ovest dell’Oceano Indiano, estenderemo le nostre presenze marittime coordinate ad altre zone di interesse marittimo che incidono sulla sicurezza dell’UE e cercheremo di coinvolgere i partner pertinenti, ove opportuno. Inoltre consolideremo e, se del caso, svilupperemo ulteriormente le nostre due operazioni navali schierate nel Mediterraneo e al largo della Somalia – zone marittime di fondamentale interesse strategico per l’UE.
Rafforzeremo la cooperazione e il coordinamento nel settore aereo sviluppando ulteriormente la nostra capacità di intraprendere, per la prima volta, operazioni di sicurezza aerea dell’UE, compresi compiti di supporto aereo, soccorso ed evacuazione, sorveglianza e soccorso in caso di calamità.
Per agevolare l’uso coordinato dei mezzi aerei militari a sostegno delle missioni e operazioni PSDC, rafforzeremo altresì la nostra collaborazione e il nostro partenariato con le strutture e le iniziative multilaterali e dell’UE nel settore aereo, come il comando europeo di trasporto aereo.
Attraverso le nostre missioni PSDC in ambito civile offriamo un contributo essenziale allo Stato di diritto, all’amministrazione civile, al settore della polizia e alla riforma del settore della sicurezza in zone di crisi. Tali missioni sono inoltre fondamentali nella più ampia risposta dell’UE alle sfide in materia di sicurezza attraverso mezzi non militari, compresi quelli legati alla migrazione irregolare, alle minacce ibride, al terrorismo, alla criminalità organizzata, alla radicalizzazione e all’estremismo violento.
7371/22 via/md/S 16
ALLEGATO RELEX.5 IT
Il patto sulla dimensione civile della PSDC ci aiuta a sviluppare e rafforzare ulteriormente le nostre missioni civili affinché possano rispondere in modo rapido ed efficace alle minacce e alle sfide esistenti e in evoluzione – che compromettono il sistema esecutivo, giudiziario o legislativo nelle zone di crisi – e pone rimedio alle carenze critiche. Garantiremo una più rapida schierabilità delle missioni civili in linea con il patto sulla dimensione civile della PSDC. Più specificamente, saremo in grado e pronti a schierare una missione con 200 esperti civili entro 30 giorni, utilizzando appieno le attrezzature fondamentali e i servizi logistici offerti dal deposito strategico e dalla piattaforma di sostegno alla missione. Aumenteremo l’efficacia, la flessibilità e la capacità di reazione delle missioni civili, anche accelerando il nostro processo decisionale, rafforzando la pianificazione operativa, migliorando il processo di selezione e reclutamento del personale e gli strumenti inerenti alla capacità di reazione, squadre specializzate comprese. A tal fine ci baseremo
anche sulla ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Rafforzeremo ulteriormente la dimensione civile della PSDC attraverso un nuovo patto che fisserà gli obiettivi relativi al tipo, al numero e alle dimensioni delle missioni civili, gli elementi per un processo strutturato di sviluppo delle capacità civili nonché le sinergie con altri strumenti dell’UE.
Per affrontare congiuntamente le pertinenti sfide in materia di sicurezza è necessaria una maggiore cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra la PSDC e gli attori della giustizia e degli affari interni dell’UE, comprese le agenzie quali Europol, Eurojust, CEPOL e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex). Possiamo sfruttare le esperienze positive, ad esempio quelle acquisite in Libia, in Ucraina, nel Sahel e nel Corno d’Africa o grazie alla cellula sulle informazioni sui reati istituita nel quadro dell’operazione navale dell’UE nel Mediterraneo. A tal fine miriamo ad aumentare le sinergie tra gli attori della giustizia e degli affari interni e la PSDC, in linea con le priorità dell’UE. Ciò comprende la conoscenza situazionale comune, consultazioni e scambi periodici, nonché dispiegamenti sequenziali o di rinforzo (“plug-in”) su misura. Per garantire un’adeguata adesione, intensificheremo inoltre la cooperazione con gli attori nazionali nel settore della giustizia e degli affari interni, anche a livello politico.
Dobbiamo rafforzare ulteriormente in modo graduale le nostre strutture di comando e controllo civili e militari. Garantiremo che la capacità militare di pianificazione e condotta sia pienamente in grado di pianificare, controllare e comandare compiti e operazioni esecutivi e non esecutivi, nonché esercitazioni reali. In tale contesto intensificheremo i contributi in termini di personale e garantiremo di disporre dei necessari sistemi di comunicazione e informazione, come pure delle strutture necessarie. Una volta raggiunta la piena capacità operativa, la capacità militare di pianificazione e condotta dovrebbe essere considerata la struttura di comando e controllo di preferenza. Ciò non inciderà sulla nostra capacità di continuare a utilizzare i comandi operativi nazionali individuati in precedenza. Sarà inoltre rafforzata la capacità civile di pianificazione e condotta al fine di migliorare la sua capacità di pianificare, controllare e comandare missioni civili
attuali e future. La cooperazione e il coordinamento tra le strutture civili e militari saranno rafforzati attraverso la cellula comune di coordinamento del sostegno.
Manteniamo il nostro fermo impegno a promuovere e far progredire la sicurezza umana, il rispetto del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani e la conformità ad essi, come pure la protezione dei civili, compresi gli operatori umanitari, in tutte le situazioni di conflitto, nonché a sviluppare ulteriormente la politica di dovuta diligenza dell’UE al riguardo. Dobbiamo mantenerci risoluti e prevenire qualsiasi tentativo di smantellare e minare il diritto internazionale. Continueremo inoltre a contribuire alla protezione del patrimonio culturale, anche attraverso le nostre missioni e operazioni PSDC.
7371/22 via/md/S 17
ALLEGATO RELEX.5 IT
Manteniamo il nostro fermo impegno a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di donne, pace e sicurezza. Affrontare le disuguaglianze di genere e la violenza di genere è un aspetto cruciale della prevenzione e risoluzione dei conflitti nonché del rafforzamento della resilienza alle minacce alla sicurezza a livello di comunità. L’azione esterna dell’UE, comprese le missioni e le operazioni civili e militari, dovrebbe contribuire attivamente all’emancipazione delle donne, nonché a prevenire e affrontare la violenza sessuale e di genere in situazioni di conflitto e post-conflitto, sulla base dei diritti e delle diverse esigenze delle donne, degli uomini e delle ragazze e dei ragazzi.
Promuoveremo ulteriormente la parità di genere e integreremo sistematicamente una prospettiva di genere, basata sull’analisi di genere, in tutte le azioni civili e militari in ambito PSDC, anche a livello di pianificazione, ponendo l’accento anche sulla partecipazione paritaria e significativa di donne in tutte le funzioni, comprese le posizioni dirigenziali. Ci impegniamo inoltre a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di bambini e conflitti armati. L’azione esterna dell’UE svolge un ruolo essenziale nel contribuire a porre fine alle gravi violazioni nei confronti dei bambini coinvolti nei conflitti e a prevenire tali violazioni, così da spezzare i cicli di violenza, anche attraverso azioni civili e militari in ambito PSDC.
Prepararsi insieme
Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa. Continueremo a investire nella nostra assistenza reciproca, conformemente all’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea, nonché nella solidarietà, conformemente all’articolo 222 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare attraverso esercitazioni frequenti.
Per aumentare la nostra preparazione, procederemo in modo più sistematico a una pianificazione preventiva basata su scenari, potenzieremo l’allarme rapido e adatteremo gli scenari operativi che corrispondono alle minacce e alle sfide mutevoli che ci troviamo ad affrontare. Combinando l’intelligence geospaziale e tutti gli altri tipi di intelligence, la pianificazione preventiva si tradurrà in piani civili e militari di massima che saranno adattati e aggiornati in funzione dell’evolversi degli scenari. A tale riguardo, rafforzeremo la cooperazione tra i responsabili della pianificazione operativa dell’UE e nazionali.
L’Unione può essere efficace solo se dispone di personale civile e militare sufficiente e
adeguatamente formato. Dobbiamo rafforzare le nostre capacità, gli abilitanti critici e le nostre attrezzature al fine di colmare il divario tra il nostro livello di ambizione e le risorse disponibili. Al fine di realizzare le nostre ambizioni e agevolare un’equa ripartizione dei contributi alle missioni e operazioni militari, è necessario tracciare, attraverso consultazioni politiche preliminari, un quadro più trasparente e strutturato del personale civile e militare disponibile per le missioni e operazioni PSDC. Ci impegniamo a incentivare la costituzione della forza per le missioni e operazioni militari, ad esempio migliorando la trasparenza e la prevedibilità nella rotazione delle truppe e ampliando la portata dei costi comuni a titolo dello strumento europeo per la pace. Per potenziare l’efficacia delle nostre missioni senza compiti esecutivi, riconosciamo la necessità di prolungare il periodo di impiego degli alti funzionari delle missioni. Tali sforzi contribuiranno al rispetto dei pertinenti impegni assunti dagli Stati membri partecipanti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente.
7371/22 via/md/S 18
ALLEGATO RELEX.5 IT
La prontezza e l’interoperabilità sono elementi fondamentali della nostra risposta alle minacce e alla competizione strategica. Frequenti esercitazioni reali civili e militari in tutti i settori, nonché un rafforzamento della pianificazione preventiva, ci aiuteranno a migliorare sostanzialmente la nostra prontezza, a promuovere l’interoperabilità e a sostenere una cultura strategica comune. Esercitazioni reali in un quadro UE, con il progressivo coinvolgimento della capacità militare di pianificazione e condotta, definiranno in particolare la capacità di dispiegamento rapido dell’UE e, più in generale, rinsalderanno la nostra posizione, potenzieranno la nostra comunicazione strategica e rafforzeranno l’interoperabilità, anche con i partner.
L’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina ha confermato l’urgente necessità di
migliorare in modo sostanziale la mobilità militare delle nostre forze armate all’interno e
all’esterno dell’Unione. Rafforzeremo le infrastrutture di trasporto a duplice uso in tutta la rete transeuropea dei trasporti al fine di promuovere la circolazione rapida e fluida del personale militare, del materiale e delle attrezzature per dispiegamenti operativi ed esercitazioni, operando in stretta cooperazione con la NATO e altri partner. Concorderemo nuovi impegni per accelerare e armonizzare le procedure transfrontaliere, individuare modalità per sostenere movimenti su larga scala con breve preavviso, investire nella digitalizzazione delle nostre forze armate e sviluppare capacità all’avanguardia ed efficienti sotto il profilo energetico che ci rendano in grado di reagire rapidamente e di operare in ambienti non permissivi, tenendo conto dei requisiti costituzionali di alcuni Stati membri. Collegheremo inoltre i lavori in materia di mobilità militare a esercitazioni di simulazione e reali delle forze armate degli Stati membri.
7371/22 via/md/S 19
ALLEGATO RELEX.5 IT
Obiettivi
Puntiamo a diventare un attore più assertivo nel settore della sicurezza e della difesa consentendo azioni più solide, rapide e decisive, anche per la resilienza dell’Unione e la nostra reciproca assistenza e solidarietà. La pianificazione preventiva sarà la norma e le attuali strutture di comando e controllo saranno migliorate. Saremo meglio preparati attraverso esercitazioni reali e un approccio più integrato alle crisi.
Azione
• Entro il 2025 sarà pienamente operativa una capacità di dispiegamento rapido dell’UE
in grado di permettere il rapido dispiegamento di una forza modulare di un massimo di
5 000 militari in ambiente non permissivo. A tal fine concorderemo scenari operativi nel
2022. A partire dal 2023 esercitazioni reali periodiche contribuiranno alla prontezza e
all’interoperabilità.
• Entro il 2023 decideremo modalità pratiche per l’attuazione dell’articolo 44 del trattato
sull’Unione europea, al fine di consentire a un gruppo di Stati membri, disposti e capaci,
di pianificare e condurre una missione o un’operazione nel quadro dell’UE e sotto la
supervisione politica del Consiglio.
• Entro il 2025 la capacità militare di pianificazione e condotta sarà in grado di
pianificare e condurre tutte le missioni militari senza compiti esecutivi e due operazioni
esecutive su piccola scala o una operazione esecutiva su media scala, come pure
esercitazioni reali. Come tappa successiva, una volta raggiunto tale obiettivo, lavoreremo
inoltre per estendere la nostra capacità di pianificazione e condotta di ulteriori missioni
senza compiti esecutivi e operazioni esecutive.
• Rafforzeremo ulteriormente le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e
militare. Come primo passo, entro il primo semestre del 2022 adatteremo ulteriormente
l’attuale modello di missioni militari per accrescerne l’efficacia sul campo. Esamineremo
inoltre le modalità per rafforzare le nostre due operazioni navali. Nel contempo,
vaglieremo ulteriori possibilità di fornire consulenza mirata alle organizzazioni di
sicurezza e difesa dei paesi partner.
• Rafforzeremo il sostegno reciproco tra le missioni e operazioni PSDC e le missioni e
operazioni ad hoc a guida europea, in linea con i rispettivi mandati. Entro la fine
del 2022, come primo passo, stabiliremo collegamenti in teatro, ad esempio tra
l’EUNAVFOR Atalanta e la missione europea di conoscenza della situazione marittima
nello stretto di Hormuz, nonché nel Sahel.
• Facendo tesoro dell’esperienza del concetto delle presenze marittime coordinate nel
Golfo di Guinea e la sua estensione al nord-ovest dell’Oceano Indiano, a partire dalla
seconda metà del 2022 prenderemo in considerazione altre zone marittime di interesse.
• Entro il 2023 concorderemo un concetto militare per le operazioni di sicurezza aerea,
compresi compiti di supporto aereo, soccorso ed evacuazione, sorveglianza e soccorso in
caso di calamità.
7371/22 via/md/S 20
ALLEGATO RELEX.5 IT
• Entro il primo semestre del 2023 adotteremo un nuovo patto sulla dimensione civile
della PSDC che accrescerà ulteriormente l’efficacia delle nostre missioni e contribuirà a
sviluppare le necessarie capacità civili. Inoltre, potenzieremo ancora la cooperazione tra i
pertinenti attori dell’UE e degli Stati membri nel settore della giustizia e degli affari interni
e la PSDC. Saremo in grado di schierare una missione civile PSDC composta da 200
esperti pienamente equipaggiati entro 30 giorni, anche in ambienti complessi.
• Integreremo sistematicamente una prospettiva di diritti umani e di genere in tutte le
azioni civili e militari in ambito PSDC e aumenteremo il numero di donne in tutte le
funzioni, comprese le posizioni dirigenziali. Entro il 2023 rafforzeremo la nostra rete di
consulenti in materia di diritti umani e di genere nelle nostre missioni e operazioni PSDC.
Preparazione
• Continueremo a condurre esercitazioni periodiche per rafforzare ulteriormente la nostra
assistenza reciproca in caso di aggressione armata, conformemente all’articolo 42,
paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea. Saranno incluse esercitazioni periodiche di
cibersicurezza a partire dal 2022.
• A partire dal 2023 organizzeremo esercitazioni reali periodiche in tutti i settori, con il
progressivo coinvolgimento della capacità militare di pianificazione e condotta. Tali
esercitazioni combineranno anche elementi civili e militari della PSDC.
• Entro il 2022 concorderemo un registro del ciclo di rotazione delle truppe per le
missioni e operazioni PSDC in ambito militare e rafforzeremo l’individuazione politica
tempestiva delle forze per le missioni e operazioni PSDC in ambito sia civile che militare.
• Entro il 2023, anche alla luce delle proposte relative alla capacità di dispiegamento rapido
dell’UE, rivaluteremo la portata e la definizione dei costi comuni per rafforzare la
solidarietà e stimolare la partecipazione alle missioni e operazioni militari, come pure i
costi connessi alle esercitazioni.
• Entro la fine del 2022 assumeremo nuovi impegni con l’obiettivo di rafforzare in modo
sostanziale la mobilità militare, anche in termini di investimenti nella stessa, e
concorderemo un piano d’azione ambizioso e riveduto, che comprenderà nuove azioni in
settori quali la digitalizzazione, il rafforzamento della ciberresilienza delle infrastrutture di
trasporto e dei relativi sistemi di supporto, nonché l’uso dell’intelligenza artificiale e del
trasporto aereo e marittimo per migliorare la mobilità militare all’interno e all’esterno
dell’UE. Per il futuro aumenteremo e sfrutteremo ulteriormente gli investimenti a favore
della mobilità militare1
.
o Accelereremo immediatamente l’attuazione dei progetti di infrastrutture di trasporto a
duplice uso, anche anticipando il bilancio per la mobilità militare nel quadro del piano
d’azione sulla mobilità militare e del meccanismo per collegare l’Europa.
o Entro la fine del 2022 avvieremo un’analisi della capacità delle infrastrutture di
trasporto dell’UE di sostenere movimenti su larga scala con breve preavviso.
o Entro il 2025 completeremo il miglioramento e l’armonizzazione delle procedure
transfrontaliere.

1 Ciò lascia impregiudicato il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE.
7371/22 via/md/S 21
ALLEGATO RELEX.5 IT
3. SICUREZZA
Dobbiamo prepararci al meglio alle sfide che emergono repentinamente. I nostri concorrenti strategici ci stanno colpendo con un’ampia gamma di strumenti e stanno mettendo alla prova la nostra resilienza con l’obiettivo di ridurre la nostra sicurezza e compromettere attivamente il nostro accesso sicuro ai settori marittimo, aereo, informatico e spaziale. Sempre più spesso dobbiamo affrontare minacce di natura ibrida. Inoltre, le minacce transnazionali quali il terrorismo e la proliferazione delle armi continuano a rappresentare una sfida costante. Dobbiamo rafforzare in modo significativo la nostra resilienza anticipando, individuando e rispondendo meglio a tali minacce. La revisione regolare e strutturata della nostra analisi della minaccia sarà utile a tale riguardo, ma non è che un elemento.
Rafforzare l’allarme rapido, il quadro di intelligence e la sicurezza delle comunicazioni
Investiremo di più in analisi condivise per aumentare la nostra conoscenza situazionale e la nostra previsione strategica, basandoci sul nostro sistema di allarme rapido e sul meccanismo di analisi delle prospettive. Rafforzeremo la nostra conoscenza situazionale basata sull’intelligence e le pertinenti capacità dell’UE, in particolare nel quadro della capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE, nonché del Centro satellitare dell’UE. Questo ci avvicinerà inoltre a una cultura strategica comune e contribuirà alla credibilità dell’UE in quanto attore strategico.
Dobbiamo mantenere la nostra eccellenza nel garantire un processo decisionale autonomo dell’UE, anche sulla base dei dati geospaziali. Rafforzeremo il ruolo della capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE quale punto di accesso unico per i contributi in materia di intelligence strategica dei servizi civili e militari di intelligence e di sicurezza degli Stati membri. Ciò faciliterà lo scambio di intelligence strategica per rispondere meglio alle sfide che ci troviamo ad affrontare e fornirà servizi migliori ai decisori nell’insieme delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri.
Poiché le sue istituzioni sono oggetto di un numero crescente di attacchi informatici o di tentativi di intrusione nei loro sistemi, l’UE deve rafforzare la protezione delle sue informazioni, delle sue risorse e dei suoi processi più critici e fare in modo di poter contare su informazioni solide e affidabili e su sistemi di comunicazione europei adeguati. Un quadro di intelligence rafforzato richiederà una maggiore sicurezza delle comunicazioni. A tal fine, razionalizzeremo le regole e le regolamentazioni in materia di sicurezza e rafforzeremo l’approccio comune degli Stati membri e delle istituzioni, degli organi e delle agenzie dell’UE, nonché delle missioni e operazioni PSDC, in materia di protezione delle informazioni, delle infrastrutture e dei sistemi di comunicazione. Ciò richiederà investimenti in infrastrutture, competenze e attrezzature tecniche europee all’avanguardia.
Sulla base della strategia dell’UE per la cibersicurezza, invitiamo le istituzioni, le agenzie e gli organi dell’UE ad adottare norme e regole supplementari in materia di sicurezza delle informazioni e cibersicurezza, nonché in merito alla protezione delle informazioni classificate dell’UE e delle informazioni sensibili non classificate, in modo da facilitare scambi sicuri con gli Stati membri.
7371/22 via/md/S 22
ALLEGATO RELEX.5 IT
Minacce ibride, diplomazia informatica e manipolazione delle informazioni e ingerenze da
parte di attori stranieri
Potenzieremo in modo sostanziale la nostra resilienza e la nostra capacità di contrastare le minacce ibride, gli attacchi informatici e la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri. Gli attori statali e non statali stranieri perfezionano costantemente e in tal modo rafforzano le loro tattiche, tecniche e procedure, come la strumentalizzazione della migrazione irregolare, la pratica del “lawfare” (uso del diritto
come arma strategica) e la coercizione a danno della nostra sicurezza economica ed energetica. Un’ampia gamma di strumenti dell’UE esistenti ed, eventualmente, nuovi saranno pertanto riuniti in un più ampio pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride. Tale pacchetto di strumenti dovrebbe fornire un quadro per una risposta coordinata alle campagne ibride che interessano l’UE e i suoi Stati membri e dovrebbe comprendere, ad esempio, misure preventive, di cooperazione, di stabilizzazione, restrittive e di recupero, nonché rafforzare la solidarietà e l’assistenza reciproca. Gli Stati membri possono proporre l’attribuzione coordinata di attività ibride, riconoscendo che l’attribuzione è una prerogativa nazionale sovrana. La nostra risposta richiede la piena mobilitazione, se del caso, di tutti gli strumenti civili e militari pertinenti, basati su politiche esterne e interne. Deve inoltre basarsi su una comprensione e una valutazione comuni di tali minacce.
Rafforzeremo pertanto la nostra capacità di individuare, identificare e analizzare tali minacce e la loro fonte. A tale riguardo, la capacità unica di analisi dell’intelligence (SIAC), in particolare la cellula per l’analisi delle minacce ibride, fornirà previsione e conoscenza situazionale. Nell’ambito di questo più ampio pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride, dobbiamo rafforzare la nostra resilienza sociale ed economica,
proteggere le infrastrutture critiche come pure le nostre democrazie e i processi elettorali dell’UE e nazionali.
Istituiremo anche gruppi di risposta rapida dell’UE alle minacce ibride, che siano adattabili alla minaccia e si avvalgano delle pertinenti competenze settoriali civili e militari a livello nazionale e dell’UE, per sostenere gli Stati membri, le missioni e le operazioni PSDC e i paesi partner nel contrastare le minacce ibride. Garantiremo sinergie ed esploreremo ulteriori possibilità di cooperazione in materia di lotta contro le minacce ibride con la
NATO.
Dobbiamo anche essere in grado di rispondere in modo rapido e deciso agli attacchi informatici, come le attività informatiche malevole sostenute da Stati che prendono di mira infrastrutture critiche e gli attacchi ransomware. A tal fine, rafforzeremo la nostra capacità di individuare e analizzare gli attacchi informatici in modo coordinato. Rafforzeremo il pacchetto di strumenti della diplomazia informatica dell’UE e ci avvarremo appieno di tutti i suoi strumenti, comprese misure preventive e sanzioni nei confronti di attori esterni
per attività informatiche malevole contro l’Unione e i suoi Stati membri. Contribuiremo all’unità congiunta per il ciberspazio dell’UE al fine di potenziare la conoscenza situazionale comune e la cooperazione fra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri.
Risponderemo con fermezza alla manipolazione delle informazioni e alle ingerenze da parte di attori stranieri, come abbiamo fatto attraverso la nostra azione decisa e coordinata contro la campagna di disinformazione della Russia nel contesto della sua aggressione militare nei confronti dell’Ucraina. Continueremo ad agire in tal senso, in piena coerenza con le politiche interne dell’UE, creando una comune comprensione della minaccia e
sviluppando ulteriormente una serie di strumenti per individuarla, analizzarla e affrontarla efficacemente e imporre costi ai responsabili di tali attività. Per rafforzare la nostra resilienza sociale, rafforzeremo anche l’accesso a informazioni credibili e media liberi e indipendenti in tutta l’Unione. A tal fine, come richiesto nel piano d’azione per la democrazia europea, svilupperemo il pacchetto di strumenti dell’UE per affrontare e
contrastare la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, anche nel quadro delle nostre missioni e operazioni PSDC. Ciò rafforzerà le nostre opzioni di risposta, le nostre capacità di resilienza e la nostra cooperazione, sia all’interno dell’UE che a sostegno dei paesi partner, e migliorerà la conoscenza situazionale attraverso il sistema di allerta rapida. Porteremo inoltre avanti il meccanismo operativo congiunto sui processi elettorali e l’eventuale designazione delle infrastrutture elettorali come infrastrutture critiche. Continueremo a collaborare con i partner che condividono gli stessi principi, come la NATO, il G7, nonché la società civile e il settore privato e intensificheremo gli sforzi nel quadro delle Nazioni Unite.
7371/22 via/md/S 23
ALLEGATO RELEX.5 IT
Assicurare il nostro accesso ai settori strategici
Definiremo ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per individuare e scoraggiare gli attacchi informatici nonché proteggerci e difenderci da questi ultimi. Tale politica darà impulso alla ricerca e all’innovazione, stimolerà la base industriale dell’UE e promuoverà l’istruzione e la formazione per fare in modo che siamo pronti ad agire. Aumenterà la cooperazione tra gli attori della ciberdifesa dell’UE e degli Stati membri e svilupperà meccanismi di mobilitazione delle capacità a livello dell’UE, anche nel contesto delle missioni e operazioni PSDC. Rafforzerà inoltre la cooperazione con partner che
condividono gli stessi principi nel settore della ciberdifesa, in particolare con la NATO. Una nuova normativa europea sulla ciberresilienza rafforzerà il nostro approccio comune in materia di infrastrutture informatiche e di norme concernenti il settore informatico. Lavoreremo per la creazione di un’infrastruttura europea di centri operativi di sicurezza.
In linea con la strategia dell’UE per la cibersicurezza del 2020, svilupperemo la posizione in materia di deterrenza informatica dell’Unione migliorando la nostra capacità di prevenire gli attacchi informatici attraverso lo sviluppo e il potenziamento delle capacità, la formazione, le esercitazioni, un’accresciuta resilienza, e reagendo con fermezza agli attacchi informatici contro l’Unione, le sue istituzioni e i suoi Stati membri mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione dell’UE. Manifesteremo ulteriormente la
nostra determinazione a fornire risposte immediate e a lungo termine agli autori delle minacce che cercano di negare all’UE e ai suoi partner un accesso sicuro e aperto al ciberspazio. Sosterremo i nostri partner nel rafforzamento della loro ciberresilienza e, in caso di crisi informatiche, invieremo esperti dell’UE e degli Stati membri per offrire assistenza. Attraverso esercitazioni periodiche nel settore informatico contribuiremo ad aumentare ulteriormente la solidarietà e l’assistenza reciproca. Rafforzeremo le nostre
capacità di intelligence informatica per accrescere la nostra ciberresilienza, fornendo anche un sostegno efficace alle nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare, come pure alle nostre forze armate. Aumenteremo l’interoperabilità e la condivisione di informazioni attraverso la cooperazione tra squadre di pronto intervento informatico militari (MilCERT), come anche nello svolgimento di operazioni informatiche difensive. Riconosciamo che il potenziamento della nostra cibersicurezza è un modo per
aumentare l’efficacia e la sicurezza dei nostri sforzi a terra, nell’aria, in mare e nello spazio extraatmosferico.
La nostra libertà d’azione dipende da un accesso sicuro, protetto e autonomo al settore spaziale.
Dobbiamo essere preparati a un ambiente spaziale più competitivo e conteso. A causa della nostra crescente dipendenza dai sistemi e dai servizi spaziali, siamo più vulnerabili di fronte a comportamenti irresponsabili e minacciosi dei concorrenti strategici. Anche la crescente quantità di oggetti in orbita e di detriti spaziali aumenta i rischi e le tensioni. Il programma spaziale dell’UE e altre infrastrutture spaziali dell’Unione e dei suoi Stati membri contribuiscono alla nostra resilienza e offrono servizi chiave che sostituiscono o integrano le infrastrutture terrestri per l’osservazione della Terra, la navigazione satellitare o le telecomunicazioni. I sistemi spaziali dell’UE dovrebbero offrire connettività globale agli attori della sicurezza e della difesa. A tal fine lavoreremo alla proposta relativa a un sistema di comunicazione sicuro globale dell’UE basato sulla tecnologia spaziale, anche attraverso il programma di connettività sicura dell’Unione per il periodo 2023-2027.
Riconoscendo che le risorse spaziali dell’UE sono sotto controllo civile e prendendo atto dell’importanza del programma spaziale dell’UE, urge integrare l’attuale strategia spaziale e rafforzare le dimensioni di sicurezza e difesa dell’Unione nello spazio. Una nuova strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa ci aiuterà a definire una comprensione comune dei rischi e delle minacce inerenti allo spazio e a elaborare risposte e capacità adeguate per reagire meglio e più rapidamente alle crisi, a rafforzare la nostra resilienza e a sfruttare appieno i vantaggi e le opportunità attinenti al settore spaziale. Tale strategia dovrebbe includere, ad esempio, le dimensioni politica, operativa, diplomatica e di governance.
7371/22 via/md/S 24
ALLEGATO RELEX.5 IT
Continueremo a investire nella conoscenza dell’ambiente spaziale per comprendere meglio e ridurre i rischi, le minacce e le vulnerabilità spaziali. Rafforzeremo l’innovazione a duplice uso e investiremo nello sviluppo di capacità affinché l’Europa possa beneficiare di un accesso autonomo allo spazio. Proteggeremo le catene di approvvigionamento nel settore spaziale e investiremo nelle tecnologie spaziali critiche in coordinamento con l’Agenzia europea per la difesa e l’Agenzia spaziale europea. Rafforzeremo inoltre la resilienza delle catene di approvvigionamento europee correlate per garantire l’integrità, la sicurezza e il funzionamento delle infrastrutture spaziali.
Collaboreremo strettamente con i partner per ridurre le minacce, in linea con gli sforzi in corso in seno alle Nazioni Unite per lo sviluppo di norme, regole e principi di comportamento responsabile nello spazio extra-atmosferico. Lavoreremo a un approccio comune dell’UE per la gestione del traffico spaziale. sulla base della comunicazione congiunta della Commissione e dell’alto rappresentante. Condurremo esercitazioni per testare la resilienza delle nostre risorse spaziali e individueremo i mezzi necessari per affrontare le vulnerabilità, al fine di reagire con rapidità e fermezza alle minacce inerenti allo spazio in caso di emergenza o crisi. Una volta convalidato il meccanismo di risposta alle minacce nel quadro di Galileo, lo estenderemo ad altre componenti del programma spaziale dell’UE. Puntiamo inoltre a rafforzare ulteriormente la solidarietà, l’assistenza
reciproca e la risposta alle crisi in caso di attacchi provenienti dallo spazio o di minacce alle risorse spaziali, anche attraverso esercitazioni.
Il settore aereo è fondamentale per garantire la sicurezza dei nostri territori e delle nostre
popolazioni, nonché per il commercio e i viaggi internazionali. Attori statali e non statali pongono sfide alla nostra sicurezza, sul territorio dell’UE e all’esterno di esso, ad esempio dirottando aerei civili e attraverso l’uso crescente di droni e nuove tecnologie. Capacità militari avanzate come i velivoli senza equipaggio, i sistemi di difesa aerea a medio e lungo raggio e gli aeromobili moderni proliferano in tutto il mondo e mettono sempre più in discussione l’uso sicuro e senza restrizioni dello spazio aereo. L’accesso libero e sicuro allo spazio aereo è messo in discussione anche dalle strategie anti-accesso/negazione d’area dei nostri concorrenti, in particolare nel nostro vicinato. In stretta cooperazione con le pertinenti parti interessate dell’aviazione civile e con la NATO, porteremo avanti una riflessione strategica per preservare il nostro accesso incontestato allo spazio aereo.
Sulla base di un aggiornamento della strategia per la sicurezza marittima dell’UE e del relativo piano di azione, investiremo ulteriormente nella nostra sicurezza marittima e presenza globale, garantendo in tal modo il libero accesso all’alto mare e ai corridoi marittimi di comunicazione, nonché il rispetto del diritto internazionale del mare. Gli atti illeciti provocatori in mare, attività criminose come la pirateria, i traffici illegali, le controversie sulle zone marittime e le pretese eccessive, il diniego di accesso e le minacce ibride sono tutti elementi che minano la nostra sicurezza marittima. Al fine di proteggere i nostri interessi marittimi e le nostre infrastrutture marittime critiche, compresi i nostri fondali, potenzieremo la nostra capacità di raccogliere e fornire informazioni e intelligence accurate per rafforzare la conoscenza situazionale, anche attraverso la condivisione di informazioni tra attori civili e militari. A questo scopo continueremo a sviluppare soluzioni operative, tecnologiche e di capacità congiunte anche sfruttando al meglio il quadro della
cooperazione strutturata permanente. Svilupperemo ulteriormente il meccanismo delle presenze marittime coordinate e rafforzeremo le interazioni e il coordinamento tra le nostre operazioni navali in ambito PSDC e gli attori pertinenti. Per migliorare la prontezza e la resilienza nel settore marittimo, organizzeremo esercitazioni navali periodiche per le marine e le guardie costiere degli Stati membri. Sfrutteremo inoltre appieno la nostra politica di partenariato nel settore marittimo, ad esempio mediante scali portuali, formazioni ed esercitazioni nonché mediante lo sviluppo di capacità.
7371/22 via/md/S 25
ALLEGATO RELEX.5 IT
Lotta al terrorismo
Rafforzeremo la nostra risposta per prevenire e contrastare il terrorismo più efficacemente.
Utilizzando i nostri strumenti PSDC e altri strumenti, sosterremo i paesi partner, anche attraverso l’impegno diplomatico e il dialogo politico, gli sforzi di stabilizzazione, i programmi di prevenzione e contrasto dell’estremismo violento e la cooperazione nel settore dello Stato di diritto, promuovendo nel contempo il pieno rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.
Intensificheremo il dialogo con i partner strategici, fra cui le Nazioni Unite e altri consessi
multilaterali, quali il Forum globale antiterrorismo e la coalizione internazionale per combattere il Da’esh. Affronteremo inoltre i nuovi sviluppi, come l’uso delle nuove tecnologie per il finanziamento del terrorismo e la diffusione di contenuti terroristici online. Rafforzeremo ulteriormente la nostra rete di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE.
Promuovere il disarmo, la non proliferazione e il controllo degli armamenti
Appoggeremo, sosterremo e promuoveremo ulteriormente il quadro in materia di disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. Continueremo a sostenere la centralità del trattato di non proliferazione delle armi nucleari e sottolineiamo la necessità di attuare tutti gli obblighi in esso previsti, nonché gli impegni assunti durante le precedenti conferenze di revisione, compresa la necessità di compiere progressi concreti verso la piena attuazione dell’articolo VI, al fine ultimo di conseguire la completa eliminazione delle armi nucleari. Puntiamo con determinazione a un mondo più sicuro per tutti, conformemente agli obiettivi del trattato, in modo da promuovere la stabilità, la pace e la sicurezza internazionali. Dobbiamo incrementare le nostre capacità di controllo dei trasferimenti intangibili, comprese, ove necessario, le conoscenze scientifiche, il che comporta anche la protezione e il rafforzamento dei regimi vigenti di controllo delle esportazioni. Di fronte
alle nuove sfide che emergono dalle nuove tecnologie, l’UE mantiene il suo impegno a preservare l’architettura in materia di disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. A tale riguardo è essenziale anche un approccio coordinato con i partner.
Per quanto concerne il controllo degli armamenti, l’UE e i suoi Stati membri intensificheranno gli scambi e gli sforzi su possibili soluzioni al riguardo, tenendo conto dei propri interessi in materia di sicurezza e in stretto coordinamento con i partner, in particolare gli Stati Uniti e la NATO.
Proseguiremo i lavori su tale questione. Continueremo a chiedere la riduzione degli arsenali da parte degli Stati che detengono gli arsenali nucleari più consistenti, attraverso la conclusione di accordi che facciano seguito al nuovo START, comprese le armi nucleari dispiegate, strategiche e non strategiche, e ulteriori discussioni sulle misure di rafforzamento della fiducia, la verifica, la trasparenza delle dottrine nucleari e misure strategiche di riduzione dei rischi.
7371/22 via/md/S 26
ALLEGATO RELEX.5 IT
Rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici, alle catastrofi e alle emergenze
I cambiamenti climatici e il degrado ambientale non sono solo minacce di per sé, ma
costituiscono anche fattori di moltiplicazione dei rischi. Il riscaldamento globale provoca fenomeni meteorologici e catastrofi naturali più frequenti ed estremi, oltre al degrado degli ecosistemi in tutto il mondo, che aumentano la vulnerabilità e l’esposizione. Tutto ciò va ad aggiungersi al rischio di instabilità sociale, economica e politica e di conflitti nei paesi fragili. I cambiamenti climatici e il degrado ambientale incidono sulle principali infrastrutture energetiche, sulle attività agricole e sulla scarsità di risorse naturali, aggravando le disuguaglianze sociali esistenti ed esponendo le comunità vulnerabili a nuovi tipi di rischi. Ciò ha pertanto implicazioni dirette anche per la nostra sicurezza e
la nostra difesa. La transizione verso economie climaticamente neutre può avere ripercussioni sociali, economiche e politiche suscettibili di aggravare situazioni a rischio di conflitto. Stiamo valutando ulteriormente i vari effetti dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale sulla sicurezza globale e regionale, nonché sulle nostre forze armate e le nostre missioni e operazioni PSDC. Adegueremo il settore della sicurezza e della difesa dell’Unione e i nostri impegni in ambito PSDC e incrementeremo l’efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse, anche per quanto riguarda l’impronta ambientale delle nostre missioni e operazioni PSDC, in linea con l’obiettivo dell’Unione di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 nell’ambito del Green Deal europeo, senza ridurre l’efficacia operativa. A tal fine, rafforzeremo il ruolo della tecnologia verde e della digitalizzazione sostenibile nell’ambito delle forze armate e, più in generale, nel settore della difesa.
Integreremo inoltre le considerazioni inerenti ai cambiamenti climatici e all’ambiente in tutte le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare. Rafforzeremo ulteriormente le nostre capacità di analisi e i nostri sistemi di allarme rapido con riguardo alle sfide specifiche in materia di sicurezza derivanti dai cambiamenti climatici e dalla transizione globale verso un’economia circolare, climaticamente neutra ed efficiente sotto il profilo delle risorse.
È essenziale adottare un approccio integrato per rispondere alle grandi crisi. La pandemia di COVID-19 così come la crisi in Afghanistan hanno messo in luce l’importanza di sviluppare una maggiore capacità di soccorso ed evacuazione dei nostri cittadini allorché questi ultimi si trovano in pericolo al di là delle nostre frontiere. Detti eventi hanno inoltre evidenziato il ruolo importante che le forze armate possono svolgere in situazioni di crisi complesse. Gli attori militari degli Stati membri possono mobilitare risorse significative a sostegno degli attori civili coinvolti nella risposta alle catastrofi in settori quali il supporto logistico, medico e di sicurezza e le infrastrutture. Partendo dalle strutture esistenti dello Stato maggiore dell’UE, come la cellula UE di pianificazione dei movimenti, e dai meccanismi della Commissione per l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di
calamità, miglioreremo le capacità di assistenza militare nonché l’efficacia del coordinamento tra autorità civili e militari a livello nazionale e dell’Unione. Ciò garantirà che, in ultima istanza, gli attori militari siano pronti ad assistere le autorità civili in caso di future emergenze e catastrofi. Lo Stato maggiore dell’UE può inoltre contribuire al coordinamento del sostegno e dell’assistenza logistici agli Stati membri e ai paesi terzi in situazioni di crisi, nonché all’attuazione di strumenti dell’UE quali lo strumento europeo per la pace o, su richiesta degli Stati membri, la clausola di assistenza reciproca, in linea con il trattato sull’Unione europea. I meccanismi di risposta alle crisi del SEAE, la nostra assistenza consolare e la sicurezza sul campo saranno inoltre riesaminati e rafforzati per meglio assistere gli Stati membri negli sforzi volti a proteggere e soccorrere i loro
cittadini all’estero, nonché per aiutare le delegazioni dell’UE in caso di necessità di evacuazione del personale. Lavorando con il meccanismo unionale di protezione civile, sosterremo gli sforzi di soccorso civile in caso di calamità; dobbiamo inoltre garantire di essere in grado di evacuare in sicurezza i nostri cittadini dai luoghi colpiti da catastrofi naturali e provocate dall’uomo. In tale contesto potenzieremo altresì il coordinamento con le Nazioni Unite e la NATO.
7371/22 via/md/S 27
ALLEGATO RELEX.5 IT
Obiettivi Dobbiamo prepararci al meglio alle sfide che emergono repentinamente. Rafforzeremo in modo sostanziale la nostra resilienza. Riuniremo i nostri strumenti per contrastare meglio le minacce ibride sviluppando un pacchetto di strumenti contro le minacce ibride. Ciò significa anche consolidare la nostra ciberdifesa e la nostra cibersicurezza, come pure potenziare la nostra capacità di dissuasione e contrasto della manipolazione delle informazioni e delle ingerenze da parte di attori stranieri. In aggiunta, dobbiamo essere in grado di garantire il nostro accesso e la nostra presenza nell’alto mare, nello spazio aereo e nello spazio extra-atmosferico. Puntiamo ad aumentare ulteriormente la nostra resilienza ai rischi legati al clima e alle catastrofi naturali e provocate dall’uomo, adoperandoci nel contempo per una presenza dell’UE sul campo che sia climaticamente neutra. Rafforzeremo inoltre la capacità di soccorso ed evacuazione dei nostri
cittadini allorché questi ultimi si trovano in pericolo al di là delle nostre frontiere. Tutti questi sforzi contribuiscono a rafforzare la nostra solidarietà e la nostra assistenza reciproca.
Intelligence e comunicazioni sicure
• Entro la fine del 2022 la capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE riesaminerà
l’analisi della minaccia a livello dell’UE in stretta collaborazione con i servizi di
intelligence degli Stati membri. Questi riesami periodici e strutturati saranno effettuati
almeno ogni tre anni o prima se l’evoluzione del contesto strategico e di sicurezza lo
richiede.
• Entro il 2025 rafforzeremo la nostra capacità unica di analisi dell’intelligence
potenziando le risorse e le capacità. Entro il 2025 rafforzeremo anche il Centro
satellitare dell’UE per potenziare la nostra capacità autonoma di intelligence geospaziale.
• Per facilitare lo scambio di informazioni, comprese le informazioni classificate, invitiamo
le istituzioni, le agenzie e gli organi dell’UE ad adottare nel 2022 norme e regole
supplementari per garantire la cibersicurezza e la sicurezza delle informazioni.
Minacce ibride, diplomazia informatica e manipolazione delle informazioni e ingerenze da
parte di attori stranieri
• Nel 2022 svilupperemo il nostro pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce
ibride, che dovrebbe fornire un quadro per una risposta coordinata alle campagne ibride
che interessano l’UE e i suoi Stati membri, comprese ad esempio misure preventive, di
cooperazione, di stabilizzazione, restrittive e di recupero, nonché sostenere la solidarietà e
l’assistenza reciproca. Riunirà gli strumenti esistenti ed eventuali nuovi strumenti,
compresa la creazione di gruppi di risposta rapida dell’UE alle minacce ibride per
sostenere gli Stati membri, le missioni e operazioni PSDC e i paesi partner nel contrastare
tali minacce. Sulla scorta delle basi di riferimento settoriali dell’UE in materia di
resilienza contro le minacce ibride come pure dell’attuale situazione della sicurezza,
individueremo le lacune, le esigenze e le misure per affrontarle. Sarà inoltre riesaminato il
manuale tattico dell’UE per contrastare le minacce ibride.
• Nel 2022 rafforzeremo ulteriormente il pacchetto di strumenti della diplomazia
informatica, in particolare valutando ulteriori misure di risposta.
7371/22 via/md/S 28
ALLEGATO RELEX.5 IT
• Nel 2022 svilupperemo un pacchetto di strumenti contro la manipolazione delle
informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, rafforzando così la nostra
capacità di individuare, analizzare e rispondere alla minaccia, anche imponendo costi ai
responsabili di tali attività. Miglioreremo ulteriormente le capacità dell’UE in materia di
comunicazione strategica e contrasto della disinformazione. Entro il 2023 creeremo un
meccanismo appropriato per raccogliere sistematicamente i dati sugli incidenti occorsi,
facilitato da un apposito spazio di dati, al fine di definire una comune comprensione della
manipolazione delle informazioni e delle ingerenze da parte di attori stranieri. Entro il
2024 la totalità delle missioni e operazioni PSDC sarà dotata di tutte le capacità e risorse
necessarie per mobilitare gli strumenti pertinenti di questo pacchetto.
Settori strategici
• Nel 2022 definiremo ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per
individuare e scoraggiare gli attacchi informatici nonché proteggerci e difenderci da questi
ultimi. Nel 2022 verrà proposta una nuova normativa europea sulla ciberresilienza e
proseguiranno i lavori sull’unità congiunta per il ciberspazio.
• Entro la fine del 2023 adotteremo una strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la
difesa. Cominceremo con la convalida, entro la fine del 2022, del meccanismo di risposta
alle minacce nel quadro di Galileo, che poi estenderemo ad altre componenti del
programma. Entro la fine del 2022 esploreremo la possibilità di ricorrere a meccanismi di
solidarietà, di assistenza reciproca e di risposta alle crisi in caso di attacchi provenienti
dallo spazio o di minacce per le risorse spaziali. A tal fine procederemo anche a
esercitazioni in cui saranno testate la solidarietà e la reazione a eventi e incidenti nel
settore spaziale, allo scopo di informare ulteriormente il nostro approccio strategico
comune allo spazio.
• Sulla base di una strategia aggiornata per la sicurezza marittima dell’Unione europea,
entro il 2025 svilupperemo e potenzieremo ulteriormente i meccanismi UE di conoscenza
situazionale della sicurezza marittima, quali l’ambiente comune per la condivisione delle
informazioni (CISE) e la sorveglianza marittima (MARSUR), al fine di promuovere
l’interoperabilità, facilitare il processo decisionale e sostenere una maggiore efficacia
operativa. Aumenteremo ulteriormente la visibilità della nostra presenza navale all’interno
e all’esterno dell’UE, anche mediante scali portuali, formazioni ed esercitazioni nonché
mediante sviluppo di capacità.
• Entro la fine del 2022, relativamente al settore aereo, porteremo avanti una riflessione
strategica per garantire un accesso europeo libero e sicuro allo spazio aereo.
Lotta al terrorismo
• Intensificheremo il dialogo con i partner strategici e nei consessi multilaterali e
rafforzeremo ulteriormente la rete di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE.
Entro i primi mesi del 2023 riesamineremo gli strumenti e i programmi dell’UE che
contribuiscono a sviluppare le capacità dei partner contro il terrorismo per aumentarne
l’efficacia, inclusa la lotta al finanziamento del terrorismo.
7371/22 via/md/S 29
ALLEGATO RELEX.5 IT
Promuovere il disarmo, la non proliferazione e il controllo degli armamenti
• Entro il 2023 rafforzeremo concrete azioni dell’UE a sostegno degli obiettivi di
disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. In particolare,
intensificheremo il sostegno ai partner e li aiuteremo ad attuare pienamente le sanzioni e
le procedure di controllo. Continueremo a chiedere la conclusione di accordi che facciano
seguito al nuovo START.
Cambiamenti climatici, catastrofi ed emergenze
• Entro la fine del 2023, in vista della piena attuazione della tabella di marcia sui
cambiamenti climatici e la difesa, gli Stati membri elaboreranno strategie nazionali per
preparare le forze armate ai cambiamenti climatici. Entro il 2025 tutte le missioni e
operazioni PSDC disporranno di un consulente ambientale e riferiranno in merito alla loro
impronta ambientale.
• Miglioreremo la capacità delle forze armate degli Stati membri di dare supporto alle
autorità civili in situazioni di emergenza sia nella fase di pianificazione che in quella di
condotta, anche potenziando il coordinamento tra le autorità civili e militari a tutti i livelli.
Tutto ciò comprenderà esercitazioni reali e congiunte che prevedano scenari riguardanti il
soccorso in caso di calamità, come pure l’assistenza umanitaria in linea con i principi
umanitari. Entro il 2023 potenzieremo le strutture di risposta alle crisi del SEAE,
compresa la sala situazionale, per rafforzare la nostra capacità di rispondere a emergenze
complesse, come operazioni di evacuazione e soccorso all’estero, in stretta cooperazione
con il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze.
7371/22 via/md/S 30
ALLEGATO RELEX.5 IT
4. INVESTIMENTI
In linea con l’agenda di Versailles e alla luce delle sfide che dobbiamo affrontare, nonché al fine di
proteggere meglio i nostri cittadini, pur riconoscendo il carattere specifico della politica di sicurezza
e di difesa di taluni Stati membri, dobbiamo aumentare e migliorare drasticamente gli investimenti
nelle capacità di difesa e nelle tecnologie innovative, sia a livello dell’UE che a livello nazionale.
Dobbiamo rafforzare le nostre capacità di difesa e dotare le nostre forze militari dei mezzi per
affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Dobbiamo essere più audaci e rapidi nel colmare le
carenze critiche in termini di capacità, superare la frammentazione, conseguire la piena
interoperabilità delle nostre forze e rafforzare una base industriale e tecnologica di difesa europea
resiliente, competitiva e innovativa in tutta l’Unione, che assicuri anche la partecipazione
transfrontaliera delle piccole e medie imprese. Riconosciamo che maggiori investimenti nello
sviluppo collaborativo di capacità garantiscono una maggiore efficienza, grazie a un aumento delle
economie di scala, e una maggiore efficacia nell’azione. Ciò consente inoltre di sostenere innovatori
e produttori europei. Raggiungere la sovranità tecnologica in alcuni settori tecnologici critici,
mitigare le dipendenze strategiche in altri e ridurre la vulnerabilità delle nostre catene del valore
sono aspetti fondamentali per fronteggiare le sfide di un mondo più pericoloso e conseguire una
maggiore resilienza. La cooperazione con partner che condividono gli stessi principi in tutto il
mondo, su una base di reciprocità, è fondamentale per rafforzare la resilienza e la sicurezza
dell’approvvigionamento dell’UE, riducendo nel contempo le dipendenze strategiche e aumentando i
vantaggi reciproci.
Orientamenti strategici
In linea con gli impegni già assunti nel quadro della PESCO e alla luce delle sfide strategiche che ci
troviamo ad affrontare, diventa urgente aumentare e migliorare la spesa. Aumenteremo pertanto
in modo sostanziale le spese per la difesa, con una quota significativa destinata agli investimenti,
dedicando particolare attenzione alle carenze strategiche individuate. Garantiremo un approccio
europeo coordinato e collaborativo per tale aumento di spesa a livello degli Stati membri e dell’UE,
al fine di massimizzare i risultati, migliorare l’interoperabilità e sfruttare appieno le economie di
scala. A tal fine, definiremo orientamenti strategici sulle risorse necessarie per rispondere alle
nostre esigenze in materia di sicurezza e sul pieno utilizzo degli strumenti dell’UE per incentivare
gli investimenti collaborativi nel settore della difesa.
Coerentemente con il livello di ambizione da noi concordato, lavoreremo insieme per adeguare
rapidamente le nostre forze militari e le nostre capacità civili affinché siano in grado di agire
celermente e contribuire a difendere i nostri interessi e valori, a rafforzare la nostra resilienza e a
proteggere l’Unione e i suoi cittadini. A tal fine, svilupperemo ulteriormente forze che coprono
tutto lo spettro che siano agili e mobili, interoperabili, tecnologicamente avanzate, efficienti
sotto il profilo energetico e resilienti. Conformemente al principio della “riserva unica di forze”,
dette forze restano in mano agli Stati membri e possono essere dispiegate anche in altri ambiti.
7371/22 via/md/S 31
ALLEGATO RELEX.5 IT
Adegueremo la pianificazione e lo sviluppo delle capacità di difesa dell’UE, in particolare rivedendo gli
scenari di pianificazione delle capacità del processo relativo all’obiettivo primario, al fine di rispecchiare
meglio le realtà operative e la previsione strategica e fornire le capacità necessarie per le missioni e
operazioni PSDC. Tali scenari comprendono il dispiegamento militare rapido effettuato in ambiente non
permissivo nonché le capacità di reagire alle minacce ibride, garantire l’accesso sicuro ai settori strategici
come l’alto mare, lo spazio aereo, i settori informatico e spaziale nonché fornire assistenza militare alle
autorità civili. Preciseremo ulteriormente gli elementi di pianificazione strategica, come il tempo di
risposta, la durata, il contesto, la distanza e la simultaneità delle operazioni che sono necessari per
adeguare gli scenari di pianificazione delle capacità. I risultati del processo relativo all’obiettivo primario
continueranno a costituire un contributo essenziale al piano di sviluppo delle capacità, che comprende le
future tendenze in termini di capacità di difesa e le prospettive tecnologiche.
Dobbiamo garantire che tutte le iniziative in materia di difesa e tutti gli strumenti di sviluppo e
pianificazione delle capacità dell’UE siano integrati nella pianificazione nazionale della difesa.
Continueremo a far sì che il risultato di tali processi rimanga coerente con quello dei rispettivi processi in
ambito NATO. In tal modo aumenteranno la prontezza, la solidità e l’interoperabilità della nostra riserva
unica di forze.
Per accrescere l’efficacia delle nostre missioni PSDC in ambito civile, svilupperemo un processo di
capacità e competenze civili per strutturare meglio e affrontare collettivamente le esigenze di tali missioni,
sulla base di scenari che rispondano anche alle nuove minacce. L’introduzione del deposito strategico e
della piattaforma di sostegno alle missioni ha contribuito alla nostra capacità di fornire attrezzature e
servizi per le missioni PSDC in ambito civile. Oltre ad assicurare personale di alta qualità e adeguatamente
formato, faremo in modo che sia possibile fornire ancora più rapidamente le attrezzature necessarie alle
missioni civili, comprese le attrezzature che consentono alle missioni di operare in ambienti meno
permissivi.
Capacità coerenti e ambiziose
In un quadro bilaterale o multilaterale, vari Stati membri hanno avviato lo sviluppo di progetti chiave
relativi alle capacità strategiche, ad esempio sistemi aerei di prossima generazione, un Eurodrone, una
nuova classe di navi militari europee e un Main Ground Combat System (carro armato MGCS), che in
futuro faranno la differenza in modo tangibile per la sicurezza e la difesa europee e condurranno col tempo
alla convergenza. L’attuazione delle raccomandazioni concordate nell’ambito della revisione coordinata
annuale sulla difesa sarà essenziale a tale riguardo.
Oltre a investire nelle capacità e nell’innovazione future, dobbiamo sfruttare meglio lo sviluppo
collaborativo di capacità e gli sforzi di messa in comune, anche esplorando la specializzazione dei compiti
tra gli Stati membri. Ci baseremo su esempi riusciti come la flotta europea multinazionale di aerei
multiruolo per il trasporto ed il rifornimento.
Nel quadro dell’UE, e in particolare attraverso la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo
per la difesa, stiamo già sviluppando sistemi di comando e controllo, veicoli corazzati, artiglieria e sistemi
missilistici, corvette di pattuglia, sistemi aerei e marittimi senza equipaggio, capacità di guerra elettronica,
sorveglianza dello spazio, sistemi di risposta rapida agli incidenti informatici e sistemi di formazione ad
alta tecnologia. Investiremo ulteriormente negli abilitanti strategici e, più in generale, nelle capacità
necessarie per condurre l’intera gamma di missioni e operazioni, come indicato nel livello di ambizione da
noi concordato. Intensificheremo gli sforzi volti a ridurre le carenze di capacità critiche, come il trasporto
aereo strategico, le risorse di connettività e comunicazione basate sulla tecnologia spaziale, le capacità in
materia di mezzi anfibi, il materiale medico, le capacità nel settore della ciberdifesa e le capacità di
intelligence, sorveglianza e ricognizione nonché i sistemi aerei a pilotaggio remoto.
7371/22 via/md/S 32
ALLEGATO RELEX.5 IT
Dobbiamo ridurre la frammentazione e sviluppare le capacità di prossima generazione. A tal fine, ci
impegniamo a dar seguito alle raccomandazioni contenute nella primissima relazione concernente la
revisione coordinata annuale sulla difesa pubblicata nel 2020, che comprende i sei settori
prioritari concordati in materia di capacità che trarrebbero beneficio da una cooperazione rafforzata
tra gli Stati membri nel campo della difesa, ovvero: carro armato da combattimento; sistemi soldato;
natante europeo di superficie della classe delle motovedette; capacità anti-accesso/negazione d’area
e contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio; difesa nello spazio; mobilità militare
rafforzata.
Per agire rapidamente e proteggere i nostri cittadini, lavoreremo insieme per correggere le carenze
critiche. Sfrutteremo appieno la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la
difesa per sviluppare tecnologie avanzate e sistemi di alta gamma interoperabili. Ci impegniamo a
sviluppare le seguenti capacità strategiche attraverso progetti collaborativi, in particolare:
• nel settore terrestre, sarà fondamentale la capacità dell’Unione di condurre operazioni di gestione delle
crisi e di assicurare il proprio vantaggio tecnologico sul campo, anche in un contesto di minaccia ad alta
intensità. Sarà avviato un cluster di capacità terrestre completo che conduca all’aggiornamento, alla
modernizzazione e alla graduale sostituzione delle principali piattaforme esistenti e dei sistemi logistici
connessi. I settori prioritari “sistemi soldato” e “carro armato da combattimento” rappresenteranno
contributi importanti a questi sforzi;
• nel settore marittimo, per garantire una presenza dell’Unione in mare più assertiva e la sua capacità di
proiezione di potenza, sono necessarie piattaforme navali di alta gamma, comprese piattaforme non
presidiate per il controllo di superficie e sottomarino. Il settore prioritario “natante europeo di superficie
della classe delle motovedette” costituirà un passo importante in questa direzione;
• nel settore aereo, per stabilire e mantenere il nostro vantaggio è necessario sviluppare capacità
pienamente operabili di prossima generazione, in particolare i sistemi di combattimento del futuro e i
sistemi di difesa aerea. Integreremo progressivamente, in modo interoperabile, i previsti sistemi di
combattimento del futuro, compresi i sistemi aerei a pilotaggio remoto, nelle flotte esistenti dei sistemi di
combattimento aereo. Occorre inoltre proseguire gli sforzi sugli abilitanti chiave, in particolare la
capacità in materia di trasporto aereo strategico. Il settore prioritario “capacità anti-accesso/negazione
d’area e contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio” contribuisce alla dimensione di difesa
aerea di tali sforzi;
• nel settore spaziale svilupperemo nuovi sensori e piattaforme a tecnologia all’avanguardia che
consentano all’Unione e ai suoi Stati membri di migliorare il proprio accesso allo spazio e di proteggere
le proprie risorse spaziali. Ciò comporta in particolare lo sviluppo dell’osservazione spaziale della Terra,
nonché di tecnologie per la conoscenza dell’ambiente spaziale e di servizi di navigazione e
comunicazione basati sulla tecnologia spaziale, fondamentali per un processo decisionale indipendente.
Il settore prioritario “difesa nello spazio” costituisce un primo passo in questa direzione;
• nel settore informatico, le nostre forze devono operare in modo coordinato, informato ed efficiente.
Pertanto, svilupperemo e utilizzeremo in modo intensivo le nuove tecnologie, in particolare la
computazione quantistica, l’intelligenza artificiale e i big data, per conseguire vantaggi comparativi,
anche in termini di operazioni di risposta agli attacchi informatici e di superiorità in materia di
informazioni. La ciberdifesa è fondamentale per garantire che il settore prioritario “mobilità militare
rafforzata” possa dispiegare appieno il suo potenziale in quanto abilitante essenziale.
7371/22 via/md/S 33
ALLEGATO RELEX.5 IT
Ci impegniamo a intensificare la cooperazione in materia di sviluppo di capacità, in particolare
attraverso la cooperazione strutturata permanente. Concretamente, ciò significa che gli Stati
membri che partecipano alla cooperazione strutturata permanente devono conformarsi entro il 2025
a tutti gli impegni più vincolanti assunti. Nel 2025 un terzo dei 60 progetti in corso nell’ambito della
cooperazione strutturata permanente raggiungerà la capacità prevista e raggiungerà i propri
obiettivi. Al di là di questi risultati concreti, il nostro obiettivo è andare oltre attuando le priorità
concordate in materia di capacità e sviluppando nuovi progetti ambiziosi. Seguiremo da vicino la
realizzazione di tali impegni al fine di poterne concordare di nuovi nel 2025, con l’obiettivo di
approfondire ulteriormente la cooperazione nel settore della difesa.
Rafforzare considerevolmente gli strumenti di finanziamento dell’UE, in particolare il Fondo
europeo per la difesa, e sfruttarne appieno il potenziale è fondamentale per consolidare le nostre
capacità di difesa nonché per dotare le forze degli Stati membri dei mezzi per far fronte ai futuri
campi di battaglia. Promuoveremo ulteriormente la cooperazione e le capacità in modo che la
cooperazione industriale nel settore della difesa nell’UE diventi la norma. Ciò consentirà di
massimizzare il potenziale dei più ampi strumenti finanziari dell’UE per sostenere la cooperazione
degli Stati membri in materia di difesa, dalla concezione all’acquisizione. Questo significa anche
che dovremmo essere pronti ad allineare la maggiore ambizione a livello dell’Unione con l’adeguato
peso finanziario a lungo termine del Fondo europeo per la difesa. Aumenteremo e sfrutteremo gli
investimenti collaborativi nel settore della difesa a livello dell’UE, comprese la ricerca e la
tecnologia. Sfrutteremo appieno il potenziale delle sinergie con altri strumenti finanziari dell’UE, ad
esempio Orizzonte Europa, il programma Europa digitale, il meccanismo per collegare l’Europa, il
programma spaziale dell’UE, il Consiglio europeo per l’innovazione e il programma InvestEU. Per
rafforzare la competitività dell’industria della difesa dell’UE, lavoreremo per stimolare ulteriormente
l’approvvigionamento congiunto di capacità di difesa che sono sviluppate in modo collaborativo
all’interno dell’UE. Ciò richiederà ulteriori lavori sulle proposte della Commissione, tra cui quelle
concernenti un’esenzione dall’IVA, nuove soluzioni di finanziamento e un potenziale rafforzamento
del regime dei bonus del FED.
Porteremo inoltre avanti i lavori in corso per la razionalizzazione e l’ulteriore graduale convergenza
delle nostre pratiche di controllo delle esportazioni di armi per quanto riguarda le capacità di difesa
sviluppate congiuntamente, in particolare in ambito UE, garantendo in tal modo che i prodotti
finanziati dal Fondo europeo per la difesa beneficino di un accesso adeguato e competitivo ai
mercati internazionali, in linea con la posizione comune del Consiglio del 2008 che definisce norme
comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari, e salvaguardando la
sovranità decisionale degli Stati membri.
Massimizzeremo la coerenza tra le iniziative dell’UE in materia di difesa, ossia la revisione
coordinata annuale sulla difesa, la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la
difesa. A tale riguardo, l’alto rappresentante/vicepresidente/capo dell’Agenzia europea per la difesa
presiederà riunioni ministeriali annuali in materia di difesa relative alle iniziative dell’UE nel settore
della difesa che affrontino lo sviluppo di capacità, utilizzando appieno i formati esistenti.
7371/22 via/md/S 34
ALLEGATO RELEX.5 IT
Innovazione, tecnologie di rottura e riduzione delle dipendenze strategiche
Le tecnologie emergenti e di rottura, come l’intelligenza artificiale, la computazione quantistica, la
propulsione avanzata, la biotecnologia e la nanotecnologia, nonché nuovi materiali e capacità
industriali, stanno ridefinendo gli affari militari e i mercati della difesa. Stiamo già investendo
collettivamente nell’innovazione nel settore della difesa combinando la ricerca in campo civile,
spaziale e della difesa e sviluppando nuove norme. Tuttavia, intensificheremo i nostri sforzi sia a
livello nazionale che attraverso un uso più ambizioso degli strumenti dell’UE per essere meglio
preparati per i campi di battaglia del futuro e la tecnologia di prossima generazione. Garantiremo
un’attuazione ambiziosa del piano d’azione sulle sinergie tra l’industria civile, della difesa e dello
spazio. Istituiremo inoltre un polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia
europea per la difesa, che lavori in partenariato con la Commissione, per aumentare e coordinare la
cooperazione in materia di innovazione nel settore della difesa tra gli Stati membri. A tale riguardo,
garantiremo l’esistenza di sinergie con le azioni del Consiglio europeo per l’innovazione e del Fondo
europeo per la difesa nel settore delle tecnologie di rottura. La Commissione, in coordinamento con
l’Agenzia europea per la difesa, svilupperà un sistema di innovazione nel settore della difesa dell’UE
per accelerare l’innovazione in materia di sicurezza e difesa per l’UE e i suoi Stati membri.
Una base industriale e tecnologica di difesa europea innovativa, competitiva e resiliente, che
assicuri la sicurezza dell’approvvigionamento e tecnologie all’avanguardia, è più importante che mai
e fondamentale per l’occupazione, il commercio, gli investimenti, la sicurezza e la ricerca nell’UE.
Anche il settore europeo della difesa può contribuire alla crescita e a una ripresa economica
sostenibile dopo la pandemia. Dobbiamo far sì che possa beneficiare pienamente e rapidamente dei
cicli di innovazione civile ed eliminare gli ostacoli esistenti. Investiremo anche in tecnologie a
duplice uso. Si tratta di un aspetto essenziale in quanto i nostri concorrenti strategici stanno
investendo rapidamente nelle tecnologie critiche, stanno mettendo alla prova le nostre catene di
approvvigionamento e stanno ostacolando l’accesso alle risorse. Con la trasformazione del
panorama tecnologico, i nuovi quadri di cooperazione ci offrono l’opportunità di non ripetere la
frammentazione e le inefficienze del passato e di perseguire fin dall’inizio un approccio europeo.
Promuoveremo la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione e ridurremo le nostre dipendenze
strategiche per quanto riguarda le tecnologie e le catene del valore critiche. La tabella di marcia
della Commissione europea relativa alle tecnologie critiche per la sicurezza e la difesa propone una
metodologia per affrontare tali sfide attraverso una più stretta cooperazione tra l’UE e gli Stati
membri. Ciò potrebbe inoltre contribuire a rafforzare la resilienza dell’economia e delle catene di
approvvigionamento europee in linea con strategia “Global Gateway” dell’UE.
7371/22 via/md/S 35
ALLEGATO RELEX.5 IT
Investire nell’innovazione e utilizzare meglio la tecnologia civile nel settore della difesa è
fondamentale per rafforzare la nostra sovranità tecnologica, ridurre le dipendenze strategiche e
preservare la proprietà intellettuale nell’UE. Grazie all’osservatorio sulle tecnologie critiche
continueremo a monitorare e individuare tali dipendenze strategiche nel settore della sicurezza e
della difesa. Anche il piano d’azione dell’AED sulle tecnologie emergenti e di rottura contribuirà a
tali sforzi. Promuoveremo altresì le sinergie tra ricerca e innovazione nell’ambito civile, della difesa
e dello spazio, e investiremo nelle tecnologie critiche ed emergenti e nell’innovazione per la
sicurezza e la difesa. Rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento e l’accesso delle
industrie ai finanziamenti privati sarà necessario per la nostra base industriale e tecnologica di
difesa europea. La Banca europea per gli investimenti dovrebbe inoltre utilizzare tutti i suoi
strumenti per contribuire a tale sforzo. Altrettanto importante è aver cura che le altre politiche
trasversali dell’UE, quali le iniziative nel campo della finanza sostenibile, si articolino sempre
coerentemente con gli sforzi profusi dall’Unione europea per favorire un adeguato accesso ai
finanziamenti e agli investimenti pubblici e privati per l’industria europea della difesa. Sfruttare
appieno il quadro dell’Unione e i meccanismi nazionali per il controllo degli investimenti esteri
diretti resta un aspetto fondamentale per individuare e attenuare i rischi per la sicurezza e l’ordine
pubblico, anche in relazione agli investimenti nel settore della difesa. Esamineremo ulteriori
proposte per attenuare i rischi per le imprese che producono tecnologie e prodotti critici e devono
far fronte ad acquisizioni extra UE. Meccanismi nazionali di controllo dovrebbero essere istituiti
quanto prima in tutti gli Stati membri. Inoltre, dovrebbero essere ulteriormente rafforzati gli
strumenti volti a contrastare le misure extraterritoriali straniere e i tentativi di coercizione
economica che incidono sugli interessi strategici e sull’industria dell’UE. Per quanto concerne il
settore della cibersicurezza, renderemo rapidamente operativo il Centro europeo di competenza per
la cibersicurezza al fine di sviluppare un ecosistema industriale e tecnologico europeo forte per il
ciberspazio, sostenere le imprese specializzate in cibersicurezza e aumentare ulteriormente le
risorse e le competenze in materia di cibersicurezza e ciberdifesa a livello dell’UE.
Lo sviluppo di tecnologie emergenti e di rottura è fondamentale per mantenere un vantaggio
militare, anche attraverso un bilancio dedicato a titolo del Fondo europeo per la difesa. I nostri
concorrenti utilizzano sempre di più tecnologie e dati strategici senza rispettare la
regolamentazione e le norme internazionali in vigore. Abbiamo pertanto bisogno di una migliore
prospettiva analitica sulle tendenze e le dipendenze che riguardano le tecnologie emergenti e di
rottura e sul modo in cui sono sempre più utilizzate dai concorrenti strategici. A tal fine,
utilizzeremo l’osservatorio sulle tecnologie critiche della Commissione per coordinare e ottenere la
piena comprensione delle dipendenze critiche, in relazione ad esempio ai semiconduttori, alle
tecnologie cloud ed edge, alla computazione quantistica e all’intelligenza artificiale. A tale riguardo,
ci baseremo anche sul lavoro dell’AED in materia di attività strategiche chiave. Attenueremo i rischi
per la sicurezza dell’approvvigionamento e intensificheremo i nostri sforzi collettivi investendo
congiuntamente nelle tecnologie cruciali per la sicurezza e la difesa e proteggendole.
Collaboreremo con tutti i partner per promuovere le pertinenti norme etiche e giuridiche. A tale
riguardo, la nostra cooperazione nell’ambito delle Nazioni Unite sarà essenziale, soprattutto per
quanto concerne la definizione e l’applicazione delle norme comuni previste dalla convenzione su
certe armi convenzionali.
Infine, dobbiamo sfruttare l’innovazione per migliorare l’efficienza energetica del settore della
difesa, comprese le missioni e operazioni PSDC, senza ridurne l’efficacia operativa. Svilupperemo
parametri e norme comuni per un maggiore utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili e per la
resilienza delle infrastrutture critiche connesse alla difesa. Un’attenzione particolare sarà rivolta
all’innovazione e alle norme che possono contribuire a ridurre l’impronta ambientale delle forze
armate e a creare possibilità di riutilizzo delle componenti di valore e dei materiali rari.
7371/22 via/md/S 36
ALLEGATO RELEX.5 IT
Obiettivi
Aumenteremo in modo sostanziale le spese per la difesa affinché siano all’altezza della nostra
ambizione collettiva di ridurre le carenze critiche in termini di capacità militari e civili.
Rafforzeremo inoltre la nostra base industriale e tecnologica di difesa europea in tutta l’Unione,
garantendo in tal modo anche la partecipazione transfrontaliera delle piccole e medie imprese. In
linea con gli impegni vincolanti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente, la spesa
per la difesa sarà periodicamente aumentata in termini reali per essere all’altezza della nostra
ambizione collettiva in materia di difesa. Per il futuro, aumenteremo e sfrutteremo ulteriormente
gli investimenti collaborativi nel settore della difesa a livello dell’UE, comprese la ricerca e la
tecnologia, attraverso il Fondo europeo per la difesa2
. Investiremo nell’innovazione e nelle
tecnologie critiche ed emergenti, ridurremo le nostre dipendenze strategiche, assicureremo le
catene di approvvigionamento e rafforzeremo la protezione della nostra proprietà intellettuale.
Coopereremo inoltre, su una base di reciprocità, con i partner che condividono gli stessi principi
in tutto il mondo al fine di aumentare i vantaggi reciproci.
Spese per la difesa
• Entro la metà del 2022, nel pieno rispetto delle prerogative nazionali e in modo coerente con gli
impegni da noi assunti, anche nell’ambito di altre organizzazioni, procederemo a uno scambio in
merito ai nostri obiettivi nazionali in materia di aumento e miglioramento della spesa per la
difesa al fine di rispondere alle nostre esigenze in materia di sicurezza, massimizzare i risultati,
aumentare l’interoperabilità e sfruttare appieno le economie di scala, anche attraverso un approccio
europeo coordinato e collaborativo e il pieno utilizzo degli strumenti dell’UE.
• Invitiamo la Commissione, in coordinamento con l’Agenzia europea per la difesa, a presentare
un’analisi delle carenze di investimenti in materia di difesa entro metà maggio e a proporre
qualsiasi ulteriore iniziativa necessaria per rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa
europea.
• La Commissione metterà a punto ulteriori incentivi per stimolare gli investimenti collaborativi
degli Stati membri nelle capacità strategiche di difesa, in particolare quelle che saranno sviluppate
e/o acquisite congiuntamente nell’ambito dei quadri di cooperazione dell’UE, e riferirà in merito
agli sviluppi, agli ostacoli e alle opportunità connessi ai progetti multinazionali in materia di
capacità di difesa nella relazione annuale sul mercato unico.
Sviluppo delle capacità
• Entro il 2023 rivedremo il nostro processo relativo all’obiettivo primario e avvicineremo lo
sviluppo delle capacità militari alle esigenze operative, apportando così un contributo essenziale al
piano di sviluppo delle capacità. Entro la metà del 2022 saranno messi a punto nel dettaglio gli
elementi di pianificazione strategica necessari ad adeguare gli scenari di pianificazione delle
capacità.
• A partire dal 2022 saranno organizzate, utilizzando appieno i formati esistenti, riunioni
ministeriali annuali in materia di difesa relative alle iniziative dell’UE nel settore
della difesa che affrontino lo sviluppo di capacità, presiedute dall’alto
rappresentante/vicepresidente della Commissione/capo dell’Agenzia europea per la difesa.

