TRUMP E L’ONDA LUNGA DELLA STORIA, di Teodoro Klitsche de la Grange

TRUMP E L’ONDA LUNGA DELLA STORIA

Ho letto tanti commenti sulla vittoria del Presidente Trump e si possono – grosso modo – suddividere in gruppi, a seconda della causa, indicata del successo del Tycoon poco annunziata dalla comunicazione mainstream un po’ perché temuta, di più ancora perché di danno alla candidatura della Harris.

Prima causa: il popolo si è sbagliato. Ciò capita a tutti, anche a governanti che, in quanto uomini, non sono infallibili, tranne il Papa, che ha però il supporto dello Spirito Santo (scusate se è poco) almeno quando parla ex cathedra.

Il retropensiero (neppure tanto retro) di tale argomento è invece che (oltre al Papa) sono infallibili i “tecnici”, le élite, alcune televisioni e certi giornali (la maggioranza) ecc. ecc. Questo perché i suddetti infallibili giudicano applicando fatti, norme, principi, protocolli, griglie di valori corretti. Che la congruità delle proposte si valuti in base ai risultati conseguiti più che alla conformità alle regole è un criterio loro del tutto estraneo. Che alla base del successo di Trump ci fosse il giudizio positivo degli americani su 4 anni di presidenza Trump, fossero i buoni risultati economici e forse ancora di più il fatto che, contrariamente a tutti i suoi predecessori nella carica (a partire dagli anni ’90) a) non avesse fatto guerre b) anzi ne ha chiusa una, non era considerato dal commentatori ZTL.

Seconda causa: le nostre idee, i nostri sogni sono più belli di quelli di Trump il quale ha ingannato abilmente il popolo facendogli credere che i suoi siano preferibili. Anche tale argomento è facilmente contestabile: da un lato perché gli elettori valutano più i risultati (mediocri) dei governanti che i loro (buoni) propositi elettorali. In secondo luogo perché la sinistra, soprattutto quella comunista, ha sempre manifestato un abisso tra le mete radiose proposte (le società senza classi, la pace universale, l’uguaglianza, la prosperità… e via sognando) e le (modeste) realizzazioni conseguite (causa principale del crollo planetario del “socialismo reale”).

Onde a questo genere di argomenti i popoli sono abituati, e sostituire le società senza classi con la crisi climatica non li rende più credibili.

Terza causa: gli errori e le ingenuità commessi nella campagna dagli spin-doctor incompetenti, dal cattivo uso della rete, fino alle stars inutili e talvolta controproducenti. Carattere comune di tali argomentazioni è di considerare tutti aspetti e figure accessorie. Ossia il cibo è buono, ma presentato e cucinato maldestramente. Anche qui pare piuttosto un tentativo di far “volare gli stracci” per salvare direttore d’orchestra e spartito.

E si potrebbe continuare a lungo: ma siccome tutti tali argomenti hanno il connotato comune di essere frutto – totale o parziale – di fantasia, e a questa non c’è limite (mentre alla realtà, sì) preferisco continuare con gli argomenti contrari: cioè perché Trump, secondo me, ha vinto. Partendo, ovviamente, dai dati di fatto.

In primo luogo: la vittoria dei partiti anti-establishment (detti anche populisti, sovranisti, ecc. ecc.) non è un fenomeno statunitense, ma quasi planetario, almeno nell’occidente. Ovviamente tra gli uni e gli altri movimenti ci sono differenze, ma una spiegazione non può prescindere dai connotati comuni che, accanto alle diversità nazionali, tali soggetti politici (e i di essi elettori) hanno.

Come scrivo da parecchi anni, se fino al crollo per implosione del comunismo, il raggruppamento amico-nemico coincideva (principalmente) con quello economico borghesi/proletari, è stato sostituito dal nuovo globalisti/populisti (establishment contro anti-establishment). Tale contrapposizione si articola in tutta una serie di caratteri comuni (e contrapposti).

In primis della differenza del sentire comune, come già scriveva trent’anni fa Cristopher Lasch: le élite globaliste e i governati hanno “tavole di valori” differenti e spesso opposti. L’idem sentire de re publica si atrofizza e si sviluppa la differenza etica, che, secondo Hegel, è alla base della discriminante amico/nemico.

In secondo luogo (ma forse le spetta il primo)si sviluppa la differenza d’interessi tra classe dirigente e governati a sua volta suddividentesi in più aspetti, a cominciare dal dilatarsi della “forbice” della differenza dei redditi, ma del pari visibile dall’imposizione/elusione tributaria (i “paradisi” fiscali) dalla delocalizzazione (e non solo).

In terzo luogo alle rivendicazioni identitarie. Anche qua si potrebbe continuare a lungo: resta il fatto che argomenti “etici”, “identitati” ed “economici” sono comuni a tutti i movimenti anti-establishment: dai gilet-jaunes alla rust-belt, dai leghisti ai seguaci di Orban.

Per cui continuo a pensare che la vittoria di Trump, così come quella delle forze anti-establishment nel resto del mondo sia dovuta ad un cambiamento epocale della politica. Come scriveva Schmitt nell’età moderna il criterio del politico è cambiato a seconda dei periodi seguendo lo Zentralgebiet (dal teologico al morale, da questo all’economia): ora siamo in una fase nuova, un nuovo Zentralgebiet. E Trump, come Orban, Le Pen, la nostra Meloni sono l’effetto e non la causa del cambiamento.

Teodoro Klitsche de la Grange

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L’alba di una nuova civiltà, di Tree of Woe

L’alba di una nuova civiltà

Dopo l’anima apollinea, magica e faustiana viene l’anima enea

8 novembre

Solo tre giorni fa, il 5 novembre 2024, Donald J. Trump è stato eletto ancora una volta alla carica di Presidente degli Stati Uniti, assicurandosi 312 decisivi voti elettorali e, per la prima volta nella sua carriera politica, il voto popolare. È stato il più grande ritorno nella storia della politica americana.

Per molti a sinistra, una vittoria di Trump era impensabile; persino molti a destra sono rimasti sorpresi dalla portata del trionfo tinto di rosso di Trump. Gli storici trascorreranno anni a discutere quali elementi della campagna del 2024 si siano rivelati i più decisivi. È stata la sostituzione di Joe Biden con Kamala Harris? Il coraggio di Trump dopo un tentato assassinio? La morte dello scoiattolo Peanut e del procione Fred per mano di agenti governativi armati?

Qualunque altro fattore potesse essere in gioco, il ritorno di Trump sarebbe stato impossibile se non avesse ricevuto il supporto dell’uomo più ricco del mondo: Elon Musk. Senza il supporto di Musk, il ritorno di Trump avrebbe potuto vacillare; con esso, è balzato verso la vittoria.

Musk, architetto della nuova frontiera tecnologica, ex beniamino dell’industria tecnologica progressista, imprenditore che ha costruito la sua eredità su visioni audaci e inflessibili del futuro dell’umanità, non potrebbe mai essere definito un “conservatore” o un “populista”, eppure è stato senza dubbio l’alleato più prezioso di Trump.

Perché Musk, una figura sinonimo di futurismo e tecnocrazia, dovrebbe schierarsi con Trump, un simbolo di disruption e populismo? “Considero questa elezione un bivio sulla strada del destino”, ha detto Musk. “Penso che la vittoria di Donald Trump faccia una grande differenza nel far sì che l’umanità arrivi su Marte e renda la vita multiplanetaria. Vota Trump se vuoi che l’umanità arrivi su Marte”.

Per coloro che sono ciechi alle correnti della storia, le parole di Musk sono state facilmente liquidate come arroganza, avidità o infantilismo. Ma coloro che hanno occhi per vedere i cicli della civiltà ne sapevano di più.

Lo stato del mondo moderno, potente ma fragile; fiorente ma finito; in espansione geometrica ma sotto minaccia esistenziale, richiedeva una nuova visione del mondo. L’allineamento di Musk con Trump è nato organicamente in un modo che trascende sia l’uomo che il movimento. L’allineamento ha annunciato l’alba di una nuova civiltà, una la cui anima è accesa dall’ambizione cosmica di conquistare le stelle, ma temperata dall’acuta comprensione della fragilità e del pericolo planetari.

L’alleanza tra Musk e Trump ha segnato un momento di transizione: il momento in cui un ethos faustiano in declino ha ceduto il passo a un ascendente spirito eneico.

Possono conquistare chi crede di poterlo fare.

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Le civiltà di Spengler: apollineo, magico e faustiano

Per comprendere questo cambiamento, dobbiamo rivisitare la visione di Oswald Spengler dei cicli storici e delle culture. In The Decline of the West , Spengler ha mappato la vita e la morte di varie civiltà storiche, ciascuna animata dalla sua unica “anima”, uno zeitgeist o visione del mondo che dà forma e significato alle sue espressioni nell’arte, nell’architettura, nella scienza e nella religione. Spengler ha identificato tre civiltà centrali per l’eredità occidentale: l’Apollineo, i Magi e i Faustiani, ciascuna con il suo orientamento spaziale e simbolismo architettonico.

Le anime di queste civiltà fungevano da filo conduttore per ciascuna delle loro epoche, e ciascuna era autosufficiente nello scopo e nell’aspirazione. Erano, in effetti, le pulsioni sottostanti dei loro tempi. Spengler comprese che l’estetica unica delle tre civiltà si manifestava in accordo con la particolare architettura dell’anima di ciascuna civiltà.

La civiltà apollinea di Grecia e Roma era fondamentalmente orientata verso uno spazio finito e delimitato. L’anima apollinea desiderava ardentemente simmetria, proporzione ed equilibrio. I templi greci riflettevano questo: erano monumenti autonomi, statici, alla perfezione e all’armonia, incarnando un mondo definito da limiti chiari e legge naturale. Per la mente apollinea, il mondo era finito e ordinato, e la grandezza umana doveva prosperare entro i vincoli dell’armonia della natura.

La civiltà dei Magi, definita dal mondo del primo Cristianesimo, dell’Islam e dell’Impero Romano d’Oriente, introdusse un nuovo orientamento verso lo spazio. La sua anima era quella di recinti e divinità nascosta, simboleggiata architettonicamente dalla cupola e dal sancta sanctorum. Questo spazio era un mondo di fede rivolto verso l’interno, dove Dio era il centro invisibile, avvolto nel mistero e nella rivelazione. Qui, lo spazio cavernoso sotto la cupola non offriva l’infinito, ma l’intima e potente presenza del divino. L’anima dei Magi desiderava ardentemente l’unità interiore, un’unità tra l’umanità e il divino, incapsulata all’interno di recinti sacri.

Poi arrivò la civiltà faustiana, quella che chiamiamo Occidente, con il suo impulso unico per uno spazio sconfinato e illimitato. Lo spirito faustiano, che nacque dall’era medievale e prosperò attraverso il Rinascimento e l’età moderna, guardò sempre verso l’esterno, verso l’orizzonte infinito e le stelle oltre. La sua architettura catturò questa spinta: le cattedrali gotiche raggiungevano il cielo con le loro guglie, mentre i moderni grattacieli e le imprese tecnologiche estendevano questo desiderio di infinito. L’anima faustiana era spinta senza fine verso la conquista, la scoperta e il dominio, senza farsi scoraggiare da ostacoli o scrupoli etici. Questa civiltà osò scalare montagne, sfruttare l’atomo, dividere i geni e tracciare le stelle. Ma con la sua incessante ricerca arrivò un grande prezzo: l’incoscienza del progresso faustiano iniziò a rivelare i pericoli di una ricerca incontrollata di dominio, una ricerca ora tinta di sfinimento.

Vedo guerre, guerre feroci, e il Tevere spumeggia di fiumi di sangue.

Saint Louis Gateway Arch - Square Format - Color Photograph by Gregory ...

L’ascesa della civiltà enea: dall’infinito alla liminalità

Mentre raggiungeva il precipizio del sovvertimento ambientale, tecnologico e sociale, l’anima faustiana affrontò una resa dei conti. È qui che lo spirito eneico cominciò a emergere, un’anima animata non dall’ambizione fine a se stessa, ma dalla delicata consapevolezza che l’umanità si trova su una soglia, uno spazio liminale con una scelta chiara: trascendere o perire.

L’anima enea, che prende il nome da Enea, l’eroe dell’Eneide di Virgilio , che fuggì dalle rovine di Troia per fondare una nuova e più grande Roma, abbraccia la dualità di distruzione e destino, di esaurimento e ringiovanimento.

L’anima enea è definita dalla sua comprensione dell’umanità come sospesa sull’orlo del destino cosmico, consapevole della nostra unicità nell’universo, e tuttavia ossessionata dallo spettro dell’estinzione, il Grande Filtro che incombe minacciosamente sul nostro futuro. Cerca di stabilire una nuova civiltà che, poiché minacciata dai pericoli esistenziali del collasso, è quindi spinta a trascendere i confini della Terra per garantire la sopravvivenza umana.

La transizione dal faustiano all’eneo si riflette nelle strutture che simboleggiano la nostra epoca. Mentre la cultura faustiana celebrava il grattacielo svettante e la ferrovia che si allontanava all’infinito, l’epoca enea venera il volo arcuato del razzo. Laddove l’architettura faustiana celebra l’infinito torreggiante, l’architettura enea celebra la sublime liminalità, la soglia in cui ci si trova sul bordo di una realtà e si considera di entrare in un’altra. Il suo orientamento non è verso linee rette, ma piuttosto verso archi, portali e portali : simboli di transizione e trasformazione.

Gli archi non solo creano uno spazio liminale tra i loro pilastri, ma nella loro ascesa verso grandi altezze poggiano su due fondamenta anziché su una: metaforicamente, il passato e il presente creano la porta verso il futuro. Gli archi servono anche come avvertimento che tutto ciò che sale cade. Opportunamente, l’ultimo comizio di Trump in North Carolina si è tenuto nella Dorton Arena, la prima struttura al mondo basata su due archi parabolici in cemento.

The Research Triangle's best modernist buildings - Axios Raleigh

Le porte dell’inferno sono aperte notte e giorno;
Semplifica la discesa, la strada è facile:
Ma per tornare indietro e vedere i cieli allegri,
In questo sta il compito e il duro lavoro.

L’anima enea: attenta all’inazione, cauta al crollo

Se l’anima faustiana era incurante delle conseguenze delle sue azioni, l’anima enea è attenta alle conseguenze dell’inazione. Sa che il futuro non è vinto da coloro che aspettano passivamente, ma da coloro che agiscono; tuttavia l’azione deve essere fatta deliberatamente, saggiamente e con riverenza per gli avvertimenti della storia. L’uomo eneo è l’uomo dell’azione e del pensiero, uniti.

L’anima apollinea vedeva il tempo come ciclico e limitato, che si muoveva in schemi ripetuti. L’anima faustiana, al contrario, vedeva il tempo come lineare e illimitato, un percorso verso un progresso perpetuo e infinito. L’anima enea sa che il tempo è simultaneamente ciclico ma illimitato. Gli schemi di ascesa e caduta sono inevitabili, ma l’ampiezza tra l’apice e il nadir non è limitata; c’è la possibilità di un risultato più grande di qualsiasi cosa l’umanità abbia mai realizzato, e il rischio di un crollo molto peggiore di qualsiasi cosa Minosse o Roma abbiano mai visto. L’alto arco svettante è il simbolo di quell’aspirazione a salire fondata sulla consapevolezza che su entrambi i lati di una cima c’è una valle.

Così, laddove la civiltà faustiana credeva di poter esercitare il dominio tramite la volontà di potenza, la civiltà enea sa di dover governare saggiamente, per evitare che la sua sconsideratezza acceleri la rovina stessa da cui cerca di sfuggire. La civiltà enea è definita dalla consapevolezza che l’umanità marcia in avanti su uno stretto ponte , e ciò che sembra una distesa infinita può facilmente trasformarsi in un abisso spalancato.

Lo spirito eneo conserva l’ambizione del faustiano ma la tempera con la saggezza dell’apollineo e la riverenza del mago. L’anima enea raggiunge le stelle con la consapevolezza che le risorse, la saggezza e l’unità dell’umanità sono finite. Sa che siamo sulla soglia del destino; che dobbiamo bilanciare il coraggio con la cautela, l’ambizione con la moderazione; che mentre la scelta di agire potrebbe non salvarci, la scelta di non agire ci condannerà sicuramente .

Enea fondò Roma dopo essere sopravvissuto alla caduta di Troia; l’anima enea cerca di fondare una nuova civiltà dalle rovine di quella faustiana. Non cerca solo l’espansione ma la conservazione, non solo la conquista ma la continuità. Ha rispetto per le lezioni del passato; esamina la rovina dell’antica grandezza e vede sia il trionfo dello spirito umano sia la fragilità dell’impegno umano. In questo senso, l’anima enea non è semplicemente la successore di quella faustiana; è la sua redenzione.

Una storia più grande si apre davanti ai miei occhi,
Mi attende un compito più grande.

I grandi progetti della civiltà enea

Trovandosi costretto dalle circostanze a scegliere se il destino dell’umanità debba essere un’esistenza squallida ma sostenibile su un suolo impoverito, o un’odissea eroica costellata di pericoli, l’Eneide sceglie la seconda. Guida la nave dell’umanità verso le stelle, conoscendo bene il rischio.

L’esplorazione spaziale diventa non una ricerca faustiana di confini infiniti, ma una ricerca enea di sicurezza di fronte al Grande Filtro; non un atto di arroganza, ma di conservazione; non un mezzo per ottenere una fama imperitura, ma un mezzo per garantire che la fiamma dell’umanità rimanga imperitura anche se questo pianeta si spegne.

Allo stesso modo, la colonizzazione di Marte non diventa semplicemente una sfida tecnologica da affrontare per questa generazione, ma un impegno esistenziale assunto per le generazioni future. Poiché la Terra non può sostenerci senza fine, dobbiamo sostenerci fuori dalla Terra o finire. L’uomo faustiano è famoso per “essere andato sulla Luna non perché fosse facile, ma perché era difficile”; l’uomo eneico andrà su Marte, non perché sia difficile, ma perché è necessario.

Anche sulla Terra, le anime enee vedono l’umanità in piedi nello spazio liminale tra la rovina e il trionfo. L’intelligenza artificiale, perseguita con ambizione puramente faustiana, potrebbe essere il più grande errore dell’uomo; se perseguita con magnanimità enea, può essere la più grande conquista dell’uomo. Dall’ingegneria genetica all’automazione robotica, dalla nanotecnologia all’energia nucleare, la civiltà enea tempera l’ambizione con cautela. L’era enea non persegue ciecamente la tecnologia per il gusto della tecnologia; comprende che un balzo in avanti può portarci verso l’alto o verso il basso.

Di fronte a rischi esistenziali quali tempeste solari e guerre nucleari, minacce che possono porre fine all’esperimento umano prima che raggiunga il suo apice, l’Eneo accetta la sfida con la grandezza d’animo che gli antichi chiamavano megalopsychia.

Lo spirito Eneo arde in te?

Io sono Enea, vincolato al dovere e conosciuto
Sopra l’alta aria del cielo per la mia fama,
Portando con me sulle mie navi i nostri dei
Del focolare e della casa, salvati dal nemico.

SpaceX Wallpaper 4K

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SITREP 11/8/24: L’arrivo di Trump mette in crisi le cose, Simplicius

Sulla scia della vorticosa vittoria elettorale di Trump, si è scatenata una folle corsa sia per occupare posizioni nella sua amministrazione sia da parte dei leader mondiali per ingraziarsi il ritorno del grande affarista.

L’Europa, in particolare, è in totale disordine, poiché il fallimento a costo zero in Ucraina ha messo in luce i deboli leader europei come veri e propri imperatori nudi di fronte alle loro popolazioni in rivolta. La Germania continua a disfarsi completamente davanti ai nostri occhi, mentre il francese Macron ha rilasciato una dichiarazione di panico temporaneo sulla necessità per l’Europa di diventare “onnivora” in un mondo pieno di “carnivori”, per evitare di essere lasciata indietro per sempre.

In breve, l’Europa si sta dimenando mentre affonda sotto le maree della storia e Macron cerca tardivamente di mettere in campo la zattera di salvataggio, senza successo. L’Europa si è subordinata agli Stati Uniti in modo tale da diventare una mera pedina, priva di sovranità, con i suoi leader che possono essere riorganizzati a piacimento sulla scacchiera da chi detiene il potere. Macron cerca disperatamente di aggrapparsi allo status quo, ma il treno è partito.

Naturalmente le interpretazioni sono molteplici: gli ucraini leggono forza e ottimismo nella polemica di Macron, che vedono come il segnale di un rinnovato appello alla solidarietà europea sull’Ucraina. Ma è chiaro che le locuzioni di Macron sono solo vuoti vapori, il miraggio della “solidarietà” è trasparente come un sacchetto di plastica a buon mercato.

Ora le azioni irregolari di Trump sono destinate a fare da guastafeste, aggiungendo ancora più incertezza al mix, con la presunta telefonata di oggi tra il Presidente eletto e Zelensky, che, a quanto pare, avrebbe coinvolto Elon Musk.

AXIOS riporta: Trump rassicura Zelensky in una telefonata con Elon Musk

Nella telefonata di 25 minuti tra Donald Trump e Zelensky mercoledì c’era anche Elon Musk, hanno riferito due fonti ad Axios.

Zelensky si è congratulato con Trump, che ha assicurato il suo sostegno all’Ucraina senza specificare nulla.

Tre fonti hanno dichiarato che Zelensky si è sentito rassicurato dalla telefonata, che non ha aumentato le sue preoccupazioni.

Musk ha anche confermato che continuerà a sostenere l’Ucraina attraverso Starlink, anche se ha rifiutato di commentare.

