Italia e il mondo

Cosa farai dopo la fine?_di Aurelien

Cosa farai dopo la fine?

L’Ego non ci salverà ora.

Aurélien28 maggio
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L’ultimo saggio ha suscitato molti commenti (a volte la gente ha avuto difficoltà a rispondere, per ragioni che non sono riuscito a comprendere), ma anche qualche scambio di battute aspre. Un forte dissenso (“Penso che sia completamente sbagliato”) va bene, ma niente commenti personali, per favore. Sono lieto di dire che non ho mai dovuto cancellare nessuno delle migliaia di commenti presenti su questo sito, e spero di non doverlo mai fare.

Vi ricordo che questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete continuare a sostenere il mio lavoro mettendo “Mi piace” e commentando, e soprattutto condividendo i saggi con altri e condividendo i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (ne sarei molto onorato, in effetti), ma non posso promettervi nulla in cambio se non una calda sensazione di virtù.

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Come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo sta pubblicando traduzioni in spagnolo sul suo sito qui . Anche Marco Zeloni sta pubblicando traduzioni in italiano su un sito qui. Yannick ha completato un’altra traduzione in francese, che intendo pubblicare nel fine settimana. Sono sempre grato a chi pubblica occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citi l’originale e me lo faccia sapere. Ora:

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Quando scrivi regolarmente, le idee per i saggi futuri si sviluppano nella mente come piatti preparati al ristorante. In qualsiasi momento ho tre o quattro idee che mi girano in testa, di solito sotto forma di bozze complete di paragrafi o addirittura di pagine, in cerca di una struttura che le unisca. Faccio quello che mi dice il cervello, e mi informa che la prossima settimana scriverò di nuovo sull’Ucraina, sul tema delle condizioni per la vittoria, ma sebbene alcuni pezzi siano pronti, non hanno ancora una forma coerente. Quindi questa settimana, quando sarò in viaggio e a corto di tempo, cercherò di mettere insieme altri pezzi assortiti su due argomenti correlati su cui il mio cervello stava lavorando separatamente, ma che ora vuole riunire. OK, sei tu il capo.

Tutto ciò deriva dal fatto che ormai da diversi anni scrivo senza risparmio sul declino delle istituzioni e dei sistemi politici. Spero di non essere stato troppo pessimista – dopotutto, capire il problema è la priorità assoluta – ma allo stesso tempo non ho detto molto su cosa si potrebbe fare, a parte alcune riflessioni su come massimizzare le libertà che ci restano. Quindi vorrei riunire ora alcune idee e speculazioni eterogenee, sotto due titoli collegati, nella speranza che qualcuno possa essere ispirato ad approfondire alcune di esse. Declino, come al solito, qualsiasi pretesa di essere un guru o persino una competenza specifica. Ciononostante.

Affronterò due temi. Uno è la necessità che vedo di ristabilire gerarchie autenticamente valide e legittime, in un sistema che teoricamente le disprezza, ma che in realtà ne è costellato in forma semi-nascosta. L’altro riguarda come gli individui possano sviluppare la capacità di vivere e lavorare in tali gerarchie e di rendere se stessi, e quindi le proprie comunità, più resilienti. I collegamenti tra i due diventeranno evidenti man mano che andiamo avanti.

Inizierò con il primo argomento, perché poco o nulla è stato scritto al riguardo. Il secondo, al contrario, consiste in gran parte di pile di robaccia che ingombrano librerie, YouTube e Internet in generale, ed è generalmente prodotto da persone che cercano i vostri soldi.

“Gerarchia” è una parola che oggigiorno viene pronunciata raramente, se non con toni di sprezzante disprezzo. Non passa settimana che non mi imbatta in un articolo furioso di un esperto di internet, che condanna uno dei suoi nemici per aver “cercato di ristabilire le gerarchie tradizionali” di X o Y, pur rispettando e persino applicando, per la maggior parte, le gerarchie di cui loro stessi fanno parte. L’origine del termine è greca, sebbene il suo significato esatto sia controverso: sembra sia stato coniato da quell’affascinante e misteriosa figura dello Pseudo-Dionigi nel VI secolo d.C., e significasse qualcosa come “l’ordine delle cose divine”. Quindi veniva applicato ai vari ordini degli Angeli in Cielo e all’organizzazione della Chiesa sulla Terra. Nessuno dei due ci è di grande aiuto.

La gerarchia ha a che fare con la precedenza tra due o più individui o istituzioni. Può essere formale e banale. Quindi i viaggiatori di Business Class hanno più facilità negli aeroporti e salgono a bordo per primi. I capi di Stato hanno la precedenza sui capi di governo: qualcosa che ha sempre fatto infuriare la signora Thatcher. In molte aree, le persone qualificate ricevono rispetto rispetto a quelle senza, e in alcune società (anche se meno che in passato) gruppi diversi hanno uno status diverso. In Africa, lo status tribale o di clan può essere più importante dello status formale in un’organizzazione. In alcune società asiatiche, l’età e l’esperienza conferiscono automaticamente uno status più elevato rispetto a una persona più giovane.

Per gran parte della storia umana, l’idea che alcune persone avessero un’intrinseca superiorità gerarchica sulle altre era così ovvia da risultare superflua. Nelle società in cui si credeva che i monarchi fossero nominati dagli dei, o addirittura che fossero essi stessi dei, non solo la loro posizione personale era al vertice della gerarchia, ma anche tutti i loro parenti di sangue o affini erano vicini al vertice. Nell’Europa del XVIII secolo era ovvio a tutti, tranne che a pochi radicali, che esistessero classi sociali d’élite e gente comune, e che la differenza tra loro fosse tanto biologica quanto sociale ed economica. (Si pensi a espressioni come “altolocati” o al significato del racconto di Anderson ” La principessa sul pisello”). Gli apologeti delle razze e delle civiltà hanno posto il proprio gruppo al vertice di un ordine gerarchico nel corso della storia. Questo è accaduto persino all’interno delle società: gli scienziati pazzi dell’apartheid divisero il paese in venticinque gruppi razziali, in una catena gerarchica di diritti e privilegi.

Quando parliamo di gerarchia , tuttavia, di solito ci riferiamo a una struttura formale o semi-formale in cui, in generale, le istruzioni provengono dall’alto e chi si trova in cima gode di maggiori privilegi. Le gerarchie sono state oggetto di numerose critiche a partire dagli anni ’60, soprattutto da parte di coloro che ne sono al di fuori o in fondo, ma in pratica sembrano indispensabili per il corretto funzionamento delle organizzazioni e per qualsiasi risultato. La condizione necessaria, ovviamente, è che tali gerarchie siano organizzate e gestite in modo efficace ed equo, e tornerò su questo punto tra poco.

Le gerarchie sono il mezzo più efficace mai concepito per gestire organizzazioni e società, e sono state adottate da ogni civiltà conosciuta: in effetti, è difficile immaginare quale possa essere un’alternativa. La caratteristica essenziale delle gerarchie, tuttavia, non è il potere o il predominio, bensì la specializzazione . La gerarchia consente di assegnare i compiti al livello giusto. Una gerarchia ben funzionante consente di gestire una gran quantità di attività a livelli inferiori o intermedi, in conformità con le direttive dall’alto, in modo da liberare le persone al vertice della gerarchia per alcune questioni chiave. Minore è il numero di livelli di una gerarchia, maggiore è la probabilità che le persone al vertice siano sommerse dal lavoro, poiché l’istinto umano è sempre quello di passare i problemi ai superiori quando possibile. (Qualche anno fa ho incontrato una persona di un certo livello della RAND Corporation, che aveva cinquanta persone che gli riferivano direttamente. Ovviamente, non aveva tempo per il suo lavoro.)

Lasciate a se stesse, la maggior parte delle istituzioni e delle società sviluppa gerarchie di questo tipo pragmatico, e così le forze militari e i governi nazionali di tutto il mondo si sono organizzati in modi sorprendentemente simili. Il problema si pone, come è sorto in Occidente a partire dagli anni ’80, quando i teorici del management vengono lasciati intervenire per “riorganizzare” e rendere le organizzazioni esistenti “più efficienti”. Per fare l’esempio del servizio pubblico britannico, che conosco meglio, originariamente esistevano linee di controllo e responsabilità estremamente chiare, e una considerevole delega a livelli piuttosto inferiori. In ogni area importante, c’erano persone di grande esperienza che si avvicinavano alla fine della loro carriera, a cui si sottoponevano problemi che non si riusciva a risolvere al proprio livello. Ti ascoltavano, ci pensavano un po’ e dicevano “OK, ne parlerò con X”, oppure “preparami qualcosa e scriverò al dipartimento di Y”. Il punto, ovviamente, era che queste persone avevano svolto il tuo lavoro o uno simile in passato, così come altri lavori a livello superiore, il loro giudizio era più sviluppato del tuo e ne sapevano più di te. Ecco cosa succede quando le persone progettano sistemi pragmatici per se stesse.

Come tutti i buoni sistemi, anche questo doveva essere distrutto, e quando lasciai il sistema britannico era praticamente impossibile sapere chi lavorava per chi o chi era responsabile di cosa. In particolare (e questo è un problema comune a livello internazionale) le persone venivano assunte o promosse per ragioni politiche più ampie, cosicché la persona per cui teoricamente lavoravi sapeva meno di te, aveva meno esperienza e meno capacità di giudizio. Questo è il punto in cui le gerarchie iniziano a crollare e a morire, e non si fa più nulla. Ora, nota che non sto parlando di leader visionari e dinamici: semmai, ne abbiamo avuti troppi, o almeno di persone che si immaginavano di ricoprire quel ruolo, e i risultati non sono sempre stati positivi. Mi riferisco alla leadership calma, riflessiva e quotidiana, alla capacità di portare ordine dal caos e poi dire “lo faremo”.

E in realtà, gerarchie così poco drammatiche esistono in ogni situazione della vita. Siete in viaggio con un gruppo di persone e uno di voi parla la lingua locale o conosce bene il posto. Qualcuno sa come riparare un’auto, risolvere un problema con un computer recalcitrante o ritrovare la strada di casa quando vi siete persi. Fate quello che vi dice l’equipaggio di cabina su un aereo, parcheggiate dove vi viene detto durante un grande evento. Altrimenti, le cose non verrebbero fatte e la vita sarebbe impossibile. Se vogliamo, possiamo indossare il nostro cappello postmoderno e chiamare questi modelli di dominio e gerarchia. Ma qual è l’alternativa, esattamente?

Ebbene, possiamo vedere cosa succede quando le gerarchie basate sulla conoscenza e sull’esperienza vengono distrutte. Altre gerarchie le sostituiscono, di cui le più diffuse oggi sono le gerarchie della sofferenza e del vittimismo. Oggigiorno, la nostra posizione nella gerarchia spesso non dipende dalla competenza o dall’esperienza, ma dalla debolezza. O meglio, dipende dalla nostra appartenenza a un gruppo di vittime riconosciuto, guidato da individui che possono affermare di rappresentare noi e i nostri interessi. In determinate circostanze, questo può darci accesso a trattamenti preferenziali o a posizioni di potere e influenza. Ma per la massa di un gruppo di vittime, o per una “minoranza emarginata”, questo status non porta vantaggi concreti. Piuttosto, affinché la politica dei “gruppi emarginati” funzioni, i gruppi devono rimanere emarginati, altrimenti non si guadagna denaro né si acquisisce potere intervenendo a loro favore.

Come politica, è quindi notevolmente conservatrice e non tanto avvantaggia i gruppi “emarginati”, quanto piuttosto li rende materia prima più efficace per gli imprenditori identitari. Protegge inoltre dalle critiche i loro leader autoproclamati, e spesso i loro elementi peggiori. Così, diversi membri del circo politico di M. Mélenchon in Francia hanno intimato alle donne appartenenti a minoranze etniche del paese di non denunciare abusi o stupri all’interno delle proprie comunità, perché ciò porterebbe alla “stigmatizzazione” di queste stesse comunità e al “rafforzamento dell’estrema destra”. Bene, Fatima, allora il tuo posto nella gerarchia è sistemato.

Stiamo attraversando un periodo in cui ciò che conta nelle organizzazioni non è la loro efficacia, ma la loro immagine politicamente estetica. Finché non ci si preoccupa del funzionamento efficiente o meno di un’organizzazione, si può sviluppare una gerarchia basata su qualsiasi criterio di identità si desideri. E quella gerarchia perseguirà naturalmente i suoi interessi identitari, perché questo è ciò che fanno gli esseri umani. Il problema sorge quando un’organizzazione deve fare qualcosa, e si scopre che non esiste una correlazione necessaria, o addirittura un collegamento, tra una gerarchia basata sull’identità e una basata sulla competenza: in effetti, esistono per fare cose diverse.

L’altra caratteristica delle gerarchie moderne è un massiccio aumento dei contatti e delle relazioni gerarchiche non ufficiali. (Dico “aumento” perché non è un problema nuovo, e i legami personali non ufficiali tra individui, basati sull’istruzione o sulle origini sociali, esistono anche nelle organizzazioni più meritocratiche). Pertanto, il precedente predominio del personale accademico nelle istituzioni non era privo di problemi, ma negli ultimi anni sia gli amministratori, spesso selezionati e autoriproducentisi in base all’identità, sia gli studenti stessi, hanno iniziato a dominare e, in determinate circostanze, a dettare al personale accademico cosa fare. Questo dimostra semplicemente che la gerarchia è una funzione fondamentale di tutte le società e che se si cerca di abolire le gerarchie formali e le preferenze e le defferenze tradizionali, altri semplicemente prenderanno il loro posto.

Sotto questo titolo, e prima di tentare una sintesi e un passaggio alla parte successiva dell’argomentazione, vorrei menzionare un altro problema gerarchico: quello delle idee. Dagli anni ’60, la moda è stata quella di posizionarsi come “anti-sistema”, “indipendenti” o, oggigiorno, “in sfida al discorso accettato”. In effetti, oggigiorno è piuttosto difficile trovare uno scrittore che ammetta di esporre il “discorso accettato”, qualunque cosa lo si intenda. Gli scrittori fanno a gara per dare ai loro siti Internet i nomi più combattivi e dissidenti possibili. (Beh, va bene, io no.) Questo è possibile solo grazie alle bassissime barriere all’ingresso per la scrittura su Internet. Questo significa non solo che è facile farlo fisicamente – si può allestire un Substack in un’ora – ma soprattutto che nessuno è inibito dallo scrivere su un argomento solo perché lo ignora completamente. Non intendo dire che abbiano opinioni minoritarie, cosa che sarà sempre vera, ma piuttosto che ignorino i fatti fondamentali.

Così, quello che sta iniziando a essere chiamato “effetto Google”, non solo nelle università, ma anche tra la popolazione generale. Internet ha portato un cambiamento radicale nella gerarchia dell’informazione e del giudizio, da quello meglio attestato in passato, a quello più diffuso e controverso di oggi. Chiunque abbia familiarità con un determinato campo di studi sa che esisterà una gerarchia di teorie e interpretazioni, basata essenzialmente su ciò che è collettivamente ritenuto ragionevole dagli esperti in materia. Per fare un esempio ben noto, non c’è e non può esserci un consenso sulle cause della Prima Guerra Mondiale, anche perché dipende da come si definiscono “causa” e persino “guerra”. Ma un’interpretazione come quella contenuta nell’opera magistrale di Christopher Clarke sarebbe probabilmente accettata dalla maggior parte degli esperti del settore. Al contrario, le interpretazioni basate sulla rivalità commerciale (ad esempio quella tra Gran Bretagna e Germania) sarebbero considerate il riflesso di opinioni minoritarie e piuttosto antiquate. E le teorie del complotto che coinvolgono la City di Londra o la Massoneria verrebbero relegate ai margini del dibattito. Ora, si noti che in un campo così complesso non ci saranno mai spiegazioni completamente “vere” o “false”. Le teorie dominanti saranno soggette a dibattito e precisazioni, e il consenso intellettuale cambierà nel tempo, come è accaduto, ad esempio, dopo il 1991, quando i documenti sovietici sulla Seconda Guerra Mondiale sono diventati disponibili per la prima volta. Ma chiunque abbia un serio interesse per un’area di studio lo sa, e in linea di principio può comprendere la distanza gerarchica tra un libro sulla storia egizia scritto da un individuo qualificato che ha lavorato con testi e scavato tombe, e un libro che sostiene che la Grande Piramide fosse un faro per i dischi volanti.

Internet abolisce questa distanza gerarchica e le idee vengono commercializzate in competizione tra loro come la polvere di sapone, spesso con le stesse tecniche. Pertanto, Google potrebbe restituire come primo risultato una teoria di frontiera estrema, e in effetti, con un po’ di pazienza, può essere indotto a sputare fuori una teoria di frontiera estrema, ma emotivamente appagante, praticamente su qualsiasi argomento. Eppure, curiosamente, impone anche un conformismo e una gerarchia propri. Così, quasi tutti coloro che affermano di scrivere articoli “dissidenti” o “indipendenti” su Gaza o sull’Ucraina, in definitiva scrivono versioni della stessa cosa, e in generale citano le stesse autorità “dissidenti” gerarchicamente superiori, che a loro volta affermano più o meno la stessa cosa. Questo è inevitabile: se non sapete nulla di Gaza e non siete mai stati in Medio Oriente, cercherete qualcuno di status superiore, che dimostri una certa familiarità con le questioni, e copierete ciò che dice.

Possiamo ora, forse, suggerire alcune conclusioni intermedie. La società dipende in larga misura dal buon funzionamento di istituzioni e gruppi. Una qualche forma di gerarchia, che sia basata su qualifiche, competenze, esperienza, giudizio o altro, deve funzionare efficacemente affinché ciò sia possibile. Le persone devono rispettare e avere fiducia in coloro che si trovano più in alto nella gerarchia, e devono accettare che si siano guadagnati la loro posizione. Le gerarchie basate esclusivamente sul potere, sulla nascita o sulla ricchezza, generalmente non durano a lungo quando si trovano ad affrontare sfide, mentre le gerarchie basate sul rispetto sì. Tuttavia, nelle ultime due generazioni, le gerarchie sono diventate progressivamente meno funzionali, attraverso tentativi deliberati di distruggerle, attraverso la politicizzazione e attraverso la progressiva istituzionalizzazione del desiderio adolescenziale di non ricevere istruzioni da nessuno. Il risultato non è stata l’abolizione delle gerarchie (poiché ciò sarebbe impossibile), né l’abolizione delle organizzazioni, ma la creazione di gerarchie sostitutive basate su identità, ricchezza e ideologia, che possono ispirare paura, ma non possono ispirare rispetto.