2 Ciò lascia impregiudicato il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE.
7371/22 via/md/S 37
ALLEGATO RELEX.5 IT
• Entro il 2024 sarà istituito un processo di sviluppo delle capacità civili per valutare le
esigenze in termini di capacità, elaborare requisiti, svolgere un’analisi delle carenze ed
esaminare periodicamente i progressi compiuti in linea con il nuovo patto sulla
dimensione civile della PSDC.
Capacità strategiche
• Ci impegniamo a utilizzare le iniziative dell’UE nel settore della difesa per ridurre in modo
sostanziale, entro il 2025, le carenze critiche relativamente agli abilitanti strategici, in particolare quelle connesse alla capacità di dispiegamento rapido dell’UE, quali il trasporto aereo strategico, le risorse di comunicazione spaziale, le capacità in materia di mezzi anfibi, il materiale medico, le capacità nel settore della ciberdifesa e le capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
• Durante questo decennio e oltre concentreremo i nostri sforzi di sviluppo delle capacità sulle capacità di prossima generazione in tutti i settori, anche a livello di sistema e di sottosistema, nei settori prioritari individuati dalla CARD, in particolare:
o nel settore terrestre, ammoderneremo i “sistemi soldato” in quanto nucleo centrale della
protezione della forza individuale e dell’efficacia operativa in tutti i tipi di operazioni e
svilupperemo un sistema “carro armato da combattimento” come capacità di prossima
generazione per l’Unione nelle operazioni convenzionali ad alta intensità nonché in quelle
di gestione delle crisi;
o nel settore marittimo, al fine di migliorare la conoscenza della situazione marittima e la
protezione della forza, sostituiremo le motovedette costiere e d’altura sviluppando
piattaforme navali di alta gamma collegate in rete digitale, comprese piattaforme navali
non presidiate;
o nel settore aereo svilupperemo i sistemi di combattimento del futuro come capacità di
prossima generazione, pienamente interoperabile, per assicurare un vantaggio aereo. Ciò
sarà integrato dal “contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio” e contribuirà alla
definizione di una norma europea per le “capacità anti-accesso/negazione d’area”;
o nel settore spaziale svilupperemo nuovi sensori e piattaforme per l’osservazione spaziale
della Terra nonché tecnologie per la conoscenza dell’ambiente spaziale e servizi di
comunicazione basati sulla tecnologia spaziale;
o nel settore informatico intensificheremo gli sforzi per sviluppare e collegare le nostre
capacità al fine di fornire la resilienza e le capacità necessarie per agire in tutti i settori,
concentrandoci in particolare sulla “mobilità militare rafforzata”, che costituisce un
abilitante essenziale.
• Entro il 2023, allo scopo di preservare l’abilità di sviluppare capacità in Europa, adotteremo misure intese a promuovere e facilitare l’accesso dell’industria della difesa ai finanziamenti privati, anche facendo ricorso in modo ottimale alla Banca europea per gli investimenti.
7371/22 via/md/S 38
ALLEGATO RELEX.5 IT
• Metteremo a punto ulteriori incentivi per stimolare gli investimenti collaborativi degli Stati membri in progetti comuni e nell’approvvigionamento congiunto delle capacità di difesa che sono sviluppate in modo collaborativo all’interno dell’UE, concentrando i lavori, tra l’altro:
o entro l’inizio del 2023, su una proposta della Commissione che introdurrebbe
un’esenzione dall’IVA a sostegno dell’approvvigionamento congiunto e della titolarità
delle capacità di difesa sviluppate in modo collaborativo all’interno dell’UE;
o entro il primo semestre del 2023, su future proposte di nuove soluzioni di finanziamento
per facilitare l’approvvigionamento congiunto delle capacità di difesa dell’UE da parte
degli Stati membri; o sulla scorta della valutazione intermedia del FED, su eventuali modifiche del regolamento sul Fondo europeo per la difesa per adeguare e rafforzare il regime dei bonus del FED per gli Stati membri che si impegnano ad acquisire e/o detenere congiuntamente capacità di difesa in fase di sviluppo.
Tecnologie e dipendenze strategiche nel settore della sicurezza e della difesa
• Nel 2022 istituiremo un polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia europea per la difesa, lavorando in partenariato con la Commissione per sfruttare le sinergie con i relativi filoni di lavoro, incluso il sistema UE di innovazione nel settore della difesa. I parametri di tale polo saranno definiti nel quadro dell’Agenzia europea per la difesa.
• A partire dal 2022 individueremo inoltre le dipendenze strategiche nel settore della difesa grazie all’osservatorio sulle tecnologie critiche e ci adopereremo per ridurle mobilitando gli strumenti e le politiche dell’UE e degli Stati membri ed esplorando eventuali carenze in quelli disponibili.
Lavoreremo di concerto con la Commissione e l’AED per sviluppare fin dall’inizio un approccio strategico coordinato di portata UE per quanto riguarda le tecnologie critiche pertinenti per la sicurezza e la difesa. A tale riguardo, ci baseremo anche sul lavoro dell’AED in materia di attività strategiche chiave. Continueremo a utilizzare il quadro dell’UE per il controllo degli
investimenti esteri diretti nel caso in cui un investimento nel settore della difesa dell’UE
rappresenti una minaccia per la sicurezza o l’ordine pubblico. Esamineremo ulteriori proposte per attenuare tali rischi per il settore della difesa dell’UE.
• A partire dal 2022 promuoveremo ulteriormente la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione in tutta l’UE e ridurremo le nostre dipendenze strategiche per quanto riguarda le tecnologie e le catene del valore critiche per la sicurezza e le difesa, sulla base dell’agenda strategica di ricerca onnicomprensiva dell’AED e della tabella di marcia relativa alle tecnologie critiche per la sicurezza e la difesa proposta dalla Commissione europea.
• Nel 2023 valuteremo, insieme alla Commissione, il rischio per le nostre catene di
approvvigionamento delle infrastrutture critiche, in particolare nel settore digitale, al fine di proteggere meglio gli interessi di sicurezza e di difesa dell’UE.
7371/22 via/md/S 39
ALLEGATO RELEX.5 IT
5. PARTNER
I partenariati costituiscono uno strumento essenziale per sostenere l’ambizione dell’UE di essere un attore strategico globale. Anche i partner trarranno beneficio da un’UE più forte e più capace nel settore della sicurezza e della difesa. Possono aiutarci a difendere l’ordine internazionale basato su regole e un multilateralismo efficace con al centro le Nazioni Unite, fissare norme e standard a livello internazionale e contribuire alla pace e alla sicurezza in tutto il mondo. Rafforzeremo partenariati su misura qualora siano reciprocamente vantaggiosi e al servizio degli interessi dell’UE e difendano i nostri valori, in particolare laddove vi sia un impegno comune a favore di un approccio integrato ai conflitti e alle crisi, allo sviluppo di capacità e alla resilienza. A tale riguardo è fondamentale anche uno stretto allineamento sulle questioni relative alla PESC, in particolare laddove siano in gioco interessi comuni. Vantiamo una lunga tradizione di collaborazione con i partner e cerchiamo attivamente di farli partecipare alle missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare.
È di fondamentale importanza che i nostri partenariati strategici realizzino il loro potenziale e che affrontiamo i profondi cambiamenti in materia di sicurezza attualmente in corso. Continueremo a investire nella resilienza dei partner negli Stati vicini e oltre, in particolare attraverso gli strumenti più ampi dell’Unione in materia di pace, sicurezza, vicinato, sviluppo e cooperazione.
Partner multilaterali e regionali
Il partenariato strategico dell’UE con la NATO è essenziale per la nostra sicurezza euro-atlantica, come dimostrato ancora una volta nel contesto dell’aggressione militare perpetrata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina nel 2022. L’UE mantiene il suo pieno impegno a rafforzare ulteriormente questo partenariato fondamentale anche per promuovere il legame transatlantico. Sulla base dei progressi senza precedenti compiuti in relazione al rafforzamento della cooperazione con la NATO a partire dal 2016, occorre adottare ulteriori misure ambiziose e concrete per elaborare risposte condivise alle minacce e alle sfide comuni nuove ed esistenti. Le dichiarazioni congiunte firmate nel 2016 e nel 2018 costituiscono i pilastri fondamentali di tale cooperazione. Nello spirito di tali dichiarazioni congiunte e sulla base dei principi di inclusività, reciprocità, apertura e trasparenza, nonché dell’autonomia decisionale di entrambe le organizzazioni, porteremo avanti la nostra cooperazione stretta e reciprocamente vantaggiosa. Consolideremo ulteriormente la cooperazione in corso in materia di dialogo politico, condivisione di informazioni, operazioni di gestione delle crisi, sviluppo delle capacità militari e mobilità militare.
Approfondiremo il lavoro comune per rafforzare la sicurezza marittima e contrastare le minacce ibride, compresa la manipolazione delle informazioni da parte di attori stranieri e la protezione del ciberspazio, nonché per l’attuazione dell’agenda su donne, pace e sicurezza. Amplieremo inoltre la cooperazione in materia di tecnologie emergenti e di rottura, cambiamenti climatici e difesa, resilienza e spazio extraatmosferico.
Per migliorare il dialogo politico, organizzeremo riunioni congiunte ad alto livello UE-NATO più frequenti e inclusive, incentrate su questioni di rilevanza strategica. Saranno intensificati gli scambi mirati attraverso riunioni congiunte periodiche del comitato politico e di sicurezza dell’UE e del Consiglio Nord Atlantico. Le interazioni con la NATO a livello di personale sono un elemento centrale del nostro partenariato che può tuttavia essere ulteriormente rafforzato intensificando le comunicazioni strategiche, coordinando e/o adottando dichiarazioni congiunte come pure attraverso visite congiunte di rappresentanti di alto livello dell’UE e della NATO. Il dialogo e la cooperazione dovrebbero essere rafforzati mediante l’aumento degli scambi con la NATO in merito alla valutazione del contesto di sicurezza in vari settori, dalla conoscenza situazionale comune alle esercitazioni di previsione. A tale riguardo, è di fondamentale importanza la nostra capacità di scambiare informazioni classificate e non classificate.
7371/22 via/md/S 40
ALLEGATO RELEX.5 IT
Le esercitazioni parallele e coordinate organizzate dall’UE e dalla NATO consentono lo scambio di informazioni e migliorano la nostra prontezza ad affrontare le reciproche preoccupazioni in materia di sicurezza, compresi gli attacchi ibridi complessi. Tuttavia, il nostro approccio alle esercitazioni dovrà evolversi per affrontare più efficacemente le mutevoli tendenze geopolitiche e tecnologiche in atto. Saranno di fondamentale importanza le discussioni mirate basate su possibili scenari e l’ulteriore inclusione della mobilità militare nelle esercitazioni future. Il passaggio a esercitazioni congiunte e inclusive sarebbe un vero incentivo per il rafforzamento della
cooperazione UE-NATO e un modo per creare un clima di fiducia, migliorare l’interoperabilità e approfondire il nostro partenariato. Ciò richiede un’adeguata condivisione delle informazioni.
Al fine di difendere il multilateralismo basato su regole e i principi della Carta delle Nazioni Unite, dobbiamo rafforzare il nostro partenariato strategico con le Nazioni Unite (ONU). Assicureremo la coerenza con le azioni delle Nazioni Unite nel settore della pace e della sicurezza e sosterremo l’attuazione delle raccomandazioni della relazione del segretario generale dell’ONU sull'”agenda comune”, inclusa la nuova” agenda per la pace”. Intensificheremo in modo sostanziale il dialogo politico con le Nazioni Unite attraverso una partecipazione politica ad alto livello e dichiarazioni congiunte.
Attraverso le nostre missioni e operazioni civili e militari stiamo lavorando insieme all’ONU in molti teatri, ma possiamo fare di più per contribuire a rafforzare, collegare, sostituire o integrare i compiti e le missioni delle Nazioni Unite. A tale riguardo rafforzeremo il partenariato strategico con le Nazioni Unite in materia di operazioni di pace e gestione delle crisi, anche con l’attuazione della nuova serie congiunta di priorità in materia di operazioni di pace e gestione delle crisi per il periodo 2022-2024. Ciò comprende, in particolare, un maggiore coordinamento operativo sul campo e una cooperazione in materia di pianificazione di contingenza e sostegno reciproco. Pertanto, sfrutteremo appieno l’accordo quadro di assistenza reciproca UE-ONU per le nostre rispettive missioni e operazioni sul campo. Continueremo inoltre a promuovere l’agenda su donne, pace e sicurezza e intensificheremo la nostra cooperazione sul tema dei bambini nei conflitti armati.
Affinché l’UE e le Nazioni Unite possano affrontare le sfide future, è necessario un approccio più dinamico all’allarme rapido, alla prevenzione dei conflitti e alla mediazione. Lo scambio strutturato di informazioni, le analisi congiunte delle prospettive, la previsione strategica e le analisi dei conflitti attente alle problematiche di genere possono aiutarci a utilizzare al meglio le nostre conoscenze e competenze. Questo è importante per rispondere a sfide nuove ed emergenti quali i cambiamenti climatici, le pandemie, il terrorismo, la criminalità organizzata, le tecnologie emergenti e di rottura e le minacce ibride, compresi gli attacchi informatici e la disinformazione.
Rafforzeremo la cooperazione con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa (OSCE), in particolare nel settore della prevenzione dei conflitti e della gestione delle crisi.
Oltre a sviluppare collegamenti operativi più stretti con l’OSCE nei Balcani occidentali, nel vicinato orientale e in Asia centrale, esamineremo in che modo l’UE possa collaborare più strettamente con le missioni locali dell’OSCE e rafforzare le proprie relazioni con il Centro dell’OSCE per la prevenzione dei conflitti. Si porrà l’accento sulle misure di rafforzamento della fiducia e sulla condivisione di informazioni ai fini dell’allarme rapido, della prevenzione dei conflitti, della gestione delle crisi, della governance e delle riforme in materia di sicurezza nonché della stabilizzazione post-conflitto. Le attività congiunte UE-OSCE, come la formazione e lo scambio di migliori prassi e insegnamenti tratti, possono far progredire la nostra cooperazione.
7371/22 via/md/S 41
ALLEGATO RELEX.5 IT
Rafforzeremo ulteriormente la nostra cooperazione strategica con l’Unione africana (UA), sulla base del dialogo politico e dell’impegno operativo, dalla Somalia alla regione del Sahel. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso visite congiunte sul campo e un coordinamento più stretto a livello di pianificazione e condotta. Cercheremo di conseguire un partenariato in materia di sicurezza più solido ed equilibrato con i partner africani. A tal fine, l’UE creerà legami operativi più stretti con organizzazioni regionali e subregionali quali la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e il G5 Sahel, la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC) e l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD). In quanto affidabile garante della sicurezza, l’UE intensificherà gli sforzi per sostenere le iniziative a guida africana che contribuiscono alla pace e alla sicurezza nel continente africano, comprese le operazioni di pace a guida africana. In tale contesto promuoveremo l’attuazione del quadro di conformità in materia di diritti umani dell’UA. Svilupperemo contatti a livello militare e di forze di polizia con le controparti africane per migliorare la nostra conoscenza situazionale. Inoltre, rafforzeremo la cooperazione trilaterale tra l’UE, l’ONU e l’UA, migliorando nel contempo il coordinamento tra i tre membri africani (A3) e gli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Vista la crescente importanza della regione indo-pacifica, collaboreremo con l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN) per migliorare la conoscenza comune e lo scambio di informazioni per quanto riguarda l’estremismo violento, le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari, la cibersicurezza, la sicurezza marittima, la criminalità transnazionale, l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di calamità nonché la gestione delle crisi. Al fine di diventare membro a pieno titolo della riunione dei ministri della difesa dell’ASEAN Plus, sfrutteremo ogni opportunità per partecipare ad attività di conoscenza comune con l’ASEAN e contribuire ai suoi sforzi di creazione di accordi panasiatici in materia di sicurezza. Operando in particolare attraverso il Forum regionale dell’ASEAN, accresceremo ulteriormente il nostro contributo in materia di sicurezza e la nostra presenza nella regione indo-pacifica.
Continuerà inoltre ad essere sviluppata la cooperazione con altre organizzazioni regionali, tra cui la Lega degli Stati arabi (LSA) e il Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG).
Partenariati bilaterali su misura
Interagiremo in modo più coerente, costante e globale con i nostri partner bilaterali in tutto il mondo, anche sfruttando appieno e rafforzando la nostra rete di consulenti militari e di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE. Svilupperemo ulteriormente partenariati su misura sulla base di valori e interessi condivisi, tenendo conto nel contempo dell’intensità e delle caratteristiche specifiche delle relazioni esistenti. A tal fine integreremo in modo più sistematico le questioni relative alla sicurezza e alla difesa nei nostri dialoghi politici con i partner. Inoltre, ogni due anni convocheremo un forum di partenariato dell’UE in materia di sicurezza e difesa per riunire i nostri partner. Il forum sarà un’opportunità per discutere ad alto livello politico questioni tematiche e di attualità relative alla sicurezza e alla difesa. Consentirà all’Unione europea di riunire i partner e di mettere in evidenza il loro sostegno al contributo dell’Unione alla pace e alla sicurezza internazionali e le sfide cui dobbiamo far fronte. L’obiettivo è rafforzare i partenariati creando un senso di finalità comune. Ciò contribuirà a migliorare l’efficacia degli sforzi internazionali coordinati, rafforzando nel contempo la credibilità e la legittimità dell’azione dell’UE.
7371/22 via/md/S 42
ALLEGATO RELEX.5 IT
Il nostro partenariato con gli Stati Uniti è di importanza strategica e dobbiamo approfondire la nostra cooperazione nel settore della sicurezza e della difesa in modo reciprocamente vantaggioso.
Stiamo già collaborando con gli Stati Uniti in un’ampia gamma di settori di intervento in materia di sicurezza e difesa, come pure sul campo. Dobbiamo tuttavia sfruttare lo slancio impresso dalla dichiarazione del vertice UE-USA del giugno 2021. Il dialogo strategico specifico in materia di sicurezza e difesa tra l’UE e gli USA rappresenta una tappa importante nel consolidamento del partenariato transatlantico. Promuoverà una cooperazione più stretta e reciprocamente vantaggiosa su temi quali le rispettive iniziative nel settore della sicurezza e della difesa, il disarmo e la non proliferazione, l’impatto delle tecnologie emergenti e di rottura, i cambiamenti climatici e la difesa, la ciberdifesa, la mobilità militare, la lotta contro le minacce ibride, comprese la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, la gestione delle crisi e le relazioni con i concorrenti strategici.
Approfondiremo le nostre relazioni costruttive con la Norvegia, in quanto nostro partner più stretto nel quadro dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), come pure con il Canada, con il quale vantiamo una cooperazione di lunga data in materia di sicurezza e difesa, a dimostrazione del nostro impegno comune a favore della pace e della sicurezza. Valorizziamo i dialoghi specifici in materia di sicurezza e difesa con questi e altri partner che condividono gli stessi principi. Restiamo aperti a un dialogo ampio e ambizioso in materia di sicurezza e difesa con il Regno Unito.
Continueremo a cooperare in settori di interesse comune con la Turchia, che contribuisce alle missioni e operazioni PSDC. Manteniamo il nostro impegno a sviluppare un partenariato reciprocamente vantaggioso, ma ciò richiede un analogo impegno da parte della Turchia al fine di progredire su un percorso di cooperazione e allentamento costante delle tensioni e di rispondere alle preoccupazioni dell’UE, conformemente alla dichiarazione dei membri del Consiglio europeo del 25 marzo 2021.
Manteniamo il nostro impegno a migliorare la resilienza delle società e dei processi democratici, delle istituzioni politiche e delle infrastrutture critiche nei Balcani occidentali, come pure a rafforzare la cibersicurezza, a contrastare la disinformazione e a sostenere le iniziative di lotta al terrorismo nella regione. Per contribuire allo sviluppo di capacità civili e militari e di resilienza nella regione, è della massima importanza collaborare strettamente con l’ONU, con la NATO e con l’OSCE. Accogliamo con favore i contributi regolari che i nostri partner dei Balcani occidentali hanno apportato alle nostre missioni e operazioni PSDC.
In considerazione della minaccia alla sovranità, alla stabilità, all’integrità territoriale e alla
governance dei nostri partner orientali, intensificheremo la cooperazione nel settore della
sicurezza e della difesa al fine di rafforzare la loro resilienza. Continueremo a sostenere l’Ucraina e la sua popolazione insieme ai nostri partner internazionali, anche mediante un sostegno politico, finanziario, umanitario e logistico supplementare. Le sfide cui si trovano a far fronte la Georgia e la Repubblica di Moldova, tra cui le ingerenze ostili da parte della Russia e l’ampio ricorso a strumenti militari e tattiche ibride, compromettono la loro stabilità e i loro processi democratici, oltre ad avere implicazioni dirette per la nostra stessa sicurezza. Continueremo pertanto a cooperare strettamente con tali paesi e ribadiamo il nostro fermo sostegno e il nostro impegno a favore della loro sovranità e integrità territoriale. Saranno intensificati dialoghi specifici e la cooperazione con l’Ucraina, la Georgia e la Repubblica di Moldova – in quanto partner stretti dell’UE – in particolare in settori quali la lotta alle minacce ibride, la disinformazione e la cibersicurezza. Il contributo di questi paesi alle nostre missioni e operazioni PSDC è prezioso. Aiuteremo inoltre i nostri partner orientali a sviluppare la resilienza ricorrendo a diversi strumenti, tra cui misure di assistenza.
7371/22 via/md/S 43
ALLEGATO RELEX.5 IT
L’aumentare delle sfide globali e regionali nel vicinato meridionale ha posto in evidenza la nostra interdipendenza reciproca e la necessità di istituire partenariati più stretti in materia di sicurezza e difesa. Sottolineiamo in particolare che il terrorismo, l’estremismo violento, la radicalizzazione, le minacce informatiche e ibride nonché la criminalità organizzata e le crescenti sfide in materia di migrazione irregolare costituiscono gravi minacce che colpiscono entrambe le sponde del Mediterraneo e sono spesso interconnesse. In tale contesto offriremo pacchetti di sicurezza più completi ai partner del vicinato meridionale disposti ad approfondire la cooperazione su una serie di questioni, compresa la cooperazione operativa. Sottolineiamo inoltre la necessità di accrescere gli investimenti dell’UE nella pace e nella stabilità del Medio Oriente e del Golfo.
Migliorare la sicurezza dei nostri partner africani rimane per noi una delle priorità principali. Ci impegniamo a utilizzare l’intera gamma di strumenti di sicurezza e di difesa dell’UE, in particolare le missioni e operazioni militari e civili, i programmi per la pace e la stabilizzazione, le misure di assistenza e il sostegno finanziario. Ciò è ancora più importante in quanto stiamo osservando la presenza sempre maggiore dei nostri concorrenti strategici dal Sahel al Corno d’Africa. Su tali questioni cercheremo di avviare dialoghi e cooperazione in materia di sicurezza e difesa con i partner africani. Miglioreremo il collegamento tra assistenza militare e riforme strutturali, compresa la gestione delle risorse umane, nonché con lo sviluppo di capacità civili e con la riforma del settore della sicurezza. Aiuteremo i nostri partner a rafforzare la loro resilienza alle minacce sia convenzionali che ibride, alla disinformazione e agli attacchi informatici nonché ai cambiamenti climatici. Cercheremo di coinvolgere partner capaci in Africa nelle missioni e operazioni PSDC, nonché di sostenere maggiormente i loro sforzi contro l’instabilità e il terrorismo.
Nel quadro della strategia dell’UE per la regione indo-pacifica, cercheremo di promuovere
un’architettura di sicurezza regionale aperta e basata su regole, che includa rotte marittime di comunicazione sicure, sviluppo di capacità e una presenza navale potenziate nella regione indopacifica. Sono già in atto consultazioni costruttive in materia di sicurezza e difesa e una cooperazione in materia di sicurezza con paesi della regione indo-pacifica come il Giappone, la Repubblica di Corea, l’India, l’Indonesia, il Pakistan e il Vietnam. Siamo impegnati a collaborare con partner che condividono gli stessi principi attraverso la cooperazione operativa sul campo, in particolare laddove tali sforzi sostengano le strutture e le iniziative regionali per la pace e la sicurezza. L’UE ha condotto una serie di esercitazioni navali congiunte e di scali portuali, da ultimo con Giappone, Repubblica di Corea, Gibuti e India. Tali esercitazioni reali diventeranno una prassi standard e ci aiuteranno a garantire che la regione indo-pacifica sia sicura e aperta.
Continueremo a portare avanti il dialogo e le consultazioni con la Cina laddove ciò sia nel nostro interesse, in particolare su questioni quali il rispetto del diritto internazionale del mare, la risoluzione pacifica delle controversie, un ordine internazionale basato su regole e i diritti umani.
Dobbiamo approfondire il nostro partenariato con l’America latina, sulla base del dialogo specifico in materia di sicurezza e difesa con la Colombia e il Cile. Riconoscendo che i partner dell’America latina hanno contribuito alle missioni e operazioni PSDC, possiamo fare di più a livello collettivo per aiutarli a contrastare le minacce ibride, gli attacchi informatici e la criminalità organizzata, nonché a partecipare al dialogo e all’azione in materia di clima, di sicurezza e di sicurezza marittima. Il nostro obiettivo è anche quello di promuovere ulteriormente la partecipazione dei paesi dell’America latina agli sforzi dell’UE in materia di sicurezza e difesa.
7371/22 via/md/S 44
ALLEGATO RELEX.5 IT
Sarà perseguito un approccio più mirato e integrato allo sviluppo delle capacità dei partner, che potrebbe includere, in particolare nelle situazioni di gestione delle crisi, la formazione, la consulenza, il tutoraggio e l’equipaggiamento delle forze armate e di sicurezza dei partner. Se da un lato lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale rimane il principale strumento finanziario a sostegno della sicurezza e della stabilità all’estero e dovrebbe essere utilizzato il più possibile, dall’altro lo strumento europeo per la pace intensificherà i nostri sforzi per contribuire allo sviluppo delle capacità di difesa, integrando le iniziative di gestione delle crisi nell’ambito della PSDC. Dobbiamo inoltre collegare meglio l’assistenza militare allo sviluppo di capacità civili, alla riforma del settore della sicurezza, alla governance, al rispetto dello Stato di diritto, del diritto internazionale e dei diritti umani, al controllo democratico e alla capacità di rispondere a minacce ibride, alla disinformazione e agli attacchi informatici. Il coordinamento con i programmi e gli strumenti della Commissione sarà fondamentale per il buon esito delle nostre azioni.
Accogliamo con favore i contributi di tutti i nostri partner alle missioni e operazioni PSDC e li incoraggiamo a dedicare più personale e maggiori capacità alle nostre missioni e operazioni nel quadro di uno sforzo reciproco volto a promuovere la pace e la sicurezza internazionali. A tal fine aiuteremo i nostri partner a rafforzare la loro capacità di contribuire alle missioni e operazioni PSDC. Nel 2021 abbiamo già migliorato le modalità di partecipazione dei paesi terzi alle missioni e operazioni PSDC garantendo un maggiore livello di condivisione delle informazioni in tutte le fasi della pianificazione.
Obiettivi
Miriamo ad approfondire la nostra cooperazione con i partner e ad adattare ulteriormente i nostri pacchetti di partenariato. Manterremo e approfondiremo i nostri dialoghi in materia di sicurezza e difesa, la conoscenza situazionale comune e le formazioni ed esercitazioni congiunte. Collaboreremo con i partner per contrastare le minacce ibride, la disinformazione e gli attacchi informatici. Il nostro approccio risponderà anche alle esigenze dei partner in termini di sviluppo delle capacità e sostegno.
Livello multilaterale
• A partire dal 2022, sulla base delle dichiarazioni congiunte, rafforzeremo, approfondiremo e amplieremo ulteriormente il nostro partenariato strategico, il nostro dialogo politico e la nostra cooperazione con la NATO in tutti i settori di interazione concordati, compresi nuovi filoni di lavoro chiave quali la resilienza, le tecnologie emergenti di rottura, il clima e la difesa e lo spazio extra-atmosferico.
• A partire dal 2022 attueremo il nuovo insieme comune di priorità per la cooperazione UEONU (2022-2024): in particolare condurremo analisi delle prospettive e previsioni strategiche congiunte nonché analisi congiunte dei conflitti attente alle problematiche di genere, oltre a migliorare ulteriormente il nostro coordinamento e la nostra cooperazione a livello politico e operativo, come pure lo scambio di informazioni, anche fornendo immagini satellitari tramite il Centro satellitare dell’UE.
• Nel 2022 terremo a Bruxelles il primo forum biennale di partenariato in materia di
sicurezza e difesa, che riunirà partner multilaterali, regionali e bilaterali su invito dell’alto
rappresentante.
Livello regionale
• A partire dal 2022 approfondiremo il dialogo politico e rafforzeremo la cooperazione con
l’OSCE, l’Unione africana e l’ASEAN in settori quali la prevenzione dei conflitti, la
conoscenza situazionale comune e la resilienza. Inoltre:
7371/22 via/md/S 45
ALLEGATO RELEX.5 IT
o cercheremo di elaborare con l’OSCE una tabella di marcia comune dedicata in
materia di prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi che contenga azioni
regionali e tematiche concrete; o rinnoveremo e potenzieremo la nostra cooperazione con l’Unione africana, in linea con il vertice UE-UA del febbraio 2022. Approfondiremo in particolare il nostro sostegno a favore di formazioni, sviluppo di capacità e attrezzature adeguate, del rafforzamento e dell’ampliamento delle operazioni di pace autonome a guida
africana, anche attraverso missioni e misure di assistenza dell’UE, nonché dello
sviluppo di capacità in materia di contrasto. Punteremo a effettuare visite
congiunte sul campo con l’Unione africana e a realizzare un più stretto
coordinamento a livello di pianificazione e condotta operative; intensificheremo
anche la cooperazione trilaterale UE-UA-ONU.
7371/22 via/md/S 46
ALLEGATO RELEX.5 IT
Livello bilaterale
• Perseguiremo una cooperazione più stretta e reciprocamente vantaggiosa con gli Stati
Uniti. Dal 2022 porteremo avanti un dialogo specifico in materia di sicurezza e difesa,
sulla base della dichiarazione del vertice del giugno 2021.
• Approfondiremo la nostra cooperazione con la Norvegia e il Canada sulla base dei
dialoghi esistenti. Restiamo aperti al dialogo in materia di sicurezza e difesa con il Regno
Unito.
• Intensificheremo i dialoghi in materia di sicurezza e difesa con i nostri partner dei Balcani
occidentali, del vicinato orientale e del vicinato meridionale, della regione indopacifica e dell’America latina. Inoltre, nello specifico:
o rafforzeremo la nostra cooperazione in materia di sicurezza e difesa con i partner
orientali, al fine di rafforzarne la resilienza, anche contro gli attacchi ibridi e le
minacce informatiche, e promuoveremo un sostegno su misura e lo sviluppo di
capacità nel settore della sicurezza e della difesa;
o sosterremo gli sforzi tesi a rafforzare la resilienza dei nostri partner dei Balcani
occidentali; o offriremo pacchetti di sicurezza più completi ai partner del vicinato meridionale; o cercheremo di coinvolgere ulteriormente i partner africani nei nostri sforzi in materia di sicurezza e difesa nel continente e di sostenere le iniziative a guida
africana che contribuiscono alla pace e alla sicurezza, in particolare le operazioni
di pace a guida africana, in linea con il vertice UE-UA del 2022;
o entro il 2023, procederemo a esercitazioni marittime reali con i partner nella
regione indo-pacifica, oltre ad aumentare la frequenza degli scali portuali e dei
pattugliamenti nei porti da parte dell’UE.
• A integrazione dei nostri sforzi di gestione delle crisi, sfrutteremo appieno lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale e altri programmi
pertinenti dell’UE e faremo maggiore ricorso allo strumento europeo per la pace al fine di
intensificare lo sviluppo di capacità, fornire formazione ed equipaggiamenti ai nostri
partner in Africa, nel vicinato orientale e nel vicinato meridionale come pure nei Balcani
occidentali, nonché per rafforzarne la resilienza contro le minacce ibride.
• Per dare impulso ai nostri sforzi diplomatici internazionali nel settore della sicurezza e
della difesa, rafforzeremo la rete dei consulenti militari e degli esperti antiterrorismo
nelle delegazioni dell’UE.
7371/22 via/md/S 47
ALLEGATO RELEX.5 IT
6. CONCLUSIONE
Il mondo che abbiamo davanti sta subendo cambiamenti rapidi e drastici. In Europa è scoppiata una guerra di grave portata. Come Unione europea, stiamo adottando azioni immediate e senza precedenti. Insieme ai nostri partner, difendiamo l’ordine di sicurezza europeo e globale e rafforziamo la nostra posizione geopolitica.
La presente bussola strategica illustra le modalità con cui l’Unione europea e i suoi Stati membri rafforzeranno la nostra sicurezza e difesa. Nel corso del prossimo decennio compieremo un deciso salto di qualità per diventare un garante della sicurezza più assertivo e deciso, meglio preparato ad affrontare le minacce e le sfide presenti e future. La nostra capacità di dispiegamento, esercitazione e pianificazione comuni è fondamentale per realizzare la nostra ambizione. Dobbiamo inoltre essere più resilienti alle minacce ibride, agli attacchi informatici e ai rischi legati al clima, alle catastrofi naturali e alle pandemie. Dobbiamo assicurare il nostro accesso ai settori strategici.
Dobbiamo aumentare e migliorare gli investimenti. Investimenti più mirati e coordinati in capacità e meccanismi di difesa innovativi aumenteranno la nostra capacità di agire e ridurranno le dipendenze strategiche indesiderate. E i partenariati rafforzati contribuiranno ad aumentare la nostra sicurezza.
Nel portare avanti questo processo dobbiamo garantire sinergie con i lavori svolti nell’ambito dell’Unione della sicurezza, nonché con altre politiche e iniziative pertinenti della Commissione.
Le azioni descritte nella presente bussola strategica sono ambiziose, ma realizzabili con un impegno politico costante. La bussola fornisce la prospettiva strategica e illustra gli strumenti e le iniziative necessari per garantire un’azione dell’UE più rapida, decisa e incisiva. Nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi anni, l’UE è collettivamente poco attrezzata per contrastare l’intera gamma di minacce e sfide che si trova ad affrontare. Alla luce delle attuali sfide in materia di sicurezza, dobbiamo cambiare questa situazione rapidamente e ridurre il divario tra le nostre aspirazioni e le nostre azioni.
L’alto rappresentante, in consultazione con la Commissione e l’Agenzia europea per la difesa, elaborerà annualmente una relazione sui progressi compiuti, che fungerà da base per gli orientamenti politici delle nostre iniziative forniti dalla riunione del Consiglio europeo. Sulla base della revisione dell’analisi della minaccia del 2025 e del conseguimento degli obiettivi chiave previsti, l’alto rappresentante presenterà proposte per un’eventuale revisione della presente bussola strategica. Insieme attueremo i nostri obiettivi comuni in materia di sicurezza e difesa per costruire un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e che contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali.

