Dagli amici mi guardi iddio, di Fabio Mini

Qui sotto il documento tradotto di quindici esperti militari, politici ed accademici statunitensi apparso a pagamento sul NYT del 16 maggio scorso, accompagnato da due commenti del generale Fabio Mini, apparso sul sito www.ariannaeditrice.it e del sito consortium news. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Dagli amici mi guardi iddio

di Fabio Mini

Sul New York Times un gruppo di esperti descrive il leader ucraino schiacciato tra la necessità di vantare successi per avere altre armi e lo “scioccante” costo di perdite umane che sta sostenendo.

Mentre in Ucraina i russi aggiustano il tiro sulle difese contraeree di Kiev e fanno fuori il sistema Patriot fornito dagli americani (che però la propaganda segnala soltanto “danneggiato”) e mentre il presidente Zelensky torna a casa con il carniere pieno di colombe abbattute e promesse di guerra, il New York Times (16 maggio) pubblica un appello al negoziato e alla pace in Ucraina lanciato da 15 esperti militari, politici e accademici statunitensi. La cosa passa ovviamente quasi inosservata in Italia e non è gradita nemmeno negli Stati Uniti.
Non meraviglierebbe se la pubblicazione sul prestigioso quotidiano fosse stata possibile dietro un qualche “compenso”. Da tempo la libertà di espressione è proporzionale a quanto e quale sistema di pagamento si preferisce. Anche in Europa. Non meraviglia che tra i firmatari ci siano anche militari di alto livello. Sanno valutare la situazione e soprattutto capiscono i limiti e i rischi della propaganda, specialmente se si finisce per credere alla propria. E non meraviglia che a commentare il “manifesto” siano stati proprio Medea Benjamin e Nicolas Davies sul sito di Codepink. Il nome della famosa associazione richiama come sfida e codice il rosa (pink) del femminismo e del dispregiativo affibbiato ai liberal e progressisti americani (pink commies, “comunisti rosa”, appunto). I due plaudono all’iniziativa e fanno notare come la politica occidentale abbia “intrappolato Zelensky” tra la necessità di vantare successi per avere altre armi e lo “scioccante” costo delle perdite umane che sta sostenendo. “La difficile situazione di Zelensky è certamente colpa dell’invasione della Russia, ma anche del suo accordo dell’aprile 2022 con il diavolo nelle sembianze dell’allora primo ministro britannico Boris Johnson, che promise a Zelensky che il Regno Unito e il “collettivo Occidente” lo avrebbero sostenuto a lungo termine per recuperare tutto l’ex territorio ucraino, purché l’Ucraina avesse smesso di negoziare con la Russia”. Da allora Zelensky ha cercato disperatamente di convincere i suoi sostenitori occidentali a mantenere la promessa esagerata di Johnson, “mentre lo stesso Johnson”, costretto a dimettersi da primo ministro, ha approvato un ritiro russo solo dai territori invasi il 2022. Eppure quel compromesso era esattamente ciò che lui aveva fatto rifiutare a Zelensky nel 2022, quando la maggior parte dei morti in guerra erano ancora vivi. Da parte sua, il presidente Biden e altri funzionari statunitensi hanno riconosciuto che la guerra deve concludersi con un accordo diplomatico, ma alle condizioni di Kiev e hanno insistito sul fatto che stanno armando l’Ucraina per metterla “nella posizione più forte possibile al tavolo dei negoziati”. Una frase fatta ormai ripetuta fino alla noia da tutti o quasi i leader e i burocrati europei. Ma, si chiede Codepink, “come può una nuova offensiva con risultati contrastanti e maggiori perdite mettere l’Ucraina in una posizione più forte a un tavolo di negoziato attualmente inesistente?”. È quello che tutti si chiedono, tranne i governanti europei che stanno gettando benzina sul fuoco della guerra pompando la retorica “l’Ucraina combatte per noi”. Nessun europeo ha mai avuto bisogno che qualcun altro difendesse i suoi valori. Abbiamo sempre difeso da soli i nostri regimi, anche iniqui e oppressivi; abbiamo versato sangue per le mire dinastiche e di casta per 2000 anni. I cosiddetti Valori occidentali sono diventati i nostri valori quando siamo stati sconfitti e debellati, quando una parte minima delle nostre forze ha combattuto per la Libertà e la Democrazia. Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo riscoperto i Valori europei non tanto per contrapporci a un’ideologia (nata e sviluppata in Europa) contraria a quella dei vincitori, quanto per assecondare la loro idea di democrazia e libertà. E anche nella contrapposizione nessuno ha mai minacciato la nostra “riscoperta”. Anzi, proprio con la divisione dei blocchi, nessuno è mai intervenuto militarmente quando venivano calpestati i diritti e le aspirazioni degli altri Paesi. Furono le assicurazioni di sostegno occidentali a illudere i polacchi, i cecoslovacchi, gli ungheresi, i georgiani quando azzardarono le loro rivolte puntualmente soffocate con altrettante “operazioni speciali”. Sono state le politiche dell’unipolarismo occidentale a destabilizzare le regioni del mondo con le rivoluzioni colorate e profumate che non si curavano affatto della libertà e della democrazia di intere popolazioni costrette a godere del colore rosso-sangue e del tanfo di morte.
Gli esperti che hanno firmato l’appello pubblicato dal New York Times hanno ricordato che, “nel 1997, 50 alti esperti di politica estera Usa avvertirono il presidente Clinton che l’espansione della Nato era un errore politico di proporzioni storiche” e che, sfortunatamente, Clinton scelse di ignorare l’avvertimento. “Il presidente Biden, che ora sta commettendo il proprio errore politico di proporzioni storiche prolungando questa guerra, farebbe bene a seguire il consiglio degli esperti di politica di oggi contribuendo a forgiare un accordo diplomatico e facendo degli Stati Uniti una forza per la pace nel mondo”. E, questa sì, sarebbe una novità.
Vedere un Paese europeo disastrato, una popolazione europea decimata e offrire la prospettiva di ulteriori distruzioni e massacri non è solidarietà, così come non è patriottismo far annegare la patria in un mare di sangue per compiacere il più forte piuttosto che discutere del proprio destino e dei propri interessi. Naturalmente i commenti di Codepink sono di parte: sono propagandisti prezzolati, pacifisti, comunisti, antiamericani, antipatriottici, filoputiniani, filorussi e spie, vogliono la resa dell’Ucraina e la conquista dell’Occidente da parte dei demoni rossi e gialli. Sono le cassandre e i menagramo che si oppongono all’America liberatrice del mondo da mezzo secolo e quindi totalmente inattendibili. Ma i 15 esperti firmatari dell’appello no. Ognuno di essi rappresenta un vasto settore della società che si pone i loro stessi interrogativi e resiste alla frustrazione di non essere ascoltato. I militari, in particolare, sono patrioti che oltre ai rischi della guerra sul campo percepiscono il pericolo di una spaccatura interna del loro Paese, della cui Unità, Indipendenza, Autonomia, Valori, Libertà e Costituzione sono i difensori istituzionali. Una missione che non si esprime solo in tempo di guerra, perché la disgregazione di un Paese è più frequente per questioni interne, faziosità, interessi particolari e disprezzo delle istituzioni piuttosto che per minacce esterne. Come sappiamo bene dal passato e dal presente.

Gli Stati Uniti dovrebbero essere una forza di pace nel mondo
La guerra tra Russia e Ucraina è stata un disastro senza precedenti. Centinaia di migliaia di persone sono state uccise o ferite. Milioni di persone sono state sfollate. La distruzione ambientale ed economica è stata incalcolabile. La devastazione futura potrebbe essere esponenzialmente maggiore, dato che le potenze nucleari si avvicinano sempre più alla guerra aperta.

Deploriamo la violenza, i crimini di guerra, gli attacchi missilistici indiscriminati, il terrorismo e altre atrocità che fanno parte di questa guerra. La soluzione a questa violenza sconvolgente non è rappresentata da più armi o più guerra, con la garanzia di ulteriore morte e distruzione.

Come americani ed esperti di sicurezza nazionale, esortiamo il Presidente Biden e il Congresso a usare tutti i loro poteri per porre fine rapidamente alla guerra tra Russia e Ucraina attraverso la diplomazia, soprattutto in considerazione dei gravi pericoli di un’escalation militare che potrebbe andare fuori controllo.

Sessant’anni fa, il presidente John F. Kennedy fece un’osservazione che oggi è fondamentale per la nostra sopravvivenza. “Soprattutto, pur difendendo i propri interessi vitali, le potenze nucleari devono evitare quegli scontri che portano l’avversario a scegliere tra una ritirata umiliante o una guerra nucleare. Adottare questo tipo di approccio nell’era nucleare sarebbe solo la prova del fallimento della nostra politica, o di un desiderio di morte collettiva per il mondo”.

La causa immediata di questa disastrosa guerra in Ucraina è l’invasione della Russia. Tuttavia, i piani e le azioni per espandere la NATO ai confini della Russia sono serviti a provocare i timori russi. I leader russi lo hanno ribadito per 30 anni. Il fallimento della diplomazia ha portato alla guerra. Ora la diplomazia è urgentemente necessaria per porre fine alla guerra Russia-Ucraina prima che distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità.

Il potenziale di pace
L’attuale ansia geopolitica della Russia è influenzata dal ricordo delle invasioni di Carlo XII, Napoleone, del Kaiser e di Hitler. Le truppe statunitensi facevano parte di una forza d’invasione alleata che intervenne senza successo contro la parte vincente nella guerra civile russa del primo dopoguerra. La Russia vede l’allargamento e la presenza della NATO ai suoi confini come una minaccia diretta; gli Stati Uniti e la NATO vedono solo una prudente preparazione. In diplomazia, bisogna cercare di vedere con empatia strategica, cercando di capire i propri avversari. Questa non è debolezza: è saggezza.

Rifiutiamo l’idea che i diplomatici, cercando la pace, debbano scegliere da che parte stare, in questo caso Russia o Ucraina. Favorendo la diplomazia, scegliamo la parte della sanità mentale. Dell’umanità. Della pace.

Riteniamo che la promessa del Presidente Biden di sostenere l’Ucraina “fino a quando sarà necessario” sia una licenza a perseguire obiettivi mal definiti e in definitiva irraggiungibili. Potrebbe rivelarsi altrettanto catastrofica quanto la decisione del Presidente Putin, lo scorso anno, di lanciare la sua invasione e occupazione criminale. Non possiamo e non vogliamo approvare la strategia di combattere la Russia fino all’ultimo ucraino.

Chiediamo un impegno significativo e genuino alla diplomazia, in particolare un cessate il fuoco immediato e negoziati senza precondizioni squalificanti o proibitive. Le provocazioni deliberate hanno portato alla guerra tra Russia e Ucraina. Allo stesso modo, la diplomazia deliberata può porvi fine.

Le azioni degli Stati Uniti e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia
Con il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, i leader statunitensi e dell’Europa occidentale assicurarono ai leader sovietici e poi russi che la NATO non si sarebbe espansa verso i confini della Russia. “Non ci sarà un’estensione della… NATO di un solo centimetro verso est”, disse il Segretario di Stato americano James Baker al leader sovietico Mikhail Gorbaciov il 9 febbraio 1990. Simili rassicurazioni da parte di altri leader statunitensi e di leader britannici, tedeschi e francesi nel corso degli anni ’90 lo confermano.

Dal 2007, la Russia ha ripetutamente avvertito che le forze armate della NATO ai confini della Russia erano intollerabili – proprio come le forze russe in Messico o in Canada sarebbero intollerabili per gli Stati Uniti ora, o come lo erano i missili sovietici a Cuba nel 1962. La Russia ha inoltre indicato l’espansione della NATO in Ucraina come particolarmente provocatoria.

Vedere la guerra attraverso gli occhi della Russia
Il nostro tentativo di comprendere la prospettiva russa sulla loro guerra non approva l’invasione e l’occupazione, né implica che i russi non avessero altra scelta che questa guerra.

Tuttavia, così come la Russia aveva altre opzioni, anche gli Stati Uniti e la NATO hanno avuto la possibilità di scegliere fino a questo momento.

I russi hanno chiarito le loro linee rosse. In Georgia e in Siria hanno dimostrato che avrebbero usato la forza per difenderle. Nel 2014, la presa immediata della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbas hanno dimostrato la serietà del loro impegno a difendere i propri interessi. Non è chiaro perché questo non sia stato compreso dai vertici degli Stati Uniti e della NATO; è probabile che vi abbiano contribuito l’incompetenza, l’arroganza, il cinismo o un infido mix di tutti e tre.

 

The Russia-Ukraine War
The Russia-Ukraine War; Shoe on the other foot

Ancora una volta, anche quando la Guerra Fredda è finita, i diplomatici, i generali e i politici statunitensi hanno messo in guardia dai pericoli di un’espansione della NATO fino ai confini della Russia e di un’ingerenza dolosa nella sfera d’influenza russa. Gli ex funzionari di gabinetto Robert Gates e William Perry hanno lanciato questi avvertimenti, così come i venerati diplomatici George Kennan, Jack Matlock e Henry Kissinger. Nel 1997, cinquanta esperti di politica estera degli Stati Uniti scrissero una lettera aperta al Presidente Bill Clinton per consigliargli di non espandere la NATO, definendola “un errore politico di proporzioni storiche”. Il Presidente Clinton scelse di ignorare questi avvertimenti.

L’aspetto più importante per comprendere l’arroganza e il calcolo machiavellico nel processo decisionale statunitense relativo alla guerra Russia-Ucraina è il rifiuto degli avvertimenti lanciati da Williams Burns, l’attuale direttore della Central Intelligence Agency. In un cablogramma inviato al Segretario di Stato Condoleezza Rice nel 2008, mentre era in carica come ambasciatore in Russia, Burns scrisse dell’espansione della NATO e dell’adesione dell’Ucraina:

“Le aspirazioni dell’Ucraina e della Georgia alla NATO non solo toccano un nervo scoperto in Russia, ma suscitano serie preoccupazioni sulle conseguenze per la stabilità della regione. La Russia non solo percepisce l’accerchiamento e gli sforzi per minare l’influenza della Russia nella regione, ma teme anche conseguenze imprevedibili e incontrollate che potrebbero compromettere seriamente gli interessi della sicurezza russa. Gli esperti ci dicono che la Russia è particolarmente preoccupata che le forti divisioni in Ucraina sull’adesione alla NATO, con gran parte della comunità etnica russa contraria all’adesione, possano portare a una grande spaccatura, con violenze o, nel peggiore dei casi, alla guerra civile. In questa eventualità, la Russia dovrebbe decidere se intervenire o meno; una decisione che non vuole affrontare”.

Perché gli Stati Uniti hanno continuato ad espandere la NATO nonostante questi avvertimenti? Il profitto derivante dalla vendita di armi è stato un fattore importante. Di fronte all’opposizione all’espansione della NATO, un gruppo di neoconservatori e di alti dirigenti dei produttori di armi statunitensi formò il Comitato statunitense per l’espansione della NATO. Tra il 1996 e il 1998, i maggiori produttori di armi hanno speso 51 milioni di dollari (94 milioni di dollari oggi) in attività di lobbying e altri milioni in contributi per le campagne elettorali. Grazie a questa generosità, l’espansione della NATO è diventata rapidamente un affare fatto, dopo di che i produttori di armi statunitensi hanno venduto miliardi di dollari di armi ai nuovi membri della NATO.

Finora, gli Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina attrezzature militari e armi per un valore di 30 miliardi di dollari, mentre gli aiuti totali all’Ucraina hanno superato i 100 miliardi di dollari. La guerra, è stato detto, è un racket, altamente redditizio per pochi eletti.