Molti stanno cercando di dare un senso prematuro alle cose, ma è troppo presto per dirlo. È probabile che Trump stia solo inviando delle richieste e che non abbia ancora un vero e proprio piano o una politica consolidata. È l’ipotesi più realistica:

Tuttavia, il timore legittimo che riecheggia in molti è che Trump faccia un’offerta insensata che verrà respinta da Putin, che non solo ferirà l’ego di Trump, ma lo metterà in imbarazzo sulla scena mondiale, inducendolo a cercare una ritorsione minacciando di andare “all in” sull’Ucraina. Dopotutto, questa era la visione del piano di pace di Mike Pompeo, delineata all’inizio dell’anno. Pompeo, che alcuni sostengono sia ora in considerazione per l’amministrazione Trump, dato il suo discorso a sorpresa a un comizio di Trump una settimana fa, ha delineato la sua visione secondo cui Trump minaccerebbe un’escalation totale con un massiccio programma di prestiti da “500 miliardi di dollari” per dare all’Ucraina tutto ciò che vuole:

Anche Trump, in precedenza, era stato citato per aver minacciato qualcosa di simile in un’intervista della Fox con Maria Bartiromo, quindi sembra esserci almeno un fondo di verità in questa storia:

Il problema è che gli Stati Uniti non hanno più nulla da dare se non spogliando completamente le proprie forze armate già esaurite, per cui la minaccia sembra essere vuota. Ma lascia aperta la domanda: che cosa farebbe Trump se venisse respinto da Putin?

In effetti, l’ultimo articolo dell’Economist sostiene che Zelensky e il suo team hanno finito per sperare segretamente in una vittoria di Trump per avere la possibilità di dare esattamente questo tipo di “scossa”:

Deluso dai tentennamenti di Biden e Jake Sullivan, Zelensky avrebbe spostato le speranze su un Trump irregolare che “stracciasse le regole” e facesse una qualche sorpresa positiva.

Il “vociferato” piano iniziale di Trump, tuttavia, è prima facie mediocre e privo di immaginazione: Una DMZ in stile coreano con “truppe europee” in scena come forze d’inciampo, che ha animato le folle occidentali in voli di fantasia:

La squadra di Trump ha iniziato a discutere un nuovo piano per porre fine al conflitto in Ucraina, – WSJ

▪️L’accordo comprende diversi punti: si vuole obbligare Kyiv a rifiutare di entrare nella NATO per decenni, congelare la linea del fronte e creare una zona demilitarizzata.

▪️Non si sa chi garantirà la sicurezza, ma una fonte ha escluso il coinvolgimento di truppe statunitensi e delle Nazioni Unite: “Non manderemo gli americani a mantenere la pace in Ucraina. E non pagheremo per questo. Chiedete a polacchi, tedeschi, inglesi e francesi di farlo”.

▪️L’Ucraina continuerà inoltre a ricevere assistenza dagli Stati Uniti in materia di armi e addestramento militare.

Quanto sopra non affronta in alcun modo le richieste di Putin in materia di smilitarizzazione, de-nazificazione, eccetera. Certo, Trump potrebbe spremere un edulcorante shock di una totale abrogazione delle sanzioni, ma è difficile immaginare che anche questo sarebbe sufficiente, date le promesse sanguinose di Putin al suo stesso popolo sulle premesse centrali dell'”Operazione speciale”.

La verità è che sempre più persone da parte occidentale si pongono apertamente la scomoda domanda del perché, esattamente, Putin si degnerebbe di negoziare quando la guerra sta finalmente iniziando ad andare così palesemente a suo favore.

Ecco il resoconto di un’unità militare dell’AFU che si pone proprio questa domanda:

E il recente articolo della CNN:

In definitiva, come si può vedere, le due parti sembrano ai ferri corti: Trump, nella sua suprema vanità, pensa di poter porre fine a una guerra quasi santa che ha versato il sangue di centinaia di migliaia di persone da entrambe le parti con uno schiocco di dita – questo è il massimo della mancanza di rispetto per entrambe le parti, in particolare per la Russia e Putin. Ma personalmente non riesco a immaginare un tentativo di escalation da parte di Trump, al di là dei bluff da fanfarone, perché, come detto, gli Stati Uniti non hanno più molto da dare oltre a rottami arrugginiti o riserve strategiche critiche. L’unico modo possibile per uscirne è che Trump tagli tutti gli aiuti all’Ucraina e permetta una capitolazione completa, dando la colpa all’Europa dopo averle scaricato la responsabilità.

Comunque, per uno che ha fatto della fatidica debacle del ritiro dall’Afghanistan un punto di forza retorico e un punto culminante delle sue critiche contro l’amministrazione di Biden, è difficile immaginare che Trump possa ingoiare l’amara pillola ucraina, dato che apparirebbe – o almeno verrebbe dipinto – come un grave disastro e un imbarazzo sotto la sua guardia, simile al fiasco dell’Afghanistan. Per questo motivo, possiamo immaginare che Trump potrebbe tentare di alzare la posta in gioco consentendo attacchi in profondità da parte dell’Ucraina, ma questo non farebbe altro che innescare una conflagrazione globale per gli Stati Uniti che Trump non sarebbe in grado di spegnere: La Russia si intensificherebbe nell’armare i nemici degli Stati Uniti su tutta la linea, gli Houthi, ecc. creando incubi insostenibili nel Medio Oriente e non solo.

Chiudiamo questa sezione con la riaffermazione da parte dell’ambasciatore russo nel Regno Unito Andrei Kelin delle posizioni negoziali della Russia:

Il compromesso è fuori discussione. Zaporozhye e Kherson sono russe

La Russia non farà concessioni all’Ucraina: tutte le richieste della Federazione Russa saranno soddisfatte. Si tratta della smilitarizzazione, della denazificazione e dello status di neutralità del Paese.

L’ambasciatore russo in Gran Bretagna, Andrei Kelin, ha dichiarato questo in un’intervista alla BBC

“Non credo che ci sarà un compromesso – è perfettamente chiaro – l’Ucraina sarà un Paese non allineato, non nucleare, con normali relazioni con i vicini, e non avrà l’adesione alla NATO. Sarà smilitarizzata. E alla fine abrogherà tutte le leggi anti-russe adottate negli ultimi anni”, ha detto Kelin.

La Russia non ritirerà le proprie truppe dalle regioni in cui si sono svolti i referendum, i cui risultati sono sanciti dalla Costituzione della Federazione Russa.

“Non credo, perché prima, quando abbiamo negoziato nel 2022, c’era questa opzione, una possibilità. Ora queste quattro regioni appartengono alla Russia”, ha riassunto l’ambasciatore.

L’Ucraina continua a soffrire di gravi problemi di mobilitazione. Un parlamentare ucraino conferma che i numeri sono in forte calo dall’estate:

“L’UCRAINA NON RIESCE A RISPETTARE IL PIANO DI MOBILITAZIONE PER IL 2024”: – La deputata del Comitato per la Difesa ucraino, Solomiya Bobrovskaya (in collegamento). Non stiamo rispettando il piano per quest’anno, né per il mese stabilito.

Stiamo tornando alla situazione della primavera del 2024 – dice. Ciò che l’Ucraina chiama mobilitazione, altri Paesi potrebbero chiamare rapimento di tutti gli uomini. Per questo motivo, l’Ucraina sta esaurendo gli uomini e sta cercando di abbassare l’età di mobilitazione a 18 anni (dagli attuali 25, e prima ancora 27.) Finora, Zelensky ha detto che non lo farà. Ma è stato anche votato con una campagna di pace, promettendo di porre fine al conflitto civile nel Donbass.

Qui un ufficiale ucraino dice che le perdite in ritirata sono quasi pari a quelle in attacco, confermando un punto molto discusso dalla nostra comunità di analisti.

“La tendenza è chiara. Quasi nessuno vuole arruolarsi in fanteria. Il tasso di mortalità è troppo alto… Non c’è fiducia nella leadership militare. È un dato di fatto. Ci stiamo ritirando. E l’esercito perde tante persone nella ritirata quante ne perde nell’offensiva”.

Lo stesso ufficiale dice poi “è ora di iniziare a scavare fortificazioni a Kiev”.

Un altro politico ucraino ha dichiarato che presto sarà il momento di costringere tutti a entrare in un servizio di lavoro senza stipendio:

“E poi nessuno avrà uno stipendio. Ci saranno razioni, soldi per le sigarette e la benzina sui buoni”, ha dichiarato il vicepresidente della Corte Suprema dell’Ucraina Aleksandr Mamaluy.

E questo è diventato un sentimento inquietantemente comune, dal momento che l’ufficiale precedente afferma che milioni di persone dovrebbero essere richiamate gratuitamente, senza stipendio, al fine di effettuare una spinta massiccia contro le forze russe:

Per sconfiggere la Russia, l’Ucraina deve sommergerla di “carne”, arruolando 4 milioni di persone, di cui un milione morirà, e non pagando loro lo stipendio, – Martin Brest .

“4 milioni di persone da chiamare per il servizio militare. Non pagate loro lo stipendio, date loro solo da mangiare, perché è inutile. Portate a termine l’operazione entro un anno al massimo. Metteremo circa un milione di uomini e raggiungeremo il confine. Non ha senso (pagare gli stipendi dei soldati). I soldi saranno come pezzi di carta, con i quali accenderemo le nostre sigarette. Perché si dovrebbero richiamare 4 milioni di persone? Non ci saranno abbastanza armi per combattere in modo intelligente. Dovremo combattere con la carne… E ancora più carne, perché solo le mitragliatrici saranno sufficienti per 4 milioni di persone. E di certo non ci saranno abbastanza droni, artiglieria o aerei. In questo modo, saremo in grado di raggiungere i confini del 1991.

Il Paese sopravviverà dopo questo? No, non lo farà. Cadrà a pezzi”, ha detto Brest.

Il precedente articolo dell’Economist conferma i problemi:

“L’Ucraina sta lottando per sostituire le perdite sul campo di battaglia con l’arruolamento, riuscendo a malapena a raggiungere i due terzi dell’obiettivo. La Russia, nel frattempo, sta rimpiazzando le sue perdite reclutando con contratti lucrativi, senza bisogno di ricorrere alla mobilitazione di massa”. Un alto comandante militare ucraino ammette che c’è stato un crollo del morale in alcune delle sezioni peggiori del fronte. Una fonte dello Stato Maggiore suggerisce che quasi un quinto dei soldati si è assentato dalle proprie posizioni”.

Quindi: L’Ucraina sta raggiungendo una frazione delle sue cifre di mobilitazione e il 20% dei soldati si assenta dalle posizioni – questo è confermato dalla principale stampa occidentale, non da qualche organo di propaganda filorusso o altro.

Il problema delle assenze ingiustificate è diventato così comune che le brigate di punta dell’AFU fanno a gara tra loro nel riaccogliere i disertori, sperando di conquistarli con un approccio più amichevole o ospitale:

Intanto, l’ex comandante dell’Aidar, Dikiy, ha nuovamente confermato i numeri secondo cui l’Ucraina ha bisogno di 500k uomini immediati per stabilizzare il fronte con un ulteriore rifornimento mensile di 20-30k in seguito, il che sembra confermare le perdite mensili dell’Ucraina.

Taras Chmut fa eco a quanto detto sopra, affermando che solo una piccola manciata di uomini nelle brigate ucraine è in grado di combattere:

Il portavoce ufficiale dell’aeronautica ucraina Yuriy Ignat, tra l’altro, ha confermato le parole di Maria Bezuglaya, secondo cui l’Ucraina sta pressando le forze critiche di difesa aerea per trasformarle in unità di combattimento e d’assalto, il che sta erodendo gravemente le capacità di AD dell’Ucraina. Si noti che i “martiri” a cui si riferisce sono i droni russi Shahed:

La situazione non è migliorata da nessuna parte. Ieri il Comandante in capo ucraino Syrsky sembrava giocare al rialzo con il successo di Kursk, riportando alcune cifre che sembrano precise: sostiene che da agosto sono stati uccisi circa 7.000 russi nell’operazione. I dati di Putin parlavano di 30.000 ucraini morti a Kursk, quindi la disparità sembra credibile. Non dubiterei che sia un po’ più vicino, perché Kursk è stato essenzialmente il campo delle unità ucraine più elitarie contro la maggior parte delle guardie di frontiera russe, fino a poco tempo fa.

Bezuglaya potrebbe di nuovo essere visto prendere in giro Syrsky, perché i russi hanno lanciato un importante contrattacco riconquistando nuovamente il territorio e spingendo i resti del contingente ucraino sempre più vicino a Sudzha. La città settentrionale di Pogrebki sarebbe stata catturata o assaltata, dato che le forze russe vi sono state geolocalizzate da filmati intorno a 51.37040405100463, 35.22258690146927:

Nel frattempo, come abbiamo detto, le forze russe si sono attivate lungo la linea di Zaporozhye, catturando diverse posizioni vicino a Orekhov e Hulaipole. Qui è raffigurata la zona a sud di Orekhov, sulla linea dello Zapo occidentale:

Il canale degli ufficiali ucraini riporta l’accumulo di forze:

Sulla linea Ugledar-Kurakhove la Russia continua ad avanzare, fortificando il muro meridionale con l’espansione sia verso nord che sul fianco occidentale, catturando nuovo territorio vicino a Velyka Novosilka:

Il nuovo asse di attacco è stato da nord, con le forze russe che si stanno avvicinando al nodo critico di Sontsovka, che consentirà di stabilire il controllo del fuoco sull’ultima MSR a ovest di Kurakhove e di iniziare effettivamente l’accerchiamento totale:

Sono stati segnalati scontri a Sontsovka e fonti dell’AFU affermano di essere riusciti a mantenere il controllo per ora. Secondo le fonti, Stari Terny, appena a sud, è l’obiettivo finale dell’accerchiamento.

Ecco un thread estremamente dettagliato del combattimento di Kurakhove che mostra perché la città è così difficile da avvicinare. Ci sono difese stratificate e trinceramenti ovunque, che possono essere visti nelle chiare foto satellitari.

Alcuni ultimi elementi disparati:

Mentre la Germania continua a barcollare sull’orlo dell’abisso, stanno venendo fatte alcune interessanti rivelazioni sulle vere motivazioni della Germania:

LA VERITÀ SULL’UCRAINA: Talkshow tedesco alla TV di stato, chiede a un deputato verde del parlamento (Hofreiter) se si tratti di una guerra per le risorse, in particolare per il litio.

Il deputato del Bundestag Anton Hofreiter ha fatto trapelare tutti i suoi trucchi. “Nella parte orientale dell’Ucraina sono concentrate grandi riserve di litio e la Germania sta conducendo una guerra per ottenerle.

Lanz: “Ha un impatto economico diretto e abbiamo bisogno di questo litio in Germania”. Il politico verde dice, “corretto” si tratta di litio. -> Quindi gli uomini ucraini vengono strappati dalle strade, così l’agenda verde può continuare e le auto elettriche possono essere costruite in Europa.

Ora, dopo il crollo del governo, si dice che il nuovo ministro delle finanze tedesco sia l’ex capo della divisione tedesca di Goldman Sachs, Jörg Kukies:

Ancora peggio, si dice che fosse a capo di una divisione di BlackRock, anche se al momento non ho potuto verificarlo in modo indipendente:

È entrato a far parte di BlackRock nel 2014, dove ha ricoperto il ruolo di Managing Director e Co-Head delle operazioni europee di BlackRock. In tale veste, Kukies è stato coinvolto nella supervisione delle attività della società in Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA), nonché nella gestione delle relazioni con grandi clienti istituzionali e autorità di regolamentazione.

Sembra che la Germania sia diretta verso lo stesso obiettivo dell’Ucraina.

Una nota sui presunti negoziati in corso tra Russia e Ucraina in merito agli scioperi sulle reti energetiche. Yermak stesso li ha smentiti in una nuova intervista:

Yermak ha infine spiegato cosa intende l’Ucraina quando parla di un accordo con la Russia per porre fine agli scioperi contro il settore energetico:

“Questi negoziati, il modo in cui ne scrivono, ovvero che si tratti presumibilmente di negoziati tra Ucraina e Russia, non sono assolutamente veri.

Cosa sta realmente accadendo: abbiamo tenuto conferenze tematiche, la prima conferenza riguardava la sicurezza energetica. Era online, ma il Qatar era il co-organizzatore. E quando questa conferenza ha avuto luogo, abbiamo registrato i principi su questo punto della “formula di pace”. Tutte queste conferenze tematiche si tengono senza la Russia. Dopo di che abbiamo detto che se oggi, ad esempio, il Qatar o un altro paese è pronto a implementare questi accordi attraverso accordi con l’Ucraina separatamente e, ad esempio, separatamente con la Federazione Russa, sono benvenuti”.

Invece conferma che l’Ucraina ha cercato forse di porgere un ramoscello d’ulivo per salvare la faccia, evitando di dover negoziare direttamente con la Russia.

Infine, il Center for Strategic and International Studies fa alcune grandi ammissioni sull’evoluzione delle capacità di attacco della Russia:

LA RUSSIA È CAPACE DI SCIOPERARE!

Il Centro per gli studi strategici e internazionali spiega che la Russia ha compiuto progressi in molti ambiti:

1) Il ciclo di intelligence, sorveglianza e ricognizione della Russia è diventato davvero serrato: individuano un obiettivo e gli lanciano un missile IN POCHI MINUTI.

2) La Russia ha una base industriale funzionante e può prendere tutto ciò che fanno gli ucraini, replicarlo e ampliarlo rapidamente, mentre l’Ucraina non può. (Come ho scritto prima)

3) I russi hanno iniziato a prendere di mira anche le piccole officine per la produzione di droni e i loro fornitori di componenti.

4) I russi probabilmente ricevono immagini satellitari dai loro partner o società fantasma. -> Interessante anche come discutono del fatto che l’Ucraina nasconde la sua produzione di droni ai civili! Dice “ciò espone i civili a quel rischio”, quindi gli Stati Uniti sono a conoscenza degli scudi umani, ma ci stanno bene.


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“Pace duratura su quali basi? Sicurezza comune e pari opportunità per lo sviluppo nel XXI secolo “. Vladimir Putin

Riunione del Valdai Discussion Club

Il tema dell’incontro è “Pace duratura su quali basi? Sicurezza comune e pari opportunità per lo sviluppo nel XXI secolo “.

* * *

Direttore della ricerca della Fondazione per lo sviluppo e il sostegno del Valdai International Discussion Club Fyodor Lukyanov : Signore e signori, ospiti, amici, partecipanti all’incontro del Valdai Discussion Club!

Stiamo iniziando la sessione plenaria del 21 ° meeting annuale del Valdai International Discussion Club. Abbiamo trascorso quattro giorni meravigliosi pieni di discussioni e ora possiamo provare a riassumere alcuni dei risultati.

Vorrei invitare sul palco il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

Presidente della Russia Vladimir Putin: Grazie. Grazie mille.

Buongiorno, signore e signori, amici,

Sono lieto di darvi il benvenuto a tutti al nostro tradizionale incontro. Innanzitutto, vorrei ringraziarvi per aver preso parte alle discussioni acute e sostanziali del Valdai Club. Ci incontreremo il 7 novembre, una data significativa sia per la Russia che per il mondo intero. La Rivoluzione russa del 1917, come le rivoluzioni olandese, inglese e francese del loro tempo, sono diventate tutte, in una certa misura, pietre miliari nel percorso di sviluppo dell’umanità e hanno ampiamente determinato il corso della storia, la natura della politica, della diplomazia, delle economie e della struttura sociale.

Siamo anche destinati a vivere in un’epoca di cambiamenti fondamentali, persino rivoluzionari, e non solo a comprendere, ma anche a prendere parte direttamente ai processi più complessi del primo quarto del XXI secolo . Il Valdai Club ha già 20 anni, quasi la stessa età del nostro secolo. A proposito, in casi come questo si dice spesso che il tempo vola velocemente, ma non in questo caso. Questi due decenni sono stati più che pieni degli eventi più importanti, a volte drammatici, di portata veramente storica. Stiamo assistendo alla formazione di un ordine mondiale completamente nuovo, niente a che vedere con quelli che avevamo in passato, come i sistemi di Westfalia o di Yalta.

Stanno emergendo nuovi poteri. Le nazioni stanno diventando sempre più consapevoli dei loro interessi, del loro valore, della loro unicità e identità, e sono sempre più insistenti nel perseguire gli obiettivi di sviluppo e giustizia. Allo stesso tempo, le società si trovano ad affrontare una moltitudine di nuove sfide, da entusiasmanti cambiamenti tecnologici a catastrofici disastri naturali, da una scandalosa divisione sociale a massicce ondate migratorie e gravi crisi economiche.

Gli esperti parlano della minaccia di nuovi conflitti regionali, di epidemie globali, di aspetti etici complessi e controversi dell’interazione tra esseri umani e intelligenza artificiale, di come tradizioni e progresso si conciliano tra loro.

Tu e io avevamo previsto alcuni di questi problemi quando ci siamo incontrati prima e ne abbiamo persino discusso in dettaglio alle riunioni del Valdai Club. Ne avevamo anticipati istintivamente alcuni, sperando nel meglio ma senza escludere lo scenario peggiore.

Qualcosa, al contrario, è diventata una sorpresa completa per tutti. In effetti, la dinamica è molto intensa. In effetti, il mondo moderno è imprevedibile. Se si guarda indietro di 20 anni e si valuta la portata dei cambiamenti, e poi si proiettano questi cambiamenti negli anni a venire, si può supporre che i prossimi vent’anni non saranno meno, se non più difficili. E quanto più difficili saranno, dipende dalla moltitudine di fattori. Da quanto ho capito, vi state riunendo al Valdai Club esattamente per analizzare tutti questi fattori e cercare di fare delle previsioni, delle previsioni.