https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-7371-2022-INIT/it/pdf

Nuovo Mao o vecchio Deng?_di jacopo1949

Il titolo della newsletter è esplicativo,quindi dico solo da dove è tratto il testo così entriamo subito nel vivo della faccenda.

Da questo,che direi è IL LIBRO su cosa è il Partito Comunista Cinese nel 2023.Ogni capitolo analizza un aspetto differente,e lo studioso che lo scrive è vario,è sostanzialmente una miscellanea.Si spazia da cosa vuol dire essere un partito leninista nel 2022,l’onnipresente rapporto con il settore privato,cosa vuol dire la svolta ideologica del decennio di Xi e molto altro.

Se avete una domanda sul PCC probabilmente questo libro ha un capitolo dedicato.

L’autrice del capitolo tradotto è Yue Hou è stata borsista post-dottorato del CSCC nel 2015-2016. Attualmente è assistente professore di Janice e Julian Bers nelle Scienze Sociali presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università della Pennsylvania.

I suoi interessi di ricerca includono le istituzioni autoritarie, le relazioni tra imprese e Stato, l’economia politica dello sviluppo e la politica etnica, con un focus regionale sulla Cina. Il suo libro Il settore privato negli uffici pubblici: Selective Property Rights in China (ottobre 2019, Cambridge University Press) esamina le strategie che gli imprenditori privati cinesi utilizzano per proteggere la proprietà dall’esproprio. Ha conseguito il dottorato in Scienze Politiche al MIT e la laurea in Economia e Matematica al Grinnell College.


L’anno 2021 segna il 100° anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese (PCC) e dà il benvenuto al quinto decennio di riforma e apertura della Cina. Nel 1978, il leader visionario Deng Xiaoping lanciò le riforme del Paese orientate al mercato: il settore privato partiva da zero, ma fiorì rapidamente. Nel 2018, il settore privato ha contribuito a più del 50% del gettito fiscale totale, a più del 60% del PIL, a più del 70% dei “risultati dell’innovazione tecnologica” e a più dell’80% dell’occupazione del Paese.1Ci sono stati nuovi sviluppi incoraggianti nelle riforme del mercato dei capitali (ad es, lo sviluppo dello Star Market of Startups di Shanghai e del ChiNext Board di Shenzhen); la prosecuzione della riforma delle imprese statali (SOE) e gli sforzi in altre aree come la gestione del territorio, la registrazione delle famiglie e il sistema sanitario.Pechino ha ampliato il numero delle sue zone pilota di libero scambio (FTZ), ha aderito a un grande accordo di libero scambio, il Partenariato Economico Regionale Comprensivo (RCEP), e ha firmato un accordo storico Cina-Unione Europea (UE) due giorni prima dell’inizio del 2021. La disputa commerciale in corso con gli Stati Uniti e i suoi alleati, combinata con un rallentamento economico interno esacerbato dalla pandemia COVID-19, ha anche presentato al settore privato cinese sfide senza precedenti. Questo capitolo analizza l’evoluzione del rapporto tra il Partito Comunista Cinese (il Partito) e il settore privato, con un focus sull’era Xi.

Il Partito e il settore privato da Mao a Hu

Durante l’era repubblicana (1919-1949), molti imprenditori cinesi sostennero il PCC (così come il Kuomintang [KMT] o Partito Nazionalista Cinese) per combattere l’invasione giapponese, fornendo aiuto materiale e logistico. Questi imprenditori o industriali sono stati definiti la prima generazione di “capitalisti rossi” (红色资本家) e comprendevano nomi famosi come Rong Yiren. Per coloro che rimasero in Cina dopo la presa di potere del PCC, le loro imprese furono per lo più convertite in partenariati pubblico-privati (公私合营) entro il 1956, un processo che eliminò essenzialmente il settore privato. Alcuni di questi capitalisti si sono uniti a partiti satellite come Minjian (民建) e hanno partecipato a consultazioni politiche.4 Alcuni sono stati perseguitati durante la Rivoluzione Culturale. Il settore privato ha iniziato a riemergere con l’avvento dell’era delle riforme. Negli anni ’80, il settore privato era dominato dalle imprese individuali, che assumevano non più di otto lavoratori. Per proteggersi, molte indossavano un “cappello rosso”: erano formalmente registrate come imprese collettive, ma erano essenzialmente di proprietà e gestione privata. Dorothy Solinger sottolinea la “persistente ambivalenza dell’élite centrale sul modo in cui dovrebbe promuovere senza riserve un settore attivo del piccolo commercio” negli anni ’80; inoltre, la riforma economica urbana non è nata da una “posizione di principio a favore dell’impresa privata”.5 La nuova “borghesia” urbana di questo decennio non disponeva di mezzi di produzione propri, di capitale indipendente e di forniture di materiali, ed era ancora largamente dipendente dallo Stato e dalle sue istituzioni.6 Le imprese di borgata e di villaggio (TVE) si sono sviluppate vigorosamente nella Cina rurale durante gli anni ’80 e hanno contribuito all’industrializzazione rurale. Queste TVE erano di proprietà collettiva, ma i governi locali hanno assunto molte caratteristiche delle società commerciali, con i funzionari che agivano come “l’equivalente di un consiglio di amministrazione”, creando una struttura istituzionale definita da Jean Oi come “corporativismo statale locale”.7 Il sistema fiscale di condivisione delle entrate e lo standard di valutazione dei quadri hanno fornito forti incentivi ai funzionari locali per promuovere lo sviluppo industriale locale.8 Yasheng Huang sostiene che la stragrande maggioranza di queste TVE dovrebbe essere considerata un’impresa privata e, secondo le sue stime, 10 milioni di TVE su 12 milioni erano palesemente private già nel 1985.9 Queste TVE hanno perso gradualmente la loro competitività negli anni ’90, quando il settore privato è stato riconosciuto e legalizzato. A metà degli anni ’90, i funzionari locali decisero di vendere un numero crescente di aziende di proprietà collettiva che erano diventate troppo costose da gestire, e lo “Stato corporativo locale” si adattò per aiutare le aziende private ad andare avanti.10 Dopo il decisivo Tour del Sud di Deng nel 1992, il settore privato decollò di nuovo e si espanse rapidamente. Questo decennio è stato testimone di una nuova ondata di “capitalisti rossi” – imprenditori con stretti legami politici e personali con il PCC o che sono stati cooptati nel partito dopo aver dimostrato di avere successo negli affari.11 Il 1° luglio 2001, l’ottantesimo anniversario della fondazione del PCC, l’allora segretario del partito Jiang Zemin ha proposto che gli imprenditori privati potessero entrare nel PCC. Nel 2002, la Costituzione del PCC ha incluso la teoria delle “Tre Rappresentanze”, proclamando che il PCC ora rappresenta anche gli interessi delle “nuove forze produttive avanzate”. Durante l’era di Jiang e Zhu (1993-2003), la Cina ha creato numerose zone economiche speciali e zone di sviluppo speciali per attrarre investimenti diretti esteri e aziende straniere, che non solo hanno portato capitali e occupazione, ma hanno anche introdotto tecnologie avanzate e idee di gestione nelle aziende cinesi. Nel 2001, la Cina ha aderito all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e la sua integrazione economica con il mondo ha subito un’accelerazione. Nel 2004, la Cina era diventata nota come la “fabbrica del mondo”, non solo per il volume del suo commercio internazionale, ma anche per l’ampiezza della sua copertura settoriale.12 Un’altra riforma importante di quest’epoca è la riforma delle SOE, guidata dall’allora premier Zhu Rongji alla fine degli anni ’90; tuttavia, si trattava di un processo già avviato all’inizio degli anni ’90. La riforma è nota anche come “afferrare il grande, lasciare andare il piccolo”. Per le SOE grandi e strategicamente importanti, la politica era quella di “afferrare”, ossia le grandi aziende statali dovevano essere fuse in grandi conglomerati industriali e il controllo doveva essere consolidato dal governo centrale o locale. Le piccole SOE, invece, dovevano essere chiuse o vendute.13 La riforma, sebbene abbia creato decine di milioni di disoccupati urbani, ha abbassato in modo significativo le barriere all’ingresso degli imprenditori privati, molti dei quali hanno acquistato queste piccole SOE che erano state lasciate andare e le hanno trasformate in imprese private redditizie. Per esempio, il Gruppo Hangzhou Wahaha, il più grande produttore di bevande in Cina, era originariamente una fabbrica locale di proprietà statale – la Hangzhou Canned Food Factory – che è stata acquistata da Zong Qinghou. Zong l’ha trasformata in un’azienda redditizia nel giro di pochi mesi.14 Le amministrazioni Hu e Wen (2003-2013) hanno continuato a sostenere il settore privato. Tra le prime venti aziende private più grandi della Cina, misurate in base alla capitalizzazione di mercato del 2019, quasi la metà sono state fondate durante il secondo mandato di Jiang e sono diventate grandi e internazionali durante l’era Hu, mentre quattro sono state fondate durante questo periodo (vedere tabella 8-1). Queste aziende private di successo sono concentrate in tre regioni: il Delta delle Perle, il Delta dello Yangtze e Pechino. In termini di politiche governative, le più rilevanti e degne di nota sono state le “vecchie 36” (非公经济 36条) e le “nuove 36” (新36条), emesse nel 2005 e nel 2010 dal Consiglio di Stato. Questi documenti hanno specificato le politiche che sostengono il settore privato e il capitale negli investimenti, nell’eliminazione delle barriere all’ingresso, nella promozione della collaborazione con le aziende di Stato e nell’innovazione interna e nella riqualificazione industriale.15 È importante notare che l’amministrazione di Hu e Wen ha superato la crisi finanziaria globale del 2008 in gran parte grazie a un massiccio pacchetto di stimoli da 4.000 miliardi di yuan (586 miliardi di dollari). L’attuazione di questo piano di stimolo ha beneficiato molto di più il settore statale che quello privato. Molti si sono lamentati che il piano di stimolo ha causato “l’arretramento del settore privato e l’avanzamento del settore statale” (Guo Jin Min Tui, 国进民退). La nuova “politica dei 36” è stata quindi vista come una risposta a questo acceso dibattito “Guo Jin Min Tui”. Il premier Wen Jiabao ha dovuto uscire in pubblico e denunciare più volte il tormentone “Guo Jin Min Tui”.

Il settore privato nell’era Xi

Il diciottesimo Congresso del Partito nel 2012 ha segnato una transizione di potere fondamentale da Hu Jintao a Xi Jinping, mentre il Comitato permanente del Politburo è stato ridotto da nove a sette membri. Lo stesso Congresso del Partito ha sottolineato che avrebbe “consolidato e sviluppato il settore di proprietà pubblica, mentre [avrebbe] incoraggiato, sostenuto e guidato i settori non pubblici”. Il Consiglio di Stato ha poi emesso diverse opinioni per “incoraggiare, sostenere e guidare lo sviluppo” del settore non pubblico.16 Queste opinioni riguardanti l’accesso al mercato e un maggiore sostegno fiscale e finanziario per il settore non pubblico erano coerenti con le politiche dei “nuovi 36”. Durante il tanto atteso Terzo Plenum del Diciottesimo Comitato Centrale nel 2013, il partito ha annunciato che deve garantire che “il mercato abbia un ruolo decisivo nell’allocazione delle risorse”. Il cambiamento di linguaggio che descriveva il mercato da un “ruolo di base” (基础性作用, 1997, Quindicesimo Congresso del Partito) a un “ruolo decisivo” (决定性作用) è stato così significativo che molti osservatori hanno creduto che segnalasse l’impegno del Presidente Xi a riforme fondamentali e profonde orientate al mercato. Il settore privato ha continuato a crescere rapidamente in un ambiente di diritti di proprietà incompleti e selettivi durante questo periodo.Nel 2010, circa il 90% del totale delle aziende registrate era costituito da aziende private, e la loro quota è cresciuta fino al 94% nel 2014.2I settori tradizionalmente monopolizzati dal capitale statale hanno iniziato ad aprirsi al capitale privato. Ad esempio, nel 2014, la China Banking Regulatory Commission ha rilasciato cinque licenze a banche di proprietà privata, segnando la prima volta dal 1949 che il capitale privato è stato ammesso nel settore bancario. Una pietra miliare si è verificata all’inizio del 2015, quando il Premier Li Keqiang ha visitato WeBank – una delle prime cinque banche di proprietà privata – e ha premuto il tasto “enter” su un terminale per avviare il primo prestito per piccole imprese della banca a un camionista, per un importo di 35.000 yuan.3Se il decennio precedente ha visto le aziende private cinesi crescere in grande, questo decennio ha visto alcune di queste aziende private diventare sempre più innovative e competitive a livello globale. La crescita annuale della Cina era rallentata a circa il 6-7% dal 2012, e l’economia si trovava ad un “bivio con salari molto più alti e una forza lavoro in calo”.Pechino si è resa conto che la crescita futura sarebbe dipesa da un aumento della produttività, e l’innovazione interna è fondamentale per facilitare la transizione. Un’iniziativa politica importante e rilevante è “Made in China 2025”, annunciata per la prima volta dal Premier Li Keqiang nel 2015. I principi guida di questa politica sono “fare in modo che l’industria manifatturiera… sia guidata dall’innovazione, enfatizzare la qualità rispetto alla quantità, raggiungere uno sviluppo verde, ottimizzare la struttura dell’industria cinese e coltivare il capitale umano”.L’iniziativa politica non individua il settore privato, ma le industrie prioritarie – tra cui la nuova tecnologia dell’informazione avanzata, le macchine utensili automatizzate e la robotica, nonché i veicoli e le attrezzature a nuova energia – sono per lo più guidate da aziende private.22 I finanziamenti governativi per la ricerca e lo sviluppo (R&S) sono cresciuti di trenta volte tra il 1991 e il 2016, e il numero continua ad aumentare. Tra tutti gli operatori economici, le aziende private dedicano una quota maggiore dei loro ricavi alla R&S rispetto ad alcune SOE e persino ai concorrenti internazionali. Ad esempio, Alibaba ha superato PetroChina (una SOE) per diventare il primo investitore pubblico in R&S del Paese nel 2016, e Huawei ha investito più denaro in R&S di Apple nel 2016.Il sostegno del Governo all’innovazione e alla R&S è coerente con una componente importante delle riforme strutturali “dal lato dell’offerta” di Xi: l’aggiornamento tecnologico e industriale. Il Premier Li si è anche impegnato nel suo Rapporto governativo del 2018 al Congresso Nazionale del Popolo a “portare le industrie cinesi verso la fascia medio-alta della catena del valore globale e a promuovere una serie di cluster produttivi avanzati di livello mondiale”.4Sebbene la Cina stia ancora combattendo duramente contro la reputazione di lunga data di quello che Mike Pence ha definito il suo “furto all’ingrosso” di tecnologia occidentale, altri sostengono che le aziende statunitensi che fanno affari con la Cina hanno incassato pagamenti di royalties record per le loro proprietà intellettuali e i loro profitti grazie all’accesso alla manodopera, ai fornitori e al mercato dei consumatori cinesi.La Cina ha compiuto progressi significativi in aree come l’intelligenza artificiale (AI), la robotica, l’aerospaziale, la tecnologia 5G, la guida autonoma, l’informatica quantistica, i veicoli elettrici e i pagamenti mobili. La stragrande maggioranza delle aziende che stanno dietro a questi sviluppi sono aziende private. Infatti, la Cina conta oggi nove delle venti aziende tecnologiche più grandi del mondo – Alibaba, Tencent, Ant Financial, ByteDance, Baidu, Didi Chuxing, Xiaomi, Meituan Dianping e JD.com – tutte provenienti dal settore privato (tabella 8-1). Queste aziende private, spinte da un’intensa concorrenza, stanno lavorando senza sosta per creare nuovi prodotti e sviluppare nuovi modelli di business, e stanno investendo più che mai in Ricerca e Sviluppo. In termini di numero di brevetti concessi dall’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti (USPTO), nel 2005 le aziende cinesi hanno ottenuto un totale di 402 brevetti, mentre nel 2014 il numero è salito a 7.236. In termini di brevetti nazionali, il numero totale di brevetti concessi dallo State Intellectual Property Office (SIPO) cinese è cresciuto di circa il 60% tra il 2010 e il 2014.Sebbene molti problemi strutturali limitino ancora lo sviluppo del settore privato, l’economia cinese e il suo assetto politico offrono vantaggi strutturali unici per l’adozione di alcune tecnologie, come l’intelligenza artificiale. La ricerca all’avanguardia sull’AI si svolge ancora principalmente in Nord America, ma l’implementazione e le applicazioni dell’AI sono aumentate a dismisura in Cina, grazie a una serie di punti di forza unici, tra cui l’abbondanza di dati, un panorama imprenditoriale veloce e un “governo che adatta le infrastrutture pubbliche tenendo conto dell’AI”.Lee Kai-fu osserva che il modello di sviluppo dell’AI in Cina non si basa su una pianificazione dall’alto verso il basso; Pechino invece avvia un concetto e poi incoraggia i funzionari locali a definire politiche specifiche in modo che altri attori (ad esempio, le aziende private) possano innovare. Molte iniziative a livello locale, come i parchi industriali AI, stanno proliferando. Un articolo della rivista Nature si meraviglia del fatto che “[un] nuovo ‘hub di innovazione’ sembra essere lanciato in Cina ogni settimana”, con oltre 1.600 incubatori d’impresa nel 2016.5 Quando Xi ha iniziato il suo secondo mandato, studiosi come Nicholas Lardy hanno sostenuto che il PCC non ha rispettato il suo impegno di riforme pro-mercato e che il mercato non ha svolto un ruolo “decisivo” nell’economia, come il Terzo Plenum aveva proposto nel 2013. Ma nello stesso annuncio fatto durante il Terzo Plenum del Diciottesimo Congresso del Partito, il partito ha anche chiesto di “consolidare e sviluppare incessantemente l’economia pubblica… dando pieno spazio al ruolo di guida del settore statale, aumentandone continuamente la vitalità, la forza di controllo e l’influenza”, indicando che il partito non era ancora pronto a rinunciare al trattamento preferenziale del settore statale. Inoltre, questo periodo ha visto un’espansione del capitale statale oltre la proprietà delle aziende. Questa modalità di “Stato investitore” dà potere alle aziende private con lo Stato che si fa carico di rischi finanziari, ma lo Stato può anche monitorare e influenzare queste aziende private. 6 C’è un ritiro totale al capitalismo di Stato? Le figure 8-1, 8-2 e 8-3 mostrano tutte una chiara continuità della crescita del settore privato (nel numero di aziende quotate in borsa, nell’occupazione e nella produzione di ricerca e sviluppo) da quando Xi ha preso il potere. Non è sconcertante che le SOE persistano in Cina, mentre il settore privato continua ad espandersi: Le SOE svolgono funzioni strategiche e politiche per lo Stato che le aziende private non svolgono. Le SOE cinesi promuovono la politica industriale indirizzando le risorse verso settori mirati, progetti statali prioritari e iniziative come la Belt and Road Initiative (BRI).7Le SOE svolgono anche funzioni di ridistribuzione e di mantenimento della stabilità, investendo in infrastrutture nelle province più povere e attraverso un’occupazione mirata durante le crisi.8 Le aziende private hanno meno probabilità di essere incaricate di questi mandati politici, sebbene partecipino anche alle varie campagne del PCC, come la campagna di Xi per la riduzione della povertà. Il settore privato continua ad affrontare una serie di sfide nuove o già esistenti da quando il Presidente Xi è entrato in carica; alcune sono politiche, altre no. La sfida politica più grande è stata il controllo più stretto del Partito. Durante il Diciannovesimo Congresso del Partito, il Presidente Xi ha sottolineato l’importanza di “garantire la leadership del partito su tutto ciò che viene fatto”.In effetti, il requisito di tutte le entità con più di tre membri del partito di creare un’unità di partito è scritto nella Costituzione del partito dal 1925.Nel 2017, oltre il 73% delle aziende cinesi aveva un’organizzazione di partito. L’affermazione di Xi secondo cui le aziende statali sono “la forza più affidabile per il partito e lo Stato” e “il fondamento materiale e politico del socialismo con caratteristiche cinesi” ha comprensibilmente preoccupato i proprietari di aziende private. Non si tratta solo di retorica: il Governo ha già esercitato pressioni su alcune grandi aziende tecnologiche private affinché offrissero allo Stato un ruolo diretto nella gestione aziendale.9In un sondaggio condotto dalla Scuola Centrale del Partito durante questo periodo, circa il 30% degli imprenditori privati intervistati si è detto preoccupato per l’intervento del Partito nelle loro attività commerciali.10

Un’altra tattica per instillare il controllo dello Stato e del partito nelle aziende private è quella di inviare funzionari nominati dallo Stato nelle aziende private. Questi funzionari “inviati” assumono una varietà di posizioni. Per esempio, la città di Qingdao, nella provincia di Shandong, ha recentemente inviato novantadue “primi presidenti di sindacato” di nomina governativa in varie aziende private locali e organizzazioni non statali. A questi quadri è stato richiesto di trascorrere almeno otto giorni al mese presso l’azienda per creare e gestire i sindacati controllati dallo Stato per la durata di due anni.Nella provincia di Anhui, questi quadri inviati sono chiamati “istruttori di costruzione del partito” (党建指导员), e come parte del loro ruolo, devono “assistere le aziende” nella gestione delle loro risorse politiche e amministrative.Mentre questa politica ha fatto sì che alcuni imprenditori privati si preoccupassero dell’intervento dello Stato nelle loro attività, altri hanno riscontrato che questi funzionari hanno adottato un approccio favorevole alle imprese, fornendo alle aziende ospitanti servizi e benefici come l’accesso a prestiti bancari, opportunità commerciali e reti politiche. In alcuni casi, questi funzionari di partito “inviati” hanno indagato e migliorato le condizioni di lavoro sul posto di lavoro. Di conseguenza, sono apprezzati dai lavoratori ordinari di queste aziende private.In terzo luogo, c’è stata un’espansione del capitale statale sia all’interno che al di fuori della proprietà delle aziende statali. 11 La riforma in corso delle SOE e, più specificamente, la spinta alla proprietà mista ha invitato il capitale privato nelle aziende statali. Hao Chen e Meg Rithmire dimostrano che affidare ai manager privati il capitale statale ha permesso allo Stato di indirizzare la politica industriale e di fornire liquidità alle aziende bisognose; d’altro canto, ha anche generato corruzione, comportamenti di moral hazard e sospetto internazionale nei confronti delle aziende cinesi di ogni tipo.Molte aziende private cercano attivamente finanziamenti statali e affiliati allo Stato. Jack Ma e Ant Financial (che in seguito è diventata Ant Group), ad esempio, hanno cercato in modo proattivo finanziamenti dal Consiglio Nazionale per il Fondo di Sicurezza Sociale nel 2014, e l’attuale presidente esecutivo di Ant Group continua a definire questo accordo una situazione “win-win”.Più recentemente, il partito ha chiesto alle grandi SOE cinesi di lavorare con le piccole e medie imprese per costruire nuovi campioni globali. Il capo della State-Owned Assets Supervision and Administration Commission (SASAC) ha promesso che la sua istituzione farà in modo che le grandi SOE collaborino con le aziende più piccole per “costruire catene di fornitura e formare cluster industriali nei settori in cui la Cina ha un vantaggio”, indipendentemente dal tipo di proprietà dell’azienda.12Mentre alcuni potrebbero vedere questo come un ulteriore caso di ingresso del capitale statale nelle aziende private, altri lo vedono come un’opportunità per le aziende private più piccole di utilizzare le risorse che la SASAC ha da offrire e di diventare più competitive a livello nazionale e persino globale. Oltre alle preoccupazioni per un controllo più forte e diretto da parte del partito, il settore privato deve affrontare diverse altre sfide nazionali significative, molte delle quali sono problemi già esistenti (prima della amministrazione Xi). Il primo problema è l'”eccesso di leva finanziaria” (ossia l’eccessivo indebitamento). Nel 2015, la leva finanziaria della Cina è salita a un livello allarmante di 2,1, misurato dal rapporto tra il debito in essere (escluso il debito del Governo centrale) rispetto al PIL. Una parte sostanziale della leva finanziaria proveniva da un settore bancario ombra in piena espansione.46 Secondo Yi Gang, capo della People’s Bank of China (PBOC, la banca centrale cinese), il rapporto di leva finanziaria della Cina si è “stabilizzato invece di accelerare rapidamente”.Tuttavia, la riduzione della leva finanziaria dell’economia è stata ottenuta a un prezzo elevato. Il settore bancario ombra – da cui molte aziende private più piccole hanno preso in prestito – è stato colpito duramente dalla campagna nazionale di riduzione della leva finanziaria dell’economia. Durante la contrazione del credito, alcuni imprenditori privati in difficoltà non hanno avuto altra scelta che vendere allo Stato o alle SOE. Secondo lo Shanghai Securities News, più di ventitré aziende private hanno accettato di vendere quote di controllo delle loro attività a imprese controllate dallo Stato nel 2018.13Il numero è probabilmente destinato ad aumentare a seguito del COVID-19. Molti sostengono che la campagna di deleveraging abbia preso di mira i settori sbagliati. Un’argomentazione è che le SOE hanno avuto una leva finanziaria molto più elevata rispetto alle aziende private, ma la campagna di deleveraging ha erroneamente preso di mira il settore privato, danneggiando la sua liquidità.Un’altra argomentazione è che il deleveraging dovrebbe colpire le aziende zombie (ossia quelle che non sono in grado di coprire i costi di servizio del debito con i loro profitti attuali), che di solito sono grandi aziende; piuttosto che le piccole e micro imprese (PMI), che di solito sono aziende private. La semplice chiusura di tutte le aziende zombie comporterebbe una riduzione di 4-5 punti percentuali del tasso di leva finanziaria complessivo, secondo una stima.Il settore privato ha sofferto a lungo di un’elevata pressione fiscale. Quasi tutti gli imprenditori privati che ho intervistato durante il mio lavoro sul campo dal 2013 al 2017 hanno menzionato l'”aliquota fiscale eccessivamente alta” come l’ostacolo principale alla gestione della loro attività.La nuova riforma dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) (2016-oggi) ha colpito diversi tipi di aziende in modi diversi. Il nuovo codice fiscale ha fatto sì che le SOE e le altre grandi imprese abbiano beneficiato di una riduzione delle imposte, mentre molte piccole imprese e microimprese hanno subito un aumento dell’aliquota fiscale effettiva. Secondo una stima, l’importo totale delle imposte pagate dalle SOE è diminuito del 6,5% in seguito alla riforma dell’IVA, mentre l’aliquota fiscale del settore privato è aumentata del 16,8%.14 Per molte aziende private, la sfida esterna più grande è stata l’escalation delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Nel luglio 2018, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dato seguito alle sue minacce di imporre tariffe massicce sui beni cinesi, per le pratiche commerciali sleali della Cina. Il 15 gennaio 2020, gli Stati Uniti e la Cina hanno firmato l’accordo commerciale di Fase Uno, con disposizioni per un parziale ritiro delle tariffe, ma questo accordo ha anche lasciato un potenziale maggiore di tariffe nell’accordo commerciale di Fase Due, che ora è stato ritardato a causa del peggioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina a causa della pandemia. Nell’agosto 2020, gli Stati Uniti avevano imposto tariffe su prodotti cinesi per un valore di 500 miliardi di dollari, mentre la Cina aveva imposto tariffe su merci statunitensi per un valore di 185 miliardi di dollari.Non tutte le aziende private soffrono allo stesso modo di questi problemi interni ed esterni; i “campioni nazionali” di grandi dimensioni e di successo hanno affrontato sfide esterne più difficili durante la guerra commerciale. Il termine “campioni nazionali” veniva utilizzato per descrivere le grandi SOE che lo Stato trattava in modo preferenziale, ma ora anche alcune aziende private sono considerate campioni nazionali. Un esempio è Huawei, un gigante delle telecomunicazioni gestito privatamente, che si è trovato in una corsa a due con ZTE, un’azienda di telecomunicazioni sostenuta dallo Stato, anch’essa con sede nella città di Shenzhen. Lo status non statale di Huawei non l’ha messa in una posizione di svantaggio rispetto a ZTE in termini di sostegno governativo, e gli analisti definiscono la situazione ZTE-Huawei “fondamentalmente un duopolio”.15 La competizione tra un’azienda statale e un’azienda privata ha portato a un settore delle telecomunicazioni più innovativo e competitivo a livello globale, nonché a due campioni nazionali. I campioni nazionali privati, come Huawei, Alibaba e Tencent, non si preoccupano troppo dell’accesso al credito e delle tasse che non possono permettersi, ma questi campioni nazionali devono affrontare un’altra serie di sfide internazionali: le loro relazioni con il Governo e la percezione internazionale dell’intimità di queste relazioni. Huawei è un caso emblematico. Anche se Huawei non è un’azienda statale e il suo CEO Ren Zhengfei ha dichiarato pubblicamente che “rifiuterebbe sicuramente” se Pechino chiedesse i dati dei clienti – cosa che non ha mai fatto – i Paesi occidentali si preoccupano ancora dei legami dell’azienda con il Governo, dei legami di Ren con l’esercito e, più in generale, della conformità delle aziende cinesi con la legge cinese. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno già bloccato le aziende dall’utilizzo delle apparecchiature di rete di Huawei e l’azienda è stata aggiunta all’elenco del Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti nel maggio 2019.Nell’agosto 2020, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha annunciato che avrebbe ampliato le restrizioni volte a limitare l’accesso di Huawei ai chip realizzati con software e apparecchiature americane, citando nuovamente le preoccupazioni per la sicurezza nazionale, in quanto Huawei ha stretti legami con il governo cinese.Gli Stati Uniti hanno anche esercitato pressioni sugli alleati di tutto il mondo affinché facessero lo stesso nei confronti di Huawei. Di recente, il Regno Unito ha scelto di bandire Huawei dalla sua infrastruttura 5G, in modo che le apparecchiature dell’azienda debbano essere rimosse entro il 2027. Inutile dire che questi contraccolpi del mercato globale hanno già danneggiato Huawei e altre aziende simili. Gli Stati Uniti hanno anche iniziato a esercitare controlli più severi sulle esportazioni di AI e altre tecnologie dalla Cina, una tendenza preoccupante che sicuramente influenzerà molte aziende private e soffocherà l’innovazione. Le aziende private partecipano a progetti avviati dal Governo, come la costruzione di città intelligenti, la facilitazione dello sviluppo rurale, la fornitura di servizi pubblici (maggiori informazioni su questo argomento nella prossima sezione) e persino l’applicazione delle leggi, ma secondo quanto riferito, le aziende private hanno rifiutato le richieste di dati da parte del Governo cinese.16 Oltre alle aziende private cinesi che segnalano il loro orientamento commerciale, l’economista Michael Spence consiglia al Governo cinese di impegnarsi in modo più credibile per isolare le aziende private da agende che coinvolgono la sicurezza nazionale. TikTok è un altro caso in questione. TikTok è una popolare applicazione di social network per la condivisione di video, di proprietà di ByteDance, un’azienda privata con sede a Pechino. Nell’aprile 2020, l’app contava 800 milioni di utenti mensili attivi a livello globale e 26,5 milioni di utenti residenti negli Stati Uniti.Diversi politici statunitensi hanno segnalato il loro sospetto nei confronti di TikTok nel 2019, considerandola una “potenziale minaccia di controspionaggio che non possiamo ignorare” e il Governo degli Stati Uniti ha presto avviato un’indagine di sicurezza nazionale sull’app. TikTok ha dichiarato che tutti i dati dei suoi utenti statunitensi sono archiviati negli Stati Uniti e sottoposti a backup a Singapore, e ha affermato che nessuno dei suoi dati è “soggetto alla legge cinese”, ma gli scettici insistono sul fatto che “basta bussare alla porta della loro società madre, con sede in Cina, da parte di un funzionario del Partito Comunista, perché quei dati vengano trasferiti nelle mani del governo cinese, ogni volta che ne ha bisogno”.Un “cappello rosso”, una volta proteggeva le imprese private, ma ora è diventato un peso per gli imprenditori che desiderano espandere le loro attività all’estero. Ma non indossare il cappello rosso non sembra essere sufficiente. Zhang Yiming, il fondatore di ByteDance, sottolinea ripetutamente di non essere un membro del partito.Ma tali affermazioni hanno poco significato in un contesto di crescente diffidenza nei confronti delle aziende cinesi in Occidente. Fondamentalmente, la mancanza di un sistema giudiziario indipendente in Cina e, più in generale, la mancanza di controlli istituzionali sul potere del PCC rendono impossibile per queste aziende private cinesi dichiarare in modo credibile la loro indipendenza dal PCC quando espandono le loro attività all’estero. Questa potrebbe essere una delle sfide più urgenti che le aziende tecnologiche cinesi devono affrontare. Infine, la pandemia COVID-19 porta nuove sfide al settore privato. A causa del COVID-19, la crescita del PIL della Cina nel 2020 è rallentata al 2,3%. Molte aziende private hanno dichiarato bancarotta e il tasso di disoccupazione è aumentato. La domanda del mercato globale si è indebolita, ma si sta lentamente riprendendo. In alcuni poli manifatturieri, le fabbriche sono rimaste chiuse per un lungo periodo di tempo, poiché le scadenze per le consegne dei prodotti sono state posticipate a causa del calo della domanda globale.In risposta, il Ministero delle Finanze ha emesso un documento ampiamente definito come le “Sei Garanzie” (六保) nel luglio 2020. In termini di garanzia dell’occupazione, le nuove politiche fiscali includono sussidi per l’occupazione e per gli interessi e la proroga delle scadenze o lo sgravio dei pagamenti previdenziali per le aziende. Le industrie gravemente colpite dalla pandemia (ad esempio, trasporti, viaggi, ospitalità, ecc.) riceveranno un ulteriore sostegno.Questi pacchetti di stimolo da mille miliardi di yuan sono utili, ma sembrano avvantaggiare maggiormente le imprese più grandi e le aziende statali rispetto a quelle più piccole e private.17Secondo una stima, all’inizio del 2020 la Cina aveva circa 80 milioni di imprese private, e solo circa un terzo aveva ricevuto un modesto sostegno al credito per far fronte alla crisi COVID.Gli analisti si preoccupano già del fatto che i fondi di stimolo vanno in gran parte alle SOE e alle imprese più grandi, lasciando le PMI senza assistenza.Dal punto di vista monetario, la Banca Popolare Cinese si affida a diversi strumenti di politica convenzionale per stimolare l’economia:

-Il coefficiente di riserva obbligatoria (RRR) è stato tagliato tre volte e i tassi di interesse sono stati abbassati: i tassi di prestito della banca centrale sono stati ridotti di venticinque punti base a febbraio; i tassi dei reverse repo, delle Medium-Term Lending Facilities (MLF) e del Loan Prime Rate (LPR) a un anno sono stati tutti abbassati di trenta punti base; e i tassi di prestito della banca centrale e di sconto della banca centrale sono stati abbassati di altri venticinque punti base a luglio, secondo il briefing stampa della PBOC sul primo semestre 2020. Nel primo semestre del 2020, le banche cinesi hanno prestato un record di 12,09 trilioni di yuan, superiore al PIL annuale del Canada. Il primo semestre del 2020 ha visto anche un’iniezione netta di denaro di 227 miliardi di yuan. La massa monetaria (M2) ha registrato un aumento sostanziale dell’11,1% rispetto all’anno precedente.Nel maggio 2020, in occasione del Congresso Nazionale del Popolo, che si è riunito due mesi più tardi rispetto a quanto originariamente previsto, il Premier Li Keqiang non ha annunciato un obiettivo di crescita per l’anno in corso durante la consegna del rapporto di lavoro del Governo centrale. Tuttavia, si è impegnato a far progredire gli investimenti in “nuove infrastrutture” (新基建投资) nelle aree del 5G, dell’AI, dell'”internet industriale” (internet delle cose per le fabbriche), dei centri dati, del cloud computing e di altre tecnologie legate alle nuove infrastrutture.Pechino ha anche promesso 3,75 trilioni di yuan di obbligazioni speciali per sostenere tali investimenti.Rispetto al pacchetto di stimolo del 2008, che si rivolgeva alle infrastrutture, questa nuova iniziativa infrastrutturale è guidata principalmente non dal Governo ma dalle aziende, soprattutto dalle grandi e innovative aziende tecnologiche come Alibaba, Huawei e Tencent. Questo nuovo programma di investimenti non solo aiuta a rilanciare l’economia nel breve termine, ma sottolinea anche l’offerta di Pechino per la leadership globale nelle tecnologie chiave. Nel 2020, Pechino ha ribadito una nuova strategia che si concentra sullo “stimolo della domanda interna” e garantisce che il Paese raggiunga uno sviluppo “di alta qualità”, mentre la domanda internazionale si riduce. Questa nuova strategia è chiamata modello a “doppia circolazione” (国内大循环为主体, 国内国际双循环).Nel settembre 2020, il Comitato Centrale ha emesso nuove linee guida per il “rafforzamento del lavoro del fronte unito che coinvolge il settore privato”, che richiede maggiori sforzi per “rafforzare la guida del pensiero politico del personale del settore privato”, ma si impegna anche a sostenere il partito per lo “sviluppo di alta qualità del settore”.18Sebbene alcuni osservatori vedano questo nuovo modello come un altro sforzo per estendere il raggio d’azione del PCC, non riescono a riconoscere che in questo parere ufficiale il partito si impegna anche a ottimizzare l’ambiente imprenditoriale, e ribadisce il suo impegno ad approfondire le riforme e a facilitare le interazioni tra imprese e Stato. L’invito a partecipare alle principali “strategie statali” rappresenta anche un’opportunità per il settore privato di entrare in nuovi settori.La crisi COVID-19 ha cambiato l’economia cinese in modo fondamentale? Gli effetti della pandemia sono ancora da vedere nel settore manifatturiero, ma nel settore dei servizi, un cambiamento fondamentale sembra essere iniziato già prima dell’inizio della COVID-19. Nel 2006, le vendite al dettaglio online della Cina erano solo il 3% circa delle vendite degli Stati Uniti, ma nel 2020, la Cina è diventata il più grande mercato al dettaglio di e-commerce del mondo, con una quota del 40% delle vendite globali.19La vendita al dettaglio online si è espansa ancora di più durante l’epidemia di COVID in Cina, poiché molti consumatori si sono riparati in loco per un periodo prolungato. Taobao, la piattaforma di e-commerce di Alibaba, ha ospitato 2 milioni di nuovi negozi e ha creato più di 40 milioni di opportunità di lavoro dopo l’epidemia. Le fabbriche che prima producevano beni esportati si sono registrate su Taobao per vendere i loro prodotti a livello nazionale, e i loro contratti nazionali sono aumentati del 500%.20Il 18 giugno 2020, uno dei due festival dello shopping online simili al Black Friday della Cina, il valore totale della merce lorda (GMV) di Tmall (una delle piattaforme online di Alibaba) ha raggiunto il record di 698,2 miliardi di yuan, 1,6 volte più alto rispetto al “Black Friday” invernale di novembre 2019, prima che il virus emergesse. La pandemia ha approfondito l’espansione delle attività di vendita al dettaglio online, e le aziende che ospitano sono prevalentemente di proprietà privata. Uno sviluppo recente e in corso nei rapporti tra Stato e aziende (per lo più del settore privato) è l’intensificazione del controllo da parte dei regolatori statali sulle aziende tecnologiche cinesi. Nel dicembre 2020, l’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato (SAMR), la principale agenzia di regolamentazione del mercato di Pechino istituita nel 2018, ha avviato un’indagine antitrust su Alibaba. I regolatori finanziari hanno anche annunciato che avrebbero incontrato Ant Group – la società Fintech sorella di Alibaba – per sollecitare l’azienda a rispettare i requisiti normativi. Un mese prima, Pechino ha bruscamente bloccato la prevista offerta pubblica iniziale (IPO) di Ant Group a Hong Kong e Shanghai, che avrebbe dovuto raccogliere la storica cifra di 34 miliardi di dollari.Da un lato, sarebbe imprudente considerare questi eventi come il tentativo della CCP di affermare ulteriormente il controllo politico sul settore privato, in quanto le grandi aziende tecnologiche stanno affrontando sfide antitrust anche in Europa e negli Stati Uniti. I legislatori di tutto il mondo stanno discutendo una legislazione futura che potrebbe potenzialmente smembrare giganti tecnologici come Amazon, Apple, Facebook e Google o rendere più difficile per queste aziende perseguire acquisizioni. D’altra parte, i sospetti sulla mossa dello Stato nei confronti di Ant Group, Alibaba e altri giganti del settore tecnologico sono giustificati, perché non sono gli unici monopoli della Cina. Ad esempio, l’economista Zhang Weiying sostiene che le SOE come China Mobile e la Industrial and Commercial Bank of China dovrebbero essere considerate monopoli, perché le aziende private non possono entrare nei loro settori (ad esempio, telecomunicazioni, finanza) senza l’autorizzazione del Governo.21Finora, la stragrande maggioranza di queste indagini antitrust è stata applicata solo alle aziende private, non a quelle di proprietà statale. Detto questo, è comunque più accurato considerare questa saga in corso come un avvicinamento dei regolatori piuttosto che un giro di vite sul settore privato, che è sempre stato “un passo avanti rispetto ai regolatori”.22 In sintesi, nel suo secondo mandato, Xi è stato criticato per non aver mantenuto le sue promesse di commercializzazione e per essersi rivoltato contro il settore privato, ma io dimostro che queste caratterizzazioni sono esagerate e che le politiche economiche del partito nelle due precedenti amministrazioni non sono mai state solo pro-mercato o pro-SOE. Le politiche di Xi sono in gran parte coerenti con quelle delle due amministrazioni precedenti nel loro approccio “misto” verso il settore privato e le SOE. Inoltre, il sostegno al settore statale non significa necessariamente che il settore privato debba soffrire, e l’effetto del coinvolgimento del partito e dello Stato nel settore privato dovrebbe essere ulteriormente studiato con prove empiriche. Il settore privato affronta una serie di sfide importanti sotto Xi, ma queste sfide non derivano da un ritorno al capitalismo di Stato o dall’affermazione del controllo del partito sulle aziende. Le nuove misure che il Governo cinese ha attuato o attuerà presto, tra cui i tagli fiscali profondi, l’allentamento del credito e il principio della “neutralità competitiva”, si rivolgono principalmente al settore privato. Il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina e le incertezze sul futuro dell’economia post-COVID legano ulteriormente il partito e le aziende private. In un certo senso, gli imprenditori privati cinesi si sono rivelati partner ancora più intimi del partito durante l’era Xi, pur non opponendosi – e anzi molti sostengono – lo status quo politico.

Il settore privato nel servizio pubblico durante la crisi COVID

Le crisi straordinarie pongono richieste pesanti ai governi, che di solito non mantengono una capacità di servizio in eccesso in tempi normali. In molti Paesi, la società civile interviene per integrare gli sforzi di soccorso dello Stato. Ma quando lo Stato regolamenta pesantemente i gruppi della società civile che hanno uno spazio limitato per operare, chi interviene in caso di crisi? Durante l’epidemia di COVID-19, le aziende private sono intervenute e hanno aiutato a fornire servizi sociali cruciali in Cina. Le aziende private sono molto più efficienti e affidabili delle agenzie governative cinesi, come la Croce Rossa, nel fornire servizi sociali, e lo Stato cinese si fida di più delle aziende private che delle organizzazioni non governative e di altri gruppi della società civile per entrare nelle comunità di base e fornire aiuti e servizi. Di conseguenza, abbiamo assistito ad una forte e crescente presenza del settore privato nel servizio pubblico durante l’epidemia. Tencent, ad esempio, si è impegnata per un totale di 1,5 miliardi di yuan (212 milioni di dollari) per istituire un “fondo anti-epidemia”. Il fondo è stato ampiamente impiegato in aree come l’approvvigionamento di forniture mediche, la fornitura di supporto tecnico e la ricerca e sviluppo di soluzioni anti-COVID. Anche il Gruppo Alibaba si è impegnato per 1 miliardo di yuan e ha già fornito cibo, generi alimentari, medicinali e altri servizi di consegna a Wuhan (l’epicentro dell’epidemia) e nelle aree circostanti. Il servizio di consegna di Alibaba ha assunto più di 10.000 nuovi dipendenti nella città di Wuhan. Altri operatori online-to-offline (O2O), tra cui Ele.me, Meituan e 7Fresh, hanno rapidamente seguito questo esempio, impiegando anche la manodopera inattiva dei ristoranti chiusi per unirsi al servizio di consegna.La tabella mostra le stime del contributo riferito dalle prime venti aziende private all’assistenza in caso di crisi durante l’epidemia di COVID.

È importante notare che la maggior parte di queste aziende ha utilizzato i propri canali per consegnare beni e servizi, invece di affidarsi a fondazioni e canali affiliati al governo. Non solo le aziende private stanno fornendo i tradizionali servizi di soccorso e di assistenza in caso di crisi, ma hanno anche innovato a un ritmo rapido, proponendo soluzioni per affrontare nuovi problemi che sembrano difficili da affrontare da parte dello Stato. Infatti, il Ministero degli Affari Civili ha apertamente richiesto alle aziende private di sviluppare applicazioni per la comunità per aiutare a contenere la diffusione del COVID.23 Sia Ant Group che Tencent hanno sviluppato applicazioni per monitorare lo stato di salute dei residenti e per controllare il traffico cittadino durante l’epidemia. Ai singoli residenti viene assegnato un codice di colore verde, giallo o rosso, in base alla loro storia di viaggi recenti e ai rapporti degli operatori della comunità sui livelli di temperatura, che indicano il loro stato di salute e l’idoneità a recarsi al lavoro, a lasciare il loro quartiere, a prendere la metropolitana o a entrare nei centri commerciali e in altri spazi pubblici.Sebbene gli osservatori cinesi si preoccupino della componente di controllo sociale di questa app, essa si è dimostrata efficace nel contenere il virus ed è ampiamente accettata dai cittadini cinesi. In un certo senso, il settore privato è all’avanguardia della società civile e, sebbene non abbia necessariamente portato ad alcuna riforma politica,co-produce e fornisce servizi sociali in modo efficiente insieme allo Stato.

Il Partito-Stato cinese si è sempre affidato alle imprese non solo per la legittimità delle prestazioni, ma anche per svolgere alcune funzioni di governance.83 Il comportamento delle aziende private nel servizio pubblico è variato negli ultimi due decenni: negli anni precedenti, le aziende private non avevano molta autonomia per operare nella fornitura di servizi e donavano per lo più denaro al governo e alle organizzazioni affiliate al governo, ma ora queste aziende stanno creando le proprie fondazioni e operazioni senza scopo di lucro e di soccorso in caso di calamità, con il risultato di una fornitura di servizi efficiente. È interessante notare che le aziende di Stato e le aziende private sembrano complementari e producono dove hanno un vantaggio comparativo durante gli interventi di soccorso in caso di crisi: il settore privato si concentra sulla consegna dei beni, sugli acquisti all’estero e sulla ricerca e sviluppo, mentre il settore statale si concentra sulla costruzione e sul supporto delle infrastrutture, sulla stabilità del mercato interno e sulla produzione di materiali. Per esempio, la China State Construction Engineering Corporation ha riunito più di 20.000 operai e ingegneri edili per costruire due ospedali di fortuna a Wuhan in circa dieci giorni. Altri interventi delle SOE includono la riduzione delle bollette dell’elettricità e degli affitti e l’offerta di prestiti a basso costo. È interessante notare che China National Petroleum Corporation e China Petroleum and Chemical Corporation, le due sovvenzioni petrolifere di proprietà statale, hanno temporaneamente modificato i programmi di produzione per concentrarsi sulle materie prime utilizzate per la produzione di maschere chirurgiche.

Conclusione

Da quando Xi è entrato in carica nel 2012, il partito ha enfatizzato il suo controllo sul settore privato, ma lo Stato ha anche aumentato il sostegno al settore privato. Il settore privato ha continuato a crescere in termini di dimensioni, produttività, capacità innovativa e impatto globale. Ci sono poche prove che la stretta del partito sul settore privato abbia portato a cambiamenti significativi nelle operazioni commerciali quotidiane. Sostengo che c’è stata più continuità con le precedenti amministrazioni Jiang e Hu nel trattamento del settore privato da parte del partito, che cambiamenti nell’era Xi. La retorica politica è importante, ma per comprendere il cambiamento o la continuità nelle relazioni tra imprese e Stato sotto Xi (o sotto qualsiasi altro leader), dovremmo prestare molta attenzione ai risultati delle politiche specifiche che stanno dietro alla retorica. La legittimità del PCC dipenderà ancora in larga misura dalla realizzazione della crescita economica. Sempre più spesso, i campioni nazionali – imprese private e statali – aiutano lo Stato cinese a realizzare la sua ambizione di potenza economica globale. Mentre il Partito entra nel suo secondo secolo, continua ad affrontare sfide significative nella gestione dell’economia e nell’ulteriore sviluppo del settore privato, pur mantenendo l’elemento socialista dell’economia. Le pressioni interne ed esterne richiedono un’accelerazione delle riforme strutturali tanto necessarie per creare un ambiente favorevole al settore privato, affinché possa competere con il settore statale e diventare più competitivo a livello globale. Se crediamo ancora che il PCC sia un vero partito marxista, forse dovremmo considerare le preoccupazioni del partito sulla struttura della proprietà delle aziende e sulla corrispondente distribuzione del potere all’interno delle aziende come qualcosa di più che semplici preoccupazioni sull’efficienza economica e sul controllo del partito. La maggior parte delle analisi sulle aziende di Stato rispetto a quelle private si concentra sull’efficienza e sulla concorrenza, ma potremmo anche chiederci se le aziende con strutture proprietarie diverse (ad esempio, di proprietà dello Stato, di proprietà collettiva) generano un benessere sociale più elevato rispetto alle aziende private 24, e se questo è un risultato auspicabile che il partito ha immaginato. I dipendenti delle aziende di Stato hanno una maggiore soddisfazione dei dipendenti delle aziende private? Il PCC è ancora un partito a favore dei lavoratori? E soprattutto, le “tre rappresentanze” hanno cambiato la natura del partito? Quali sono le implicazioni quando il partito afferma di trattare le imprese private come “uno di noi” (自己人)? 25Queste sono tutte domande importanti con cui il partito dovrà fare i conti nel suo secondo secolo.

1

Xi Jinping, “习近平:在民营企业座谈会上的讲话,” Xinhua News, November 1, 2018, www.xinhuanet.com/politics/2018-11/01/c_1123649488.htm.

2

Wei, Xie, and Zhang, “From ‘Made in China’ to ‘Innovated in China.’”

3

“首笔互联网银行信贷获得者:‘微小贷,让我这个货车司机心里更踏实,’”Xinhua News, February 12, 2016, www.gov.cn/xinwen/2016-02/12/content_5040792.htm.

4

Huiyuan Ma, “Leap Towards the High End of the Global Value Chain,” China Today, May 15, 2018, www.chinatoday.com.cn/ctenglish/2018/tpxw/201805/t20180515_800129428.html.

5

Flynn Murphy, “How Private-Sector Research Is Changing China,” Nature 553, S28–S30 (2018).

6

Hao Chen and Meg Rithmire, “The Rise of the Investor State: State Capital in the Chinese Economy,” Studies in Comparative International Development 55 (2020): 257–77.

7

Wendy Leutert, “State-Owned Enterprises in Contemporary China,” Routledge Handbook of State-Owned Enterprises, 1st ed., edited by Luc Bernier, Massimo Florio, and Philippe Bance (New York: Routledge, 2020).

8

Leutert, “State-Owned Enterprises in Contemporary China”; Jaya Wen, “The Political Economy of State Employment and Instability in China,” Working Paper (2020), www.hbs.edu/ris/Publication%20Files/Wen_Jaya_JMP_SOE_instability_289e3cca-7376-4aae-be99-3ded19615406.pdf.

9

“Beijing Pushes for a Direct Hand in China’s Big Tech Firms,” Wall Street Journal, October 11, 2017, www.wsj.com/articles/beijing-pushes-for-a-direct-hand-in-chinas-big-tech-firms-1507758314.

10

Xiaojun Yan and Jie Huang, “Navigating Unknown Waters: The Chinese Communist Party’s New Presence in the Private Sector,” China Review 17, 2 (2017): 37–63.

11

Chen and Rithmire, “The Rise of the Investor State”;

12

“China’s State-Owned Giants Given New Order: Create Global Industrial Champions,” South China Morning Post, August 11, 2020, www.scmp.com/economy/global-economy/article/3096924/chinas-state-owned-giants-given.

13

Li Yuan, “Private Businesses Built Modern China. Now the Government Is Pushing Back,” New York Times, October 3, 2018, www.nytimes.com/2018/10/03/business/china-economy-private-enterprise. html.

14

“How US Trade War Could Leave Chinese Private Firms at Risk of Being ‘Taxed to Death,’” South China Morning Post, December 28, 2018, www.scmp.com/economy/china-economy/article/2179666/how-us-trade-war-could-leave-chinese-private-firms-risk-being.

15

“The ZTE Conundrum,” Wire China, www.thewirechina.com/2020/10/11/the-zte-conundrum/.

16

Lizhi Liu, “The Rise of Data Politics: Digital China and the World,” Studies in Comparative International Development 56 (2021): 45–67.

17

“财政部:拟再提前下达1万亿地方政府专项债额度,” Sina Finance, April 21, 2020, https://finance.sina.com.cn/china/gncj/2020-04-21/doc-iircuyvh8922323.shtml.

18

“CPC Issues Guidelines for Strengthening United Front Work Involving Private Sector,” www.xinhuanet.com/english/2020-09/15/c_139370791.htm.

19

Liu, “The Rise of Data Politics.”

20

“天猫618累计下单金额6982亿元 再创记录” (“Tmall’s New GMC Record”), Sina Technology, June 19, 2020, https://tech.sina.com.cn/i/2020-06-19/doc-iirczymk7779643.shtml.

21

“Why China Turned against Jack Ma,” New York Times, December 24, 2020, www.nytimes.com/2020/12/24/technology/china-jack-ma-alibaba.html.

22

Angela Huyue Zhang, China’s Regulatory War on Ant, Project Syndicate (2021), www.project-syndicate.org/commentary/china-bureaucracy-regulatory-war-on-ant-group-by-angela-huyue-zhang-2021-03?barrier=accesspaylog.

23

“陈越良:恳请腾讯、阿里巴巴开发社区公共软件,比捐十亿管用” (Chen Yueliang: Pleading Tencent and Alibaba to develop community-based public service app: more useful than donating billions of yuan). The Paper, www.thepaper.cn/newsDetail_forward_5896831, accessed October 19, 2020.

24

Adam Przeworski, “What Have I Learned from Marx and What Still Stands?,” Politics & Society, first published September 16, 2020.

25

“民营企业和民营企业家是我们自己人-习近平总书记主持召开民营企业座谈会侧记,” Xi’s speech in November 2018, Xinhua News, November 11, 2018, www.xinhuanet.com/politics/leaders/2018-11/01/c_1123649947.htm.

https://jacopo1949.substack.com/p/levoluzione-della-relazione-tra-il?utm_source=post-email-title&publication_id=406229&post_id=94117202&isFreemail=true&utm_medium=email

Il dopo Deng e le sfide della nuova leadership, di Daniela Caruso

I LITTLE PINKS E IL FUTURO DEI GIOVANI CINESI, di Yu Liang

I LITTLE PINKS E IL FUTURO DEI GIOVANI CINESI

Dottrine della Cina di Xi | Episodio 18

Chi sono i giovani nazionalisti cinesi online soprannominati Little Pink  ? Sottoprodotto della cultura dei fan-club dell’Internet cinese, questo fenomeno è sia uno dei più strutturanti per i giovani cinesi di oggi sia uno dei più difficili da cogliere visti dall’Europa. Proponiamo una lettura critica di un testo di Yu Liang su questo fenomeno, un’indagine in forma di discorso nazionalista agli intellettuali cinesi.

AUTORE
DAVID OWNBY E FREYA GE

IMMAGINE
SHAN WU, PICCOLO ROSA, 2020

Yu Liang è vicedirettore e ricercatore associato dell’Istituto di studi cinesi dell’Università Fudan di Shanghai, lo stesso istituto guidato dall’apologeta del Partito Zhang Weiwei . Yu è stato anche redattore capo di Guancha Syndicate (观察者网), una delle piattaforme online più popolari e influenti della Cina dall’inizio degli anni 2010. spola tra giornalismo e mondo accademico.

L’argomento discusso nel testo tradotto qui1è quello della “Little Pink” (小粉红), nome dato dai loro detrattori, ai giovani patrioti – o meglio nazionalisti – cinesi online. Questo nuovo giovane cinese setaccia il web alla ricerca di coloro che osano insultare la Cina e poi annegarli in un torrente di attacchi online. Yu Liang – come editore di Guancha Syndicate nei primi anni 2010 – è stato determinante nel fondare questa nuova cultura del patriottismo Little Pink. In questo testo adotta una posizione relativamente neutrale nei loro confronti e cerca di spiegare chi sono e cosa fanno al di là del loro tentativo propagandistico di imporre la Cina come modello superiore respingendo tutti i suoi detrattori .

In altre parole, Yu sostiene che i Little Pinks sono un sottoprodotto della cultura dei fan club sul web cinese. Lo scopo di un fan club cinese è difendere la propria squadra, idolo o gruppo preferito e attaccare squadre, idoli o gruppi rivali. È un fenomeno quasi interamente online, originato da Weibo e WeChat. Si basa quasi esclusivamente su like e avatar virtuali, e quindi supporta il consumismo e i grandi marchi. Yu sostiene che tutta la Cina è diventata l’idolo di Little Pink e che hanno depredato chiunque insultasse la Cina, cercando la scarica di adrenalina di difendere la loro tribù.

A un certo livello, tutto ciò può sembrare banale. I marchi contano, tuttavia, e le guerre online finiscono per influenzare i profitti reali dei grandi marchi in Cina, il che è importante per l’economia cinese e per l’economia globale. Freya Ge scrive che “quando diversi marchi, tra cui H&M, Nike, Adidas, GAP, New Balance, tra gli altri, hanno rilasciato una dichiarazione di ‘boicottaggio del cotone dello Xinjiang’ all’inizio di quest’anno, i Little Pinks hanno rapidamente preso il controllo. piattaforme online e chat nel mondo reale camere. Hanno chiesto il boicottaggio di questi marchi e hanno affermato che gli sforzi per boicottare il cotone dallo Xinjiang facevano parte di una cospirazione organizzata dall’Occidente. Su Zhihu (知乎), i post hanno ricevuto migliaia di Mi piace da cui i netizen hanno affermato che non avrebbero mai più acquistato questi prodotti e hanno visto coloro che li hanno acquistati come “reliquie della dinastia Qing”. Molti negozi che vendono questi marchi hanno perso clienti. Ovviamente, i Little Pinks vorrebbero vedere ridotti i ricavi di questi marchi per “calunniare il popolo cinese”.

In altre parole, i Little Pink si impegnano in una sorta di politica identitaria: la Cina, ormai ricca e potente, diventa la base della loro identità. In quanto cittadini di Internet, i Little Pink, come praticamente tutti i cinesi, hanno assistito al cambiamento del mondo online e la Cina sembra emergere vittoriosa da questi cambiamenti. Ma per quanto riguarda la loro lealtà al Partito?

I Little Pinks non sarebbero completamente o ufficialmente sotto il controllo del governo, anche se il Partito-Stato ha contribuito a crearli attraverso “l’educazione patriottica” e gode dell’adulazione rivolta alla Cina come idolo. Agiscono da soli, seguendo la logica impulsiva della logica di gruppo online. In questo testo, Yu Liang sembra particolarmente preoccupato che gli intellettuali cinesi non riescano a comprendere questa logica, e continuino a condannare la Little Pink da posizioni ideologiche che poco hanno a che vedere con l’esperienza di questi giovani internauti cinesi.

In realtà, è sicuramente il “nuovo nazionalismo” di Yu Liang che parla, nel senso che critica gli intellettuali pubblici per la loro incapacità di cogliere ciò che sta accadendo – mentre insiste che spetta a loro “guarire” la “spaccatura” tra la loro generazione e quella della giovane Little Pink.

L’ascesa della Little Pink

I nuovi gruppi sociali e tipi di pensiero che i Little Pink incarnano emergono inizialmente come una sorta di nuova mentalità sociale. Si sviluppa silenziosamente attraverso cambiamenti silenziosi nel modo di produzione, nella struttura sociale e nella situazione politica della Cina. All’inizio non c’era un nome per definire ciò che si stava sviluppando. Le cose poi lentamente diventano una tendenza – spesso intesa in termini di devianza – perché una volta che le persone se ne accorgono, spesso la descrivono in termini negativi. Questa tendenza spinge il nuovo gruppo sociale a prendere coscienza di sé. L’ascesa della Little Pink e il nuovo patriottismo hanno attraversato un tale processo.

Un fenomeno importante che vediamo oggi nell’opinione pubblica cinese è una grave disconnessione tra le tendenze ideologiche emergenti nel comportamento online dei giovani e l’ambiente intellettuale cinese. Le tradizionali categorie accademiche di analisi, come i dibattiti tra sinistra e destra, illuminismo e conservatorismo, elitarismo e populismo, nazionalismo e universalismo liberale, autoritarismo e democrazia liberale, economia di mercato ed economia pianificata, perdono gradualmente il loro potere esplicativo.

In passato, le parti opposte hanno ripetutamente invocato un immaginario “terreno comune” che trascenda sinistra e destra, ma in realtà il battibecco è continuato. La trascendenza era sfuggente nel vecchio quadro cognitivo. Negli ultimi anni, dalla sottocultura giovanile cinese sono emerse una serie di tendenze socio-ideologiche. Si basa sulle tensioni attuali e cerca di trascendere il divario sinistra-destra, includendo il “partito della tecnologia” – o “partito industriale” (工业党) -, la Piccola Rosa e il gruppo dei “barbari alla porta (入关学)” sono i principali rappresentanti. Tra questi possiamo dire che i “Little Pink” costituiscono il gruppo più importante.

Secondo la descrizione di Wang Xiuying, gli assi chiave del partito tecnologico descritto sono “una fede incrollabile nel progresso tecnologico perpetuo, una mancanza di compiacenza e una volontà di affrontare la prossima catastrofe – che si tratti di un’invasione aliena, un’apocalisse climatica o un nuova guerra mondiale. Vedi il suo articolo sulla London Review of Books .

Per citare nuovamente Wang Xiuying sui barbari: “Questa narrazione confronta l’attuale confronto sino-americano con il rovesciamento della dinastia Ming che ha portato al dominio Manchu. Gli Stati Uniti assomigliano alla dinastia Ming dell’inizio del XVII secolo: è il potere supremo e detta le regole, ma sta marcendo dall’interno. La Cina prende il posto dei barbari: operosa, pagando il dovuto tributo, ma mai rispettata, costantemente denigrata e demonizzata… Insomma, l’egemonia americana deve essere sfidata e i barbari devono entrare dalla porta se vogliamo beneficiare di un progresso pacifico. »

“Little Pink” si riferisce alla nuova generazione di giovani patrioti nati dopo il 1990, che sono cresciuti profondamente integrati nella moderna economia di mercato e nella vita urbana, ma il loro nome è stato scelto dai loro rivali. A seguito di una serie di grandi eventi pubblici sulla scena internazionale nel 2008 — che hanno coinvolto principalmente dibattiti tra destra e sinistra guidati da intellettuali sul web cinese — questo paradigma ha gradualmente lasciato il posto a dibattiti tra il patriottismo dei comuni utenti di Internet e i “valori universali”. Le principali parti in conflitto sono rispettivamente le “teste parlanti che sostengono l’America (公知美分)” e gli individui che “portano le proprie azioni” (自干五). I predecessori di Little Pink,

Queste terminologie richiedono alcune spiegazioni. “Talking Heads Supporting America” ​​​​è tradotto come gongzhi meifen in cinese. In origine, gongzhi significava semplicemente “intellettuale pubblico”, ma negli ultimi anni è stato trasformato in un termine per deridere l’élite intellettuale che parla di questioni pubbliche online. Meifen significa “penny americano” ed è probabilmente derivato da un termine usato per deridere i troll di Internet pagati per attaccare coloro che criticano il governo cinese. Si chiamano wumaodang — la “festa dei cinquecento” — perché dovrebbero ricevere 500 yuan per ogni messaggio. Lo ziganwu, che letteralmente significa “il partito che porta le proprie azioni” si riferisce a persone che difendono il corpo e l’anima del governo senza essere pagate. Il termine è stato coniato da persone che si risentono di questi troll, per esprimere il loro disprezzo per gli individui autofinanziati che sono ritenuti troppo stupidi per accettare i soldi offerti loro. I termini sono spesso riappropriati e abusati, nel qual caso “il partito che porta il proprio capitale” potrebbe benissimo diventare “il partito che porta il proprio patrimonio con orgoglio”.

La parola Jinjiang si riferisce a un sito web chiamato “Jinjiang Literary City 晋江文学城”, originariamente istituito come piattaforma per discussioni letterarie, ma ora è diventato un sito per scambi politici. Il sito era rosa e la maggior parte dei suoi utenti erano donne: il che ha dato origine all’espressione “Little Pink”. Fengyi si riferisce al Fengyi Food Forum, fondato da alcuni “Little Pinks”, furiosi che il sito Jinjiang abbia finito per limitare i posti politici nel tentativo di calmare la situazione.

“Big V” si riferisce ai blogger con un gran numero di follower e un account verificato. Queste celebrità possono avere centinaia di migliaia di follower.

Le persone legate alle Jinjiang Girls e alle Fengyi Sisters erano principalmente netizen attivi nei siti di letteratura e intrattenimento — alla moda e patriottici — e contrari ai gruppi di intellettuali pubblici che, ai loro occhi, adoravano l’Occidente e denigravano la Cina. Inizialmente, i Little Pink erano un sottoramo minore dello ziganwu “il partito che porta le proprie azioni”. Alcuni eminenti intellettuali pubblici, rendendosi conto di avere a che fare con nuovi oppositori che non somigliavano alla sinistra tradizionale, li soprannominarono beffardamente “Little Pink”. Il gruppo è cresciuto rapidamente, con il nome “Little Pink” che ha prodotto un’esplosione di consapevolezza di sé. Nel 2013, le celebrità online e gli intellettuali pubblici che parlavano di “valori universali” sui social media hanno iniziato a diminuire, mentre la consapevolezza di “Little Pink” ha continuato a crescere, trasformando gradualmente l’ambiente dell’opinione pubblica online un tempo dominata dagli intellettuali pubblici. Nel gennaio 2016, “Little Pink” ha condotto ainondazione di computer su Facebook, che ha sconvolto l’opinione pubblica nazionale e internazionale.

Oggetto dell’attacco era la pagina Facebook del presidente taiwanese Tsai Ing-wen, i Little Pink ne hanno approfittato per denunciare l’idea di indipendenza taiwanese.

L’atteggiamento generale degli intellettuali tradizionali e dei circoli dei media nei confronti dei Little Pink è negativo e sospettoso, e molti intellettuali liberali li criticano per avere solo “istruzione superiore”, sostenendo che sono “impulsivi e iperattivi”, tutti dal “grado più basso” di società. Vedono i Little Pinks come il prodotto di una mentalità di “lealtà” e “odio” e discutono tristemente del ritorno dell ‘”estrema sinistra” e del “fallimento di trent’anni di illuminazione”.

Tuttavia, i Little Pinks sono diventati rapidamente il mainstream dell’opinione pubblica online. Questo mainstreaming è stato visibile alla fine del 2019, quando il sito Bilibili ha organizzato la sua prima festa di Capodanno. Accompagnando la canzone “Flower Suite 种花组曲”, lo schermo si è riempito con le parole “Non mi pento di essere nato in Cina in questa vita, e sceglierò di nascere in Cina anche nella mia prossima vita”. Il mainstream della politica giovanile su Bilibili è in particolare “rosa”. Ad esempio, nel 2019, Fang Kecheng (方可成), un noto collaboratore (UP主) del sito, è stato identificato dai netizen come qualcuno che ha favorito l’indipendenza di Hong Kong.. Ha lasciato il sito dopo aver ricevuto una raffica di critiche. Nel 2020, il noto collaboratore scientifico “Paperclip” ha pubblicato un video ritenuto offensivo nei confronti della Cina dai netizen, che ha portato a ripetuti boicottaggi da parte dei netizen e alla chiusura dell’account.

I “Little Pink” sono la “generazione del rinnovamento” della Cina nata da circostanze difficili. Le loro idee sono un mix complesso che sembra includere il nazionalismo, il conservatorismo e alcuni temi di sinistra, che hanno in comune la loro opposizione ai “valori universali” americani, e sono quindi spesso visti come l’opposto del liberalismo o delle “luci” dello stile degli anni ’80 Ma il liberalismo ei Little Pinks non sono realmente rivali, perché le idee espresse dai Little Pinks non seguono completamente la traiettoria dei tradizionali movimenti pendolari di sinistra e di destra – ma contengono elementi nuovi.

I critici hanno sostenuto che i Little Pinks sono il prodotto di una nuova cultura aziendale mediatica globalizzata, e che in questo senso sono forse più universali dei loro nemici apparentemente “universali”. Il loro modo di agire, il loro modo di parlare e le loro reazioni emotive sono tutti radicati nell’economia di mercato globalizzata, anche se una delle loro caratteristiche è quella di mostrare una sorta di “globalizzazione anti-globalizzazione” – cioè nazionalista. Dobbiamo comprendere i Little Pinks in questo contesto più ampio, che ci aiuterà a comprendere le tendenze ideologiche mostrate dalla gioventù cinese contemporanea.

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Le tre ondate del nuovo patriottismo della gioventù cinese

Il “nuovo patriottismo” della “Little Pink” differisce radicalmente dalle manifestazioni del patriottismo del passato. Per vedere i Little Pinks in una prospettiva più ampia, inizieremo con una semplice genealogia delle tre ondate di nuovo patriottismo giovanile cinese che hanno avuto luogo dal 2008.

La prima ondata è stata guidata da gruppi patriottici di studenti cinesi d’oltremare. Questi studenti vivevano all’estero da tempo, il che significava che la loro comprensione della società occidentale era passata dall’immaginazione all’esperienza personale, portandoli a cogliere l’enorme divario tra il “mito” occidentale e la realtà occidentale. Questi gruppi inizialmente si sono riuniti su piattaforme di studenti all’estero come Xixihe (西西河), ed sono emersi nel contesto di vari sconvolgimenti politici internazionali che hanno coinvolto la Cina nel 2008, come gli sforzi per proteggere i corridori dalla staffetta della torcia olimpica cinese in Europa, o l’opposizione alla copertura distorta della Cina da parte dei media occidentali come la CNN. I partecipanti appartenevano a una relativa élite, erano altamente istruiti e possedevano abilità linguistiche sofisticate. Hanno parlato sul sito anti-CNN – poi ribattezzato “il sito di Avril” – e su altri siti dedicati esclusivamente a questi temi.

Dopo l’ascesa dei social media nel 2010, i gruppi patriottici si sono spostati su Weibo, utilizzando identificatori che iniziano con AC (abbreviazione di anti-CNN), diventando uno dei semi del nuovo potere della gioventù patriottica nell’era dei social network. Questa ondata di giovani patrioti non si è più impegnata nelle fantasie glamour dell’Occidente, ma ha cercato di trasmettere esperienze reali al popolo cinese. Una serie di articoli di un individuo sotto lo pseudonimo di “Piccola bottiglia d’acqua (小水瓶)”, uno studente dell’Università di Pechino all’estero, erano tipici di quest’epoca. Un articolo intitolato L’assistenza sanitaria cinese è peggiore di quella americana? Dovremmo scambiare?non si limitò a confrontare il sistema sanitario in Cina e negli Stati Uniti, ma puntò il dito contro Han Han (韩寒, nato nel 1982), leader della gioventù liberale e popolare blogger dell’epoca, per la sua mancanza di esperienza reale della vita in Occidente . In questa fase, i Little Pink hanno cercato di definirsi attraverso domande e confronti.

La seconda ondata è iniziata nel 2010. A quel tempo, la “primavera araba” e la “rivoluzione di Twitter” erano in pieno svolgimento, la sensazione sui social media cinesi era che i valori universali occidentali sembravano essere al loro apice. Alcune élite cinesi con esperienza di vita, lavoro o impegno mediatico al di fuori della Cina, inclusi esperti, studiosi e attivisti sociali, si sono unite alla prima ondata di studenti stranieri e giovani patrioti in Cina per condurre una resistenza organizzata all’Occidente attraverso i media e altri mezzi. Nel giugno 2011, lo Shanghai Chunqiu Institute for Development and Strategic Studies(春秋战略发展研究院), un think tank privato, in collaborazione con lo Shanghai Wenhui Daily (文汇报), ha organizzato un “Dibattito del secolo” tra Zhang Weiwei (张维为) (nato nel 1957) e il politologo americano Francis Fukuyama (nato nel 1952), dichiarando la fine della “fine della storia”.

Successivamente, il Guancha Syndicate , una conseguenza dell’Istituto Chunqiu, ha iniziato a prendere il sopravvento nell’opinione pubblica online. In una serie di iniziative, come sostenere lo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria cinese, opporsi al “Washington Consensus”, sfatare alcuni “miti” occidentali, affermare i vantaggi dello sviluppo cinese e la difesa del “modello cinese”, Guancha si è continuamente ampliata la sua influenza e attirò un gran numero di scrittori d’élite, sostituendo così il sito web di April e diventando la bandiera dei nuovi media patriottici.