L’espansione della NATO, in sintesi, è un elemento chiave di una politica estera statunitense militarizzata, caratterizzata da unilateralismo, cambio di regime e guerre preventive. Le guerre fallite, più recentemente in Iraq e Afghanistan, hanno prodotto massacri e ulteriori scontri, una dura realtà che l’America stessa ha creato. La guerra tra Russia e Ucraina ha aperto una nuova arena di scontri e massacri. Questa realtà non è interamente opera nostra, eppure potrebbe essere la nostra rovina, a meno che non ci dedichiamo a forgiare una soluzione diplomatica che fermi le uccisioni e allenti le tensioni.

Facciamo dell’America una forza di pace nel mondo.

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SIGNERS

Dennis Fritz, Director, Eisenhower Media Network; Command Chief Master Sergeant, US Air Force (retired)
Matthew Hoh, Associate Director, Eisenhower Media Network; Former Marine Corps officer, and State and Defense official.
William J. Astore, Lieutenant Colonel, US Air Force (retired)
Karen Kwiatkowski, Lieutenant Colonel, US Air Force (retired)
Dennis Laich, Major General, US Army (retired)
Jack Matlock, U.S. Ambassador to the U.S.S.R., 1987-91; author of Reagan and Gorbachev: How the Cold War Ended
Todd E. Pierce, Major, Judge Advocate, U.S. Army (retired)
Coleen Rowley, Special Agent, FBI (retired)
Jeffrey Sachs, University Professor at Columbia University
Christian Sorensen, Former Arabic linguist, US Air Force
Chuck Spinney, Retired Engineer/Analyst, Office of Secretary of Defense
Winslow Wheeler, National security adviser to four Republican and Democratic US
Lawrence B. Wilkerson, Colonel, US Army (retired)
Ann Wright, Colonel, US Army (retired) and former US diplomat

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Gli esperti di sicurezza nazionale degli Stati Uniti chiedono la pace in Ucraina

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Martedì Medea Benjamin e Nicolas JS Davies amplificano un annuncio a tutta pagina sul New York Times  definendo la guerra un “disastro assoluto” e sollecitando Biden e il Congresso degli Stati Uniti ad aiutare a portarla rapidamente a termine. 

Di Medea Benjamin  e Nicolas JS Davies
Sogni comuni

Martedì , il New York Times ha pubblicato un annuncio a tutta pagina firmato da 15 esperti di sicurezza nazionale statunitensi  sulla guerra in Ucraina. Era intitolato “Gli Stati Uniti dovrebbero essere una forza per la pace nel mondo” ed è stato redatto da Eisenhower Media Network.

Pur condannando l’invasione della Russia, la dichiarazione fornisce un resoconto più obiettivo della crisi in Ucraina di quanto il governo degli Stati Uniti o  il New York Times  abbiano precedentemente presentato al pubblico, compreso il ruolo disastroso degli Stati Uniti nell’espansione della NATO, gli avvertimenti ignorati dalle successive amministrazioni statunitensi e le crescenti tensioni che alla fine portarono alla guerra.

La dichiarazione definisce la guerra un “disastro assoluto” ed esorta il presidente Joe Biden e il Congresso “a porre fine rapidamente alla guerra attraverso la diplomazia, soprattutto visti i pericoli di un’escalation militare che potrebbe sfuggire al controllo”.

Questo appello alla diplomazia da parte di ex insider saggi ed esperti – diplomatici statunitensi, ufficiali militari e funzionari civili – sarebbe stato un gradito intervento in uno qualsiasi degli ultimi 442 giorni di questa guerra. Eppure il loro appello ora arriva in un momento particolarmente critico della guerra.

Il 10 maggio, il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato che sta ritardando la tanto attesa “offensiva di primavera” dell’Ucraina per evitare perdite ” inaccettabili ” alle forze ucraine.

La politica occidentale ha ripetutamente messo Zelenskyj in  posizioni quasi impossibili  , intrappolato tra la necessità di mostrare segni di progresso sul campo di battaglia per giustificare ulteriore sostegno occidentale e consegne di armi e, dall’altro, lo scioccante costo umano della continuazione della guerra rappresentato dal nuovo cimiteri dove ora giacciono sepolti decine di migliaia di ucraini.

“Questo appello alla diplomazia… sarebbe stato un gradito intervento in uno qualsiasi degli ultimi 442 giorni di questa guerra. Eppure il loro appello ora arriva in un momento particolarmente critico della guerra”.

Non è chiaro come un ritardo nel previsto contrattacco ucraino impedirebbe che porti a perdite ucraine inaccettabili quando finalmente si verificherà, a meno che il ritardo non porti effettivamente a ridimensionare e annullare molte delle operazioni che erano state pianificate.

Zelensky sembra aver raggiunto un limite in termini di numero di persone in più che è disposto a sacrificare per soddisfare le richieste occidentali di segnali di progresso militare per tenere insieme l’alleanza occidentale e mantenere il flusso di armi e denaro verso l’Ucraina.

Il ruolo di Boris Johnson 

La difficile situazione di Zelensky è certamente colpa dell’invasione della Russia, ma anche del suo accordo dell’aprile 2022 con il diavolo nelle sembianze dell’allora primo ministro britannico Boris Johnson.

Johnson  ha promesso a  Zelensky che il Regno Unito e il “collettivo Occidente” ci sarebbero stati “a lungo termine” e lo avrebbero sostenuto per recuperare tutto l’ex territorio dell’Ucraina, purché l’Ucraina avesse smesso di negoziare con la Russia.

Boris Johnson, l’allora primo ministro britannico, se ne andò, incontrando il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky a Kiev, il 9 aprile 2022. (Governo ucraino)

Johnson non è mai stato in grado di mantenere quella promessa e, poiché è stato costretto a dimettersi da primo ministro, ha  approvato  un ritiro russo solo dal territorio che ha invaso dal febbraio 2022, non un ritorno ai confini precedenti al 2014. Eppure quel compromesso era esattamente ciò a cui aveva convinto Zelensky a non accettare nell’aprile 2022, quando la maggior parte dei morti della guerra erano ancora vivi e il quadro di un accordo di pace era sul tavolo durante i colloqui diplomatici in  Turchia .

Zelensky ha cercato disperatamente di convincere i suoi sostenitori occidentali a mantenere la promessa esagerata di Johnson. Ma a meno di un intervento militare diretto degli Stati Uniti e della NATO, sembra che nessuna quantità di armi occidentali possa rompere in modo decisivo lo stallo in quella che è degenerata in una brutale  guerra di logoramento , combattuta principalmente da artiglieria e guerra di trincea e urbana.

Un generale americano  si è vantato  che l’Occidente abbia fornito all’Ucraina 600 diversi sistemi d’arma, ma questo di per sé crea problemi. Ad esempio, i diversi  cannoni da 105 mm  inviati da Regno Unito, Francia, Germania e Stati Uniti utilizzano tutti proiettili diversi. E ogni volta che pesanti perdite costringono l’Ucraina a riformare i sopravvissuti in nuove unità, molti di loro devono essere riaddestrati con armi e attrezzature che non hanno mai usato prima.

Documento del Pentagono trapelato

Nonostante  le consegne da parte degli Stati Uniti  di almeno sei tipi di missili antiaerei – Stinger, NASAMS, Hawk, Rim-7, Avenger e almeno una batteria di missili Patriot – un documento del Pentagono trapelato ha rivelato che l’S-300 e il Buk antiaereo di costruzione  russa  dell’Ucraina -i sistemi aeronautici costituiscono ancora quasi il 90 percento delle sue principali difese aeree.

I paesi della NATO hanno cercato nelle loro scorte di armi tutti i missili che possono fornire per quei sistemi, ma l’Ucraina ha quasi esaurito quelle scorte, lasciando le sue forze nuovamente vulnerabili agli attacchi aerei russi proprio mentre si prepara a lanciare il suo nuovo contrattacco.

Riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina della NATO il 21 aprile. (NATO)

Almeno dal giugno 2022, Biden e altri funzionari statunitensi hanno riconosciuto  che la guerra deve concludersi con un accordo diplomatico e hanno insistito sul fatto che stanno armando l’Ucraina per metterla “nella posizione più forte possibile al tavolo dei negoziati”. Fino ad ora, hanno affermato che ogni nuovo sistema d’arma che hanno inviato e ogni controffensiva ucraina hanno contribuito a tale obiettivo e hanno lasciato l’Ucraina in una posizione più forte.

Ma i documenti del Pentagono trapelati e le recenti dichiarazioni di funzionari statunitensi e ucraini chiariscono che l’offensiva di primavera pianificata dall’Ucraina, già rimandata all’estate, mancherebbe del precedente elemento di sorpresa e incontrerebbe difese russe più forti rispetto alle offensive che hanno recuperato parte del suo territorio perduto lo scorso autunno.

Un documento del Pentagono trapelato ha avvertito che “il perdurare delle carenze ucraine nell’addestramento e nelle forniture di munizioni probabilmente metterà a dura prova i progressi e aggraverà le vittime durante l’offensiva”, concludendo che probabilmente avrebbe ottenuto guadagni territoriali minori rispetto alle offensive di caduta.

Come può una nuova offensiva con risultati contrastanti e maggiori perdite mettere l’Ucraina in una posizione più forte a un tavolo di negoziato attualmente inesistente? Se l’offensiva rivela che anche enormi quantità di aiuti militari occidentali non sono riusciti a dare all’Ucraina la superiorità militare o a ridurre le sue vittime a un livello sostenibile, potrebbe benissimo lasciare l’Ucraina in una posizione negoziale più debole, invece che più forte.

Nel frattempo, le offerte per mediare i colloqui di pace sono arrivate da paesi di tutto il mondo, dal Vaticano alla Cina al Brasile. Sono passati sei mesi da quando il capo di stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, il generale Mark Milley,  ha suggerito  pubblicamente, dopo le conquiste militari dell’Ucraina dello scorso autunno, che era giunto il momento di negoziare da una posizione di forza. “Quando c’è un’opportunità di negoziare, quando la pace può essere raggiunta, coglila”, ha detto.

Sarebbe doppiamente o triplamente tragico se, oltre ai fallimenti diplomatici che hanno portato alla guerra in primo luogo e agli Stati Uniti e al Regno Unito che  hanno minato i negoziati di pace nell’aprile 2022, l’opportunità per la diplomazia che Milley voleva cogliere si perdesse nel deserto speranza di raggiungere una posizione negoziale ancora più forte che non è realmente realizzabile.

Se gli Stati Uniti continueranno a sostenere il piano per un’offensiva ucraina, invece di incoraggiare Zelenskyj a cogliere l’attimo per la diplomazia, condivideranno una considerevole responsabilità per il fallimento nel cogliere l’opportunità per la pace e per gli spaventosi e sempre crescenti costi umani di questa guerra.

Gli esperti che hanno firmato  la dichiarazione del New York Times  hanno ricordato che, nel 1997, 50 alti esperti di politica estera degli Stati Uniti  avvertirono  il presidente Bill Clinton che l’espansione della NATO era un “errore politico di proporzioni storiche” e che, sfortunatamente, Clinton scelse di ignorare l’avvertimento. Biden, che ora sta perseguendo il proprio errore politico di proporzioni storiche prolungando questa guerra, farebbe bene a seguire il consiglio degli esperti di politica di oggi contribuendo a forgiare un accordo diplomatico e facendo degli Stati Uniti una forza per la pace nel mondo.

Medea Benjamin è co-fondatrice di Global Exchange e CODEPINK: Women for Peace. È coautrice, con Nicolas JS Davies, di War in Ukraine: Making Sense of a Senseless Conflict , disponibile da OR Books. Altri libri includono Inside Iran: The Real History and Politics of the Islamic Republic of Iran (2018); Kingdom of the Unjust: Behind the USA-Saudi Connection (2016); Drone Warfare: Killing by Remote Control (2013); Don’t Be Afraid Gringo: A Honduran Woman Speaks from the Heart (1989) e (con Jodie Evans) Stop the Next War Now  (2005).

Nicolas JS Davies è un giornalista indipendente e un ricercatore di CODEPINK. È coautore, con Medea Benjamin, di War in Ukraine: Making Sense of a Senseless Conflict e autore di Blood On Our Hands: the American Invasion and Destruction of Iraq .

Questo articolo è di   Common Dreams.

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Geminello Preterossi, Teologia politica e diritto, Editori Laterza_a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Geminello Preterossi, Teologia politica e diritto, Editori Laterza Bari 2012, pp. 295, € 25,00.

L’espressione “teologia politica” è polisensa. Di solito denota l’influenza della religione nell’ordinamento delle comunità umane; in altri casi la corrispondenza tra rappresentazione dell’ordine metafisico-teologico e quello politico; in altri quello della somiglianza tra concetti della teologia con quelli del diritto pubblico. Il tutto in un’epoca in cui la secolarizzazione appare compiuta, il cielo si è eclissato ed ha lasciato la terra, onde parlare di teologia politica sembra un’attività di archeologia culturale.

L’autore ritiene invece che: “La tesi fondamentale di questo libro è che la teologia politica sia inestinguibile. Anche al tempo della sua negazione, qual è quello presente. L’obiettivo che ci proponiamo è di scavare dentro questa insuperabilità. Sia facendone la genealogia, in modo da illuminare il nucleo teologico-politico della modernità e la costante riemersione di domande di senso in ambito secolare. Sia evidenziando le forme rovesciate che la teologia politica assume nel contesto ideologico neoliberale, cioè come teologia economica e teologia giuridica”. Al posto della teologia politica appaiono quindi quelle economica e giuridica “Ma interpretare quella crisi come tramonto o scomparsa sarebbe ingenuo. Piuttosto, con la teologia economica e quella giuridica si assiste alla  riproposizione in forme rovesciate, spesso ostili al primato del “politico”, dei problemi di legittimazione e delle esigenze ordinative che sono alla base del nucleo teologico-politico moderno e del suo lascito paradossale”. Per teologia economica (il termine è anch’esso polisenso) Preterossi intende in primo luogo “una proposta ermeneutica sul neoliberalismo che non si limiti a sottolinearne gli aspetti ideologici e le conseguenze sociali, ma individui in esso un paradigma di razionalità e di governo basato su altre logiche (e altri “assoluti”) rispetto alla costellazione di senso propria della trascendenza politica sovrana”: il tutto senza alcuna trascendenza (almeno apparentemente). Mentre con la formula “teologia giuridica” si intende sottolineare la tendenza alla moralizzazione della normativa giuridica”. Come la teologica economica è rivolta contro la sovranità degli Stati, ma, non è riuscita ad eliminare quello che Miglio chiamava “regolarità della politica” e, in un diverso discorso, Freund “i presupposti del politico”, e ancor meno le situazioni eccezionali. Che anzi si sono ripresentate in modi (la pandemia) e in teatri (la guerra in Europa) dove sembravano estinte. Segno che i quattro cavalieri dell’apocalisse non sono stati pensionati dalla “fine della storia”. L’inconveniente fondamentale del neo-liberalismo è di andare “in direzione di un modello di società che escluda qualsiasi dimensione di trascendimento simbolico del piano di immanenza… non solo non riesce più a fare ordine, ma per arginare illusoriamente tale ingovernabilità si finisce per revocare… tutti gli elementi costitutivi del “politico”, senza tuttavia la possibilità di istituzionalizzarli, renderli produttivi, travolgendo così anche la funzione della mediazione giuridica e sociale”. Guerra e stati d’eccezione (da anni nell’occidente globalista viviamo per lo più tra l’uno e l’altra) mostrano come “tutti i tentativi di aggirare o rimuovere la teologia politica ne subiscono la nemesi, pagando il prezzo della mancata assunzione delle sfide alle quali essa corrispondeva. Così che, in un quadro disarmante di inefficienza ordinativa, si finisce per replicarla surrettiziamente in forme compensative e politicamente inefficaci”. In effetti caratteristica della modernità “grazie a una serie di passaggi che siamo abituati a denominare “secolarizzazione”, (e che) la politica e la mediazione giuridica si sostituiscono alla religione come forza coesiva mondana. Ma non si tratta di una liberazione del religioso, cioè delle aspettative che in esso erano riposte. Quella sostituzione carica la politica della funzione simbolica istitutiva che era stata propria della religione”, e produttiva di coesione sociale perché esercita la funzione di mediare e decidere i conflitti. Per cui il riemergere del “politico” (e del teologico-politico) ai tempi dell’anti politica, ne prova l’insostituibilità.