Questa è la principale ragione per cui le istituzioni oggi sono disfunzionali, e per cui pagare di più i dipendenti o aumentarne le dimensioni e il budget non sarebbe sufficiente ad arrestarne il declino. Troppe istituzioni sono ormai marcite dall’interno, hanno perso il rispetto e non vengono prese sul serio da coloro che dovrebbero servire, né da chi vi lavora. Se si accetta questa argomentazione, la conclusione necessaria è che la riforma istituzionale, per quanto auspicabile, semplicemente non sarà possibile su larga scala. Ciò che dovrà accadere è la creazione, o la ricreazione, delle tradizionali gerarchie pragmatiche di competenza e carattere. Ora è importante capire che tali gerarchie non sarebbero fisse e invariabili. Un gruppo di persone che intendesse coltivare cibo insieme avrebbe una gerarchia diversa da quella dello stesso gruppo che cercasse di installare un proprio generatore o di organizzare l’istruzione per i propri figli quando lo Stato non fosse più in grado di fornirla.

Il problema, ovviamente, è che il condizionamento culturale delle ultime generazioni è completamente contrario a tutto questo. Siamo tutti ribelli, tutti individualisti, tutti sfidanti la narrativa dominante, tutti liberi di decidere cosa fare. E poi la nostra lavatrice si rompe e non possiamo ripararla, perché tali competenze non sono più generalmente distribuite come una volta. Per ragioni ideologiche, ai bambini non vengono più insegnate a scuola le competenze di vita di cui avranno bisogno da adulti, e quindi da adulti sono persi. Se conoscete persone con figli ventenni, probabilmente l’avete già sentito (“mi ha chiamato per chiedermi come cucinare gli spaghetti!”, mi ha detto una madre non molto tempo fa).

Il primo requisito, ed è fondamentale, è mettere da parte per un attimo il nostro Ego e accettare che alcune persone ne sappiano più di noi su certe cose, e che quindi dovremmo seguire i loro consigli e i loro suggerimenti. Questo è problematico, perché la nostra intera cultura è dedita al culto dell’Ego, al suo nutrimento, alla sua protezione e al suo rafforzamento. Ci viene insegnato che le relazioni, di qualsiasi tipo, sono esempi di dominio e gerarchia, da cui, logicamente, possiamo sfuggire solo non avendone. Ci viene insegnato che abbiamo sempre ragione e che qualsiasi cosa negativa ci accada, o qualsiasi infelicità, è colpa degli altri. Ci viene insegnato che il nostro Ego è così delicato che deve essere protetto da parole e azioni che potrebbero indurre traumi. Ad esempio, di recente mi trovavo in un’università dove erano affissi ovunque manifesti che minacciavano con provvedimenti disciplinari chi raccontava barzellette inappropriate perché “le parole feriscono le persone”. Questa è una sciocchezza, ovviamente, poiché le parole hanno solo il significato che noi diamo loro. (Se ciò non fosse vero, gli insulti in una lingua che non parli sarebbero efficaci quanto quelli in una lingua che parli.)

Anche nel mondo odierno, questo approccio basato sull’Ego non può durare. (“Scusa, cara, non so come riparare il rubinetto che perde. Posso avere una soluzione?”) Le statistiche sull’infelicità, i problemi psichiatrici e il suicidio sono chiare al riguardo. Ma il nocciolo di questi saggi è che ci stiamo muovendo verso un mondo che sarà sempre più scomodo per tutti noi, non solo per i giovani, e dovremo adattarci psicologicamente, tanto quanto praticamente. Se vogliamo sopravvivere, gli esseri umani dovranno reimparare a organizzarsi in gruppo, a rispettare la conoscenza e le competenze e a seguire i veri leader, non solo quelli che gridano più forte. Questo sarà estremamente difficile e, su larga scala – argomento che non mi interessa qui – rischierà certamente l’ascesa di demagoghi e ciarlatani.

Ciononostante, man mano che le cose cominciano a crollare, l’individuo dovrà essere pronto a cedere il passo alla collettività, l’individualista dovrà essere pronto a collaborare e a seguire gli altri, se si vuole ottenere qualcosa. Questo è difficile per una società in cui ci viene insegnato che l’individuo è il centro di ogni cosa e che qualsiasi tentativo di decentrare gli individui può provocare danni psicologici. Ma immaginate, per un attimo, di vivere in un condominio di dieci piani con quaranta appartamenti, e un temporale improvviso, o semplici problemi di generazione e distribuzione di energia, facciano sì che la vostra zona non abbia energia elettrica per l’illuminazione, il riscaldamento o le comunicazioni. Le strade fuori sono intasate, non ricevete notizie da altrove, non riuscite nemmeno ad alzare o abbassare le tapparelle elettriche. Cosa fate, o per essere più precisi, come iniziereste a decidere cosa fare? Ho la terribile sensazione che un gran numero di persone oggi cadrà semplicemente in uno stato quasi catatonico, in attesa che qualcuno dica loro cosa fare. Dopotutto, la nostra società può incoraggiare l’individualismo, ma in modo solipsistico: io sono l’unica persona che conta e tutto viene visto in termini di desideri e bisogni. La società oggi scoraggia l’autosufficienza, dicendoci invece che siamo deboli e che dobbiamo coinvolgere altri affinché facciano le cose per noi. Quindi, cosa faremmo in realtà?

Beh, è facile cadere in cliché su rigidità e stoicismo, sviluppo del carattere e della forza di volontà, e così via. Ma anche se quel tipo di mentalità fosse auspicabile – e questo è discutibile – il tipo di società che l’ha prodotta non esiste più. Le sfide che le generazioni precedenti hanno dovuto affrontare – guerra, occupazione, fame, spostamenti forzati di popolazioni – causerebbero semplicemente il crollo delle società attuali, e le strutture e le ideologie che hanno sostenuto le persone in tempi di crisi generalmente non esistono più. Piuttosto, vorrei discutere di alcune iniziative più semplici e quotidiane, alcune delle quali sembrano già in atto.

Una di quelle ideologie che ha aiutato le persone a sopravvivere in passato è stata, naturalmente, la religione organizzata. (Si noti “organizzata” in questo contesto.) Ci sono segnali qua e là in Occidente di un ritorno alla religione organizzata, ed è ovviamente possibile che questo possa contribuire a unire nuovamente le società, rafforzare gli individui e renderli più resilienti. Ma c’è una domanda fondamentale qui, per quanto raramente posta: trattiamo la religione come qualcosa di oggettivamente vero o come una combinazione di filosofia umanistica e scelta di vita?

Quasi nessuno oggi tratta la religione come se potesse essere oggettivamente vera, e questo vale anche per la maggior parte delle chiese. A partire dagli anni ’60, le chiese cristiane hanno cercato di diventare “rilevanti” per una società in evoluzione, adattandosi alle idee in voga negli altri, piuttosto che convertendo gli altri alle proprie. Questo è davvero curioso, perché equivale all’eternità che si adatta al tempo, piuttosto che al tempo all’eternità, il che sarebbe più logico. Pertanto, le discussioni odierne sulla religione trascurano quasi completamente il contenuto e la realtà della dottrina religiosa e si concentrano su questioni superficiali ed estetiche. Non ho mai sentito nessuno dire “Il Vaticano non ha indagato a fondo sugli abusi sui minori da parte dei preti, quindi Gesù non è risorto il terzo giorno”, ma questo è praticamente tutto ciò a cui si riduce la discussione contemporanea sulla religione. In effetti, direi che il rapido declino dell’osservanza religiosa a partire dagli anni ’60 ha poco a che fare con un presunto trionfo del materialismo e della scienza (vedi sotto), e molto di più con la nostra società basata sull’Ego, che produce individui “indipendenti” che non vogliono “che gli venga detto cosa pensare”. L’idea stessa di un potere soprannaturale che crea il mondo, infinitamente più saggio, potente e ineffabile di quanto possiamo mai comprendere, è semplicemente troppo per i nostri Ego da gestire, quindi la rifiutiamo.

Il problema, ovviamente, è che tutto ciò che abbiamo per sostituirlo (dato che anche le ideologie politiche sono scomparse) è una visione dell’universo apatica, inutile e meccanicistica, basata sul materialismo ottocentesco. Anche senza considerare i recenti colpi inferti dalla scienza al Covid (che, a dire il vero, sono principalmente legati al marciume istituzionale che ho descritto prima), il materialismo scientifico è in cattive acque da tempo, e le sue roccaforti stanno progressivamente crollando. Ma mentre l’esperienza di essere membro di una Chiesa e partecipare alla sua vita sembra essere positiva e utile e portare felicità e una salute migliore, è discutibile se il cristianesimo convenzionale abbia ancora l’energia e la convinzione necessarie per offrire alle persone un quadro alternativo e trascendente per comprendere il mondo. Se vuoi sentirti dire che l’immigrazione è una cosa positiva e che dovresti essere più tollerante con i transessuali, beh, non hai bisogno di andare in chiesa per sentirtelo dire. E mentre sette e guru prospereranno senza dubbio, tra le altre tendenze spirituali più rispettabili manca un’organizzazione, per non parlare della guerra aperta tra molte di loro.

Il che significa che siamo sempre più costretti a fare affidamento sulle nostre risorse per rimanere sani di mente. Questo non è necessariamente disastroso, perché ci sono cose che possiamo fare e, cosa ancora più importante, la nostra sanità mentale aiuta anche gli altri. Quindi concludiamo con alcune riflessioni su ciò che è possibile.

Parto dal presupposto che dobbiamo essere meglio attrezzati per gestire lo stress del mondo in cui viviamo ora, poiché tale stress non potrà che peggiorare in futuro. La nostra società, soprattutto quella mediata da Internet e dai social media, incoraggia praticamente ogni tendenza negativa immaginabile, dal distruggere la capacità di attenzione al minare la concentrazione, fino al reagire istantaneamente a stimoli transitori e cercare deliberatamente quegli stimoli che ci offrono soluzioni emotive rapide. Ora, non sono qui per dirvi di abbandonare i social media o di riordinare la vostra vita digitale. Altri lo hanno fatto molto meglio di me. Ma se l’inizio della saggezza sta nel comprendere il problema, allora ci sono un paio di esperimenti interessanti che chiunque può fare. Uno consiste semplicemente nel vedere per quanto tempo si riesce a stare seduti senza muovere un muscolo. Sembra facile, ma gli esperimenti volti a far stare le persone sedute immobili per due minuti mostrano generalmente che il tempo medio è di 10-20 secondi. E naturalmente l’irrequietezza fisica e quella mentale si alimentano e si riflettono a vicenda. Un esperimento parallelo consiste nel cercare di mantenere la mente concentrata sullo stesso argomento per più di qualche secondo. Nel mondo moderno, quasi nessuno di noi riesce a farlo senza un po’ di allenamento. Guarda questa tazza, dicono, concentrati su quella. Ah sì, tazza, caffè, non ho fatto colazione stamattina, sono andato a letto troppo tardi ieri sera, sto litigando con mia moglie, vuole che lasci questo lavoro ma le ho detto che non possiamo permettercelo, qual era la domanda?

Non sorprende, quindi, che la gente si sia chiesta quale sia il valore di tutta questa attività mentale. Cosa guadagniamo, dopotutto, dall’essere costantemente eccitati, costantemente pronti a offenderci, costantemente pronti a commentare mentalmente tutto ciò che vediamo e sentiamo? Che differenza fa? Ci stanca, ci fa arrabbiare, ci turba e persino ci dispera, e ovviamente non ottiene nulla. O meglio, ci dà l’illusione di ottenere qualcosa, e quindi conforta il nostro Ego. Urlare e sbraitare contro la televisione o un feed di Internet, unirsi a qualche massacro online contro una figura popolare e odiata, associa indirettamente il nostro Ego all’argomento e al risultato, come i tifosi di calcio che tifano per la loro squadra. Ma alla fine, non fa alcuna differenza. Anzi, peggiora le cose, perché la rabbia che proviamo non può, quasi per definizione, essere diretta contro chi la merita: viene proiettata invece contro amici, familiari e colleghi.

Una volta che comprendiamo di non essere obbligati a reagire con rabbia o emotività a cose che non possiamo controllare o nemmeno influenzare, la vita diventa più facile e diventiamo persone più facili da gestire per gli altri. Dobbiamo, ovviamente, affrontare un ricatto emotivo del tipo che dice “Non stai urlando e gridando contro Gaza, quindi ovviamente non ti importa”, con una risposta del tipo “E che differenza farebbe se urlassi e gridassi?”. Più in generale, iniziamo a comprendere qualcosa che il Buddha ha insegnato, ma che si trova altrove. Non sei i tuoi pensieri, sei solo ciò che osserva i tuoi pensieri. Questo è evidentemente vero, poiché altrimenti, quando smetti di pensare, o quando dormi, cesseresti di esistere. Ironicamente, gli psicologi sono i primi a confermarlo, poiché per la maggior parte non siamo nemmeno consapevoli di ciò che pensiamo, e gran parte della nostra vita è controllata da forze di cui non siamo nemmeno consapevoli. Non c’è bisogno di essere buddisti per accettarlo, ma in questo, come in altri casi, il Buddha sembra aver avuto ragione.

Una volta compreso che non siamo i nostri pensieri, possiamo usare diverse tecniche per diventare più calmi, equilibrati e più capaci di aiutare noi stessi e gli altri. Naturalmente, c’è chi si oppone a questo. Non dovremmo, dicono, usare la meditazione, la consapevolezza o altre tecniche per riconciliarci con la vita moderna, dovremmo ribellarci. Questo mi sembra piuttosto fuorviante, anche perché molte di queste tecniche, che spiegherò brevemente, hanno molte più probabilità di aprirti gli occhi sulla realtà che di drogarti fino all’insensibilità. Dopotutto, se hai un capo difficile o un colloquio difficile, non vorresti essere il più calmo e concentrato possibile? Ma se si sostiene che è meglio essere infelici, rendere infelici gli altri e impegnarsi in inutili gesti di rabbia contro obiettivi che non si possono influenzare, beh, aiutati da solo.

Stiamo parlando di disciplinare e calmare la mente, migliorare la concentrazione e, in definitiva, riconoscere che molto di ciò che chiamiamo “io” non ha un’esistenza oggettiva , ma è solo un insieme di riflessi condizionati e abitudini accumulate. L'”io” non può quindi ferire per cose che sento e vedo, perché non esiste un “io”. Questo però non porta alla passività: trovare uno spazio tra il tumulto di pensieri ed emozioni che confondiamo con un “sé” in realtà libera enormi quantità di energia per fare le cose. (L’esperienza di chiedersi “dov’è l’io” può essere trasformativa, anche se per alcuni può anche essere inquietante.) Il valore pragmatico della meditazione è che di tanto in tanto la mente si calma e, invece di strizzare gli occhi per vedere attraverso il vetro scuro oscurato dai nostri pensieri ed emozioni, vediamo più chiaramente e, a differenza di Paolo, non dobbiamo nemmeno aspettare la fine dei Tempi. In effetti, mettere da parte per un momento l’ego ribollente, i suoi incessanti rimpianti e risentimenti sul passato e le sue paure sul futuro ci consente di vedere il presente in modo diverso, il che è sicuramente una cosa positiva.

Alcuni vanno oltre e seguono mistici di diverse fedi in un senso di irrealtà del sé, di quel “sé” come mera raccolta di pensieri e sentimenti che passano e scompaiono, privo di continuità o esistenza oggettiva. In effetti, la non-dualità presuppone proprio che non abbiamo un’esistenza indipendente in quanto tale: tutto è in definitiva solo vibrazioni nella coscienza universale, tutto è ” vuoto ” nel senso che non ha alcuna qualità intrinseca. Potreste trovare queste idee affascinanti o spaventose, ma c’è molto valore pragmatico nell’esplorarle almeno.

Ma lascerò qui la discussione sostanziale: posso sempre tornarci se abbastanza persone sono interessate. Ma la cosa fondamentale, credo, è che l’Età dell’Ego, l’Età dell’Io, sta comunque finendo, perché sta facendo impazzire la nostra civiltà, e deve finire forse più in fretta di quanto farebbe altrimenti se si vuole salvare qualcosa. L’Età dell’Io esclude per definizione la considerazione di ciò che non è Io, e anzi promuove ostilità, sospetto e paura, poiché arriviamo a vedere gli altri come una minaccia per il nostro Ego. L’individualismo occidentale, così come si è sviluppato lentamente negli ultimi due secoli, e a un ritmo vertiginoso negli ultimi cinquanta o sessant’anni, non ci permetterà di sopravvivere al futuro che sta arrivando, a meno che non abbiamo il coraggio di dire al piccolo Ego lamentoso di farsi fottere per una volta. O come disse T. S. Eliot in modo più decoroso.

Insegnaci a preoccuparci e a non preoccuparci.

Insegnaci a stare seduti fermi.

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Rassegna stampa tedesca 35 A cura di Gianpaolo Rosani

A proposito dell’AfD, sul settimanale maggiormente letto nei Länder orientali troviamo un articolo,
un sondaggio e un estratto della “perizia” dei servizi segreti. Vietare, ignorare, accettare? Dal muro
di separazione alla mozione di messa al bando: cosa pensa la gente della seconda forza politica
nel Bundestag tedesco. Ci sono più oppositori che sostenitori di un divieto dell’AfD, soprattutto
nella Germania orientale. La sinistra è più favorevole a un divieto, i conservatori sono più contrari.
È interessante notare che la maggioranza delle persone che si definiscono politicamente di sinistra
è favorevole a una procedura di divieto. La stragrande maggioranza delle persone che si collocano
politicamente a centro-destra è invece contraria.

22.05.2025
Estremismo di destra accertato!?
Una controversa perizia dei servizi segreti tedeschi ha riacceso il dibattito sul divieto dell’AfD. Ecco i fatti
per partecipare alla discussione e cosa ne pensano i tedeschi..
Il gruppo parlamentare CDU/CSU è diviso sul divieto

G. Praschl
In una democrazia liberale è lecito vietare i partiti politici? Anche se questi sono così radicali che, nel caso in
cui salissero al potere, abolirebbero proprio quella democrazia? Proseguire cliccando su:

WELT ha parlato con l’esperto militare austriaco Gustav Gressel delle prospettive dei negoziati e
della minaccia che la Russia rappresenta per l’Europa. Gli europei sono completamente
impreparati. Dal 2022 non si sono preparati a sostenere una guerra più lunga. E non si sono
preparati nemmeno a Donald Trump. Ma non è ancora chiaro in che modo gli americani si
ritireranno. Se gli europei e l’Ucraina avranno ancora la possibilità di acquistare le armi di cui
hanno urgentemente bisogno, sarà più facile gestire il ritiro rispetto a un embargo sulle forniture da
parte degli americani.