A questo punto, il tono discorsivo del nuovo patriottismo divenne più positivo, sottolineando la natura di successo dell’esperienza di sviluppo della Cina, mostrando una chiara consapevolezza di sé che il percorso della Cina era distinto da quello dell’Occidente. A questo punto è emerso un altro fenomeno importante: un gruppo di giovani opinion maker operanti nel campo della scienza e dell’ingegneria, che prima appartenevano alla “maggioranza silenziosa”, ma che ora hanno integrato l’opinione pubblica mainstream con l’ausilio di nuovi media come come Guancha, cercando di aggiornare il modello obsoleto del discorso politico basato sugli antagonismi sinistra-destra con un nuovo discorso sullo sviluppo basato sul funzionamento effettivo della scienza e della tecnologia. Questo gruppo è stato chiamato il “partito della tecnologia”.

La terza ondata è stata l’emergere di Little Pink come li conosciamo oggi. I precedenti gruppi patriottici non facevano più parte dell’élite intellettuale, ma piuttosto dell’esercito di riserva dei giovani della nuova borghesia urbana, che allargò ulteriormente la base del nuovo patriottismo. Rispetto alle due precedenti ondate di gruppi patriottici, i Little Pink erano più giovani, la proporzione di donne era maggiore, i legami con la vita di tutti i giorni erano più chiari e attiravano molti gruppi di fan, ad esempio i gruppi di moda femminile come Jinjiang e Fengyi Forum . C’erano anche Little Pink maschi, molti dei quali provenivano da gruppi di appassionati di sport e giochi a siti come Diba, Hupu e Bilibili.

In termini di idee, i “Little Pink” sono meno teorici e politici rispetto alle due ondate precedenti, quando le persone erano più consapevoli della loro “politica da tastiera”. I Little Pinks hanno attinto intuitivamente alla loro esperienza di vita. Hanno meno bagaglio storico e non condividono i ricordi delle generazioni precedenti del doppio shock della Rivoluzione Culturale e della riforma e dell’apertura. Il miracolo dell’ascesa della Cina dal 2008 fa sentire loro che la Cina si sta sviluppando più velocemente dell’Occidente, la vita in Cina è più conveniente, la sicurezza pubblica è migliore, l’industria è più forte e che la gestione della pandemia è migliore, tutto ciò ha generato puro senso di orgoglio nazionale.

Per quanto riguarda il loro stile di recitazione, il loro impegno nella cultura commerciale dei fan ha permesso loro di sviluppare capacità organizzative, come “sostenere idoli” e attaccare i nemici, che le prime due ondate di gruppi di Young Patriots non possedevano. Il suo stile di mobilitazione online multicentrica è diverso dagli stili di azione dell’élite degli studenti internazionali o della comunità intellettuale, ma è legato e interagisce anche con le prime due ondate.

Va notato che lo sviluppo di Internet mobile ha consentito a sempre più giovani delle città di terzo e quarto livello di unirsi ai ranghi di Little Pink. Questi nuovi membri portano con sé molte differenze economiche e culturali, tanto che i Little Pinks sono ormai un gruppo abbastanza eterogeneo.

The Little Pinks, una contraddizione culturale

La pratica socialista nella Cina contemporanea è una contraddizione disordinata di individualismo, consumismo, socialismo, conservatorismo e persino internazionalismo. Il fenomeno Little Pink incarna un mix simile, ma il suo aspetto esteriore di identità nazionalista e patriottismo può facilmente camuffare le sue intriganti contraddizioni interne.

Politiche identitarie nazionali e autostima culturale della nuova borghesia

Il movimento patriottico della Little Pink, che si è ampiamente diffuso su Internet, incarna la coscienza della nuova classe media di una società consumistica. Mobilita la classe media, compresi studenti e colletti bianchi, e il suo esercito di giovani di riserva. Al contrario, i precedenti movimenti patriottici tendevano a raggiungere una base più ampia, come nelle proteste anti-giapponesi, che fino al 2012 includevano persone di base come i lavoratori migranti, e mostravano caratteristiche della politica antimperialista di massa, cultura di strada e mascolinità.

Il movimento patriottico Little Pink è nato da eventi come: l’incidente del 2018 in cui la polizia svedese ha trattato brutalmente i turisti cinesi; la pubblicità del marchio di moda italiano Dolce & Gabanna che ha umiliato la Cina e scatenato le proteste patriottiche dei giovani; gli attacchi su Internet al regista cino-americano Chloe Zhao per aver pubblicato commenti anti-cinesi nel 2021; e attacchi ad alcune star sudcoreane che avrebbero insultato la Cina, scatenando il movimento “no fan idol before the nation” in cui i fan dichiaravano la loro fedeltà alla Cina e non al loro idolo. È ovvio che questi eventi si concentrano nei settori della moda, dei consumi e della cultura.

Pertanto, mentre la forza combinata delle azioni di Little Pink è coerente con la tradizionale grande narrativa del nazionalismo, il suo diffuso potere di mobilitazione deriva da una richiesta di identità nazionale della classe media in un’epoca di globalizzazione, piuttosto che da una coscienza nazionalista in senso stretto. – e il senso di questa politica identitaria è pretendere che l’altra parte riconosca che “sono anch’io una persona civile, proprio come gli occidentali. Questa passione per il riconoscimento ha dato origine a una forma di politica dell’identità di natura nazionalistica, ma non un segno distintivo della politica dell’identità nelle società occidentali.

Modalità affettive e cognitive nel mondo virtuale

Le emozioni comuni e gli interessi condivisi sono le componenti ideologiche di livello più basso della società e l’energia cinetica che generano è di gran lunga maggiore delle idee razionali. Quando scaviamo sotto la superficie delle forti emozioni patriottiche della Little Pink, scopriamo che la Little Pink condivide importanti componenti ideologiche ed emotive contemporanee con i loro rivali, gli “universalisti”. Questi includono: “evitare il sublime 躲避崇高”, la politica della vita, la giocosità postmoderna, la correttezza politica e un ampio senso di fragilità. Allo stesso tempo, troviamo anche elementi eterogenei, che culminano in un “meccanismo unico di identificazione e autenticazione emotiva. »

L’autore si riferisce qui a un articolo del 1992 dello scrittore Wang Meng (nato nel 1934), in cui elogia la “letteratura folle” dello scrittore Wang Shuo (nato nel 1958) per essere in perfetta armonia con le tendenze attuali della cultura consumistica e popolare intrattenimento. L’idea è che gli “intellettuali illuministi” degli anni ’80 fossero sognatori e completamente tagliati fuori dalle masse.

La generazione che ha dato l’addio alla rivoluzione ha rifiutato i precedenti movimenti patriottici, non riuscendo a vedere che la generazione più giovane aveva, in una certa misura, realizzato questo stesso sogno senza rendersene conto. L’idea che “il patriottismo può anche essere carino” e che una politica basata su interessi comuni renda più interessante il Paese e la sua storia, produce nuovi idoli per i fan club. Ad esempio, il webcomic “Year Hare Affair” (那年那兔那些事) presenta vari paesi sotto forma di immagini di animali dei cartoni animati, che in realtà corrispondono alla proposta degli anni ’90 di “evitare il sublime”. L’economia di mercato “rimuoverà il sublime” dalla vita quotidiana, ma fino a quando la lotta nella storia del mondo contemporaneo non sarà terminata, il “sublime” continuerà a risiedere nella cultura quotidiana.

La “generazione che ha detto addio alla rivoluzione” è un altro riferimento agli intellettuali liberali che avevano deciso dopo la Rivoluzione Culturale che la rivoluzione stessa era il problema principale della Cina moderna.

“The Hare Case” è un webcomic e media franchise cinese creato da Lin Chao. Il fumetto utilizza animali antropomorfi come allegorie di nazioni e stati sovrani per rappresentare eventi politici, militari e diplomatici del XX secolo.

La stessa cultura della narrativa online contiene una sorta di struttura che guida la pratica emotiva. In particolare, la fan fiction ricrea storie di idol dalle narrazioni degli stessi autori, aiutando i fan a stabilire uno spazio emotivo flessibile e interattivo dell’immaginazione attorno a un idolo, che crea un’atmosfera altamente coinvolgente. “Year Hare Affair” e “Azhong Gege 阿中哥哥” hanno entrambi assorbito le modalità e i metodi della pratica emotiva dalla fan fiction, prendendo il “paese” come oggetto della creazione dei fan e proiettando su di lui l’emozione, in modo che il patriottismo e la grande lotta possano partecipare anche al concorso spazio emozionale della narrativa online.

Azhong Gege si riferisce a un vezzeggiativo comunemente usato dai fan cinesi. Gege (哥哥 , letteralmente “fratello maggiore”) è generalmente usato per riferirsi a idoli maschili.

È stato ampiamente notato che i sentimenti patriottici dei movimenti precedenti si sono trasformati in una forma di correttezza politica che ha la caratteristica di essere decisamente non negoziabile. Il comportamento di “scavare la propria fossa” è prominente: l’uso dei social media per portare alla luce commenti inappropriati passati delle persone sul paese, quindi riportare i risultati e incolpare la persona in questione. Persone come la regista Chloé Zhao e il defunto pianista Fou Ts’ong (傅聪, 1934-2020) sono state ampiamente criticate sui social media per le loro inclinazioni filo-occidentali. Questi critici spesso si rifiutano di considerare il contesto delle osservazioni, o il fatto che i tempi e le persone cambiano, e tracciare linee in base all’attuale confronto tra Stati Uniti e Cina. Come dobbiamo interpretare un simile comportamento?

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Da un lato, questo tipo di pensiero stereotipato e assolutista si basa sul fatto che mentre gli adolescenti possono essere abbastanza esperti nelle attività quotidiane di consumo e divertimento, sono inesperti nella difficile lotta per la sopravvivenza e il lavoro nella società. Di conseguenza, trovano difficile pensare alle cose in modi complessi e realistici e sono abituati a identificare amici e nemici attraverso la parola e il simbolismo, portando a sentimenti e opinioni che sono poco più che tag.

Questa non è una mentalità ristretta nazionalistica, ma una malattia moderna che colpisce il mondo intero. Un libro pubblicato di recente, The Coddling of the American Mind: How Good Intentions and Bad Ideas Are Settinging a Generation for Failure, di Greg Lukianoff e Jonathan Haidt, descrive in dettaglio come i giovani americani, danneggiati dalla correttezza politica e da una cultura di iperprotezione, siano diventati sempre più suscettibili e vulnerabili ai danni emotivi, il che li rende desiderosi di “parlare” e di “denunciare” illeciti. Sono stati indottrinati in “microaggressioni” e sono desiderosi di censurare il comportamento politicamente scorretto e invadente di coloro che li circondano nella loro vita quotidiana. I Little Pink condividono questa forma di correttezza politica, ma il contenuto è diverso. In questo senso, i Little Pink ei loro rivali di “valori universali” sono persone di “discorso”, che identificano amici e nemici sulla base di idee incarnate nel discorso, piuttosto che di considerazioni empiriche.

Allo stesso tempo, è importante notare che è proprio nella sfera politica che l’emozione funziona ancora come il meccanismo di riconoscimento più diretto, in grado di identificare amici e nemici più velocemente della ragione. La politica dell’identità è originariamente una sorta di politica dell’emozione, che dipende dall’esperienza emotiva in una situazione specifica. Quando il conflitto internazionale sfugge al controllo degli esseri umani, e quando i sostenitori dei “valori universali” usano parole come “razionalità” e “Illuminismo” per criticare i Little Pinks, e non sono in grado di nascondere la loro posizione emotiva filo-occidentale, sarà impossibile guadagnarsi il rispetto dell’altra parte. È come quando il virologo di Hong Kong Guan Yi 管轶 (classe 1962), all’inizio della pandemia, ha ammesso che “questa volta ho paura” e che “anche i veterani come me hanno voglia di disertare. Anche se aveva ragione sul suo giudizio medico, rispetto al team medico che ha deciso di andare controcorrente e aiutare Wuhan, Guan è stato attaccato da giovani netizen per aver rivelato chiaramente la sua posizione emotiva.

L’attacco dei piccoli investitori: le modalità di organizzazione dei fan-club

L’attacco dei fan online [o “spedizione” 出征] alle celebrità indipendentiste di Hong Kong nell’agosto 2019 illustra drammaticamente le somiglianze tra il movimento Little Pink e il movimento mainstream dei fan club, così come le differenze tra i Little Pink e i passati movimenti patriottici . Nel 1999, 2004, 2005 e 2012 i movimenti antiamericani e antigiapponesi si sono trasformati in marce di strada, i cui temi hanno espresso desideri popolari nel contesto di grandi dibattiti politici, mentre l’attacco alla Little Pink è stato un movimento puramente online : si sono divisi i compiti, hanno scritto i messaggi che avrebbero inviato, organizzato il voto e cercato di convincere la gente dalla loro parte,

Gli “attacchi” sono una forma comune di organizzazione comunitaria prodotta dall’economia globale di Internet. Metodi di organizzazione simili possono essere visti nel populismo della politica Twitter dell’era Trump negli Stati Uniti e nel gennaio 2021, quando gli investitori al dettaglio hanno utilizzato Reddit per attaccare Wall Street nell’incidente di GameStop. I singoli investitori sono in un certo senso separati dalle unità sociali e dalle istituzioni tradizionali, ma non rimangono in una situazione “atomizzata”, e usano invece Internet per organizzarsi.

Questo tipo di movimento unito di investitori al dettaglio sta sempre più trapelando da Internet, influenzando l’organizzazione e il funzionamento del mondo reale. L’incidente di Xiao Zhan 肖战事件, durato dal 2020 al 2021 e la cui influenza si fa sentire ancora oggi, è un tipico esempio di socializzazione dell’economia dei tifosi. Inizialmente, l’incidente di Xiao Zhan era solo una disputa interna all’interno della considerevole base di fan di Xiao, ma ha scatenato una reazione a catena e le segnalazioni dei fan hanno portato al blocco del sito di fanfiction ., che ha poi influenzato le attività quotidiane di intrattenimento di altri gruppi di tifosi. La lotta si è allargata e lo stesso Xiao Zhan è diventato un bersaglio, e quelli contro di lui hanno adottato una tipica tattica consumistica: boicottare i marchi di cui Xiao è portavoce, il che ha suscitato punti di critica vendendo lusso nel gioco. denaro e il governo sono stati tutti coinvolti.

Cose simili sono successe molte volte. Ad esempio, nel febbraio 2021, c’è stata una controversia su Bilibili su un cartone animato giapponese chiamato “Jobless Reincarnation” a causa di accuse di pornografia. Inizialmente si trattava di una disputa all’interno del fan club, ma poiché uno streamer su un sito di Bilibili ha fatto commenti inappropriati sulla storia della Cina, i Little Pinks si sono uniti a loro e hanno attaccato, il che ha poi portato anche un gruppo di attiviste Douban a intervenire, provando per influenzare il prezzo delle azioni di Bilibili. Ciò riflette lo stato squilibrato e instabile dell’ecologia culturale giovanile, in cui incidenti minori spesso portano a conflitti multipartitici.

Nel luglio 2021, solo perché un certo marchio cinese di scarpe e abbigliamento ha “annunciato” che avrebbe donato articoli per un valore di 50 milioni di RMB alle aree disastrate dell’Henan, i netizen patriottici si sono precipitati nella stanza del live streaming del marchio per acquistare freneticamente le loro proprietà ed esprimere la loro gratitudine, tipico esempio di come il movimento emozionale ‘Little Pink’ stia diffondendo instabilità nell’economia cinese.

I rivali di Little Pink

Avendo inteso la “Little Pink” come una particolare espressione cinese di un fenomeno globale, dobbiamo introdurre la prospettiva analitica della “nicchia ecologica” per studiarne la reale collocazione nelle contraddizioni sociali.

Gli intellettuali mainstream che sembrano rifiutare con veemenza la Little Pink non appartengono alla stessa nicchia ecologica e quindi non costituiscono una concorrenza diretta. Dietro la loro apparente opposizione c’è una “divisione di specie” generazionale, ei due gruppi non si capiscono a causa delle differenze nelle esperienze storiche e nei sistemi di discorso. Ad esempio, quando i Little Pinks hanno criticato il diario di Fang Fang, hanno usato armi come rap, meme e disegni digitali, che le persone dalla parte di Fang Fang non potevano capire, il che ha portato a risultati divertenti. Le rabbiose denunce degli intellettuali contro la Little Pink spesso mancavano il bersaglio e non costituivano una vera e propria critica.

I gruppi giovanili legati all’indipendenza di Hong Kong e all’indipendenza di Taiwan occupano la stessa nicchia ecologica del Little Pink. Nel 2019, l’ex invincibile Diba è stato attaccato da gruppi giovanili legati all’indipendenza di Hong Kong. Questi giovani sono, come Little Pink, nativi del cyberspazio e combattono usando gli stessi metodi online di altri gruppi di fan, come incontrarsi su piattaforme Internet, dividersi il lavoro e cooperare per hackerare il sito di Diba e rivelare informazioni private dei membri di gruppi rivali. Una volta attaccato, Diba ha ripetutamente chiesto una tregua. Questo ci permette di vedere che diversi campi generano nuovo denaro online, ciascuno sviluppando la capacità organizzativa dell’investitore al dettaglio nell’era della globalizzazione. Hanno interessi di moda, modalità di azione e armi discorsive simili, nonostante le loro posizioni e idee contraddittorie. Per usare una metafora biologica, sono tutti nella stessa “nicchia ecologica”, il che significa che sono in competizione.

Diba è un sito sportivo, dove le liti inizialmente opponevano tifoserie di diverse squadre di calcio o di basket: i conflitti tra tifoserie hanno finito per estendersi ad altri ambiti.

Una volta compreso dove si inseriscono i Little Pink in termini di “politica dell’identità + coscienza nazionale”, allora possiamo comprendere meglio il loro coinvolgimento con altri movimenti di politica dell’identità nell’ecologia dell’opinione pubblica, come i loro conflitti con il femminismo. Nel febbraio 2020, l’account Weibo del Comitato Centrale della Lega della Gioventù Comunista Cinese ha lanciato due idoli patriottici virtuali, “Red Flag Manga 红旗漫” e “Jiangshan Jiao 江山娇”, che avrebbero dovuto ospitare una celebrazione online della giornata. Made in China, che è finita in polemica.

È un esempio di un tentativo delle autorità cinesi di partecipare alla cultura giovanile che, in questo caso, è finito male — tra l’altro perché la tempistica coincideva con l’inizio della pandemia — ed è stato giustamente considerato dai giovani cinesi come un irritante distrazione.

Tra le altre cose, il personaggio femminile “Jiangshan Jiao” ha suscitato un’ondata di ira femminista, e quando è stato chiesto di partecipare all’attività “100 domande per Jiangshan Jiao”, le femministe hanno inviato domande come: “Jiangshan Jiao, hai il ciclo? “Jiangshan Jiao, il capo ti ha chiesto di raderti la testa?” “Jiangshan Jiao, hai un fratello minore perché i tuoi genitori non volevano una figlia?” “. Hanno persino inventato canzoni rap per ridicolizzare Jiangshan Jiao, che ha avuto un enorme impatto. Come le Little Pink, le giovani femministe sono immerse nel discorso dell’economia di mercato globalizzata e mediata e della politica dell’identità. Sanno usare abilmente i nuovi canali mediatici ei nuovi mezzi discorsivi per diffondere il loro messaggio. Quando le femministe hanno attaccato il sito di Bilibili nel febbraio 2021 e durante l’incidente a Chengdu nell’aprile 2021, si potevano vedere le femministe combattere contro gli uomini di Little Pink. Ciò dimostra che i Little Pink sono stati profondamente coinvolti in ciò che il sociologo britannico Anthony Giddens (nato nel 1938) chiama “politica della vita” piuttosto che “politica tradizionale”, e che le sfide future verranno principalmente da gruppi che occupano nicchie ecologiche simili nella vita sociale. .

L’incidente di Chengdu nell’aprile 2021 si riferisce a una donna che stava mangiando in un ristorante cinese con stufato e ha chiesto ad altri clienti che mangiavano ai tavoli adiacenti di smettere. Non solo non hanno obbedito, ma hanno gettato del brodo sulla donna, portandola a rendere pubblico l’incidente.

I Little Pinks sono la loro stessa nemesi

Nel 2020, molte persone hanno notato l’esistenza di una curiosa mentalità sociale: i giovani sono generalmente fiduciosi sul futuro del Paese a livello macro, ma pessimisti sulle loro prospettive di vita personale a livello micro, preoccupati per le questioni del lavoro, del matrimonio e riproduzione. Cosa ha dato origine a questa mentalità schizofrenica?

La nuova emozione patriottica rappresentata dai Little Pinks ha messo radici nell’era della globalizzazione e di un’economia di mercato con caratteristiche socialiste, che è sottilmente diversa dal patriottismo del “secolo breve”. Quest’ultimo si basa sull’esperienza della sofferenza e sul senso di responsabilità, nel senso che, sebbene la Cina moderna sia povera e debole, e sia stata più volte vittima di bullismo, i patrioti tuttavia “hanno esplorato questa vasta terra con le loro mani danneggiate”.2. Il primo si basa maggiormente sull’esperienza della forza nazionale e della felicità personale. Ciò solleva la questione se i sentimenti possano essere influenzati dal cambiamento degli standard di vita e delle esperienze.

L’idea del “breve secolo ventesimo” è più spesso associata allo storico Eric Hobsbawm (1917-2012), e si riferisce al periodo compreso tra l’inizio della prima guerra mondiale e la caduta dell’Unione Sovietica, e quindi all’ascesa e la caduta del comunismo e il “trionfo” del capitalismo liberale.

La più grande pandemia del secolo ha bloccato lo sviluppo economico e ridotto le opportunità di lavoro per i giovani. Allo stesso tempo, in quanto persone cresciute su Internet, la generazione degli anni ’90 fa molto affidamento sulle piattaforme Internet per il lavoro e la vita. La loro vita personale diventa sempre più “dentro (宅化)” e la loro capacità di comprendere la vita reale e le pressioni offline è diminuita. Sono nati su Internet e moriranno su Internet. Sono sempre più in preda a una combinazione di consumismo, cultura dello straordinario e cultura del debito. Ora che i giganti del capitale delle piattaforme sono intrappolati nella loro stessa concorrenza in devoluzione, che si stanno ulteriormente infiltrando in tutti gli aspetti della vita sociale delle persone e passando dall’esplorazione di nuovi spazi preziosi alla raccolta di utenti con ogni mezzo possibile, l’impressione che i giovani abbiano un capitale, in particolare il capitale della piattaforma, si è notevolmente deteriorata. L’immagine di Jack Ma (马云, classe 1964) è precipitata. I giovani online hanno applaudito la prematura scomparsa di Zuo Hui (左晖, 1971-2021), il fondatore di una famosa piattaforma di brokeraggio online.

Allo stesso tempo, sono aumentate le aspettative dei giovani nei confronti delle imprese statali e del pubblico impiego, e cominciarono a immaginare cose buone sull’economia pianificata. In questo contesto, dal 2020, potremmo notare che l’interesse dei giovani per il marxismo è cresciuto in modo esponenziale. Il sito Bilibili offre molti brevi video prodotti da decine di migliaia di internauti di propria iniziativa, che presentano il marxismo e criticano i capitalisti. Il numero di tali video è aumentato di sette volte dal 2019. Il documentario di CCTV del 2019 “The Power of Capital” era originariamente concepito per celebrare le glorie della riforma e dell’apertura, fornendo una visione positiva della costruzione del capitalismo e dei mercati. Tuttavia, dopo essere stato ripubblicato su Bilibili, è stato accolto da una raffica di critiche. Allo stesso tempo, le vendite diAnche le opere selezionate di Mao Zedong sono aumentate nel 2020.

Pertanto, dobbiamo notare che la generazione Little Pink, sebbene immersa nell’economia di mercato, mostra ancora sintomi del tardo capitalismo nella loro avversione per il capitale e nella loro devozione al “marxismo dei video musicali”. Data la loro ridotta esperienza di vita, aspettative ridotte, tendenza a uscire online con persone che la pensano allo stesso modo, correttezza politica, manipolazione emotiva, a cui potremmo aggiungere la popolarità di una cultura cupa e l’utilità dell’ansia come strumento per generare traffico mediatico… Questi fattori, insieme all’involuzione del capitale globale, hanno prodotto nei giovani di oggi uno stato emotivo che potremmo definire una cultura “patriottica”, antimperialista e anticapitalista + risentimento online”. Questa è forse una delle fonti dello “stato d’animo schizofrenico” dei Little Pinks. Non si tratta tanto di un ritorno della sinistra quanto di quella che Fukuyama chiama l’attuale “politica del risentimento” tra i giovani occidentali, un prodotto del deterioramento dell’economia politica e della proliferazione della politica identitaria.

La politica occidentale del risentimento può facilmente trasformarsi in politica di strada e politica populista in un sistema elettorale, mentre la rabbia che contagia i giovani cinesi diventa invece una mentalità di totale rassegnazione e fuga dall’opinione pubblica online.. Un esempio potrebbero essere le quattro “rivolte” proposte dai giovani su Bilibili: non compreremo casa, non ci sposeremo, non faremo figli e non lavoreremo dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana. “Se mi sdraio, i capitalisti non potranno più sfruttarmi”. L’essenza di questo risentimento è, da un lato, una legittima rivendicazione contro lo sfruttamento del capitale; dall’altro è l’espressione della frustrazione di un’anima catturata dal consumismo ma che rimane insoddisfatta. Questa logica non punta a una narrativa di classe, ma piuttosto a una narrativa di welfare simile a quella che vediamo nelle socialdemocrazie occidentali.

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Conclusione

Alcuni teorici usano il termine “nuovo individualismo” per cercare di descrivere l’attuale mentalità dei giovani internauti cinesi. Nell’era dell’economia di mercato, l’individualismo è certamente un aspetto essenziale di come intendiamo e viviamo la nostra vita, ma la miscela di individualismo e nazionalismo che vediamo nella Little Pink ovviamente va oltre questo, oltre l’individualismo astratto. L ‘”individuo” nel pensiero di liberazione degli anni ’80 era un individuo umanista, spiritualmente puro come immaginato dagli intellettuali. Quando negli anni ’90 sono decollate le vere riforme e aperture, l’economia di mercato ha lasciato nell’ombra questi “individui umanistici” e l’individuo è diventato l’astratto “uomo economico” dell’economia occidentale.

Nel 1998, Liu Xiaofeng (刘小枫, nato nel 1956) ha pubblicato un riassunto delle idee dell’era post-rivoluzionaria e del periodo della trasformazione sociale, concentrandosi su una discussione sul “dolore e la felicità” associati alla trasformazione sociale. un’etica della libertà individuale. Tuttavia, rispetto alla generazione Little Pink, sembrerebbe che la trasformazione di cui parla Liu avvenga solo durante il passaggio dall’economia pianificata all’economia di mercato, e il “peso” di cui parla non includa l’ansia prodotta dal divario tra ricchi e poveri a livello personale , perché l ‘”individuo” in quel momento non era ancora pienamente consapevole del prezzo dell’alloggio, del costo dell’istruzione o di questioni come gli straordinari e la scarsa retribuzione. Né comprende l’esperienza del contatto diretto con i cittadini del mondo – che è l’esperienza dei giovani nell’era odierna del consumo globalizzato – in un momento in cui la riforma e l’apertura della Cina sono in “acque profonde”.

Dopo il 2008, quando l’ascesa della Cina è diventata sempre più evidente, i cinesi sono stati esposti direttamente alla comunicazione globale dei media e alle emozioni competitive che può produrre. Il fenomeno “Little Pink” ne è una manifestazione. Rispetto alla generazione altrettanto consumista di Taiwan “My Little Happiness (小确幸)”, i giovani della terraferma si trovano in una guerra di identità con l’Occidente a causa del ringiovanimento della Cina, mentre i giovani di Taiwan si trovano a proprio agio nel sistema internazionale occidentale.

La politica e l’etica della Little Pink, che rifiutano sia l’intellettualizzazione che la proletarizzazione, sono difficili da accettare per gli intellettuali che sono diventati maggiorenni negli anni ’80, i quali non capiscono perché le riforme, l’apertura e i mercati globali non solo non siano riusciti a determinare la fine del storia che avevano chiesto, ma invece hanno generato una comunità patriottica più ampia. Tuttavia, il fenomeno Little Pink e tutte le controversie che ha suscitato riflettono vividamente la rielaborazione e la ricodificazione di varie dottrine e idee nella realtà, tracciando i sintomi di una postmodernità ancora non presente, di una storia che non riesce a finire, e del desiderio di felicità dell’ultimo uomo e della sua continua lotta.

I Little Pinks sono un processo che, in una certa misura, va oltre l’individualismo stoico e la “politica depoliticizzata” e si riconnette con la collettività, la nazionalità, la storia e il socialismo. La domanda per il futuro è: in un’era di cambiamenti senza precedenti, la generazione Little Pink salirà o scenderà?

Gli intellettuali devono prima abbandonare la loro posizione di critica esterna e rifiutare termini semplicistici come “populista” o “spina dorsale脊梁”. Allo stesso tempo, devono superare stereotipi come “gioventù” e “mainstream” e capire che Little Pink non è solo una sottocultura giovanile, ma anche un’espressione di un certo spirito che è stato soppresso dagli intellettuali e dal sistema educativo e che poteva trovare il suo posto solo tra i giovani.

Abbiamo assistito all’ascesa della “forza Little Pink 原力”, ma ci manca una teoria per spiegare questa forza. La direzione che prenderanno i giovani cinesi e il nuovo patriottismo dipende dalla possibilità di portare a compimento l’interazione tra i vari attori intellettuali, sociali e pratici della Cina. È anche una delle responsabilità ineludibili degli intellettuali cinesi.

FONTI
  1. 余亮,”小粉红的系谱、生态与中国青年的未来”, originariamente pubblicato nell’edizione di maggio 2021 della Beijing Cultural Review , ripubblicato sul sito web di Aisixiang il 6 ottobre 2021.
  2. Questa frase è tratta da una poesia di Dai Wangshu 戴望舒 (1905-1950).

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/12/24/les-little-pink-et-lavenir-de-la-jeunesse-chinoise/

Hyperguerra: esca o fatalità per l’Europa?_di Hajnalka Vincze

Hyperguerra: esca o fatalità per l’Europa?

“Suggerire che la nuova tecnologia possa cambiare la natura immutabile della guerra, non solo il modo in cui viene combattuta, è ignorante. È come dire che un nuovo orologio cambierà la natura del tempo. (
Sean McFate, Le nuove regole della guerra )

Tra dieci anni una nuova grande guerra in Europa sarebbe una iperguerra”: è in questi termini inequivocabili che due ex comandanti della NATO e un eminente specialista britannico dell’Alleanza introducono, al grande pubblico, la nozione di iperguerra nel loro recente libro ( 1). Hanno quindi messo una parola evocativa e facile da ricordare su un fenomeno annunciato da molti, ovvero un imminente cambio di paradigma della cosa militare, dovuto all’arrivo sui campi di battaglia di tecnologie dirompenti, in prima linea l’intelligenza artificiale ( AI). Il lettore perspicace sperimenterà senza dubbio una vaga sensazione di déjà vu. Le formule e l’atmosfera sono inequivocabilmente simili alla RAM (Revolution in Military Affairs) degli anni 90. Solo le tecnologie variano. Resta il fatto che gli europei si trovano ancora una volta di fronte a un dilemma. Trarranno le giuste lezioni dalle loro recenti esperienze o si condanneranno piuttosto a un puro e semplice seguito nei confronti dell’alleato americano? Per una volta, la risposta potrebbe essere meno ovvia di quanto sembri.

Nuovi gadget, nuovi concetti

il generale John R. Allen, ex comandante delle forze Nato in Afghanistan, ora presidente della prestigiosa Brookings Institution, il generale Ben Hodges, ex comandante dell’esercito degli Stati Uniti in Europa, ora a capo degli studi strategici presso il CEPA (Centro per le Policy Analysis), e il professore britannico Julian Lindley-French, consigliere onnipresente nei cenacoli dell’Alleanza, non si sono dilungati nel loro libro di recente pubblicazione, “La guerra futura e la difesa dell’Europa”. Notano che è in corso una “rivoluzione nelle tecnologie militari” e criticano “il desiderio pericolosamente limitato degli europei di cogliere questo cambiamento”. Anche se tutti i tipi di nuove tecnologie all’avanguardia (IA, quantistica, nanotecnologia, ecc.

Tuttavia, secondo questo trio di autori, “la tecnologia guiderà la politica e la strategia in modi senza precedenti”. Non a caso, citano come esempio gli Stati Uniti, dove nel 2018 è stato istituito dal Pentagono un Joint Artificial Intelligence Center (JAIC: Joint Artificial Intelligence Center), sulla base della National Defense Strategy (NDS: National Defense Strategy) di lo stesso anno. Per l’NDS, l’ambiente di sicurezza sempre più complesso è definito, in primo luogo, dal rapido ritmo del cambiamento tecnologico che altererà il carattere della guerra. Il documento elenca sinteticamente le tecnologie in questione: informatica avanzata, “big data”, intelligenza artificiale, autonomia, robotizzazione, ipersonica, biotecnologia e armi ad energia diretta. La persona responsabile di quest’area al Pentagono,

La logica americana è sempre stata chiara: non potendo prevedere il futuro o le minacce future, il modo migliore per premunirsi contro ogni eventualità è garantire, su base costante, una superiorità tecnologica, se possibile “schiacciante”. Nonostante le poche voci di dissenso qua e là, l’accordo su questo punto è, come si suol dire, bipartisan. L’ultima incarnazione di questo approccio è la cosiddetta Third Offset Strategy, lanciata sotto l’amministrazione Obama e da allora perseguita senza sosta. Come riassunto in un rapporto dell’Assemblea Parlamentare della NATO sull’argomento, “la Terza Strategia di Compensazione è in definitiva quella di preservare e aumentare la supremazia tecnologica americana” ( 2). Con il notevole vantaggio che oltre ad irrigare decine di miliardi di dollari di commesse pubbliche del tradizionale complesso militare-industriale, prevede esplicitamente un’ampia collaborazione con aziende private che non hanno alcun legame con la difesa, Silicon Valley guarda caso.

Di fronte a tanta determinazione e slancio, gli europei non mostrano né lo stesso entusiasmo né lo stesso impegno. Il suddetto rapporto osserva: “Alcuni alleati temono che la Terza strategia di offset ponga troppa enfasi su soluzioni tecnologiche avanzate progettate per ambienti operativi specifici in cui gli alleati europei non sarebbero attualmente in grado o disposti a intervenire”. Di qui le varie e varie ingiunzioni. I tre autori di “The Future War” avvertono: “Hyperwar sta arrivando in Europa, spinto non dagli europei, ma dal cambiamento tecnologico in corso negli Stati Uniti, in Cina e in Russia. Se gli europei non si comportano di conseguenza, potrebbero “trovarsi di fronte a una nuova Pearl Harbor”.3 )”. Solo che in Europa, questa volta, c’è riluttanza. E non sono estranei a certe esperienze recenti.

Ritorno della RAM, in modalità turbo: strumento di manutenzione sotto la tutela degli alleati

Dalla prima guerra del Golfo si cominciò a parlare di “rivoluzione” per designare i cambiamenti apportati nell’arte della guerra dall’uso massiccio delle tecnologie informatiche. Oggi si annuncia un salto qualitativo ancora più decisivo: nuove tecnologie emergenti e dirompenti dovrebbero accelerare ancora di più, in proporzioni “sovrumane”, il ritmo della guerra, anche – perché, in parte, di questa velocità – escludere completamente l’umano essere, a lungo termine. Va notato che questa riedizione, in meglio, della RAM arriva in un momento di crescenti rivalità tra grandi potenze. La posta in gioco è quindi molto più alta che nell’era relativamente spensierata degli anni ’90, quando l’aspetto geopolitico della RAM era più preoccupato del suo impatto sugli equilibri di potere all’interno del mondo occidentale.

Uno dei progettisti della RAM, e vicepresidente del Joint Chiefs of Staff, l’ammiraglio William A. Owens, lo scrive nero su bianco: la corsa alle nuove tecnologie è un nuovo modo di perpetuare la “leadership americana nell’Alleanza” . Nel suo libro Alto mare, pubblicato nel 1995, sviluppa l’idea secondo la quale “la superiorità americana in questi campi può darci lo stesso tipo di influenza politica che abbiamo avuto in passato grazie alle nostre capacità nucleari. In quanto superpotenza nucleare occidentale, gli Stati Uniti godevano di un’autorità preminente all’interno della NATO per organizzare e dirigere le difese dell’Europa occidentale. Per l’ammiraglio, la scomparsa dell’Urss ha svalutato questa leva nucleare, con il corollario “il crollo dell’argomento a favore del dominio americano nell’Alleanza e, per estensione, quello dell’influenza degli Stati Uniti negli affari europei. Per preservare la nostra influenza con i nostri alleati, dobbiamo trovare un sostituto dell’ombrello nucleare”.

Con la promozione delle nuove tecnologie digitali nello spazio militare, la soluzione è stata trovata. Secondo l’ammiraglio Owens, gli Stati Uniti possono “stabilire una nuova relazione [con i suoi alleati] basata sul progresso tecnologico americano nei settori del C3I, della sorveglianza e dell’acquisizione di bersagli e delle armi a guida di precisione. Questi strumenti offrono un margine di superiorità e sono attraenti per tutte le nazioni, ma sono molto costosi da sviluppare; [per gli europei, che vogliono] trarne vantaggio senza doverne sostenere i costi, lavorare a fianco degli Stati Uniti diventa un’opzione allettante. L’America avrebbe quindi voce in capitolo su ciò che fanno con le loro forze armate”.

Tra i tanti svantaggi, da parte europea, di tale dipendenza (come l’insicurezza dell’approvvigionamento o il prosciugamento della base di difesa industriale e tecnologica), ne citiamo qui solo uno, quello che riguarda direttamente l’operatività delle forze armate attrezzo. Tenere il ritmo imposto dal tecnologismo americano comporta, per gli alleati, spese colossali e comporta, di conseguenza, una riduzione del numero dei mezzi. Possono rimediare a ciò in due modi, optando per la specializzazione o accettando il formato di un esercito campione. In entrambi i casi, diventano incapaci di fare la guerra in modo indipendente. Finirebbero, come dice questo monito rivolto agli inglesi da Raymond Odierno, comandante dell’esercito americano, “combattendo non ‘accanto’,

Hubris tecnologica, eminentemente controproducente

RAM, inoltre, ha già evidenziato due punti deboli che non potranno che aumentare con gli scenari di tipo “hyperwar”. Queste sono le vulnerabilità intrinseche dell’eccessiva digitalizzazione (come evidenziato dall’aumento degli attacchi informatici) e la mancata corrispondenza con gli obiettivi politici (illustrati in modo lampante in Iraq, Libia, Afghanistan). Nel 2017, il Defense Science Board del Pentagono ha osservato che praticamente nessun sistema d’arma in servizio negli Stati Uniti era immune da un attacco informatico. L’apparato militare americano è sia il più digitalizzato che, non essendo questo nuovo, il più vulnerabile. Un rapporto della Brookings Institution, dedicato all’evoluzione della tecnologia militare 2020-2040, riassume la situazione: “Gli eserciti moderni hanno effettivamente messo i talloni d’Achille in tutto ciò che usano, creando enormi opportunità per i loro nemici. (4 )”

La scommessa americana su tutto ciò che è tecnologico va di pari passo, infatti, con una cronica incapacità di vincere le guerre. Il generale Vincent Desportes discute questo argomento nel suo libro L’ultima battaglia di Francia “La tecnologia è solo una dimensione dell’efficacia strategica. Gli armamenti vanno ovviamente considerati in termini dei loro effetti militari, ma soprattutto della loro capacità di partecipare utilmente al raggiungimento dell’effetto politico desiderato. Il minimo che si possa dire è che durante i conflitti degli ultimi trent’anni, questa efficienza e questa capacità della tecnologia all’americana non sono state dimostrate. Un recente rapporto del Parlamento europeo invita anche alla prudenza di fronte a “l’eccessivo affidamento sui sistemi tecnologici dovuto a percezioni eccessivamente ottimistiche dell’efficacia delle soluzioni tecnologiche a problemi politici complessi”. Resta il fatto che, sempre secondo questo rapporto,5 ).

Insidie ​​e sfide in Europa: dipendenze di rete

Di fronte alla prospettiva di tecnologie dirompenti, gli europei non possono più nascondersi: i rischi di dipendenza e vulnerabilità aumentano con il cambiamento rappresentato dal 5G, dalla robotizzazione avanzata, dall’intelligenza artificiale o dalla tecnologia quantistica. La sovraesposizione delle nostre aziende e dei nostri dispositivi militari sta aumentando esponenzialmente. E questo, anche se la chiusura del sistema prescelto – sovrano o sotto controllo straniero – diventa quasi completa.

Un assaggio di ciò che potrebbe attendere gli europei in questa logica di iperconnettività è offerto dal sistema informatico di supporto logistico ai velivoli F-35, compresi quelli acquistati da partner o clienti esteri, denominato Autonomic Logistics Information System, e meglio conosciuto come ALIS. È stato progettato per affrontare il problema insito negli aerei militari all’avanguardia, vale a dire costi di manutenzione esorbitanti e tassi di disponibilità ridotti. Per fare ciò, ALIS invia continuamente informazioni sullo stato del velivolo, tutti i dettagli tecnici, inclusi piani di volo, profili di missione, dati di comunicazione e immagini video, al produttore Lockheed Martin, quindi negli Stati Uniti. Se l’obiettivo era facilitare la manutenzione dei dispositivi, è chiaro che è mancato. Secondo un rapporto della Corte dei conti americana, i suoi malfunzionamenti causano più di 45.000 ore di attività aggiuntive all’anno per un’unità dell’aeronautica. Il segretario dell’aeronautica americana ha anche scherzato, dicendo:

La situazione è infinitamente più problematica per gli acquirenti stranieri. Si trovano in un sistema altamente inefficiente, sul quale non hanno alcun controllo e nessuna speranza di staccarsene. Un eccellente specialista dell’F-35, l’americano Bill Sweetman, ha osservato nel 2009 che era “difficile vedere come l’aereo potesse operare senza il supporto americano diretto e costante”, dato che “senza accesso all’ALIS, il dispositivo sarà rapidamente messo a terra. Inoltre, questo accesso comporta il continuo trasferimento di informazioni altamente sensibili, i cosiddetti dati sovrani, verso gli Stati Uniti e Lockheed Martin. Italia, Australia e Norvegia non sono riuscite a trovare soluzioni che avrebbero permesso loro di tenere per sé le proprie informazioni, e nemmeno la soluzione collettiva tramite Lockheed Martin (finanziata per 26 milioni di dollari, direttamente dai partner) ha portato i risultati sperati. L’SDM (Sovereign Data Management) progettato successivamente in aggiunta ad ALIS è sempre basato sulla fiducia, ovvero il cliente non ha la certezza che il filtraggio tra i dati che possono essere trasmessi o meno sarà realmente effettuato secondo le sue aspettative. Quest’ultima, inoltre, dispone ancora di poche ore di “volo libero” prima che l’aeromobile sia obbligato a ricollegarsi ad ALIS per continuare ad operare. vale a dire che il cliente non ha la certezza che il filtraggio tra dati trasferibili o meno sarà effettivamente effettuato secondo le sue aspettative. Quest’ultima, inoltre, dispone ancora di poche ore di “volo libero” prima che l’aeromobile sia obbligato a ricollegarsi ad ALIS per continuare ad operare. vale a dire che il cliente non ha la certezza che il filtraggio tra dati trasferibili o meno sarà effettivamente effettuato secondo le sue aspettative. Quest’ultima, inoltre, dispone ancora di poche ore di “volo libero” prima che l’aeromobile sia obbligato a ricollegarsi ad ALIS per continuare ad operare.

L’architettura JEDI (o chi le succederà) è ALIS alla potenza di dieci. La nuvola di guerra) immaginato dal Pentagono e la cui realizzazione è stata affidata a Microsoft si è presentato come la soluzione perfetta. Certo, questa Joint Enterprise Defense Infrastructure – che avrebbe gestito il cloud computing di tutto l’esercito americano, tutti i servizi e le agenzie messi insieme – è stata appena cancellata per ragioni interne, ma il concetto di un’interconnettività sempre più avanzata e sempre più avvolgente, rimane il corso. L’ottimo analista britannico Paul Cornish non ha sbagliato quando ha scritto: “JEDI è vitale non solo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ma anche per garantire che la rete informativa strategica dell’Occidente sia il più coerente e decisiva possibile”. Qualunque forma prenderà la sua successione, riapparirà la nota ingiunzione:

Orologio tiepido per l’UE

Stretto tra, da un lato, la sua dipendenza militare dagli Stati Uniti (ma anche dai colossi digitali americani, il famoso GAFAM per il quale non ha equivalenti) e, dall’altro, la sua esposizione alla Russia (nel campo della cyber ) e la pressione cinese (in termini di infrastrutture di telecomunicazioni, in particolare reti 5G), l’Europa è più una facile preda che una potenza “geopolitica” in divenire. In questo contesto, la Commissione di Bruxelles mostra un volontarismo indiscutibile, raramente visto da parte sua. Nel suo ultimo discorso sullo “Stato dell’Unione”, nel settembre 2021, la presidente Ursula von der Leyen ha affermato: “Il digitale è la questione decisiva”. Non “un”, ma “le”: si noti l’articolo determinativo (lo stesso nel testo inglese: “the”problema decisivo ). E sottolinea: “Non si tratta solo di competitività, ma anche di sovranità tecnologica”.