La stessa “teologia economica” neoliberale “è una teologia politica “anti-politica” perché fa dell’immanenza un assoluto, Cioè una forma di trascendenza sacrale che nega se stessa. Infatti il neoliberalismo non è, se si guarda alla sua logica profonda, solo una teoria “economica”, ma una filosofia della spoliticizzazione dell’agire umano”. Analogamente la sua opposizione dialettica, ossia il “populismo”, non rinuncia al “fondo” teologico. Scrive l’autore che “”Ne deriva che o c’è dio o c’è il popolo: nelle società secolarizzate, è inevitabile che la fonte sia quest’ultimo. Il popolo prende il posto di dio come soggetto costituente. Il populismo, evocando il popolo, si ricollegata a questo passaggio decisivo della tradizione democratica moderna, che è un passaggio teologico-politico in senso schmittiano, quindi come sostituzione di una “trascendenza politica” moderna, emergente sul piano dell’immanenza a una trascendenza sacrale, in sé “trascendente””.

Preterossi conclude sostenendo (cosa ormai evidente) che la “teologia economica” alla lunga, non ha funzionato: al deficit di eccedenza politica non ha sostituito alcun surplus ordinante “Ciò ha causato una profonda crisi di legittimazione”, né ha suscitato legami comunitari. La “teologia giuridica” neppure: la tesi dell’autore è che “la saldatura di un diritto sempre meno preoccupato dell’effettività e della certezza con la morale neoliberale sia non solo il segno di una generale crisi del “giuridico”, ma allo stesso tempo il tentativo, disperato e fallimentare, di individuare una sfera legale eticamente immunizzata, che compensi la perdita di auctoritas delle istituzioni e l’inaridimento della sfera pubblica”. La teologia politica è così inestinguibile “in quanto esprime la struttura di fondo della metafisica politica moderna… L’unico modo per tenerla sotto controllo è riconoscerla, non contrapporvisi direttamente, o negarla. Se, come credo, la modernità può essere concepita come una forma di “auto-trascendenza dell’immanenza”, ciò significa che la teologia politica è un movimento interno alla modernità secolare”. Non è necessario che il fondamento sia di natura religiosa “Può essere anche di natura etico-politica, ideale (nella modernità matura è stato prevalentemente tale). Ma il punto è che il “contenuto etico” non può risolversi in compensazione soggettivistica, moralistica del vuoto d’identità collettiva”. Così “La teologia politica si ripropone oggi nella forma del simulacro. Non produce risposte politiche, ma surrogati di verticalità e di sicurezza”.

Resta il dubbio se vi siano forme di soggettività politica collocabili “oltre” la teologia politica, che l’autore ritiene auspicabili “di visioni politiche ambiziose, che non temano di confrontarsi con le “cose ultime”, abbiamo bisogno.. La politica come amministrazione va bene, forse, per tempi tranquilli. Non quando lo spirito torna a calzare gli stivali delle sette leghe”

Un saggio assai interessante ed esauriente, nel solco pensiero di Hobbes, Hegel e Schmitt.

Una notazione del recensore ad un libro così articolato e del quale ho cercato di rendere l’essenziale.

È noto che a partire da de Bonald, continuando per Donoso Cortes e arrivando a Maurice Hauriou la correlazione tra concezioni teologiche e forme politiche (non solo statali) è stato variamente affermato. Così per de Bonald il deismo era la concezione teologica sottesa al costituzionalismo liberale (il re che regna ma non governa), il teismo cattolico allo Stato assoluto; per Donoso Cortes il nocciolo del liberalismo era sempre deista, quello del socialismo ateo. Per Maurice Hauriou lo stato borghese era uno dei possibili esiti della dottrina teologica del diritto divino provvidenziale, mentre lo Stato assoluto lo era del diritto divino soprannaturale; il decano di Tolosa riteneva anche come questo fosse un  intervento (intervention) della metafisica sul diritto. Il quale ricopre come un guscio (couche) il fondo (fond) teologico, ma non può sfuggire a questa costante (o regolarità). La quale si manifesta chiaramente quando il diritto viene a mancare, come nel caso dei governi di fatto, fondati sulla “giustificazione teologica” e non sulla legalità delle procedure. Il fond teologico è così creatore di forme giuridiche. Resta da vedere quali forme possa creare il “pilota automatico” (versione tecnocratica della “mano invisibile”) tecno-globalista. Probabilmente nessuna (se coerente); ove apocrifo (e ipocrita) la consegna del destino delle comunità a poteri indiretti ed opachi. Colla prospettiva di avere un governo né visibile né responsabile.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Ucraina, il conflitto_36a puntata La volpe e l’uva Con Max Bonelli e Stefano Orsi

Siamo alla 36a puntata. La 35a è disponibile solo su rumble perchè YouTube ha deciso proditoriamente di rimuovere il filmato e di bloccare ogni registrazione successiva per otto giorni. Bakhmut sembra aver perso importanza per il regime ucraino dopo la sua caduta. Non si spiegherebbe però l’enorme dispendio di vite umane e di mezzi per la sua difesa. Si tratta in realtà di un boccone amaro per Zelensky e per i suoi mentori occidentali; difficile da inserire nella narrazione trionfalistica e rassicurante che imperversa sui nostri media. Le conseguenze di trenta anni di costruzione tormentata di uno stato, edificato e modellato in funzione antirussa, stanno venendo al pettine. Il nazionalismo straccione ed etnico che ha mosso l’oppressione e persecuzione di gran parte della propria popolazione, ma motivato, con le buone e le cattive, la parte restante si rivelerà per quello che è: un grande inganno che consegnerà quel che resta dell’Ucraina indipendente in una terra di nessuno, preda degli attuali mentori e paladini delle sue magnifiche sorti e progressive. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

Il filmato è disponibile solo su rumble. YouTube ha rimosso il video della 35a puntata e bloccato per otto giorni la pubblicazione di ulteriori video. Il probabile prodromo alla chiusura definitiva del canale.

https://rumble.com/v2pdv1g-ucraina-il-conflitto-36a-puntata-la-volpe-e-luva-con-max-bonelli-e-stefano-.html

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BALTENDEUTSCHE (1 e 2 di 4), di Daniele Lanza

BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 1 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Premessa essenziale : se anche al profano (penso) è nota la presenza e profonda influenza storica dell’elemento tedesco nel continente russo, è necessario sottolienare che l’espressione “origini tedesche” può significare cose assai differenti.
Il punto è che storicamente la presenza germanica in terra russa è il risultato, sintesi di fenomeni migratori avvenuti in epoche differenti ed in circostanze del tutto differenti il che da vita a gruppi sociali ed identità divergenti nonostante l’apparentemente comune ascendenza etnica. Nella sostanza i due nuclei più importanti sono i “Tedeschi del Volga” (universalmente noti, credo) e quelli del Baltico : di questi ultimi offro una breve descrizione oggi.
Signori e signore…………i più attenti tra voi avranno più o meno seguito le mie scanzonate sintesi sulla storia di PRUSSIA : ebbene, torniamo là al principio di tutto, facciamo un lunghissimo passo indietro fino agli albori…………
Ancora PRIMA della conquista vera e propria delle tribù prussiane da parte dell’ordine teutonico era già iniziata una penetrazione germanica nel Baltico, in forma di iniziativa militare : per esser esaurienti, Papa Innocenzo III assai prima che il suo successore (una generazione dopo) autorizzasse l’impresa teutonica, aveva già emesso a sua volta una bolla a proposito della cristianizzazione della terra LIVONICA (o patria dei “livi”. Con “livonico” allora si intendeva tutto l’elemento umano che oggi conosciamo come “estoni” e “lettoni”, grossomodo…..) : all’appello risponde un ordine cavalleresco germanico, nato come lontana branca dell’ordine templare inizialmente, ma poi divenuto entità indipendente sotto il nome di “FRATELLI DELLA SPADA”. Più precisamente “Fratres militiæ Christi Livoniae”, ossia fratelli livonici della spada (varianti in diverse lingue). Quando il pontefice riconosce quest’ordine guerriero, corrono gli stessi anni dell’organizzazione della 4° crociata….ossia 1202-1204. Le cose sono fatte in contemporanea.
I fratelli della spada, iniziano la loro piccola crociata da Riga e per una generazione mietono successi, arrivando a fondare laddove si trovavano le popolazioni livoniche pagane (la vecchia Livonia) un proprio territorio autonomo che assumerà il nome di “TERRA MARIANA” (Maarjamaa, l’appellativo estone romantico del XIX°-XX° sec., di questo antico potentato).
Questa “Terra mariana” verrà poi ancora gradualmente ingrandita da provincie limitrofe fino a comprendere uno spazio geografico che corrisponde più o meno alla Lettonia ed Estonia di oggi.
Insomma, decadi prima che i teutonici si mettessero all’opera, i fratelli livonici della spada si erano già costruiti una propria Terrasanta un po più a nord, ponendo le fondamenta di una duratura penetrazione germanica nella regione : nel 1215 è dichiarato territorio sotto il controllo di Roma e della Santa sede (nominalmente, chiaro).
D’altra parte tuttavia grava il fatto che i fratelli della spada non possiedono i numeri e le risorse per attuare una politica di germanizzazione su grande scala (paragonabile a quella teutonica in Prussia), rimanendo in tal modo l’elemento germanico una sottilissima presenza su una massa nativa sempre sul piede di guerra : in effetti a 30 anni dall’inizio dell’impresa la nostra cosiddetta Terra mariana è un territorio ancora NON del tutto pacificato.
Una battaglia dall’esito infelice (Saule) contro i lituani ancora pagani, rischia di annientare l’ordine e tutto quanto ha tentato di costruire : a questo punto il contesto storico offre loro una sola via di salvezza, che pare essere la più congeniale………..
I fratelli della spada accettano di fondersi nel più fortunato alveo dell’ordine teutonico : in breve, l’ordine livonico dei frateli della spada, sconfitto e morente si “salva” trasformandosi in una branca autonoma (conservano il nome , come un marchio) dell’ordine teutonico e portando in dote quanto sono riusciti a creare in una generazione ; la Terra mariana per logica conseguenza diventa parte della sfera di influenza teutonica, come una vicina colonia che diverrà presto parte dello stato monastico teutonico (pur mantenendo la propria denominazione). Correva l’anno 1236.
Da questo punto in avanti i fratelli della spada e la loro culla in terra mariana divenuti un sottoinsieme della potenza teutonica ne seguono fortune e cadute nel corso dei secoli successivi, fino alla conclusione storica di quest’ultima, ovvero il suo tracollo geopolitico nel tardo medievo a seguito delle sconfitte contro i monarchi polacchi nel corso del 400.
Attenzione ! La fine della potenza teutonica (e la scomparsa dello stesso ordine livonico della spada) NON comporta tuttavia la scomparsa dell’elemento germanico ormai insediatosi nel Baltico, anzi…………
(prosegue).
 
BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 2 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Ricapitoliamo : dopo 200 anni di successi, lo stato monastico dell’ordine teutonico collassa nel giro di una cinquantina di anni (secolo XIV°).
Nel suo disfacimento e declassamento a ducato vassallo dei re di Polonia, esso perde tutti i territori aggregati alla Prussia nel corso dell’età d’oro…..in primo luogo la nostra vecchia Livonia (o terra mariana). Se l’esistenza di una potenza germanica è (per il momento) tramontata sullo sponde del Baltico, non lo è tuttavia la presenza fisica e sociale di un elemento germanico sul territorio…….proviamo a spiegarne per quanto possibile questa dinamica.
Nel corso di 2 secoli sotto l’ombrello teutonico, era andata rafforzandosi una presenza tedesca nel territorio mariano : nulla di impressionante su un piano prettamente numerico, giusto una scarsa minoranza in mezzo alla massa autoctona (paragonabile ad un sottile foglio di carta appoggiato ad uno spesso tavolo), ma dotata di TUTTO il potere che la compagine socioculturale medievale può loro dare. I tedeschi nella Livonia costituiscono l’elite, la classe dominante (etno-culturalmente ben demarcata) la cui durata supererà il mezzo millennio (700 anni, tutti).
Dedico giusto una riga in più solo per sottolineare la particolarità di questa “durata”.
La minoranza tedesca del Baltico pur mantenendo salda coscienza della propria origine si fonde gradualmente con la massa autoctona. ATTENZIONE : “fondersi” in questo caso non significa “sciogliersi” all’interno di tale massa, bensì più cautamente appoggiarvisi sulla superficie, aderirvi fino ad apparire una cosa sola (l’elemento germanico non si preclude di cooptare ed aggregare elementi nativi laddove serva) : i tedeschi, per così dire, diventano parte integrante delle terre che abitano, parte dell’ecosistema (!) assieme (quasi in “armonia”, perlomeno nella compagine pre-moderna) all’elemento nativo estone/lettone preesistente a loro, pur mantenendo una linea di divisione.
Riformulo in modo ancor più essenziale : l’elemento tedesco anzichè mantenersi del tutto “straniero” (cosa che l’avrebbe condannato), diventa tutt’uno col proprio territorio e quindi col substrato etnico estone/lettone, senza tuttavia rinunciare al proprio status etno/sociale, configurandosi pertanto come un lenzuolo che va a ricoprire il mobile (…). In pratica essi diventano “lo strato superiore del substrato” (passatemi il gioco di parole).
I tedeschi diventano “baltici” tanto quanto gli autoctoni (questi ultimi tuttavia ridotti al duro servaggio della gleba) rispetto ai quali esiste una divisione sociale che tra l’altro, parla anche un’altra lingua (pare una contraddizione in termini…..”unità nella divisione”). Ritengo che sia il cuore dell’etnogenesi del “tedesco del baltico”.
Tale processo porta un vantaggio storico non calcolabile.
Divenendo i tedeschi “parte integrante” del territorio, la loro presenza NON è più dipendente dalle fortune di una specifica potenza dominante o da una particolare congiuntura storico-politica, bensì è un elemento FISSO che trascende le sorti del dominatore di turno : non importa CHI il turbine della storia designi come vincitore del momento (che sia il re di Polonia o lo zar di Russia o i monarchi svedesi)………i tedeschi del Baltico rimangono sempre lì, inamovibili, in fin dei conti al servizio di chi prevarrà nella determinata situazione.
L’artistocrazia baltica (totalmente tedesca), slegata dalle mutevoli sorti dei regnanti russi, svedesi o polacchi, naviga senza troppe scosse i flutti della storia, in privilegiata beatitudine……
Ragion per cui, il collasso dello stato teutonico, tanto quanto i cambiamenti di bandiera e gli assestamenti geopolitici dei 250 anni che seguono NON alterano la struttura fondamentale della società baltica.
Nessuno tuttavia è del tutto immune alla storia, naturalmente, in quanto le dinamiche che si mettono in moto a partire da Pietro il grande porteranno novità di grande rilievo nella vita di questa piccola comunità…
(prosegue).