22.05.2025
“L’Europa è la seconda linea di fuoco”
Il Cremlino conta sul fatto di poter sostituire meglio di Kiev le perdite subite nella guerra di logoramento,
afferma l’esperto militare Gressel, che sta già valutando ulteriori possibilità di attacco

DI STEFAN SCHOCHER
Gli sforzi di pace per l’Ucraina non hanno portato a risultati tangibili negli ultimi tempi. Mentre martedì gli
Stati dell’UE hanno messo in atto nuove sanzioni contro la Russia per aumentare la pressione, il presidente
degli Stati Uniti Donald Trump ha usato toni cauti dopo la sua telefonata con Vladimir Putin. Nel frattempo,
l’Ucraina è sempre più sotto pressione sul fronte. Proseguire cliccando su:

Il cancelliere Friedrich Merz e il ministro della Difesa Boris Pistorius si sono recati insieme a Vilnius
per l’appello di formazione della nuova brigata dell’esercito tedesco. Si tratta del primo
dispiegamento permanente di truppe tedesche all’estero. Entro il 2027 dovrebbero arrivare 5000
soldati. Il loro compito: assistere il partner in caso di alleanza. In Lituania, l’esercito tedesco
monitora già circa 70 canali sui social network in cui viene diffusa disinformazione russa per creare
una frattura tra la popolazione e l’esercito tedesco. Entro la fine dell’anno dovrebbero essere
presenti 500 soldati dell’esercito tedesco, entro la fine del 2026 circa 2000 e nel 2027 saranno
5000.

23.05.2025
Esercito tedesco in Lituania

I suoni di una nuova era
A 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, i comandi dei soldati tedeschi risuonano
nuovamente a Vilnius: è la prima parata della brigata dell’esercito tedesco che dovrà aiutare la Lituania,
alleata della NATO, a prevenire le aggressioni russe.
Di Georg Ismar Proseguire cliccando su:

Il cancelliere federale Friedrich Merz (CDU) ha passato in rassegna la brigata tedesca in Lituania,
il primo grande contingente dell’esercito tedesco di stanza in modo permanente all’estero. Un
segnale ai partner, un segnale alla Russia. “Proprio qui, lituani e tedeschi insieme”, dice Merz poco
dopo dal podio, “dimostriamo che siamo pronti a difendere la libertà dell’Europa contro qualsiasi
aggressore”. Il nuovo governo federale e il nuovo cancelliere parlano molto di assumersi maggiori
responsabilità in politica estera e di voler dare prova di leadership.

23.05.2025
La protezione di Vilnius, la protezione di Berlino
Merz vuole dimostrare determinazione durante l’appello della brigata lituana
Di Peter Carstens, Berlino, e Matthias Wyssuwa, Vilnius
Intorno alla piazza della cattedrale, nel cuore di Vilnius, l’esercito tedesco ha schierato carri armati e
artiglieria, e in Lituania la gioia è grande. Proseguire cliccando su:

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (CDU), in accordo con i suoi omologhi stranieri, lo ha
espresso in modo più chiaro di qualsiasi altro capo di Stato occidentale prima di lui. “Non ci sono
più restrizioni di portata per le armi fornite all’Ucraina, né da parte britannica, né da parte francese,
né da parte nostra, né da parte americana”, ha dichiarato lunedì durante il Forum europeo della
WDR. Qualsiasi limitazione alla gittata delle armi occidentali destinate all’Ucraina è quindi fuori
discussione. La politologa Claudia Major mette in guardia con urgenza da una “pace sporca” nella
guerra in Ucraina, anche nell’interesse della Germania: “è nel nostro interesse normativo, di
sicurezza e economico che la Russia non vinca questa guerra”.


28.05.2025
Merz difende l’autorizzazione all’uso di armi pesanti
L’Ucraina ha il diritto di utilizzarle contro il territorio russo. Il cancelliere prevede una guerra lunga

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (CDU) vede attualmente poche possibilità di una rapida fine dei
combattimenti in Ucraina. Proseguire cliccando su:

Gaza: Netanyahu tra isolamento e ipocrisie_Con Roberto Iannuzzi

Nell’alternarsi di incontri e trattative continua la pressione distruttiva e tragica di Israele su Gaza. Dalle ceneri, come un’araba fenice, Hamas sembra risorgere dai colpi costanti di IDF. Gli attacchi e l’assedio alla popolazione civile sono l’arma totale che Netanyahu intende utilizzare per risolvere il conflitto e allargare la presenza di Israele. Una ferocia insostenibile agli occhi dei suoi stessi alleati più stretti in un Medio Oriente nel quale il ruolo di Israele rischia sempre più il ridimensionamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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La fine del neoconservatorismo, di Peter van Buren

La fine del neoconservatorismo

Trump sta tracciando una nuova strada per la politica estera americana.

Peter van Buren

Peter Van Buren

26 maggio 202512:05

In quello che può essere definito un discorso di vittoria sulla fallimentare politica estera neoconservatrice, il presidente Donald Trump ha proclamato la fine di circa 30 anni di politica estera nel Medio Oriente. L’ideologia che ha trascinato gli Stati Uniti in guerre inutili, dalla Libia allo Yemen, è ora morta.A una conferenza sugli investimenti a Riyadh, in un discorso poco commentato dai media mainstream, Trump ha detto: “Alla fine, i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite. E gli interventisti [sic] intervenivano in società complesse che nemmeno capivano”.Per la prima volta dalla prima guerra del Golfo negli anni ’90, l’America non sta combattendo in Medio Oriente. Trump ha organizzato un fragile cessate il fuoco con lo Yemen, dove più presidenti americani hanno condotto una guerra per procura contro l’Iran. Trump sta ritirando le truppe americane dalla Siria, è diventato il primo presidente americano in 25 anni a incontrare un leader siriano e ha annunciato, insieme al suo discorso, la fine delle sanzioni contro quel Paese. Sta finalmente negoziando con l’Iran per raggiungere una sorta di accordo nucleare che sostituisca quello che ha unilateralmente cancellato nel suo primo mandato. Il progresso non è sempre stato in linea retta, ma c’è stato.
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Basta guardare agli ultimi decenni per rendersi conto della differenza. Un tempo gli Stati Uniti sostenevano apertamente Saddam Hussein nella sua guerra contro l’Iran, causando migliaia di morti da entrambe le parti. Nel 1991, dopo l’invasione del Kuwait da parte di Saddam, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. L’Arabia Saudita era minacciata, salvata dalla guerra dall’intervento statunitense grazie alle sue riserve di petrolio, da cui gli Stati Uniti dipendevano a quel punto completamente. Negli spasmi neocon successivi all’11 settembre, l’America ha invaso l’Afghanistan e l’Iraq, lanciando un piano di nation-building in entrambi i Paesi per sostituire i governi nazionali con Stati fantoccio americani e le tradizioni islamiche locali con idee occidentali sulle donne e sulla società.Queste azioni di nation-building hanno dato sostegno agli avvertimenti lanciati da Al Qaeda e dall’ISIS, secondo cui l’Occidente cercava di castrare l’Islam e di trasformare il Medio Oriente in una parte di un nuovo impero globale. Circolavano voci che alle truppe americane in Iraq fossero state fornite mappe del confine siriano in vista dei piani per far sì che, dopo la “conquista” dell’Iraq, le massicce forze armate si dirigessero a ovest verso la Siria e il Libano. La guerra ha portato l’Iran a combattere, le truppe statunitensi sono state dispiegate in Siria, i turchi hanno minacciato l’invasione e l’intervento russo ha complicato la lotta. L’ISIS è sorto al posto di Al Qaeda. Gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra in Libia, rovesciando un altro governo brutto ma stabile, portando al caos che continua ancora oggi. L’Europa è stata investita da un flusso massiccio di rifugiati. Lo Yemen si è dissolto nell’anarchia e nella guerra civile. La guerra afghana ha minacciato di estendersi al Pakistan.Anche se i numeri reali non potranno mai essere conosciuti, il Costs of War Project stima che oltre 940.000 persone siano morte direttamente a causa della violenza dovuta alla politica estera americana nelle guerre post 11 settembre in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e Yemen. Altri 3,6-3,8 milioni di persone sono morte indirettamente a causa di fattori quali la malnutrizione, le malattie e il crollo dei sistemi sanitari legati a questi conflitti. Il bilancio totale delle vittime, comprese quelle dirette e indirette, è stimato tra i 4,5 e i 4,7 milioni. Il Costs of War Project sottolinea anche il significativo sfollamento causato da questi conflitti, con una stima di 38 milioni di persone sfollate dal 2001. Circa 7.000 membri del servizio militare statunitense sono morti. Il Progetto stima che le guerre siano costate agli Stati Uniti oltre 8.000 miliardi di dollari. Oggi l’Afghanistan è di nuovo governato dai Talebani, l’Iraq da procuratori iraniani. La costruzione della nazione è stata un completo fallimento. La più ampia politica interventista neoconservatrice è fallita.In effetti, la migliore sintesi della politica decennale dell’America in Medio Oriente è quella di Trump.Le parole sono facili, le azioni spesso molto più difficili. Qual è il prossimo passo? Trump ha espresso il suo “fervido desiderio” che l’Arabia Saudita segua i suoi vicini, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, nel riconoscere Israele. Ha detto che è in vista un accordo nucleare con l’Iran, aggiungendo che “non ha mai creduto di avere nemici permanenti”. Entrambe sono richieste difficili.Ma in un segno di quello che potrebbe essere il cambiamento più significativo accanto alla nuova politica estera, Trump ha incontrato il nuovo leader della Siria, Ahmed al-Sharaa, un ex jihadista di Al Qaeda (si fa pace con i nemici, non con gli amici) che ha guidato un’alleanza di ribelli che ha spodestato Bashar al-Assad. Trump ha posato per una foto con al-Sharaa e il principe ereditario saudita che “ha fatto cadere le mascelle nella regione e oltre”.”Negli ultimi anni, troppi presidenti americani sono stati afflitti dall’idea che sia nostro compito guardare nell’anima dei leader stranieri e usare la politica statunitense per dispensare giustizia per i loro peccati”, ha aggiunto Trump a sostegno del suo crescente realpolitik approccio.La Siria è ora a un bivio. La fine delle sanzioni darà al Paese la prima possibilità di respiro economico in 14 anni. Al-Sharaa ha invitato le compagnie energetiche americane a sfruttare il petrolio siriano. Ma la palla è ancora nel campo siriano. La Siria deve decidere se rifiutare il sostegno dei terroristi iraniani e smettere di fornire un rifugio sicuro a questi combattenti. I leader del Golfo si sono schierati a favore del nuovo governo di Damasco e vogliono che Trump faccia lo stesso, ritenendolo un baluardo contro l’influenza iraniana. Gli Stati Uniti faranno pressione affinché la Siria riduca i suoi legami con la Russia e smantelli le basi e le enclavi russe presenti sul territorio. Sebbene al-Sharaa abbia confermato il suo impegno nei confronti dell’accordo di disimpegno con Israele del 1974, Trump cercherà senza dubbio il suo sostegno agli accordi di Abraham. Vorrà anche che la Siria si assuma la responsabilità dei centri di detenzione dell’ISIS nel nord-est della Siria.C’è molto di cui parlare e molti passi difficili da compiere, ma un inizio è un inizio. Con Trump che ha chiarito che gli obiettivi di promozione dei diritti umani, costruzione della nazione e promozione della democrazia sono stati sostituiti da un’enfasi pragmatica sulla prosperità e la stabilità regionale, la Siria ha la sua apertura. “Sono disposto a porre fine ai conflitti del passato e a creare nuove partnership per un mondo migliore e più stabile, anche se le nostre differenze possono essere profonde”, ha dichiarato Trump.
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Golden Dome: Lo scudo missilistico statunitense che potrebbe scatenare una corsa agli armamenti, di Horizon Geopolitics

Cupola d’oro: Lo scudo missilistico statunitense che potrebbe scatenare una corsa agli armamenti

Scoprite come lo scudo missilistico spaziale americano potrebbe rimodellare la deterrenza, sconvolgere le alleanze e ridefinire la sicurezza nell’era della guerra orbitale.

28 maggio 2025

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Oil painting of Donald Trump generating a glowing energy shield with his outstretched hand, intercepting incoming missiles in a dark, storm-filled sky. Trump stands resolute in a blue suit and red tie, surrounded by fiery projectile trails, symbolizing a dramatic, high-stakes defense moment in a militarized, futuristic setting.

Donazioni


Riassunto

  • La Cupola d’Oro segna un salto strategico, ridefinendo la deterrenza da punizione di ritorsione a negazione impenetrabile, rimodellando i presupposti fondamentali della stabilità nucleare.
  • Attraverso una costellazione stratificata di sistemi spaziali e terrestri, l’iniziativa mira all’intercettazione missilistica globale in tempo reale, trasformando la geografia orbitale in terreno strategico.
  • Saturando l’orbita terrestre bassa con satelliti a doppio uso, gli Stati Uniti spostano lo spazio da un dominio di supporto passivo a uno spazio di battaglia attivo, affermando il controllo attraverso la presenza, non la proprietà.
  • L’ambizione del sistema catalizza una corsa agli armamenti nella logica e nella capacità, dove l’innovazione della difesa stimola l’escalation offensiva (dall’ipersonica alla guerra cibernetica).
  • La Cupola d’Oro potrebbe essere un colpo di genio di depistaggio strategico, che riecheggia i libri di gioco della Guerra Fredda, provocando una diversione delle risorse e mascherando al contempo ambizioni offensive più profonde.
  • La fiducia degli alleati è messa a dura prova dal fatto che l’attenzione alla patria solleva questioni di esclusione, destabilizzando potenzialmente le coalizioni globali e spingendo i partner a rivalutare la credibilità delle garanzie di deterrenza degli Stati Uniti.

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Il potere nel sistema internazionale non si esercita mai nel vuoto, ma è plasmato dai vincoli e dalle opportunità che si presentano nella geografia, nella capacità materiale e, sempre più spesso, nell’architettura spaziale dell’ambiente orbitale della Terra. L’annuncio del maggio 2025annuncio del maggio 2025dellaCupola d’oro, un’iniziativa proposta dagli Stati Uniti per la difesa missilistica interna, non è stata semplicemente una pietra miliare tecnologica. Piuttosto, ha segnato un tentativo deliberato di ristrutturare le basi strategiche della sicurezza americana, proiettando l’influenza in un dominio che rimane in gran parte non regolamentato: lo spazio vicino alla Terra.

L’obiettivo dichiarato della Golden Dome è quello di consentire l’intercettazione dei missili in arrivo in varie fasi della loro traiettoria, utilizzando una rete distribuita di tecnologie orbitali e terrestri. Ma, a un livello più profondo, l’iniziativa rappresenta un cambiamento tettonico: una transizione dalla deterrenza per punizione (basata sulla capacità di ritorsione) alla deterrenza per negazione (basata sull’impenetrabilità). Se avesse successo, il progetto sfiderebbe la logica di lunga data della vulnerabilità reciproca che ha stabilizzato le relazioni nucleari fin dalla Guerra Fredda. Anche nella sua fase di sviluppo, la Cupola d’Oro ha iniziato a influenzare le percezioni strategiche, costringendo avversari e alleati a rivedere le ipotesi di base sulla minaccia, la sicurezza e la natura della deterrenza credibile.


Aggiornamento a pagamento


L’architettura di una rete globale di difesa missilistica

L’architetturaarchitettura previstadella Cupola d’Oro è ambiziosa sia dal punto di vista verticale che strutturale. Propone una rete di difesa multistrato in grado di intercettare le minacce durante le fasi di spinta, di medio corso e terminale del volo missilistico. Si tratta di un sistema strettamente integrato di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO), stazioni radar terrestri, piattaforme a energia diretta e intercettori cinetici. Ogni nodo di questa rete è progettato per svolgere una duplice funzione: come sensore per rilevare i proiettili in arrivo e come piattaforma per neutralizzarli.

L’uso di satelliti LEO introduce sia vantaggi strategici che sfide ingegneristiche. Questi satelliti seguono percorsi orbitali prevedibili, consentendo un’ampia copertura di sorveglianza ma richiedendo un coordinamento preciso per un impegno efficace. Poiché i satelliti non possono soffermarsi su obiettivi specifici, la copertura deve essere fornita attraverso una costellazione densa e sincronizzata. Per garantire una difesa globale continua, quindi, sono necessarie migliaia di nodi resilienti e interoperabili.

Tuttavia, la scala e la complessità di questa architettura introducono un paradosso strutturale. Un sistema di difesa progettato per essere completo diventa anche un ambiente ricco di bersagli. Un avversario potrebbe disattivare un sottoinsieme critico di satelliti o sfruttare lacune nella tempistica e nella copertura. In questo senso, l’innovazione della Cupola d’Oro non risiede in una singola scoperta, ma nel tentativo di integrare sistemi diversi in una strategia di difesa globale e coerente che opera in tempo reale in più domini.

Illustration of Earth's Low Earth Orbit (LEO) and Very Low Earth Orbit (VLEO) zones, depicting satellite trajectories at altitudes of 450 km, 1000 km, and 2000 km above Earth. The diagram highlights the "most used" satellite range within LEO and distinguishes VLEO beginning just above the 100 km atmospheric boundary. A vertical marker labeled “Radiation” suggests increased radiation levels with altitude. The Earth is shown with satellite paths encircling it, emphasizing the orbital layers used for satellite deployment.

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Come la presenza orbitale modella il controllo strategico nello spazio

Nel dominio spaziale emergente, la territorialità si esprime attraverso la presenza, l’accesso e il posizionamento orbitale. La Cupola d’Oro rappresenta l’inizio di un cambiamento nel modo in cui gli Stati affermano la loro influenza nello spazio: non attraverso la proprietà formale, che il diritto internazionale vieta, ma attraverso un’attività persistente, una copertura di sorveglianza e la capacità di negare ad altri l’accesso a specifici corridoi orbitali.

La LEO è particolarmente adatta a questa strategia. Permette comunicazioni veloci e a bassa latenza e la sua vicinanza alla Terra la rende una piattaforma ideale per l’intercettazione. Tuttavia, la stessa fisica che consente questi vantaggi impone anche dei vincoli. I percorsi orbitali sono fissi, i tempi sono prevedibili e le lacune di copertura possono essere sfruttate. Questo rende il concetto di “punti di strozzatura orbitali“, non solo teorici ma anche operativamente significativi.

Saturando LEO con satelliti a doppio uso che combinano funzioni di sorveglianza e intercettazione, gli Stati Uniti segnalano la loro intenzione di trasformare la geografia orbitale in una forma di terreno strategico. Questo trasforma lo spazio da ambiente di supporto a campo di battaglia attivo. Le linee di controllo non sono tracciate sulle mappe, ma lungo vettori e traiettorie.