Arriva, in un certo senso, il momento della verità. Il precedente assetto mondiale sta irreversibilmente scomparendo, in realtà è già scomparso, e si sta svolgendo una seria, inconciliabile lotta per lo sviluppo di un nuovo ordine mondiale. È inconciliabile, soprattutto, perché questa non è nemmeno una lotta per il potere o l’influenza geopolitica. È uno scontro dei principi stessi che saranno alla base delle relazioni tra paesi e popoli nella prossima fase storica. Il suo esito determinerà se saremo in grado, attraverso sforzi congiunti, di costruire un mondo che consentirà a tutte le nazioni di svilupparsi e risolvere le contraddizioni emergenti sulla base del rispetto reciproco per culture e civiltà, senza coercizione e uso della forza. E infine, se la società umana sarà in grado di mantenere i suoi principi etici umanistici e se un individuo sarà in grado di rimanere umano.

A prima vista, potrebbe sembrare che non ci siano alternative. Eppure, purtroppo, ce ne sono. È l’immersione dell’umanità nelle profondità dell’anarchia aggressiva, delle divisioni interne ed esterne, dell’erosione dei valori tradizionali, dell’emergere di nuove forme di tirannia e dell’effettiva rinuncia ai principi classici della democrazia, insieme ai diritti e alle libertà fondamentali. Sempre più spesso, la democrazia viene interpretata non come il governo della maggioranza, ma della minoranza. La democrazia tradizionale e il governo del popolo vengono contrapposti a una nozione astratta di libertà, per il bene della quale, come sostengono alcuni, le procedure democratiche, le elezioni, l’opinione della maggioranza, la libertà di parola e un media imparziale possono essere ignorati o sacrificati.

Il pericolo sta nell’imposizione di ideologie totalitarie e nel renderle la norma, come esemplificato dall’attuale stato del liberalismo occidentale. Questo moderno liberalismo occidentale, a mio avviso, è degenerato in un’estrema intolleranza e aggressività verso qualsiasi pensiero alternativo o sovrano e indipendente. Oggi, cerca persino di giustificare il neonazismo, il terrorismo, il razzismo e persino il genocidio di massa di civili.

Inoltre, ci sono conflitti e scontri internazionali carichi del pericolo di distruzione reciproca. Le armi che possono causare ciò esistono e vengono costantemente migliorate, assumendo nuove forme man mano che le tecnologie avanzano. Il numero di nazioni che possiedono tali armi sta crescendo e nessuno può garantire che queste armi non saranno utilizzate, soprattutto se le minacce si moltiplicano gradualmente e le norme legali e morali vengono infine infrante.

Ho già affermato in precedenza che abbiamo raggiunto le linee rosse. Gli appelli dell’Occidente a infliggere una sconfitta strategica alla Russia, una nazione con il più grande arsenale di armi nucleari, rivelano l’avventurismo sconsiderato di certi politici occidentali. Una fede così cieca nella propria impunità ed eccezionalità potrebbe portare a una catastrofe globale. Nel frattempo, gli ex egemoni, che sono stati abituati a governare il mondo fin dall’epoca coloniale, sono sempre più stupiti che i loro ordini non vengano più ascoltati. Gli sforzi per aggrapparsi al loro potere in calo attraverso la forza si traducono solo in un’instabilità diffusa e in maggiori tensioni, con conseguenti vittime e distruzione. Tuttavia, questi sforzi non riescono a raggiungere il risultato desiderato di mantenere un potere assoluto e incontrastato. Perché la marcia della storia non può essere fermata.

Invece di riconoscere la futilità delle loro ambizioni e la natura oggettiva del cambiamento, alcune élite occidentali sembrano pronte a fare di tutto per ostacolare lo sviluppo di un nuovo sistema internazionale che si allinei con gli interessi della maggioranza globale. Nelle recenti politiche degli Stati Uniti e dei suoi alleati, ad esempio, il principio di “Non apparterrai a nessuno!” o “O sei con noi o contro di noi” è diventato sempre più evidente. Voglio dire che una formula del genere è molto pericolosa. Dopotutto, come dice il proverbio del nostro e di molti altri paesi, “Quello che la fai torna indietro”.

Il caos, una crisi sistemica sta già aumentando nelle stesse nazioni che tentano di attuare tali strategie. La ricerca dell’esclusività, del messianismo liberale e globalista e del monopolio ideologico, militare e politico sta costantemente esaurendo quei paesi che perseguono queste strade, spingendo il mondo verso il declino e contraddicendo nettamente i genuini interessi delle persone negli Stati Uniti e nei paesi europei.

Sono convinto che prima o poi l’Occidente arriverà a questa consapevolezza. Storicamente, i suoi grandi successi sono sempre stati radicati in un approccio pragmatico e lucido, basato su una valutazione dura, a volte cinica ma razionale delle circostanze e delle proprie capacità.

In questo contesto, vorrei sottolineare ancora una volta: a differenza delle nostre controparti, la Russia non vede la civiltà occidentale come un avversario, né pone la questione “noi o loro”. Ribadisco: “O sei con noi o contro di noi” non fa parte del nostro vocabolario. Non abbiamo alcun desiderio di insegnare a nessuno o di imporre la nostra visione del mondo a nessuno. La nostra posizione è aperta ed è la seguente.

L’Occidente ha effettivamente accumulato significative risorse umane, intellettuali, culturali e materiali che gli consentono di prosperare come uno degli elementi chiave del sistema globale. Tuttavia, è precisamente “uno dei” accanto ad altre nazioni e gruppi in rapido progresso. L’egemonia nel nuovo ordine internazionale non è una considerazione. Quando, ad esempio, Washington e altre capitali occidentali comprenderanno e riconosceranno questo fatto incontrovertibile, il processo di costruzione di un sistema mondiale che affronti le sfide future entrerà finalmente nella fase di autentica creazione. Se Dio vuole, ciò dovrebbe accadere il prima possibile. Ciò è nell’interesse comune, soprattutto per l’Occidente stesso.

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Le conseguenze delle elezioni: Note sul “Grande Riallineamento, di Simplicius

Le conseguenze delle elezioni: Note sul “Grande Riallineamento

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Alcune riflessioni post-elettorali sono doverose.

In primo luogo, vorrei annunciare che il più recente articolo a pagamento è stato aperto al pubblico in questa occasione:

Mentre fissiamo il precipizio, riflessioni finali

31 ottobre
As We Stare Down the Precipice, Final Ruminations
Si sta verificando un cambiamento importante.
Leggi l’articolo completo

Vi invito a leggerlo soprattutto perché la previsione esposta nell’incipit si è rivelata finora accurata, in quanto la vittoria di Trump ha provocato un tangibile riallineamento e un esame di coscienza a sinistra, quindi le previsioni rimanenti possono avere una risonanza particolare.

Tuttavia, vorrei indicarvi un paio di importanti risultati da trarre dal risultato elettorale. Ecco il mio più grande di tutti:

Le elezioni hanno dimostrato una cosa: lo “Stato profondo” e i poteri ostili nascosti noti come “Globalisti” che tramano dietro le quinte e gestiscono segretamente il Paese non sono onnipotenti. Possono chiaramente essere sconfitti quando il popolo è abbastanza stufo.

In questo ciclo elettorale hanno provato praticamente di tutto, e nessuno dei loro metodi precedenti è stato sufficiente per truccare e rubare le elezioni al loro candidato. Dalla manipolazione delle macchine per il voto elettronico, alla raccolta delle schede elettorali, ai voti per corrispondenza, ai falsi sondaggi e alle indagini, ai risultati di ricerca truccati su Google e altrove, fino a quello più grande: l’invasione di massa di immigrati clandestini per installare un regime di voto democratico permanente in perpetuo. Nessuno di questi ha funzionato, e Trump ha comunque vinto in una massiccia frana repubblicana. I repubblicani hanno vinto il Senato e, al momento in cui scriviamo, sono in procinto di vincere anche la Camera, con più seggi in ognuno di essi. Il fatto che i repubblicani controllino ogni ramo del governo potrebbe dare a Trump carta bianca per fare gran parte delle pulizie domestiche che ha promesso:

L’altro enorme elefante nella stanza esposto da questa elezione è il fatto ora innegabile e irrevocabile che il 2020 è stato di fatto rubato:

Proprio così, ecco le cifre del conteggio totale dei voti dei Democratici nelle ultime sei elezioni:

2004 Kerry – 59 milioni

2008 Obama – 69,5M

2012 Obama – 65,9 milioni

2016 Clinton – 65,9M

2020 Biden – 81,3M

2024 Harris – 66,4M

Notate qualcosa?

La prima vittoria di Obama è stata un risveglio nazionale grandioso e “trasformativo” – anche i repubblicani devono ammettere che la campagna del 2008 è stata “speciale” e che Obama ha portato un nuovo tipo di energia e influenza, un cambiamento culturale indicato dal famoso manifesto “Hope” che ha catturato una sorta di zeitgeist storico:

E i numeri lo riflettono: il voto del 2008 ha registrato un’affluenza record di 69,5 milioni di persone per Obama. La campagna elettorale di Harris per il 2024 ha speso un record di 1 miliardo di dollari dollari, eppure non è riuscita nemmeno ad avvicinarsi alla “religiosa” affluenza di Obama alla prima elezione, per non parlare dei “miracolosi” (leggi: anomali) 81,3 milioni di Biden.

Non è matematicamente possibile che Biden abbia avuto un’affluenza così anomala e da record, eclissando entrambi i candidati democratici precedenti e successivi.

Per la cronaca, Steve Bannon ha ora dichiarato che non lascerà cadere la questione e perseguirà la verità e tutti i rimedi (leggi: vendetta?) per ciò che è stato perpetrato nel 2020.

Quindi, l’altra grande domanda: come ha perso l’establishment, esattamente? Se avevano il loro piano a prova di bomba di milioni di nuovi immigrati, eccetera, cosa è andato storto esattamente per loro? Beh, sembra che la squadra di Trump abbia effettivamente preparato il terreno per gli imprevisti. Un membro del suo team ha affermato che un esercito di “500 avvocati per Stato” è sceso ieri sera per controllare tutte le irregolarità, e in effetti sembra che abbia persino contrastato diversi “tentativi” nel filone del 2020.

Per esempio, non solo sono state segnalate “irregolarità” in tutto lo Stato, per lo più di minore entità, come giochi con gli orari di voto, funzionari che si sono presentati in ritardo o macchine che si sarebbero guastate in contee per lo più rosse, ma c’è stato anche questo nella contea di Centre, in PA:

Probabilmente non lo sapremo mai con certezza, ma sembra che l’RNC e il team di Trump fossero molto più preparati a gestire tutti i trucchi e gli espedienti. La mancanza di protocolli COVID ha ovviamente ovviato a molti dei trucchi delle schede postali dell’ultima volta, ma è ancora un po’ un mistero il motivo per cui le decine di milioni di nuovi immigrati clandestini non abbiano influenzato massicciamente le elezioni nel modo previsto. In realtà, non lo sappiamo: forse l’hanno fatta oscillare molto più di quanto sappiamo, ma semplicemente Kamala è così impopolare che non sono riusciti a portarla nemmeno vicino al traguardo. Forse senza un voto illegale sarebbe arrivata a 30-40 milioni di voti invece che a 65 milioni.

C’è qualche prova circostanziale a sostegno di questa tesi: secondo questo grafico, Kamala ha vinto solo negli Stati che non richiedevano la carta d’identità:

Un po’ suggestivo, no?

Il 2024 è stato pubblicizzato come “affluenza record” per un’elezione che entrambe le parti sapevano essere più critica e cruciale che mai, eppure il totale dei voti espressi è stato danneggiato da un’elezione tenutasi durante la peggiore pandemia sanitaria di diverse generazioni:

Anche le contee Bellwether puntano a una chiara frode nel 2020.

Dove c’è fumo, c’è fuoco.

Nel mio pezzo a pagamento linkato prima ho parlato del grande cambiamento che sta avvenendo. Tutti stanno iniziando a vederlo, la finestra di Overton si sta aprendo, il potere della cancellazione e della deplorazione si è ritirato e sta diventando sempre più accettabile parlare di argomenti prima proibiti. Sulla scia delle elezioni di ieri sera, anche i media mainstream stanno iniziando a rendersi conto delle proprie carenze e dell’ampio divario di comprensione tra loro e l’America del cuore che ha portato a questo risultato.

Scott Jennings della CNN lo ha sintetizzato al meglio in un cupo momento di riflessione allo specchio, molto poco caratteristico per il network virulento:

Ha ragione: Trump ha vinto il voto popolare ieri sera, non solo il collegio elettorale. Si è trattato di un enorme schiaffo alle previsioni degli organi dell’establishment, come quelle del CFR il giorno stesso del voto:

Si noti come hanno preriscaldato il forno per arrostire Trump proprio con l’accusa di cui ora si è assolto meteorologicamente.

Allo stesso modo, anche Brian Stelter della CNN si è mostrato auto-riflessivo e penitente:

Nel pezzo, Stelter scrive:

Una citazione in una recente rubrica del New York magazine ha incanalato questa domanda. La citazione, proveniente da un anonimo dirigente televisivo, è stata diffusa sui social media mercoledì mattina. “Se metà del Paese ha deciso che Trump è qualificato per essere presidente, significa che non legge nessuno di questi media e che abbiamo perso completamente il nostro pubblico”, ha detto il dirigente. “Una vittoria di Trump significa che i media mainstream sono morti nella loro forma attuale. E la domanda è: come sarà dopo?”.

Continua a parlare dell’ammessa disconnessione di cui i media mainstream di sinistra hanno goduto da quando è iniziata l’era del derangement di Trump, ma sfortunatamente per lui, non riesce mai ad agganciare completamente il treno alla stazione, e finisce per concludere con alcuni luoghi comuni che evidenziano proprio il problema su cui ha cercato di far leva.

Oggi, ovunque ci si giri, gli opinionisti del mainstream si affannano in questa dolorosa ricerca interiore, chiedendosi: “Dove abbiamo sbagliato?”.

Chuck Todd, ad esempio, ammette a malincuore come Trump abbia trattato gli ispanici come normali lavoratori, mentre i democratici li hanno trasformati in pedine identitarie con una messaggistica piatta e insultante che utilizza bastardizzazioni come “LatinX” che in realtà non risuonano con la maggioranza di loro.

Anche Scarborough di MSNBC “Morning Joe” si è scatenato contro la politica dell’identità, dichiarando giustamente che qualcosa è andato storto nel Paese: i figli di un suo amico in età universitaria riferiscono di essere terrorizzati anche solo dall’alzare la mano a scuola perché la mancanza di libertà di pensiero è diventata così grave. La politicizzazione di ogni questione ha creato un ambiente repressivo che persino gli irriducibili anti-Trump citano come centrale nell’attuale Grande Svolta dell’America.

L’auto-riflessione e l’esame di coscienza sono stati evidenti in tutti i principali organi di informazione. La prima pagina del NY Times annunciava una svolta nazionale, evocando una “rivolta populista contro la visione che l’élite ha degli Stati Uniti”.

Improvvisamente, tutti gli organi dell’establishment stanno prendendo coscienza di sé e ammettono apertamente l’ampio scollamento che la classe elitaria ha permesso che si creasse tra loro e la gente comune.

L’esempio più illustrativo è stato il conteggio di Washington, che ha mostrato quanto sia distaccata la casta di beltway dal sentimento nazionale:

Le contee sono state vinte da ciascuno.

Altri importanti opinionisti hanno preso nota, con il titolo di Matt Taibbi come esempio principale:

Un gigantesco asteroide elettorale colpisce la classe intellettuale americana, che non se ne accorge

Ovviamente, non tutti i media mainstream sono stati costretti a un pentimento aperto. Molti hanno continuato ad aggrapparsi alle vecchie tradizioni di incolpare il razzismo e il bigottismo, con un’arringa a View che ha definito i risultati delle elezioni un “referendum sul risentimento culturale in questo Paese” perché, secondo lei, una “donna di colore sposata con un ebreo” è stata rifiutata come candidata dall’elettorato di Trump.

Il più divertente atto d’accusa, tuttavia, è stato stampato una settimana prima delle elezioni dall’importante rivista francese Nouvel Obs, che ha caratterizzato in modo esilarante l’ascesa di Trump come la vendetta a lungo covata del Sud americano per la Guerra Civile, e per di più su scala planetaria!

Cercate di reprimere le risate:

Secondo lo storico, il candidato repubblicano alla Casa Bianca rappresenta un anno di America che non ha ancora fatto i conti con la vittoria del Nord nella guerra civile americana. Con il miliardario Elon Musk al suo fianco, egli intende proiettare questa visione di maschi bianchi e cristiani in tutto il mondo.

È una sorta di Dixieland razzista Jihad, simile alla visionaria “Pace d’oro” di Dune che richiedeva la distruzione dell’universo secondo la profezia di Muad’Dib. È semplicemente incredibile fino a che punto si spingano nel contorcere un calcolo sociologico ed economico molto semplice. È difficile credere che non si tratti di una presa in giro, e per di più da parte di uno dei principali giornali politici di Parigi:

Semplicemente non riescono a capire come una depressione storica e un’economia devastata, un’erosione senza precedenti dei diritti, delle libertà civili e della libertà di parola, così come la distruzione del futuro di un’intera generazione – la generazione Z – prevalgano su – senza usare un gioco di parole – la singola questione dell’aborto, che non interessa a nessuno.

L’ultimo punto ci porta a considerare ciò che viene dopo, come ho descritto nel pezzo originale a pagamento: i Democratici hanno ancora la sentenza posticipata del 26 novembre per il processo penale di Trump, così come le minacce di Jamie Raskin di utilizzare la Sezione 3 del 14° Emendamento per impedire a Trump di essere certificato e giurato. Uno dei problemi, tuttavia, è che questa volta Trump ha vinto il mandato del popolo – il voto popolare – e quindi sarà difficile per i suoi nemici portare avanti i loro piani, dato che non c’è alcuna giustificazione per sostenere che sia illegittimo quando la maggioranza del Paese ha effettivamente votato per lui, a differenza del 2016, quando Hillary ha effettivamente vinto il voto popolare ma ha comunque perso per il collegio elettorale.

Tuttavia, alcuni esponenti dell’establishment sembrano sperare che le cose sfocino nella violenza; il New Yorker ha pubblicato questo articolo un giorno fa:

Questi portavoce dell’establishment continuano a cercare disperatamente di dipingere gli americani del cuore come “l’altro”, quelli che sono cambiati o hanno perso il contatto con l’anima della nazione, in qualche modo “corrotti” nelle loro tane di folletti degli Appalachi, come in una caricatura del Signore degli Anelli.

In realtà, chiunque sia sano di mente sa che è il contrario: Il nucleo centrale di Trump è costituito dalle sinistre, quelle che si sono piegate come canne al vento mentre il mostruoso tornado della sinistra si abbatteva, radendo al suolo i pilastri culturali del Paese, spostando i paletti e rovesciando gli status quo.

Ma ora il coperchio è stato spalancato e il popolo è stato vaccinato contro i trucchi più economici dell’establishment, che hanno perso il loro fervore. Per questo motivo, nel pezzo a pagamento ho scritto che le cose sono destinate a cambiare notevolmente, non perché Trump sia una figura messianica, ma perché è arrivato nel momento culminante in cui la pressione ha raggiunto il massimo da sola; sta solo creando il canale per il vasto cambiamento che si è già accumulato sotto la superficie per anni.

C’è il potenziale per fare cambiamenti radicali perché non ha più nulla da perdere: è il suo ultimo mandato, è vecchio e già miliardario, è stato demonizzato all’estremo e la sua reputazione è già stata macchiata dai Democratici, il che include arresti e reati tangibili; in cima a tutto questo, ha il pieno mandato del popolo con il voto popolare e quello che sembra un controllo totale senza precedenti di ogni ramo del governo con una piena pulizia rossa. Si tratta di una tripletta, un momento storicamente raro in cui può andare fino in fondo e paralizzare generazionalmente lo Stato profondo, riformando al contempo l’intero sistema; se volesse, potrebbe anche scendere in un vero e proprio cesarismo, ma questa è un’altra storia. Come minimo, potrebbe imitare Milei nell’estirpare tutte le inutili erbacce delle agenzie governative.

Come esempio dell'”effetto indiretto” menzionato prima, grandi cambiamenti stanno già avvenendo nel mondo solo grazie alla pura inerzia della vittoria di Trump. Ad esempio, poche ore dopo la vittoria di Trump, il governo tedesco sotto Scholz ha iniziato a crollare:

Politico afferma che non si tratta di una semplice coincidenza: La vittoria di Trump ha lasciato l’élite tedesca molto scossa per le ripercussioni che le politiche di Trump potrebbero avere sulle industrie tedesche già devastate.

La rinnovata instabilità politica in Germania è arrivata poche ore dopo la netta vittoria di Donald Trump alle elezioni americane, un risultato che ha stupito i leader politici tedeschi, che dipendono dalla potenza militare americana per la difesa del Paese e temono che le politiche tariffarie di Trump ostacolino l’industria tedesca.

Si prevede che la vittoria di Trump metterà sotto forte pressione la più grande economia europea. Un’analisi dell’Istituto economico tedesco (IW) stima che una nuova guerra commerciale potrebbe costare alla Germania 180 miliardi di euro nei quattro anni di mandato di Trump.

Molti in Germania avevano sperato che la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane avrebbe costretto la coalizione a rimanere unita per il timore che il presidente entrante avrebbe dato filo da torcere alla più grande economia europea.

Lo stesso Scholz si è lanciato in un discorso televisivo non programmato in cui ha confermato l’importanza di Trump sugli eventi in corso, invocando le elezioni:

Come ho detto nell’altro articolo, si tratta di aprire il vaso di Pandora: La vittoria di Trump romperà l'”incantesimo” globalista, incoraggiando i governi di tutto il mondo a sfidare le politiche di Blob, portando a molti altri crolli e a un ulteriore aumento delle fazioni di destra in Europa. I temi proibiti, come l’immigrazione, le questioni sociali e identitarie, ecc. diventeranno sempre più centrali quando la diga si romperà del tutto e le élite saranno costrette sulla difensiva per sempre.