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IL SABOTAGGIO DEL NORD STREAM: UN ATTO DI GUERRA CONTRO LA RUSSIA E L’EUROPA NELL’INTERESSE DI WASHINGTON E DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI? di PIERRE-EMMANUEL THOMANN

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream e il dibattito su chi ne sia responsabile rimarranno uno dei grandi episodi di disinformazione del campo atlantista nel conflitto in Ucraina. Probabilmente non ci sarà mai una conferma ufficiale di chi ha ordinato questo atto di terrorismo di Stato, perché si sta facendo di tutto per insabbiare il tutto.

I governi interessati, Berlino e Parigi in particolare, sono in uno stato di complice stupore. Il loro silenzio su questa vicenda, o il rimescolamento delle tracce, sostenuto dai media dominanti e dagli pseudo-esperti che passano in loop sulle televisioni per trasmettere le narrazioni atlantiste, si spiega facilmente. Non possono rivelare al loro popolo che il loro cosiddetto principale alleato, Washington, ha commesso un atto di guerra contro i suoi stessi alleati, poiché ciò dimostrerebbe che il conflitto in Ucraina è una guerra provocata e mantenuta da Washington, non solo contro la Russia, ma contro l’intera Europa. L’intero discorso della cosiddetta unità occidentale e transatlantica verrebbe irrimediabilmente incrinato.

Non appena i gasdotti sono esplosi nel settembre 2022, mentre la Russia è stata immediatamente additata dagli esperti al servizio del campo atlantista, Mosca ha accusato Washington di essere dietro questo atto terroristico. Le rivelazioni del giornalista investigativo americano Seymour Hersh[1] sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream hanno tuttavia rafforzato la tesi della responsabilità di Washington. Non sorprende che questa versione sia stata messa al bando dai media mainstream, portavoce dei governi degli Stati membri dell’UE e della NATO. Il maldestro tentativo di diversione di Washington attraverso il New York Times[2], che indicava la responsabilità di un gruppo filo-ucraino, non ha convinto nessuno e il Ministro della Difesa ucraino è stato costretto a smentire, un raro episodio in cui il regime di Kiev è stato costretto a contraddire il suo mentore[3].

Va inoltre ricordato che Washington aveva esplicitamente annunciato l’intenzione di sbarazzarsi dei gasdotti per voce del presidente Biden[4]. Gli Stati coinvolti nell’inchiesta hanno anche sottolineato che i risultati delle indagini sarebbero rimasti confidenziali, poiché la verità non è ovviamente bella da raccontare[5]. L’ipotesi che Washington sia responsabile del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è quindi la pista più probabile, e di fatto l’unica credibile.

La mancanza di reazioni da parte dei governi degli Stati europei interessati, Germania, Francia e Paesi Bassi, che sono stati direttamente presi di mira da questo atto terroristico assimilabile a un asso di guerra, rivela il grado di sottomissione geopolitica senza precedenti di questa classe politica a Washington,

E se analizziamo questo evento da un punto di vista geopolitico, arriviamo alla stessa conclusione: la responsabilità di Washington. Se si inserisce questo atto di guerra nel contesto del progetto geopolitico “Iniziativa dei tre mari”, avviato da Varsavia con il sostegno di Washington, ma immaginato da un think tank americano, si scopre il rovescio delle carte geopolitiche.

L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari (STI) riunisce dodici Paesi dell’Europa centrale e orientale situati tra i mari Baltico, Nero e Adriatico: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia, Croazia, Slovenia e Austria. Altri quindici partecipanti hanno scelto di aderire ad alcuni progetti, tra cui l’Ucraina. Lo scopo dell’iniziativa è rafforzare la connettività all’interno di quest’area geografica attraverso lo sviluppo di infrastrutture di trasporto stradale, ferroviario e fluviale, infrastrutture energetiche come gasdotti e reti elettriche e infrastrutture digitali. Gli obiettivi dichiarati sono il rafforzamento dello sviluppo economico, la coesione all’interno dell’Unione Europea e i collegamenti transatlantici[6].

 

 

Carte 1

 

L’idea centrale è quella di sviluppare le infrastrutture energetiche e di comunicazione lungo un asse nord-sud, poiché le attuali infrastrutture sono orientate in direzione est-ovest dalla Russia. Questa infrastruttura ereditata storicamente è vista come una dipendenza geopolitica da Mosca, ma promuove anche il dominio economico della Germania dopo l’allargamento dell’UE ai Paesi dell’Europa centrale e orientale. L’Iniziativa dei Tre Mari è stata inaugurata congiuntamente nel 2016 da Polonia e Croazia. Formalizzata in occasione del primo vertice tenutosi a Dubrovnik il 25-26 agosto 2016, un secondo vertice si è tenuto a Varsavia il 6-7 luglio 2017. Il progetto ha iniziato ad attirare l’attenzione di altri membri dell’UE, non da ultimo per la presenza di Donald Trump.

Il presidente austriaco Alexander Von der Bellen ha sottolineato che il progetto ha avuto origine dai think tank americani[7] ed è stato fin dall’inizio attivamente promosso dal think tank atlantista Atlantic Council. Ian Brzezinski, figlio di Zbigniew Brzezinski, sostiene attivamente l’Iniziativa dei Tre Mari come consulente strategico dell’Atlantic Council[8] Una pubblicazione di questo think tank prefigura l’Iniziativa dei Tre Mari in modo molto preciso già nel 2014[9], ossia durante la presidenza Obama. Essa promuove un corridoio di trasporto nord-sud, in linea con gli interessi geopolitici degli Stati Uniti, al fine di garantire la resistenza dei Paesi dell’Europa centrale e orientale alla Russia.

LE ORIGINI GEOPOLITICHE DEL PROGETTO E IL SUO ATTUALE RILANCIO

Le origini dell’Iniziativa dei Tre Mari risalgono a molto tempo fa. La TMI è l’erede delle rappresentazioni geopolitiche polacche emerse dopo la Prima guerra mondiale, più precisamente del progetto Intermarium (traduzione latina di Międzymorze in polacco) del generale Josef Pilsudski. Le idee chiave di questo vecchio progetto sono riemerse nell’attuale configurazione geopolitica. Poiché la Polonia era stata fatta a pezzi più volte nel corso della sua storia a vantaggio dell’Impero tedesco e della Russia, il generale Pilsudski cercò, già negli anni Venti, di promuovere un’Europa centrale e orientale al riparo dagli appetiti geopolitici dei suoi vicini, creando una federazione di Stati situati tra il Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Adriatico – l’Intermarium – per proteggersi dall’URSS e dalla Germania. Il progetto del generale Pilsudski doveva garantire la sopravvivenza della Polonia, ma fu abbandonato alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, l’idea sopravvisse nella diaspora polacca negli Stati Uniti, vicina agli strateghi americani. Questo ha portato a una forte sinergia tra le visioni geopolitiche americane e polacche dalla Guerra Fredda a oggi[10]. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi una rivisitazione polacco-americana dell’Intermarium. Inizialmente, per Varsavia, l’Intermarium mirava a promuovere una terza via tra l’impero russo e quello tedesco. Ma oggi la configurazione geopolitica è diversa perché Polonia e Germania, entrambe membri dell’Alleanza Atlantica, sono ormai alleate. Non c’è quindi più la volontà di formare un’Europa di mezzo indipendente dall’UE e dalla NATO. Oggi il progetto viene proposto con argomenti geoeconomici, come la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo e l’egemonia economica e politica tedesca nell’UE. Tuttavia, la posta in gioco geostrategica è molto reale e rimane implicita: dal ritorno della rivalità tra le potenze europee e mondiali – Russia, Stati Uniti, Cina e Stati membri dell’UE – è riemerso il dilemma geopolitico dell’Europa centrale e della sua sicurezza. I Paesi dell’UE dell’Europa centrale e orientale e la NATO sono ora visti come poli geopolitici. Sebbene la configurazione internazionale sia cambiata, la geografia e le costanti geopolitiche rimangono e la percezione che la Polonia ha della propria sicurezza deriva da rappresentazioni storiche che persistono indipendentemente dai governi. La sfiducia di Varsavia nei confronti della Russia ha ricevuto nuovo impulso dalla crisi ucraina del 2014 e i polacchi sono desiderosi di consolidare la propria sicurezza. Ai loro occhi, la coppia franco-tedesca non è considerata del tutto affidabile, in quanto troppo accomodante nei confronti della Russia, e l’UE è troppo divisa per affermarsi. Il progetto mira quindi a svilupparsi in sinergia con l’UE e la NATO. Il primo obiettivo dei polacchi è quello di contenere la Russia, percepita come la principale minaccia, ma anche di bilanciare la Germania, con la quale si sono accumulati disaccordi. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi, per la Polonia, un progetto volto a ridurre la dipendenza da Mosca e a mantenere il legame transatlantico. Per Varsavia e i suoi alleati nella TMI, l’alleanza privilegiata con gli Stati Uniti è ritenuta necessaria per aumentare il loro margine di manovra nell’UE. L’attenzione alla minaccia russa consente alla Polonia di posizionarsi come perno geopolitico regionale sul fianco orientale della NATO. Le viene assicurato il sostegno degli Stati Uniti per diventare il leader regionale dell’UE e della NATO. Varsavia è coinvolta in molti progetti di difesa con gli Stati Uniti[11], un settore in cui l’UE rimane secondaria nonostante i recenti progressi. L’UE è tuttavia un’organizzazione utile per ottenere finanziamenti – fondi strutturali e di coesione – per le infrastrutture[12].12 La diffidenza nei confronti della Germania si è inoltre cristallizzata in seguito alla messa in funzione del gasdotto Nord Stream I[13], inaugurato nel 2001, che rifornisce Berlino di gas russo attraverso il Mar Baltico e che doveva essere raddoppiato dal Nord Stream II. Questo progetto è stato descritto in modo fuorviante da Varsavia come il “secondo patto Molotov-Ribentrop”. Vecchie rappresentazioni storiche sono state riattivate in questa occasione, illustrando la permanenza delle paure storiche dei Paesi dell’Europa centrale nei confronti delle potenze vicine che li hanno sempre dominati.

LA SINERGIA TRA NATO, PARTENARIATO ORIENTALE DELL’UE, PESCO
E L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

I polacchi sono riusciti a far convergere a loro vantaggio le varie iniziative prese a livello europeo, come il Partenariato orientale dell’UE, ma anche il nuovo programma PESCO[14] lanciato da Bruxelles nel campo della difesa. Il loro obiettivo è attrarre il massimo dei finanziamenti europei per le loro priorità. – La componente principale del programma PESCO è il progetto “Mobilità”[15], che mira a potenziare e sviluppare le infrastrutture per migliorare la mobilità delle forze armate della NATO. Questa priorità è anche un obiettivo dei dipartimenti per le infrastrutture della Commissione europea[16], sottolineato nella Dichiarazione congiunta NATO-UE[17]. Il legame tra l’Iniziativa dei Tre Mari e gli interessi dell’Alleanza Atlantica è quindi evidente. Il generale americano Ben Hodges, ex comandante delle forze americane in Europa (EUCOM), ha dichiarato che l’infrastruttura del progetto PESCO corrispondente alle priorità dell’Iniziativa dei Tre Mari – in particolare la Ferrovia Baltica e la Via Carpatia – era una priorità[18]. Il Partenariato orientale dell’UE è stato concepito dai polacchi e promosso con gli svedesi. Nasce dalla dottrina Sikorski, che mira a creare una zona cuscinetto contro la Russia[20]. Pertanto, il Partenariato orientale, l’Iniziativa dei tre mari e il progetto PESCO fanno parte della strategia di sicurezza di Varsavia nei confronti di Mosca. Il desiderio del governo polacco di ospitare una base militare della NATO sul proprio territorio è un’altra prova della coerenza delle intenzioni polacche. Questa convergenza di progetti a livello regionale permette di percepire che la Polonia sfrutta l’Iniziativa dei Tre Mari come strumento di influenza e sviluppo economico, ma anche come strumento per garantire la propria sicurezza. Varsavia si affida anche agli Stati Uniti, impegnati in una manovra a livello europeo – soprattutto per contenere la Germania e mantenere l’UE sotto la propria influenza – ma anche su scala globale nei confronti di Russia e Cina. Esaminiamo questi aspetti.

LA SINERGIA TRA L’INIZIATIVA DEI TRE MARI E IL PROGETTO GEOPOLITICO STATUNITENSE :
LA RIVALITÀ CON RUSSIA E GERMANIA

Se ci riferiamo alla posta in gioco geopolitica su scala globale, l’Iniziativa dei Tre Mari è un progetto che è anche in linea con le priorità geopolitiche degli Stati Uniti. Il loro coinvolgimento nel progetto, fin dal suo inizio, è coerente con la loro manovra strategica nei confronti dell’Eurasia per contrastare Russia e Cina, ma anche con la loro ambizione di diventare un grande esportatore di gas di scisto.

 


Carte 2

 

L’obiettivo prioritario di Washington è infatti il controllo dell’Eurasia. Questa preoccupazione di lunga data viene ora esplicitamente riaffermata per preservare la propria leadership globale e rallentare l’emergere di un mondo multipolare[21]. 21] Con notevole continuità, la strategia degli Stati Uniti è quindi quella di opporsi alla Russia e di allargare il Rimland (secondo la dottrina geopolitica di Spykman), ma anche di frammentare l’Eurasia (secondo la dottrina di Mackinder) e di staccare l’Ucraina dalla Russia (dottrina di Brzezinski). Questa costante geopolitica è stata riaffermata alla fine della Guerra Fredda con la dottrina Wolfowitz (1992). Egli sottolineò che la missione dell’America nell’era post-Guerra Fredda sarebbe stata quella di garantire che nessuna superpotenza rivale emergesse in Europa occidentale, in Asia o nel territorio dell’ex Unione Sovietica[22]. Anche la rappresentazione strategica di Zbigniew Zbrezinski[23] – che pone come obiettivo la frammentazione geopolitica del continente eurasiatico per realizzare una maggiore integrazione degli Stati dell’Europa occidentale nello spazio euro-atlantico su un asse Parigi-Berlino-Kiev – ha avuto un’importante influenza[24] sull’amministrazione statunitense. Questo obiettivo è stato esplicitamente ripreso da Wess Mitchell, assistente segretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia presso il Dipartimento di Stato sotto il presidente Donald Trump. Egli sostiene un ulteriore consolidamento degli Stati Uniti nel Rimland europeo[25]. 25] Questa strategia, combinata con quella nella regione indo-pacifica, garantisce che gli Stati Uniti circondino il continente eurasiatico. L’Iniziativa dei Tre Mari si inserisce perfettamente in questa visione ed è uno degli strumenti di Washington. Gli Stati Uniti stanno nuovamente reinvestendo nell’Europa centrale e orientale come parte della loro manovra verso l’Eurasia. La Polonia è il punto di riferimento per gli Stati Uniti per mantenere il proprio dominio sul progetto europeo, ed è per questo che gli Stati Uniti stanno cercando di rafforzare il peso di Varsavia nell’UE. Anche l’Ucraina era destinata a diventare più importante nell’ambito dell’Iniziativa dei Tre Mari. In effetti, il collegamento di Kiev con l’Europa occidentale era già nei piani iniziali e conferma il carattere geopolitico di questo progetto. Il ruolo dell’Ucraina è quello di territorio di transito per i corridoi energetici che evitano la Russia attraverso l’asse dell’Asia centrale.