Le sue osservazioni sono in linea con una moltitudine di iniziative intraprese negli ultimi tre anni. Che si tratti di costituzione di alleanze industriali (per semiconduttori e tecnologie cloud), di proposte legislative (sulla governance dei dati, o sull’AI), di meccanismi di screening per gli investimenti esteri o dell’ennesima spinta di bilancio (almeno il 20% del recovery plan deve essere dedicato allo sviluppo digitale), l’intenzione della Commissione è chiara. Il commissario Thierry Breton difende, con un certo successo, il punto di vista della “sovranità”. Avverte costantemente che “la padronanza della tecnologia è al centro del nuovo ordine geopolitico”. Il Consiglio Atlantico non si sbaglia: uno dei suoi ultimi rapporti rileva che l’ambizione europea della “sovranità digitale” suscita, da parte americana, le stesse preoccupazioni del concetto di autonomia strategica. Rileviamo lo stesso desiderio di non dipendenza, persino di emancipazione. È chiaro che, in effetti, siamo lontani dal segno.

Non appena si tratta degli elementi costitutivi essenziali che darebbero sostanza a questa sovranità digitale, vale a dire le tecnologie chiave e le infrastrutture critiche, riaffiorano le tensioni degli Stati membri, e lì ritroviamo le solite prime linee. Le conclusioni del Consiglio europeo dell’ottobre 2020, relative alla politica industriale e alla dimensione digitale, parlano certamente di “riduzione delle dipendenze” e di “autonomia strategica”, ma la formulazione contorta la dice lunga sulla strada che resta da percorrere. “Il raggiungimento dell’autonomia strategica preservando un’economia aperta è un obiettivo chiave dell’Unione”. Detto così, il requisito dell’autonomia ne esce diluito e prevale l’imperativo dell’apertura. Nel gennaio 2021, dodici Stati membri hanno pubblicato una lettera aperta per sottolineare questo punto:

Sulle iniziative concrete, riaffiorano le stesse divisioni tra gli Stati membri, intorno alla distinzione tra dichiarata ambizione di autonomia e atti di reale autonomia. Diciannove paesi dell’UE si sono formalmente opposti all’iniziativa della Commissione sulla ricerca quantistica, perché vogliono che aziende e Stati stranieri possano partecipare a questo programma altamente strategico (finanziato con fondi pubblici e finalizzato, in linea di principio, all’autonomia strategica). Sul cloud Gaia-X, il supercomputer che supera la soglia dell’exaflop, equivalente a un miliardo di miliardi di operazioni al secondo, o anche sulle alleanze industriali, è sempre la solita storia: per la maggior parte dei partecipanti, oltre alla Francia, l’apertura (ovvero l’accesso concesso a partner stranieri, in particolare americani) prevale su considerazioni di non dipendenza e, di conseguenza, distorce i progetti. Tuttavia, senza questi “mattoni” critici, è impossibile costruire un ecosistema digitale fidato che permetta di garantire, in completa autonomia, il funzionamento delle nostre società e dispositivi militari sempre più digitalizzati.

Fatalità autoinflitta?

Non servono quindi scenari tipo “iperguerra” perché la questione digitale sia cruciale. Secondo il Ministro delle Forze Armate, Florence Parly, “la tecnologia digitale è ovunque nella nostra vita quotidiana. Il Ministero delle Forze Armate non fa eccezione, nelle sue fregate, nei suoi aerei, nei suoi veicoli corazzati sempre più imbottiti di microprocessori, chip o software. Le nostre comunicazioni si basano su reti digitalizzate”. Precisando che «questa realtà sarà moltiplicata per un fattore 50 o 100 in futuro». Certamente. Tuttavia, come ha affermato il generale Thierry Burkhard, capo di stato maggiore della difesa: “Sì, dobbiamo mantenere una certa superiorità tecnologica, ma se si tratta di avere una F1 efficace solo su un circuito con una scuderia intorno, è un’esca . Quindi non lasciarti trasportare dall’altissima tecnologia. I nostri sistemi d’arma devono essere sempre relativamente resistenti e stabili e, inoltre, devono essere in grado di operare in modalità degradata (6 )”. Un recente rapporto del Senato riprende da solo questo ragionamento e aggiunge altri due criteri: a costi contenuti e senza grosse dipendenze nei confronti del mondo esterno ( 7 ) .

Tuttavia, l’insistenza su un’eccessiva tecnologizzazione accelerata rischia di dirottare i bilanci europei a favore di ipotesi provenienti da culture strategiche e considerazioni economiche a loro estranee ea scapito degli investimenti in un ecosistema digitale veramente autonomo. Non è un caso che la maggior parte delle iniziative nel settore digitale, come negli armamenti in generale, inciampi sul tema della non dipendenza. Non dobbiamo solo trovare, come dice il generale Vincent Desportes, “la tecnologia giusta”, ma anche i partner giusti. In questo ambito, descritto dall’ex direttore dell’ANSII [Agenzia nazionale per la sicurezza dei sistemi informativi] Patrick Pailloux come “la sovranità della sovranità”, stare al sicuro da ogni pressione e ricatto è l’unica bussola rilevante. È chiaro che non è quello scelto il più delle volte dai partner europei della Francia.

Parlando dell’industria degli armamenti, il presidente Macron ha spiegato nel 2020: “L’autonomia è avere l’attrezzatura giusta ed essere sicuri che questa attrezzatura non dipenda da altri poteri. E quindi, non acquistare attrezzature che possono appartenere ai nostri alleati, ma che non sono sempre, in un certo senso, co-decisori di ciò che vogliamo fare. Se vogliamo una vera autonomia militare, vogliamo poter agire con gli americani ogni volta che lo decidiamo. Ma vogliamo anche poter agire anche quando non siamo d’accordo con gli americani su un argomento. E quindi, non vogliamo dipendere da loro. Ciò presuppone avere una vera industria della difesa per evitare che gli americani ci dicano, il giorno in cui interverremo in questa o quell’operazione, “no, no, no, con questo equipaggiamento che è mio,8 )”. Solo che è necessario andare fino in fondo a questa logica. In particolare per quanto riguarda l’uso della cooperazione europea per un ecosistema digitale. Intraprendere rapporti di interdipendenza con partner che si condannano – con il pretesto di rimanere “aperti” – a dipendere da qualsiasi terzo è lo stesso che accettare questa dipendenza. Con, di conseguenza, la definitiva perdita di alternative. A quel punto, qualsiasi pensiero indipendente sul futuro della guerra diventerebbe irrilevante, con gli europei che non avrebbero altra scelta che seguire l’esempio.

Giudizi

( 1 ) J. R. Allen, F. B. Hodges e J. Lindley-French, Future War and the Defence of Europe , Oxford University Press, 2021.

( 2 ) “Maintaining NATO’s Technological Edge: Strategic Adaptation and Defence Research and Development”, Report of the NATO Parliamentary Assembly, di Thomas Marino (Stati Uniti), settembre 2017.

( 3 ) “NATO 2030: Uniti per una nuova era”, analisi e raccomandazioni della Task Force istituita dal Segretario Generale della NATO, novembre 2020.

( 4 ) Michael E. O’Hanlon, Forecasting change in military technology, 2020-2040 , The Brookings Institution, settembre 2018.

( 5 ) “Innovative technologies shaping the 2040 battlefield, EPRS”, Servizio di ricerca del Parlamento europeo, agosto 2021.

( 6 ) Intervista al Generale Thierry Burkhard, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, La Tribune , 18 marzo 2021.

( 7 ) “Nagorno-Karabakh: dieci lezioni da un conflitto che ci riguarda”, rapporto di informazione (O. Cigliotti e M.-A. Carlotti), Commissione Affari Esteri, Difesa e Forze Armate del Senato, 7 luglio 2021.

( 8 ) Osservazioni del presidente Emmanuel Macron al dibattito dei cittadini con la cancelliera Angela Merkel, Aquisgrana, 22 gennaio 2020.

Didascalia della foto in prima pagina: Il termine “hyperwar” descrive un nuovo paradigma bellico, costruito attorno a nuove tecnologie dirompenti, come l’intelligenza artificiale. ©USAF

https://www.deftech.news/2021/12/08/hyperguerre-leurre-ou-fatalite-pour-leurope/

La sovranità tecnologica europea e i suoi limiti, di Anastasia Tolstukhina

Un saggio particolarmente interessante, prodotto dal Club Valdai, la fondazione russa dedita alla ricerca e alla analisi politica e geopolitica. Segue il filone aperto qualche mese fa sulla geopolitica dei semiconduttori e sugli ultimi tre articoli riguardanti la specifica situazione in Cina. A dispetto della supponenza irritante con la quale i nostri cicisbei europei trattano gli analisti russi, il testo rivela l’attenzione e la notevole capacità critica di questi centri. Riescono, in particolare, a mettere a nudo le debolezze fondamentali che la retorica europeista tende a rimuovere più che agli occhi esterni a quelli propri dei centri, per così dire, decisori europei. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Alcuni studiosi ritengono che la “sovranità tecnologica” possa essere interpretata come “la necessità per un paese di sviluppare o mantenere l’autonomia rispetto alle tecnologie chiave, o di avere il livello più basso possibile di dipendenza strutturale”. Altri ritengono che si tratti della “capacità di un Paese (o di un gruppo di Paesi) di generare autonomamente conoscenza tecnologica e scientifica o di utilizzare capacità tecnologiche sviluppate da attori esterni attraverso l’attivazione di partenariati affidabili”.2 Così, nel primo caso , l’accento è posto sullo sviluppo indipendente di tecnologie chiave e, nel secondo caso, l’accento si sposta sulla creazione di partenariati affidabili. I funzionari europei intendono la sovranità tecnologica come qualcosa che si trova nel mezzo delle interpretazioni di cui sopra. Pertanto, parlando della sua comprensione dell’autonomia strategica, che nel complesso è direttamente correlata al concetto di “sovranità tecnologica”, il commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton ha affermato quanto segue nel suo discorso programmatico nel 2020: “Autonomia strategica non significa protezionismo, non si tratta di chiudere le porte ai nostri partner, isolarci o bloccare gli investimenti esteri <…> Si riferisce piuttosto alla capacità di avere una scelta, nello sviluppo e nel mantenimento delle nostre infrastrutture, tecnologie, abilità, competenze e nel ridurre le dipendenze critiche su paesi terzi, quindi possiamo fare affidamento sui nostri, se necessario».3 Ciò solleva il problema dell’equilibrio: cosa prevarrà? Sta sviluppando la produzione high-tech nazionale o coinvolgendo partner di cooperazione esterni? Per capirlo, vediamo come l’Europa si sta preparando a un “viaggio tecnologico” autonomo e se questo sia possibile anche nel prossimo futuro.

Passi per raggiungere la “libertà tecnologica”

La prima cosa degna di nota è che l’UE non inizia il suo viaggio verso la “libertà e sicurezza tecnologica” dal punto di partenza. I membri dell’UE hanno una base tecnologica significativa. Ad esempio, tutti hanno sentito parlare del finlandese Nokia, del tedesco Siemens e Bosch, del francese Orange e così via. Nella microelettronica, i paesi dell’UE possono realizzare apparecchiature per la produzione di semiconduttori che godono di un’ampia domanda in tutto il mondo (azienda olandese ASML), chip crittografici (tedesco Infi neon), componenti di semiconduttori (olandese NXP) e simili. Inoltre, anche la potenza di calcolo esistente è importante. Ad esempio, la società francese Atos produce supercomputer e conduce ricerche nell’ambito dei calcoli quantistici.4 Tuttavia, nonostante questo considerevole potenziale tecnologico, tutto questo non è sufficiente nelle attuali circostanze geopolitiche instabili. Pertanto, al fine di garantire un percorso relativamente autonomo e sicuro nello “oceano tecnologico” (e in futuro, per competere con gli “squali” statunitensi e cinesi), l’UE è attiva in più aree contemporaneamente.

In primo luogo, nell’UE, l’attenzione è rivolta allo sviluppo di standard e norme per il cyberspazio, che dovrebbero aiutare a stabilire il controllo sulla tecnologia. Il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) è già operativo ed entreranno in vigore il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA) progettati per limitare il predominio dei colossi tecnologici statunitensi in Europa e proteggere quanto prima gli utenti nello spazio digitale.5 Il Parlamento europeo ritiene che l’adozione di nuovi progetti di legge non sia solo un’opportunità per definire la traiettoria dello sviluppo dell’economia digitale nell’UE, ma anche un’opportunità per diventare un punto di riferimento globale nello sviluppo di standard, che possono compensare le perdite dell’Europa nella battaglia per la leadership tecnologica.6 L’apertura di un ufficio dell’UE nella Silicon Valley7 all’inizio di settembre per fornire agli organismi di regolamentazione europei l’accesso diretto ai colossi tecnologici statunitensi è indicativa dei seri piani dell’UE per raggiungere la leadership nella regolamentazione della tecnologia.

In secondo luogo, gli europei stanno aumentando gli stanziamenti per la R&S8 e stanno anche elaborando un programma quadro di ricerca scientifica e innovazione intitolato Orizzonte Europa, il cui budget 2021-2027 ammonterà a circa 95,5 miliardi di euro, nei programmi di calcolo quantistico, soprattutto da quando nel 2018 l’UE ha fatto delle tecnologie quantistiche la sua priorità e ha stanziato 1 miliardo di euro per finanziare programmi di ricerca congiunti nei prossimi 10 anni.10 Quantum Flagship è una delle iniziative di ricerca più ambiziose dell’UE e si ritiene che sia il più grande impegno di finanziamento della tecnologia quantistica. L’UE teme di rimanere indietro nella corsa quantistica, che è irta di gravi rischi, compresi i rischi per la sicurezza informatica (si ritiene che i computer quantistici saranno in grado di infrangere i protocolli di crittografia esistenti in pochi secondi). Inoltre, secondo gli esperti, la crittografia quantistica e i computer quantistici potrebbero finire negli elenchi di articoli per la difesa e strategici e quindi ricadere sotto restrizioni all’esportazione.11

In terzo luogo, gli sforzi sono andati allo sviluppo e alla produzione di prodotti high-tech nazionali. Nel febbraio 2022, la Commissione europea ha pubblicato una legge sui chip europei.12 L’UE prevede di sviluppare e produrre i propri chip all’avanguardia per prevenire future carenze. In base a questa legge, la commissione prevede di stanziare 11 miliardi di euro di fondi statali per la ricerca, la progettazione e la produzione di semiconduttori. Complessivamente, entro il 2030 dovrebbero essere raccolti 43 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati ​​per portare la quota dell’UE sul mercato internazionale dei semiconduttori dal 9% al 20%13.

Oltre ai chip per computer, per garantire l’autonomia tecnologica e il successo dell’ingresso nell’era dell'”economia dei dati”, l’UE ha bisogno anche della propria potenza di calcolo avanzata sotto forma di supercomputer e tecnologia quantistica. A tal fine, l’UE sta portando avanti un’iniziativa per creare supercomputer, compreso il calcolo ad alte prestazioni exaFLOPS. In particolare, il 13 luglio 2021, il Consiglio Europeo ha adottato una risoluzione sulla creazione della joint venture Euro HPC, il cui scopo è dispiegare un’infrastruttura di supercomputer di prim’ordine in tutta Europa per soddisfare le esigenze degli utenti, nonché sviluppare un ecosistema di ricerca e innovazione per la tecnologia informatica ad alte prestazioni. Entro il 2023, si prevede di creare due computer exaFLOPS che Francia e Germania sperano di dispiegare nei loro territori. Inoltre, si presume che questi supercomputer funzioneranno con chip di fabbricazione europea.14 Pertanto, l’UE prevede di sviluppare microprocessori ad alta efficienza energetica per l’elaborazione estrema, noti come European Processor Initiative (EPI). La giovane azienda SiPearl è incaricata di sviluppare i chip. Prevede di lanciare il processore Rhea nel 2022 e consegnarlo in tempo per i supercomputer exaFLOPS europei nel 2023.15

Gli Stati membri dell’UE stanno perseguendo la cooperazione tecnologica quantistica con un memorandum d’intesa recentemente firmato da Francia e Paesi Bassi per stabilire una cooperazione accademica e creare sinergia tra imprese francesi e olandesi.16

Cosa ostacola l’obiettivo desiderato?

Secondo Thierry Breton, “è necessario realizzare rapidamente un cambiamento radicale per gestire… la transizione digitale ed evitare dipendenze esterne nel nuovo contesto geopolitico”, le società straniere in una varietà di settori, dalle materie prime e componenti18 alle piattaforme digitali e alle infrastrutture di telecomunicazione.19

Ad esempio, esiste una profonda dipendenza dai prodotti a semiconduttori statunitensi e asiatici realizzati da società come Intel, TSMC, AMD e Nvidia. Inoltre, il mercato europeo è dominato da aziende IT statunitensi che forniscono software, processori, computer e tecnologie cloud20, solo per citarne alcune, all’Europa. L’UE dipende in gran parte dalla Cina per quanto riguarda le macchine automatiche per l’elaborazione dei dati, le apparecchiature per le telecomunicazioni e le apparecchiature elettriche. Inoltre, il 98% dei metalli delle terre rare viene importato.21

Investimenti privati ​​e pubblici inadeguati (rispetto agli Stati Uniti)22 nelle industrie ad alta tecnologia e quantità inadeguate di capitale di rischio, il che, secondo gli analisti, pone il rischio di acquisizioni di Imprese europee e start-up a capitale straniero e, peggio ancora, la loro delocalizzazione dall’UE verso paesi terzi.23

Il ritardo nella corsa ai brevetti verso Cina e Stati Uniti, che rende difficile per gli europei entrare nei mercati con le loro invenzioni e la loro tecnologia.24

Il problema dell’esportazione della tecnologia europea in altri paesi tra sanzioni e mercati off-limits negli Stati Uniti e in Cina.25 L’accesso ai mercati è estremamente importante se si vuole che le aziende siano competitive e redditizie.

Aumento della spesa militare, che devia gli investimenti che potrebbero essere utilizzati per lo sviluppo tecnologico. A breve termine, l’UE stanzierà altri 200 miliardi di euro per esigenze militari.26

Difficoltà nello sviluppo e nella conduzione di una politica tecnologica coordinata tra i 27 membri dell’UE.

La crisi energetica è un ostacolo fondamentale al processo produttivo stabile. Sono necessarie enormi quantità di elettricità affinché i supercomputer o le fabbriche produttrici di chip funzionino correttamente.

Progressi nell’UE in generale.

La maggior parte dei problemi di cui sopra sono difficili da risolvere. Per superarli sono necessari volontà politica, tempo e massicci investimenti. Ma questa non è ancora la parte più difficile.

Nessuno può permetterselo

L’UE non è in grado di garantire la propria indipendenza tecnologica e di “fare affidamento sulle proprie risorse, quando necessario” come vorrebbe vedere Breton. Inoltre, nessun paese al mondo può permetterselo, compresi gli Stati Uniti. Ed ecco perché. I progressi avvenuti negli ultimi decenni sono stati possibili grazie alla globalizzazione e alla divisione internazionale del lavoro. Prendiamo ad esempio la microelettronica, la spina dorsale dell’industria IT. Diverse aziende sparse in tutto il mondo lavorano per creare un microchip dall’inizio alla fine della catena del valore. Di norma, alcuni progettano chip (Fabless), come gli statunitensi AMD o Qualcomm, mentre altri li fabbricano (Foundry), come il taiwanese TSMC.28 È vero, ci sono società IDM (Integrated Device Manufacture) che progettano, producono e commercializzano i loro processori (ad esempio, l’americana Intel, la Micron Technology o la sudcoreana SK Hynix.29) Ma non sono la risposta assoluta come l’intera linea di prodotti di attrezzature e componenti necessari per la produzione di prodotti a semiconduttore, e non producono tutti i componenti, i materiali di base, ecc. utilizzati nella microelettronica. Con il 90 percento delle forniture globali, la Cina è il principale fornitore di magneti in terre rare.30 Russia31, Ucraina (produzione interrotta a marzo)32 e Cina sono i principali fornitori globali di gas inerti33 necessari per la produzione di semiconduttori. Le macchine fotolitografiche34, fondamentali per il processo produttivo, sono realizzate dall’olandese ASML, che detiene l’80% del mercato globale. L’azienda tedesca Siltronic AG è tra i principali produttori mondiali di wafer di silicio iperpuro. La giapponese Showa Denko KK è uno dei maggiori fornitori di prodotti chimici per la produzione di microcircuiti.35 La britannica ARM progetta uno dei migliori core per processori. Gli esempi abbondano. L’industria dei semiconduttori è un’industria di scala. Nessun paese e nessuna azienda può permettersi di sostituire le importazioni della catena del valore dei semiconduttori o di numerosi altri prodotti high-tech. L’Ue non eviterà “le dipendenze esterne nel nuovo contesto geopolitico” e deve consolidare e instaurare una cooperazione con i partner e gli alleati che ritiene convenienti.

Cooperazione

Rivediamo l’EU Chips Act, che ha lo scopo non solo di incoraggiare gli investimenti nel settore, ma anche di garantire una fornitura ininterrotta di microcircuiti, anche attraverso la localizzazione della produzione dei maggiori produttori mondiali di chip all’avanguardia, come Intel o TSMC. Questo passaggio è molto importante, perché, secondo gli esperti, se le catene di approvvigionamento vengono interrotte, alcuni settori industriali dell’Europa potrebbero esaurire i microcircuiti in alcune settimane, con le fabbriche costrette a rallentare o interrompere del tutto la produzione.36 Intel ha accettato di investire 80 miliardi di euro per espandere l’industria dei semiconduttori nell’UE nei prossimi 10 anni.37 Durante la prima fase, questa società americana investirà più di 33 miliardi di euro nella creazione di centri di ricerca e impianti di produzione in Germania, Francia, Irlanda, Italia, Polonia e Spagna. L’UE fa meno affari con TSMC che con Intel. Anche se Taiwan ha accolto con favore l’EU Chips Act,38 non sono stati fatti passi seri per localizzare la produzione di TSMC in Europa. Nel 2021, questa società ha negoziato con il governo tedesco per costruire un impianto, ma il dialogo si è interrotto molto probabilmente a causa di problemi relativi ai sussidi statali, problemi del personale e domanda dei clienti, come riportato dal vicepresidente senior per le vendite in Europa e in Asia di TSMC Lora Ho.39 In particolare, uno studio di Ernst & Young mostra che il numero di progetti di investimento estero in Germania è andato gradualmente diminuendo dal 2017 a causa di processi di coordinamento prolungati, burocrazia e costi di produzione elevati.40 Le cose però sembrano molto migliori negli Stati Uniti rispetto all’UE. A seguito di una serie di inviti provenienti dagli Stati Uniti, TSMC ha annunciato nel maggio 2020 che avrebbe costruito un impianto da 12 miliardi di dollari in Arizona. La produzione di massa dovrebbe iniziare nel 2024. Secondo alcuni esperti, questa mossa indica il piano di TSMC di riprodurre la sua catena di fornitura integrata taiwanese negli Stati Uniti per paura di una potenziale invasione cinese.41 Indubbiamente, oltre ai semiconduttori, la cooperazione riguarda anche altri ambiti, come la tecnologia quantistica. Almeno due computer quantistici basati su IBM Quantum System One sono in costruzione in Germania.42 Tuttavia, le opinioni sulla cooperazione dell’UE con altri stati differiscono in alcuni settori high-tech. Il Regno Unito, la Svizzera e Israele dispongono di importanti ecosistemi per la ricerca quantistica e sono disposti ad aderire ai programmi quantistici e spaziali di Orizzonte Europa dell’UE. Ma Thierry Breton si oppone alla partecipazione di paesi terzi ai programmi di ricerca dell’UE sul calcolo quantistico e ritiene che sia di fondamentale importanza creare capacità europee indipendenti per lo sviluppo e la produzione di computer quantistici”. La Germania e un certo numero di altri paesi insistono nel mantenere la porta aperta ai paesi associati per i programmi di ricerca quantistica e spaziale, sostenendo che la lotta per la sovranità tecnologica non dovrebbe interferire con la cooperazione nella ricerca scientifica. Gli investimenti esteri restano nelle capitali nazionali.44

Consolidamento

L’UE si impegna a rispettare il principio incrollabile dell’unità transatlantica nella sfera politico-militare e tecnologica in un contesto di elevati livelli di incertezza globale e di nuove sfide. Gente dall’altra parte dell’Atlantico condividono questo approccio. Antony Blinken definisce alleati e partner degli Stati Uniti “moltiplicatori di forza” e “una risorsa unica”. 45 Il Trade and Technology Council, TTS, creato nel 2021 è un modo per mostrare il consolidamento dell’Occidente. Un nuovo forum che opera attraverso almeno 10 gruppi di lavoro è progettato per mantenere una comunicazione regolare tra i funzionari degli Stati Uniti e dell’UE su un’ampia gamma di questioni, dallo sviluppo di standard tecnici e moderazione dei contenuti alla diffusione di reti 5G/6G e alla garanzia di catene di approvvigionamento stabili e sicurezza informatica. Il principale obiettivo presunto di TTC è quello di redigere regole e standard tecnologici internazionali per promuovere i valori e gli interessi occidentali.46 Tuttavia, questo pone la domanda: gli interessi degli Stati Uniti e dell’UE saranno presi in considerazione allo stesso modo? Gli esperti dell’ISPI affermano che il TTC può garantire che, una volta indeboliti dalla potente lobby delle multinazionali, i regolamenti e le norme dell’UE saranno in linea con gli interessi americani.48 A sua volta, il Center for European Reform è nel complesso piuttosto scettico sullo sviluppo di misure normative universali in tempi brevi, poiché ritiene che vi siano chiari limiti alla cooperazione digitale transatlantica, dal momento che gli americani sono molto meno inclini a limitare la Big Tech rispetto agli Europei.49 Sembra che a breve termine, TTS si concentrerà sul coordinamento delle politiche in tanto che il mondo attraversa un periodo di maggiori rischi geopolitici piuttosto che sull’unificazione degli standard; il suo obiettivo principale sarà mantenere la leadership occidentale nella tecnologia nel mezzo della concorrenza spietata con la Cina e del conflitto con la Russia. In particolare, alcuni esperti affermano che il TTS è diventato il “pilastro” del partenariato transatlantico, indispensabile per coordinare le sanzioni e i controlli sulle esportazioni.50

Conclusione

Considerazioni importanti:

la sovranità tecnologica è un valore relativo e ha i suoi limiti, perché ogni  paese in una certa misura, conta su altri paesi per lo sviluppo tecnologico.

Anche se la divisione internazionale del lavoro si sta restringendo e si sta localizzando, l’interdipendenza economica rimarrà un fattore importante, che diventerà sempre più forte man mano che le possibili alternative di cooperazione vengono interrotte per ragioni politiche.

L’UE è notevolmente limitata nella sua capacità di essere un attore tecnologico indipendente e di competere con le piattaforme tecnologiche statunitensi o cinesi, poiché rimane significativamente e strutturalmente dipendente da attori esterni in una varietà di settori tecnologici ed energetici, e manca di investimenti pubblici e privati. La localizzazione della produzione estera avanzata negli Stati membri dell’UE elimina ogni possibilità per le aziende europee di mettersi alla prova in quelle nicchie critiche in cui l’UE vorrebbe avere successo. Quindi, implementando le sue strutture in Europa, Intel “cannibalizzerà” le start-up europee emergenti, come SiPearl, che cercano di creare processori avanzati. In questo modo, è probabile che l’UE svolga il ruolo di un importante partner minore degli Stati Uniti in una battaglia congiunta per la leadership tecnologica contro il “drago cinese” e si limiti a riempire nicchie isolate e a sacrificare parte della sua sovranità tecnologica nel processo .

C’è un grande rischio che l’alleanza tecnologica USA-UE, TTC, sia dominata dagli americani (come nel caso della NATO), dal momento che il rapporto tecnologico transatlantico è asimmetrico quanto il rapporto di difesa. Tuttavia, non si può escludere che l’UE possa esercitare un’influenza significativa sullo sviluppo di norme e standard tecnologici universali, poiché ritiene che la regolamentazione sia la sua principale risorsa e non smetterà mai di difendere i propri interessi davanti alle società statunitensi. La sovranità tecnologica dell’UE può essere rafforzata: 1) fornendo leadership in aree in cui ha già un vantaggio o potenziale per creare nuovi mercati; 2) sviluppare e implementare standard e norme nel cyberspazio per una maggiore protezione e controllo; 3) coordinare il suo processo decisionale e mettere in comune le risorse scientifiche, finanziarie e di altro tipo di tutti gli Stati membri; 4) assumere e trattenere personale altamente qualificato; 5) garantire catene di approvvigionamento affidabili di materie prime, componenti, attrezzature ed energia

Per sopravvivere in un mondo frammentato, l’Occidente ha optato per una strategia di cooperazione e consolidamento. È in corso la costruzione di un ecosistema tecnologico chiuso. È diventato importante tenere le tecnologie avanzate chiave fuori dalle mani dei concorrenti, quindi in alcuni casi le esportazioni di tecnologia sono ridotte a zero.51 Ciò solleva la questione, tuttavia, della sostenibilità economica del sistema dato il mercato limitato per le vendite.

L’industria high-tech è di grandi dimensioni e comporta una certa quantità di esportazioni, altrimenti i costi di produzione sarebbero troppo alti e l’attività non redditizia. Per salvaguardare e aumentare i profitti, è necessario essere integrati nel mercato globale, cosa impossibile in un “mondo basato sui blocchi”. Fino a quando non verrà identificato un leader, la lotta competitiva tra i paesi leader rimarrà feroce e la geopolitica prevarrà sull’opportunità economica in questa corsa estenuante, mentre la divisione del mondo in blocchi tecnici ed economici separati e isolati influenzerà negativamente l’economia globale e potrebbe portare a una prolungata recessione globale.

NOTE

https://valdaiclub.com/files/39101/

1 Crespi F., Caravella S.,Menghini M.,Salvatori Ch. Sovranità tecnologica europea: un quadro emergente per la strategia politica // Intereconomia. Numero 6. Volume 56, 2021. Pp. 348-354. URL: https:// www.intereconomics.eu/contents/year/2021/number/6/article/european-technological-sovereignty-anemerging-framework-for-policy-strategy.html

2 Crespi F., Caravella S., Menghini M., Salvatori Ch. Sovranità tecnologica europea: un quadro emergente per la strategia politica // Intereconomia. Numero 6. Volume 56, 2021.Pp. 348-354. URL: https:// www.intereconomics.eu/contents/year/2021/number/6/article/european-technological-sovereignty-anemerging-framework-for-policy-strategy.html

3 Discorso principale – Thierry Breton, Commissario per il Mercato interno, Commissione europea // European Defense Review. 8.12.2020. URL: https://www.edrmagazine.eu/keynote-speech-thierry-bretoncommissioner-for-internal-market-european-commission

4 Il calcolo quantistico è ancora in una fase sperimentale, ma ha un enorme potenziale rivoluzionario.

5 Secondo gli esperti, le aziende europee dipendono al 90% dai fornitori di servizi statunitensi per la gestione dei propri dati, il che crea rischi in termini di controllo sull’accesso di terze parti ai dati, spionaggio, minacce informatiche e accesso sicuro.

6 L’informatore di Facebook Frances Haugen testimonia in Parlamento l’8 novembre // Parlamento europeo. 03.11.2021. URL: https://www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20211028IPR16121/facebookwhistleblower-frances-haugen-testifies-in-parliament-on-8-november

7 Perché l’Unione europea sta aprendo un’ambasciata nella Silicon Valley // World Economic Forum. 16.08.2022. URL: https://www.weforum.org/agenda/2022/08/why-the-european-union-is-opening-a-silicon-valleyembassy

8 Nel 2021, gli stanziamenti del bilancio pubblico per la R&S nell’UE ammontavano a 109,25 miliardi di euro (0,75% del PIL dell’UE), ovvero il 35% in più rispetto al 2011, 81,139 miliardi di euro. Vedi: URL: https://3dnews.ru/1071691/bolshevsego-v-evrope-byudgetnih-sredstv-na-niokr-videlyayut-v-shveytsarii-i-norvegii-av-es-v-lyuksemburge

9 Quadro della Comunità Europea per la Ricerca e l’Innovazione // National Research University Higher School of Economics. URL: https://fp.hse.ru/frame

10 Borsa laterale A. La ricerca europea del potere tecnologico // CIRSD. URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/ horizons-winter-issue-20/europes-quest-for-technological-power

11 Borsa laterale A. La ricerca europea del potere tecnologico // CIRSD. URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/ horizons-winter-issue-20/europes-quest-for-technological-power 12 European Chips Act – Domande e risposte // Commissione europea. 8.02.2022. URL: https://ec.europa . eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_22_730 13 Ibid.

14 Borsa laterale A. La ricerca europea del potere tecnologico // CIRSD. URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/ horizons-winter-issue-20/europes-quest-for-technological-power

15 Ibid.

16 Ibid.

17 Crespi F., Caravella S., Menghini M., Salvatori Ch. Sovranità tecnologica europea: un quadro emergente per la strategia politica // Intereconomia. Numero 6. Volume 56, 2021. Pp. 348-354. URL: https:// www.intereconomics.eu/contents/year/2021/number/6/article/european-technological-sovereignty-anemerging-framework-for-policy-strategy.html

18 Nella produzione odierna di chip vengono utilizzati circa 90 elementi chimici. Inoltre, tutte le materie prime utilizzate nella microelettronica devono essere altamente purificate, un processo separato ad alta intensità di manodopera e costoso che attualmente può essere svolto solo da poche aziende in tutto il mondo.

19 Crespi F., Caravella S.,Menghini M.,Salvatori Ch. Sovranità tecnologica europea: un quadro emergente per la strategia politica // Intereconomia. Numero 6. Volume 56, 2021.Pp. 348-354. URL: https:// www.intereconomics.eu/contents/year/2021/number/6/article/european-technological-sovereignty-anemerging-framework-for-policy-strategy.html

20 Secondo Synergy Research Group, il tre maggiori fornitori di servizi cloud – Amazon, Microsoft e Alphabet Inc. – rappresentano il 69% del mercato cloud europeo. Il più grande fornitore di servizi cloud in Europa, DeutscheTelekom, detiene solo il 2% della quota di mercato europea, seguita da OVHCloud con l’1%. Cfr.:URL: https://www.spglobal.com/marketintelligence/en/news-insights/latest-newsheadlines/microsoft-s-burgeoning-cloud-business-draws-eu-scrutiny-69718304

21 L’Europa nella geopolitica della Tecnologia: collegare le dimensioni interne ed esterne // 9.04.2021. URL: https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/pannier_europe_geopolitics_technology_2021_.pdf 22 Ad esempio, l’EU Chip Act prevede 11 miliardi di euro di investimenti pubblici. Nell’agosto 2022, gli Stati Uniti hanno approvato il CHIPS and Science Act, in base al quale verranno rilasciati 170 miliardi di dollari in cinque anni per promuovere la ricerca scientifica negli Stati Uniti e circa 52 miliardi di dollari in sussidi governativi saranno accantonati per la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti. Un prestito fiscale sugli investimenti del valore di 24 miliardi di dollari sarà concesso anche ai produttori di microcircuiti. Vedi: URL: https://www.reuters.com/business/majority-us-senate-backs-billboosting-chipmakers-compete-with-china-2022-07-27/

23 Pannier A. La ricerca europea del potere tecnologico // CIRSD. URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/ horizons-winter-issue-20/europes-quest-for-technological-power 24 Classifica dei paesi per numero di brevetti // NONEWS. 22.10.2018. URL: https://nonews.co/directory/lists/ countries/number-patents 25 Stati Uniti e Cina mantengono i loro mercati chiusi ai fornitori stranieri. Ad esempio, un’azienda europea come Atos non può sperare di esportare le sue macchine in questi paesi e il suo mercato è localizzato principalmente in Europa, Brasile e India. Vedi: URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/horizons-winterissue-20/europes-quest-for-technological-power 26 Borrell: l’UE dovrebbe aumentare le spese militari per rifornire le forniture trasferite all’Ucraina // TASS . 18.05.2022. URL: https://tass.ru/mezhdunarodnaya-panorama/14659435 27 La bolletta dell’elettricità per il supercomputer ammonta a decine di milioni di euro all’anno. Ad esempio, Fugaku (supercomputer giapponese) consuma dai 30 ai 40 MW fatturati a 40 milioni di euro all’anno. Cfr.: URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/horizons-winter-issue-20/europes-quest-for-technological-power

28 TSMC rappresenta il 60% del mercato dei semiconduttori e rimane il leader indiscusso. Inoltre, l’azienda detiene l’80% del mercato mondiale nella produzione di wafer semiconduttori con un processo produttivo da 5 a 32 nm. Vedi: URL: https://habr.com/ru/company/ua-hosting/ blog/553838/

29 Principali produttori di componenti elettronici a semiconduttore e carenza di prodotti. Parte 2. Produttore di dispositivi integrati (IDM), fine // Elettronica moderna. URL: https://www.soel.ru/online/vedushchieproizvoditeli-poluprovodnikovykh-elektronnykh-komponentov-i-chast2/

30 Un approccio transatlantico alla sovranità digitale // ISPI. 16.06.2022. URL: https://www.ispionline.it/en/ pubblicazione/transatlantic-approach-digital-sovereignty-35455

31 La Russia ha limitato le sue esportazioni di gas inerte fino alla fine dell’anno, incluso il neon, come dice la risoluzione del governo approvata. Questi gas includono argon, elio e altri, che sono ampiamente utilizzati per la produzione di semiconduttori, che a loro volta vengono utilizzati per realizzare microcircuiti. La Russia fornisce fino al 30 percento del neon consumato a livello globale. Vedi: URL: https://iz.ru/1343367/2022-06-01/rossiia-dokontca-goda-ogranichila-eksport-inertnykh-gazov

32 imprese ucraine hanno coperto fino al 90% delle esigenze totali delle società IT statunitensi e fino al 40% delle esigenze delle società tecnologiche taiwanesi. L’interruzione delle esportazioni di neon dall’Ucraina ha causato uno shock dei prezzi sul mercato con i prezzi dei neon che sono aumentati di 9 volte. Il neon non può essere ottenuto da nessun’altra parte in volumi industriali. I fornitori alternativi – Russia e Cina – non aumenteranno la produzione per consegnarla ai paesi occidentali, e la Russia ha recentemente smesso completamente di fornire gas inerti a tutti i paesi per impedire alle aziende di paesi ostili di acquistare neon tramite intermediari. Inoltre, la Russia ha smesso di fornire preziosi elio, argon e krypton. Vedere: URL: https://vk.com/video-17733403_456239267

33 Il capo del Cyber ​​Command dice al Congresso che la carenza di chip ha implicazioni per la sicurezza nazionale // Cyberscoop. 10.03.2022. URL: https://www.cyberscoop.com/cyber-command-chief-congress-chip-shortage-nationalsecurity/

34 Oltre ad ASML, le macchine fotolitografiche sono prodotte dai giapponesi Nikon e Canon, ma sono di qualità molto inferiore all’azienda olandese. Vedere.: URL: https://yandex.ru/video/ preview/13478062475003201025

35 I giapponesi hanno minacciato il mondo di gonfiare il prezzo dei prodotti chimici utilizzati nella produzione di chip // CNEWS. 05.07.2022. URL: https://www.cnews.ru/news/top/2022-07-05_yapontsy_ugrozhayut_vzvintit

36 TSMC è l’azienda più richiesta al mondo // The Epoch Times. 12.03.2022. URL: https://www . epochtimes.ru/mnenie/tochka-zreniya/tsmc-samaya-vostrebovannaya-kompaniya-v-mire-148536/

37 Intel investirà 80 miliardi di euro nella costruzione di centri e impianti di ricerca in Europa // 3DNEWS. 15.03.2022. URL: https://3dnews.ru/1062019/intel-rasskazala-o-planah-po-investirovaniyu-bolee-33-mlrd-vpoluprovodnikovuyu-otrasl-evrosoyuza

38 Il governo accoglie con favore l’EU Chips Act che mira a collaborare con Taiwan, TSMC // Focus Taiwan. 02.09.2022. URL: https://focustaiwan.tw/business/202202090011

39 TSMC sta negoziando un nuovo impianto con il governo tedesco // RBC. 11.12.2021. URL: https://quote . rbc.ru/news/short_article/61b4c14e9a7947275e5cb243

40 Direktivestitionen in Europa: Wirtschafterholtsichlangsam von Pandemie – Schweizbleibtattraktiv // EY. 31.05.2022. URL: https://www.ey.com/de_ch/news/2022-press-releases/05/direct-investment-in-europe

41 TSMC è l’azienda più richiesta al mondo // The Epoch Times. 12.03.2022. URL: https://www . epochtimes.ru/mnenie/tochka-zreniya/tsmc-samaya-vostrebovannaya-kompaniya-v-mire-148536/

42 Borsa laterale A. La ricerca europea del potere tecnologico // CIRSD. URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/ horizons-winter-issue-20/europes-quest-for-technological-power

43 Borsa laterale A. La ricerca europea del potere tecnologico // CIRSD. URL: https://www.cirsd.org/en/horizons/ horizons-winter-issue-20/europes-quest-for-technological-power 44 L’Europa nella geopolitica della tecnologia: collegare le dimensioni interna ed esterna // 9.04 .2021. URL: https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/pannier_europe_geopolitics_technology_2021_.pdf

45 Una politica estera per il popolo americano // Dipartimento di Stato americano. 03.03.2021. URL: https://www . state.gov/a-foreign-policy-for-the-american-people/

46 Consiglio commerciale e tecnologico USA-UE: obiettivi di Parigi e prossimi passi // Global Policy Watch. 13.06.2022. URL: https://www.globalpolicywatch.com/2022/06/us-eu-trade-and-tech-council-paris-takeaways-andnext-steps/

47 Consiglio UE-USA per il commercio e la tecnologia: una cartina di tornasole per la cooperazione transatlantica // ISPI. 16.06.2022. URL: https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/eu-us-trade-and-technology-council-litmus-testtransatlantic-cooperation-35457

48 L’Europa nella geopolitica della tecnologia: collegare la dimensione interna ed esterna // 9.04.2021. URL: https://www.ifri.org/sites/default/fi

49 Reality bytes: il limite per la cooperazione digitale transatlantica // Centre for European Reform. 13.07.2022. URL: https://www.cer.eu/insights/reality-bytes-limits-transatlantic-digital-co-operation

50 Consiglio commerciale e tecnologico USA-UE: obiettivi di Parigi e prossimi passi // Global Policy Watch. 13.06.2022. URL: https://www.globalpolicywatch.com/2022/06/us-eu-trade-and-tech-council-paris-takeaways-andnext-steps/

51 Ad esempio, nel 2019, gli Stati Uniti hanno inserito Huawei nell’elenco delle sanzioni e da allora a tale società è stato vietato di ricevere microcircuiti moderni sotto i 45 nm, oltre a una serie di altri componenti importanti. Per questo motivo, Huawei sta rapidamente perdendo quote di mercato degli smartphone. Vedi: URL: https://yandex . ru/video/preview/6754694362550471518

L’ammissione della Merkel che Minsk era solo uno stratagemma garantisce un conflitto prolungato, di Andrew Korybko

I critici potrebbero affermare che la nuova prospettiva del presidente Putin è arrivata con otto anni di ritardo, ma tardi è sempre meglio che mai. La Merkel lo ha manipolato per anni prima di chiarire finalmente il suo tradimento, che ha insegnato al leader russo la dolorosa lezione che non potrà mai più fidarsi di nessuno dei suoi coetanei occidentali. Invece, ora sta abbracciando con entusiasmo le sue controparti della Grande Potenza in tutto il Sud del mondo, in particolare il primo ministro indiano Modi, che condivide la sua grande visione strategica di un futuro multipolare.

L’ex cancelliere finalmente viene pulito

Nessuno può affermare con sicurezza di sapere come andrà a finire l’ultima fase del conflitto ucraino , che è stato determinato dall’operazione speciale che la Russia è stata costretta a iniziare per difendere l’integrità delle sue linee rosse di sicurezza nazionale dopo che la NATO le ha attraversate. Dopotutto, i colpi di scena finora hanno colto tutti alla sprovvista, dalla riunificazione della Novorossiya con la Russia ai due attacchi di droni di Kiev all’inizio di questa settimana nell’entroterra del suo vicino.

Detto questo, si può prevedere con sicurezza che il conflitto quasi certamente si protrarrà per gli anni a venire, con questa previsione basata sulla candida ammissione dell’ex cancelliere tedesco Merkel secondo cui il processo di pace di Minsk era solo uno stratagemma per rafforzare le capacità militari offensive di Kiev . Le sue parole hanno fatto eco a quelle dell’ex presidente ucraino Poroshenko che ha detto esattamente la stessa cosa all’inizio di quest’anno, ma la differenza è che non è mai stato considerato un amico del presidente Putin, a differenza della Merkel.

Operazione di manipolazione della percezione della Merkel contro Putin

Ognuno di loro parla fluentemente la lingua dell’altro, ha trascorso i suoi anni professionali formativi nell’ex Germania dell’Est, presiede a grandi potenze storiche e le loro rispettive economie sono chiaramente complementari, ergo perché hanno collaborato strettamente su un’ampia gamma di questioni. Nel corso del tempo, il presidente Putin ha iniziato a proiettare su di lei se stesso e la sua grande visione strategica di una ” Europa da Lisbona a Vladivostok “, con cui ha giocato riflettendo retoricamente per alimentare il suo pregiudizio di conferma.

Per tutto questo tempo si è scoperto che lo stava solo ingannando dicendo al leader russo qualunque cosa volesse sentire, tuttavia, con il suo superficiale sostegno al processo di pace di Minsk che è l’epitome del suo approccio manipolativo al presidente Putin. Ha accuratamente valutato con quanta passione desiderava che la pace prevalesse in Ucraina al fine di sbloccare il promettente ruolo geostrategico di quel paese come ponte tra la sua Unione economica eurasiatica (EAEU) e la sua UE secondo la sua visione a lungo termine di cui sopra.