Nei prossimi giorni discuteremo più dettagliatamente le implicazioni della vittoria di Trump. Per ora, è sufficiente sapere che potrebbe essere l’ultimo colpo sparato in una rivoluzione globale in corso che potrebbe portare alla ridipintura della tela globale entro il 2030 o giù di lì.

Nel frattempo, vi lascio con le parole non convenzionali dell’imminente economista Sergei Glazyev per l’occasione:

Sergey Glazyev:

Gli struzzi stanno scappando, la Pax Americana sta finendo. La setta di Leo Strauss, che governava gli Stati Uniti e progettava di instaurare una dittatura mondiale di pochi eletti, sta perdendo le elezioni. Anche lo Stato profondo degli Stati Uniti non ha scelta: una ripetizione della falsificazione porterà a una guerra civile e al collasso del Paese. Negli Stati Uniti stanno salendo al potere i pragmatici che riconoscono la transizione verso un nuovo ordine economico mondiale. La strategia di Brzezinski di sconfiggere la Russia, distruggere l’Iran e isolare la Cina, come previsto, ha solo rafforzato la Cina, che è diventata un leader globale. Insieme all’India, formerà un nuovo centro bipolare del nuovo sistema economico mondiale. Gli Stati Uniti possono integrarsi in esso come altro centro dell’economia mondiale se abbandonano l’imperialismo e fermano la guerra ibrida globale. È nell’interesse nazionale degli Stati Uniti che Trump liberi gli Stati Uniti dalla setta dello struzzo [straussiana] che li ha appesantiti. Per allineare le politiche di Washington all’interesse nazionale degli Stati Uniti sarà necessario avvelenare l’Europa e far cadere i regimi traditori antiumani di Germania e Francia. Come avevamo previsto, la guerra ibrida mondiale, iniziata dall’élite finanziario-potenziale statunitense per il dominio del mondo nel 2001 con l’attacco dei servizi segreti americani alle Torri Gemelle di New York, finirà l’anno prossimo con il riconoscimento universale della sua sconfitta e il completamento della transizione verso un nuovo ordine economico mondiale. Il mondo diventerà policentrico e policurrency, verrà ripristinato il significato della sovranità nazionale e del diritto internazionale.


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Ecco come l’America si è liberata da ciò che è stato, di Andrew Korybko

Un mix di magistrale campagna elettorale, l’acquisto di Twitter da parte di Musk e, presumibilmente, un colpo di divina provvidenza avvenuto quest’estate hanno reso tutto questo possibile.

Trump ha appena sconfitto Kamala nonostante le formidabili probabilità che erano contro di lui. È sopravvissuto a due assassinii tentativi , ha resistito alle leggi del governo, ed è sulla buona strada per assicurarsi il voto popolare nonostante i media tradizionali sostenessero pienamente il suo avversario. A proposito di lei, è famosa per aver ripetuto la sua frase sull’America che diventa ” sgravata da ciò che è stato “, il che significa andare oltre l’era Trump. Ironicamente, il paese l’ha appena superata, ed ecco come è successo:

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1. “È l’economia, stupido!”

Il consulente democratico James Carville ha coniato la frase sopra menzionata in riferimento alla questione elettorale più importante per la maggior parte degli americani. Risuona ancora vera oggi, poiché la maggior parte del paese sta peggio dopo quattro anni di amministrazione Biden-Harris rispetto al primo mandato di Trump. Non importa quali siano le ragioni di ciò, poiché tali sviluppi vanno fortemente contro i titolari. Di conseguenza, gli americani hanno votato per riportare in auge l’economia d’oro inaugurata da Trump.

2. L’immigrazione, sia legale che illegale, è fuori controllo

L’immigrazione è sempre un argomento scottante, ma lo è stato ancora di più durante queste elezioni a causa dell’afflusso senza precedenti di immigrati clandestini che hanno invaso il paese sotto Biden e dei resoconti virali di immigrati haitiani legali portati dal governo che mangiavano gli animali domestici delle persone in Ohio. Trump ha promesso di reprimere la componente illegale e di controllare più attentamente coloro che entrano nel paese tramite canali legali per garantire che si assimilino e si integrino. Questo approccio è molto popolare tra gli americani.

3. La gente ha paura della terza guerra mondiale

Gli americani non hanno mai avuto tanta paura della Terza Guerra Mondiale come adesso. La NATO-Russia la guerra per procura in Ucraina e gli attacchi avanti e indietro israelo-iraniani , ognuno dei quali ha il potenziale di sfociare nell’apocalisse nel peggiore dei casi, erano impensabili sotto Trump. Ha promesso di fare del suo meglio per portare la pace in Europa e in Medio Oriente se fosse stato rieletto, mentre Kamala ha promesso più delle stesse politiche che hanno portato il mondo sull’orlo della guerra. Un voto per Trump è quindi diventato un voto per la pace.

4. Le diffamazioni dei media contro Trump non funzionano più

Gli ultimi otto anni e mezzo di diffamazione dei media tradizionali contro Trump non hanno più l’effetto che avevano in passato nel manipolare la percezione che gli elettori avevano di lui e sono persino diventati controproducenti. Più accusano Trump di essere un “nazista” o altro, meno alla gente importa. I loro surrogati celebrità sono altrettanto cattivi e alcuni come Mark Cuban hanno inferto un duro colpo alla loro causa attaccando ferocemente le sostenitrici di Trump in quella che può essere vista come la “sorpresa di ottobre” di quest’anno.

5. Musk ha ripristinato la libertà di parola online

I punti precedenti sono tutti importanti, ma non avrebbero portato alla vittoria di Trump se Elon Musk non avesse ripristinato la libertà di parola online acquistando Twitter. Gli americani hanno potuto quindi condividere notizie sulle elezioni senza timore di censura, il che ha dimostrato loro di non essere gli unici a mettere in discussione l’amministrazione Biden e le false affermazioni dei media tradizionali. Anche quelle due sono state smentite in tempo reale. Se non fosse stato per Musk, le loro bugie si sarebbero diffuse senza essere contrastate, probabilmente rimodellando le elezioni.

6. Musk, RFK e Tulsi hanno reso cool il distacco dai democratici

Musk, RFK e Tulsi Gabbard sono ex democratici che hanno abbandonato il partito per protestare contro ciò che era diventato, ovvero un movimento ideologico radicale liberale – globalista che aveva reciso completamente le sue radici percepite con la classe operaia. Alla fine si sono tutti schierati dietro Trump, il che ha reso cool anche per altri democratici abbandonare il partito e lo ha aiutato a ottenere parte del voto indipendente che lo ha portato oltre il limite in stati chiave indecisi. Non avrebbe potuto vincere se non fosse stato per questa coalizione di unità.

7. Gli Amish e i Polacchi hanno aiutato Trump ad avere la meglio in Pennsylvania

Lo Stato Keystone è diventato la chiave della vittoria di Trump questa volta, e lui deve ringraziare gli Amish e i Polacchi per questo. Scott Presler , ex presidente di Gays for Trump, ha svolto un ruolo indispensabile nel mobilitare il primo, mentre i Posobiec Brothers (il popolare commentatore conservatore Jack e suo fratello Kevin) hanno reclutato i loro connazionali del secondo nel loro stato d’origine. La combinazione di questi due, entrambi gruppi e attivisti, ha garantito la vittoria di Trump lì.

8. La campagna GOTV dei repubblicani ha fatto la differenza

I repubblicani erano determinati a rendere il vantaggio di Trump “troppo grande da truccare” dopo essere stati convinti che fosse stato truffato del suo legittimo secondo mandato durante le ultime elezioni. A tal fine, hanno abbracciato il voto anticipato e raccolto le schede con lo stesso entusiasmo dei loro rivali democratici quattro anni fa, sapendo che letteralmente ogni voto conta e non volendo perderne nemmeno uno. Ciò ha fatto la differenza, evitando preventivamente scenari speculativi con cui Trump avrebbe potuto essere truffato ancora una volta.

9. L’aborto non è più un problema nelle elezioni presidenziali

L’annullamento da parte della Corte Suprema della sentenza Roe vs. Wade a metà del 2022 ha reso l’aborto una questione di diritti degli stati, che ha tolto il vento dalle sue precedenti vele come questione federale e quindi ha reso molto più difficile per i democratici mettere le donne contro i candidati repubblicani alla presidenza come in passato. Per quanto ci abbiano provato, non ci sono più riusciti, e questo ha aiutato Trump a uscirne vincitore. Il partito ha fatto affidamento sull’aborto per così tanto tempo che non sa cosa fare ora che non è più rilevante a livello presidenziale.

10. Walz è stata una delle peggiori scelte di vicepresidente immaginabili

Kamala avrebbe potuto avere una possibilità se avesse scelto il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro come suo compagno di corsa al posto del governatore del Minnesota Tim Walz, ma il primo è ebreo e ha legami con l’IDF , quindi temeva di perdere il voto musulmano del Midwest se lo avesse scelto. Fu un errore poiché Walz era una delle peggiori scelte di vicepresidente immaginabili e JD Vance lo fece a pezzi durante il loro dibattito. La maggior parte degli americani non voleva che Walz fosse a un battito di ciglia dalla presidenza dopo quello.

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La storia del ritorno politico di Trump è da libri di storia dopo le probabilità apparentemente insormontabili che ha superato. Un mix di magistrale campagna elettorale, l’acquisto di Twitter da parte di Musk e presumibilmente un colpo di divina provvidenza durante l’estate si sono uniti per rendere possibile tutto questo. L’America è ora veramente libera da ciò che è stato dopo aver respinto con decisione gli ultimi quattro anni in piena sfida ai democratici. Ora tocca a Trump mantenere la sua promessa finale di “rendere l’America di nuovo grande”.

Ha coinvolto il Canada in un conflitto straniero in cui non ha interessi personali e che ora si sta combattendo in parte sul suolo nazionale, con vittime tra i suoi cittadini.

I violenti estremisti khalistani, che vogliono ritagliarsi un proprio paese dal Punjab indiano, hanno devastato domenica un tempio indù nella Greater Toronto Area in uno dei loro attacchi più audaci degli ultimi anni. Di certo non ha superato il bombardamento del volo Air India 182 del 1985, che ha ucciso oltre 300 persone, soprattutto perché nessuno è morto durante gli ultimi scontri, ma dimostra comunque che l’adesione di Trudeau a questo movimento sta mettendo in pericolo i canadesi medi ed è contraria agli interessi nazionali.

Afferma che hanno la libertà sancita dalla Costituzione di promuovere qualsiasi causa desiderino, nonostante l’India abbia designato alcuni dei suoi leader come terroristi-separatisti, la cui estradizione è richiesta da anni. Comunque sia, c’è una grande differenza tra protestare pacificamente e pubblicare agitprop online e scatenarsi in un luogo di culto e minacciare i diplomatici, quest’ultima è una delle tattiche più recenti di questo movimento che viola la Convenzione di Vienna.

Invece di lavorare responsabilmente con i pari statali del Canada in India per contrastare le minacce transnazionali poste da questi attori non statali, Trudeau li ha incolpati di queste tensioni dopo aver accusato l’India di aver orchestrato l’assassinio nell’estate del 2023 di un terrorista-separatista designato da Delhi a Vancouver. Gli Stati Uniti hanno poi seguito l’esempio in risposta a un complotto simile che avrebbero sventato. Ecco alcuni briefing di base per coloro che non hanno seguito da vicino questo scandalo:

* 19 settembre 2023: ” La disputa tra India e Canada è molto più di un presunto assassinio ”

* 1 ottobre 2023: ” Il principale diplomatico indiano ha condiviso alcune oscure verità sul Canada ”

* 2 maggio 2024: ” L’articolo del WaPo sull’assassinio indiano è un colpo di avvertimento da parte delle agenzie di intelligence americane ”

* 23 settembre 2024: “ Gli Stati Uniti stanno giocando a un gioco di poliziotto buono e poliziotto cattivo contro l’India ”

* 19 ottobre 2024: “ La rottura di fatto dei legami indo-canadesi ha le impronte digitali degli Stati Uniti dappertutto ”

In breve, il Canada e gli Stati Uniti hanno coltivato gli estremisti khalistani come ibridi Le armi da guerra contro l’India per anni come una carta da giocare quando inevitabilmente ha iniziato a sfidare l’Occidente come ha fatto dal 2022 per quanto riguarda le loro richieste di sanzionare la Russia, da qui la tempistica di queste ultime tensioni. La differenza tra gli approcci complementari di questi due è che quello del Canada è molto più fuori controllo a livello locale a causa della ” politica del voto bancario ” di Trudeau.

Si sente costretto a compiacere questi estremisti a causa della popolarità dell’estremismo khalistano tra la minoranza sikh del suo paese, il cui politico di punta Jagmeet Singh del New Democratic Party ha il potere di rovesciare il governo di Trudeau in qualsiasi momento, come spiegato di recente da Politico qui . Il Canada è di conseguenza tenuto in ostaggio da questi estremisti politici che si sentono incoraggiati da questo accordo a terrorizzare letteralmente gli indù sapendo che lo stato probabilmente chiuderà un occhio sui loro attacchi.

Ciò contraddice gli interessi nazionali del Canada, coinvolgendolo in un conflitto straniero in cui non ha interessi e che ora è parzialmente combattuto sul suolo del suo paese, con alcuni dei suoi cittadini come vittime. La combinazione di interessi politici egoistici e la partecipazione alla guerra ibrida degli Stati Uniti contro l’India potrebbe anche comportare conseguenze economiche se il turismo indiano e i flussi di investimento venissero ridotti come punizione. A Trudeau potrebbe importare di meno, dal momento che questo ideologo liberale – globalista è convinto di avere ragione.

Ciononostante, la Russia vuole essere nella posizione migliore possibile per promuovere i propri interessi nazionali nel caso in cui un compromesso fosse inevitabile, il che potrebbe arrivare prima del previsto se Trump tornasse al potere.

Il rappresentante permanente russo all’ONU Vasily Nebenzia ha informato il Consiglio di sicurezza sulle forniture di armi occidentali all’Ucraina la scorsa settimana. Ha anche condiviso alcuni interessanti bocconcini tangenziali e dichiarazioni politiche correlate che hanno reso il suo discorso degno di essere letto per intero. Chi ha tempo può farlo qui , mentre chi non ce l’ha dovrebbe continuare con questo pezzo, che passerà in rassegna i punti salienti prima di inserirli nel contesto più ampio della guerra per procura NATO-Russia in Ucraina.

Secondo Nebenzia, “È ovvio che senza il coinvolgimento diretto dell’Occidente nella guerra con una potenza nucleare – che il presidente ucraino ‘defunto’ cerca così ardentemente – le truppe ucraine continueranno a ritirarsi e a subire perdite catastrofiche”. Ciò non è ancora accaduto, ma né la Francia né la Polonia escluderanno di intervenire in modo convenzionale nella zona del conflitto in determinate condizioni, il che potrebbe rischiare lo scoppio della Terza guerra mondiale per un errore di calcolo dovuto al fatto che sono membri della NATO.

Nonostante l’Ucraina si stia indiscutibilmente ritirando, Nebenzia ha fatto riferimento a un rapporto di Radio Free Europe/Radio Liberty, gestita dal governo statunitense, che affermava che ai militari è vietato usare le parole “ritirata”, aggiungendo che i propagandisti ucraini oggigiorno ignorano l’importanza strategica di tutte le aree catturate. Anche se le probabilità di una vittoria ucraina sono ormai insormontabili, ha affermato che è ancora rifornita di armi a causa di una combinazione di inerzia e della necessità di rastrellare maggiori profitti per le aziende di difesa.

Tuttavia, una grande quantità di equipaggiamento non è stata contabilizzata, come dimostrato da un recente rapporto. Nebenzia ha affermato che “il Pentagono ha recentemente condotto un audit di 2,1 miliardi di dollari inviati all’Ucraina da gennaio a dicembre 2022. Ed è risultato che 1,1 miliardi di dollari erano non documentati e nulla poteva giustificare e verificare i pagamenti”. Nonostante ciò, queste spedizioni di armi continuano, alimentando così sia il conflitto che la corruzione.

Tuttavia, non sono sufficienti a risollevare il morale delle forze armate, poiché molti non si fidano più di Zelensky dopo che ha tradito le sue promesse elettorali di porre fine al conflitto del Donbass e proteggere i diritti della minoranza russa in Ucraina. La situazione è così grave che Nebenzia ha anche accennato a quanto recentemente rivelato da un parlamentare ucraino su come oltre 100.000 persone abbiano disertato o siano andate AWOL dal 2022, spiegando così perché gli uomini in età militare ora vengono arruolati con la forza da ristoranti, centri commerciali e concerti .

Ha anche detto che non gli piace il fatto che Zelensky abbia trasformato l’Ucraina in una pedina degli Stati Uniti contro la Russia nella malriposta e in ultima analisi fallita speranza “che con l’aiuto degli Stati Uniti sarebbe diventato una ‘regina’ sulla grande scacchiera”. Come ulteriore prova dello status subordinato dell’Ucraina nei confronti degli Stati Uniti, ha attirato l’attenzione su come Zelensky stia lasciando che l’Occidente monopolizzi l’estrazione dei minerali critici del suo paese in cambio di un maggiore supporto militare, che è un’altra ragione per mantenere in corso il conflitto.

Le reclute arruolate con la forza ora vengono impedite di ritirarsi o fuggire dalle cosiddette “truppe di barriera” che “stanno nella parte posteriore delle loro unità e sparano loro alla schiena”. Anche mercenari stranieri, in particolare dagli Stati Uniti e dalla Polonia, stanno combattendo contro la Russia e commettono crimini di guerra. Questi includono la violazione della Convenzione sulle armi inumane (formalmente la Convenzione su alcune armi convenzionali) e della Convenzione sulle armi chimiche.

Riassumendo i punti salienti del suo briefing, Nebenzia ha concluso dichiarando con sicurezza che “non si ripeterà lo scenario degli accordi di Minsk; non permetteremo alcun congelamento del conflitto in modo che il regime di Zelensky possa ‘leccarsi le ferite’. Né l’Ucraina verrà accettata nella NATO in una forma o nell’altra. Gli obiettivi della nostra operazione militare speciale, tra cui la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina, rimangono in vigore e sono immutati”.

Mettendo insieme il tutto, il conflitto è pronto a superare un punto di svolta sul possibile imminente crollo delle linee del fronte, anche se non è ancora chiaro se la NATO (sia nel suo complesso, tramite “coalizioni di volenterosi” al suo interno, o solo un singolo membro come la Polonia) interverrà convenzionalmente dopo. Non si sa nemmeno esattamente quando ciò potrebbe accadere, solo che è sempre più probabile come suggerito in precedenza dal rapporto della CNN sulla situazione desolante e da una lettura tra le righe della recente intervista di Zelensky.

La tempistica con cui questa tendenza si sta materializzando coincide con le elezioni presidenziali statunitensi della prossima settimana, che potrebbero vedere Trump tornare alla Casa Bianca e creare effettivamente delle serie difficoltà per la Russia, come spiegato qui , ergo perché Nebenzia potrebbe aver sentito la necessità di riaffermare la sua promessa di massima vittoria. Trump ha parlato molto di voler fermare il conflitto al più presto dopo la sua potenziale rielezione, ma non ha mai condiviso alcun dettaglio, ed è possibile che voglia “escalate to de-escalate” o congelare il conflitto.

Nessuno dei due sarebbe accettabile per la Russia, ma la Russia potrebbe comunque trovarsi in un dilemma in cui è costretta a scegliere uno o l’altro scenario a seconda di cosa decide di fare, dal momento che potrebbe prendere l’iniziativa in qualche modo drammatico come ha promesso. Naturalmente, potrebbe anche semplicemente continuare con la politica attuale, come farebbe Kamala se vincesse, ma Nebenzia voleva comunque chiarire che il suo paese non è interessato a congelare il conflitto o a consentire all’Ucraina di entrare nella NATO in qualsiasi forma.

Detto questo, un compromesso potrebbe essere inevitabile indipendentemente da chi vince e non importa quando tale risultato potrebbe essere concordato, ma la Russia vuole essere nella migliore posizione possibile per promuovere i propri interessi nazionali in tali circostanze. Ecco perché sta spingendo avanti il più velocemente possibile nella speranza di ottenere una svolta militare che soddisfi il maggior numero possibile dei suoi obiettivi o li renda un fatto compiuto entro il momento in cui il prossimo presidente entrerà in carica a fine gennaio.

La neutralità militare dell’Ungheria nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina irrita l’Occidente molto più della neutralità economica della Serbia.

Il capo dello staff di Viktor Orban, Gergely Gulyas, ha confermato che il suo paese ha sventato i piani di alcune agenzie di spionaggio straniere, tra cui quelle di alleati NATO nominali non nominati, per reindirizzare armi e munizioni acquistate dall’Ungheria in Ucraina e Africa, dove sarebbero state rispettivamente utilizzate direttamente e indirettamente contro la Russia. L’Ungheria rimane militarmente neutrale nella dimensione NATO-russa della Nuova Guerra Fredda , nonostante abbia accettato le sanzioni anti-russe dell’UE. Orban ha anche cercato di recente di mediare in Ucraina.

Questo è l’approccio opposto della vicina Serbia, che non ha accettato le sanzioni anti-russe dell’Occidente, ma il cui presidente Aleksandar Vucic ha dichiarato nell’estate del 2023 di non essere contrario al fatto che altri paesi reindirizzino i loro acquisti di munizioni dal suo paese all’Ucraina per usarli contro la Russia. Ciò è seguito ai resoconti delle fughe di notizie del Pentagono di primavera che sostenevano che la Serbia stava armando l’Ucraina, cosa che Belgrado ha negato , ma la suddetta posizione politica del suo leader solleva dubbi sulla sua sincerità.