L’intervento russo in Ucraina a partire dal 2023 ha vanificato questi piani, almeno per quanto riguarda l’inclusione di Kiev nel progetto, opzione che rimane dipendente dall’esito del conflitto. È in questo contesto che l’Iniziativa dei Tre Mari è stata sostenuta da Donald Trump durante la sua partecipazione al vertice di Varsavia[26] nel 2017. Il forte sostegno del presidente alla TMI statunitense rientra ovviamente nella rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Russia. Ma è anche legato al desiderio di Washington di esportare il suo gas di scisto, che è diventato un’arma geopolitica per gli Stati Uniti.[27] Questo sostegno può essere compreso anche nel contesto di una rivalità che è diventata esplicita tra Stati Uniti e Germania. La politica “America First!” di Donald Trump – un obiettivo che un tempo era più implicito che esplicito – ha comportato un’intensa pressione politica sulla Germania, dando maggior peso alle critiche della Polonia. Collegando energia e sicurezza[28], Trump ha accusato Berlino di importare gas russo, di aggravare il deficit commerciale degli Stati Uniti e di non contribuire abbastanza finanziariamente alla NATO. Queste pressioni hanno spinto Berlino a importare gas di scisto statunitense e ad aprire un porto per il gas naturale liquefatto (LNG) nel nord della Germania. Tuttavia, Berlino ha continuato a difendere strenuamente il progetto del gasdotto Nord Stream II contro il parere di Washington e Varsavia, fino all’avvio dell’operazione speciale russa nel febbraio 2022.

IL SABOTAGGIO DI WASHINGTON AL NORD STREAM: UN ATTO IN SINERGIA CON GLI OBIETTIVI DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI
DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI

L’arma energetica come strumento geopolitico è particolarmente importante per Washington. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, un’infrastruttura che evitava l’Ucraina ma favoriva la Russia e la Germania, deve essere visto nel contesto dell’attuale conflitto, dove alza la posta in gioco e fa salire la posta in gioco. Lo scoppio del conflitto in Ucraina provocato da Washington e Londra – in particolare a causa del progetto di allargamento della NATO – è stata l’occasione per prendere decisioni radicali per indebolire la Russia e gli Stati europei, in particolare la Germania, ma anche la Francia, allo stesso tempo. Gli Stati Uniti hanno l’ambizione di esportare il loro gas di scisto a scapito delle compagnie energetiche europee coinvolte nell’esplorazione delle risorse in Siberia (Russia) e nel progetto del gasdotto Nord-Stream II. Fin dall’inizio dell’operazione speciale russa in Ucraina, gli Stati Uniti hanno fatto pressione sugli alleati della NATO affinché bloccassero le importazioni di gas dalla Russia attraverso i gasdotti Nord Stream, ma non quelle attraverso i gasdotti che attraversano l’Ucraina, per dare risorse e leva a Kiev. Washington ha ottenuto questo risultato e il sabotaggio del Nord Stream nel settembre 2022 le ha permesso di assicurarsi questo guadagno, chiarendo alla Germania e ai suoi partner che non ci sarebbe stato alcun problema a utilizzare questi gasdotti una volta terminato il conflitto, poiché la Russia ha pianificato di ripararli[29], gli Stati Uniti costringono così gli europei a un radicale riorientamento geopolitico in direzione degli obiettivi dell’Iniziativa dei Tre Mari, che mira in ultima analisi a staccare la Russia dall’Europa occidentale riorientando le infrastrutture energetiche e di trasporto e rendendole più dipendenti dal gas di scisto americano. L’Unione Europea è così ridotta al rango di zona cuscinetto nella manovra americana in Eurasia, di cui sta diventando una periferia sempre più divisa e strumentalizzata da Washington.

COSTRINGERE LA GERMANIA A SCEGLIERE DA CHE PARTE STARE E A STACCARSI DALLA RUSSIA

Vale la pena sottolineare la posizione di Berlino nel progetto. Oggi la Germania è una potenza centrale che persegue la sua espansione verso i Paesi dei Balcani, dell’Europa orientale e delle repubbliche dell’ex URSS (Ostmitteleuropa). L’ideologia che sta alla base di questa espansione è diversa da quella pangermanista della vigilia della Prima guerra mondiale, in quanto viene ora portata avanti in nome dell'”occidentalizzazione” e dell'”europeizzazione” del suo fianco orientale, da cui la crescente rivalità geopolitica con la Russia. Ma se l’ideologia cambia, i tropismi geografici restano. Da un punto di vista geopolitico, la Germania cerca di portare i Paesi dell’Europa centrale e orientale – compresa l’Ucraina – nello spazio euro-atlantico. Il sostegno degli Stati Uniti all’Iniziativa dei Tre Mari, nel contesto di crescenti disaccordi con Donald Trump, ha indubbiamente spinto Berlino a partecipare al TMI per evitare che diventi troppo antitedesco e per contrastare la politica statunitense di sostegno alle iniziative della Polonia. I governi tedeschi che si sono succeduti stanno quindi perseguendo la costruzione di una zona cuscinetto a est, di fronte alla Russia, attraverso il Partenariato orientale dell’UE, che il GTI completa.

Dal punto di vista economico, la Germania conta anche sull’apertura dei mercati dei Paesi del Partenariato orientale, in particolare dell’Ucraina. Berlino si considera responsabile della traiettoria geopolitica di questo Paese e utilizza la narrativa euro-atlantica per raggiungere il suo obiettivo. Tuttavia, fino allo scoppio dell’offensiva russa, la Germania riteneva di aver bisogno del gas e del petrolio russo per mantenere il suo status di potenza economica. Tuttavia, rimane ancora sotto la protezione militare degli Stati Uniti, con l’ombrello nucleare statunitense come ultima difesa del territorio tedesco. Il sostegno al progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari e l’accettazione delle importazioni di gas di scisto dagli Stati Uniti sono stati probabilmente visti da Berlino come il prezzo da pagare per preservare il Nord Stream II e la sua posizione di potenza centrale nell’UE, stando attenta a contenere l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti verso Mosca[30]. Tuttavia, il sostegno della Germania all’ITM non ha cancellato la sfiducia di Varsavia nei confronti di Berlino, molto pronunciata negli ambienti conservatori e filoamericani[31] in Polonia e nella diaspora statunitense. Varsavia si trova quindi di fronte al dilemma di mantenere la presa sull’Iniziativa dei Tre Mari, ma allo stesso tempo di attrarre i finanziamenti dell’UE con il sostegno tedesco.

Con l’aggravarsi della crisi ucraina nel 2022, Washington ha deciso che non avrebbe più tollerato l’equilibrismo tedesco di combinare un’alleanza strategica con la NATO e un’alleanza energetica con la Russia. Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti costringe Berlino a scegliere definitivamente il campo occidentale contro la Russia e ad abbandonare la politica di equilibrio a favore dell’egemonia geostrategica e geoeconomica americana.

Il dominio indiviso di Washington è reso possibile anche dall’incapacità di francesi e tedeschi di trovare un accordo su un’architettura di sicurezza europea che dia all’UE una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti, come sulle questioni energetiche in cui rimangono rivali. La decisione della Germania di abbandonare l’energia nucleare e di affidarsi pesantemente alle importazioni di gas russo, senza consultarsi con la Francia, spiega probabilmente la mancata reazione di Parigi al sabotaggio americano, secondo un sentimento di schadenfreude (“gioire delle disgrazie altrui”), anche se anche gli interessi di Parigi sono colpiti. Anche il campo atlantista francese, che aveva sempre temuto l’asse russo-tedesco, si è rafforzato. La rivalità geopolitica franco-tedesca è una falla del progetto europeo che gli americani hanno sempre sfruttato per indebolirlo e orientarlo a proprio vantaggio.

IL SUCCESSO DELLA STRATEGIA AMERICANA E LO SPOSTAMENTO DEL BARICENTRO DELL’UE

Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti rientra nella strategia geopolitica di frammentare il vecchio continente per silurare qualsiasi accordo europeo – ma anche eurasiatico – e la costituzione di un asse Parigi-Berlino-Mosca. Inoltre, Washington è determinata a continuare il suo accerchiamento dell’Eurasia contro la Russia e la Cina, al fine di preservare la sua supremazia in Europa e nel mondo. L’Iniziativa dei Tre Mari è uno degli strumenti di questa strategia. In questo contesto, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream è un atto di guerra contro la Russia, ma anche contro la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, e un attacco alla loro sovranità. È un atto di ostilità contro l’idea di un progetto europeo indipendente che includa la Russia, secondo la visione gollista di un'”Europa europea” che si oppone all'”Europa americana”.

L’UE è l’ultima area del mondo in cui gli Stati Uniti possono ancora esercitare la loro egemonia senza alcun ostacolo reale. Ma a lungo termine possono mantenere la pressione sulla classe politica del vecchio continente solo terrorizzando gli europei con atti come il sabotaggio dei gasdotti. La politica di Washington, dettata da ideologi neoconservatori spinti a preservare la supremazia americana a tutti i costi, rappresenta una grave minaccia geopolitica per le nazioni europee, in particolare per Francia e Germania. La loro mancanza di reazione si spiega con l’asservimento geopolitico dei loro governi, la cui legittimità si basa unicamente sull’appartenenza al campo atlantista sotto la guida di Washington, a cui hanno giurato fedeltà, e non più sui loro popoli, che sono incapaci di proteggere. Parigi e Berlino sono così impegnate in una corsa a perdifiato che le pone in una situazione di cobelligeranza con la Russia, a tutto vantaggio degli interessi americani e del loro strumento, il regime di Kiev. Le conseguenze prevedibili per gli europei sono una nuova crisi economica, una deindustrializzazione a vantaggio degli Stati Uniti, un abbassamento del tenore di vita e una destabilizzazione duratura del continente attraverso un conflitto militare che potrebbe portare a una terza guerra mondiale.

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari, che attrae sempre più investimenti dall’UE e dalla Germania, sta spostando il baricentro geopolitico dell’Unione Europea verso est. Il consolidamento della Germania in una posizione centrale e la conferma di una spaccatura tra la Russia e un’UE dominata dalle priorità tedesche e polacche, sostenute dagli Stati Uniti, rafforzeranno gli squilibri geopolitici in Europa. Tale sviluppo va a scapito dell’asse franco-tedesco e aggrava la rivalità con la Russia. Tuttavia, il possibile indebolimento economico della Germania – il cui accesso al gas e al petrolio russo a basso costo è ora più limitato – potrebbe ridurre il suo vantaggio geopolitico.

Dopo la riunificazione tedesca e l’allargamento dell’UE in Europa centrale e orientale, sta emergendo una nuova rivalità geopolitica tra Germania e Francia[32]. 32] In effetti, il rafforzamento dello status di potenza centrale della Germania contraddice il progetto d’avanguardia franco-tedesco e il progetto di un’Europa a più cerchi difeso dalla Francia. In passato, Parigi ha cercato di riequilibrare l’UE verso il Mediterraneo per contrastare lo spostamento del suo baricentro geopolitico verso est, provocando a sua volta iniziative come il Partenariato orientale[33] .

La crisi economica può rallentare l’ascesa dell’Iniziativa dei Tre Mari, ma se i flussi energetici dalla Russia si prosciugheranno, il suo obiettivo geopolitico sarà raggiunto. Il suo consolidamento si tradurrà in una politica di compensazione nei confronti della Francia, come è stata praticata dopo la riunificazione tedesca? Secondo i piani di Washington, l’ITM dovrebbe consentire di trasformare gli Stati membri dell’UE in “Stati di facciata” contro la Russia, perché l’Europa sarebbe tagliata fuori dal suo spazio orientale, come durante la Guerra Fredda, il che le impedirebbe di condurre una politica di equilibrio.

Berlino e Parigi oseranno mai reagire al sabotaggio dei gasdotti? La Francia sfiderà finalmente la corsa a capofitto dell’UE verso est? Per quanto riguarda l’Iniziativa dei Tre Mari, non c’è motivo per Parigi di partecipare, attraverso l’UE, al finanziamento di un progetto che porta alla sua emarginazione geopolitica. Se la costruzione di infrastrutture tra i Paesi dell’Europa centrale e orientale è legittima, l’interruzione dei flussi in direzione est-ovest deve essere evitata. È nell’interesse della Francia che gli Stati che partecipano alla GTI si pongano come ponti tra la Russia e l’UE, come l’Ungheria, e non come un sottoinsieme ferocemente opposto a Mosca, che frattura l’Europa.

Nel 2014, la Russia aveva offerto all’Ucraina di aderire al suo progetto di Unione eurasiatica, ma il colpo di Stato a Kiev ha riorientato il Paese verso lo spazio euro-atlantico e un accordo di libero scambio con l’UE. La Russia ha poi sviluppato nel 2016 il progetto della Grande Eurasia, che non era chiuso alla partecipazione dell’UE perché la sua visione era quella di una convergenza di interessi geopolitici comuni a tutto il continente[34]. L’Iniziativa dei Tre Mari, che tende a favorire le relazioni Nord-Sud, è in contraddizione con la visione Est-Ovest che la Russia cerca di mantenere. Dal febbraio 2022 si è diffusa l’isteria di una minaccia russa, che in realtà non esiste per i membri della NATO[35], anche se il conflitto attuale è dovuto principalmente alla mancata considerazione degli interessi di sicurezza della Russia. Mosca reagisce in base alle proprie percezioni, che derivano dal senso di accerchiamento da parte della NATO a causa del suo allargamento, dell’installazione di basi statunitensi in Europa orientale e del nuovo progetto di difesa missilistica. Le crisi georgiana (2008) e ucraina si inseriscono in questo contesto[36].

È necessario un migliore equilibrio geopolitico in Europa per evitare l’egemonia di Washington, che trascina la Francia e gli europei in conflitti contro la Russia e la Cina, a scapito dei loro interessi e ad esclusivo vantaggio dei neoconservatori di Washington e delle burocrazie allineate della NATO e dell’UE. Un confronto a lungo termine con Mosca deve essere evitato, in quanto si ripercuoterebbe su tutta l’Europa e sulla sua vicinanza geografica.

Al termine dell’attuale conflitto, la politica migliore per la Francia sarebbe quella di affermarsi come potenza equilibratrice attraverso un riavvicinamento franco-russo per controbilanciare l’asse euro-atlantico sotto l’egemonia americana. Praticare l’equilibrio non è neutralità, ma permette di controbilanciare il polo troppo dominante con un altro. Sarebbe saggio per la Francia e gli Stati aperti a una ripresa delle relazioni con la Russia – Italia, Spagna, Grecia, Cipro, ma anche Ungheria e Croazia, e auspicabilmente la Germania, se si stacca dalle sue illusioni atlantiste – promuovere un nuovo equilibrio più favorevole ai loro interessi.

Se Mosca rimane in conflitto con quello che chiama “Occidente collettivo”, la cooperazione con i Paesi occidentali – quelli dell’era della Guerra Fredda – rimarrà comunque rilevante, secondo il Cremlino. 37] Su scala globale, la sfida per gli europei è evitare un possibile condominio americano-cinese e la Russia può giocare un ruolo importante in questa prospettiva. Una nuova architettura di sicurezza europea, spesso citata ma mai attuata, che includa la Russia e l’Ucraina, rimane la condizione non solo per la pace in Europa, ma anche per il rilancio del progetto europeo verso un’Europa di nazioni sovrane, alleate e interdipendenti su scala continentale.

 


 

[1] https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

[2] https://www.nytimes.com/2023/03/07/us/politics/nord-stream-pipeline-sabotage-ukraine.html

[3] https://www.reuters.com/world/europe/zelenskiy-aide-kyiv-absolutely-not-involved-nord-stream-attack-2023-03-07/

[4] https://www.youtube.com/watch?v=k93WTecbbks

[5] https://www.epochtimes.fr/la-suede-quitte-lenquete-conjointe-sur-la-fuite-du-nord-stream-et-refuse-de-partager-ses-conclusions-invoquant-la-securite-nationale-2135764.html

[6] « The overarching pillars of the Three Seas Initiative are threefold – economic development, European cohesion and transatlantic ties. The changing nature of global environment calls for their strengthening in order to be able to face new challenges and overcome dynamic threats.