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Gli scudi missilistici e la logica della corsa agli armamenti

L’innovazione strategica non avviene in modo isolato. In un sistema internazionale definito dall’interdipendenza e dalla rivalità, la ricerca dell’invulnerabilità di uno Stato diventa il catalizzatore dell’adattamento di un altro. La semplice prospettiva di uno scudo missilistico statunitense funzionale ha già iniziato a scardinare i presupposti su cui si basa la stabilità nucleare globale.

Per i concorrenti quasi-peer comeCinaeRussiaLa Cupola d’Oro non è vista come un concetto passivo o difensivo, ma è interpretata come un tentativo di minare la distruzione reciproca assicurata, il principio strategico secondo cui nessuna parte può lanciare un attacco nucleare senza invitare all’annientamento in cambio. Se si ritiene che gli Stati Uniti si stiano isolando dalle ritorsioni, altri Stati possono rispondere in modo preventivo, cercando di aggirare o saturare lo scudo.

Queste contromisure assumono molte forme: lo sviluppo diveicoli di planata ipersoniciche eludono il tracciamento convenzionale, la diversificazione delle piattaforme di lancio per aumentare la ridondanza e l’impiego di armi orbitali o di sistemi di lancio stealth. Parallelamente, gli avversari possono investire in capacità cibernetiche offensive che mirano alle reti di comando e controllo alla base dello scudo, o sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare la precisione del primo colpo. Il risultato è una corsa agli armamenti non solo nell’hardware, ma anche nella logica strategica, un ciclo destabilizzante in cui la difesa genera l’offesa e la resilienza è perseguita attraverso l’escalation.


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La Cupola d’oro come illusione strategica

In questo contesto, la Cupola d’Oro può essere tanto una provocazione quanto una protezione. La sua vera funzione non è solo quella di intercettare i missili, ma anche quella di plasmare il comportamento degli avversari attraverso il depistaggio. Le sue dimensioni, la sua visibilità e il suo inquadramento retorico evocano analogie storiche, in particolare l’Iniziativa di Difesa Strategica.Iniziativa di Difesa Strategicadegli anni ’80, che ha catalizzato la diversione delle risorse sovietiche senza mai raggiungere il pieno dispiegamento. La Cupola d’Oro potrebbe riproporre questo copione nel XXI secolo, presentando un fronte formidabile per costringere gli avversari a reagire in modo eccessivo.

Ogni satellite lanciato nell’ambito del programma Golden Dome introduce un’ambiguità. È un sensore, un’esca o un intercettore cinetico? È un’infrastruttura difensiva o un preludio a un’azione offensiva? L’ambiguità funziona come un’arma cognitiva, costringendo gli avversari a proteggersi da molteplici possibilità. Il costo per contrastare l’ignoto spesso supera il costo di costruzione del sistema stesso.

Inoltre, l’importanza del sistema può servire a oscurare sviluppi più silenziosi nelle capacità spaziali offensive. Mentre gli avversari si preoccupano di saturare o aggirare la Cupola, gli Stati Uniti potrebbero costruire strumenti per rendere irrilevanti i loro sforzi.

La Golden Dome non è quindi una semplice struttura difensiva, ma una mossa visibile e deliberata, progettata per provocare una serie specifica di reazioni, nascondendo al contempo intenzioni strategiche più profonde. In modo ancora più significativo, distorce la pianificazione avversaria, reindirizza gli investimenti tecnologici e fa guadagnare tempo agli Stati Uniti per modellare il terreno strategico da una posizione di calcolata ambiguità.

President Ronald Reagan sits at the Oval Office desk reviewing documents beneath a prominently displayed emblem of the Strategic Defense Initiative (SDI), also known as "Star Wars." Behind him, a screen labeled "Soviet MIGs - System Chart" references Cold War-era surveillance, while above, an artist's depiction of satellite-based missile defense technology dramatizes the futuristic vision of space-based weapon systems designed to intercept Soviet nuclear threats.
Il Presidente Ronald Reagan presenta l’Iniziativa di Difesa Strategica (SDI), notoriamente soprannominata “Guerre Stellari”. Centrata su sistemi avanzati di difesa missilistica che utilizzavano tecnologia satellitare, laser e intercettori spaziali, la SDI mirava a proteggere gli Stati Uniti dagli attacchi nucleari sovietici.

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La difesa missilistica e la pressione sulle alleanze statunitensi

La difesa missilistica, in particolare quando si concentra sulla protezione della patria, solleva questioni fondamentali sulla credibilità delle alleanze. La Cupola d’Oro, enfatizzando l’invulnerabilità americana, rischia di alterare la simmetria percepita delle garanzie di deterrenza all’interno delle alleanze guidate dagli Stati Uniti. Se gli alleati credono che gli Stati Uniti stiano costruendo uno scudo principalmente per se stessi, potrebbero dubitare che Washington rischierebbe di essere richiamata per loro.

Per gli Stati che possono essere inclusi nel sistema, attraverso la cooperazione tecnologica o la copertura condivisa, l’iniziativa offre rassicurazione e accesso privilegiato. Ma per gli altri esclusi dal suo ambito di applicazione, può apparire come un segnale di abbandono o di spostamento delle priorità. Il risultato è quello che si potrebbe definire l’elasticità dell’alleanza: un allungamento della coesione strategica, in cui i partner iniziano a coprirsi, a diversificare o a cercare accordi di sicurezza alternativi.

Questo ha conseguenze reali. La copertura strategica potrebbe assumere la forma di programmi di difesa missilistica interni, lo sviluppo di deterrenti nucleari indipendenti o l’approfondimento dei legami con le potenze rivali. Ogni mossa mina sottilmente la coesione dell’alleanza. E poiché la deterrenza estesa è fondamentalmente psicologica, basata sulla convinzione che un attacco a uno è un attacco a tutti, la percezione di una disuguaglianza nella protezione può diventare autoavverante.

La “transizione” verso un nuovo ordine mondiale è al di là della maggior parte dell’Occidente, di Alastair Crooke

La “transizione” verso un nuovo ordine mondiale è al di là della maggior parte dell’Occidente

Alastair Crooke, 15 maggio 2025

Forum sui conflitti

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15 maggio 2025

Anche la necessità di una transizione, tanto per essere chiari, ha appena iniziato a essere riconosciuta.riconosciutonegli Stati Uniti.

Per la leadership europea, tuttavia, e per i beneficiari della finanziarizzazione che si lamentano altezzosamente della “tempesta” scatenata incautamente da Trump sul mondo, le sue tesi economiche di base vengono ridicolizzate come bizzarre nozioni completamente avulse dalla “realtà” economica.

Questo è completamente falso.

Infatti, come sottolinea l’economista greco Yanis VaroufakissottolineaLa realtà della situazione occidentale e la necessità di una transizione sono state chiaramente indicate da Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve, già nel 2005.

Il duro “fatto” del paradigma economico globalista liberale era evidente già allora:

“Ciò che tiene insieme il sistema globalista è un massiccio e crescente flusso di capitali dall’estero, che ammonta a più di 2 miliardi di dollari ogni giorno lavorativo – e cresce. Non c’è alcun senso di tensione. Come nazione non chiediamo consapevolmente prestiti o elemosine. Non offriamo nemmeno tassi di interesse interessanti, né dobbiamo offrire ai nostri creditori protezione contro il rischio di un dollaro in declino”.

“Per noi è tutto abbastanza comodo. Riempiamo i nostri negozi e garage di merci provenienti dall’estero, e la concorrenza è stata un potente freno ai nostri prezzi interni. Ha sicuramente contribuito a mantenere i tassi di interesse eccezionalmente bassi, nonostante la scomparsa dei nostri risparmi e la rapida crescita”.

“Ed è stato comodo anche per i nostri partner commerciali e per coloro che forniscono i capitali. Alcuni, come la Cina [e l’Europa, in particolare la Germania], sono dipesi fortemente dall’espansione dei nostri mercati interni. E per la maggior parte, le banche centrali dei paesi emergenti sono state disposte a detenere sempre più dollari, che sono, dopo tutto, la cosa più vicina a una valuta veramente internazionale”.

Il problema è che questo modello apparentemente confortevole non può andare avanti all’infinito”..

Precisamente. E Trump è in procinto di far saltare il sistema commerciale mondiale per risistemarlo. I liberali occidentali, che oggi digrignano i denti e lamentano l’avvento dell'”economia trumpiana”, stanno semplicemente negando che Trump ha almenoriconosciutola realtà americana più importante, ovvero che il modellomodello non può andare avanti all’infinitoe che il consumismo guidato dal debito ha superato la sua data di scadenza.

Ricordiamo che la maggior parte dei partecipanti al sistema finanziario occidentale non ha conosciuto altro che il “mondo confortevole” di Volcker per tutta la vita. Non c’è da stupirsi che abbiano difficoltà a pensare al di fuori della loro replica sigillata.

Questo non significa, ovviamente, che la soluzione di Trump al problema funzionerà. Forse la particolare forma di riequilibrio strutturale di Trump potrebbe peggiorare la situazione.

Tuttavia, una qualche forma di ristrutturazione è chiaramente inevitabile. Si tratta altrimenti di scegliere tra una bancarotta lenta o veloce e disordinata.

Il sistema globalista guidato dal dollaro ha funzionato bene all’inizio, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno esportato la loro sovraccapacità manifatturiera del secondo dopoguerra verso un’Europa appena dollarizzata, che ha consumato il surplus. E anche l’Europa ha goduto del vantaggio di avere il suo ambiente macroeconomico (modelli guidati dalle esportazioni, garantiti dal mercato statunitense).

La crisi attuale, tuttavia, è iniziata quando il paradigma si è invertito: quando gli Stati Uniti sono entrati nell’era dei deficit di bilancio strutturali insostenibili e quando la finanziarizzazione ha portato Wall Street a costruire la sua piramide rovesciata di “attività” derivate, che poggia su un minuscolo perno di attività reali.

La crisi degli squilibri strutturali è già abbastanza grave. Ma la crisi geostrategica dell’Occidente è molto più profonda della semplice contraddizione strutturale dei flussi di capitale verso l’interno e di un dollaro “forte” che sta divorando il cuore del settore manifatturiero statunitense. Perché è legata anche al concomitante crollo delle ideologie di base del globalismo liberale.

È a causa di questa profonda devozione occidentale all’ideologia (oltre che al “conforto” di Volker fornito dal sistema) che si è scatenato un tale fiume di rabbia e di vera e propria derisione nei confronti dei piani di “riequilibrio” di Trump. Quasi nessun economista occidentale ha una parola buona da dire, eppure non viene offerto alcun quadro alternativo plausibile. La loro passione nei confronti di Trump sottolinea semplicemente che anche la teoria economica occidentale è fallita.

Vale a dire che la crisi geostrategica più profonda dell’Occidente consiste sia nel crollo dell’ideologia archetipica sia in un ordine di élite paralitico.

Per trent’anni Wall Street ha venduto una fantasia (il debito non contava)… e quell’illusione si è appena infranta.

Sì, alcuni capiscono che il paradigma economico occidentale del consumismo iperfinanziarizzato e guidato dal debito ha fatto il suo corso e che il cambiamento è inevitabile. Ma l’Occidente è così fortemente investito nel modello economico “anglosassone” che, per la maggior parte, gli economisti rimangono paralizzati nella ragnatela. Non c’è alternativa (TINA) è la frase d’ordinanza.

La spina dorsale ideologica del modello economico statunitense è costituita in primo luogo dal libro di Friedrich von HayekLa via della servitùche era inteso nel senso chequalsiasiqualsiasi coinvolgimento del governo nella gestione dell’economia era una violazione della “libertà” ed equivaleva al socialismo. In secondo luogo, in seguito all’unione hayekiana con la Scuola di Chicago del Monetarismo nella persona di Milton Friedman, che avrebbe scritto l'”edizione americana” diLa strada per la servitù(che (ironia della sorte) è stato chiamatoCapitalismo e Libertà),l’archetipo è stato definito.

L’economista Philip Pilkingtonscriveche l’illusione di Hayek che i mercati equivalgano a “libertà” e siano quindi in sintonia con la corrente libertaria americana profondamente radicata“si è diffusa al punto da saturare completamente ogni discorso”:

“In una società educata e in pubblico, si può essere di destra o di sinistra, ma si deve sempre essere, in qualche forma, neoliberali, altrimenti non si può accedere al discorso”.

“Ogni Paese può avere le sue peculiarità… ma in linea di massima seguono uno schema simile: il neoliberismo guidato dal debito è, prima di tutto, una teoria su come riprogettare lo Stato per garantire il successo dei mercati – e del suo partecipante più importante: le moderne imprese”.

Ecco quindi il punto fondamentale: La crisi del globalismo liberale non è solo una questione di riequilibrio di una struttura in crisi. Lo squilibrio è comunque inevitabile se tutte le economie perseguono in modo simile, tutte insieme, tutte insieme, il modello anglosassone “aperto” guidato dalle esportazioni.

No, il problema più grande è che è crollato anche il mito archetipico degli individui (e degli oligarchi) che perseguono la massimizzazione della propria utilità individuale e separata – grazie alla mano nascosta della magia del mercato – e che, in aggregato, i loro sforzi combinati andranno a beneficio della comunità nel suo complesso (Adam Smith).

In effetti, l’ideologia a cui l’Occidente si aggrappa così tenacemente – che la motivazione umana sia utilitaristica (e solo utilitaristica) – è un’illusione. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell’utilità esclude a priori la mappatura del mondo reale, rendendo così la teoria non verificabile.

Paradossalmente, Trump è tuttavia il capo di tutti i massimizzatori utilitaristici! È dunque il profeta di un ritorno all’epoca dei magnati americani spavaldi del XIX secolo o è l’adepto di un ripensamento più radicale?

In parole povere, l’Occidente non può passare a una struttura economica alternativa (come un modello “chiuso”, a circolazione interna) proprio perché è così fortemente investito ideologicamente nelle basi filosofiche di quella attuale, che mettere in discussione quelle radici sembra equivalere a un tradimento dei valori europei e dei valori libertari fondamentali dell’America (tratti dalla Rivoluzione francese).

La realtà è che oggi la visione occidentale dei suoi pretesi “valori” ateniesi è screditata come la sua teoria economica nel resto del mondo, così come tra una fetta significativa della sua popolazione arrabbiata e disaffezionata!

La conclusione è quindi questa: Non guardate alle élite europee per avere una visione coerente dell’ordine mondiale emergente. Esse sono al collasso e sono occupate a cercare di salvare se stesse in mezzo allo sgretolamento della sfera occidentale e alla paura di una punizione da parte dei loro elettori.

Questa nuova era segna tuttavia anche la fine della “vecchia politica”: Le etichette rosso/blu, destra/sinistra perdono di importanza. Si stanno già formando nuove identità e raggruppamenti politici, anche se i loro contorni non sono ancora definiti.

Kashmir 2025: La Scacchiera Geopolitica dove si sussurra in Cinese, di Cesare Semovigo

Kashmir 2025: La Scacchiera Geopolitica dove si sussurra in Cinese

Cesare Semovigo

italiaeilmondo.com

L’attentato di Pahalgam e l’Operazione Sindoor hanno riacceso le tensioni nucleari, con la Cina che sostiene il Pakistan, gli USA che mediano un fragile cessate il fuoco . Un’analisi OSINT delle dinamiche militari, economiche e diplomatiche.

Il 22 aprile 2025, un attentato terroristico a Pahalgam, Kashmir, ha ucciso 26 civili, innescando un’escalation militare tra India e Pakistan senza precedenti negli ultimi vent’anni. L’India ha risposto con l’Operazione Sindoor (6-7 maggio 2025), colpendo siti terroristici in Pakistan, mentre il Pakistan ha contrattaccato con missili e droni, intensificando le ostilità. Entrambi i paesi, potenze nucleari, hanno mantenuto una postura aggressiva, con la Cina che sostiene il Pakistan, gli Stati Uniti che mediano un cessate il fuoco e il Regno Unito che si offre come diplomatico neutrale. Sullo sfondo, lo spostamento della produzione di iPhone da parte di Apple in India ridefinisce le dinamiche economiche, complicando le relazioni con Pechino. Questo articolo, basato su fonti OSINT e integrando i testi forniti, analizza il conflitto, il ruolo degli attori internazionali e le implicazioni strategiche, con un focus su dati militari e geopolitici.

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Rafale Indiano

Il conflitto indo-pakistano sul Kashmir ha radici nella partizione del 1947, che ha lasciato il controllo della regione conteso tra India e Pakistan. Tre guerre (1947-1949, 1965, 1971) e il conflitto di Kargil (1999) non hanno risolto la disputa, con la Linea di Controllo (LoC) che separa il Kashmir amministrato dall’India (Jammu e Kashmir) da quello pakistano (Azad Kashmir e Gilgit-Baltistan)[^1]. Entrambi i paesi sono potenze nucleari, con l’India che possiede circa 164 testate e il Pakistan circa 170, secondo SIPRI 2023[^2].

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I Clan tribali delle zone di confine , riuniti duranti I giorni dell’escalation in Pakistan

L’attentato di Pahalgam, avvenuto il 22 aprile 2025 nella valle di Baisaran, ha ucciso 26 civili, principalmente turisti, ed è stato attribuito dall’India a Jaish-e-Mohammed, con legami al Pakistan. I dettagli includono:

Luogo: Anantnag, Jammu e Kashmir.

– Armi: AK-47, M4 carbine.

– Vittime: 26 morti (25 turisti, 1 operatore locale), 20 feriti.

– Perpetratori: 5 militanti, inizialmente rivendicato da The Resistance Front (TRF), poi negato[^3].

Timeline L’India ha risposto con l’Operazione Sindoor (6-7 maggio 2025), colpendo nove siti in Pakistan e Azad Kashmir, causando 34-38 morti (26-31 civili pakistani, 8-15 militari indiani) e danni a infrastrutture come la centrale idroelettrica Neelum Jhelum. Il Pakistan ha denunciato attacchi su aree civili, mentre l’India ha sostenuto la precisione dei raid contro campi terroristici[^4]. Il contrattacco pakistano del 9-10 maggio 2025 ha colpito basi indiane, con almeno 10 morti civili e danni vicino ad Amritsar e Srinagar[^5]

Ruolo della Cina: Il Supporto Militare e Intelligence

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La Cina, alleata strategica del Pakistan, ha fornito supporto materiale e narrativo, ma ha evitato un ruolo attivo di mediazione. Secondo SIPRI, la Cina rappresenta l’81% delle importazioni di armi pakistane (2020-2025), includendo:

Caccia J-10C e JF-17 Block III.

– Missili PL-15 (range 145 km in versione export).

– Sistemi di difesa aerea HQ-9P[^6].