A tutti gli effetti pratici, si può quindi concludere che la Serbia non è militarmente neutrale nella dimensione NATO-russa della Nuova Guerra Fredda, anche se questo sorprendentemente non ha danneggiato i legami con Mosca. Quelle agenzie di spionaggio straniere che hanno cercato di reindirizzare armi e munizioni acquistate dall’Ungheria verso l’Ucraina e l’Africa per usarle contro la Russia sapevano quindi che i loro complotti non avrebbero danneggiato i suoi legami con Mosca. Ciò che apparentemente volevano, tuttavia, era screditare il ruolo di mediazione previsto da Orban in Ucraina.

A differenza della Serbia, il suo paese è membro dell’UE e della NATO, e Orban attualmente ricopre la carica di Presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea. L’ottica della diplomazia navetta estiva tra Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti (dove ha incontrato Trump) ha fatto infuriare i leader europei, che hanno ritenuto che sfruttasse il suo ruolo per attribuirsi un’immeritata autorità normativa per mediare. Si oppongono ferocemente ai suoi sforzi di pace poiché nessuno di loro vuole porre fine alla guerra per procura NATO-Russia in Ucraina.

È infantile da tollerare, ma nella loro mente, probabilmente pensavano davvero che reindirizzare armi e munizioni acquistate dall’Ungheria verso l’Ucraina e l’Africa avrebbe potuto in qualche modo screditarlo o almeno servire come risposta asimmetrica all’incomprensibile ottica politica che la sua diplomazia da navetta aveva causato loro. Le prove di armi e munizioni ungheresi in quei campi di battaglia, specialmente dopo scontri che hanno portato alla morte di truppe russe o PMC associate, potrebbero servire come pretesto per fabbricare falsi scandali.

Né la Russia, né la Cina, né Trump, se tornasse alla presidenza, darebbero credito alla narrazione artificiale che prevedibilmente verrebbe fatta girare, sostenendo che l’Ungheria stava facendo il doppio gioco per tutto questo tempo, armando gli avversari della Russia alle sue spalle, in modo che non avesse alcun effetto sui suoi sforzi di mediazione. Dopo tutto, è stato ferocemente attaccato dai suoi pari occidentali per essersi rifiutato di partecipare ai loro piani per armare l’Ucraina, il che ha dimostrato quanto gravi siano diventate le loro tensioni all’interno del blocco su questa delicata questione.

Al contrario, la pressione esercitata sulla Serbia si è ridotta solo a un tentativo di Rivoluzione Colorata poco convinto durante l’estate, che persino Vucic stesso presumibilmente non ha preso sul serio come ha affermato, come dimostrato dal fatto che poco dopo ha concluso un accordo con la Francia per un aereo da guerra meno di un mese dopo. Se non altro, sono le presunte tensioni tra l’Occidente e la Serbia su questa questione delicata la vera farsa, non quelle all’interno dell’Occidente sulla neutralità militare dell’Ungheria nei confronti della guerra per procura NATO-Russia in Ucraina.

Come già spiegato, la Serbia non è militarmente neutrale a tutti gli effetti pratici, il che è molto più significativo dal punto di vista dell’Occidente rispetto al suo rifiuto di sanzionare la Russia. Le loro agenzie di spionaggio e presumibilmente anche quelle dell’Ucraina hanno fatto di tutto per screditare Orban attraverso i complotti che il suo capo di stato maggiore ha appena confermato essere stati sventati, il tutto mentre si godeva la cena e il pranzo di Vucic. Ciò dimostra che la neutralità militare dell’Ungheria li fa arrabbiare molto di più della neutralità economica della Serbia.

Ciò facilita il coinvolgimento della Russia in eventuali colloqui multilaterali futuri sulla risoluzione dell’ultima guerra regionale, il che potrebbe a sua volta facilitare i colloqui tra Russia e Stati Uniti per risolvere il conflitto ucraino.

I media mainstream (MSM) e la comunità dei media alternativi (AMC) hanno finora spinto la stessa narrazione sulla politica russa nell’Asia occidentale, travisandola come anti-israeliana, ciascuno in anticipo sui propri interessi ideologici, i primi perché Israele è alleato degli Stati Uniti e i secondi perché è nemico dell’Iran. Ecco perché è così sorprendente che Newsweek, che è uno dei media MSM più noti a livello mondiale, abbia appena pubblicato un articolo che corregge le false percezioni della politica russa nei confronti di Israele.

Intitolato ” In guerra in Ucraina, Putin emerge come potenziale mediatore di pace in Medio Oriente “, la parte più importante è il primo terzo in cui citano l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale israeliano Orna Mizrahi. Ora lavora come ricercatrice senior presso l’Institute of National Security Studies e può essere considerata una fonte autorevole su questo argomento data la sua impressionante esperienza professionale. Ecco cosa ha detto a Newsweek in merito ai presunti piani per una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per ridurre i flussi di armi verso Hezbollah:

“Noi preferiamo sempre gli americani, ma comprendiamo che, grazie agli ottimi rapporti che [i russi] hanno oggi con gli iraniani, forse loro possono fornire qualcosa che contribuirà alla stabilità di qualsiasi accordo in futuro.

Un altro punto è il fatto che fanno parte dei cinque membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e se dovessimo arrivare al punto di avere una nuova risoluzione sul cessate il fuoco nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, vorremmo che i russi la approvassero.

[Hanno un] livello sorprendente di apprezzamento per le capacità militari israeliane. Penso che questo giochi un ruolo molto significativo nella loro politica verso Israele e questo è uno dei motivi per cui non stanno facendo nulla contro gli attacchi israeliani in Siria, anche se potrebbero fare molto, ovviamente.”

Il resto del loro articolo è solo un riempitivo contestuale con qualche commento di personaggi relativamente molto meno importanti i cui background professionali non si avvicinano minimamente a quelli di Mizrahi. Prima di proseguire, è importante che il lettore capisca esattamente qual è stata la politica regionale della Russia per tutto il tempo, ergo la necessità di condividere dieci briefing di background in modo che possano comprendere il significato narrativo dell’articolo di Newsweek. Saranno poi riassunti in modo conciso prima di continuare:

* 10 maggio 2018: “ Il presidente Putin su Israele: citazioni dal sito web del Cremlino ”

* 12 ottobre 2023: “ La Russia ha un approccio equilibrato verso l’ultima guerra tra Israele e Hamas ”

* 19 ottobre 2023: ” I legami della Russia con Hamas sono pragmatici e non dovrebbero essere interpretati come un’approvazione del gruppo ”

* 21 ottobre 2023: “ La Russia ha una politica di neutralità di principio nei confronti dell’ultima guerra tra Israele e Hamas ”

* 19 ottobre 2023: “ Lavrov ha rivelato che Putin è stato un sostenitore per tutta la vita della ‘sicurezza blindata’ per Israele ”

* 31 dicembre 2023: “ Chiarire il paragone di Lavrov tra l’ultima guerra tra Israele e Hamas e l’operazione speciale della Russia ”

* 26 settembre 2024: “ Lavrov ha ricordato al mondo che la Russia è impegnata a garantire la sicurezza di Israele ”

* 4 ottobre 2024: “ La Russia e l’Asse della Resistenza saranno sempre fondamentalmente in disaccordo sul futuro della Palestina ”

* 11 ottobre 2024: “ La Russia vende prodotti petroliferi lavorati a Israele e facilita le esportazioni di petrolio del Kazakistan verso Israele ”

* 19 ottobre 2024: “ Perché continuano a proliferare false percezioni sulla politica russa nei confronti di Israele? ”

In poche parole, la Russia condanna il 7 ottobre come un attacco terroristico e vuole garantire il rilascio di tutti gli ostaggi, in particolare dei cittadini russi e israeliani. Tuttavia, condanna anche quella che considera la punizione collettiva dei palestinesi da parte di Israele. La Russia rimane impegnata a vedere l’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedono la creazione di uno stato palestinese indipendente, ma tale stato deve vivere in pace con Israele. La Russia è anche contraria alle sanzioni unilaterali contro Israele.

Israele apprezza questa politica equilibrata e ha ricambiato rifiutandosi di imporre sanzioni unilaterali contro la Russia o di armare l’Ucraina, la cui ultima politica fa parte di un quid pro quo informale per la Russia che non consente alla Siria di usare gli S-300 contro Israele ogni volta che bombarda la Repubblica araba. La “stretta relazione personale” che Putin ha stretto con Bibi, di cui Newsweek ha anche informato i suoi lettori nonostante fosse precedentemente un tabù tra i media tradizionali, gioca un ruolo chiave nel mantenimento di questo accordo pragmatico.

Dopo aver riassunto in modo conciso la politica effettiva della Russia nei confronti della regione, è ora il momento di riprendere la discussione sul significato narrativo dell’articolo di Newsweek. Il loro pezzo serve a correggere le false percezioni che molti avevano su questo argomento, basandosi su Mizrahi come l’esperta più autorevole, dato il suo precedente ruolo di Vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Israele. Suggerisce anche che la Russia non è così irresponsabile a livello internazionale come sostenevano i MSM, visto che Israele è interessato al suo ruolo di mediazione.

A questo proposito, nessun altro paese ha guadagnato la fiducia richiesta da entrambe le parti per mediare tra Israele e l’Asse della Resistenza guidato dall’Iran, e la meditazione sarebbe effettivamente necessaria per risolvere l’ultima guerra regionale poiché nessuno dei membri di quest’ultimo ha legami formali con Israele. Iran-Hezbollah e Israele si affidano a terze parti sconosciute (che alcuni ipotizzano coinvolgano la Russia) per trasmettersi messaggi a vicenda, Hamas dipende dall’Egitto a questo proposito, mentre gli Houthi non hanno alcun dialogo noto con Israele.

Sarebbe più efficiente per Iran, Hezbollah, Hamas e Houthi lavorare tramite un singolo mediatore, che è il ruolo che la Russia può svolgere, poiché tutti e quattro si fidano già abbastanza da accettare questo in linea di principio. Anche Israele si fida della Russia, mentre gli Stati Uniti sarebbero costretti da queste circostanze diplomatiche al di fuori del loro controllo ad acconsentire all’inclusione della Russia in qualsiasi futuro colloquio se volessero effettivamente ottenere qualcosa da loro. Questa formula rappresenta la migliore possibilità per negoziare una soluzione al conflitto.

La Russia rappresenterebbe la Resistenza mediando i loro colloqui con Israele e gli Stati Uniti secondo un quadro prestabilito per rappresentare i loro interessi nel complesso e quelli di ogni membro associato. Perché ciò accada, gli Stati Uniti devono prima correggere l’opinione pubblica facendo in modo che gli americani non considerino più la Russia come guidata da interessi puramente cospirativi anti-israeliani o irresponsabile a livello internazionale, spiegando così lo scopo dell’articolo di Newsweek. Le opinioni autorevoli di Mizrahi su questo argomento sono il mezzo per raggiungere tale scopo.

L’opinione prevalente tra l’AMC probabilmente non verrà mai corretta, a causa di quanto molti dei suoi membri siano diventati indottrinati a causa del “Potemkinismo”. Questo si riferisce alla creazione calcolata di realtà artificiali sulla politica russa per scopi strategici, in particolare quelle che contraddicono le politiche ufficiali della Russia e sono spinte dai membri dell’ecosistema mediatico globale della Russia. È stato elaborato in questo articolo qui, sfatando la falsa affermazione che la Russia fosse responsabile del recente incontro Modi-Xi .

La sua rilevanza in questo contesto è che così tanti membri dell’AMC credono sinceramente alla narrazione “Potemkinista” secondo cui “la Russia è segretamente antisionista e sta lavorando con l’Iran per liberare militarmente la Palestina” che considereranno qualsiasi mediazione del genere semplicemente come un “piano generale degli scacchi 5D per far uscire di testa i sionisti”. La loro opinione non ha importanza, poiché la Russia non formula le sue politiche in base all’opinione pubblica, né in patria né soprattutto all’estero, a differenza di ciò che fanno occasionalmente gli Stati Uniti.

L’isteria del Russiagate degli ultimi otto anni e in particolare la demonizzazione della Russia negli ultimi due anni e mezzo dall’ultima fase del già decennale ucraino Il conflitto iniziato ostacola notevolmente la capacità dei decisori politici americani di cooperare pragmaticamente con la Russia nell’Asia occidentale. Ecco perché è imperativo iniziare a correggere l’opinione pubblica attraverso l’ultimo articolo di Newsweek, che si basa sull’autorevolezza e l’esperienza di Mizrahi, al fine di far progredire lo scenario descritto in questo pezzo.

Potrebbe non scaturire nulla da queste proposte diplomatiche, poiché molto dipenderà dal fatto che l’Iran reagisca o meno a Israele per le sue ultime attacco , che potrebbe portare a una guerra totale, ma questo intervento narrativo avvia comunque il lungo processo di correzione delle percezioni della Russia. Ciò è necessario per facilitare l’inevitabile compromesso degli Stati Uniti con la Russia per porre fine al conflitto ucraino, quindi è opportuno che il processo sia già iniziato per quanto riguarda la correzione delle percezioni della sua politica nei confronti di Israele.

La stragrande maggioranza dei membri del Congresso rimane filo-israeliana nonostante un cambiamento radicale nel sostegno allo Stato ebraico autoproclamato a livello pubblico, quindi ci si aspetta che si scaldino all’idea che l’inclusione della Russia in qualsiasi imminente processo di pace dell’Asia occidentale sia fondamentale per garantire la sicurezza di Israele. Ciò renderebbe a sua volta molto più facile per chiunque sarà il prossimo presidente negoziare il compromesso sopra menzionato con la Russia sull’Ucraina e quindi scongiurare con maggiore sicurezza la Terza guerra mondiale .

Nessuno sa quando ciò potrebbe accadere, ma la cosa più importante è che i media tradizionali hanno iniziato il lungo processo di correzione delle percezioni della Russia, come dimostrato dall’articolo di Newsweek che mira a fare esattamente questo rispetto a Israele, che l’élite politica americana considera il suo principale alleato. Con il tempo e a seconda di come si evolveranno le cose, altri media tradizionali potrebbero unirsi agli sforzi di Newsweek, il che accelererebbe notevolmente il processo di raggiungimento di un accordo per porre fine alla guerra per procura NATO-Russia.

Questa è una risposta al malcontento dell’opinione pubblica polacca nei confronti della guerra per procura e alla conseguente tentazione da parte della coalizione liberal-globalista al potere di sfruttare tale situazione per aumentare le possibilità che il proprio candidato sostituisca il presidente conservatore-nazionalista uscente alle elezioni dell’anno prossimo.

Il ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski ha proposto che l’Ucraina possa ordinare equipaggiamento militare dal suo paese a credito e poi restituirlo una volta terminato il conflitto, in risposta alle lamentele di Zelensky sul fatto che la Polonia avrebbe presumibilmente trattenuto alcuni dei suoi armamenti, come i caccia MiG-29. Sikorski ha anche ricordato a Zelensky che la Polonia ha fatto di più per l’Ucraina di qualsiasi altro paese, in riferimento alla rivelazione del presidente Andrzej Duda durante l’estate, secondo cui aveva già donato il 3,3% del suo PIL alla causa.

Un altro punto importante che ha sollevato è che la Polonia è un “paese in prima linea” contro la Russia e deve quindi mantenere le sue minime esigenze di difesa nazionale nel caso in cui il conflitto sfugga al controllo. Ciò ha riecheggiato quanto detto in precedenza da Duda durante il suo viaggio in Corea del Sud su come “Non esiste uno scenario in cui consegniamo armi che abbiamo recentemente acquistato per miliardi di zloty dalle tasche dei nostri contribuenti. Queste armi devono servire alla sicurezza e alla difesa della Repubblica di Polonia”.

Questa possibilità era stata discussa nelle ultime settimane, in mezzo a resoconti di truppe nordcoreane che combattevano contro l’Ucraina, le cui voci (vere o meno) sono state valutate qui come un mezzo per convincere la Corea del Sud a inviare parte del suo enorme arsenale di proiettili all’Ucraina in questo momento cruciale del conflitto. La Russia continua a guadagnare terreno e la sua potenziale cattura di Pokrovsk potrebbe rivelarsi un punto di svolta per le ragioni spiegate qui . Persino i funzionari dell’intelligence e dell’esercito degli Stati Uniti temono il peggio .

Il rifiuto della Polonia di cedere gratuitamente altro equipaggiamento militare, per non parlare di quello appena ottenuto dalla Corea del Sud, nonostante l’urgenza della situazione di recente, non sorprende. Non solo ha già esaurito tutto ciò che poteva donare entro quest’estate senza mettere a repentaglio le sue minime esigenze di difesa nazionale, ma sta anche prendendo coscienza del fatto di essere stata sfruttata dall’Ucraina, che a quanto si dice riceve aiuti militari a condizioni da tutti tranne che dalla Polonia.

Ci sono anche legami politici in peggioramento da considerare dopo che le relazioni si sono raffreddate negli ultimi due mesi, quando la disputa sul genocidio della Volinia è tornata a essere una questione importante. È al di là dello scopo di questa analisi elaborarla, ma i lettori interessati possono saperne di più qui , qui e qui , con la conclusione che la Polonia è disgustata dal fatto che l’Ucraina si rifiuti di riesumare i resti delle vittime. Sikorski e Zelensky avrebbero anche avuto un’accesa discussione su questo durante la visita del primo a Kiev a metà settembre.

Lo stesso rapporto ha anche affermato che Zelensky ha accusato la Polonia di trattenere equipaggiamento militare dall’Ucraina durante la loro discussione, precedendo così ciò di cui si è lamentato esplicitamente solo la scorsa settimana. Allo stesso tempo, Sikorski ha nuovamente espresso il suo sostegno alla proposta di Zelensky che la Polonia intercetti i missili russi sull’Ucraina dopo che la Commissione di Helsinki ha esortato gli Stati Uniti ad approvarla, ma ha anche chiarito che la Polonia non lo farà senza il supporto della NATO, che al momento manca .

Considerando questa avvertenza e la riluttanza degli USA ad approvare un intervento diretto della NATO in questo conflitto come quella proposta richiede, è probabile che non ne verrà fuori nulla a meno che i politici americani falchi non decidano di “escalate to de-escalate” a condizioni più favorevoli per disperazione se il fronte crolla. Visto che non c’è stata alcuna seria indicazione del loro interesse in questo almeno finora, è possibile che Sikorski stia flirtando con questa proposta destinata a fallire per “salvare la faccia” prima dell’Ucraina.

Il ritorno della disputa sul genocidio della Volinia in prima linea nelle loro relazioni politiche e la nuova politica della Polonia di trasferire solo equipaggiamento militare all’Ucraina a credito invece di darlo via gratuitamente come in passato ha danneggiato i loro legami, quindi fantasticare di intercettare missili russi potrebbe essere solo una distrazione. È un mezzo gratuito per cercare di gestire i loro legami in peggioramento, sia nella sfera politica che nel regno delle percezioni pubbliche all’interno dell’Ucraina, ma alcuni in quest’ultima potrebbero vedere attraverso questo stratagemma.

In ogni caso, la cosa più importante è che la Polonia stia finalmente chiedendo qualcosa all’Ucraina in cambio di tutto ciò che ha già fatto per lei pro bono, vale a dire l’esumazione dei resti delle vittime del genocidio in Volinia e la promessa di pagare le future importazioni di armi in un secondo momento. Questo nuovo approccio non è nato in modo naturale, ma come risultato del fatto che la società polacca si è stufata della guerra per procura, come dimostrato da un recente sondaggio di un istituto di ricerca finanziato con fondi pubblici che è stato analizzato qui .

L’unica ragione per cui la Polonia sta diventando più saggia è a causa delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo che la coalizione liberal-globalista al potere vuole vincere. Il presidente uscente Duda è un conservatore-nazionalista (molto imperfetto) che ha servito a controllare l’agenda interna guidata dall’ideologia del primo ministro di ritorno Donald Tusk. È quindi imperativo per la coalizione al potere sostituirlo con uno dei suoi, che potrebbe finire per essere Sikorski come lui stesso ha recentemente accennato in risposta alle speculazioni sulla sua candidatura.

Questa intuizione aggiunge una nuova dimensione al suo sostegno agli interessi nazionali polacchi nella disputa sul genocidio in Volinia e alla proposta di un prestito militare all’Ucraina invece di continuare a dare via tutto gratuitamente come prima. Sembra che stia corteggiando il sostegno conservatore-nazionalista per la sua possibile candidatura tramite questi mezzi, flirtando anche con lo scenario di intercettare missili russi sull’Ucraina (che è probabilmente uno stratagemma come è stato scritto in precedenza) per mantenere il sostegno della base liberal-globalista del suo partito.

Ciò che conta di più è che le prime due parti della piattaforma di politica estera della sua potenziale candidatura hanno rispettivamente peggiorato i legami con l’Ucraina e la sua situazione militare. Ricordando che questi approcci sono il risultato del cambiamento di percezione della società polacca nei confronti dell’Ucraina in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno, si può quindi affermare che l’opinione pubblica lì sta portando a cambiamenti tangibili nelle situazioni politiche e militari regionali, mostrando così il potere che i polacchi esercitano quando si uniscono.

La ricerca dell’accesso al mare da parte dell’Etiopia sarà guidata dalla diplomazia, ma ricorrerà a mezzi militari per autodifesa se verrà attaccata dall’Asse di Asmara, con un’alta probabilità che difenderà anche il Somaliland dall’aggressione.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha nuovamente promesso durante un incontro con il parlamento la scorsa settimana che “non faremo la guerra a nessuno; non abbiamo alcun interesse nella guerra” quando si tratta di perseguire l’accesso al mare. Ciò è stato in risposta alle affermazioni sconsiderate che sono circolate dall’inizio dell’anno sostenendo che il Memorandum of Understanding (MoU) dell’Etiopia con il Somaliland è destabilizzante. Ha ribadito che porterà effettivamente prosperità condivisa per la regione.