Firstly, the Initiative seeks to contribute to the economic development of the Central and Eastern Europe through infrastructure connectivity, mainly, but not only on the North-South axis, in three main fields – transport, energy and digital.

The second objective is to increase real convergence among EU Member States, thereby contributing to enhanced unity and cohesion within the EU. This allows avoiding artificial East-West divides and further stimulate EU integration.

Thirdly, the Initiative is intended to contribute to the strengthening of transatlantic ties. The US economic presence in the region provides a catalyst for an enhanced transatlantic partnership. » (https://www.three.si/2019-summit).

[7] https://www.bundespraesident.at/aktuelles/detail/drei-meere-initiative-2018

[8] http://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/the-three-seas-summit-a-step-toward-realizing-the-vision-of-a-europe-whole-free-and-at-peace

[9] http://www.atlanticcouncil.org/images/publications/Completing-Europe_web.pdf

[10] Laruelle Marlène, Riviera Ellen, Imagined Geographies of Central and Eastern Europe: The Concept of Intermarium, Institute for Russian European, and Eurasian studies, The Georges Washington University, IERES Occasional Papers, March 2019 (https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/laruelle-rivera-ieres_papers_march_2019_1.pdf).

[11] Montgrenier Jean-Sylvestre, Dubois-Grasset Jeanne, La Pologne, acteur géostratégique émergent et puissance européenne, http://institut-thomas-more.org/2018/06/30/la-pologne-acteur-geostrategique-emergent-et-puissance-europeenne/

[12] https://www.ft.com/content/2e328cba-c8be-11e8-86e6-19f5b7134d1c

[13] https://www.ft.com/content/eb1ebca8-9514-11e5-ac15-0f7f7945adba

[14] « Permanent Structured Cooperation ». Ce projet a pour objectif de rendre la politique de sécurité et de défense européenne plus contraignante. Les États membres s’engagent à mettre en œuvre ensemble des projets de défense sélectionnés.

[15] https://www.consilium.europa.eu/media/32079/pesco-overview-of-first-collaborative-of-projects-for-press.pdf

[16] https://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/news/2018-03-28-action-plan-military-mobility_en

[17] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2016/07/08/eu-nato-joint-declaration/

[18] https://biznesalert.pl/hodges-centralny-port-komunikacyjny-mobilnosc-nato/

[19] https://www.politico.eu/article/dont-put-us-bases-in-poland/

[20] https://wikileaks.org/plusd/cables/08WARSAW1409_a.html

[21] Foucher Michel, La bataille des cartes, Analyse critique des visions du monde, Françoise Bourin, 2011.

[22] https://www.nytimes.com/1992/03/08/world/us-strategy-plan-calls-for-insuring-no-rivals-develop.html

[23] Brzezinski Zbigniew, The Grand Chessboard: American Primacy and its Geostrategic Imperatives, Basic Books, 1997.

[24] Justin Vaïsse, Zbigniew Brzezinski, stratège de l’empire, Odile Jacob, 2016.

[25] Selon Mitchell, l’objectif des Etats-Unis est d’éviter la domination des masses eurasiennes par des puissances hostiles. Ainsi, il précise que « lors de trois guerres mondiales, deux chaudes et une froide, nous avons aidé à unifier l’Occident démocratique pour empêcher nos opposants brutaux de dominer l’Europe et le Rimland à l’ouest de l’Eurasie »[25]. Sans surprise, la Russie et la Chine sont désignées comme les adversaires stratégiques des Etats-Unis alors que la Guerre froide est terminée depuis plus d’un quart de siècle, car ils « contestent la suprématie des USA et leur leadership au XXIe siècle.» On retrouve donc avec constance l’objectif des Etats-Unis de contrôler l’Eurasie afin d’empêcher un rival géopolitique d’y émerger à nouveau et de relativiser leur propre puissance mondiale (https://ee.usembassy.gov/a-s-mitchells-speec).

[26]  Le Président Donald Trump a déclaré lors du sommet de l’Initiative des trois mers le 6 juillet 2017 à Varsovie que « L’Initiative des Trois Mers transformera et reconstruira l’ensemble de la région et veillera à ce que vos infrastructures, tout comme votre engagement en faveur de la liberté et l’état de droit, vous lient à toute l’Europe et, en fait, à l’Occident. (…) L’Initiative des trois mers permettra non seulement à vos peuples de prospérer, mais aussi à vos nations de rester souveraines, sûres et libres de toute coercition étrangère. Les nations libres d’Europe sont plus fortes et l’Occident l’est aussi. Les États-Unis sont fiers de constater qu’ils aident déjà les pays des trois mers à atteindre la diversification énergétique dont ils ont tant besoin. L’Amérique sera un partenaire fiable et sûr dans la production de ressources et de technologies énergétiques de haute qualité et à faible coût. »

[27] Le Financial Times a souligné que « Donald Trump est en train d’opérer un changement radical dans la politique énergétique américaine en utilisant les exportations de gaz naturel comme un instrument de politique commerciale, en se faisant le champion des ventes à la Chine et à d’autres régions d’Asie dans le but de créer des emplois et de réduire les déficits commerciaux américains. Dans une tentative de libérer les ressources énergétiques américaines, M. Trump essaie de promouvoir davantage d’exportations de gaz naturel liquéfié et pas seulement d’utiliser le GNL comme une arme géopolitique visant des nations telles que la Russie, comme c’était la position de son prédécesseur Barack Obama. ». « Trump looks to lift LNG exports in US trade shift », Financial Times, June 22, 2017 (https://www.ft.com/content/c5c1958c-5761-11e7-80b6-9bfa4c1f83d2).

[28]https://www.euractiv.com/section/energy/news/kremlin-accuses-trump-of-trying-to-bully-europe-into-buying-us-lng/

[29] https://www.lalibre.be/economie/conjoncture/2022/10/14/nord-stream-une-grande-section-du-tuyau-doit-etre-coupee-et-remplacee-G6ROQC3BGZF4RLFWETGX7NQ6Q4/

[30] Les sanctions allemandes contre la Russie étaient toujours calibrées afin de ne pas mettre en danger les intérêts fondamentaux de sa puissance économique, tout en satisfaisant les Etats-Unis mais aussi les pays d’Europe centrale et orientale, méfiants vis-à-vis de Moscou. Il s’agissait à la fois d’une politique d’équilibre, de réassurance, et d’endiguement de la Russie sur le plan géostratégique.

[31] https://www.tysol.pl/a23593-Najnowszy-numer-%E2%80%9ETygodnika-Solidarnosc%E2%80%9D-Po-co-Niemcom-Trojmorze-

[32] Thomann Pierre-Emmanuel, Le couple, franco-allemand et le projet européen, représentations géopolitiques, unité et rivalités, L’Harmattan, Paris, 2015.

[33] Le partenariat oriental avait été promu par la Pologne et la Suède pour contrer le tropisme euro-méditerranéen de la France, dans le contexte de la crise provoquée par le projet d’Union méditerranéenne de Nicolas Sarkozy en 2007/2008. L’Allemagne a toujours soutenu le partenariat oriental, mais en agissant dans les coulisses de l’Union européenne. Berlin a bloqué le projet d’Union méditerranéenne de la France pour éviter une division de l’UE et contrer l’émergence de Paris comme chef de file des pays méditerranéens en contrepoids de l’Europe allemande, afin d’éviter une fragmentation de l’Europe en alliances variables, et maintenir la France et les pays du sud de l’Europe dans le giron de l’UE.

[34] Glaser Kukartseva, M. et Thomann, P.-E., “The concept of “Greater Eurasia”: The Russian “turn to the East” and its consequences for the European Union from the geopolitical angle of analysis”, Journal of Eurasian Studies13(1), 3-15, 2022, (https://doi.org/10.1177/18793665211034183).

[35] Aucun État membre de l’OTAN protégé par l’article V n’a pourtant eu de différend militaire avec la Russie.

[36] Thomann Pierre-Emmanuel, « Guerre Russie-Géorgie : première guerre du monde multipolaire », Défense nationale, n°10, octobre 2008 (http://www.ieri.be/fr/node/329).

[37] Vladimir Putin Meets with Members of the Valdai Discussion Club. Transcript of the Plenary Session of the 19th Annual Meeting, october 27, 2022

https://valdaiclub.com/events/posts/articles/vladimir-putin-meets-with-members-of-the-valdai-club/

https://cf2r.org/tribune/sabotage-de-nord-stream-un-acte-de-guerre-contre-la-russie-et-leurope-dans-linteret-de-washington-et-de-linitiative-des-trois-mers/?fbclid=IwAR3FBpQos8PBHZ4c_XXbMi4jE30ZDTTD00jGgXv6DZEJuXWF5Haq6Kj7yqc

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La NATO è nel panico dopo che i missili ipersonici russi Kinzhal hanno distrutto i patriots di Kiev ANDREW KORYBKO

La NATO è nel panico dopo che i missili ipersonici russi Kinzhal hanno distrutto i patriots di Kiev

ANDREW KORYBKO
18 MAG 2023

La Russia ha appena dimostrato che i suoi missili ipersonici possono perforare le difese della NATO con facilità, rappresentando così un cambio di rotta militare e forse presto anche diplomatico, se l’Occidente si renderà conto che è meglio accettare un cessate il fuoco dopo la fine dell’imminente controffensiva di Kiev piuttosto che intensificare la propria guerra per procura contro la Russia in una guerra convenzionale per perseguire la “balcanizzazione” di questa Grande Potenza.

La notizia falsa che è circolata all’inizio del mese, secondo la quale i Patriots di Kiev avrebbero abbattuto uno dei missili ipersonici russi Kinzhal, è diventata ancora più ridicola nei giorni successivi, poiché ora si sostiene che altri sei sarebbero stati abbattuti durante un recente attacco. Il riciclaggio di queste menzogne da parte dei media mainstream (MSM) non è dovuto solo al fatto che prendono per oro colato tutto ciò che dicono i loro proxy ucraini, ma comprende anche i loro stessi esperti militari che contribuiscono attivamente a questa campagna di disinformazione.

I Patriot statunitensi non hanno le capacità tecniche per tracciare e intercettare i proiettili ipersonici, ma non c’è nulla di cui vergognarsi, dato che al momento non esiste alcun sistema di difesa aerea al mondo in grado di farlo. Il problema dell’Occidente è quindi un problema di percezione, dato che gli Stati Uniti hanno pubblicizzato il loro dispiegamento in Ucraina al punto che l’opinione pubblica si aspettava che l’ex Repubblica sovietica diventasse invulnerabile a qualsiasi attacco russo.

Il Cremlino era consapevole degli interessi di soft power dell’Occidente nel trasferire questi equipaggiamenti in Ucraina, e per questo ha deciso abilmente di includere diversi missili ipersonici nella sua ultima serie di attacchi contro obiettivi militari, sapendo che non c’era modo di intercettarli e screditando così i propri avversari. Non solo, ma il 16 maggio sono riusciti a distruggere cinque lanciatori e un radar multifunzionale, secondo il rapporto del Ministero della Difesa russo condiviso il giorno dopo.

I filmati degli attacchi di quella notte sono poi apparsi sui social media, dopo di che coloro che li hanno condivisi sono stati arrestati dalla polizia segreta ucraina con il pretesto che ciò avrebbe potuto aiutare i servizi di intelligence militare della Russia. In realtà, Kiev è rimasta spiazzata dopo che lo stesso filmato ha mostrato come i missili della difesa aerea, del valore di milioni di dollari, siano stati sprecati nel tentativo di abbattere i Kinzhal. Anche gli Stati Uniti hanno confermato che i Patriot sono stati effettivamente danneggiati, ma hanno negato che siano stati distrutti.

Ciononostante, l’opinione pubblica ha potuto constatare di persona quanto Kiev fosse disperata nell’intercettare quei proiettili ipersonici, e molti hanno interpretato la conferma americana che i Patriot erano stati danneggiati come un appiglio limitato per distogliere il sospetto che fossero stati effettivamente distrutti. Il 16 maggio sarà quindi visto, col senno di poi, come un punto di svolta cruciale nella percezione popolare, poiché l’affermazione della Russia secondo cui i suoi Kinzhal avrebbero distrutto i Patriot è creduta da un numero crescente di persone dopo aver visto quel filmato.

Questo pone un grosso problema di reputazione per l’Occidente, che sostiene di essere in grado di difendere il proprio popolo in qualsiasi evenienza, soprattutto nel caso peggiore in cui la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina si trasformi in un conflitto convenzionale diretto tra le due parti. Nessuno che abbia visto il filmato di martedì sera e abbia sentito parlare dei risultati ottenuti dalla Russia il giorno dopo può dire con sicurezza di credere ancora nella validità delle difese aeree della propria parte, dal momento che ora sono state smascherate come inutili dai Kinzhal.

Il Cremlino detiene attualmente il monopolio di questa tecnologia militare rivoluzionaria dopo essere stato il primo Paese al mondo a produrre questi missili e a utilizzarli in battaglia, il che significa che può perforare le difese aeree Patriot della NATO con facilità nello scenario peggiore descritto sopra. La precedente osservazione sulla difficoltà degli Stati Uniti di competere con la Russia in questo ambito non è una cosiddetta “propaganda” come potrebbero sostenere gli scettici, ma è stata confermata da The Hill due mesi fa.

Nel suo articolo del 14 marzo, in cui spiegava “Perché gli Stati Uniti stanno andando a tutto gas sui missili ipersonici”, scriveva che “gli Stati Uniti stanno aprendo la valvola di sfogo nella loro spinta a sviluppare e procurare missili ipersonici dopo essere rimasti indietro rispetto ai principali avversari stranieri, Cina e Russia, nella corsa alla messa in campo di un sistema di difesa potenzialmente in grado di cambiare le carte in tavola”, aggiungendo che “il Dipartimento della Difesa non ha ancora messo in campo le armi, e rimangono problemi nella base di produzione industriale e con le infrastrutture di test”.

Il più dannoso di tutti, The Hill ha anche informato il suo pubblico che “nemmeno gli Stati Uniti hanno attualmente un sistema di difesa adeguato per abbattere i missili ipersonici. I sistemi di difesa aerea, come i Patriot e i Terminal High-Altitude Area Defense, sono in grado di abbattere i missili balistici che raggiungono velocità ipersoniche, ma solo su piccole aree”. Questo fatto “politicamente scomodo” non solo scredita la campagna di disinformazione di questo mese, ma riafferma anche il dominio militare della Russia nel settore ipersonico.

In parole povere, il Cremlino ha piena fiducia nel fatto che i suoi Kinzhal raggiungerebbero con successo tutti i loro obiettivi nel peggiore scenario di una guerra convenzionale tra la NATO e la Russia, il che significa che Mosca potrebbe in teoria distruggere le capacità di secondo attacco nucleare dell’Occidente se effettuasse un primo attacco per prevenire i suoi nemici. I risultati ottenuti l’altro giorno a Kiev, dove ha distrutto cinque lanciatori Patriot e un radar multifunzionale, hanno messo i brividi ai guerrafondai della NATO e li hanno resi consapevoli di ciò che stanno affrontando.

Qualsiasi idea di cercare di “balcanizzare” la Russia con mezzi militari convenzionali come ultima risorsa, dopo il fallimento della loro guerra ibrida in Ucraina, è evaporata all’istante, poiché hanno capito che avrebbe potuto provocare il Cremlino a distruggere l’Occidente per autodifesa. Certo, alcune delle loro capacità di secondo attacco rimarrebbero probabilmente intatte e potrebbero essere utilizzate contro la Russia, ma il punto è che Mosca potrebbe prima infliggere loro danni inaccettabili se spinta a farlo.