Tuttavia, non aveva alcun desiderio di realizzarlo nonostante avesse assecondato la sua proposta reciprocamente vantaggiosa, dal momento che la grande visione strategica della Merkel era quella di completare il complotto secolare della Germania per prendere il controllo dell’Europa senza sparare un colpo. A tal fine, ha dovuto placare la Russia manipolando le percezioni del suo leader in modo che la considerasse erroneamente come il leader di uno stato amico e quindi non avrebbe esercitato pressioni sul blocco in modi che potessero ostacolare il suo obiettivo di espandere l’influenza tedesca su di esso.

Psicoanalizzare Putin

Dal momento che la Merkel ha giocato così magistralmente alle aspettative del pio desiderio del presidente Putin presentandosi falsamente come lo stesso pragmatico visionario guidato dall’economia che era invece dell’ideologo a somma zero che era veramente per tutto questo tempo, è stato indotto con successo a fidarsi di lei. Il risultato finale è stato che il leader russo ha pazientemente frenato la sua Grande Potenza per quasi otto anni, nonostante le innumerevoli provocazioni contro la sua coetica nell’ex Ucraina orientale.

La sua mentalità era che “il fine giustifica i mezzi”, che in questo contesto si riferiva al suo calcolo costi-benefici secondo cui i costi pagati dal popolo russo del Donbass alla fine sarebbero valsi la pena se la sua pazienza avesse fatto guadagnare abbastanza tempo alla Germania per convincere con successo Kiev ad attuare gli Accordi di Minsk e quindi alla fine costruire una “Europa da Lisbona a Vladivostok” che andrebbe a vantaggio di tutti. Col senno di poi, il problema era che il presidente Putin era l’unico leader che lo voleva davvero.

È stato ingannato per quasi otto anni dalla Merkel, con la quale ha stretto un legame stretto durante i suoi molti anni in carica a causa delle loro somiglianze personali e della sua riuscita manipolazione delle sue percezioni nel portarlo a pensare erroneamente che lei condividesse la sua grande visione strategica come è stato spiegato in precedenza . Essendo uno statista in buona fede , presumeva che i suoi coetanei – specialmente quelli che rappresentavano grandi potenze come la Merkel – fossero dello stesso calibro professionale, quindi perché dava per scontato che fossero tutti attori razionali.

Il senno di poi è 20/20

La realtà era del tutto diversa, però, dal momento che il presidente Putin si è rivelato essere l’ultimo vero statista occidentale, il che significa che era l’unico che operava su base razionale mentre tutti gli altri avanzavano obiettivi guidati dall’ideologia. Non se ne rese conto se non anni dopo, essendo invece caduto nella falsa percezione che fossero tutti visionari più o meno pragmatici guidati dall’economia come lui era in gran parte dovuto al successo dell’operazione di gestione della percezione della Merkel contro di lui.

La sua lunga sciarada nel fingere di condividere la sua grande visione strategica è stata abbastanza convincente da permettere al presidente Putin di abbassare la guardia, dare per scontate le sue parole e presumere che avrebbe fatto in modo che la Germania alla fine avrebbe convinto Kiev ad attuare pienamente gli accordi di Minsk . Se l’avesse sospettata di disonestà, allora avrebbe certamente abbandonato questo approccio molto prima, ma si è completamente innamorato del suo atto poiché era conforme al suo pregiudizio di conferma di lei come leader razionale di una grande potenza.

Questo spiega perché abbia aspettato così tanto prima di ordinare l’operazione speciale, poiché si fidava sinceramente che lei condividesse la sua grande visione strategica di una “Europa da Lisbona a Vladivostok” che richiedeva una pace duratura in Ucraina per essere realizzata. Invece, la Merkel stava spietatamente cercando di completare il complotto secolare della Germania per prendere il controllo dell’Europa senza sparare un colpo, cosa che il suo successore Scholz ha quasi ammesso di voler fare nel manifesto che ha appena pubblicato sulla rivista Foreign Affairs .

Non è un caso che la Merkel poco dopo abbia chiarito le sue vere intenzioni di assecondare il processo di pace di Minsk, dal momento che non c’era più motivo di rimanere timida al riguardo. Scholz ha spifferato tutto vantandosi dell’agenda egemonica della Germania, che ha apertamente descritto come guidata dal desiderio di rispondere alle minacce che, secondo lui, provenivano “immediatamente” dalla Russia. Non avendo nulla da perdere, la Merkel si è tolta la maschera e ha finalmente mostrato al presidente Putin il suo vero volto.

Non c’è dubbio che si sia reso conto qualche tempo prima di iniziare l’operazione speciale del suo paese che lei lo aveva ingannato per anni, quindi perché ha intrapreso quel fatidico passo alla fine di febbraio, ma ora è in piena mostra anche per il mondo intero. La Merkel era l’unico politico occidentale di cui il presidente Putin si fidava sinceramente, motivo per cui ha rimandato l’ordine della suddetta operazione per quasi otto anni a causa della sua falsa speranza che avrebbe contribuito a garantire la pace in Ucraina.

L’impatto psicologico del tradimento della Merkel

Con lei che ammette così sfacciatamente di aver tradito la sua fiducia vantandosi che “Putin avrebbe potuto facilmente invadere [l’Ucraina] in quel momento” se non avesse assecondato il processo di pace di Minsk e quindi averlo costretto a resistere a questo decennio quasi intero, è improbabile che il leader russo si fiderà mai più di qualcuno in Occidente. Questa intuizione psicologica aggiunge un contesto cruciale alla sua dichiarazione casuale, lo stesso giorno in cui la sua intervista è caduta, che il conflitto ucraino “potrebbe essere un processo lungo”.

Abbastanza chiaramente, ora è consapevole del fatto che questa è davvero una lunga lotta sul futuro della transizione sistemica globale , sebbene la Russia possa ancora strategicamente vincere anche nello scenario di uno stallo militare in Ucraina. Questo perché questo risultato porterebbe a processi multipolari guidati dall’India che continuano a proliferare e quindi a cambiare irreversibilmente il corso delle relazioni internazionali. A questo punto della Nuova Guerra Fredda , la Russia sta combattendo un conflitto difensivo , ma per una volta il tempo è dalla sua parte.

Il presidente Putin ora sa che qualsiasi tregua nei combattimenti sarà solo un’opportunità per entrambe le parti di riorganizzarsi, riarmarsi e riprendere inevitabilmente le operazioni offensive, il che significa che il campo di gioco strategico è ora alla pari poiché sta finalmente operando secondo la stessa mentalità dei suoi avversari lo sono già da anni. Ciò rafforzerà la sua determinazione a continuare a fare tutto il possibile per accelerare i processi multipolari, che richiedono prima di tutto il mantenimento della linea di controllo (LOC).

La nuova grande visione strategica di Putin

Nel perseguimento di quell’obiettivo più immediato, la Russia riprenderebbe effettivamente la partecipazione al processo di pace precedentemente sabotato fintanto che alcune condizioni sono almeno superficialmente soddisfatte, ma nessuno dovrebbe interpretare quel potenziale sviluppo come un segnale di debolezza strategica da parte sua, a differenza dei tempi passati. La differenza tra allora e adesso è che il presidente Putin ha imparato molte lezioni dolorose, quindi non si sfrutterà più i suoi gesti di buona volontà.

Considerando che il processo di pace di Minsk, col senno di poi, non è stato altro che un mezzo per manipolare le percezioni del presidente Putin al fine di influenzarlo affinché eserciti moderazione e quindi guadagnare tempo affinché Kiev si prepari per un’offensiva finale nel Donbass, qualunque processo serva da suo successore non sarà nulla ma un mezzo per il leader russo per guadagnare tempo affinché i processi multipolari continuino a proliferare a spese del Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e dei loro interessi egemonici unipolari.

Il grande obiettivo strategico del presidente Putin non è più “l’Europa da Lisbona a Vladivostok”, ma riformare le relazioni internazionali in piena collaborazione con i paesi del Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICS SCO di cui la Russia fa parte, in modo che l’ordine mondiale diventa più democratico, equo e giusto. Ciò è in linea con la visione che ha presentato nel suo Manifesto Rivoluzionario Globale su cui si è basato nelle ultime due stagioni, che oggi può essere descritta come l’ideologia non ufficiale della sua Grande Potenza.

Pensieri conclusivi

I critici potrebbero affermare che la nuova prospettiva del presidente Putin è arrivata con otto anni di ritardo, ma tardi è sempre meglio che mai. La Merkel lo ha manipolato per anni prima di chiarire finalmente il suo tradimento, che ha insegnato al leader russo la dolorosa lezione che non potrà mai più fidarsi di nessuno dei suoi coetanei occidentali. Invece, ora sta abbracciando con entusiasmo le sue controparti della Grande Potenza in tutto il Sud del mondo, in particolare il primo ministro indiano Modi , che condivide la sua grande visione strategica di un futuro multipolare.

La transizione sistemica globale sta attualmente procedendo su questa strada, ma richiede ancora tempo per diventare irreversibile, il che a sua volta richiede che la Russia detenga il LOC. Che sia militare, politico o una combinazione di questi due mezzi suddetti, il presidente Putin dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere per guadagnare tempo affinché questi processi multipolari guidati dall’India continuino a proliferare a tal fine, il che garantisce che il conflitto ucraino continuerà protratta indipendentemente da ciò che qualcuno dice.

https://korybko.substack.com/p/merkels-admission-that-minsk-was

La traduzione della intervista di Angela Merkel a die Zeit

Il suo predecessore Helmut Kohl sedeva nel nuovo ufficio di Angela Merkel quando era ex cancelliere. Si trova al quinto piano di un edificio disadorno della RDT, in cui risiedeva Margot Honecker come ministro della Pubblica Istruzione, Unter den Linden, tra l’Hotel Adlon e l’ambasciata russa. Per l’intervista ha scelto la sala conferenze sullo stesso piano, che offre una splendida vista su Pariser Platz e sulla Porta di Brandeburgo. La sua consigliera politica Beate Baumann è sempre presente. Prima che cominci si scattano le foto, in fretta, perché alla Merkel non piace essere fotografata. Anche il motivo per cui è così avrà un ruolo nella conversazione. Poi le telecamere sono sparite, la Merkel si rilassa. Ora è fuori sede da un anno. In passato, la semplice domanda “Come stai?” poteva destare sospetti. Oggi trova appropriata una domanda del genere, afferma la Merkel e fa un ironico muso alla Merkel. “E vorrei anche rispondere che personalmente sto bene.” Tuttavia, trova deprimente la situazione politica generale. Come tutti gli ex cancellieri, Angela Merkel ha il diritto di essere chiamata “Frau Bundeskanzlerin”. Kohl era felice di essere chiamato Cancelliere anche dopo aver lasciato l’incarico, e quando era Cancelliere chiese anche il suo “Dr.” Preferisce: la signora Merkel.

DIE ZEIT: Signora Merkel, lei non è più cancelliera, ma ha ancora lo stesso aspetto di prima.

Angela Merkel: Pensavi che sarei venuta con una coda di cavallo? I miei vestiti sono pratici per me, ho stretto amicizia con l’acconciatura. Certo, ti incontro come Cancelliere a. D. Ma da ciò si può trarre la conclusione inversa che io non ho svolto un ruolo artificioso come Cancelliere. Quello ero io. Ed è quello che sono oggi, in una forma un po’ più opportuna, mettiamola così. Devo prestare meno attenzione al trucco. Ma posso rassicurarti: non mi siedo in giacca nel mio salotto. Prenderò un cardigan.

ZEIT: Nel 2019, hai ricevuto il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy di tutte le persone davanti alla Cancelleria e improvvisamente hai iniziato a tremare molto male e visibile a tutti. La donna privata Merkel ha intralciato la cancelliera Merkel?

Merkel: Quello è stato sicuramente un momento deprimente. In un certo senso sono svenuto per un attimo, e questo in una situazione molto ufficiale, alla rimozione delle onorificenze militari. Ovviamente c’era molta tensione che si accumulava in me. Aveva a che fare con la morte di mia madre. Non ho avuto abbastanza tempo per accompagnarla nelle sue ultime settimane. Faceva anche caldo, come sempre, gli obiettivi delle macchine fotografiche erano puntati su di me come canne di fucile e all’improvviso ho avuto questa sensazione: sei completamente trasparente.

ZEIT: La scrittrice americana Siri Hustvedt ha avuto esperienze simili e ha scritto un libro a riguardo, The Trembling Woman. In esso si chiede: ho paura di qualcosa che mi è completamente nascosto? Ti sei fatto una domanda del genere?

Merkel: Mi sono chiesto: che cos’è? Era chiaro, c’era qualcosa che non riesco ad articolare. Questo è avvenuto verso la fine del mio mandato e anche dopo la decisione di non ripresentarsi. Ed era fondamentalmente un’altra indicazione che questa decisione era quella giusta.

ZEIT: Pensi che noi in Germania arriveremo mai così lontano che anche un politico di alto livello possa dire in una situazione del genere: ho cercato un aiuto psicoterapeutico?

Merkel: Non dovevo, ma non mi dispiacerebbe se lo dicesse un politico. Ovviamente sono andato dal dottore per assicurarmi che tutto andasse bene dal punto di vista neurologico, ero e sono ancora interessato alla mia salute.

ZEIT: Diresti che la natura o Dio ti ha benedetto con una certa impavidità?

Merkel: Fiducia in Dio, direi, o ottimismo, sì.

ZEIT: Hai avuto a che fare con Helmut Kohl, nel cui ufficio sei ora seduto. Era un peso massimo politicamente, ma anche fisicamente un colosso. Ci voleva una certa impavidità per incontrarlo.

Merkel: L’ho sperimentato anche in altri contesti con uomini in politica: si usano anche la voce più profonda, il corpo molto più grande, entrambi. L’ex ministro federale Rexrodt poteva parlare al microfono sopra la mia testa, anche se avevo lottato per un posto in prima fila. Helmut Kohl poteva anche parlare a voce molto alta quando era arrabbiato.

ZEIT: Vuoi dire che poi ha urlato?

Merkel: Allora è stato enorme e hai dovuto considerare se volevi e potevi resistergli. Il fatto che a volte dicessi cose insolite per la pratica politica ha a che fare con il mio background. Non sono stato modellato dall’unione studentesca, dall’unione dei giovani, dall’RCDS fin dall’infanzia, ma sono venuto con la mia lingua e le mie idee. Questo a volte era evidente e ad alcuni sembrava senza paura, ma non lo era.

ZEIT: Lei ha detto più volte che il fatto che la RDT sia crollata meno per mancanza di libertà democratiche che per il fatto che non funzionava economicamente le ha dato da pensare. Il nostro ex redattore Helmut Schmidt, come qualcuno che aveva vissuto una dittatura e non era del tutto irreprensibile, ha affermato che una certa sfiducia nei confronti del suo stesso popolo è rimasta come conseguenza. Anche tu hai qualcosa del genere?

Merkel: Non la chiamerei sfiducia nei confronti della propria gente, ma sfiducia generale nei nostri confronti, perché le persone sono capaci dell’incomprensibile. La Germania ha portato questo agli estremi in un modo terribile sotto il nazionalsocialismo. Ecco perché sono così convinto che la struttura del nostro Stato e la Legge fondamentale contengano un alto grado di saggezza, in cui l’indipendenza della stampa, della magistratura, i processi democratici sono ben pensati. Quanto è veloce mettere in discussione questo, ad esempio per dichiarare non plausibili le sentenze dei tribunali. Ad esempio, io stesso sono stato rimproverato dalla Corte costituzionale federale per aver affermato nel 2019 che il risultato delle elezioni del primo ministro in Turingia a febbraio deve essere ribaltato con i voti dell’AfD. Avrei potuto dire molto su questa decisione, ma non l’ho fatto, dovevo e devo rispettarla. Non dobbiamo mai ammorbidirci qui.

ZEIT: Teme che il sistema possa collassare di nuovo velocemente?

Merkel: Deve essere vissuta da ogni individuo, altrimenti può crollare rapidamente. Ecco perché non mi piacciono detti come la “bolla di Prenzlauer Berg”. Ovviamente non è tutta la Germania, ma non dobbiamo mai dichiarare alcuni degli individui in un paese come estranei e il resto come rappresentanti della vera democrazia, per così dire. Questo non finisce bene.

ZEIT: Il tuo cancelliere è stato fortemente influenzato da una questione che è emersa relativamente tardi: la politica dei rifugiati nel settembre 2015. In questo contesto, in risposta a domande critiche sulle conseguenze della tua politica liberale, hai detto: “Se ora iniziamo a dover chiedere scusa perché mostriamo un volto amico nelle situazioni di emergenza, allora questo non è il mio paese”. Molti hanno trovato questa frase molto autoritaria e anche ostracistica. Ad alcuni sembrava che tu avessi il diritto di dettare come dovrebbe essere il paese.

Merkel: Quando ho sentito quella frase, avevo in mente le persone nella stazione ferroviaria principale di Monaco che stavano accogliendo i rifugiati in arrivo. Ho visto la mia decisione di farli entrare come coerente con i nostri diritti e valori fondamentali. E ho voluto sostenere questi valori fondamentali con la frase.

ZEIT: Ma la frase aveva una sorta di messaggio per la gente, no?

Merkel: Non pensavo a questa frase da giorni. È stata una risposta molto emotiva, ma ancora non casuale. Ciò si basava sulla mia comprensione che la dignità umana non dovrebbe essere solo qualcosa di un discorso domenicale, ma ha implicazioni pratiche. Marchiarlo come autoritario e dire: beh, ecco come sono i tedeschi dell’est, stanno dalla parte del paese – ho pensato che fosse audace.

ZEIT: Non è mai stato turbato dal pensiero che le sue politiche abbiano comunque contribuito in modo significativo alla divisione del Paese?

Merkel: Certo che mi preoccupava. E naturalmente, politicamente, è sempre meraviglioso quando il 90% è d’accordo, e preferibilmente anche la mia opinione. Ma ci sono situazioni in cui le polemiche non possono essere evitate. Ho aiutato le persone che si trovavano davanti alla nostra porta, per così dire, e allo stesso tempo ho contribuito ad affrontare le cause profonde della fuga con l’accordo UE-Turchia, tra le altre cose.

ZEIT: Come politico a cui si dice piaccia pensare dalla fine, hai anticipato il prezzo di questa polemica, quindi l’hai accettato?

Merkel: Credevo che questa discussione potesse essere vinta. Ed ero fermamente convinto che dovevo correre questo rischio perché, al contrario, avrebbe diviso anche la società se non l’avessi fatto.

ZEIT: Agiresti diversamente in qualsiasi momento oggi?

Merkel: No!

ZEIT: In nessun momento?

Merkel: Certo che sto imparando. Ecco perché, guardando indietro, lavorerei molto prima per evitare che si verifichi una situazione come quella dell’estate 2015, ad esempio aumentando gli importi del Programma alimentare mondiale per i campi profughi nei paesi vicini che sono particolarmente colpiti dalla migrazione, come hanno fatto i nostri.

ZEIT: Nella sua cancelleria, il numero delle crisi e la loro simultaneità è aumentato di anno in anno…

Merkel: Nella mia memoria, i primi due anni sono stati un periodo molto tranquillo, poi è iniziato con la crisi finanziaria globale, la crisi dell’euro , Anche le notizie sulla protezione del clima si sono ripetutamente deteriorate. Dopo la prima segnalazione del Club di Roma, sembrava che in realtà le cose fossero andate un po’ meglio del previsto. Con ogni rapporto dell’International Climate Council IPCC, tuttavia, è diventato più allarmante, tanto che sorge la domanda se abbiamo ancora il tempo di reagire in modo appropriato. Ma forse le crisi sono la norma nella vita umana e abbiamo avuto solo pochi anni speciali.

ZEIT: Si chiede se gli anni di relativa calma siano stati anche anni di omissioni e se lei non sia stato solo un gestore di crisi, ma anche in parte la causa delle crisi?

Merkel: Non sarei una persona politica se non me ne occupassi. Prendiamo la protezione del clima, in cui la Germania ha fatto molto nel confronto internazionale. Per quanto riguarda l’argomento in sé, tuttavia, ammetto: misurato da ciò che dice oggi l’International Climate Report dell’IPCC, non è successo abbastanza. Oppure diamo un’occhiata alla mia politica nei confronti della Russia e dell’Ucraina. Arrivo alla conclusione che ho preso le decisioni che ho preso allora in un modo che posso capire oggi. Era un tentativo di prevenire proprio una guerra del genere. Il fatto che ciò non abbia avuto successo non significa che i tentativi fossero sbagliati.

ZEIT: Ma puoi ancora trovare plausibile il modo in cui hai agito in circostanze precedenti e considerarlo ancora sbagliato oggi alla luce dei risultati.

Merkel: Ma questo presuppone anche dire quali fossero esattamente le alternative in quel momento. Ho pensato che l’avvio dell’adesione alla NATO di Ucraina e Georgia, discusso nel 2008, fosse sbagliato. I paesi non avevano i presupposti necessari per questo, né le conseguenze di tale decisione erano state pienamente considerate, sia per quanto riguarda le azioni della Russia contro la Georgia e l’Ucraina, sia per quanto riguarda la NATO e le sue regole di assistenza. E l’accordo di Minsk del 2014 è stato un tentativo di dare tempo all’Ucraina. Nota d. Red.: L’accordo di Minsk è un insieme di accordi per le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, che si sono staccate dall’Ucraina sotto l’influenza russa. L’obiettivo era guadagnare tempo con un cessate il fuoco per poi giungere a una pace tra Russia e Ucraina. Ha anche usato questo tempo per diventare più forte, come puoi vedere oggi. L’Ucraina del 2014/15 non è l’Ucraina di oggi. Come avete visto nella battaglia per Debaltseve (città ferroviaria nel Donbass, Donetsk Oblast, ndr) all’inizio del 2015, Putin avrebbe potuto facilmente sopraffarli in quel momento. E dubito fortemente che i paesi della NATO avrebbero potuto fare tanto quanto fanno adesso per aiutare l’Ucraina.

ZEIT: Nella tua prima apparizione pubblica dopo la fine del tuo cancelliere, hai detto di aver riconosciuto già nel 2007 come Putin pensa all’Europa e che l’unica lingua che capisce è la durezza. Se questa consapevolezza è arrivata così presto, perché ha perseguito una politica energetica che ci ha reso così dipendenti dalla Russia?

Merkel: Era chiaro a tutti noi che il conflitto era congelato, che il problema non era stato risolto, ma questo ha dato all’Ucraina tempo prezioso. Naturalmente, ora ci si può porre la domanda: perché la costruzione del Nord Stream 2 è stata ancora approvata in una situazione del genere?

ZEIT: Sì, perché? Tanto più che all’epoca c’erano già critiche molto forti alla costruzione del gasdotto, ad esempio dalla Polonia e dagli Stati Uniti.

Merkel: Sì, si potrebbero arrivare a opinioni diverse. Di cosa si trattava? Da un lato, l’Ucraina ha attribuito grande importanza a rimanere un paese di transito per il gas russo. Voleva incanalare il gas attraverso il suo territorio e non attraverso il Mar Baltico. Oggi a volte si agisce come se ogni molecola di gas russo provenisse dal diavolo. Non è stato così, il gas è stato contestato. D’altra parte, non era il caso che il governo federale avesse richiesto l’approvazione del Nord Stream 2, lo hanno fatto le società. Alla fine, per il governo federale e per me, si trattava di decidere se avremmo fatto una nuova legge come atto politico per rifiutare espressamente l’approvazione del Nord Stream 2.

ZEIT: Cosa ti ha impedito di farlo?

Merkel: Da un lato, un tale rifiuto in combinazione con l’accordo di Minsk avrebbe, a mio avviso, peggiorato pericolosamente il clima con la Russia. D’altra parte, la dipendenza dalla politica energetica è nata perché c’era meno gas dai Paesi Bassi e dalla Gran Bretagna e volumi di produzione limitati in Norvegia.

ZEIT: E c’è stata la graduale eliminazione dell’energia nucleare. Iniziato anche da te.

Merkel: Esatto, e anche la decisione trasversale di produrre meno gas in Germania. Avresti dovuto decidere di acquistare GNL più costoso dal Qatar o dall’Arabia Saudita, gli Stati Uniti sono diventati disponibili come nazione di esportazione solo in seguito. Ciò avrebbe notevolmente peggiorato la nostra competitività. Oggi, sotto la pressione della guerra, questo è ciò che sostengo, ma all’epoca sarebbe stata una decisione politica molto più massiccia.

ZEIT: Avresti dovuto prendere comunque questa decisione?

Merkel: No, tanto più che non ci sarebbe stata alcuna accettazione. Se mi chiedi un’autocritica, ti faccio un altro esempio.

ZEIT: Tutto il mondo aspetta una parola di autocritica!

Merkel: Può essere così, ma l’atteggiamento dei critici non corrisponde alla mia opinione su molti punti. Inchinarsi semplicemente ad esso solo perché è previsto, penso che sarebbe economico. Avevo così tanti pensieri allora! Sarebbe decisamente un segno di inadeguatezza se, tanto per avere un po’ di pace e senza pensarci davvero così, dicessi semplicemente: Oh, giusto, adesso me ne rendo conto anch’io, è stato sbagliato. Ma ti dirò un punto che mi preoccupa. Ha a che fare con il fatto che la Guerra Fredda non è mai veramente finita perché la Russia non era sostanzialmente in pace. Quando Putin ha invaso la Crimea nel 2014, è stato espulso dal G8. La NATO ha anche di stanza truppe negli Stati baltici per dimostrare che noi, come NATO, siamo pronti a difendere. Inoltre, noi dell’Alleanza abbiamo deciso di spendere il due per cento del prodotto interno lordo di ciascun paese per la difesa. La CDU e la CSU erano le uniche che lo avevano ancora nel loro programma di governo. Ma anche noi avremmo dovuto reagire più rapidamente all’aggressività della Russia. La Germania non ha raggiunto l’obiettivo del due per cento nonostante l’aumento. E non ho nemmeno tenuto un discorso appassionato al riguardo tutti i giorni.

ZEIT: Perché no? Perché segretamente pensavi di non averne bisogno?

Merkel: No, ma perché ho agito secondo il principio di Helmut Kohl: ciò che conta è ciò che viene fuori alla fine. Fare un discorso entusiasmante solo per finire come scendiletto non avrebbe aiutato il budget. Ma quando guardo alla storia per le ricette di successo, arrivo alla decisione a doppio binario della NATO…

ZEIT: … grazie a questa decisione Helmut Schmidt alla fine ha perso il suo cancelliere…

Merkel: Esatto, il che non fa che aumentare il mio rispetto per lui era aumentato. Ciò che è stato intelligente nella decisione a doppio binario della NATO è stato il doppio approccio di retrofitting e diplomazia. Tradotto nell’obiettivo del 2 percento, ciò significa che non abbiamo fatto abbastanza per scoraggiare aumentando la spesa per la difesa.

ZEIT: Per un ritratto in Der Spiegel, lei ha detto quanto segue ad Alexander Osang: “Tollerare le critiche fa parte della democrazia, ma allo stesso tempo la mia impressione è che un presidente americano sia trattato in pubblico con più rispetto di un cancelliere tedesco”. Cosa intendevi esattamente con quello?

Merkel: Da un lato intendevo dire che oggi le decisioni politiche del passato vengono giudicate molto velocemente senza richiamare il contesto ed esaminare criticamente le alternative. La seconda cosa è che alcune persone semplicemente non sono d’accordo sul fatto che io abbia lasciato l’incarico volontariamente dopo 30 anni in politica e 16 anni come Cancelliere federale, alla tenera età di 67 anni, e ora dicono che vorrei prendere “appuntamenti di benessere”. Per me, questo significa che non devo sempre giustificarmi se voglio anche impostare la mia agenda. Non voglio sempre essere guidato da ciò che mi viene incontro dall’esterno.

ZEIT: Intendi anche la discussione sull’arredamento del tuo ufficio? C’è stata una mancanza di comprensione sul fatto che impieghi nove persone.

Merkel: Questo è forse un effetto collaterale. Quale prova di prestazione devo fornire che l’attrezzatura sia giustificata?

ZEIT: All’inizio del suo mandato lei ha sottolineato che in passato c’erano culture avanzate apparentemente invincibili che sono crollate perché non potevano cambiare abbastanza velocemente. Potrebbe essere che, nonostante tutte le conoscenze sul grado di riscaldamento globale, l’umanità semplicemente non riesca a organizzare la propria sopravvivenza perché non tutti vogliono mettersi insieme?

Merkel: Il mio motto in politica è sempre stato: possiamo farcela ed è per questo che non ho mai affrontato scenari apocalittici come politico, ma ho sempre cercato soluzioni. Come cittadino, puoi farti la domanda, ma siccome sono ancora in una fase intermedia, direi che dobbiamo fare tutto il possibile perché proprio questo non accada.

ZEIT: 30% di emissioni cinesi di CO₂, quasi il 2% tedesche, questi sono i numeri.

Merkel: Ma questo non giustifica il fatto che non dobbiamo fare nulla. Possiamo essere un modello, anche se altri non stanno ancora seguendo l’esempio. La Cina è il più grande emettitore oggi, giusto. È rivale, concorrente e partner allo stesso tempo. Farlo bene sarà la grande questione diplomatica del futuro. Ma la guerra in Ucraina ha ancora una volta drammaticamente peggiorato le possibilità di salvare il clima, perché rischia di passare in secondo piano.

ZEIT: Hai idea di come possa finire questa guerra? Ed è completamente fuori discussione che tu possa avere un ruolo in esso?

Merkel: La seconda domanda non si pone. Al primo: Ad essere onesti, non lo so. Terminerà i negoziati un giorno. Le guerre finiscono al tavolo dei negoziati.

ZEIT: Proprio perché questa guerra ha avuto effetti così drammatici, la questione di quando e in quali circostanze avviare i negoziati può essere lasciata solo all’Ucraina?

Merkel: C’è una differenza tra una pace dettata, che io, come molti altri, non voglio, e discussioni amichevoli e aperte tra loro. Non voglio dire di più al riguardo.

ZEIT: Tanti imprevisti sono accaduti durante e dopo il suo mandato. Avresti mai immaginato che negli ultimi anni del tuo cancelliere e ancora oggi le critiche più dure arrivassero e continuino ad arrivare dalla Springer-Verlag – con la cui casa editrice hai un rapporto di amicizia?

Merkel: La libertà di stampa è una risorsa molto importante. (sorride)

ZEIT: Lasci che le critiche ti raggiungano? Hai letto l’immagine?

Merkel: Anche se non li leggo, è garantito che ci sarà qualcuno che mi terrà le critiche sotto il naso.

ZEIT: Quando sei partito un anno fa, come tutti i cancellieri uscenti, potevi scegliere tre canzoni. Tra le altre cose, hai selezionato Lascia che piovano rose rosse per me. Dice: »… sottometti, contenuto. Non posso sottomettermi, non posso essere soddisfatto, voglio ancora vincere, voglio tutto o niente’ e poi ‘riqualificarmi lontano dal vecchio, per ottenere il massimo da ciò che mi aspetta’. rappresentante di Angela Merkel all’interno?

Merkel: Ho scelto la canzone nel suo insieme. Volevo dire che non vedo l’ora che arrivi un capitolo della mia vita. Ho vissuto cose meravigliose, è stato anche estenuante. Ma è stata una grande cosa: chi può diventare Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca? L’ho sempre fatto con gioia, e ora c’è ancora una certa tensione: cos’altro può succedere oltre a questo?

Lezioni dal successo e dal fallimento: L’innovazione indigena in Cina nella industria dei semiconduttori Parte 3_ di Jacopo 🧽 1949

La nuova politica industriale e il panorama dell’innovazione

Dal 2012, sotto il governo del Presidente Xi Jinping, l’industria dei semiconduttori è tornata ad essere una delle priorità della politica industriale nazionale cinese. Nell’ambito della promozione della strategia di “innovazione indigena” adottata nel “Programma nazionale a medio e lungo termine per lo sviluppo della scienza e della tecnologia (2006-20)” (MLP), il Ministero della Scienza e della Tecnologia ha istituito un totale di 16 grandi progetti nazionali di S&T (noti anche come “megaprogetti”) in aree tecnologiche chiave, tra cui le reti mobili a banda larga, i macchinari avanzati, l’energia nucleare, gli aeromobili commerciali e lo sviluppo di nuovi farmaci, per raggiungere l’obiettivo di trasformare la Cina in una nazione innovativa entro il 2020. Introdotto nel 2012, “Ultra-Large-Scale Integrated Circuit Manufacturing Equipment and Technology” è uno dei 16 megaprogetti designati per far progredire lo sviluppo di tecnologie e attrezzature avanzate per chip con nodi di processo di 45 nanometri o inferiori. Il progetto ha finanziato un’ampia gamma di progetti di R&S condotti da università, istituti di ricerca e aziende nazionali. Nel giugno 2014, il Consiglio di Stato ha emanato le “Linee guida per promuovere l’industria nazionale dei circuiti integrati” e ha istituito il “Gruppo di guida dell’industria nazionale dei circuiti integrati”, guidato dal Presidente Xi Jinping. Una strategia chiave identificata in queste linee guida è quella di concentrare il sostegno politico su un piccolo numero di aziende nazionali leader. Tre mesi dopo, è stato istituito il National IC Industry Investment Fund (noto anche come Big Fund), con capitali raccolti da 16 enti statali e imprese commerciali, tra cui il Ministero delle Finanze, China Development Bank Capital e alcuni fondi di investimento statali e SOE come China Tabaco, China Mobile e China Electronics Technology Group. Alla fine del 2018, il Big Fund aveva completato la sua prima fase di investimenti, destinando un fondo totale di 104,7 miliardi di renminbi a investimenti in tutte le parti della catena del valore dei semiconduttori: progettazione di circuiti integrati (19,7%), produzione di circuiti integrati (47,8%), imballaggio e test (11%), materiali per semiconduttori (1,4%), apparecchiature per semiconduttori (1,2%) ed ecosistema industriale (19%). Tra i maggiori beneficiari degli investimenti del Big Fund figurano Tsinghua Unigroup (10 miliardi di RMB) nella progettazione e produzione di circuiti integrati, Yangtze Memory Technologies Co (YMTC) (19 miliardi di RMB) nella produzione di chip di memoria, SMIC (21 miliardi di RMB) nella fonderia di circuiti integrati e Jingsu Changjiang Electronics Technology (JCET) (4,6 miliardi di RMB) nel confezionamento e collaudo di circuiti integrati. Allo stesso tempo, la prima fase del Big Fund ha mobilitato altri 541,5 miliardi di RMB di finanziamenti sotto forma di investimenti azionari, obbligazioni societarie e prestiti bancari, compresi vari IC Fund locali istituiti dai governi regionali. Entro la fine del 2019, il Fondo nazionale IC ha lanciato la seconda fase di investimenti, prevedendo di raccogliere oltre 200 miliardi di RMB di capitale. Si prevede che la seconda fase di investimenti rafforzerà ulteriormente gli anelli deboli della catena di fornitura di IC in Cina, soprattutto per quanto riguarda le apparecchiature e i materiali per semiconduttori. Nel 2015, il governo cinese ha pubblicato “Made in China 2025”, un piano per lo sviluppo di dieci settori manifatturieri avanzati entro il 2025, tra cui le tecnologie dell’informazione di nuova generazione, gli strumenti di controllo e la robotica, le attrezzature aerospaziali e per l’aviazione, le attrezzature marittime e la cantieristica, le attrezzature ferroviarie, i veicoli ad alta efficienza energetica e a nuova energia, le attrezzature elettriche, i nuovi materiali, i dispositivi medici e le macchine agricole. I semiconduttori, in particolare i circuiti integrati, sono stati identificati come il fondamento dell’industria informatica di nuova generazione. Nell’ottobre 2015, il Consiglio di Stato ha pubblicato una tabella di marcia tecnica per l’attuazione del piano, stabilendo gli obiettivi per il settore dei semiconduttori per “sviluppare l’industria di progettazione dei circuiti integrati, far crescere l’industria di produzione dei circuiti integrati, migliorare l’industria del packaging e dei test avanzati, facilitare i progressi nelle attrezzature e nei materiali chiave per i circuiti integrati”Nel luglio 2020, il Consiglio di Stato ha pubblicato “Diverse politiche per la promozione dello sviluppo di alta qualità dell’industria dei circuiti integrati e dell’industria del software nella nuova era”, un documento politico che ribadisce l’impegno del governo cinese nel settore con l’intensificarsi della pressione degli Stati Uniti. Questo nuovo documento politico estende una delle maggiori agevolazioni fiscali per i produttori di semiconduttori con tecnologie avanzate al di sotto dei 28 nanometri, da un lato, e dall’altro fornisce il sostegno del governo per facilitare il finanziamento azionario delle imprese di semiconduttori. Nello stesso mese, il campione nazionale cinese dei semiconduttori, SMIC, delistata dal NASDAQ nel 2019, ha lanciato un’offerta pubblica iniziale (IPO) presso il mercato STAR della Borsa di Shanghai. SMIC ha raccolto 53 miliardi di RMB nella più grande IPO della nazione nel corso del decennio, fornendo a SMIC un’ampia liquidità per investire in nuovi impianti e in R&S.

Uno sguardo strategico alla filiera cinese dei semiconduttori

È ancora presto per valutare l’efficacia della nuova politica industriale del Presidente Xi Jinping. È certo, però, che queste politiche sono destinate a rimanere, dato che la tendenza alla de-globalizzazione si è accelerata a causa della pandemia globale COVID-19. Dal 2020, la carenza globale di chip per semiconduttori causata dalla COVID-19 e le sanzioni statunitensi alle aziende cinesi di alta tecnologia hanno portato a un ritorno della politica industriale dei semiconduttori nelle principali economie. Nel dicembre 2020, i leader europei hanno rilasciato una dichiarazione congiunta su “Un’iniziativa europea sui processori e le tecnologie dei semiconduttori”, in cui hanno stabilito di destinare il 20% dei piani europei di ripresa e resilienza, ovvero 145 miliardi di euro, alla ricerca, alla progettazione e alla capacità di produzione di processori per semiconduttori in Europa.65 L’8 giugno 2021, il Senato degli Stati Uniti ha approvato l’American Innovation and R&D Competitiveness Act of 2021, con l’obiettivo di investire più di 200 miliardi di dollari nella scienza, nella tecnologia e nell’innovazione americane nei prossimi cinque anni.Dei 200 miliardi di investimenti, 52 miliardi saranno spesi per sovvenzionare l’industria dei semiconduttori per garantire la produzione locale di chip e la catena di approvvigionamento, mentre oltre 100 miliardi saranno utilizzati per ristrutturare la National Science Foundation, istituendo nuovi dipartimenti per la tecnologia e l’innovazione a sostegno di aree quali i semiconduttori, l’intelligenza artificiale, il calcolo ad alte prestazioni e la produzione avanzata. Altri importanti Paesi produttori di semiconduttori, tra cui la Corea del Sud e il Giappone, hanno proposto misure simili per sovvenzionare e aumentare la produzione nazionale di semiconduttori. In questo contesto globale, la nuova politica industriale cinese per la creazione di un’industria nazionale dei semiconduttori dovrà non solo promuovere l’innovazione interna, ma anche garantire l’autosufficienza della produzione nazionale. Dopo tre decenni di investimenti pubblici e privati, la Cina ha creato una catena di approvvigionamento nazionale relativamente completa per i semiconduttori. Oltre al settore della produzione di chip, di cui si è ampiamente parlato, la Cina ha consolidato una forte presenza nei segmenti della progettazione di circuiti integrati, del confezionamento e del collaudo, anche se permangono significativi punti deboli nelle attrezzature, nei materiali e negli strumenti EDA per la produzione di circuiti integrati. La prossima fase di innovazione interna della Cina nelle tecnologie dei semiconduttori sarà avviata attraverso il rafforzamento delle capacità esistenti e il recupero degli anelli mancanti nella catena di fornitura. Per completare la documentazione sull’evoluzione dell’industria cinese dei semiconduttori, viene fornita una panoramica dell’attuale panorama industriale e dei sette principali segmenti della catena di fornitura dei semiconduttori :

Imballaggio e test : La Cina ha una forte presenza nel settore dell’imballaggio e del collaudo dei circuiti integrati, che negli ultimi anni rappresenta oltre la metà della produzione globale. La Cina è entrata in questo segmento industriale già negli anni ’90 sulla base di vantaggi comparativi nel costo della manodopera, ma questa industria cinese è diventata sempre più ad alta intensità di capitale, sfruttando la forza derivante dalla colocazione con la più grande catena di fornitura elettronica del mondo. Le tre maggiori aziende cinesi di packaging e testing sono JCET, Tianshui Huatian Microelectronics (TSHT) e Tongfu Microelectronics (TFME, ex Nantong Fujitsu Microelectronics). Tutte e tre le aziende affondano le loro radici in fabbriche di elettronica di proprietà statale situate nelle basi industriali cinesi pre-riforma, successivamente riformate e privatizzate. Grazie agli investimenti del National IC Fund, negli ultimi anni le principali aziende cinesi di packaging e testing si sono espanse rapidamente, hanno acquisito concorrenti stranieri e le loro attività in Cina e hanno sperimentato significativi aggiornamenti tecnologici. JCET, la più grande e avanzata azienda cinese di packaging e testing, è un fornitore di Apple dal 2018.

Produzione di circuiti integrati. La produzione di circuiti integrati è il segmento dell’industria dei semiconduttori a maggiore intensità di capitale e tecnologia. La costruzione di un impianto di produzione di circuiti integrati all’avanguardia, in grado di elaborare wafer da 12 pollici e di fabbricare chip a un nodo di 7 nanometri, costa circa 10-15 miliardi di dollari. Guidata da SMIC, la Cina ha una forte presenza nel segmento delle fonderie: produttori in appalto che forniscono servizi di fabbricazione ad altre aziende. SMIC e Huahong sono attualmente le fonderie più grandi e sofisticate della Cina, classificate rispettivamente tra le prime cinque e le prime dieci del mondo. SMIC è in grado di produrre chip con nodi di processo a 14-nm, mentre la filiale più avanzata di Huahong, Huali Microelectronics, offre chip con nodi di processo a 22-nm. Grazie agli investimenti del National IC Fund, la Cina ha recentemente compiuto progressi nel segmento dei chip di memoria. I chip di memoria, tra cui la memoria flash NAND e i chip DRAM, sono dispositivi semiconduttori di base ampiamente utilizzati nell’elettronica moderna. La Cina ha fatto diversi tentativi per aumentare la produzione interna di chip di memoria, ma i progressi sono stati limitati. Sia Huahong-NEC che SMIC si sono impegnate nella produzione di DRAM nella loro fase iniziale, ed entrambe sono uscite dal mercato a causa delle pesanti perdite subite a causa dell’elevata volatilità del mercato. Più recentemente, Fujian Jinhua, sostenuta dal governo provinciale del Fujian, intendeva entrare nel mercato delle DRAM attraverso una joint venture con UMC di Taiwan. Il progetto è stato interrotto dopo che Jinhua è stata inserita nell’elenco delle entità nel 2018. Il recente passo avanti della Cina nella produzione interna di chip di memoria è stato compiuto da due start-up investite dal Big Fund: Yangtze Memory Technology Co. (YMTC) e ChangXin Memory Technologies (CXMT). YMTC era in precedenza Wuhan Xinxin Semiconductor Manufacturing Co. (XMC), una fonderia di circuiti integrati fondata nel 2006, gestita da SMIC e produttrice a contratto di memorie flash NAND per un’azienda americana, Spansion. XMC ha iniziato la ricerca e lo sviluppo di memorie flash NAND 3D nel 2014, quando Simon Yang si è unito all’azienda dopo aver lasciato SMIC. Solo nel 2016 XMC ha avuto capitali sufficienti per investire in impianti di produzione. Nel 2016, XMC è stata acquisita da Tsinghua Unigroup per fondare YMTC. Grazie ai massicci investimenti di Unigroup e del National IC Fund, YMTC ha accelerato la ricerca e lo sviluppo e ha incrementato la produzione. Nel 2018 YMTC ha iniziato a produrre in massa memorie NAND 3D a 32 strati. Nel 2020, YMTC ha lanciato la sua memoria flash 3D a 128 strati, sviluppata internamente, eguagliando la tecnologia dei principali produttori coreani. CXMT è un IDM specializzato nella produzione di DRAM. L’azienda è stata fondata nel 2016 a Hefei, nell’Anhui, come JV tra il governo municipale di Hefei e GigaDevice, una società di progettazione di memorie flash NOR con sede a Pechino. Basandosi sulla tecnologia e sul portafoglio di brevetti acquisiti da Qimonda, un produttore tedesco di DRAM in bancarotta, CXMT ha sviluppato chip DRAM a 19 nanometri attraverso l’innovazione interna. Nel settembre 2019, CXMT ha avviato la produzione di massa di moduli DRAM DDR4 da 8 Gb, il primo chip DRAM sviluppato internamente in Cina alla pari con la tecnologia mainstream internazionale.