Il motivo per cui le sue ultime parole meritano attenzione, anche se non ha detto nulla di nuovo, è dovuto alle tensioni regionali che sono state acuite dal Summit di Asmara del mese scorso , che è stato ampiamente interpretato come la formazione di fatto di un’alleanza anti-etiope tra Egitto, Eritrea e Somalia. ” La Somalia è decisa a scatenare una guerra ibrida contro l’Etiopia ” in collusione con Egitto ed Eritrea, gli ultimi due dei quali hanno interesse a sfruttare la sua rabbia per il MoU per trasformarlo nel loro rappresentante comune.

L’imminente catalizzatore del conflitto potrebbe essere la richiesta della Somalia che le truppe antiterrorismo dell’Etiopia se ne vadano entro la fine dell’anno, alla scadenza del loro mandato, dopodiché si prevede che vengano sostituite da quelle egiziane, ma alcune regioni somale non vogliono che se ne vadano . Temono che Al Shabaab replichi la rapida conquista del paese da parte dei talebani in quello scenario di ritiro, motivo per cui non si può escludere che l’Etiopia potrebbe non ottemperare alla suddetta richiesta di partenza della Somalia.

Esiste quindi la possibilità che la Somalia possa approfittare di quella potenziale disputa per mettere il suo nuovo patrono egiziano contro l’Etiopia con il pretesto legale di “espellere truppe straniere”. Indipendentemente da ciò, si potrebbe anche contare sull’Egitto e sull’Eritrea per aiutare la Somalia a “ripristinare la sua integrità territoriale” invadendo il Somaliland, il che potrebbe mettere a repentaglio i piani portuali del MoU dell’Etiopia. Entrambi gli scenari sarebbero comunque un errore, poiché l’Etiopia difenderebbe sicuramente i suoi interessi.

Sebbene non abbia fatto notizia quanto la sua promessa di pace, Abiy ha anche detto durante l’incontro della scorsa settimana con il parlamento che “Abbiamo risorse umane, siamo patrioti e, anche se non provochiamo gli altri, non ci tireremo indietro se provocati”. Insieme, il messaggio è che la ricerca dell’accesso al mare da parte dell’Etiopia sarà guidata dalla diplomazia, ma ricorrerà a mezzi militari per autodifesa se verrà attaccata dall’Asse di Asmara, con un’alta probabilità che difenderà anche il Somaliland dall’aggressione.

Egitto, Eritrea e Somaliland non dovrebbero quindi interpretare male la promessa di pace ampiamente pubblicizzata di Abiy come un segno di debolezza e pensare che si ritirerà se le sue truppe antiterrorismo in Somalia saranno attaccate o si ritirerà se invaderanno la Somaliland. La prerogativa di scatenare un conflitto regionale non spetta all’Etiopia, che rimane impegnata a perseguire pacificamente l’accesso al mare, ma all’Asse di Asmara. I partner di quei tre farebbero quindi bene a ricordare loro di comportarsi in modo responsabile per il bene di tutti.

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Niente più eroi_di Aurelien

Niente più eroi.

Peccato che la nazione abbia bisogno di quelli di qualcun altro.

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Quando ero giovane, c’erano gli eroi.

Non c’era nulla di insolito, né tantomeno di potenzialmente nostalgico in questo fatto. Ogni società, da sempre, ha scelto persone eccezionali da ammirare ed emulare: era un modo per unire la società e fornire punti di riferimento comuni. La nostra società di oggi, invece, con il suo presentismo, la sua presunzione di superiorità morale rispetto al passato anche recente e la sua ideologia di ricerca spietata del potere e del denaro, non ha spazio per le persone eccezionali, se non per quelle eccezionalmente ricche. Credo che questo sia un male e cercherò di spiegare perché.

Alcune società prima della nostra avevano elaborato teorie sull’eccellenza. I Greci avevano il concetto di arete, (che a quanto pare condivide una radice comune con aristos) e significava eccellenza, vivere al massimo delle proprie potenzialità in qualsiasi campo. In Omero, ad esempio, il termine viene applicato sia al guerriero Achille che a Penelope, moglie di Odisseo, tra i tanti. In forma meno concreta, il termine si trova negli scritti di Aristotele sull’etica e nelle lettere bibliche di Paolo. Suppongo che “sii il meglio che puoi essere” sia un equivalente moderno molto rozzo, anche se questa ingiunzione riguarda in gran parte il successo materiale.

Anche altre società hanno istituzionalizzato il concetto. In giapponese, ad esempio, sensei (先生) può significare semplicemente “insegnante”,”ma è meglio tradotto come “colui che è stato prima”, ed è un titolo onorifico dato a chiunque abbia eccelso in un particolare campo e sia in grado di trasmettere le proprie conoscenze ed esperienze ad altri. Come ho già sottolineato in precedenza, la nostra società liberale guidata dall’ego ha difficoltà a concepire il concetto che ci sono persone che sanno più di noi, che sono più brave di noi e da cui possiamo imparare.

Tradizionalmente, l’eccellenza poteva presentarsi in tutti i modi. Quando ero giovane, la Seconda Guerra Mondiale era ancora un ricordo recente, quindi inevitabilmente la cultura popolare dell’epoca vi trovava molti dei suoi eroi. Nella Battaglia d’Inghilterra, per esempio, combattuta sopra l’Inghilterra meridionale dove sono cresciuto, negli spettacolari raid aerei, nel tranquillo eroismo delle scorte dei convogli raccontato nel libro di Nicholas MonserratIl mare crudele, negli uomini e nelle donne della Resistenza francese e negli operatori dietro le linee nemiche. Già da bambino cercavo senza successo di immedesimarmi nella mentalità di equipaggi di bombardieri poco più che ventenni che partivano per le operazioni, sapendo di non avere statisticamente alcuna possibilità di sopravvivere a un tour di trenta missioni.

Ma non era tutto rose e fiori. C’erano gli scienziati e gli ingegneri che progettarono e costruirono gli Spitfire e gli Hurricane e il sistema radar che vinse la Battaglia d’Inghilterra. Ci sono state persone comuni di ogni estrazione sociale che hanno dato un contributo importante allo sforzo bellico. Tutti conoscono Constance Babbington-Smith, la giornalista e fotografa d’aviazione che divenne un’importante interprete fotografica per la RAF e identificò per prima il caccia a reazione Me163 e la bomba volante V-1, o Frank Whittle, l’ex apprendista ingegnere che inventò di fatto il motore a reazione.

C’erano persone eccezionali in ogni ambito della vita: lo sport, ad esempio, che a quei tempi era spesso solo semi-professionale e vergognosamente poco sfruttato dal punto di vista finanziario. Una delle poche partite di calcio che ho seguito con entusiasmo è stata la finale della Coppa del Mondo del 1966 tra Inghilterra e Germania, una partita satura di delicate risonanze storiche. A quei tempi, i calciatori erano generalmente ragazzi della classe operaia che avevano fatto l’apprendistato nella loro squadra locale. Il capitano dell’Inghilterra, Bobby Moore, era anche capitano del West Ham, una squadra londinese che aveva sede non molto lontano da dove vivevo io. I calciatori ricevevano uno stipendio decente con un bonus per le vittorie, ma erano persone normali e conoscevo persone che avevano visto Moore fare la spesa nel supermercato locale e avevano chiesto e ottenuto il suo autografo. A quei tempi gli eroi erano certamente persone eccezionali, ma sufficientemente vicine alla vita comune da permettere a un ragazzo della classe operaia di pensare che un giorno avrebbe potuto seguire le loro orme. L’idea dei calciatori come commercianti multimilionari indipendenti e manager d’azienda sarebbe sembrata un’idea uscita da un brutto pezzo di satira sociale. Anche nel cricket non si guadagnava molto e si sognava di giocare per la contea in cui si era nati. A quei tempi, naturalmente, tutto lo sport era visibile gratuitamente in TV e la gente poteva, e lo faceva, identificarsi strettamente con il suo status di semi-dilettante: il grande pilota britannico Graham Hill, per esempio (padre di Damon), non era solo un campione di Formula 1, ma anche un campione di canottaggio e di auto sportive e un pilota qualificato, che in tempi più innocenti guidava la propria auto alle gare.

Anche in questo caso, non si tratta di un esercizio di nostalgia: si trattava del modello tradizionale in cui le persone eccezionali venivano attratte dalle comunità da cui provenivano e rimanevano vicine ad esse, diventando così esempi plausibili, modelli di ruolo e persino eroi per un’altra generazione. E questo non era solo un fenomeno britannico o occidentale. Un tempo seguivo da vicino l’atletica e c’erano pochi interpreti più entusiasmanti dei mezzofondisti kenioti. Ricordo di aver visto correre Kipchoge Keino a un campionato a Londra negli anni Sessanta. All’ultimo giro partì come un razzo, con un ampio sorriso sul volto, divertendosi enormemente e lasciando tutti gli altri nella polvere. Non ha mai guadagnato molto con l’atletica e ha trascorso il resto della sua vita facendo beneficenza. Non riesco nemmeno a pensare a qualcuno di simile.

L’esplorazione era una cosa importante. All’incirca nel periodo in cui sono nato, Edmund Hilary e Sherpa Tensing hanno compiuto la prima scalata dell’Everest. Poco dopo ci furono i primi filmati primitivi degli abissi oceanici realizzati dai coniugi Hans e Lotte Haas e trasmessi dalle televisioni di tutto il mondo, e le esplorazioni subacquee di Jacques Cousteau. E poi c’era David Attenborough, che spariva nelle giungle del Borneo per tornare con filmati di incredibili creature simili a draghi. In tutto il mondo, i bambini iniziarono a sognare una carriera nella biologia marina o nella storia naturale.

Ovviamente alcune di queste persone, soprattutto nel mondo dello spettacolo, si sono lasciate rapidamente alle spalle le loro origini, spesso hanno cambiato nome, e sono diventate esseri eccezionali di un altro tipo: stelle che il nostro cinema moderno, con la sua gestione da MBA, la sua paura di sperimentare, i suoi vincoli di marketing a livello mondiale e la costante reinvenzione della ruota, non può mai sperare di riprodurre. Ho avuto la fortuna di vedere finalmente una proiezione di Casablanca sul grande schermo un anno o due fa, e ciò che mi ha sorpreso (a parte la dimenticata raffinatezza politica della sceneggiatura) è stato il modo in cui tutte le star, e non solo Bogart e Bergman, sembravano dominare il cinema, quasi arrampicandosi fuori dallo schermo. Le star del cinema erano allora persone comuni che, come nella mitologia greca, erano state trasformate in dei e dee. Ero troppo giovane per rendermene conto, ma uomini e donne che videro Brigitte Bardot, Marilyn Monroe o Sophia Loren nei loro primi film usciti nel Regno Unito mi raccontarono dell’equivalente di una bomba al neutrone che esplodeva al cinema. La stessa cosa, a quanto pare, valeva per coloro che videro Elvis dal vivo: persone comuni toccate dalla grazia.

Non avevo soldi per assistere ai concerti, ma ricordo le apparizioni di Bob Dylan a tarda notte sulla BBC durante il suo primo tour nel Regno Unito e la sensazione di trovarmi alla presenza virtuale di un essere divino. Naturalmente risparmiavo i miei soldi fino a quando non potevo uscire e comprare una chitarra scadente, come un milione di altri giovani: è a questo che servono gli eroi, a provocare l’emulazione. Forse sono ormai vecchio e cinico, ma non riesco a pensare a nulla di anche solo lontanamente simile oggi, dove il successo significa essenzialmente fama e denaro, e adorazione. Chi è il portavoce dell’attuale generazione di giovani come Dylan lo è stato per la mia?

Fa riflettere l’età di alcuni degli artisti di maggior successo di oggi, anche se si misura il successo solo in base agli incassi e alle riproduzioni su Spotify, senza considerare l’influenza culturale. Clint Eastwood ha appena pubblicato un nuovo film all’età di 94 anni, Martin Scorsese a 81 anni. Mick Jagger, mi ha divertito sapere, ha la stessa età di Joe Biden. Keith Richards, in qualche modo, è ancora vivo a quasi 81 anni. Un’intera generazione – McCartney, Starr, Dylan, Simon – sta per lasciare la scena, così come Leonard Cohen, che ha composto e registrato quasi fino alla morte, a 82 anni. Il vuoto che lasceranno dietro di loro nella cultura popolare potrà essere colmato a breve termine da “nuovo” materiale prodotto dall’IA per la soddisfazione degli MBA, ma probabilmente di nessun altro.

Ma basta lamentarsi. Se si accetta che la cultura moderna non produce eroi, modelli di ruolo o figure da ammirare ed emulare come un tempo, allora perché? La prima cosa da dire è che il liberalismo non è affatto interessato a fare qualcosa per se stesso, tanto meno bene. Avere fatto salvo il senso limitato di abilità nel fare soldi, non conta. Non contano nemmeno la qualità, la dedizione, la pratica, e nemmeno l’abilità naturale affinata alla perfezione. Ciò che conta è la rapidità e la completezza con cui qualcosa può essere monetizzato. I risultati eccezionali ed eroici sono interessanti solo nella misura in cui è possibile strutturarvi intorno libri, CD, film, sponsorizzazioni di prodotti e campagne pubblicitarie. (Al giorno d’oggi, Hilary e Tensing sarebbero il centro di un’industria multimiliardaria). Gli eventi completamente immaginari o massicciamente reimmaginati sono in realtà migliori di quelli reali, perché possono essere curati con attenzione per fare più soldi, e non c’è nessuno che possa lamentarsi di una rappresentazione errata.

Le professioni liberali (come ad esempio la giurisprudenza per eccellenza) presuppongono essenzialmente un’abilitazione all’esercizio della professione e un’abilità nel produrre argomenti vincenti. (La società anglosassone non ha una tradizione di giuristi illustri, scrittori di libri di testo e teorici del diritto accademico). Alla fine, si tratta di capire quanto denaro si può guadagnare o, all’altro estremo dello spettro politico, quanta influenza si può ottenere e quanta pubblicità si può generare per ottenere una carriera più redditizia come capo di una ONG, per esempio. Dal punto di vista intellettuale, la qualità di alcuni lavori può essere molto alta, ma non è questo il punto. E ironicamente, come ho sottolineato in precedenza, la stessa sopravvivenza della società liberale, con la sua ossessiva preoccupazione per il denaro, dipende proprio dall’esistenza di persone che non la pensano così, dal medico che fa una diagnosi disinteressata all’elettricista che viene a riparare il televisore. A questo proposito, persino i liberali tesserati vorrebbero un avvocato competente per l’acquisto di una casa.

Ma il risultato è che gli esempi che la nostra società propone per l’emulazione sono tutti basati sul diventare molto ricchi, spesso molto rapidamente, e indipendentemente da come lo si fa. Naturalmente ci sono sempre state persone guidate dall’avidità. Ma nelle ultime due generazioni le modifiche alle norme fiscali e alle regole connesse hanno permesso di accumulare fortune in modi che prima non erano possibili. Quando si può diventare multimilionari semplicemente comprando, affittando e vendendo case con denaro che in realtà non si possiede, ad esempio, si trasmette un messaggio su ciò che la società apprezza e su ciò che i suoi membri più giovani dovrebbero emulare. Così, da qualche anno a questa parte, le università sfornano fiumi di laureati che si dirigono verso i luoghi dove sembra esserci più denaro, dalla giurisprudenza agli studi economici, dalla programmazione informatica a qualsiasi altra novità. Queste persone spesso entrano nelle industrie tradizionali senza alcuna conoscenza o capacità se non quella di manipolare fogli di calcolo, e procedono a fare ciò che sanno fare meglio e per cui sono più apprezzate, ovvero trasformare beni, competenze, persone, infrastrutture ed esperienze in denaro. Di conseguenza, la società sarà necessariamente molto più povera, poiché coloro che decidono queste cose non danno più valore all’eccellenza, se non a quella finanziaria.

Persone molto più esperte di me hanno scritto di ciò che questo ha comportato per l’industria dello spettacolo, dove tradizionalmente ci si faceva strada gradualmente e faticosamente nella speranza di sfondare un giorno. Non ho mai condiviso l’entusiasmo dei miei genitori per Frank Sinatra, ma sapevo riconoscere il talento vocale quando lo sentivo e sapevo che aveva faticato per anni in orchestre di bande da ballo, affinando il suo talento. I Beatles non sono arrivati completamente formati: hanno investito chissà quante migliaia di ore a lavorare ad Amburgo per perfezionare il loro spettacolo. Al giorno d’oggi, l’intelligenza artificiale produrrà tutte le canzoni che i Beatles non hanno mai scritto nel 1963, con tanto di animazioni convincenti. Il gusto del pubblico, a mio avviso, è stato sempre più condizionato a non volere nulla di nuovo e di diverso, poiché ciò richiede tempo, impegno, denaro e giudizio, tutti elementi che scarseggiano.

Poiché in uno Stato liberale il valore di qualsiasi cosa è espresso in ultima analisi in termini finanziari, e poiché lo Stato liberale non riconosce alcuna motivazione per alzarsi al mattino se non quella di fare soldi e aumentare l’autonomia personale,  il liberalismo ha un problema quasi insuperabile nello spiegare in modo convincente ciò che è accaduto in passato, e anche ciò che sta accadendo nel mondo di oggi, quando così tante persone si sono comportate e si stanno ovviamente comportando per ragioni che non hanno nulla a che fare con la massimizzazione dell’utilità a breve termine (o anche a lungo termine). Esiste infatti una ben nota fallacia logica che consiste nel cercare disperatamente una qualsiasi teoria razionale di massimizzazione dell’utilità, per quanto complessa e improbabile, per spiegare una determinata sequenza di eventi, invece di accettare la realtà disordinata, per quanto semplice e probabile.

Uno dei risultati è un processo di banalizzazione, in cui i conflitti storici e contemporanei vengono sottoposti a una sorta di riduzionismo economico, come se fosse tutto ciò che c’era e poteva esserci. Un risultato ironico è che molti dei più feroci critici del sistema neoliberale contemporaneo sono così intellettualmente posseduti dai suoi principi che le loro critiche si basano sulla stessa serie di assunti utilizzati dai suoi sostenitori. Così le guerre in Afghanistan o in Iraq, ad esempio, vengono banalizzate in lotte per il commercio e le materie prime, come se si trattasse solo di questo. Le grandi questioni politiche e di sicurezza, come la militanza islamica, vengono ignorate, perché non c’è modo di inserirle in un paradigma di massimizzazione razionale dell’utilità personale e quindi non possono esistere.

La difficoltà che la società liberale affronta con la scomparsa dell’eroe, per riprendere, è che ha ancora bisogno di figure da emulare. I ricchi non sono in genere una specie attraente e suscitano antipatia e disprezzo da parte della gente comune più che emulazione e ammirazione. Inoltre, poiché per definizione non tutti possono essere ricchi, mentre tutti in linea di principio possono migliorare il proprio gioco del tennis, quasi tutti i tentativi di emulazione della ricchezza falliscono, generando di conseguenza rabbia e disillusione. La risposta, logicamente anche se forse curiosamente, è quella di sostituire l’eroe con la vittima, l’attivo con il passivo, la persona che fa le cose con la persona a cui le cose vengono fatte. Questo è logico nel senso che la concomitanza della ricerca liberale della ricchezza è la ricerca dei diritti, qui intesi nel loro senso fondamentale di obblighi che cerchiamo di imporre agli altri di agire o non agire in certi modi per avvantaggiarci. Così come la ricchezza aumenta il potere, anche lo status di vittima può aumentare, perché la vittima rivendica diritti, e quindi potere, sugli altri. C’è una competizione brutale per stabilire i diritti, e quindi il potere sugli altri, poiché in una società liberale i diritti agiscono come una moneta surrogata che conferisce potere, status e infine denaro. Un modo di vedere la politica dell’attuale crisi a Gaza è il tentativo disperato di un quasi-monopolista affermato dello status di vittima e dei diritti di impedire l’emergere di un concorrente, per tutto il mondo come Micro$oft e Apple vent’anni fa.

Quindi, in una società liberale siamo incoraggiati a emulare le vittime, sia collettivamente che individualmente. Collettivamente, perché possiamo identificarci come un gruppo identitario “emarginato” o “represso” e chiedere che gli altri ci diano un po’ del loro potere, del loro status e del loro denaro per compensare questo fatto. Ancora una volta, questo non funziona molto bene nella pratica, in parte perché tutti noi apparteniamo a vari “gruppi”, i cui confini e la cui posizione nell’Indice di Oppressione cambiano continuamente, e in parte perché la maggior parte di questi gruppi tende a essere guidata da imprenditori dell’identità che hanno l’abitudine di fare soldi.

A livello individuale, una società liberale può tollerare risultati eccezionali se questi sono saldamente inseriti in un contesto sociale più ampio. Così, chi proviene da un ambiente “emarginato” e ha successo nello sport, nella politica o nella cultura, sarà lodato non tanto per quel risultato, quanto per aver “superato i pregiudizi” o altro, per aver ottenuto quello status, con un implicito rimprovero alla comunità maggioritaria per aver avuto pregiudizi in primo luogo. Ma la questione si complica perché, ad esempio nello sport, esiste davvero una gerarchia che premia il talento. Così in Francia (per fare l’esempio che conosco meglio) le squadre sportive, la musica popolare, la televisione e il cinema includono una percentuale sproporzionata di persone provenienti da comunità “emarginate”. E certamente nel caso dello sport, queste persone sono rispettate ed emulate per i loro risultati, piuttosto che per la loro origine etnica. Tutto ciò è imbarazzante per i teorici dell’identità liberale.