Nonostante le affermazioni popolari del contrario da parte di molti dei principali influencer della comunità Alt-Media, la NATO non è “folle” nel senso che i suoi leader sono disposti a sacrificarsi purché la loro morte porti allo smembramento della Russia. Come tutte le élite, vogliono vivere il più a lungo possibile, motivo per cui ora ci penseranno due volte prima di assecondare la fantasia neoconservatrice di ricorrere a mezzi convenzionali per “balcanizzare” la Grande Potenza in questione dopo il fallimento della loro guerra per procura attraverso l’Ucraina.

In termini pratici, ciò suggerisce che potrebbero essere più disponibili a un cessate il fuoco una volta che la controffensiva di Kiev, sostenuta dalla NATO, terminerà entro l’inverno, aumentando così le prospettive che l’imminente missione di pace guidata dall’Africa in Russia e Ucraina possa guadagnare la loro approvazione e portare Kiev ad accettare questi termini. Il principale asse anglo-americano all’interno della NATO non potrebbe mai approvare l’iniziativa parallela guidata dalla Cina, quindi ne consegue che quella guidata dall’Africa potrebbe offrire loro un modo “salva-faccia” per sostenere un cessate il fuoco.

È prematuro prevedere il successo o meno di quest’ultima iniziativa, ma la rilevanza di questo sviluppo per il presente articolo è che può contribuire a dare alla NATO una “strategia di uscita” da questa guerra per procura, dopo che i suoi leader hanno appena capito quanto sarebbe suicida un’escalation in una guerra convenzionale. I Kinzhal russi hanno distrutto i loro Patriot a Kiev, dimostrando che il Cremlino è in grado di distruggere le difese aeree dell’Occidente con facilità, rappresentando così una svolta militare e forse anche diplomatica.

https://korybko.substack.com/p/nato-is-panicking-after-russias-kinzhal

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Ucraina Russia 35a puntata_Nubi sull’Europa, cade Bakhmut_con Flavio Basari e Max Bonelli

Bakhmut-Artyomovsk è caduta. In Europa sopraggiungono nubi oscure. Sul continente in senso metaforico, su parte di esso in senso fisico. Sino a quando la narrazione riuscirà a nascondere l’evidenza dei fatti? Sino a quando i nostri affabulatori, sottolineando ossessivamente i punti deboli veri e presunti della Russia, riusciranno a nascondere le manchevolezze, l’avventurismo e il crescente isolamento di un Occidente a guida statunitense e l’insulsaggine della quasi totalità delle classi dirigenti europee? Le dinamiche geopolitiche stanno accelerando; di conseguenza, il tempo a disposizione dei paesi europei per riconsiderare la propria postura e distinguerla dall’ottusità degli avventurieri alla guida si sta restringendo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

PS_YouTube ha proditoriamente rimosso il video. L’intervista è comunque disponibile su rumble.

https://rumble.com/v2ovlxo-ucraina-russia-35a-puntata-nubi-sulleuropa-cade-bakhmut-con-flavio-basari-e.html

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RUSSIA E CINA: L’EMERGERE DEGLI STATI ASSOLUTI , di Stefano d’Andrea

Un testo breve, ma intenso e attuale. A mio avviso, però, è proprio la definizione di “stato capitalista” che andrebbe ridimensionata anche storicamente. Il diverso peso che hanno ed hanno avuto nei centri decisori la componente manageriale ed imprenditoriale capitalista non è sufficiente a definire “capitalista” o meno uno stato e un regime. Il “politico” e le espressioni fisiche del politico seguono logiche proprie. Buona lettura, Giuseppe Germinario

RUSSIA E CINA: L’EMERGERE DEGLI STATI ASSOLUTI

Russia e Cina sono ordinamenti giuridici statali, che rappresentano una novità assoluta nella storia.
Sono indubbiamente ordinamenti capitalistici, perché il rapporto di lavoro subordinato capitale-lavoro è la forma giuridico-economica prevalente.
E tuttavia il potere politico non è nelle mani alla classe capitalista.
Il potere politico non è semplicemente autonomo dal potere economico e dotato di una relativa forza propria, che gli consenta di “venire a patti” con il partito della grande impresa (come accadde in molti Stati per 20 o 30 anni dopo la seconda guerra mondiale) ma è sovraordinato al potere economico dei capitalisti, che, appunto, è un potere puramente economico.
Ciò è vero sicuramente in Cina, dove il partito comunista ha escluso dagli organi di vertice del partito e dagli organi costituzionali finanche i boiardi di Stato, perché fanno una vita simile ai grandi imprenditori e introiettano e diffondono una mentalità analoga a quella dei grandi capitalisti e dei CEO delle imprese private, ma, dopo la guerra in Ucraina, come testimonia il discorso di Putin del 22 febbraio 2023, anche in Russia.
Gli Stati assoluti hanno più potere politico di quanto ne avessero i monarchi assoluti, perché più di questi ultimi sono di fatto e di diritto indipendenti dal potere economico della classe capitalista, anche e soprattutto in ragione dell’esistenza della moneta fiat.
Gli emergenti Stati assoluti non sono una fase di transizione destinata a portare allo stato costituzionale “borghese”, che meglio avrebbe dovuto essere definito (fino al secondo dopoguerra) stato costituzionale “capitalista”, come furono le monarchie assolute. Sono, invece, o una recente reazione vincente a quest’ultimo (Russia), o una resistenza di più lunga durata e di grandissimo successo (Cina).
La radice storica dei due Stati assoluti è l’esperienza del comunismo reale, che mostra di aver lasciato tracce indelebili nella storia.
Negli Stati assoluti il potere politico è nelle mani del “partito dello Stato” e la classe capitalista non possiede, se non in minima è insignificante parte, il potere di conformare l’opinione pubblica (indispensabile per contrastare e poi vincere l’egemonia del partito dello Stato), potere che in Russia è detenuto più dall’opposizione comunista che dalla quasi inesistente opposizione capitalista (gli oligarchi) e in Cina più dall’opposizione maoista che da CEO e grandi imprenditori.
Viene meno, con questi Stati assoluti, un caposaldo del marxismo, che vedeva nel potere politico degli ordinamenti capitalisti, un potere direttamente o indirettamente (tramite il “comitato d’affari”) esercitato dalla classe dei capitalisti.

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Noi e i Robot – L’impatto dell’Intelligenza Artificiale su presente e futuro dell’umanità_della Fondazione Giuseppe e Adele Baracchi

Questo sito ha pubblicato già alcuni testi sulla Intelligenza Artificiale e sulle implicazioni sociali e politiche della formazione ed utilizzo delle applicazioni derivate. Quanto prima li raggrupperemo in un dossier. Qui sotto un video particolarmente interessante che fornisce alcune informazioni di base necessarie ad una discussione consapevole. Giuseppe Germinario

Nella terra desolata nulla si collega, di AURELIEN

Nella terra desolata
Nulla si collega.

AURELIEN
17 MAG 2023

Siamo in un momento strano della storia politica occidentale. Per la prima volta, possiamo vedere chiaramente che un vecchio sistema sta morendo, ma non riusciamo a capire come, o addirittura se, ne nascerà uno nuovo; e nemmeno come sarà, anche se dovesse nascere. Sembra che qualcosa sia andato storto nei meccanismi della storia e della politica.

Quando Gramsci ha prodotto la famosa citazione che ho appena riportato, scriveva in un’epoca in cui i cambiamenti politici discontinui erano piuttosto comuni. Le monarchie erano state sostituite da repubbliche, gli imperi erano crollati, i nazionalisti erano riusciti a creare nuovi Paesi o a dividere quelli vecchi, e forze politiche estremiste avevano preso il controllo di Paesi, compresa la sua Italia. Ma non c’erano solo forze politiche dietro questi cambiamenti, c’erano anche ideologie. I marxisti si aspettavano la rivoluzione, i nazionalisti le rivolte etniche, le espulsioni e il controllo del territorio, i conservatori i movimenti di rinnovamento per cancellare ciò che consideravano decenni di decadenza. Non mancavano le teorie politiche strutturanti a cui attingere: anzi, ce n’era una sovrabbondanza e tutti sembravano avere la propria teoria su come il mondo potesse essere rifatto.

Oggi abbiamo superato da tempo quella situazione. La morsa di quello che Mark Fisher ha notoriamente definito “realismo capitalista” sui pensieri e sulle convinzioni di chi detiene il potere e degli opinionisti di ogni tipo è tale che, a tutti i fini pratici, potrebbe anche non esistere un’alternativa. E come suggerirò, anche se si potesse trovare la volontà di realizzare un cambiamento, altri meccanismi utilizzati nella storia non sono più disponibili per realizzarlo. Non so se la battuta – attribuita a varie persone – secondo cui è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo sia davvero vera, ma in ogni caso, anche se si può immaginare qualcosa al di là del capitalismo, una cosa è immaginarla e un’altra è arrivarci davvero.

Se guardiamo alla storia – e lo faremo tra poco – vediamo che per realizzare un cambiamento politico fondamentale e discontinuo sono necessarie tre cose. Uno è un gruppo di individui con uno scopo comune (anche se non necessariamente identico). Il secondo è una visione chiara di ciò che si vuole, in termini di ideologia o almeno di obiettivi politici definiti. Il terzo sono le risorse e l’organizzazione in grado di realizzarlo. Avere solo due di questi elementi non è sufficiente. Tutto ciò può sembrare banale, ma in realtà lo sono molte cose della storia. E ci ricorda che la storia non è, di fatto, interamente il prodotto di forze cieche, ma piuttosto di una complessa interazione tra individui, gruppi e società.

Questo aspetto tende a essere mascherato dal modo incruento in cui gli scienziati politici e gli storici discutono dei cambiamenti discontinui. I governi “perdono potere”, sono “minati” e “cacciati dal potere” o “rovesciati”. Ma in generale, la politica non funziona con la voce passiva. Come ho già sottolineato in un altro contesto, le decisioni politiche sono prese e portate avanti da persone nominate, che generalmente lavorano insieme. Forse i politici intelligenti sanno come navigare sulle maree della storia, ma concetti come “politica” (o anche “storia”) non hanno un’agenzia indipendente in questi casi. Quindi le domande che gli storici si pongono dovrebbero essere sempre di tipo pratico: ad esempio, si chiede Machiavelli, ne Il Principe, perché il regno di Dario, conquistato da Alessandro, non si ribellò ai successori di Alessandro alla sua morte? Ed egli fornisce una risposta pratica, basata sulla comprensione delle strutture di potere comparate.

Tutti i cambiamenti politici discontinui di successo (esclusi quindi i semplici colpi di Stato o le dimissioni forzate) si basano sul funzionamento dei tre fattori sopra citati. Alcuni esempi sono noti. I bolscevichi non erano il partito più ovvio ad emergere vittorioso dal caos che seguì la caduta dello zar nel 1917. Se il potere era davvero “per strada”, come pare abbia detto Lenin, allora c’erano altri gruppi più grandi che avrebbero potuto raccoglierlo. Ma i bolscevichi avevano una leadership di cospiratori e rivoluzionari professionisti, una chiara dottrina per prendere e mantenere il potere, nonché una buona idea di cosa farne, e le forze necessarie per prendere e mantenere gli obiettivi più importanti in una società moderna. E’ importante notare che da vent’anni, dopo la scissione con i menscevichi, disponevano di un’organizzazione disciplinata, strutturata per impartire ed eseguire gli ordini. Lo stesso processo poteva funzionare anche al contrario. Ad esempio, il cosiddetto putsch di Kapp del 1920 (dal nome di uno dei suoi leader), che mirava a rovesciare il nuovo sistema politico democratico in Germania, fallì perché un numero massiccio di tedeschi, organizzati dai sindacati, obbedì all’appello del governo per uno sciopero generale, e il colpo di stato crollò.

Qualcosa di analogo accadde in Francia nel 1944, mentre le forze alleate stavano attraversando il Paese. Gli Stati Uniti avevano intenzione di installare un governo militare in Francia e di gestirlo in prima persona. Praticamente tutte le forze politiche in Francia e in esilio si opposero all’idea, dai nazionalisti ai comunisti. Tuttavia, de Gaulle era stato in grado di unificare i vari movimenti della Resistenza sotto la guida del grande martire della Resistenza Jean Moulin, e un intero governo ombra era già pronto nel Paese per essere attivato al momento dell’invasione. Così, quando le forze americane arrivarono, scoprirono che le città erano già state conquistate, i collaborazionisti erano in carcere o morti e la Resistenza controllava il territorio in attesa dell’arrivo delle truppe francesi. Quindi, ancora una volta, una leadership unita, un obiettivo chiaro e gli strumenti necessari avevano trionfato. È per questo che le forze rivoluzionarie hanno tipicamente un’ala militare e una politica, quest’ultima non solo per fornire una direzione politica, ma anche per prepararsi a governare. In alcuni casi, come l’ANC nel 1994, questo ha funzionato bene, in altri, come i Talebani nel 2021, molto meno.

Forse possiamo iniziare a vedere un modello che sta emergendo. L’entusiasmo o il malcontento popolare non sono in grado di produrre cambiamenti da soli: devono essere incanalati in qualche modo. Le idee non hanno valore se non vengono accolte da qualcuno che ha potere. E in gran parte si tratta di potere relativo, piuttosto che assoluto: è sufficiente avere il bastone più grosso, non necessariamente un bastone oggettivamente enorme. Vediamo un paio di esempi per capire come funziona in pratica e, così facendo, per gettare un occhio freddo sull’incapacità della maggior parte di coloro che oggi scrivono di cambiamenti politici di capire come avvengono.

Pochi episodi nella storia hanno avuto conseguenze maggiori e più disastrose della presa di potere nazista nel 1933. (Quando ero giovane, i libri su quell’epoca erano o memorie (che si concentravano sugli anni della guerra, per ovvie ragioni) o storie giornalistiche di scrittori come William Shirer, che avevano osservato da vicino gli eventi in Germania. Il periodo tra il 1933 e il 1939 non suscitò grande interesse, se non come racconto morale di debolezza, inazione e disastro, o come storia incomprensibile di manovre politiche da parte di persone con nomi strani. Per i marxisti, Hitler fu “messo al potere” (notare ancora il passivo) dai capitalisti, o addirittura “dal potere del capitale”. La spiegazione più diffusa è che egli era stato “trascinato alla vittoria” nelle elezioni, da una popolazione tedesca che era stata giustamente punita in seguito dai bombardamenti britannici e americani.

Tuttavia, anche all’epoca, la lettura dei resoconti del periodo 1932-3 era confusa. Dopo tutto, non più di un terzo dell’elettorato votò per i nazisti e il loro sostegno si ridusse tra le due elezioni del 1932. E nelle elezioni del dicembre 1932, i consensi per i partiti socialista e comunista combinati superarono quelli per i nazisti. Tutto questo, e ai nazisti furono offerti (e accettati) solo due seggi nel gabinetto del nuovo governo. Quindi, in che modo esattamente i nazisti furono “spazzati via dal potere”? Solo di recente, grazie alle sintesi di storici come Richard Evans, le cose sono diventate più chiare. Il fatto è che i nazisti stavano giocando una partita diversa da quella dell’establishment politico tedesco.

A Von Papen e Hindenburg deve essere sembrata una mossa intelligente. I nazisti erano il maggior partito del Reichstag, ma non potevano formare un governo da soli. Si pensava che, se si fosse dato loro qualche posto nel gabinetto, avrebbero portato i loro voti, si sarebbe potuto finalmente formare un governo vero e proprio e si sarebbe potuta riprendere la normale vita politica in Germania. I nazisti non potevano essere una minaccia: erano dilettanti in politica e potevano essere facilmente contenuti dai politici professionisti. Anche l’insistenza di Hitler nel voler diventare Cancelliere poteva essere sopportata: non avrebbe avuto alleati nel Gabinetto, a parte Goering, il Ministro dell’Aviazione, ma avrebbe avuto una macchina governativa ostile con cui confrontarsi. È vero che Hitler consolidò rapidamente il suo potere e portò altri nazisti al governo, ma questa non è la parte più importante di ciò che accadde.