Progettazione di circuiti integrati : In Cina è emersa un’industria di progettazione di circuiti integrati da quando, all’inizio degli anni 2000, è stato introdotto il modello di business fabless (le case di progettazione sfruttano le capacità di produzione delle fonderie nazionali e internazionali per specializzarsi nella progettazione di chip). Spinte dall’esplosione della domanda da parte dell’industria manifatturiera elettronica, alcune società cinesi di progettazione fabless sono diventate capaci e competitive a livello internazionale nei loro mercati di nicchia. Ad esempio, OmniVision Technologies, parte del gruppo Will Semiconductor con sede a Shanghai, è il terzo fornitore al mondo di sensori di immagine CMOS dopo Sony e Samsung e fornisce i principali produttori di smartphone, tra cui Apple, Huawei e Xiaomi. Goodix Technology, con sede a Shenzhen e fondata nel 2002, è uno dei maggiori fornitori al mondo di chip per l’identificazione delle impronte digitali. Le maggiori aziende cinesi di semiconduttori senza fabbrica, tuttavia, hanno ancora difficoltà a competere con i leader internazionali come Qualcomm, Broadcom, Nvidia e MediaTek. HiSilicon, la società di progettazione di semiconduttori interna al gigante delle telecomunicazioni Huawei, è attualmente la più grande e sofisticata azienda cinese di semiconduttori, l’unica della Cina continentale che negli ultimi anni si è classificata tra le prime dieci aziende di semiconduttori al mondo. Tuttavia, HiSilicon non è in competizione con le aziende internazionali di semiconduttori, poiché è principalmente un fornitore vincolato per gli smartphone, le apparecchiature di telecomunicazione e altre attività elettroniche di Huawei. La capacità tecnologica di HiSilicon è stata chiaramente dimostrata con la realizzazione del Kirin 9000, il secondo chipset per smartphone a 5 nanometri al mondo prodotto da TSMC, solo dopo l’A14 di Apple. Tuttavia, HiSilicon dipende dall’accesso alle catene di fornitura internazionali per mantenere il suo vantaggio tecnologico:

-ha bisogno di TSMC per fabbricare chip avanzati, dei fornitori americani di EDA (Cadence e Synopsys) per gli strumenti di progettazione dei chip e della britannica Arm per i core IP. Con le sanzioni statunitensi contro Huawei, per HiSilicon è diventato estremamente difficile anche solo mantenere l’attuale attività, per non parlare dell’avanzamento tecnologico. Unisoc di Tsinghua Unigroup è attualmente la seconda azienda di semiconduttori in Cina. L’azienda era precedentemente nota come Spreadtrum Communications ed è stata fondata nel 2001 a Shanghai come produttore di chipset per smartphone. Nel 2018, Spreadtrum si è fusa con RDA Microelectronics, che Unigroup ha acquisito nel 2014 per diventare Unisoc. Spreadtrum e RDA sono state due delle start-up fabless di maggior successo in Cina, che hanno seguito il modello commerciale di MediaTek di fornire soluzioni “chiavi in mano” (cioè chipset, software e know-how) ai produttori di telefoni cellulari. Grazie al boom dell’industria cinese della telefonia mobile, sia Spreadtrum che RDA hanno guadagnato quote di mercato significative rifornendo i mercati di fascia media e bassa. Con la fusione delle due società e un’ulteriore iniezione di capitale da parte di Unigroup, Unisoc è posizionata per diventare un campione nazionale nella progettazione di circuiti integrati.

Attrezzature per la produzione di semiconduttori : Mentre la Cina ha creato una catena di fornitura di semiconduttori relativamente completa, l’industria dei macchinari è stata precedentemente trascurata. Il motivo è in parte la presenza di un mercato interno relativamente piccolo per le attrezzature e i produttori di chip cinesi si sono affidati a macchinari importati. Negli ultimi anni, il National IC Fund ha investito in un certo numero di produttori di apparecchiature nella prima fase del fondo e ha pianificato di puntare al settore delle apparecchiature per semiconduttori per un finanziamento massiccio nella seconda fase. È emerso un piccolo numero di produttori cinesi di apparecchiature per semiconduttori, anche se non sono ancora in grado di competere con i leader internazionali come Applied Materials, ASML o LAM Research. NAURA Technology Group è il più grande produttore cinese di apparecchiature per semiconduttori, con un fatturato annuo di oltre 4 miliardi di RMB (o 700 milioni di USD) nel 2019. NAURA è stata costituita nel 2017 dalla fusione di un gruppo di produttori di apparecchiature per semiconduttori di proprietà statale a Pechino, un importante cluster di apparecchiature di capitale nell’era pre-riforma. NAURA fornisce forni di ossidazione/diffusione, una serie di incisori e apparecchiature di pulizia per la produzione di circuiti integrati alle principali fonderie cinesi, come YMTC, SMIC e Huahong. Advanced Micro-Fabrication Equipment Corporation (AMEC) è un altro importante produttore cinese di apparecchiature per semiconduttori. Fondata nel 2004 a Shanghai da un gruppo di dipendenti di Applied Materials, l’azienda si occupa principalmente della fornitura di incisori e macchine per la deposizione chimica organica di metalli, anche se gran parte delle sue vendite è destinata alla produzione di chip per LED e fotovoltaici, dato che la Cina è il più grande produttore al mondo di LED e celle solari fotovoltaiche. Ciononostante, AMEC utilizza le entrate derivanti dai settori LED e fotovoltaico per investire massicciamente nella ricerca e sviluppo e l’azienda ha sviluppato apparecchiature di incisione avanzate per un processo di produzione a 7 nanometri. La macchina litografica è una tecnologia fondamentale per la produzione di circuiti integrati. L’olandese ASML monopolizza la produzione delle macchine litografiche più avanzate al mondo con tecnologia a ultravioletti estremi utilizzate per il nodo di processo a 7 nanometri o inferiore. Il produttore cinese di macchine litografiche più avanzato è Shanghai Micro Electronics Equipment Co. (SMEE), che fornisce macchine per processi a 90-nm relativamente arretrati. Si prevede che SMEE fornisca macchine litografiche a 28-nm di produzione propria nel 2021 e macchine a 14-nm nel 2022.

Materiali per semiconduttori : Per soddisfare la crescente domanda delle fonderie locali, alla fine degli anni 2010 la Cina ha investito molto nei materiali per semiconduttori. In questo settore sono nate numerose start-up e molti produttori chimici esistenti si sono diversificati nella fornitura di gas speciali per l’elettronica utilizzati nella produzione di circuiti integrati. Il principale produttore cinese di wafer di silicio è Zing Semiconductor Corporation (ZingSemi), con sede a Shanghai, fondata nel 2014 da Richard Ru-Gin Chang, il già citato fondatore di SMIC. Nel 2018, ZingSemi ha lanciato i primi wafer di silicio da 12 pollici di produzione nazionale, ponendo fine alla completa dipendenza della Cina dai wafer da 12 pollici importati per la produzione di circuiti integrati. Nel 2015 ZingSemi e una serie di produttori di wafer e fornitori di prodotti chimici si sono fusi per formare National Silicon Industry Group (NSIG), attualmente il più grande fornitore di materiali per semiconduttori in Cina.

Strumenti EDA : Rispetto alla presenza limitata ma in espansione della Cina nel settore delle apparecchiature e dei materiali per semiconduttori, i progressi del Paese nello sviluppo di un’industria del software a supporto della progettazione di circuiti integrati sono ancora più limitati. A livello internazionale, il mercato degli strumenti EDA è dominato da tre aziende americane: Synopsys, Cadence e Mentor Graphics. La maggior parte delle aziende di progettazione cinesi, tra cui HiSilicon di Huawei, dipende dal software EDA di queste tre società. L’azienda EDA cinese più grande e sofisticata è Huada Empyrean, con sede a Pechino, che potrebbe essere l’unica azienda cinese in grado di offrire set di strumenti che coprono l’intero flusso di progettazione dei chip IC. Nonostante le dimensioni di Huada Empyrean siano ancora minuscole rispetto ai tre maggiori fornitori, le principali aziende americane hanno un vantaggio che le aziende cinesi non possono replicare in breve tempo: i principali fornitori di EDA hanno stretti rapporti con le fonderie, grazie ai quali possono partecipare allo sviluppo di nuovi nodi di processo avanzati e mantenere la loro leadership nel software EDA.

Nuclei IP : Il nucleo IP è un’area in cui la Cina si affida fortemente alla tecnologia straniera. Tra i primi dieci fornitori di IP per semiconduttori al mondo, c’è solo un’azienda cinese del continente, VeriSilicon. La VeriSilicon, con sede a Shanghai, è stata fondata nel 2001 da un gruppo di persone provenienti dalla Silicon Valley. L’attività principale dell’azienda è la fornitura di IP per l’elaborazione delle immagini, un mercato importante ma non certo critico per le ambizioni di indipendenza tecnologica della Cina. La maggior parte delle aziende cinesi di semiconduttori si affida alle IP fornite dalla britannica Arm (di proprietà della giapponese Softbank), il più grande fornitore di IP per semiconduttori al mondo, per progettare i chip dei processori. Questa dipendenza crea un potenziale pericolo se le PI di Arm sono sottoposte ai controlli di esportazione del governo statunitense o se Arm viene acquisita da un’azienda americana (come Nvidia, attualmente in trattativa per acquisire Arm nel 2021). Una possibile soluzione per ridurre la dipendenza dall’estero è l’adozione dell’architettura di CPU open-sourced, RISC-V, alla quale le aziende cinesi hanno partecipato attivamente allo sviluppo.

Il cambiamento dell’approccio della Cina all’innovazione indigena nella industria dei semiconduttori

A causa della sua alta priorità nell’agenda del governo, dell’enorme valore economico e delle sofisticate capacità tecnologiche, l’industria dei semiconduttori è un caso critico per comprendere l’approccio della Cina alla chiusura e all’eventuale superamento delle frontiere tecnologiche. Negli ultimi tre decenni, la Cina ha compiuto notevoli progressi nel padroneggiare le competenze della produzione e della R&S dei semiconduttori, ma le ambizioni di generazioni di leader cinesi di costruire un’industria dei semiconduttori leader a livello mondiale non si sono ancora realizzate. Questa contraddizione ha portato a una serie di spiegazioni sui “miti” dell’industria cinese dei semiconduttori: perché l’industria cinese dei semiconduttori è contemporaneamente in rapida crescita e non riesce a realizzare il suo potenziale? Uno dei miti più diffusi dell’industria cinese dei semiconduttori è l’enorme potenziale previsto dal divario tra il mercato dei semiconduttori più grande del mondo e la limitata capacità produttiva della Cina. Questo entusiasmo è spiegato dalla società di consulenza PriceWaterhouseCoopers (PWC) in una serie di rapporti che prevedono la migrazione globale dell’industria dei semiconduttori verso la Cina (si veda PriceWaterhouseCoopers 2002 e i suoi successivi aggiornamenti fino al 2017). Secondo gli analisti di PWC, l’ingresso della Cina nella produzione di semiconduttori non è fondamentalmente diverso dalla padronanza del Paese nella produzione di tessuti, acciai e giocattoli: la migrazione globale di tecnologie e industrie mature in luoghi a basso costo. Due fattori specifici della Cina facilitano questo processo: un grande mercato cinese ha avvicinato la produzione e un governo favorevole fornisce infrastrutture e input di qualità superiore. Questa teoria popolare è essenzialmente una variante della ben nota teoria del ciclo di vita del prodotto, introdotta dall’economista americano Raymond Vernon, che prevede la diffusione tecnologica dalle economie avanzate a quelle in via di sviluppo, quando il design del prodotto è standardizzato, il processo di produzione è maturato e l’aumento della concorrenza ha ridotto i profitti degli innovatori.Questa teoria del gap produttivo, tuttavia, presenta tre errori critici. Innanzitutto, il fatto di essere il più grande mercato di consumo di semiconduttori al mondo non si traduce necessariamente nel più grande produttore locale. Dal 2005, la Cina è diventata il più grande consumatore mondiale di semiconduttori, rappresentando oltre il 60% del mercato globale nel 2016, ma la sua quota di produzione globale di chip, inferiore al 15%, è rimasta indietro rispetto ai principali Paesi produttori.Questo perché la produzione di semiconduttori è un’industria globalizzata, in cui le economie di scala spingono a concentrare la produzione in poche aziende e località. I bassi costi di trasporto dei materiali leggeri consentono di separare geograficamente la produzione e il consumo di semiconduttori. E soprattutto, la tecnologia dei semiconduttori ha continuato a progredire rapidamente negli ultimi decenni seguendo la Legge di Moore. Poiché le aziende leader, come Intel, Samsung e TSMC, sono ancora ricompensate con una parte importante dei profitti del settore grazie all’invenzione di nuovi design di prodotto e nuovi processi di produzione, l’industria dei semiconduttori non è certo un’industria matura. In secondo luogo, la tempistica dello sviluppo dell’industria dei semiconduttori in Cina non si adatta alla narrazione del gap produttivo. Il governo cinese ha iniziato a sponsorizzare progetti di semiconduttori negli anni ’80 e ’90, molto prima che le multinazionali prendessero in considerazione la possibilità di trasferire la produzione di semiconduttori in Cina. Diversi leader governativi del Progetto 909, tra cui Wang Yangyuan e Hu Qili, hanno ripetutamente affermato che lo scopo della sponsorizzazione di un progetto su larga scala è quello di dimostrare la plausibilità della gestione di una moderna impresa di semiconduttori sul territorio cinese, supportata da un’infrastruttura decente, da un pool di ingegneri e manager capaci, dall’accesso a capitali, materiali e attrezzature e da un livello ragionevole di protezione della proprietà intellettuale. Queste affermazioni hanno confermato che gli sforzi del governo sono importanti almeno quanto il divario tra consumo e produzione per attirare gli investimenti delle imprese. In terzo luogo, l’idea del divario di produzione e le teorie del ciclo di vita del prodotto in essa incorporate non sono riuscite a prevedere l’ordine e i tipi di ingresso nel settore. Secondo il modello classico del ciclo del prodotto, ci si aspetterebbe che la Cina acquisisca prima i segmenti a più basso valore aggiunto (cioè imballaggio, test e assemblaggio), per poi passare alle attività di progettazione e fabbricazione di chip a più alto valore aggiunto. In effetti, questo è l’ordine di ingresso dei Paesi del Sud-Est asiatico, come la Malesia o le Filippine. Tuttavia, alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, la Cina è entrata quasi contemporaneamente nelle attività di progettazione, produzione e confezionamento di chip, test e assemblaggio, con un sostegno altrettanto forte da parte degli investimenti stranieri in tutti e tre i segmenti. A questo proposito, l’ingresso della Cina nei semiconduttori è stato apparentemente il risultato di azioni governative e commerciali deliberate piuttosto che di altro. Ma quali sono le politiche governative e le strategie aziendali responsabili della crescita del settore? Gli studiosi hanno attribuito il successo della Cina nell’industria dei semiconduttori alle imprese private e al governo locale che si sono adattati alle dinamiche della globalizzazione. Dagli anni ’80, la globalizzazione ha plasmato l’industria dei semiconduttori attraverso la liberalizzazione del commercio, i progressi nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e un processo di modularizzazione – la standardizzazione delle interfacce tra i componenti e i sottosistemi – che ha reso il processo produttivo dei semiconduttori altamente frammentato. In altre parole, la progettazione, la produzione e il trasporto di un semiconduttore sono sempre più distribuiti tra diverse aziende a livello transfrontaliero in diverse fasi della produzione. La globalizzazione dell’industria dei semiconduttori offre ai Paesi in via di sviluppo l’opportunità di entrare in parti delle catene del valore con barriere tecnologiche e organizzative ridotte.Dan Brenznitz e Michael Murphree hanno definito le aziende cinesi di semiconduttori, in particolare le fonderie e le case di progettazione, come “fast followers”, che adottano il modello di business “pure-play foundry” e “fabless”, sperimentato da TSMC e MediaTek, per specializzarsi in parti delle catene del valore globali.Questo modello di business comporta una rapida innovazione di prodotto di seconda generazione e di processo in mercati di comprovato successo. Il modello di sviluppo cinese “Run of the Red Queen”, come lo hanno descritto, non è tuttavia il risultato delle ambizioni tecno-nazionalistiche del governo centrale in politiche come la campagna “Indigenous Innovation”. Essi sostengono che esso sia stato favorito da governi locali pragmatici che, in una situazione di forte concorrenza interregionale per la crescita e l’industria, sono accomodanti nei confronti delle esigenze delle imprese nella politica e nella pianificazione economica e sono quindi in grado di adattarsi alle opportunità presentate dalla globalizzazione. Un osservatore di lungo corso dell’industria cinese dei semiconduttori, Douglas Fuller, ha attribuito il successo del settore a un particolare tipo di impresa resa possibile dalla globalizzazione ed esemplificata da SMIC.Come già detto, la classificazione di SMIC come impresa di proprietà straniera o nazionale è stata confusa nei primi tempi dell’azienda. Fuller sostiene che le aziende come la SMIC costituiscono una classe a sé stante, che definisce imprese ibride. Le imprese ibride sono imprese a investimento estero con management cinese e una strategia operativa basata sulla Cina. Il successo delle imprese ibride è sostenuto da due fattori: uno è la disciplina finanziaria, imposta dagli investitori stranieri, che costringe le imprese ibride a superare le imprese nazionali favorite dallo Stato che hanno perso la disciplina di mercato a causa di una sponsorizzazione statale troppo generosa. L’altro fattore è una strategia operativa basata sulla Cina, che consente alle imprese ibride di investire nelle capacità locali e di migliorare la tecnologia cinese rispetto alle imprese convenzionali a investimento estero che percepiscono la Cina solo come mercato o fonte di input. Poiché l’insieme delle istituzioni che governano le imprese ibride è essenzialmente mutuato da un’ampia fascia di mercato, Fuller sostiene che lo sviluppo dell’industria cinese dei semiconduttori avviene attraverso “l’importazione di istituzioni” in un mondo di globalizzazione. Le teorie che evidenziano il ruolo della globalizzazione nello sviluppo dell’industria cinese dei semiconduttori hanno il loro valore, soprattutto per spiegare la rapida crescita degli anni 2000. Tuttavia, uno zoom su un arco storico più lungo dell’industria rivelerebbe l’effetto sovrastimato della globalizzazione, per tre motivi. In primo luogo, l’industria dei semiconduttori, legata a livello globale, è stata costruita sulla base di ingenti investimenti in infrastrutture negli anni ’90 e di una serie di riforme volte ad accogliere le iniziative governative, piuttosto che sull’importazione una tantum di istituzioni straniere. Sebbene i progetti 908 e 909 non siano stati esempi di successo di politica industriale, l’attuazione di questi progetti ha comunque permesso di trarre importanti insegnamenti politici. Ad esempio, all’indomani del Progetto 908, i leader cinesi impararono che il recupero della tecnologia dei semiconduttori avveniva solo in imprese ben gestite e commercialmente valide, per cui continuarono a invitare industriali cinesi di etnia straniera a gestire le imprese chiave e a consultare esperti stranieri per la stesura della nuova politica industriale del Documento 18.In retrospettiva, furono gli sforzi di riforma del governo centrale a creare lo spazio legale e istituzionale per l’emergere delle cosiddette imprese ibride. In secondo luogo, la rapida crescita degli anni 2000 ha creato i suoi problemi. All’interno di SMIC, dopo che la partenza del fondatore Richard Change ha creato un vuoto di leadership, l’azienda ha lottato per integrare ingegneri, manager e investitori locali e stranieri, che spesso avevano obiettivi divergenti. Questo dilemma è stato causato in particolare dal suo modello di governance internazionalizzato. A livello industriale, gli sforzi dei governi locali per replicare la formula di SMIC hanno portato a numerosi progetti falliti, tra cui alcune frodi di alto profilo. A metà degli anni Duemila, sono stati effettuati investimenti locali in 130 siti di produzione di semiconduttori in 15 province, tra i quali pochi hanno raggiunto il mercato.Fallimenti simili nei progetti locali di semiconduttori derivanti dalla mancanza di capacità a livello di governo locale continuano a emergere oggi, esemplificati dalla frode di alto profilo di Wuhan Hongxin Semiconductors, che è costata al governo locale quasi 20 miliardi di dollari dal 2017 al 2021.Infine, e fondamentalmente, il modello di business di incorporazione nelle catene del valore globali non è riuscito ad ampliare e approfondire le capacità tecnologiche della Cina come previsto. L’elevata crescita di SMIC e di altre aziende produttrici di semiconduttori negli anni 2000 è derivata dalla specializzazione in una fase della produzione nella catena del valore, mentre dipendeva dai fornitori a monte per le attrezzature, i materiali e la tecnologia e dagli integratori di sistemi a valle per i mercati. Poiché i fornitori a monte e i mercati a valle sono entrambi al di fuori della Cina, queste aziende di semiconduttori facevano grande affidamento sul commercio globale. Dopo lo scoppio della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina sull’industria dell’alta tecnologia dal 2017, è emerso chiaramente che questo modello di business ha lasciato gran parte delle tecnologie critiche “chokepoint” nelle mani di fornitori stranieri.

Gli approcci della Cina all’industria dei semiconduttori

Per comprendere l’approccio della Cina all’industria dei semiconduttori, è necessario comprendere le sfide dell’innovazione tecnologica dei semiconduttori all’avanguardia e dove i responsabili della politica industriale e i dirigenti d’azienda sono riusciti e hanno fallito nell’affrontare queste sfide. In generale, per costruire un’industria dei semiconduttori leader a livello mondiale è necessario affrontare le sfide dell’accumulo di capacità tecnologiche, del finanziamento di investimenti su larga scala e dell’integrazione di organizzazioni innovative in un settore globalizzato. Accumulare un livello sufficiente di capacità tecnologiche è il prerequisito di qualsiasi industria avanzata. L’industria dei semiconduttori, tuttavia, pone sfide uniche sotto due aspetti :l’alto tasso di cambiamenti tecnici e la dipendenza dalla conoscenza tacita. In primo luogo, i cambiamenti tecnici nelle tecnologie dei semiconduttori sono regolati dalla cosiddetta Legge di Moore. Ogni due anni, cioè, il numero di transistor integrati in un singolo chip raddoppierà, con conseguente aumento delle prestazioni e riduzione dei prezzi.Ma la Legge di Moore non è affatto iscritta nelle leggi della fisica; si tratta piuttosto di una profezia che si autoavvera, resa possibile dalla feroce concorrenza delle principali aziende di semiconduttori del mondo nello spingere le frontiere tecnologiche. In secondo luogo, mentre la moderna industria dei semiconduttori è un’industria basata sulla scienza, nata dalla ricerca nei laboratori scientifici, le conoscenze necessarie per la produzione e l’innovazione dei semiconduttori sono altamente tacite, accumulate attraverso anni di esperienza in prove ed errori.Anche le innovazioni architettoniche, che spesso distruggono le competenze delle aziende consolidate nella maggior parte dei settori, riconfigurando radicalmente la progettazione dei prodotti e i processi di produzione, non hanno quasi mai sconvolto le posizioni delle aziende leader nel settore dei semiconduttori a partire dagli anni Novanta. Il cambiamento architettonico più recente nella tecnologia dei semiconduttori è il passaggio dalla tecnologia di processo CMOS planare utilizzata nei nodi a 22 nm e superiori alla tecnologia 3D FinFET (fin field-effect transistor) utilizzata nei nodi a 14/16 nm e inferiori dal 2014 circa. Tuttavia, nessuna delle aziende leader di lunga data, tra cui Intel, TSMC e Samsung, è stata indebolita da questa transizione, a riprova del ruolo critico dell’esperienza accumulata nell’innovazione dei semiconduttori. Nel settore dei semiconduttori, quindi, non esistono scorciatoie o salti alle frontiere tecnologiche. Solo le imprese ritardatarie in grado di apprendere e innovare a un ritmo più veloce rispetto alle imprese consolidate sono in grado di recuperare il ritardo.Una seconda sfida nella costruzione di un’industria dei semiconduttori è la mobilitazione di capitali per grandi investimenti su un lungo periodo di tempo. Un moderno impianto di produzione di semiconduttori (“fab”) costa miliardi di dollari per la costruzione di camere bianche e altre strutture e per l’installazione di attrezzature costose come la macchina litografica. Con costi fissi così elevati per impianti e macchinari, di solito ci vogliono diversi anni prima che il produttore di semiconduttori recuperi l’investimento iniziale e ottenga la redditività. Ogni anno si devono spendere altre centinaia di milioni di dollari per la manutenzione e altri soldi per gli investimenti nello sviluppo di nuovi processi, solo per stare al passo con le frontiere tecnologiche in movimento. Per superare questi ostacoli finanziari nella gestione di una fabbrica di semiconduttori, è necessario un impegno finanziario di grandi quantità di capitale investito per un lungo periodo di tempo, fino a quando l’investimento non darà i suoi frutti. Una terza sfida consiste nel costruire organizzazioni aziendali innovative, con il controllo strategico di dirigenti capaci e l’integrazione organizzativa di manager e ingegneri competenti, in grado di adattarsi a un’industria dei semiconduttori globalizzata e in rapida evoluzione. Nell’economia di transizione cinese degli ultimi quarant’anni, il superamento degli ostacoli nella costruzione di organizzazioni innovative richiede spesso riforme e l’adozione di pratiche di governance e di gestione nuove per l’ambiente cinese. Ad esempio, la decisione strategica di organizzare il settore con IDM o una combinazione di fonderie specializzate e aziende fabless non può essere presa se i funzionari governativi e i dirigenti delle aziende leader non hanno acquisito una comprensione delle dinamiche del settore globale. Inoltre, il funzionamento del modello di business delle fonderie pure-play richiede che la fonderia, in quanto produttore a contratto, protegga la proprietà intellettuale del cliente e attui pratiche di proprietà intellettuale riconosciute a livello internazionale. Ciò richiede non solo cambiamenti nelle pratiche commerciali, ma anche nelle normative governative. Per competere per i talenti a livello globale, le strategie per attrarre e trattenere i talenti nelle aziende cinesi, per fare un altro esempio, devono essere adottate di conseguenza. In effetti, le risorse umane nelle principali aziende cinesi di semiconduttori sono cambiate radicalmente, passando dal sistema di impiego a vita della Huajing, di proprietà statale, negli anni ’90, agli incentivi basati sulle azioni della Silicon Valley della SMIC, a partire dagli anni 2000, per attrarre manager e ingegneri qualificati con mobilità globale. Pertanto, la gestione di una moderna impresa di semiconduttori potrebbe comportare l’adozione di una serie complicata di regole e norme accettate a livello globale, il che è già abbastanza difficile. Ma costruire un’azienda innovativa è ancora più difficile, perché i dirigenti d’azienda e i funzionari governativi devono prendere decisioni strategiche e costruire un’attività integrata sulla base di nuove regole e norme. Per superare le sfide tecnologiche, finanziarie e organizzative nella costruzione dell’industria dei semiconduttori, il governo cinese e l’industria si sono evoluti nel tempo. Nel corso degli anni ci sono state tre fasi di coevoluzione tra governo e industria, caratterizzate da politiche industriali e forme dominanti di imprese commerciali. La prima fase è quella dell’industria di Stato, caratterizzata dal dominio delle imprese statali e delle joint venture sino-straniere. Ha avuto origine dall’economia pianificata pre-riforma ed è durata fino al 1999, quando il precedente campione nazionale di proprietà statale, Huajing, è stato rilevato da un management di etnia cinese. La seconda è una fase di globalizzazione che inizia con il rilascio del Documento 18 e la fondazione di SMIC e Grace nel 2000, caratterizzata dall’emergere di grandi e sofisticate fonderie di semiconduttori profondamente inserite nel sistema produttivo globale. L’ultima fase, quella attuale, è iniziata con l’istituzione del National IC Industry Investment Fund nel 2014, che promuove un’industria dei semiconduttori legata al mondo e orientata al mercato nazionale, con un ritmo di recupero più rapido grazie a massicci investimenti azionari sostenuti dal governo. Nella Tabella è riportata una presentazione stilizzata delle caratteristiche principali delle tre fasi.

Nella prima fase dell’industria di Stato, le aziende cinesi di semiconduttori sono nate da fabbriche statali create nell’era pre-riforma. I responsabili politici hanno intrapreso un percorso dipendente dalla storia, affidandosi alle aziende di Stato come veicolo per lo sviluppo dell’industria. All’inizio della riforma, i responsabili politici hanno percepito l’arretratezza dell’industria cinese dei semiconduttori come un mero problema tecnico: con l’aggiornamento delle attrezzature e degli strumenti, le fabbriche statali sarebbero diventate produttori di alta tecnologia. Non sapevano che la possibilità di successo dell’upgrade dipendeva in realtà dalla trasformazione delle SOE da officine all’interno di un sistema pianificato a entità indipendenti e generatrici di profitti, in grado di sopravvivere alla concorrenza del mercato. Poche aziende di Stato sono riuscite a riqualificarsi, ad eccezione di un piccolo numero di casi come Huajing negli anni ’80, guidato da direttori di fabbrica intraprendenti sostenuti da burocrati locali. Tuttavia, il cambiamento delle politiche negli anni ’80 ha fatto sì che l’enfasi sullo sviluppo tecnologico si spostasse dallo sviluppo interno verso l’importazione di attrezzature frammentarie, a causa dei finanziamenti limitati e del reverse engineering dei semiconduttori stranieri che stavano diventando sempre più disponibili.80 Le istituzioni ereditate dall’economia pianificata non avevano preparato le SOE e lo Stato ad avere successo in questa transizione. Le istituzioni ereditate dall’economia pianificata non hanno preparato le aziende di Stato e le SOE ad avere successo in questa transizione. Le aziende di Stato hanno generalmente una base debole per l’apprendimento e l’innovazione, poiché hanno ereditato dall’economia pianificata un’organizzazione di R&S frammentata in cui i laboratori e gli istituti di ricerca erano storicamente scollegati dalle fabbriche. Le SOE si sono affidate allo Stato, soprattutto al governo centrale, per ottenere finanziamenti per gli investimenti in tecnologie avanzate, ma le sovvenzioni statali erano limitate, lente e distribuite per esigenze concorrenti. Nel complesso, in questa fase lo Stato cinese e le sue aziende di Stato hanno dimostrato scarsa capacità di superare le sfide della costruzione di un’industria dei semiconduttori. In termini di accumulazione tecnologica, le aziende di Stato hanno abbandonato le basi dello sviluppo tecnologico interno a favore di metodi meno rischiosi di importazione di tecnologie straniere, ma poche sono state in grado di assorbire e migliorare le tecnologie importate. Per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti, il sistema di pianificazione centrale non era in grado di soddisfare le esigenze di grandi investimenti a lungo termine a livello aziendale. Dal punto di vista organizzativo, poi, le imprese statali faticavano ad adattarsi all’economia di mercato emergente. Negli anni ’90, il governo cinese ha sponsorizzato una serie di progetti nazionali per acquisire tecnologie avanzate per i semiconduttori e aggiornare l’industria statale. Negli alti e bassi dei progetti 908 e 909, le joint venture sino-estere sono emerse come punte di diamante per il progresso delle tecnologie nazionali previste dai piani quinquennali. Nel favorire le joint venture sino-straniere rispetto alle tradizionali aziende statali, i leader cinesi hanno preso in considerazione l’acquisto all’ingrosso di tecnologie straniere, comprese le attrezzature, la progettazione dei prodotti, il software, la formazione del personale e i diritti di proprietà intellettuale, nonché l’adozione di una gestione e di un’organizzazione straniere. Nei progetti nazionali, i funzionari governativi di alto livello erano impegnati nella progettazione e nella guida di questi progetti di sviluppo su larga scala, per cui le iniziative locali erano meno visibili. Le imprese private di semiconduttori erano ancora fuori discussione. Tuttavia, alle joint venture sino-straniere è stato chiesto di trasformarsi da progetti statali a vere e proprie imprese moderne con organizzazioni integrate, un compito in cui hanno ottenuto scarsi risultati. Parte del fallimento è dovuto al fatto che la loro strategia di apprendimento si è affidata eccessivamente alle multinazionali reclutate come partner stranieri, per cui le imprese comuni hanno perso il controllo dei loro indirizzi strategici, operativi e tecnologici. Le imprese comuni hanno sviluppato capacità produttive con l’assistenza straniera, ma la speranza di andare oltre la tecnologia trasferita e di generare tecnologie proprie non si è realizzata. Tuttavia, attraverso questi esperimenti di progetti statali, il governo e l’industria cinese hanno imparato almeno tre lezioni importanti. In primo luogo, nel finanziamento di investimenti su larga scala per i progetti di semiconduttori, il coinvolgimento personale dei massimi dirigenti ha creato nuovi percorsi al di fuori del vecchio sistema pianificato di allocazione delle risorse per le imprese di semiconduttori per accedere a capitali nazionali ed esteri. Queste nuove fonti di finanziamento nazionali ed estere hanno preannunciato la liberalizzazione del mercato dei capitali per le imprese di semiconduttori nel decennio successivo. In secondo luogo, nella creazione di organizzazioni imprenditoriali, i leader cinesi hanno utilizzato le imprese della JV come vetrina per dimostrare la possibilità di gestire moderne imprese ad alta tecnologia nell’ambiente cinese. L’attenzione ad alto livello ha creato l’opportunità di avviare importanti cambiamenti istituzionali, tra cui le riforme della politica industriale, della fiscalità, della regolamentazione dell’import-export e della finanza industriale. In terzo luogo, le intense interazioni tra i leader cinesi e la comunità di industriali cinesi etnici d’oltremare nell’esecuzione dei progetti statali hanno creato condizioni favorevoli alla circolazione dei cervelli, consentendo il ritorno degli imprenditori d’oltremare. In retrospettiva, i progetti nazionali sui semiconduttori degli anni ’90 hanno costituito una fase di transizione tra l’industria di Stato e l’industria collegata a livello globale nel decennio successivo. Nel 2000, l’industria cinese dei semiconduttori è entrata in una nuova fase di globalizzazione, con la creazione di un nuovo tipo di aziende collegate a livello globale. Come esemplificato da SMIC, queste aziende di semiconduttori hanno radici profonde in Cina e stretti legami con le autorità centrali e locali. Esse attingono alle risorse locali di infrastrutture potenziate e ai pool di talenti ingegneristici, ma prosperano grazie all’inserimento nelle reti di produzione globale e all’internazionalizzazione del management e dei tecnologi. A differenza delle filiali ad investimento estero delle multinazionali o delle joint venture sino-estere, queste aziende sono più motivate a far progredire la tecnologia locale e ad adattarsi alle istituzioni locali. L’alleanza tra lo Stato cinese e la classe imprenditoriale cinese d’oltremare si è formata sulla base del fatto che gli imprenditori d’oltremare aiutano il governo cinese a realizzare le proprie ambizioni tecnologiche, mentre lo Stato cinese sostiene questi imprenditori a creare un’attività in un settore strategico. Grazie a questa delega di autorità, gli imprenditori d’oltremare, come Richard Chang, sono stati in grado di esercitare un controllo strategico sulle nuove imprese di semiconduttori collegate a livello globale, adottando una corporate governance internazionalizzata e il modello di business delle fonderie pure-play, nuovo per la Cina. L’adozione di pratiche di gestione delle risorse umane e di schemi retributivi, come la retribuzione basata su azioni e bonus, prevalenti nella Silicon Valley, ha permesso alle aziende collegate a livello globale di attingere al bacino globale di talenti, attirando e trattenendo manager e ingegneri cinesi qualificati che altrimenti non sarebbero tornati in patria. Con queste risorse umane, queste imprese possono finalmente formare organizzazioni integrate e collaborare con le imprese delle GVC nello sviluppo tecnologico. In questa fase, mentre il ruolo del governo centrale non è stato visibile nel finanziare direttamente le industrie, i governi locali hanno preso diverse iniziative nelle politiche industriali locali, fornendo un bacino di capitali a cui imprese come la SMIC possono attingere per finanziare la costruzione di fab. La fase di globalizzazione non è tuttavia priva di limiti nell’affrontare le sfide dell’innovazione dei semiconduttori. Per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico, l’inserimento delle principali fonderie di semiconduttori cinesi nella catena del valore globale ha limitato i collegamenti e le ricadute su clienti e fornitori locali, limitando l’ampiezza e la profondità dell’apprendimento tecnologico nell’industria locale. Alla fine degli anni 2010, era ormai chiaro che l’industria cinese dei semiconduttori, in ritardo di sviluppo, riceveva poca assistenza dalle fonderie leader del Paese, che dipendevano da macchinari stranieri. Per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti, non solo il capitale fornito dalla politica industriale locale era inefficiente e dispendioso, ma anche l’allocazione a breve termine e basata su progetti di questi fondi era inadeguata a soddisfare le esigenze dell’industria di investimenti continui e a lungo termine. Sul fronte organizzativo, la struttura di corporate governance adottata dal modello di business della New Economy della Silicon Valley ha contribuito ad attirare in Cina talenti e capitali internazionali, ma ha avuto meno successo nel creare organizzazioni integrate in cui persone con background diversi potessero concordare sugli obiettivi a lungo termine dell’organizzazione. Ad esempio, dopo la partenza di Richard Chang nel 2009, la SMIC è scivolata immediatamente in un periodo di lotte interne perché, in assenza di una leadership forte, i dirigenti erano in disaccordo tra loro nel perseguire la redditività o la crescita. Il risultato è stato un decennio perso nel ritmo di recupero tecnologico. La terza e attuale fase dell’industria cinese dei semiconduttori è caratterizzata dallo sviluppo nell’ambito di una serie di nuove politiche industriali che hanno iniziato a essere attuate dal 2014, tra cui il Fondo nazionale per gli investimenti nell’industria dei circuiti integrati e “Made in China 2025”. Il ritorno dello Stato cinese e della politica industriale al centro della scena non è tuttavia un semplice ritorno all’industria statale degli anni ’80 e ’90. Se da un lato lo Stato cinese, in particolare il governo centrale, ha aumentato i suoi interventi attraverso massicci investimenti e sussidi, dall’altro si è astenuto dall’interferire nella governance interna e nella gestione delle imprese. La struttura di corporate governance delle aziende leader e il loro controllo strategico da parte della classe imprenditoriale di etnia cinese sono rimasti intatti. Le aziende legate a livello globale, come la SMIC, hanno avuto il pieno sostegno dello Stato come campione nazionale per guidare lo sviluppo tecnologico e la competizione internazionale. A differenza dei costosi progetti sui semiconduttori degli anni ’90, gli interventi statali nell’ambito della nuova politica industriale sono gestiti attraverso fondi azionari sostenuti dal governo e gestiti da manager d’investimento professionisti, come ad esempio il National IC Industry Investment Fund e vari fondi d’investimento IC locali e non governativi. Gli investimenti forniti dai fondi IC cercano di affrontare tutte e tre le sfide dell’innovazione dei semiconduttori, ma i risultati sono contrastanti. Per quanto riguarda l’accelerazione del recupero tecnologico, la strategia iniziale dei fondi IC è stata quella di sostenere le aziende locali, come Tsinghua Unigroup, nell’acquisizione di aziende straniere leader e delle loro tecnologie, dando luogo a un’ondata di acquisizioni cinesi di produttori internazionali di semiconduttori tra il 2014 e il 2018. Il contraccolpo da parte di governi e aziende straniere, tuttavia, soprattutto dopo i tentativi falliti di Unigroup di acquisire il produttore americano di chip di memoria Micron e il produttore di hard disk Western Digital nel 2016, ha reso tali strategie meno praticabili.

Alla fine del 2018, con l’inserimento nella lista nera del Fujian Jinhua da parte del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, seguito dal crollo di Jinhua nell’emergente guerra fredda tecnologica, le strade per le acquisizioni tecnologiche estere sono diventate sempre più impraticabili. In termini di finanziamento di investimenti su larga scala, i fondi IC hanno superato i precedenti investimenti statali. Dal 2015, le principali fonderie di semiconduttori cinesi, tra cui SMIC e Huahong, hanno ampliato costantemente le loro capacità produttive. Ma forse più significativi sono gli investimenti in due produttori indigeni di chip di memoria, Yangtze Memory Technology e ChangXin Memory Technologies, con l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza nei chip di memoria DRAM e flash, i segmenti industriali che non sono stati affrontati dalle precedenti politiche industriali. La costruzione di queste aziende di produzione di chip di memoria, che richiedono molto capitale, costa centinaia di miliardi di dollari, ma è la chiave per l’autosufficienza della Cina nel settore dei semiconduttori. Per quanto riguarda la creazione di organizzazioni innovative, le nuove politiche industriali potrebbero avere effetti inaspettati sulle imprese consolidate e sulle start-up. I massicci investimenti azionari in aziende consolidate, seguiti dal fatto che i fondi IC sono diventati i maggiori azionisti di aziende come SMIC, hanno portato stabilità nella governance aziendale. La recente transizione dell’amministratore delegato di SMIC nel 2017, ad esempio, è molto più fluida rispetto alla precedente transizione caotica tra il 2009 e il 2011, grazie al controllo manageriale consentito dalla partecipazione passiva dei fondi IC. L’effetto più significativo è forse quello sulle start-up locali. Con il sostegno dei fondi IC, diventa possibile per le start-up locali, controllate strategicamente da industriali locali, stabilirsi in questo settore ad alta intensità di capitale. Gli esempi principali sono, ancora una volta, Yangtze Memory Technology e ChangXin Memory Technologies. Sebbene i fondatori di entrambe le aziende, Simon Yang di YMTC e Zhu Yiming di CXMT, siano rientrati in patria, entrambi hanno accumulato una vasta esperienza lavorativa a livello nazionale (ad esempio, Simon Yang come ex-CTO di SMIC e Zhu Yiming come fondatore di GigaDevice Semiconductors, un’azienda fabless di grande successo) prima di fondare i due produttori di chip. Rispetto alla precedente generazione di aziende di semiconduttori SMIC e Grace, i produttori di chip degli anni 2010 sono più orientati al mercato nazionale e controllati strategicamente da manager e ingegneri locali, pur mantenendo collegamenti globali. Di conseguenza, questi produttori di chip potrebbero avere maggiori possibilità di raggiungere l’integrazione organizzativa.

Osservazioni conclusive sull’industria dei semiconduttori

L’industria dei semiconduttori è un settore critico nella società dell’informazione contemporanea. Il ruolo dei semiconduttori è destinato a diventare ancora più importante man mano che le applicazioni dell’intelligenza artificiale, alimentate da chip per computer a semiconduttori, penetreranno in ogni aspetto della vita del XXI secolo, dai trasporti e dalla produzione industriale alle infrastrutture essenziali e ai servizi pubblici. La Cina ha a lungo perseguito l’autosufficienza in questa industria e tecnologia critica, con vari alti e bassi nel corso di una storia di sviluppo industriale che risale agli anni Sessanta. Il governo, la globalizzazione e il mercato interno hanno guidato la crescita dell’industria cinese dei semiconduttori in tutte e tre le sue fasi. L’industria di Stato, nata dal complesso militare-industriale del sistema economico pianificato pre-riforma, negli anni ’90 era purtroppo già un anello debole dell’industria elettronica cinese in piena espansione. Negli anni Novanta, il governo ha cercato di migliorare l’industria statale attraverso trasferimenti di tecnologia estera prima, e joint venture con multinazionali poi, attraverso progetti a regia statale. Tuttavia, anche uno Stato forte come quello cinese non può costruire un’industria leader a livello mondiale senza la collaborazione di imprese innovative. L’industria statale, tuttavia, era tutt’altro che innovativa. Abbandonando le tecnologie sviluppate internamente, le aziende di semiconduttori di proprietà dello Stato e le JV hanno perso il controllo strategico e sono diventate dipendenti da partner stranieri per le attrezzature, i progetti e le capacità di gestione. Tuttavia, le prove e gli errori dei progetti statali negli anni ’90 hanno promosso le riforme istituzionali e stabilito legami con la classe imprenditoriale cinese d’oltremare nel settore dell’alta tecnologia, gettando le basi per la transizione del settore nel decennio successivo. La globalizzazione ha favorito il boom dell’industria cinese dei semiconduttori, soprattutto nei segmenti delle fonderie e dei fabless negli anni 2000. L’introduzione del modello aziendale di fonderia pura da parte di imprenditori di etnia cinese ha dato vita a una nuova classe di aziende di semiconduttori legate a livello globale, sostenute dallo Stato cinese e da capitali stranieri. Esemplificata da SMIC, la più grande e sofisticata fonderia di semiconduttori cinese è cresciuta e si è aggiornata rapidamente inserendosi nelle catene del valore globali e attirando manager e ingegneri cinesi d’oltreoceano che sono tornati in patria. Tuttavia, sotto l’intensa concorrenza internazionale, i limiti della globalizzazione nello spingere la crescita e la tecnologia sono stati presto avvertiti dalle principali fonderie cinesi. Affidarsi ai trasferimenti di tecnologia lungo la catena di fornitura globale, senza il supporto di collegamenti all’indietro con una vivace industria nazionale di apparecchiature e con la comunità di ricerca, ha limitato fortemente la capacità delle fonderie collegate a livello globale di progredire verso i nodi tecnologici più avanzati al di sotto dei 10 nm. Con l’intento di raggiungere l’autosufficienza, dal 2014 sono state varate una serie di nuove politiche industriali per i semiconduttori, che hanno portato massicci investimenti statali e sovvenzioni al settore. Ma in ultima analisi, la spinta all’autosufficienza dipende dall’accesso ai mercati nazionali da parte di imprese innovative. Con le nuove politiche industriali, la crescita delle aziende innovative di semiconduttori è favorita sia da un mercato interno in crescita che dall’accesso ai capitali. Nell’ultimo decennio, sia le imprese di semiconduttori consolidate che quelle in fase di avviamento sono diventate sempre più orientate verso il mercato nazionale, grazie al successo di aziende di sistemi come Huawei, Xiaomi e altre, consentendo alle imprese locali di diventare meno dipendenti dalle catene di fornitura globali. L’investimento azionario da parte dei fondi nazionali e locali dell’industria dei circuiti integrati sembra aver finalmente alleviato il problema di lunga data del settore: la mancanza di capitale paziente in quantità massicce da investire nelle imprese innovative per sostenere il processo di innovazione e apprendimento. Con questo nuovo impegno finanziario da parte dello Stato, le imprese cinesi di semiconduttori controllate strategicamente da imprenditori locali e rimpatriati potrebbero perseguire un percorso di innovazione interna attraverso l’accesso al mercato nazionale.

https://jacopo1949.substack.com/p/lezioni-dal-successo-e-dal-fallimento-efe

1 20 21 22 23 24 40