La soluzione, nella misura in cui esiste, è che una grande organizzazione o lo Stato stesso nominino qualcuno a una posizione basata non sulle sue capacità, ma sulla sua identità. Così, leggiamo spesso del “primo X a diventare Y”, come se si trattasse di un risultato personale basato sul merito. Ma ovviamente non è così, e l’unico messaggio che trasmette per l’emulazione è che tutti dovrebbero sfruttare la propria condizione di vittima o di emarginato per convincere o intimidire qualche grande organizzazione a concedere loro una posizione di ricchezza e potere a cui altrimenti non avrebbero potuto aspirare. Ironia della sorte, la competizione per raggiungere questo status è altrettanto spietata e brutale di quella per diventare un operatore obbligazionario di successo, anche se le abilità coinvolte sono leggermente diverse. Ma questo è del tutto tipico di una società liberale: ciò che conta non è l’abilità, l’esperienza o la formazione, ma piuttosto la capacità di commercializzare se stessi come un prodotto che un’organizzazione o un pubblico si sentono obbligati a comprare. Alla fine, ovviamente, questi risultati non riguardano affatto gli individui e quindi non possono essere motivanti o responsabilizzanti. Sono in realtà dichiarazioni di autocompiacimento da parte di un’organizzazione o della stessa società liberale: guardate quanto siamo tolleranti e inclusivi.

Internet ha fornito opportunità di auto-marketing che non erano mai esistite prima e che vanno ben oltre la ristretta politica identitaria, fino alla frammentazione del discorso stesso guidata dalla domanda. È semplicemente necessario identificare un mercato per un certo tipo di discorso polemico e poi affrontarlo. Circa quattrocento anni fa, Ben Jonson scrisse una commedia satirica intitolata Lo Staple of News, dove “staple” significava “monopolio”. In questo stabilimento si poteva acquistare qualsiasi notizia che si desiderava, vera, esagerata o semplicemente inventata, a seconda di ciò che si voleva sentire. Internet lo ha reso praticamente possibile e si può leggere, a seconda dei gusti, un articolo sull’Ucraina violentemente antirusso o violentemente filorusso, il cui fattore comune è che l’autore in questione ha individuato un mercato a cui non interessano le sfumature e nemmeno tanto la conoscenza e l’accuratezza. In effetti, non chiediamo più che gli articoli sull’attualità siano accurati, ma solo che ci dicano ciò che vogliamo sentire.

Allora, cambiando leggermente argomento, si possono sfogliare articoli online su Gaza che in realtà dovrebbero essere preceduti da una dichiarazione del tipo Non ho mai visitato il Medio Oriente, non parlo l’arabo, conosco molto poco della storia e della cultura della regione e ho potuto consultare rapidamente solo alcune fonti in lingua inglese. Ma ho opinioni molto forti, quindi vi prego di mandarmi dei soldi in modo che possa continuare a esprimerle. Beh, questa è l’identificazione di un’opportunità di mercato nei classici termini neoliberali, ma è un peccato che non si richieda più a chi esprime opinioni forti di sapere di cosa sta parlando. Un giornalista di vecchio stampo come Robert Fisk, ad esempio, non faceva mistero delle sue simpatie, ma ha trascorso la maggior parte della sua vita in Medio Oriente e sapeva esattamentedi cosa stava parlando. Oggi, i suoi contributi si perderebbero nel rumore e probabilmente sarebbero considerati troppo difficili e troppo ricchi di sfumature.

Tutto questo produce inevitabilmente malafede e imbarazzo terminale. È una convinzione indiscutibile del liberalismo che il mondo stia avanzando costantemente e ineluttabilmente verso un futuro moralmente migliore. Mai, a quanto pare, abbiamo conosciuto tanta tolleranza, diversità e inclusione. Purtroppo, però, non funziona nulla e le élite politiche, mediatiche, imprenditoriali e intellettuali della nostra società sono più incapaci e moralmente dubbie che mai. A livello profondo, tutti lo sanno, per quanto siano fermamente convinti che viviamo in un presente splendente e che ci stiamo muovendo verso un futuro più splendente.

Dopotutto, supponiamo di lavorare in un’università il cui edificio principale è stato progettato da un architetto duecento anni fa ed è praticamente come nuovo. Nel frattempo, l’edificio annesso progettato negli anni ’80 è troppo pericoloso per essere utilizzato e deve essere abbattuto. All’esterno dell’edificio difettoso di Scienze ci sono statue di grandi inventori e scopritori, mentre sono decenni che non si vince un premio importante e tutti i migliori studenti laureati di questi tempi vengono da oltreoceano. L’imponente edificio della Facoltà di Lettere e Filosofia è stato donato da un industriale di successo e filantropo nel XIX secolo, mentre l’edificio di Business Studies, ora in rovina, è stato pagato da un hedge fund con sede nelle Isole Cayman, in cambio di un dottorato onorario per il suo fondatore. L’Istituto di Geologia e Geografia, un tempo famoso in tutto il mondo, è stato intitolato alla prima persona che ha attraversato l’Antartico da sola a piedi con un cane. Ma ora non riesce ad attirare studenti e non è abbastanza redditizio. Eccetera. È così dappertutto: tutte le professioni liberali, i media, la legge, la politica, i think-tank, il mondo accademico, l’opinionismo, la finanza, sono in declino e la maggior parte di esse ha perso la posizione pubblica e l’autorità morale che aveva. In qualche modo, non riusciamo più a progettare edifici o ponti che rimangano in piedi, a sviluppare tecnologie che funzionino o a far funzionare le organizzazioni in modo efficace e onesto. I cinesi riescono a costruire nuove ferrovie nel tempo che noi impieghiamo a costruire pacchetti di finanziamento per i servizi di ristorazione su treni che noi non riusciamo a far funzionare in tempo, o addirittura per niente. .

Le nostre élite sono quindi consapevoli di non poter essere all’altezza dei loro predecessori, né dal punto di vista pratico né da quello morale, e questo le mette in imbarazzo, e a sua volta le fa arrabbiare.  Il risultato è quindi abbastanza logico: se il passato ci offende, distruggiamolo. Se non possiamo essere all’altezza delle grandi figure del passato, miniamole e portiamole al nostro livello, così non dovremo mai più sentirci inferiori. Non avendo eroi oggi, dobbiamo distruggere gli eroi dei nostri predecessori. L’odio per il passato è stato una caratteristica fondamentale del liberalismo fin dall’inizio: dopo tutto, il passato è fatto di superstizioni, pregiudizi, ignoranza, intolleranza e molte altre cose che saranno spazzate via dalla chiara luce della logica dell’interesse personale razionale e illuminato. Le prove che potrebbero indicare il contrario devono essere distrutte.

Ma, circondati da squallore, incompetenza e corruzione, è sempre più difficile per noi guardare al passato con un atteggiamento di superiorità morale. Che figure spaventose ci sembrano oggi quei riformatori del XIX secolo, con la loro intensa serietà morale? Ma naturalmente non avevano il nostro atteggiamento illuminato nei confronti del transessualismo. Forse uno di loro, in una lettera a un amico, ha osservato che era contento che l’omosessualità fosse illegale. Con uno sforzo sufficiente, si può trovare abbastanza sporco su qualcuno, solo per il fatto di essere nato un paio di secoli fa. E poiché l’Inghilterra era una nazione commerciale, se ci si sforza davvero tanto, si può collegare chiunque a qualche aspetto della schiavitù, anche indirettamente. E poi la superiorità morale si fa sentire, si può abbattere la loro statua, rinominare il loro College e castrare simbolicamente quel passato verso il quale la maggior parte delle persone oggi si sente inferiore. (In fondo, dopo tutto, si tratta di rabbia edipica: siamo una società con problemi di papà).

In nessun altro caso è così come per le generazioni che hanno combattuto la Prima e la Seconda guerra mondiale, hanno sofferto la tirannia, la povertà e l’insicurezza degli anni tra le due guerre e hanno ricostruito l’Occidente dopo il 1945. Oggi non potremmo farlo. Semplicemente, le nostre società crollerebbero sotto questo tipo di stress, e lo sappiamo. Non è perché siamo esseri inferiori, o perché la società è decadente, o per altre frivole scuse, è che le nostre società neoliberali semplicemente non potrebbero fare quello che hanno fatto i nostri antenati, individualmente e collettivamente. Come reagisce chi è stato educato a credere che le parole siano violenza di fronte a un vero cadavere accanto a sé? Come reagisce chi è stato educato a credere che la povertà sia violenza quando sopravvive con 500 grammi di cibo al giorno, se è fortunato? Non è colpa loro: nulla nel sistema operativo del neoliberismo odierno può dirci come affrontare tali sfide, tranne forse come corrompere la nostra via d’uscita dalla lotta e come gestire un mercato nero.

Questo è diventato un problema alla fine degli anni Sessanta, per la mia generazione che era cresciuta lontano dall’ombra della guerra imminente, anche se alcuni Paesi conservavano il servizio militare. Ne è emersa una forma di antimilitarismo beffardo e sprezzante, che faceva parte della ribellione di quella generazione contro i propri genitori. Spesso si nascondeva dietro l’opposizione alla guerra del Vietnam e non era pacifismo (una filosofia curiosa, ma comunque coerente), anche se spesso si fingeva che lo fosse. In genere, si trattava di un sostegno palese ai Viet Cong e di poster sui muri con uomini armati di fucile, anche se non di pelle bianca. Una volta sono stato a un concerto di Pete Seeger a Londra, dove ha cantato prima il potente inno pacifista Where Have All The Flowers Gone, con tanto di omelia sul bisogno essenziale di pace nel mondo, seguito dalla canzone della guerra civile spagnola Viva La Quince Brigada, con tanto di omelia sulla necessità di combattere il fascismo, con le armi se necessario. Né lui né la maggior parte del pubblico sembrarono notare la logica contraddizione.

Per molti versi, anche diverse generazioni dopo, siamo ancora in ribellione contro la generazione simbolicamente genitoriale che ha diretto e combattuto la Seconda guerra mondiale. Non avendo mai dovuto subire queste cose e sapendo che non saremmo stati in grado di affrontarle se avessimo dovuto, non risparmiamo gli sforzi per disprezzare coloro che le hanno subite. Questo si manifesta a vari livelli, da un’ondata dopo l’altra di storia e biografia tediosamente “revisioniste” di qualità molto variabile, alla riconfigurazione della Seconda Guerra Mondiale come esclusivamente incentrata sulle vittime (“Auschwitz e Hiroshima sono più o meno la stessa cosa, no?”), alla concentrazione sulla letteratura e sul cinema contro la guerra e pacifista nei programmi scolastici e universitari. E così possiamo immaginarci simbolicamente moralmente superiori a quelle generazioni, e tutti sono felici.

Tranne che, ovviamente, abbiamo bisogno di eroi. Tutte le società ne hanno bisogno. E così i più ferventi antimilitaristi cercano, come hanno sempre fatto, surrogati dall’estero da ammirare e rispettare: quello che George Orwell chiamava notoriamente il “patriottismo dei derattizzati”. Dai Viet Cong ai mujahidin afghani, fino agli esempi odierni di Hezbollah e degli Houthi, ammiriamo e troviamo l’eroismo in persone al di fuori delle nostre società, perché siamo troppo imbarazzati per cercarlo al loro interno.

Il caso classico in questo momento è l’Ucraina. La realtà è che le società occidentali non potrebbero sostenere una guerra di questo tipo, da entrambe le parti, e lo sappiamo. Questo ci rende arrabbiati e risentiti. Così reagiamo in vari modi. I figli dei figli che sono stati educati a disprezzare l'”Impero” americano adottano invece la Russia e il suo esercito come totem. Più in generale, la consapevolezza che i russi fanno cose che noi non possiamo più fare, a livello sociale, industriale o organizzativo, è umiliante per alcuni, ma psicologicamente destabilizzante e inaccettabile per altri. Da qui le fantasie di centinaia di migliaia di morti, di truppe russe mal equipaggiate e mal addestrate che combattono con le pale; tutto pur di aggrapparsi all’illusione della superiorità morale liberale occidentale.

Perché non si sottolineerà mai abbastanza che nessun Paese occidentale potrebbe sostenere una guerra di questo tipo per più di qualche settimana. Non mi riferisco solo al fatto che esaurirebbe le munizioni e la logistica nel giro di pochi giorni, e non ha più le armi, la leadership e l’addestramento per partecipare a un simile conflitto. Consideriamo, per un momento, solo la questione delle vittime. Ho già suggerito in precedenza che, sulla base di stime prudenti delle perdite russe, esse equivalgono forse a 25-30.000 morti per un Paese medio dell’Europa occidentale, forse a 150.000 morti nel caso degli Stati Uniti. A questi vanno aggiunti almeno altrettanti invalidi a lungo termine. E poi, bisogna supporre che il patriottismo spinga decine di migliaia di persone a offrirsi volontarie per compensare le perdite. E questo solo per la Russia. Nessuno ha davvero idea di quali siano le vittime ucraine, ma prendiamo una stima molto prudente di 200.000 morti per un Paese che nel 2022 aveva una popolazione inferiore a quella di Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna o Italia. Pensateci un attimo, e riflettete anche che nella Seconda Guerra Mondiale i tedeschi da soli hanno perso circa 4,5 milioni di uomini in sei anni di combattimenti. Cifre del genere non sono calcolabili al giorno d’oggi: causerebbero il blocco totale dell’algoritmo liberale di massimizzazione dell’utilità.

E nonostante ciò continuano a combattere. Sì, ci sono pressioni da parte ucraina, sì, ci sono forze che impediscono la diserzione. Ma è fatuo supporre che dietro ogni squadra isolata di truppe ucraine ci sia un distaccamento di Azov pronto ad abbatterle in caso di ritirata. Combattono, come combattono i russi, perché questo è ciò che gli uomini fanno in quella regione, e hanno sempre fatto. I loro padri si sono addestrati per queste guerre, i loro nonni e bisnonni vi hanno combattuto. Le società occidentali non sono più in grado di fare questo: non perché siamo diventati “decadenti” o “morbidi” o altre spiegazioni simili, ma perché le società liberali non offrono nulla per cui combattere, né ricompense per essere il tipo di persona che combatterebbe comunque.

E così l’ultimo disperato espediente di una società che ha esternalizzato tutto il resto è esternalizzare l’eroismo. Abbiamo creato un’Ucraina di fantasia, piena di persone che vorremmo essere, ma che non possiamo più essere, che lottano contro avversità schiaccianti, che difendono la civiltà liberale occidentale, ecc. Questo non deve essere minimamente credibile per gli esterni, può tranquillamente ignorare ogni sorta di cose scomode sui nazionalisti estremi e sulla corruzione. L’Ucraina così come viene presentata è una costruzione occidentale virtuale, piena di persone eroiche che fanno cose che noi non possiamo più fare. E finora, almeno, il consenso dell’élite è che esternalizzare l’eroismo in Ucraina è stato altrettanto efficace che esternalizzare la produzione in Cina. Dopo tutto, non avremo più bisogno di mostrare l’eroismo: subappaltiamolo.

“Peccato per la nazione” scriveva il poeta libanese Khalil Gibran “che acclama il prepotente come eroe”. Mi fa più pena la nazione che non ha eroi e che deve appaltare l’eroismo ad altri.

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Shoshana Zuboff: il capitalismo della sorveglianza By Sociologicamente –

Shoshana Zuboff: il capitalismo della sorveglianza

Il mondo digitale ha preso il sopravvento, ridefinendo qualunque cosa prima che venga offerta la possibilità di riflettere e decidere. Si possono apprezzare gli ausili e le prospettive che l’interconnessione offre, ma allo stesso tempo si aprono nuovi territori fatti di ansia, pericoli e violenza, mentre l’idea stessa di un futuro prevedibile svanisce per sempre.

Questo è il pensiero che emerge dal libro “Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri”, di Shoshana Zuboff, professoressa americana e business analyst di Harvard, la quale sostiene che Big Tech sia determinata a mercificare, controllare e cooptare ogni esperienza umana per trasformarla in dato comportamentale grezzo da utilizzare per accrescere ancora di più i propri profitti e il proprio potere.

Zuboff sostiene che il capitalismo di sorveglianza consista nel monitorare, analizzare e modificare costantemente il comportamento umano per il profitto dei giganti della tecnologia, che investono in quelli che lei definisce “mercati comportamentali futures”,dove il sapere in anticipo cosa faranno le persone domani o l’anno prossimo diventa un’informazione di enorme valore per chi vuole vendergli un prodotto o un servizio.

Indice

La rete… di una volta

Venti anni fa la rete era il mezzo postmoderno per realizzare la libertà. Oggi nessuno avrebbe il coraggio di ripeterlo. La Zuboff dimostra come, in un contesto di “nuova razionalità neoliberista”, i dati che si lasciano nelle attività on-line e off-line sono la materia prima che permette a enormi aziende di indirizzare i consumi e di “predirli”, arrivando a modificare i comportamenti degli individui, dei gruppi e di intere popolazioni.

Shoshana Zuboff fa partire la sua analisi sociologica a tutto tondo dell’attuale evoluzione del capitalismo, una forma di mercato inimmaginabile fuori dal contesto digitale ma che non coincide con esso. Il capitalismo della sorveglianza infatti non è una tecnologia, è una logica che permea la tecnologia e la trasforma in azione.

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono più diffuse dell’elettricità e raggiungono tre dei sette miliardi di persone sulla Terra. I dilemmi intrecciati della conoscenza, dell’autorità e del potere non sono più limitati ai luoghi di lavoro come negli anni Ottanta del Novecento, ma sono ramificati in tutte le necessità quotidiane e mediano quasi ogni forma di partecipazione sociale.

Cos’è il capitalismo della sorveglianza

Le nuove tecnologie non stanno solo sfuggendo al controllo umano, ma vengono anzi utilizzate proprio come strumento di controllo. L’ espressione “capitalismo della sorveglianza”, coniata da Shoshana Zuboff, condensa efficacemente due concetti: quello di un nuovo capitalismo, alternativo a quello industriale dei secoli scorsi, e quello di un nuovo sistema di potere fondato sul controllo del comportamento individuale.

Il capitalismo della sorveglianza si appropria dell’esperienza umana, usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono utilizzati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come intelligenza artificiale per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di vaticinare i comportamenti futuri o, come lo chiama Zuboff, il mercato dei comportamenti futuri. L’ideologia strumentalizzante conosce e indirizza i comportamenti umani verso nuovi fini. Anziché usare eserciti e armi, impone il proprio potere tramite l’automazione e un’architettura computazionale sempre più presente, fatta di dispositivi, oggetti e spazi smart interconnessi.

Sorveglianza e informazione

È diventato davvero difficile sfuggire a questo tipo di mercato. Basti pensare all’indottrinamento degli innocenti giocatori di Pokémon Go; all’atto di mangiare, bere e fare acquisti in ristoranti, bar, fast food e negozi che pagano per avere una parte del mercato dei comportamenti futuri; alla spietata espropriazione del surplus dei profili Facebook per delineare i profili individuali, che si tratti dell’acquisto di una crema per brufoli o di un paio di nuove scarpe da ginnastica; fino alle elezioni politiche.

Zuboff distingue, dunque, fin dall’inizio il capitalismo di sorveglianza dal capitalismo dell’informazione. Mentre il capitalismo dell’informazione si arricchisce attraverso le informazioni che gli vengono fornite, il capitalismo di sorveglianza si maschera dietro ad accordi intimidatori sui termini di servizio e in realtà manipola il comportamento dell’uomo in vari modi affinché si faccia ciò che esso vuole, perpetuando un ciclo di feedback di controllo predatorio e spionaggio emotivo attraverso meccanismi sofisticati di apprendimento automatico e programmazione algoritmica.

Se è gratis, il prodotto sei tu!

Google ha avuto un ruolo pionieristico nel capitalismo della sorveglianza sia in senso teorico che pratico, finanziando ricerca e sviluppo, ponendosi all’avanguardia della sperimentazione e dell’implementazione, ma non è più il solo attore in scena. Infatti, il capitalismo della sorveglianza è arrivato, ben presto, a Facebook e a Microsoft, e anche Amazon inizia a muoversi in questa direzione. Ogni individuo è sorvegliato, perché plusvalore di questo nuovo capitalismo. Ciò che costituisce il lavoro gratuito dato al capitalista, non sono altro che i dati e i comportamenti personali, utilizzati per costruire una strategia di marketing individualizzato e poi per guidare il comportamento stesso del singolo, tramite suggerimenti e ambienti  preposti. I clienti non sono gli utenti di Google, Facebook etc., bensì sono coloro che vogliono vendere agli utenti.

L’insondabilità e la segretezza delle tecniche e delle operazioni sono “il fossato attorno al castello”, in modo da non far avvicinare nessuno a quel che succede all’interno. Inventando il targeted advertising, la pubblicità targettizzata, Google ha spianato la propria strada verso il successo finanziario, ma ha anche spalancato un percorso dalla portata molto più vasta: la scoperta e l’elaborazione del capitalismo della sorveglianza. Il suo modo di fare affari è connotato sul modello pubblicitario e molti sono gli articoli sul metodo d’asta automatizzato di Google e sulle altre innovazioni che portano all’online advertising.

Le persone diventano, quindi, inconsapevoli api operaie disponibili, senza coercizione apparente, a essere scrutate e orientate, a diventare consumatrici sotto spinte e rinforzi che sembrano servizi efficienti o ambienti naturali, mentre sono ambienti e gabbie artificiali controllate dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale delle piattaforme digitali e dai motori di ricerca dei capitalisti della sorveglianza. La libertà di decidere e di scegliere, la privacy, il diritto di essere persone singole e uniche, inviolabili, sono così facoltà minacciate in maniera inesorabile; il tutto essendo “liberi” ed esercitando la propria “volontà”, i propri desideri e così facendo dando informazioni per estrarre valori da questi desideri condotti a essere azioni previste.