Durante il conflitto, il Pakistan ha utilizzato questi sistemi, con la Cina che ha monitorato le prestazioni per raccogliere dati di intelligence, come dimostrato da un aumento del 40% delle azioni di AVIC Chengdu Aircraft, produttore del J-10C[^7]. Il Pakistan ha rivendicato l’abbattimento di due caccia indiani (Rafale francesi), smentito dall’India come “malfunzionamenti tecnici”[^8].

La Strategia delle relazioni diplomatiche e l’atteggiamento delle comunicazioni internazionali

Dal punto di vista narrativo, la Cina ha amplificato la posizione pakistana, definendo le azioni indiane “irrazionali” e negando il terrorismo pakistano, descrivendo l’attentato di Pahalgam come un “incidente” in “Kashmir controllato dall’India”[^9]. La Cina si è offerta come mediatrice simbolica, ma il suo obiettivo sembra essere internazionalizzare il conflitto, una mossa che il Pakistan accoglie e l’India rifiuta[^10]. La Cina evita un’escalation totale per proteggere il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), con investimenti di oltre 60 miliardi di dollari, ma un conflitto a bassa intensità distrae l’India, favorendo gli interessi cinesi nell’Oceano Indiano[^11].

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Conferenza Stampa Stato Maggiore Pakistano dove ha mostrato video combat delle forze aeree.

Il Rischio Nucleare che non esiste

L’India sta sviluppando il Hypersonic Technology Demonstrator Vehicle (HSTDV), gestito dalla DRDO, con velocità superiori a Mach 5 e traiettorie non balistiche. Integrabile con il BrahMos-II, l’HSTDV consente attacchi di precisione a lungo raggio (>1,500 km), eludendo difese aeree. I test del 2023-2024 confermano progressi, rafforzando la deterrenza contro i missili pakistani Shaheen-III e cinesi DF-ZF[^12]. Tuttavia, l’asimmetria tecnologica potrebbe spingere il Pakistan a intensificare azioni asimmetriche, come il sostegno a gruppi non statali, aumentando il rischio di errori strategici in un contesto nucleare, con l’India che adotta una dottrina di “no first use” e il Pakistan una posizione ambigua di “first use”[^13].

Immagini OSINT di batterie di MRLS a lungo raggio in azione su entrambi i versanti, rilevate il 10 maggio 2025, suggeriscono un rischio di escalation, con analisti che paventano scenari di guerra aperta in un teatro instabile[^14].

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I cieli al confine durante le ore più calde del confronto India – Pakistan

Mediazione Stati Uniti e Regno Unito chiamano Italia e Francia

Gli Stati Uniti hanno mediato un cessate il fuoco il 10 maggio 2025, annunciato dal presidente Donald Trump, con il segretario di Stato Marco Rubio che ha enfatizzato la “de-escalation immediata”. Il Pakistan ha riconosciuto il ruolo americano, mentre l’India è stata più reticente. Tuttavia, violazioni iniziali, con esplosioni in Kashmir, hanno messo in discussione la tenuta dell’accordo[^15][^16]. L’approccio USA riflette la priorità di contenere la Cina attraverso l’India senza alienare il Pakistan, utile nella lotta al terrorismo[^17].

Regno Unito

Il Regno Unito si è offerto come mediatore, con il segretario al Commercio Jonathan Reynolds che ha dichiarato la disponibilità a supportare dialogo e de-escalation. Non ci sono prove OSINT di un ruolo indiretto legato all’accordo commerciale con l’India (2025), come accusato da fonti pakistane. La narrativa di una “mano nascosta” britannica appare una costruzione retorica per mobilitare sostegno interno, sfruttando il passato coloniale[^18]. Proteste pakistane a Londra il 7 maggio 2025 hanno denunciato una presunta parzialità, ma il ruolo britannico rimane limitato alla diplomazia bilaterale[^19].

Implicazioni Economiche e Geopolitiche

Apple sta spostando la produzione di iPhone dalla Cina all’India, con una fabbrica da 60 milioni di unità nel Karnataka, gestita da Foxconn, sfruttando la crescita economica indiana (PIL previsto al 7%, FMI 2025) e il Production Linked Incentive (PLI) scheme. Nel 2025, Apple ha assemblato iPhone per 22 miliardi di dollari in India, con l’obiettivo di produrre tutti gli iPhone per il mercato USA entro il 2026[^20]. Questa mossa:

– Indebolisce la Cina: Riduce la sua centralità manifatturiera, percepita come un affronto economico orchestrato dall’Occidente.

– Rafforza l’India: Posiziona Nuova Delhi come contrappeso a Pechino nell’Indo-Pacifico.

– Complica le relazioni con il Pakistan: L’inflazione al 30% (FMI 2024) e la dipendenza dal CPEC alimentano la narrativa pakistana di un’India nazionalista hindu, giustificando rappresaglie[^21].

La competizione India-Cina si manifesta anche lungo il confine himalayano (scontri di Galwan, 2020) e nel dominio tecnologico, con l’India che accelera lo sviluppo dell’HSTDV per contrastare i progressi ipersonici cinesi[^22]. Questi fattori minano la coesione dei BRICS, con l’ultima riunione a Kazan (ottobre 2024) che ha evidenziato attriti tra Nuova Delhi e Pechino[^23].

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Foto dell’attentato del 22 aprile 2025 . La strage che ha iniziato la spirale che ha portato allo scontro armato tra eserciti regolari .

Il conflitto del 2025 amplifica le tensioni in un contesto nucleare, con l’India che dispone di un vantaggio convenzionale (budget difesa: 81 miliardi USD vs. 8 miliardi USD del Pakistan, IISS 2025) e il Pakistan che si affida alla Cina[^24]. La comunità internazionale, inclusi UE, Francia e Italia, esorta alla moderazione, ma l’assenza di un mediatore autorevole complica il dialogo. La hotline militare indo-pakistana e l’intervento di mediatori neutrali come Francia o Italia potrebbero ridurre i rischi, ma le prospettive rimangono incerte[^25].

Un dato non ancora completamente confermato a riprova del quale sono giunte chat dei presunti autori {04-05-2025 }, ovvero l ‘aggressione ai danni del padre della patria Imran Khan ad opera dei seguenti alti ufficiali dell’esercito Pakistano

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Coppia indù uccisa in raid delle milizie mussulmane .

1. Lt General Azhar Waqas (Adjutant General, 12 Punjab Regiment)

2. Lt General Muhammad Hassan Khattak (Quarter Master General, 16 FF Regiment)

3. Lt General Muhammad Aqeel (IG C&IT, 2 FF Regiment)

Le tensioni e le violenze politiche sono la regola dall’anno della sua fondazione,ma questo episodio in particolare coincidendo con l’escalation rafforza l’impressione non si tratti di un caso .

Note numerate e Fonti

[^1]: Council on Foreign Relations. (2025). Conflict Between India and Pakistan.

https://www.cfr.org/global-conflict-tracker/conflict/conflict-between-india-and-pakistan

[^2]: SIPRI. (2023). Nuclear Arsenals of India and Pakistan.

https://www.sipri.org/

[^3]: Wikipedia. (2025). 2025 Pahalgam Attack.

https://en.wikipedia.org/wiki/2025_Pahalgam_attack

[^4]: Al Jazeera. (2025). Operation Sindoor: Significance of India’s Pakistan Targets.

https://www.aljazeera.com/news/2025/5/7/operation-sindoor-whats-the-significance-of-indias-pakistan-targets

[^5]: CNN. (2025). India Launches Strikes Deep Inside Pakistan.

https://www.cnn.com/2025/05/06/asia/india-pakistan-kashmir-conflict-hnk-intl

[^6]: CNN. (2025). China’s Military Tech in Pakistan-India Conflict.

https://www.cnn.com/2025/05/09/china/china-military-tech-pakistan-india-conflict-intl-hnk

[^7]: Reuters. (2025). India-Pakistan Conflict: Intelligence Opportunity for China.

https://www.reuters.com/world/asia-pacific/india-pakistan-conflict-offers-rich-intelligence-opportunity-china-2025-05-09/

[^8]: The War Zone. (2025). Pakistani PL-15 Missile in India.

https://www.twz.com/air/parts-of-a-pakistani-pl-15e-air-to-air-missile-came-down-relatively-intact-in-india-after-air-battle

[^9]: NDTV. (2025). Why China Sides with Pakistan Over India.

https://www.ndtv.com/opinion/three-reasons-experts-in-china-are-siding-with-pakistan-over-india-8311997

[^10]: South China Morning Post. (2025). China’s Peacemaker Role in India-Pakistan Conflict.

https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3309452/why-china-may-find-it-hard-play-peacemaker-india-pakistan-conflict

[^11]: The Hindu. (2025). China Calls for Restraint.

https://www.thehindu.com/news/international/china-calls-on-india-pakistan-to-exercise-restraint/article69547820.ece

[^12]: The Diplomat. (2025). Evolving Missile Technologies in India and Pakistan.

https://thediplomat.com/2025/03/evolving-missile-technologies-in-india-and-pakistan/

[^13]: TIME. (2025). Nuclear Risks in India-Pakistan Conflict.

https://time.com/7283325/india-pakistan-attacks-kashmir/

[^14]: The Hindu. (2025). Pahalgam Terror Attack and Operation Sindoor.

https://www.thehindu.com/news/national/pahalgam-terror-attack-operation-sindoor-launch-live-updates-may-7-2025/article69543511.ece

[^15]: The New York Times. (2025). India and Pakistan Announce Cease-Fire.

https://www.nytimes.com/2025/05/10/world/asia/india-pakistan-conflict.html

[^16]: Reuters. (2025). Explosions After Ceasefire.

https://www.reuters.com/world/india/pakistan-says-three-air-bases-targeted-by-indian-missiles-2025-05-10/

[^17]: US Department of State. (2025). U.S.-Brokered Ceasefire.

https://www.state.gov/releases/office-of-the-spokesperson/2025/05/announcing-a-u-s-brokered-ceasefire-between-india-and-pakistan/

[^18]: Al Jazeera. (2025). Can Other Countries Mediate India-Pakistan Conflict?.

https://www.aljazeera.com/news/2025/5/7/india-pakistan-can-other-countries-pull-them-from-the-brink-of-conflict

[^19]: Euronews. (2025). UK Calls for Dialogue.

https://www.euronews.com/2025/05/08/uk-calls-for-dialogo-and-de-escalation-in-india-pakistan-conflict

[^20]: Bloomberg. (2025). Apple to Source All US iPhones from India.

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-04-25/apple-aims-to-source-all-us-iphones-from-india

[^21]: The Guardian. (2025). Apple’s Shift to India.

https://www.theguardian.com/technology/2025/apr/25/apple-source-us-iphones-india-china-trump-trade-war

[^22]: The Washington Post. (2025). India-Pakistan Wars Benefit China.

https://www.washingtonpost.com/opinions/2025/05/10/india-pakistan-kashmir-wars-china-trade/

[^23]: Atlantic Council. (2025). Experts React to India-Pakistan Conflict.

[^24]: IISS. (2025). Military Balance 2025.

https://www.iiss.org/

[^25]: TIME. (2025). India-Pakistan Ceasefire Mediation.

https://time.com/7284654/india-pakistan-ceasefire-trump-us-mediation-kashmir-conflict-strikes/

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Putin cerca un ampio accordo di sicurezza, + Oreshnik a Berlino?_Di Simplicius

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Fonti della Reuters sostengono di avere lo scoop sul tanto atteso “memorandum” russo per la pace in Ucraina, che funzionari russi hanno annunciato di essere in procinto di scrivere e presentare all’Occidente.

https://www.reuters.com/world/europa/putin-ucraina-pace-vuole-promessa-alt-nato-fonti-occidentali-dicono-2025-05-28/

Se lo “scoop” è vero, l’aspetto interessante del contenuto è che sembra delineare un’architettura di sicurezza più ampia su scala macro, piuttosto che limitarsi a spaccare il capello in quattro sui dettagli “micro” della composizione delle truppe postbelliche e simili.

Le “tre fonti russe” con un presunto orecchio al Cremlino hanno detto alla Reuters che il piano di Putin include la richiesta alle potenze occidentali di impegnarsi non solo a non far entrare l’Ucraina nella NATO, ma anche a non espandersi ulteriormente verso est, cosa che a questo punto riguarda principalmente solo la Georgia e la Moldavia, dato che quasi tutti gli altri paesi hanno già aderito:

Le tre fonti russe hanno detto che Putin vuole un impegno “scritto” da parte delle principali potenze occidentali a non allargare l’alleanza NATO guidata dagli Stati Uniti verso est – un’espressione che significa escludere formalmente l’adesione dell’Ucraina, della Georgia e della Moldavia e di altre ex repubbliche sovietiche.

Secondo le tre fonti, la Russia vuole anche la neutralità dell’Ucraina, la revoca di alcune sanzioni occidentali, la risoluzione della questione dei beni sovrani russi congelati in Occidente e la protezione dei russofoni in Ucraina.

Questo è particolarmente interessante perché coincide con l’ultimo articolo del NYT che suggerisce che Trump sta spingendo per un mondo “in stile XIX secolo” in cui Stati Uniti, Cina e Russia si dividono il globo in sfere di influenza.

https://archive.ph/aOkLM

La prova che citano è l’attenzione di Trump, simile alla Dottrina Monroe, a consolidare il controllo dell’America sull’emisfero occidentale, cioè Panama, Canada, Groenlandia, ecc. Certo, Trump sta legittimamente considerando di ritirare le truppe dall’Europa e ha fatto segnali di voler buttare gli europei con l’acqua sporca quando si tratta di interessi appena ridefiniti, ma sembra comunque che gli Stati Uniti sotto Trump si stiano aggrappando a una strategia golosa di avere la botte piena e la moglie ubriaca. È difficile difendere l’argomentazione quando, mentre parliamo, Trump è in procinto di adottare misure punitive contro la Russia per le sue azioni nel suo stesso cortile, quello che verrebbe indiscutibilmente definito come “sfera” della Russia in questo nuovo mondo ridistribuito immaginato dal NYT.

L’unica difesa della tesi che si potrebbe ragionevolmente fare è quella di suggerire che Trump stia lentamente disintossicando gli Stati Uniti dalla loro fatale dipendenza anti-westfaliana dall’ingerenza nelle sfere altrui, piuttosto che astenersi dal bere. Trump potrebbe tentare di superare la sua classe di patrizi neocon dello Stato profondo, come Kellogg e altri, fingendo preoccupazione per l’Ucraina, mentre in realtà la sta lentamente sabotando. Le sue minacce a metà di misure punitive nei media, così come le sue filippiche da cartone animato contro Putin, potrebbero essere un indizio di questo, ma dobbiamo aspettare e vedere.

Lo sfogo di Trump quasi sembra un po’ troppo “a naso” per essere reale – come se sospettasse che i neocon lo stessero cercando e avesse bisogno di metterli fuori strada con una sorta di “performance” di virtù per dimostrare di poter tenere testa a Putin.

Detto questo, se Trump immagina davvero un mondo suddiviso in sfere rigidamente regolamentate, è improbabile che le cose vadano come lui immagina, perché altre potenze in ascesa come la Cina difficilmente accetteranno di limitarsi a confini arbitrari stabiliti dal capriccio degli Stati Uniti; cercheranno e faranno affari con chi vorranno. Questo non è altro che l’ultimo tentativo dell’impero morente di ritardare la propria detronizzazione.

Oggi il commentario si è scatenato sulle affermazioni secondo cui la Russia potrebbe colpire la Germania stessa come ritorsione dimostrativa per la fornitura di missili Taurus all’Ucraina. La notizia è stata inizialmente lanciata da uno dei principali programmi politici russi, dove un importante esperto militare ha affermato che la fabbrica di armi tedesca responsabile della produzione dei Taurus dovrebbe ricevere una visita da Oreshnik come risposta:

Simonyan, responsabile di RT, ha poi confermato quanto sopra in una serie di post:

Per gli scettici, il presidente russo del Comitato per la Difesa della Duma di Stato, Andrey Kartapolov, ha fugato ogni dubbio osservando che la Russia potrebbe potenzialmente colpire non solo le portaerei Taurus e le loro postazioni di lancio, ma persino “ovunque i Taurus vengano portati”, lasciando poco all’immaginazione:

Come promemoria, ecco la telefonata trapelata tra il comandante tedesco della Luftwaffe, il tenente generale Ingo Gerhartz, e tre suoi subordinati – che il governo tedesco ha confermato essere reale – in cui si rivelava che i dati di puntamento dei missili Taurus avrebbero dovuto essere programmati direttamente dal personale tedesco:

Questo spiega l’indignazione della Russia. D’altra parte, si noti che Simonyan specifica che: “se i missili Taurus saranno usati contro Mosca”, presumibilmente sottintendendo che un attacco di rappresaglia contro la Germania sarà preso in considerazione solo se i missili saranno usati per colpire un sito o un’area particolarmente sensibile, come la stessa capitale russa.

Nessuno si è preoccupato quando gli Storm Shadows francesi sono stati utilizzati su obiettivi secondari in tutto il mondo, ma la differenza in questo caso è che i missili Taurus, secondo quanto riferito, hanno un raggio d’azione molto più ampio, in particolare rispetto alla “variante da esportazione” Storm Shadows a corto raggio che è stata data all’Ucraina.

In ogni caso, BILD ora riporta che Merz non fornirà i missili Taurus:

BILD ha scoperto: Il grande colpo probabilmente non si farà. Sebbene Friedrich Merz, in qualità di leader dell’opposizione, abbia ripetutamente invitato il cancelliere della SPD Olaf Scholz (66) a consegnare missili da crociera Taurus all’Ucraina, gli addetti ai lavori descrivono attualmente la “questione T” come “tabù”.

Il brusco cambiamento di rotta ha lasciato ancora una volta gli osservatori con un colpo di frusta, e sembra essere arrivato proprio dopo che sono state menzionate le parole “Oreshnik” e “Berlino”.

Immagino che questo sia ciò che si chiama deterrenza.

Detto questo, Rezident UA sostiene in modo abbastanza plausibile:

#Inside
La nostra fonte nel PO ha detto che l’Ucraina ha già ricevuto missili Taurus e si aspetta solo il permesso di usarli in profondità nel territorio russo. L’intelligence britannica e tedesca è stata impegnata nell’operazione di dispiegamento dei missili in Ucraina, il quartier generale della NATO nell’UE determinerà gli obiettivi per gli attacchi.