Perché i nazisti non stavano facendo politica democratica: potevano avere poca esperienza di governo, ma avevano molta esperienza di violenza e una forza paramilitare di 400.000 uomini (la Sturmabteilung, popolarmente nota come “Brownshirts”) per amministrarla. Furono le SA a portare Hitler al potere, piuttosto che al governo, imponendo il regime nazista in tutto il Paese. Quindi, i nazisti non avevano solo una leadership con idee convergenti e un programma politico (vago), ma anche una concezione della politica attraverso la forza bruta e una grande organizzazione nazionale in grado di applicare tale forza a livello locale. L’esercito era troppo piccolo per intervenire, e comunque Hitler era il cancelliere. La polizia era largamente impotente, soprattutto dopo la nomina di Goering a Ministro-Presidente della Prussia.

Nessuna di queste componenti sarebbe stata sufficiente da sola. Hitler era un abile tattico politico, ma c’erano in giro molti tattici altrettanto abili. Il programma nazista non era particolarmente diverso da quello di molti altri partiti dell’epoca: ripudiare Versailles, ricostruire il Paese, combattere la minaccia comunista, ecc. Esistevano anche altre forze paramilitari, in particolare legate al Partito Comunista Tedesco, ma erano molto più piccole e non avevano la stessa copertura nazionale delle SA. Come spesso accade in politica, c’era un buco da riempire e i nazisti lo individuarono e vi si precipitarono. Uno dei vantaggi di un approccio meccanicistico alla comprensione della presa del potere da parte dei nazisti, tra l’altro, è quello di mettere al suo posto tutte le iperventilazioni, di allora e di allora, su una nazione che “impazzisce” e si “getta nelle mani” di un pazzo delirante. In realtà, il popolo tedesco non si è gettato da nessuna parte.

Vorrei ora soffermarmi brevemente su un’altra svolta estremamente inaspettata dopo un terremoto politico: ciò che accadde in Iran nel 1978 e nel 1979. Non solo questo episodio è poco compreso in Occidente, ma tale incomprensione ha contribuito a un più ampio fraintendimento sulla natura stessa delle transizioni politiche discontinue. È comune dire (e l’ho sentito dire anche da studenti di relazioni internazionali) che il governo dello Scià “cadde” o fu “rovesciato” dagli islamisti guidati da Khomeini. La verità è molto più complessa (per esempio, Khomeini non era nemmeno nel Paese quando lo Scià se ne andò), ma per i nostri scopi è sufficiente notare che l’opposizione allo Scià era diffusa, e andava dagli islamisti all’estrema sinistra, ma che gli islamisti sono usciti dalla confusione e dal caos del 1978-82 con il controllo della situazione perché avevano una leadership unita (sotto il venerato Khomeini), una dottrina chiara (la dottrina di Khomeni del governo islamico, “né Est né Ovest”) e forze massicce a disposizione organizzate dalla gerarchia religiosa. L’Occidente è rimasto completamente sbalordito dall’esito, poiché non si è verificato nessuno degli scenari ipotizzati. Le moderne forze “filo-occidentali” erano troppo piccole ed eccessivamente concentrate nelle grandi città, e l’esercito era confuso, scoraggiato e riluttante ad agire.

Tuttavia, anche in questo caso c’era molta contingenza. È vero che milioni di persone hanno partecipato alle manifestazioni anti-Shah nel 1978, per alcuni versi le più grandi manifestazioni nella storia del mondo. Tuttavia, c’era poca unità di vedute tra di loro e poca idea di ciò che sarebbe seguito al regime dello scià. Le manifestazioni di massa non causano di per sé rivoluzioni, ma ne creano semplicemente la possibilità. Allo stesso modo, Khomeini era in esilio in Francia all’epoca e le ragioni che spinsero il governo francese a rimandarlo in patria con una tale pubblicità rimangono ancora oggi oscure e controverse. È molto probabile che i francesi (e gli Stati Uniti) lo vedessero come una figura tranquillizzante, un ecclesiastico moderato che avrebbe frenato gli eccessi della Rivoluzione e contribuito a controbilanciare una tendenza pericolosamente di sinistra tra i suoi sostenitori. Alcuni sostenitori del suo ritorno in Iran sembravano vederlo come l’equivalente del vescovo Desmond Tutu in Sudafrica, o addirittura di Gandhi. Ebbene, tutti possiamo sbagliare: in realtà, Khomeini era un abile politico che si trovava a suo agio con l’idea di usare la violenza contro gli oppositori dell’Islam (quindi eretici e apostati) e che esprimeva un’ideologia che faceva appello al generale sentimento anti-occidentale del Paese. Se Khomeini fosse rimasto in Francia, la storia recente della regione sarebbe stata molto diversa.

Da tutto questo, credo, emerge un punto su tutti: l’importanza di quelli che i francesi chiamano Corps intermédiaires, meglio tradotti come “strutture intermedie”. Si possono avere le menti strategiche più brillanti e le idee più meravigliose, ma è necessario un meccanismo di trasmissione per mettere in pratica queste idee. Nel caso del tentato colpo di Kapp, citato in precedenza, esisteva un movimento sindacale grande e potente, legato al Partito socialista, probabilmente il più grande ed efficace partito politico mai visto in una democrazia occidentale. Aveva un’impressionante capacità organizzativa, molti funzionari pagati e persino un proprio giornale. Così, quando ha indetto lo sciopero, la gente ha scioperato e il putsch è stato sconfitto. Il 1° maggio di quest’anno, le forze che si opponevano ai cambiamenti delle pensioni in Francia hanno ingrossato i normali cortei del Primo Maggio: circa un milione di persone erano in piazza in tutta la Francia. Il governo non ne ha tenuto conto.

La differenza non è solo nelle dimensioni e nella scala. Se qualche centinaio di migliaia di lavoratori dei servizi essenziali si fossero uniti allo sciopero, il Paese si sarebbe potuto fermare. Ma ciò non è accaduto, in parte perché le strutture intermedie non sono potenti e ben supportate come in passato (solo il 5% circa dei lavoratori francesi è iscritto a un sindacato), ma anche perché la struttura della forza lavoro è cambiata. Il servizio postale, ad esempio, che potrebbe avere un effetto attraverso un’azione sindacale, è ora in gran parte occasionale e i lavoratori non sindacalizzati a salario minimo svolgono gran parte del lavoro. I lavoratori non vivono più in comunità e hanno a malapena il tempo di conoscere i loro colleghi, in una forza lavoro che cambia continuamente e che non sviluppa mai solidarietà. In queste circostanze, un’organizzazione efficace è impossibile, anche se ci fosse una leadership forte (che spesso manca) o un insieme chiaro di obiettivi (che spesso manca anch’esso).

Come indicato, i sindacati erano molto spesso legati ai partiti politici e in molti Paesi questi stessi partiti esercitavano un’influenza strutturante sulla società. In Francia e in Italia, ad esempio, il Partito Comunista era una sorta di governo parallelo (e un vero e proprio governo in alcune città) che spesso forniva ai poveri servizi che lo Stato non poteva o non voleva fornire. I partiti politici di massa fornivano un’intera serie di meccanismi per ottenere risultati al di fuori del potere dello Stato e, se necessario, in opposizione ad esso. Ma l’epoca dei partiti politici di massa, e persino l’interesse ad averli, è finita da tempo.

In Gran Bretagna lo sciopero dei minatori del 1984 è durato così a lungo perché l’industria mineraria era l’intera vita di varie comunità e intere famiglie erano coinvolte in tutti gli aspetti del lavoro e della sua cultura. Mentre gli uomini presidiavano i picchetti, le donne organizzavano la sopravvivenza sociale della comunità, cosa impensabile oggi. Comunità di questo tipo non esistono più, intorno a un centro Amazon o a un parco a tema. Un tempo le comunità esistevano nei centri cittadini e nei quartieri popolari più poveri. Oggi non è più così: in tutto il mondo, con la morte degli anziani residenti, gli appartamenti e le case vengono acquistati da speculatori e milionari. Il centro della maggior parte delle città occidentali è un deserto di notte.

Oltre ai sindacati, ai partiti politici e alle comunità di lavoro, l’altro tipo di struttura intermedia era la Chiesa. Le chiese hanno svolto ruoli così diversi nel cambiamento politico che è impossibile generalizzare, ma come minimo hanno operato come centri comunitari, raggruppando le persone socialmente e dando loro una capacità di azione, anche se in disaccordo su alcune cose. (Analogamente, la rete nazionale di moschee in Iran ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo delle strutture che hanno portato Khomeini al potere). La Chiesa cristiana è stata una forza di reazione e di progresso allo stesso tempo (ad esempio in America Latina) ed è stata un centro di resistenza sia contro il governo comunista in Polonia che contro il regime di apartheid in Sudafrica, negli anni Ottanta. A prescindere dalle questioni ideologiche, tuttavia, le chiese e le istituzioni religiose hanno spesso agito come meccanismi di coordinamento nella lotta per o contro il cambiamento politico. In Francia nel XIX secolo, ad esempio, la destra si organizzò attorno alla gerarchia ecclesiastica, così come la sinistra utilizzò la rete massonica nazionale.

È un’ovvietà dire che in generale queste reti non esistono più o, laddove esistono, servono a poco. Per esempio, in un paese occidentale medio nessun movimento che dipendesse dai sindacati per il suo sostegno potrebbe sperare di uscire trionfante da una competizione con il governo, ed è sempre più chiaro che le comunità virtuali di Internet sono proprio questo: virtuali, non reali. L’entusiasmo per l’uso dei social media nella Primavera araba si è ormai placato, poiché è diventato chiaro che la capacità di organizzare manifestazioni non è la stessa cosa della capacità di prendere e mantenere il potere. I beneficiari della Primavera araba in Tunisia e poi in Egitto non sono stati politici occidentali di classe media, ma movimenti politici islamisti che hanno potuto raccogliere i frutti di decenni di preparazione e organizzazione.

Questo non dovrebbe essere una sorpresa: la politica non tollera il vuoto e il gruppo meglio organizzato (o meno disorganizzato) tenderà a prevalere. Questi gruppi non devono necessariamente essere esplicitamente politici: a un estremo, la criminalità organizzata può spesso fornire una serie di funzioni statali surrogate, proprio perché è organizzata. La criminalità organizzata è notevolmente intollerante nei confronti della criminalità disorganizzata, che tende ad abbattere con metodi che non sarebbero politicamente accettabili in un sistema democratico. Ma l’esperienza di molti Paesi in crisi e in conflitto (Bosnia, Somalia, Liberia tra gli altri) è che tendono ad emergere dei para-stati, spesso a base etnica, che combinano le funzioni del racket e del contrabbando con un ordine pubblico approssimativo e pronto, oltre a garantire un certo grado di sicurezza.

È ovvio che uno dei criteri per sostituire o modificare pesantemente sistemi politici esauriti o screditati è l’esistenza di queste istituzioni intermedie, che possono fornire l’organizzazione e forse il personale per realizzare il cambiamento. Non è necessario che siano movimenti di massa per essere influenti: le varie società politiche che fiorirono nella Francia pre-rivoluzionaria ne sono un esempio. Ma il problema in Occidente è che attualmente non esistono quasi più. Il liberalismo considera tutte queste istituzioni come reliquie del passato, il cui unico effetto è quello di ostacolare il buon funzionamento del mercato. Il che va bene finché c’è un mercato e i vostri desideri e bisogni sono limitati a quelli che un mercato può, almeno teoricamente, fornire.

Il rischio ora è che i sistemi politici di molti Stati occidentali comincino a crollare e che nulla li sostituisca: l’anarchia nel senso popolare del termine. È abbastanza facile capire come ciò possa accadere. L’interesse e la fiducia dei cittadini nei sistemi politici esistenti si stanno riducendo in tutto il mondo occidentale. In molti Paesi, quasi la metà della popolazione si preoccupa di votare, anche alle elezioni nazionali. I partiti hanno ancora differenze tra loro, ma spesso sono relativamente minori e non corrispondono alle differenze di opinione e di interesse all’interno delle società stesse. Sebbene le questioni sostanziali di destra e sinistra siano in realtà salienti come non lo sono mai state, la distinzione operativa più importante nel modo in cui le persone si sentono è tra la minoranza (10-20% a seconda del Paese) che beneficia dell’attuale dispensazione neoliberale, o spera di farlo un giorno, e il resto, che non ne beneficia o teme di non farlo più. Non esiste un partito escluso in nessun Paese occidentale, anche se alcuni partiti, spesso etichettati come “estremi” di sinistra e di destra, raccolgono voti di protesta. Inoltre, nella maggior parte dei sistemi politici, il partito escluso è diviso tra più partiti con orientamenti e obiettivi superficialmente diversi. In Francia, quindi, gran parte del vecchio voto di sinistra si è diviso in due: la classe media è passata ai Verdi, mentre la classe operaia è andata all’Assemblea Nazionale di Le Pen. Eppure, in pratica, sarebbe possibile prendere il voto della classe operaia e medio-bassa tra i partiti sparsi della sinistra e il voto della classe operaia ora perso a favore della destra, e farne una coalizione vincente. L’ironia è che i leader della sinistra non riescono a rendersene conto o, se lo fanno, scelgono di non fare nulla perché trovano i sostenitori della destra comuni, rozzi e bigotti e non desiderano essere associati a loro. L’ulteriore ironia è che i punti di vista dell’elettore medio della RN e quelli dell’elettore medio del Partito Comunista non sono poi così distanti. Il problema è la leadership.

Quindi non ho idea di dove tutto questo possa andare a parare. Il problema è che se il sistema politico è screditato – e questo lo è sicuramente – allora la consueta progressione degli eventi, in cui un altro sistema lo sostituisce naturalmente, sembra essere stata invalidata questa volta. Poiché i partiti neoliberali elitari e carrieristi che dominano la politica occidentale sono per lo più in pessime condizioni, si presume che dovranno riformarsi (praticamente impossibile) o che scompariranno. E certamente è vero che godono di un sostegno popolare sempre minore e che sempre meno persone votano per loro. Anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito, la gente si sta stancando della politica del “pushme-pullyou”, in cui il governo viene semplicemente estratto dal meno screditato dei due partiti principali in un dato momento. Ma supponiamo che questi partiti si disintegrino. Quali partiti subentreranno e come saranno strutturati e organizzati, e su quali basi? E se l’intero sistema di democrazia liberale indiretta crolla, quali forze sono in attesa di sostituirlo e come si organizzeranno? In alcune parti dell’Europa centrale e orientale, abbiamo assistito a divisioni etniche e nazionalistiche che sono state alla base di partiti politici e, purtroppo, di conflitti. Ma nel mondo post-etnico e post-politico di Bruxelles, nemmeno questo accadrà. Ho la sgradevole sensazione che ci stiamo dirigendo verso una vera e propria forma di anarchia: niente regole, niente OK. Non ci sono precedenti, per quanto ne so, di un sistema politico che cade senza che nulla lo sostituisca, o perlomeno senza nulla di valido. Crimine organizzato, qualcuno? Milizie islamiste?

Forse stiamo entrando in una terra desolata dal punto di vista politico. “Sulle sabbie di Margate”, scriveva TS Eliot in un’omonima poesia, “non riesco a collegare nulla con nulla”. Beh, stava scrivendo di uno dei suoi abituali esaurimenti nervosi, che poi ha superato. Ma forse ora non c’è davvero una cura per il crollo di un intero sistema.

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