Ciononostante, Merz ha continuato a mettere in luce la sua leadership magnanima e la sua profonda preoccupazione per il futuro del suo Paese:

Nel frattempo, la NATO continua ad alzare la posta delle provocazioni nel Baltico. L’aiutante di Putin, Patrushev, ha rivelato che l’Occidente sta modificando le sue norme regolamentari per consentire di colpire più facilmente le navi russe della cosiddetta “flotta ombra”:

https://ria.ru/20250526/patrushev-2019118114.html

Maggio 26-RIA Novosti. L’Occidente sta adeguando il quadro normativo per l’ispezione delle navi che trasportano merci in acque internazionali nell’interesse della Russia, ha dichiarato Nikolai Patrushev, assistente del presidente della Federazione Russa, presidente del Consiglio marittimo della Federazione Russa.

La principale rivendicazione di Patrushev riguarda la firma della legge da parte del presidente estone Alar Karis del diritto per la marina militare estone di sparare sulle navi civili ritenute una “minaccia”, ad esempio per “manovre pericolose” – che può ovviamente essere attribuita a qualsiasi nave russa che si rifiuti di rallentare di fronte alla pirateria della NATO:

https://tass.com/world/1943315

In risposta a quanto sopra, la Russia ha sempre più segnalato la sua intenzione di proteggere le navi della marina mercantile:

https://www.telegraph.co.uk/world-news/2025/05/25/russia-ready-to-go-to-war-west-to-protect-shadow-fleet/

L’articolo del Telegraph sopra riportato ci ricorda ancora una volta la definizione di “flotta ombra”:

Ma l’incidente sta suscitando allarme in tutto l’Occidente e invita a chiedersi fino a che punto le sue forze navali, relativamente scarse, possano sfidare la flotta di petroliere non assicurate che attraversano i suoi mari ogni giorno.

Cioè una nave che è stata “de-piantata” dai mercati assicurativi di Londra contro la volontà della Russia. Questa settimana il ministro della Difesa finlandese Antti Hakkanen ha annunciato che la Russia sta scortando a tempo pieno le sue petroliere con navi da guerra nell’area, anche se l’esercito estone non è d’accordo:

https://balticsentinel.eu/8256546/finnish-defense-minister-russia-started-using-warships-to-escort-shadow-fleet-tankers

La Russia ha iniziato a spostare la sua flotta ombra di petroliere attraverso il Golfo di Finlandia sotto la scorta delle forze armate russe, ha confermato il ministro della Difesa finlandese Antti Häkkänen il 24 maggio in un’intervista all’emittente nazionale Yle morning show. Le Forze di Difesa estoni hanno poi aggiunto che la Russia ha intensificato il pattugliamento, ma non sta ancora scortando direttamente le navi.

Per non parlare delle grida di indignazione e delle perle che si sono levate per sostenere che la Marina russa ha rubato una boa marittima estone:

https://news.err.ee/1609704723/russian-navy-steals-estonian-university-s-wave-buoy-takes-it-to-kaliningrad

In realtà, la boa si trovava in acque internazionali – o in quella che l’Estonia sostiene essere la sua ZEE – e si può ipotizzare lo scopo del furto: la boa era posizionata direttamente sulla traiettoria delle petroliere russe per un probabile scopo di spionaggio, al fine di essere avvisati del loro passaggio di notte, anche se i transponder sono spenti, per scopi di pirateria criminale. Il furto della boa da parte della Russia era probabilmente una misura di sicurezza necessaria.

“Con l’aiuto della Marina lettone, è stato possibile far coincidere il movimento della boa con i movimenti delle navi russe nella zona”, ha dichiarato.

Purtroppo per l’ala neocon dell’UE, le cose non si stanno sviluppando come vorrebbero rispetto alla pressione delle sanzioni. Il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung riporta da un “documento interno dell’ufficio federale tedesco per gli affari esteri” che gli Stati Uniti e l’UE si stanno allontanando sempre di più sulla questione delle sanzioni.

In altre parole, ancora una volta, c’è poco consenso e un motivo in più per credere che le cose continueranno così finché l’Ucraina non si romperà fisicamente.


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Vance ai laureati della Marina: Niente più missioni indefinite, niente più conflitti aperti, niente più crociate ideologiche

Da Vance ai laureati della Marina: basta con le missioni indefinite, basta con i conflitti aperti, basta con le crociate ideologiche

Pubblicato da 

Tim Hains
il 23 maggio 2025

Il vicepresidente JD Vance è intervenuto venerdì alla cerimonia di laurea dell’Accademia Navale degli Stati Uniti, dove ha delineato la visione di politica estera dell’amministrazione Trump.

Vance ha dichiarato: “La fine di un approccio decennale in politica estera che ritengo abbia rappresentato una rottura con il precedente stabilito dai nostri padri fondatori”.”Sarete leader di uomini e donne nelle nostre forze armate”, ha detto ai laureati. “Quindi, mentre il Presidente Trump e io ci congratuliamo con voi per questo incredibile risultato, ho anche pensato che fosse opportuno raccontarvi brevemente come il Presidente e io concepiamo la vostra missione in questa nuova e pericolosissima era per il nostro Paese”. “Lascorsa settimana, il Presidente ha compiuto un viaggio storico in Medio Oriente”, ha detto. “La maggior parte dei titoli si è concentrata sui trilioni di dollari di nuovi investimenti che il Presidente ha garantito al nostro Paese. E questo è, ovviamente, un aspetto importante. Ma in realtà penso che l’aspetto più significativo di quel viaggio sia che ha segnato la fine di un approccio decennale in politica estera che ritengo abbia rappresentato una rottura con il precedente stabilito dai nostri padri fondatori”.”Abbiamo condotto un lungo esperimento di politica estera che ha barattato la difesa nazionale e il mantenimento delle nostre alleanze con la costruzione di una nazione e l’ingerenza negli affari esteri, anche quando questi ultimi avevano ben poco a che fare con gli interessi americani fondamentali.””Quello a cui stiamo assistendo con il Presidente Trump è un cambio generazionale in politica con profonde implicazioni per il compito che a ciascuno di voi verrà chiesto di svolgere”, ha detto Vance. “Per un breve periodo, siamo stati una superpotenza senza pari, né credevamo che una nazione straniera potesse mai emergere per competere con gli Stati Uniti d’America.””Così i nostri leader hanno barattato l’hard power con il soft power.””Abbiamo smesso di produrre cose, di tutto, dalle automobili ai computer alle armi da guerra, come le navi che sorvegliano le nostre acque e le armi che userete in futuro”, ha detto. “Perché lo facciamo? Beh, troppi di noi credevano che l’integrazione economica avrebbe portato naturalmente alla pace, rendendo paesi come la Repubblica Popolare Cinese più simili agli Stati Uniti.””Col tempo, ci è stato detto che il mondo avrebbe convertito verso un insieme uniforme di ideali insipidi, laici e universali, indipendentemente dalla cultura o dal paese, e coloro che non volevano convergere, beh, i nostri politici si sarebbero prefissati l’obiettivo di forzarli con ogni mezzo necessario.””Così, invece di dedicare le nostre energie a rispondere all’ascesa di concorrenti quasi pari come la Cina, i nostri leader hanno perseguito quelli che presumevano sarebbero stati lavori facili per la superpotenza mondiale per eccellenza”, ha detto Vance. “Si sono detti: ‘Quanto può essere difficile costruire qualche democrazia in Medio Oriente?’ Beh, quasi impossibile, a quanto pare, e incredibilmente costoso.””E non sono stati i nostri politici a sopportare le conseguenze di un errore di calcolo così profondo; è stato il popolo americano, con un costo di migliaia di miliardi di dollari.””Ma più di chiunque altro, è stato sostenuto da chi si trovava nella vostra stessa situazione, solo pochi anni fa. Dai nostri militari e dalle loro famiglie. Dalle decine di migliaia di combattenti che sacrificano tempo prezioso, energie e, in alcuni casi, la loro stessa vita nell’adempimento del dovere. Sono loro che hanno pagato il costo dei fallimenti passati. I nostri leader hanno abbandonato obiettivi strategici chiaramente dichiarati in favore di astrazioni elevate, spesso incoerenti”, ha affermato.”È così che, ad esempio, ci siamo ritrovati a inseguire un molo da 230 milioni di dollari a Gaza che ha funzionato per ben 20 giorni, ferendo oltre 60 militari americani durante la costruzione e la manutenzione di quel molo.””Il nostro governo ha distolto lo sguardo dalla competizione tra grandi potenze e si è preparato ad affrontare un avversario alla pari, dedicandosi invece a compiti estesi e amorfi, come la ricerca di nuovi terroristi da eliminare mentre si costruiscono regimi lontani”, ha affermato.Vance ha proseguito: “Ora voglio essere chiaro: l’amministrazione Trump ha invertito la rotta. Basta con missioni indefinite, basta con conflitti infiniti. Stiamo tornando a una strategia fondata sul realismo e sulla protezione dei nostri interessi nazionali fondamentali”. “Questo cambio di mentalità, dalle crociate ideologiche a una politica estera basata sui principi, contribuirà a ripristinare la credibilità della deterrenza americana nel 2025 e oltre”. “Con l’amministrazione Trump, i nostri avversari ora sanno che quando gli Stati Uniti stabiliscono una linea rossa, questa verrà rispettata, e quando ci impegniamo, lo facciamo con uno scopo, con una forza superiore, con armi superiori e con le persone migliori al mondo”.

Discorso integrale:

https://www.youtube.com/embed/t0vgWRS42xg?si=XO87AL6LrTvFuOpz&start=1863

Trascrizione completa:

VICEPRESIDENTE JD VANCE: Innanzitutto, vorrei congratularmi, sia da parte mia che da parte del Presidente Trump, con la Classe del 2025. Non solo con voi, perché vi siete certamente guadagnati un grande onore, ma anche con le famiglie, gli amici, il corpo docente, gli altri guardiamarina e i militari che si uniscono a noi in questa splendida mattina e condividono questa giornata incredibile.È sempre pericoloso dare il microfono a un politico, ma so di essere una delle ultime cose che si frappone tra voi e la vostra nomina e il vostro diploma. Quindi, per rispetto, voglio solo che sappiate che questo sarà un discorso di sole tre ore e mezza o quattro. Spero che abbiate portato la crema solare, perché qui fuori è luminoso.Ma oggi è una giornata incredibile per voi. Stasera festeggerete nella migliore tradizione dell’Accademia Navale degli Stati Uniti con ottimo cibo e, naturalmente, magari un drink. Ma spero che, mentre festeggiate, ricordiate che questa non è solo la vostra giornata, per quanto duramente l’abbiate ottenuta. Questo giorno appartiene a genitori, nonni, zii, zie, insegnanti, fratelli, sorelle e tanti altri.Voi, tutti voi, siete il prodotto di un’eredità incredibile, persone che hanno lavorato duramente per darvi una buona istruzione, cibo in tavola e un senso di possibilità, persone che vi hanno portato in chiesa, agli allenamenti, alle sessioni di tutoraggio, persone che hanno pregato per voi quando eravate in difficoltà e hanno festeggiato con voi in momenti come questo.Molti di voi sono abbastanza fortunati da avere qualcuno qui con voi per festeggiare. Alcuni di voi no. Ma che siano qui con voi o no, il miglior consiglio che posso darvi è di iniziare la vostra vita nella flotta con uno spirito di gratitudine. Siate grati a tutte le persone riunite qui oggi e a quelle che non lo sono, perché vi hanno reso ciò che siete e vi hanno portato dove siete oggi.Spero che da questa gratitudine possiate trarre un senso del dovere. Lo dovete al popolo americano, a voi stessi, ma soprattutto alle persone che si sacrificano così duramente per portarvi qui. Avete il dovere di fare il miglior lavoro possibile, e so che è esattamente quello che farete.Ora, è consuetudine, in discorsi come questo, che persone come me offrano parole di congratulazioni e magari un piccolo consiglio. Naturalmente, ho appena fatto proprio questo. Ma non siete solo laureati di qualche università a caso in procinto di intraprendere una carriera nel settore privato. E non sto facendo l’ennesimo discorso politico. Sono il vostro vicepresidente, e nel momento in cui lascerete questo palco con il vostro diploma e la vostra nomina, sarete ufficiali della Marina degli Stati Uniti e del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, e questa è una cosa incredibile.Sarete leader di uomini e donne nelle nostre forze armate.Quindi, mentre il Presidente Trump e io ci congratuliamo con voi per questo incredibile risultato, ho anche pensato fosse opportuno raccontarvi brevemente come io e il Presidente concepiamo la vostra missione in questa nuova e pericolosissima era per il nostro Paese.La scorsa settimana, il Presidente ha compiuto un viaggio storico in Medio Oriente, incontrando i capi di Stato in Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La maggior parte dei titoli si è concentrata sui trilioni di dollari di nuovi investimenti che il Presidente ha garantito al nostro Paese. E questo è, ovviamente, un aspetto importante. Ma in realtà credo che l’aspetto più significativo di quel viaggio sia che ha segnato la fine di un approccio decennale in politica estera che, a mio avviso, ha rappresentato una rottura con il precedente stabilito dai nostri padri fondatori.Abbiamo condotto un lungo esperimento di politica estera che ha barattato la difesa nazionale e il mantenimento delle nostre alleanze con la costruzione della nazione e l’ingerenza negli affari esteri, anche quando questi ultimi avevano ben poco a che fare con gli interessi americani fondamentali.Ciò a cui stiamo assistendo con il Presidente Trump è un cambio generazionale in politica con profonde implicazioni per il compito che a ciascuno di voi verrà chiesto di svolgere. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i nostri politici hanno dato per scontato che il primato americano sulla scena mondiale fosse garantito. Per un breve periodo, siamo stati una superpotenza senza pari, né credevamo che una nazione straniera potesse mai emergere per competere con gli Stati Uniti d’America.Così i nostri leader hanno barattato l’hard power con il soft power. Abbiamo smesso di produrre cose, di tutto, dalle automobili ai computer alle armi da guerra, come le navi che sorvegliano le nostre acque e le armi che userete in futuro. Perché lo facciamo? Beh, troppi di noi credono che l’integrazione economica porterebbe naturalmente alla pace, rendendo paesi come la Repubblica Popolare Cinese più simili agli Stati Uniti.Col tempo, ci è stato detto che il mondo sarebbe confluito verso un insieme uniforme di ideali insipidi, laici e universali, indipendentemente dalla cultura o dal paese, e coloro che non volevano convergere, beh, i nostri politici si sarebbero prefissati l’obiettivo di forzarli con ogni mezzo necessario.Quindi, invece di dedicare le nostre energie a rispondere all’ascesa di concorrenti quasi alla nostra pari come la Cina, i nostri leader hanno inseguito quello che ritenevano sarebbero stati lavori facili per la superpotenza mondiale per eccellenza.”Quanto può essere difficile costruire qualche democrazia in Medio Oriente?” Beh, quasi impossibile da raggiungere, a quanto pare, e incredibilmente costoso. E non sono stati i nostri politici a sopportare le conseguenze di un errore di calcolo così profondo; è stato il popolo americano, con un costo di migliaia di miliardi di dollari. Ma più di chiunque altro, a pagarne le conseguenze sono state le persone che si trovavano nella vostra stessa situazione, solo pochi anni fa, i nostri militari e le loro famiglie. Le decine di migliaia di combattenti che sacrificano tempo prezioso, energie e, in alcuni casi, la loro stessa vita nell’adempimento del dovere. Sono loro che hanno pagato il prezzo dei fallimenti passati. I nostri leader hanno abbandonato obiettivi strategici chiaramente dichiarati in favore di astrazioni elevate, spesso incoerenti.È così che, ad esempio, ci siamo ritrovati a inseguire un molo da 230 milioni di dollari a Gaza che ha funzionato per ben 20 giorni, ferendo oltre 60 militari americani durante la costruzione e la manutenzione di quel molo.Il nostro governo ha distolto lo sguardo dalla competizione tra grandi potenze e si è preparato ad affrontare un avversario alla pari, dedicandosi invece a compiti estesi e amorfi, come la ricerca di nuovi terroristi da eliminare mentre si costruiscono regimi lontani.Ora, voglio essere chiaro: l’amministrazione Trump ha invertito la rotta. Niente più missioni indefinite, niente più conflitti indefiniti. Stiamo tornando a una strategia fondata sul realismo e sulla protezione dei nostri interessi nazionali fondamentali.Questo non significa che ignoriamo le minacce, ma che le affrontiamo con disciplina e che quando vi mandiamo in guerra, lo facciamo con obiettivi ben precisi in mente. Pensate a come si è evoluto questo processo nell’ultimo grande conflitto che abbiamo affrontato con gli Houthi in Medio Oriente. Siamo entrati in guerra con un chiaro obiettivo diplomatico: non intrappolare i nostri militari in un conflitto prolungato con un attore non statale, ma garantire la libertà di navigazione americana costringendo gli Houthi a smettere di attaccare le navi americane. Ed è esattamente quello che abbiamo fatto.Abbiamo perseguito questo obiettivo con una forza schiacciante contro gli obiettivi militari degli Houthi. Nei soli primi 100 giorni dell’amministrazione, siamo riusciti a raggiungere un cessate il fuoco e a risolvere un conflitto che durava da quasi due anni. È così che dovrebbe essere usata la potenza militare, con decisione e un obiettivo chiaro. Dovremmo essere cauti nel decidere di sferrare un colpo, ma quando sferriamo un colpo, lo facciamo con forza e con decisione, ed è esattamente ciò che potremmo chiedervi di fare.Ora, questo cambiamento di mentalità, dalle Crociate ideologiche a una politica estera basata sui principi, contribuirà a ripristinare la credibilità della deterrenza americana nel 2025 e oltre. Con l’amministrazione Trump, i nostri avversari ora sanno che quando gli Stati Uniti stabiliscono una linea rossa, questa verrà rispettata, e quando ingaggiamo un attacco, lo facciamo con uno scopo, con una forza superiore, con armi superiori e con le persone migliori al mondo.Vorrei soffermarmi sulle armi e sul futuro della guerra. È ovviamente una priorità di questa amministrazione non solo mantenere, ma ampliare il vantaggio tecnologico tra le forze armate statunitensi e i nostri avversari in tutto il mondo. Dopo la Guerra Fredda, l’America godeva di un dominio pressoché incontrastato sui beni comuni, sullo spazio aereo, sul mare, sullo spazio e sul cyberspazio. Ma l’era del dominio incontrastato degli Stati Uniti è finita.Oggi affrontiamo gravi minacce in Cina, Russia e altre nazioni determinate a batterci in ogni singolo ambito, dallo spettro all’orbita terrestre bassa, alle nostre catene di approvvigionamento e persino alle nostre infrastrutture di comunicazione. La tecnologia ha ridotto i costi di interruzione. E quindi dobbiamo essere, tutti noi, non solo più intelligenti, ma anche assicurarci che quando mandiamo le nostre truppe in guerra, lo facciamo con gli strumenti giusti.Non possiamo più dare per scontato che i nostri impegni saranno gratuiti. Ecco perché l’amministrazione Trump sta investendo nell’innovazione, premiando chi si assume rischi al Dipartimento della Difesa e semplificando l’acquisizione di armi per il nuovo secolo. Investire in armi all’avanguardia come l’ipersonico è importante, ma altrettanto importanti sono le tecnologie a basso costo e ad alto impatto che stanno già trasformando il campo di battaglia, come i droni.E a proposito, quando parliamo di innovazione, l’innovazione non avviene solo nel laboratorio di un appaltatore della difesa. L’innovazione si verifica sempre più proprio sui campi di battaglia su cui guiderete le truppe. Quindi non siete solo destinatari dell’innovazione. Non siete solo utilizzatori di strumenti. Molto spesso svilupperete strumenti in questo nuovo secolo, i nostri legislatori e i vertici militari devono imparare ad adattarsi a un mondo in cui droni a basso costo, missili da crociera facilmente reperibili e attacchi informatici causano danni straordinari alle nostre risorse militari e ai nostri militari, e sarete voi, i laureati riuniti qui oggi, a guidare il resto di noi.Il vostro servizio porterà nuove sfide e nuovi ambienti, compresi quelli sconosciuti, anche a coloro che hanno prestato servizio prima di voi. Utilizzerete nuove attrezzature, nuovi sistemi e nuove tecnologie, e attraverso queste esperienze, sarete voi a imparare, a insegnare agli altri e ad aiutare i nostri servizi e l’intero Paese ad adattarsi al futuro che ci attende.La straordinaria istruzione che avete ricevuto è un investimento da parte del popolo americano, un investimento non solo nel vostro coraggio, ma nella forza delle vostre menti e nella promessa della vostra leadership, perché la vostra nazione riposa più serena sapendo che abbiamo gli strateghi e i tattici più brillanti a fare la guardia, uomini e donne come voi, abbastanza brillanti da anticipare e, se necessario, combattere e vincere le guerre di domani.E mentre il cambiamento tecnologico continua a trasformare il campo di battaglia, non fa che accrescere l’importanza per questa amministrazione, per l’intero Paese, di investire nel capitale umano delle nostre forze armate. Questo siete voi, il benessere dei nostri combattenti, la vostra brillantezza e la vostra innovazione strategica.La modernizzazione non riguarda solo tattiche e strumenti. Si tratta di soddisfare le esigenze dei nostri militari. Per troppo tempo, abbiamo chiesto troppo a troppo pochi. I leader del passato hanno inviato i nostri militari in missione dopo missione senza una strategia di uscita, senza una fine in vista e con poca articolazione per il popolo americano o per i combattenti su ciò che stavamo facendo.Quando prolunghiamo il dispiegamento di una portaerei, ciò ha un impatto reale sulla vita delle persone, e ne siamo consapevoli. Sentono la mancanza delle loro famiglie. Certo, sentono la mancanza dei loro cari e della loro vita familiare. Accettano questo sacrificio, ed è questo il compito che vi siete assunti, ma il compito che ci siamo assunti è di non abusare mai di quel sacrificio o di non chiedervi mai di fare qualcosa senza una missione chiara e un percorso di ritorno chiaro.L’amministrazione Trump riconosce che le nostre risorse più preziose siete voi. Siete i giovani che hanno il coraggio di indossare l’uniforme e rischiare la vita per questo Paese. E promettiamo, prometto, di coltivare questa risorsa, di proteggerla e di usarla solo quando l’interesse nazionale lo richiede, e ciò che rende la vostra nuova vita così unica è la necessità di assumere prospettive multiple.Sarete ufficiali subalterni, ovviamente, responsabili nei confronti di comandanti, capitani, ammiragli, generali e persone come me. Dovrete eseguire gli ordini anche quando non ne avete voglia e se posso dare un consiglio, da giovane arruolato a un gruppo di nuovi ufficiali, è che quando dite “Con tutto il rispetto”, non è una carta “Esci di prigione gratis”. Sono stato rimproverato – questi ragazzi stanno ridendo – sono stato rimproverato più volte di quante riesca a ricordare perché davo per scontato di poter dire quello che volevo, purché prima avessi detto “Con tutto il rispetto”. Non è così che funziona. Lo si impara a proprie spese.Ma, cosa importante, non vi limiterete a eseguire gli ordini. Il più delle volte, li darete. E proprio come vi considero la nostra risorsa più preziosa, così dovete considerare gli uomini e le donne che vi chiamano “signore” e “signora” come il vostro incarico più sacro.Non sarete solo un altro capo. Li guiderete nei trionfi e nelle tragedie. Imparerete che non esiste una linea netta tra la vita personale e quella professionale per gli ufficiali della Marina e del Corpo dei Marines. Ma vi incoraggio a vederli non solo come persone che devono eseguire i vostri ordini, ma come leader a pieno titolo, dotati di incredibile saggezza e di un potenziale incredibile.Ora, è sconvolgente pensarci, ma ci sono militari di alto rango, che hanno iniziato la loro carriera in Marina o nel Corpo dei Marines prima che tu nascessi, che ti chiameranno signore e signora e seguiranno i tuoi ordini. Pensa a che incredibile onore sia questo, e pensa a che incredibile opportunità sia non solo guidare questi uomini e queste donne, ma anche imparare da loro, e questo è il compito che ti aspetta.Ti affiderai a quell’esperienza, ovviamente, ma molto spesso, il più delle volte, sarai tu a comandare. È un onore, ma è una responsabilità che dovrebbe farti venire i brividi. Ora ce l’hai fatta a superare una delle istituzioni più impegnative del mondo intero. Ti sei guadagnato le tue onorificenze e ti sei fatto avanti per servire in un momento in cui il tuo Paese ha bisogno di te più che mai, ma stai indossando scarpe gigantesche e vale la pena di farne il punto mentre ti prepari a ricevere la tua onorificenza.Chi di noi ha prestato servizio conosce i laureati dell’Accademia Navale: hanno una certa energia, una certa aura, un certo rispetto quando sono là fuori nella flotta. Lasciate che vi faccia un esempio. Oggi è il vostro giorno, ovviamente, e dovreste festeggiare, ma tra tre giorni, il Presidente e io celebreremo l’evento più solenne della nostra nazione, il Memorial Day al Cimitero di Arlington.Imparerete, come ho fatto io, che quando si dice “Buon Memorial Day”, si apprezza il sentimento che c’è dietro, ma si sa che è sbagliato perché il Memorial Day non è un giorno felice. E il Memorial Day non è per chi ha prestato servizio e poi è tornato a casa. È per chi ha prestato servizio e non l’ha fatto.Ogni Memorial Day, penso a una laureata di questa istituzione, il Maggiore Megan McClung. Era un ufficiale con cui ho prestato servizio, brillante, tenace e incredibilmente dedita al suo lavoro. Arrivò in Iraq poco dopo di me, e poco dopo fu uccisa in azione. Amava questa istituzione e, come tanti che l’hanno preceduta, ha costruito sulla sua eredità servendo il suo Paese.Ci sono così tante storie di grande servizio in questa istituzione. Guardo questi cartelli su questo stadio – Belleau Wood, Midway, Guadalcanal – sono battaglie di cui ho letto sui libri di storia o che ho imparato quando ero un Marine degli Stati Uniti. Se provate a leggere un elenco delle persone che hanno prestato servizio dopo essersi laureati in questa istituzione, l’elenco è quasi così lungo che non riuscirete a finirlo.Alti dirigenti, comandanti del Corpo dei Marines, capi delle operazioni navali, astronauti, grandi imprenditori e persino alcuni umili politici si sono laureati all’Accademia Navale degli Stati Uniti. Il loro servizio è un’eredità incredibile che vi hanno trasmesso, e voi siete il ponte che collega l’incredibile patrimonio di questa istituzione ai futuri doveri e responsabilità che il vostro Paese ha bisogno che svolgiate. È un onore incredibile, ma è anche un’enorme responsabilità, e spero che la prendiate sul serio.Le persone vi guarderanno come laureati dell’Accademia Navale in modo diverso da come guardano la maggior parte delle persone che incontrerete ogni singolo giorno. Vi guarderanno in quel modo, sì, perché avete lavorato sodo e sì, perché vi meritate questo giorno, ma vi guarderanno anche in modo diverso perché siete sulle spalle di giganti. E tra 20, 30 o 40 anni, ci saranno persone che saranno sulle vostre spalle. Quindi, per favore ricordatelo, per favore prendetelo sul serio e per favore riconoscete che diventate parte di una fratellanza e di una sorellanza che vi permetteranno di fare grandi cose, che vi sosterranno mentre le fate, ma vi chiederanno di restituire come dovreste in cambio.Siete gli eredi di una tradizione nazionale che risale a 250 anni fa. Iniziò con John Paul Jones e i fondatori di questo paese chiesero alla Marina degli Stati Uniti di affrontare la marina più potente del mondo, e noi vincemmo. I nostri primi patrioti conoscevano la posta in gioco. Non cercarono la guerra. Fecero tutto il possibile per difendere e chiedere la libertà, ma quando giunse il momento, sollevarono l’esercito, sollevarono la Marina e combatterono con tutte le loro forze. Illoro esempio vive in tutti voi. Nel loro coraggio, vediamo le radici della vostra vocazione ad essere forti ma non sconsiderati, a cercare la pace, ma mai a scapito della libertà, a rimanere saldi nelle vostre convinzioni anche quando il prezzo è alto.Voglio dire a tutti voi che sono vicepresidente da circa 120 giorni e quest’estate festeggerò il mio 41° compleanno. Ma non sono mai stato così orgoglioso come lo sono oggi, in questi 41 anni, di onorarvi, celebrarvi e congratularmi con voi per l’ottimo lavoro svolto.Sono sicuro che alcuni di voi condividono le mie idee politiche e altri no, ma so che oggi parlo a nome di una nazione grata quando dico che tifiamo per voi, Accademia Navale, classe del ’25, siamo orgogliosi di voi e contiamo su di voi. Congratulazioni, buon lavoro e buon lavoro.

Discorso del Primo Ministro Viktor Orbán all’evento “Fight Club” “The Beginning” (L’inizio)

Discorso del Primo Ministro Viktor Orbán all’evento “Fight Club” “The Beginning” (L’inizio)

  • 18/05/2025
  • Fonte: Ufficio del Gabinetto del Primo Ministro

Salve, combattenti! Benvenuti! Do il benvenuto ai combattenti per la libertà del mondo digitale!

Oggi ho riunito qui coloro che hanno risposto al mio appello agli ungheresi che amano la loro patria – chiamiamoli patrioti ungheresi. Patrioti che non solo amano il loro Paese, ma sono anche pronti a fare qualcosa per esso. In effetti, ho cercato coloro che non solo lo amano e fanno qualcosa per esso, ma che sono anche disposti a combattere per esso. Questi ungheresi sono qui insieme oggi. Grazie per essere venuti! Grazie per esservi uniti al nostro Fight Club.

Amici miei,

Veniamo al dunque: L’Ungheria è sotto attacco. E se è sotto attacco, qualcuno deve difenderla. E quel qualcuno siamo noi. Infatti, l’Ungheria è sotto un attacco contro il quale può essere difesa solo da noi. A dire il vero, negli ultimi anni siamo sempre stati noi a difenderla. Alla fine, l’Ungheria ha sempre potuto contare su di noi. È una situazione familiare. Ci sentiamo come le truppe di János Hunyadi, che – come sicuramente avrete visto – chiedevano: “E il re? L’imperatore? Il Papa? I tedeschi? L’Italia? Nessuno?” La risposta: “Siamo soli. Come al solito. Almeno qui possiamo essere noi stessi senza dover compiacere gli estranei”.

Prima di parlare di come difenderemo l’Ungheria, ricordiamo brevemente alcuni dei momenti felici e gioiosi di questa settimana. La vita non è sempre e solo lavoro, quindi divertiamoci un po’. Innanzitutto, dedichiamo qualche parola alla DK [Coalizione Democratica]. Ferenc Gyurcsány se n’è andato. A quanto pare. Perché non ha onorato l’Ungheria rivelando tutta la verità. Ma noi siamo una nazione cavalleresca, crediamo alle donne e crediamo nelle donne, quindi accettiamo l’annuncio della signora Klára [Dobrev]. Amici miei, il leader della sinistra non c’è più, ha gettato l’amo, è scomparso nel tombino. Questo è l’uomo che ha preso per il naso gli ungheresi, che ha attirato gli ignari in prestiti in valuta estera, che ha tolto le tredicesime e le pensioni, che ci ha appioppato il FMI e che ha fatto in modo che gli occhi dei nostri fratelli che manifestavano pacificamente venissero cavati. Quindi la giustizia esiste, dopo tutto! Si tratta di più di una persona. Nel 2006 avevamo avvertito che sarebbe finita così; ma in Ungheria la posta viene consegnata molto lentamente. Come diciamo qui, “i mulini di Dio macinano lentamente, ma macinano finemente”. Qui è letteralmente il caso. Amici miei, questa è la vittoria della politica nazionale sull’era post-comunista: la nostra vittoria condivisa, la vostra grande vittoria su una sinistra composta da comunisti ribattezzati. Onoriamola!

Ed ecco l’altra notizia che vi farà ridere in questa domenica divertente: Momentum è finito. Questa è la loro coraggiosa ed eroica decisione: non si presenteranno alle elezioni. L’immagine sputata di Sir Robin [il non tanto coraggioso Sir Lancillotto, dei Monty Python]! Sono diventati un momento, una breve nota a piè di pagina nella storia politica ungherese: assassini di sogni che hanno distrutto il sogno secolare degli ungheresi di ospitare le Olimpiadi. Dio fa giustizia come meglio crede. Ringraziamolo per aver fatto questo lavoro per noi.

A questo si aggiunge il fatto che anche lo Jobbik sta barcollando sull’orlo della tomba. Coloro che sono disposti a fare qualsiasi cosa per il potere e il denaro – anche a fare squadra con Gyurcsány – finiranno come lo Jobbik. È giusto e corretto: i traditori saranno sempre traditori e avranno ciò che gli spetta. L’Ungheria non è un Paese per i Giuda.

Amici miei,

E ora torniamo al lavoro! Il fatto che l’Ungheria sia sotto attacco non è una novità. I burocrati di Bruxelles, guidati dalla fazione di Soros, hanno già attaccato l’Ungheria in passato. Volevano trasformare l’Ungheria in un Paese di migranti, rieducare i nostri figli con i loro attivisti gender, abolire la tredicesima, farci pagare prezzi orrendi per le utenze e portare i soldi degli ungheresi fuori dall’Ungheria. Non dimenticate che questo è il motivo per cui i loro padroni a Bruxelles hanno spinto i sei partiti a riunirsi in un’unica lista per le elezioni del 2022. Abbiamo respinto l’attacco. L’abbiamo respinto con stile. Con gratitudine e grazie a voi! Ma ora la situazione è più difficile, perché sono stati coinvolti gli ucraini. Oggi la minaccia più grande è l’adesione dell’Ucraina all’UE. Li capisco: il loro Paese è in rovina. Anche prima della guerra, l’intera Ucraina era nel caos. Ma che dire ora, durante e dopo la guerra! Non riescono a stare in piedi da soli, hanno bisogno di soldi, dei soldi degli altri. Per questo vogliono entrare nell’Unione Europea immediatamente e a qualsiasi costo. Non si preoccupano di portare con sé la guerra. Non gli importa di rovinare i nostri agricoltori. Non si preoccupano del fatto che diventeremmo una via di comunicazione per la mafia ucraina. Ma a noi ungheresi interessa eccome! Non vogliamo essere trascinati nella loro guerra. Non vogliamo che rovinino i nostri agricoltori. Non vogliamo che trasformino il Paese più sicuro d’Europa in un covo di mafiosi. E non vogliamo che i soldi degli ungheresi vadano a loro attraverso Bruxelles. No. No. No! 

Amici miei,

È questo il senso della serie di operazioni dei servizi segreti ucraini contro l’Ungheria. È questo il senso della campagna diffamatoria contro l’Ungheria – pagata dall’estero – ed è per questo che Bruxelles vuole imporci la coalizione filo-ucraina Tisza-Dobrev. L’adesione dell’Ucraina può essere positiva per l’Occidente, ma è negativa per noi: loro prenderanno il caffè, a noi resterà il terreno. Viviamo nella porta accanto, i nostri confini saranno invasi, i nostri posti di lavoro saranno presi e i nostri soldi saranno presi. Dobbiamo resistere. E vi prometto che resisteremo.

Amici miei,

Dedichiamo qualche frase a parlare di quali sono le possibilità. È certo che a Bruxelles e a Kiev/Kyiv stanno scommettendo contro di noi. Io dico che gli ungheresi avranno qualcosa da dire in proposito. Ora l’Ungheria è finalmente riuscita a ricomporsi, a prendere in mano il proprio destino, a liberarsi da interessi e influenze straniere, le famiglie hanno di nuovo qualcosa da perdere, siamo riusciti a rimanere fuori dalla guerra – e, per di più, siamo riusciti a ottenere il sostegno degli Stati Uniti. Dopo aver fatto tutto questo, sarebbe la più grande disgrazia del mondo se Bruxelles e l’Ucraina prendessero il controllo dell’Ungheria ora, proprio ora – se ci trasformassero di nuovo in una colonia e sfruttassero di nuovo le famiglie ungheresi. La verità, la verità degli ungheresi, è dalla nostra parte – non c’è dubbio. Questo è importante, anzi essenziale, perché si può combattere bene solo per una causa giusta. Purtroppo, questo non basta. Dovete sapere che in politica la giustizia da sola non basta. Se bastasse, non avremmo perso due terzi del nostro Paese. Dietro la giustizia bisogna mettere la forza: una forza seria e grande, almeno quanto quella con cui ci attaccano. E credo che voi siate all’altezza del compito. Finora ci siete riusciti. 

Ricordate, abbiamo vinto la battaglia sull’immigrazione. Ci siamo difesi e oggi l’Ungheria è un Paese libero da migranti. Gli altri si sono dimostrati deboli e hanno perso: sono diventati paesi di immigrati. Per loro è troppo tardi: non c’è recupero, non c’è rimedio, non c’è modo di tornare indietro. Darebbero il loro braccio destro per annullare ciò che è successo. Vorrebbero essere l’Ungheria, ma noi non vogliamo essere come loro. E non lo saremo! E, amici, ricordatevi che abbiamo vinto anche la battaglia per il futuro dei nostri figli: abbiamo difeso il diritto dei genitori di decidere come educare i propri figli, e abbiamo messo un freno a opinioni e mode contrarie alla natura. E questo rimarrà in Ungheria fino a quando avremo un governo nazionale favorevole alla famiglia;

Ma c’è una fregatura. Ed è proprio per questo che siamo qui. Il mondo è cambiato – e con esso la politica. Nuove cose sono esplose sulla scena, nuovi spazi si sono aperti e la politica è stata conquistata dal mondo online e digitale. Naturalmente, siamo ancora la comunità politica più grande e organizzata d’Europa. Lavoriamo più duramente di chiunque altro. Abbiamo il maggior numero di membri, il maggior numero di gruppi, il maggior numero di parlamentari, siamo presenti nel maggior numero di villaggi e di città. Ma ricordo che dopo la sua terza medaglia d’oro olimpica, Áron Szilágyi mi disse: “Ciò che è sufficiente oggi non lo sarà domani”. E ha ragione! Anche noi dobbiamo innovare, dobbiamo entrare e salire nello spazio virtuale. Naturalmente la politica è ancora fatta di persone reali. E il contatto personale rimane la cosa più preziosa nella vita di tutti noi, di tutte le persone. Ma ora dobbiamo essere i più forti nello spazio digitale. Per questo abbiamo creato il club dei combattenti per la libertà digitale;

Quello che avete realizzato finora è fantastico. Avete creato il nucleo interno della forza di difesa digitale. Siete i primi diecimila che hanno fatto il primo passo. Il merito è vostro. Bravo, bravo, bravo! È come un progetto di costruzione, solo che non stiamo costruendo un castello di mattoni, ma di persone. Lo stiamo facendo secondo i piani. In modo silenzioso e discreto, abbiamo gettato le fondamenta. Solide come una roccia. Questo sei tu! Oggi, amici miei, stiamo emergendo dal livello del suolo. Lasciate che i muri si alzino. Ora faremo il passo successivo. Chiedo a ciascuno di voi di portare con sé un’altra persona entro una settimana. Portate con voi un altro combattente! Entro una settimana, voglio che ognuno trovi e porti un nuovo membro. Ma ascoltate: potete portare solo combattenti! Non c’è bisogno di spettatori: saranno solo sotto i piedi quando c’è da lavorare. Meglio pochi leoni che tanti conigli. Naturalmente la cosa vera è un sacco di leoni. Portateli qui! Vi chiedo di rispettare le regole del Club. Dovete assumervi la responsabilità di coloro che portate con voi. Non vogliamo intrusi. Quindi rispettate la scadenza, ma fate attenzione! Entro la fine della prossima settimana ne avremo 20.000. Raddoppieremo ancora in autunno ed entro gennaio arriveremo a 100.000. Combatteremo le elezioni del 2026 con 100.000 combattenti per la libertà digitale che amano il loro Paese;

Tutto questo è molto bello, ma per favore non preoccupatevi di questo oggi! Non concentratevi sulle elezioni, ma solo sui compiti del giorno. Le elezioni sono molto lontane. Un vecchio Szekler chiede al figlio: “Che ore sono?”. Il figlio risponde: “Tra dieci minuti saranno le due”. A quel punto si becca una molletta intorno all’orecchio. “Figliolo, non ti ho chiesto che ora sarà tra dieci minuti!”. Quindi non vi sto chiedendo se siete pronti per le elezioni che si terranno tra trecentoquaranta giorni; vi sto chiedendo se avete fatto il vostro lavoro per oggi;

Signore e signori, cari amici,

Parliamo dello stile di combattimento. La postura e lo stile di combattimento sono importanti. Vedete, i nostri avversari combattono in modo subdolo, senza farsi vedere. Noi combattiamo mostrando il nostro volto, come oggi: ci riuniamo, dichiariamo chi siamo e ci sosteniamo a vicenda. Raggiungeremo tutti gli ungheresi, anche quelli che si sono già trasferiti nel nuovo spazio digitale e virtuale. I nostri avversari combattono per denaro e per desiderio di potere. Noi combattiamo con il cuore e con la passione, e sappiamo che alla fine il cuore batte il denaro. Ci vorrà molto cuore – e allora tutti i soldi di Bruxelles e tutte le reti di spionaggio degli ucraini non saranno sufficienti a sconfiggerci.

Cari amici, combattenti,

La prima battaglia è arrivata: si chiama Voks2025. La posta in gioco è enorme. L’avversario è pronto. Hanno trovato il loro nuovo tenente Hegedűs, proprio come hanno fatto i turchi all’assedio di Eger. È tempo di agire. Allora sui muri, oggi su Facebook. Da [Castle Commander] Dobó sappiamo che possiamo vincere solo se le donne e le ragazze si uniscono alla battaglia. Grazie, Alexandra! Grazie, Janka!

Amici miei,

Quando pensiamo al nostro Paese, proviamo orgoglio. Quando pensano all’Ungheria, provano rabbia. La coalizione Tisza-Dobrev ha più rispetto per lo Stato ucraino che per l’Ungheria. Tiene più a Bruxelles che a Budapest. Per loro, l’adesione dell’Ucraina all’UE è più importante della sicurezza e del benessere degli ungheresi. Sono amici di Zelenskyy, non degli ungheresi. Non siamo più bambini, sappiamo che la questione va ben oltre la politica: è una questione di carattere. Che tipo di persone lavorano contro il proprio Paese? Che tipo di persona è orgogliosa di essere riuscita a impedire la ristrutturazione di cinquanta ospedali ungheresi? Che tipo di persona ha un padrone e non una patria? E chi cerca i favori di Kiev/Kyiv e di Bruxelles, e non l’amore degli ungheresi? E che razza di cosa è, amici miei, che le organizzazioni della pseudo-società civile lavorano costantemente contro gli ungheresi, utilizzando denaro proveniente dall’estero? Che razza di cosa è gestire una rete di propaganda di guerra contro il proprio Paese? In America questo è stato fermato. È ora di seguire gli americani! Dibattito politico: sì. Libertà di parola: sì. Denaro straniero: no. Chi fa politica non dovrebbe ricevere denaro dall’estero! Non è una grande richiesta, è piuttosto modesta e semplice. Ma non cederemo, perché il Paese non è in vendita, non per denaro. Non succederà – anche se Tisza, DK, Bruxelles e Kiev/Kyiv eseguiranno all’unisono la loro routine di canti e balli;

Amici miei,

Infine, come messaggio di commiato, vi chiedo di non dimenticare mai che continuiamo a credere nel potere dell’amore e dell’unità, che serviamo una causa giusta e che la nostra è una buona battaglia. Sono pronto a guidarvi in questa lotta digitale. Sapete come faccio: unità nelle cose importanti, libertà in quelle meno importanti, amore fraterno in tutte le cose. Siamo grandi, siamo tanti, siamo forti – e vinceremo.

Dio sopra di noi, l’Ungheria prima di tutto! Forza Ungheria, forza ungheresi!

L’interesse americano è vedere un’alternativa alla Cina” – Intervista con Daniel F. Runde

Benedek Balog/Istituto Danubio

Daniel F Runde è vicepresidente senior e direttore del Project on Prosperity and Development (PPD) presso il Center for Strategic and International Studies (CSIS). Ha ricoperto ruoli di leadership presso l’USAID e il Gruppo della Banca Mondiale. Runde è membro del Council on Foreign Relations e del Bretton Woods Committee, e in precedenza ha presieduto due comitati consultivi del governo statunitense: l’Advisory Committee on Voluntary Foreign Aid dell’USAID e il Sub-Saharan Africa Advisory Committee della US EXIM Bank. Si è laureato al Dartmouth College e ha conseguito un master in politiche pubbliche presso l’Università di Harvard.

***

Qual è l’interesse americano per l’IMEC?

Il Presidente Biden è stato uno dei primi sostenitori dell’IMEC e il Presidente Trump lo ha seguito, quindi c’è un interesse bipartisan per la connettività regionale. L’IMEC non sarebbe potuto accadere se non ci fossero state diverse cose. C’era bisogno della caduta del Muro di Berlino per ricollegare l’Europa, c’era bisogno degli accordi di Abraham che il Presidente Trump ha portato avanti nel suo primo mandato e, pur con le sue critiche, anche il progetto dell’Unione europea ha rappresentato una parte molto importante. Se guardo all’Ungheria, gran parte della connettività e della prosperità sono state portate avanti dall’Unione europea. E direi anche che l’ascesa dell’India e l’ascesa delle potenze in Medio Oriente, che si tratti della forza di Israele, della forza degli Emirati Arabi Uniti o dei cambiamenti in Arabia Saudita, sono tutti fattori che hanno contribuito a questo.

Quindi, l’interesse americano sta nel vedere un’alternativa alla Cina. Capisco le argomentazioni geopolitiche e geoeconomiche, ma per sostenere l’interesse degli Stati Uniti nei confronti dell’IMEC occorre una forte motivazione commerciale. E non l’abbiamo ancora messo insieme. Dobbiamo anche creare un calendario e un catalogo di ciò che deve essere fatto. Le medie potenze come l’Ungheria, l’India, Israele, l’Italia e gli Emirati Arabi Uniti hanno un ruolo da svolgere. L’interesse americano è quello di vedere un’alternativa alla Belt and Road, di creare opportunità per il commercio, per i posti di lavoro americani e per i lavoratori americani, nonché di vedere una maggiore pace e prosperità tra persone che prima avevano tensioni, tra cui Israele e il Medio Oriente.

È chiaro che c’è una prospettiva geopolitica, ma dobbiamo fare un buon lavoro per creare opportunità commerciali”.

Se guardiamo al progetto dal punto di vista geografico, si tratta di un corridoio che dall’India passa per il Medio Oriente e arriva in Europa, ma l’America è a un solo oceano di distanza. Che ruolo hanno gli Stati Uniti in questo progetto, sia dal punto di vista fisico che commerciale?

A pensarci bene, la connettività coinvolgerà ferrovie, energia – compreso il gas – strade, infrastrutture digitali e altro ancora. Tutte queste componenti offrono agli Stati Uniti significative opportunità commerciali per vendere i propri prodotti e servizi. È chiaro che c’è una prospettiva geopolitica, ma dobbiamo fare un buon lavoro per creare opportunità commerciali. Penso che l’Ungheria sia in una posizione ideale per contribuire alla convocazione di questo evento, poiché ha relazioni in tutto il mondo, ha buone relazioni con gli Stati Uniti in quanto parte dell’UE e della NATO. L’interesse finale non è solo geopolitico, ma anche commerciale.

FOTO: Benedek Balog/Istituto Danubio

Lei ha parlato dell’Ungheria e della connettività, che è la strategia estera ufficiale del governo ungherese. L’Ungheria occupa una buona posizione in questo ordine mondiale in evoluzione?

Credo che l’Ungheria debba pensare seriamente alla connettività, sia attraverso il Corridoio di Mezzo, noto anche come Corridoio transcaspico, che collega l’Asia centrale attraverso il Mar Caspio all’Azerbaigian e poi al Mar Nero. Ecco perché l’Ungheria ha interesse a vedere un accordo di pace tra Ucraina e Russia.

C’è anche la connettività Nord-Sud – credo si chiami Iniziativa dei Tre Mari – e nella misura in cui l’Ungheria può essere coinvolta, è importante. Vedo anche un potenziale strategico a Trieste, che, sebbene sia in Italia, un tempo faceva parte dell’Impero austro-ungarico ed è geograficamente vicina all’Ungheria.

Nel complesso, quindi, ritengo che questa sia una direzione politica intelligente per l’Ungheria. Inoltre, si allinea a una visione più ampia di politica estera che prevede un maggiore impegno con l’Asia, l’Africa e l’America Latina. L’Ungheria sarà anche un Paese piccolo, ma è importante e avere una chiara strategia di connettività è una mossa saggia.

Dal punto di vista del governo statunitense, il rapporto Cina-Ungheria potrebbe essere un punto delicato. Il progetto IMEC è in qualche modo un’alternativa all’iniziativa cinese della Via della Seta. Si tratta di una via commerciale strettamente rivale o questi due progetti possono esistere parallelamente?

Penso che gli Stati Uniti e la Cina avranno un rapporto teso e molto graffiante. Guarderemo il mondo attraverso la lente della competizione tra grandi potenze. Purtroppo, potremmo descrivere questa situazione come una seconda guerra fredda. Il Presidente Trump ha recentemente annunciato una potenziale svolta sul commercio con la Cina, ed è un’ottima cosa. Nessuno vuole entrare in guerra con la Cina. Speriamo e preghiamo che non invadano, che non taglino fisicamente Taiwan. Quindi penso che un ruolo che l’Ungheria può svolgere sia quello di inviare un messaggio alla Cina: “Per favore, non invadete Taiwan”, visto che avete la connettività.

L’Ungheria sarà anche un Paese piccolo, ma è importante e avere una chiara strategia di connettività è una mossa saggia”.

Non vogliamo un mondo in cui il primo partner commerciale di tutti sia la Cina. Non vogliamo un mondo in cui gli standard e le regole siano stabiliti dalla Cina e in cui la Cina abbia un’influenza egemonica generale. Penso che i Paesi che hanno a cuore la libertà religiosa o la libertà economica e che non amano il comunismo – questo descrive l’Ungheria e gli Stati Uniti – non dovrebbero volere un mondo controllato da un partito comunista che opprime la religione, che ha troppo controllo sulla libertà di espressione, sulla libertà di religione e sulla libertà di associazione. Detto questo, uno dei problemi è che la Belt and Road Initiavtive è un’idea favolosa. È un’agenda grande, positiva e lungimirante che parla alle speranze e alle aspirazioni di miliardi di persone. Più di 100 Paesi hanno aderito alla BRI perché è un’idea favolosa. Vorrei che gli Stati Uniti ci avessero pensato.

Ma l’IMEC potrebbe essere una nuova idea.

Forse. Dobbiamo mettere un po’ di carne sulle ossa, dobbiamo lavorare.

Un esperto ha scritto questo a proposito dell’IMEC e dell’interesse americano: È un’opportunità strategica per gli Stati Uniti di mantenere l’influenza e rassicurare i partner tradizionali in mezzo alla crescente influenza della Cina nella regione”. È un’idea vera?

Speravo che avresti detto che ero stato io a dirlo.

Avresti potuto essere tu. Ha scritto un libro su questo argomento.

Sì. Si intitola L’imperativo americano: Reclaiming Global Leadership through Soft Power, e al CSIS abbiamo lavorato molto sulle infrastrutture fisiche e sul finanziamento dello sviluppo. Quindi direi che la citazione è vera, ma credo che per mantenere l’interesse avremo bisogno di aiuto. L’aiuto di Ungheria, Israele, Emirati Arabi Uniti, Italia, Arabia Saudita. Dobbiamo creare un caso commerciale. Qual è la dimensione dell’infrastruttura? Quali sono i progetti fisici necessari? Quali sono le opportunità di associazione commerciale? Quali sono i vantaggi commerciali dell’IMEC? Ridurremo l’ammontare dei costi del commercio?

Non vogliamo un mondo in cui gli standard e le regole siano stabiliti dalla Cina”.

Dobbiamo fare una scelta commerciale e di business. Voglio che gli Stati Uniti rimangano la prima potenza per i prossimi 100 anni. Non voglio che la Cina guidi il mondo. E sostengo che l’Ungheria, in ultima analisi, non vorrà che la Cina guidi il mondo.

FOTO: Benedek Balog/Istituto Danubio

Ma la Cina offre un servizio economico e veloce per molti Paesi in via di sviluppo. Ancora una volta, il titolo del suo libro è: L’imperativo americano: Reclaiming Global Leadership through Soft Power. Cosa possono offrire gli Stati Uniti per recuperare la leadership globale?

Questa è la domanda giusta. Dobbiamo rendere possibile un’offerta più convincente. Noi, gli Stati Uniti, non possiamo farlo da soli. Abbiamo bisogno di amici. Abbiamo bisogno di partner. Quindi, credo che l’IMEC debba essere un lavoro collettivo, un esercizio collettivo. Hai ragione, i cinesi sono spesso più veloci, più economici e rispettano standard minimi di qualità. E non possiamo combattere qualcosa con niente. Quindi qual è il nostro qualcosa? L’IMEC potrebbe essere parte del nostro qualcosa, ma dovremo lavorare molto, perché è una grande idea.

C’è stato un forte interesse americano nel trovare modi per far partecipare l’India alla soluzione dei grandi problemi globali”.

Dobbiamo parlare dell’India, il prossimo astro nascente che evita di schierarsi nel conflitto tra Occidente e Oriente e mira a mantenere buone relazioni con Stati Uniti, Russia e Cina. Con il progetto IMEC, gli Stati Uniti stanno cercando di avvicinare l’India ai suoi alleati occidentali? È questa la motivazione geopolitica alla base del sostegno americano a questa iniziativa?

Penso che ci sia stato un crescente e continuo interesse americano nell’approfondire i legami con l’India e nel trovare modi per far sì che l’India partecipi alla soluzione dei grandi problemi globali, sia attraverso il Quadrilatero che attraverso altri accordi. L’IMEC è quindi il logico seguito di questo sforzo sostenuto da quasi 20 anni. A partire dall’amministrazione Bush, sono stati compiuti sforzi significativi. Il Presidente Obama, il Presidente Trump e il Presidente Biden hanno fatto la stessa cosa. Credo che l’India possa e debba svolgere un ruolo importante.

FOTO: Benedek Balog/Istituto Danubio

La mia ultima domanda riguarda gli ultimi due attori dell’IMEC, anzi tre: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Israele. Questi sono gli Stati con cui la precedente amministrazione Trump voleva creare una nuova alleanza in Medio Oriente, una coalizione islamica sunnita, americana e israeliana che contrastasse l’influenza iraniana. C’è un quadro più ampio dietro tutto questo?

Una delle grandi eredità della prima amministrazione Trump è stata l’abilitazione degli Accordi di Abraham. Se non fosse stato per gli sforzi diplomatici del Presidente Trump, alla fine non ci sarebbero stati gli accordi di Abraham. Oggi ci sono accordi di pace con diversi Paesi del Medio Oriente. Il grande premio sarebbe un accordo di Abraham tra Israele e Arabia Saudita. Sarebbe di grande aiuto per l’IMEC e renderebbe possibile una più stretta connettività regionale in Medio Oriente. Ci sono stati anche altri cambiamenti, sia in Siria che nell’ultimo decennio in Arabia Saudita. Gli accordi di Abraham sono quindi importanti, e la forza e il dinamismo dell’economia israeliana, l’innovazione e la tecnologia che Israele possiede sono davvero una delle meraviglie del mondo. Il Medio Oriente sta cambiando e la mia speranza è che si arrivi a un accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita. La connettività regionale e il commercio fiorente ne trarrebbero un grande beneficio. Credo che dovremmo sostenere la causa economica della pace, non solo quella geopolitica.

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