I prodotti e i servizi come “esche”

I meccanismi del capitale della sorveglianza e i suoi imperativi economici sono diventati il modello base per la maggior parte dei business basati su Internet. Alla fine, la pressione della competizione ha trasferito il paradigma su tutto il mondo online, dove gli stessi meccanismi di base che si appropriano della navigazione, dei like e dei clic, oggi vengono applicati alla vita quotidiana delle persone. I prodotti predittivi vengono attualmente scambiati in un mercato dei comportamenti futuri che va ben oltre le pubblicità online dirette a un preciso target e che comprende molti altri settori, come assicurazioni, vendita al dettaglio, finanza, e una serie sempre più ampia di aziende che vendono servizi e sono intenzionate a entrare in un simile mercato.

Secondo Shoshana Zuboff, i prodotti e i servizi del capitalismo della sorveglianza non sono oggetto di uno scambio di beni. Non pongono un rapporto di reciprocità costruttivo tra produttore e consumatore. Sono, al contrario, “esche” che attirano gli utenti in operazioni nelle quali le loro esperienze personali vengono estratte e impacchettate per gli scopi di altre persone. Le persone non sono veri “clienti” del capitalismo della sorveglianza, ma i veri clienti sono le aziende che operano nel mercato dei comportamenti futuri. Internet è diventato essenziale per avere una vita sociale, ma è anche saturo di pubblicità, e la pubblicità è subordinata al capitalismo della sorveglianza.

I capitalisti della sorveglianza sanno tutto degli utenti, mentre per gli utenti è impossibile sapere quello che fanno i capitalisti. Infatti questi ultimi accumulano un’infinità di nuove conoscenze dagli utenti, ma non per gli utenti. Dunque, l’esperienza umana diventa la materia prima da sfruttare da parte di questa forma capitalistica e il pericolo sta nell’assuefazione della società di fronte a questo processo o nella debolezza delle istituzioni quasi sempre subalterne a questo processo.

La metafora marxiana del capitalismo vampiro

Non c’è peggior vampiro del capitalista. Lo pensava già Karl Marx, che nei suoi scritti si è servito più volte di questa metafora per spiegare i rapporti tra i padroni e i lavoratori, tra il cosiddetto “lavoro morto”, già svolto in passato e materializzato e il “lavoro vivo”, gli operai. Il primo, “come un vampiro, vive solo succhiando il lavoro vivo, e più lavoro succhia più vive”. “I proprietari delle fabbriche, motivate soltanto dal profitto, emergono come una forma di vampiri economici”, scriveva. “migliorando i bilanci aumentando le ore di lavoro, abbassando gli stipendi e peggiorando le condizioni di lavoro.

I capitalisti”, continuava, “drenano il valore del lavoro dei loro lavoratori per arricchire se stessi. Proprio come i vampiri soprannaturali succhiano la forza vitale delle loro vittime per diventare sempre più forti”. E allora si capisce che proprio la metafora regge tutto il sistema: il vampiro è l’individuo nella sua essenza.

È predatore, inumano, anti-umano, senza obblighi morali nei confronti degli altri. Una condizione che, alla fine, conduce all’alienazione. Ma del resto, anche nei racconti di vampiri uno dei temi più battuti è proprio l’incapacità del vampiro di connettersi alla vita degli altri. Shoshana Zuboff rievoca questa metafora nel suo libro, in quanto gli scienziati  dei dati e degli algoritmi, l’intelligenza artificiale impegnata nel controllo e condizionamento sono totalmente fuori portata. Chi è dentro alla connettività sempre più onnipresente e ubiqua, dentro questo “Grande Altro”, novello Grande Fratello, lavora, anzi vive e agisce dentro un ambiente controllato e alimentato dalla linfa vitale in termini di dati, quasi come se fosse un vampiro.

L’orientamento economico di Max Weber

La tecnologia non è e non può essere una cosa a sé, isolata da economia e società. Per questo l’inevitabilità tecnologica non esiste. Le tecnologie sono sempre dei mezzi al servizio dell’economia, e non dei fini. Nell’epoca moderna, il Dna della tecnologia è segnato in partenza da quello che il sociologo Max Weber chiama “orientamento economico”. I fini dell’economia, osserva Weber, sono sempre intrinseci allo sviluppo e alla diffusione della tecnologia: “L’azione economica” determina gli obiettivi, mentre la tecnologia offre i “mezzi appropriati”. Nell’ottica di Weber, il fatto che il cosiddetto sviluppo tecnologico dell’epoca moderna sia tanto orientato economicamente al profitto è fondamentale nella storia della tecnologia.

In una società capitalista moderna, la tecnologia è stata, è e sarà sempre un’espressione degli obiettivi economici che l’hanno posta in azione. Il capitalismo della sorveglianza, secondo Shoshana Zuboff, impiega molte tecnologie, ma non può essere equiparato ad alcuna tecnologia. Le sue operazioni usano delle piattaforme, ma le operazioni e le piattaforme non coincidono. Usa l’intelligenza artificiale, ma non può essere ridotto a tali macchine. Produce e sfrutta degli algoritmi, ma non equivale ad algoritmi. Dunque, gli imperativi economici, propri del capitalismo della sorveglianza, sono i burattinai nascosti dietro le quinte che dirigono le macchine e le mettono in azione.

La divisione del lavoro di Émile Durkheim

La Zuboff, nel suo volume, fa riferimento, inoltre, alla divisione del lavoro, di cui parla Émile Durkheim, in “La divisione del lavoro sociale”. Le nuove forme di mercato sono più produttive quando si plasmano in armonia con le esigenze e i valori delle persone. Il grande sociologo lo sottolinea all’inizio del Ventesimo secolo. Osservando gli sconvolgimenti plateali operati dall’industrializzazione nella sua epoca, Durkheim comprende che per quanto gli economisti potessero scrivere tali sviluppi, non erano in grado di coglierne la causa. Esso ipotizza che questi cambiamenti radicali fossero causati dai nuovi bisogni delle persone: “La divisione del lavoro ci appare diversa da come appare agli economisti. Per loro, la maggior produttività è solo una conseguenza necessaria, una ripercussione del fenomeno. Se ci specializziamo non è per produrre di più, ma per essere in grado di vivere secondo le nuove condizioni di esistenza create per noi”.

Durkheim identifica l’eterno tentativo di vivere in modo efficace nelle nostre condizioni di esistenza come l’invisibile potere causale in grado di generare la divisione del lavoro, le tecnologie, l’organizzazione, il capitalismo e di conseguenza la civiltà stessa. Ognuna di queste cose è forgiata nella fucina del bisogno, generata da quella che Durkheim chiama “la violenza della lotta” per una vita efficace. Se il lavoro viene maggiormente diviso è a causa di una lotta per l’esistenza che si fa più dura. La razionalità del capitalismo riflette tale allineamento, anche se imperfetto, con i bisogni delle persone che cercano di vivere al meglio a seconda delle condizioni di esistenza del loro tempo e del loro luogo. L’individuo diviene il centro di ogni azione e scelta morale, e l’individualizzazione è una conseguenza della modernizzazione, tratto indelebile della vita contemporanea.

Sirena Frattasio

Riferimenti bibliografici e sitografici   

  • S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2020.
  • M. Hilbert, Journal of the American Society for Information Science and Technology, 2013.
  • É. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, il Saggiatore, Milano, 2016.
  • https://www.jstor.org/stable/23004024
  • https://www.linkiesta.it/2018/11/qual-e-il-modo-migliore-per-spiegare-marx-usare-le-storie-di-vampiri/

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Conversazione: la politica estera degli Stati Uniti e il prossimo presidente_Di Gavekal

Cosa può cambiare l’elezione di Donald Trump o di Kamala Harris ? Relazioni con Europa, Cina e Russia, isolazionismo o interventismo, analisi e scambi con due specialisti di questioni americane e cinesi.

Se Kamala Harris sarà la prossima inquilina della Casa Bianca, il risultato della politica estera statunitense sarà molto probabilmente identico a quello guidato da Joe Biden. Il ritorno di Donald Trump promette incertezza, poiché il suo istinto su questioni come la guerra in Ucraina e la politica cinese differisce dalle posizioni assunte da alcuni dei suoi principali consiglieri. Arthur Kroeber ha parlato con Yanmei Xie e Tom Miller per valutare gli scenari per le relazioni degli Stati Uniti con il resto del mondo e come gli altri Paesi potrebbero rispondere.

Articolo originale pubblicato su Gavekal. Traduzione a cura di Conflits.

Arthur Kroeber

Benvenuti a un’altra conversazione di Gavekal. Sono Arthur Kroeber, Direttore della Ricerca, e sono affiancato dai miei colleghi Yanmei Xie e Tom Miller, che si occupano per noi di geopolitica e affari mondiali. Oggi parleremo del cambiamento dell’ambiente geopolitico dopo le elezioni americane, e mi scuso in anticipo. Mi sto riprendendo da un raffreddore, quindi sono un po’ stanco, ma spero che questo non intralci il flusso di idee. All’inizio di questa settimana abbiamo pubblicato un articolo che valutava le possibilità di cambiamento delle posizioni in politica estera degli Stati Uniti dopo le elezioni. La conclusione generale era che con Kamala Harris è improbabile che le cose cambino molto. La signora Harris continuerebbe in gran parte la direzione politica generale dell’amministrazione Biden con alcune variazioni, ma c’è molta imprevedibilità, come tutti sanno, su ciò che potrebbe accadere in un’amministrazione Trump. Il problema fondamentale è che c’è un’interazione molto imprevedibile tra ciò che Trump stesso potrebbe volere, che è molto idiosincratico e in alcuni casi passa da un tipo di obiettivo a un altro. C’è quindi un’interazione tra i suoi impulsi e i desideri dei suoi consiglieri. Se si considerano le tre aree principali che abbiamo esaminato, la politica della Cina, il Medio Oriente e la Russia, probabilmente c’è una discreta convergenza tra gli istinti di Trump e quelli dei suoi consiglieri in Medio Oriente, in termini di mantenimento o rafforzamento del sostegno a Israele e di intensificazione delle pressioni contro l’Iran. Ma in altre aree, in particolare la guerra in Ucraina e la politica della Cina, ci sono molti potenziali conflitti tra gli istinti di Trump e ciò che direbbero i suoi consiglieri.

Esiste quindi un’intera gamma di possibilità. E credo che oggi cercheremo di esplorare alcune di queste possibilità e anche di parlare un po’ di come altri Paesi potrebbero rispondere a questi cambiamenti, soprattutto nell’ambito di un’eventuale seconda amministrazione Trump. Per cominciare, Yanmei, lei è stata di recente a Washington a parlare con molte persone del mondo politico. Potrebbe darci un’idea di come Trump potrebbe cercare di smuovere le acque, se così si può dire, per quanto riguarda la politica cinese, se venisse eletto per un secondo mandato? Perché quello che sappiamo di Trump è che il suo modus operandi è cercare di cambiare la situazione in qualche modo, non necessariamente per ragioni di principio, ma perché gli piace agitare le cose. Ma ciò che è interessante a Washington è che quando è arrivato otto anni fa, c’era un consenso sull’impegno con la Cina, che lui ha fatto esplodere e ha messo in atto questo quadro competitivo. Oggi, il consenso a Washington è in gran parte quello che lui stesso ha stabilito otto anni fa. Quali sono i diversi modi in cui potrebbe cercare di scuotere di nuovo le cose se entrasse in carica?

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Yanmei Xie

Direi che il consenso sulla politica cinese a Washington DC ruota attorno a un problema. Il problema percepito dagli Stati Uniti è che la Cina è il nemico strategico. La Cina ha la capacità e l’intenzione di sfidare l’egemonia statunitense nel mondo. Esiste anche un consenso sulla direzione della politica e sulla necessità di un certo tipo di impegno sul commercio e sugli investimenti tecnologici. E da lì, credo che il consenso venga meno. Direi che ha ragione sul fatto che Harris probabilmente continuerebbe questa sorta di deliberato, graduale, chirurgico disimpegno dalla Cina per dare alle aziende e agli alleati il tempo di adattarsi. Trump, credo, scommetterebbe su un ritmo più ampio, rapido e accelerato di disimpegno economico dalla Cina. E probabilmente preferirebbe farlo da solo piuttosto che aspettare che gli alleati si uniscano agli Stati Uniti in questa direzione.

Arthur Kroeber

Giusto. Beh, credo che sia quello che tenderei a fare anch’io. Voglio dire, se si guarda al tipo di persone che probabilmente popoleranno il lato della sicurezza nazionale di un’amministrazione Trump, sono molto falchi. Robert Lighthizer, che probabilmente occuperà una posizione molto forte, è diventato molto più falco di quando era rappresentante del commercio degli Stati Uniti. Ora è a favore di quello che chiama disaccoppiamento strategico con la Cina. C’è stato quindi un cambiamento di rotta, ma credo che ci siano altre due cose da dire. La prima è che, di fatto, ciò che Trump ha cercato di fare al suo arrivo è stato di stringere una sorta di accordo o di grande patto con i cinesi. Uno dei suoi potenziali segretari al Tesoro, Scott Besant, lo ha suggerito in diverse interviste: l’obiettivo della pressione tariffaria sarebbe quello di portare i cinesi al tavolo delle trattative e creare una versione moderna e aggiornata dell’Accordo del Plaza, in cui i cinesi cambierebbero il loro modello economico, rivaluterebbero la loro moneta e gli Stati Uniti darebbero loro un po’ più di accesso al loro mercato. Questa è un’idea che sta circolando su come Trump potrebbe allontanarsi da questo tipo di consenso falco di Washington.

D’altro canto, molti funzionari di Biden affermano che non avrebbe alcun principio. Non farebbe alcun grande accordo, ma farebbe essenzialmente molti accordi collaterali qua e là con la Cina. E rinuncerebbe a molti interessi americani, ad esempio il sostegno a Taiwan, per ottenere altre cose che potrebbe desiderare. Ci sono quindi due diversi scenari negoziali. Uno è il grande accordo globale e l’altro è più tattico, che è in gran parte il modo in cui opera Trump. Cosa ne pensate di questi due scenari?

Yanmei Xie

Giusto. Prima di tutto, Arthur, permettimi di tornare un po’ sulla caratterizzazione di Trump come totalmente imprevedibile. Quando leggo o ascolto i suoi discorsi e le sue interviste, sotto la corrente della sua retorica apparentemente sconclusionata, sembrano esserci, almeno per quanto riguarda la politica cinese, messaggi coerenti, abbastanza coerenti, su ciò che vuole fare. Per esempio, alla fine dell’anno scorso ha tenuto un discorso dedicato alla politica cinese, in particolare alla politica commerciale. Poi, recentemente, ha rilasciato una serie di interviste a diversi giornali. Il messaggio è abbastanza coerente con quanto Lighthizer ha presentato in modo più metodico nel suo libro. Si tratta di un disaccoppiamento strategico. Lo stesso Trump ha dichiarato di avere una politica di eliminazione graduale delle importazioni di materiali critici dalla Cina. E ha citato settori come l’elettronica, l’acciaio e i prodotti farmaceutici. Quindi sento molto meno linguaggio, molto meno discorsi da parte sua sulla volontà di fare un accordo con la Cina. Un accordo? L’ultima volta, credo che abbia parlato di una sorta di grande accordo e si sia presentato come l’unico in grado di trattare con Xi Jinping. Credo che questa volta, durante la sua campagna, stia parlando molto meno di un grande accordo.

E forse sto correggendo troppo. Penso che l’ultima volta abbiamo commesso l’errore di non prenderlo sul serio per quello che dice. Penso quindi che dovremmo prenderlo più sul serio. Inoltre, è molto più coerente nel suo messaggio di voler correggere quella che considera un’enorme ingiustizia in termini di relazioni commerciali con la Cina. Inoltre, ha detto di volere un certo disaccoppiamento. Credo che l’unica sorta di incoerenza o di messaggio contrastante sia l’aver detto che accoglierebbe con favore i produttori di auto cinesi per venire a produrre e vendere auto negli Stati Uniti. Si tratterebbe di una rottura e di un’inversione di tendenza rispetto a quanto stava facendo l’amministrazione Biden, che voleva chiudere ermeticamente il mercato statunitense alle auto cinesi, indipendentemente dal luogo di produzione. Tuttavia, per farlo, Trump dovrebbe ribaltare diverse politiche, tra cui la legislazione approvata dal Congresso, gli ordini esecutivi e le regole del Dipartimento del Commercio. Potrebbe farlo. In primo luogo, ci vorrebbe tempo. E in secondo luogo, a causa del consenso molto falco di Washington, queste misure sarebbero estremamente impopolari.

Arthur Kroeber

Sì, sono tendenzialmente d’accordo con lei. Il problema che ho con l’argomentazione secondo cui dovremmo prendere Trump sul serio è che spesso dice cose che sono completamente in contraddizione tra loro. Dobbiamo quindi scegliere quale sia più seria dell’altra, non è vero? Se si guarda alla sua amministrazione dal 2016 al 2020, c’è stata una certa coerenza nell’identificare la Cina come un concorrente strategico. Ma c’è stata una vera e propria divergenza tra il periodo in cui erano in corso negoziati piuttosto seri su un accordo commerciale e poi una sorta di inversione di tendenza nel 2020, quando dopo il COVID e il timore di Trump che questo gli sarebbe costato le elezioni, ha permesso una retorica davvero estrema da parte di tutti i suoi alti funzionari, in un modo molto anti-cinese che non era davvero caratteristico della sua precedente amministrazione, la prima parte della sua amministrazione. Quindi, credo che ci sia ancora un po’ di incertezza su quello che farebbe, ma tenderei a dire che il consenso è estremamente falco. È coerente con il suo approccio economico nazionalista e probabilmente è lo scenario più probabile.

Tom, vorrei rivolgermi a lei e chiederle di un’altra questione, che è un’irritazione costante nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, ovvero lo status di Taiwan. Qualche anno fa la gente era molto preoccupata. Ora la situazione sembra essersi calmata. Tutte le parti coinvolte nella questione – Stati Uniti, Cina e Taiwan – hanno lavorato molto duramente per mantenere la calma. Ma è chiaro che se gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Trump, adotteranno un approccio molto più aggressivo e assertivo nei confronti della Cina e si muoveranno verso il disaccoppiamento strategico, come ha suggerito Yanmei, penso che probabilmente torneremo a parlare di Taiwan. Come pensa che le cose potrebbero evolvere in un secondo mandato di Trump in termini di politica degli Stati Uniti verso Taiwan, e in che modo i taiwanesi giocherebbero questo ruolo?

Tom Miller

Giusto. Beh, credo che la prima cosa da dire a questo proposito sia che è incredibilmente difficile sapere quale direzione prenderanno le cose perché Trump è stato così incoerente su Taiwan in passato. A volte ha minacciato di abbandonare la politica di una sola Cina. A volte ha anche minacciato di abbandonare Taiwan. È quindi difficile saperlo. Nell’articolo che abbiamo pubblicato, abbiamo descritto il rapporto tra Stati Uniti e Cina: sotto Trump potremmo assistere a una sorta di competizione totale tra Stati Uniti e Cina. Se così fosse, c’è il rischio, a mio avviso, che Trump e le persone che lo circondano provochino la Cina su Taiwan. Probabilmente è improbabile un commento che sostenga esplicitamente l’indipendenza di Taiwan. Ma se si spingessero a tanto, sarebbe molto, molto pericoloso, perché quella è davvero la linea rossa della Cina. Credo che le voci di una sorta di calendario per l’invasione fossero esagerate qualche anno fa, e credo che ora siano state ridimensionate. A Taiwan si temeva che il nuovo presidente, Lai Ching-de, avrebbe spinto per l’indipendenza. In realtà, ha fatto marcia indietro. Quindi direi che il rischio più grande per Taiwan è che gli Stati Uniti vadano fino in fondo e provochino Xi Jinping, perché la grande domanda è se Xi Jinping farà mai la sciocchezza di invadere il Paese. È incredibilmente pericoloso. Ma se Taiwan fosse spinta verso l’indipendenza, sarebbe allora che accadrebbe. Quindi non credo che sia probabile, ma è certamente qualcosa che dovremmo considerare.

Arthur Kroeber

Yanmei, non so se hai qualcosa da aggiungere. Credo che una possibilità che emerge se si inizia a pensare alle possibilità di una grande contrattazione sia che Trump, in diverse occasioni, abbia detto chiaramente che non capisce perché gli Stati Uniti siano così assertivamente a favore di Taiwan. La maggior parte dei suoi addetti alla sicurezza nazionale non sarebbe d’accordo con lui, ma questa è la sua opinione. È possibile che Trump stia cercando di trovare un accordo con Xi Jinping dicendo: “Vogliamo porre fine alla guerra in Ucraina il più rapidamente possibile. Lei ha una certa influenza su Putin. Può convincerlo a sedersi al tavolo dei negoziati in cambio di questo? Troverò un modo per ridurre il sostegno degli Stati Uniti a Taiwan. Pensa che questo sia anche solo lontanamente possibile?

Yanmei Xie

Sì, è vero. Nella sua recente intervista al Wall Street Journal, ha dichiarato che se Xi Jinping tentasse di invadere Taiwan, gli Stati Uniti imporrebbero tariffe fino al 200% su tutti i prodotti cinesi, o addirittura interromperebbero del tutto gli scambi commerciali. Ma si è rifiutato di dire se gli Stati Uniti avrebbero fornito un sostegno militare diretto a Taiwan. Ha semplicemente detto di voler lasciare Xi Jinping nei guai e ha aggiunto che Xi Jinping non oserebbe farlo perché sa che sono completamente pazzo. Quindi penso che il tipo di scambio di cui lei parla sia possibile, ma probabilmente sarà superficiale. Innanzitutto, credo che l’influenza della Cina sulla Russia sarebbe superficiale, non è vero? Perché la Cina possa davvero usare la sua influenza contro Putin, Xi Jinping dovrebbe andare da Putin e dirgli: “Ehi, sai, vorrei che tu facessi un cessate il fuoco in Ucraina, altrimenti taglierò alcuni prodotti importanti dalla Russia o smetterò di comprare dalla Russia, il petrolio russo”. È vero. Non credo che ciò accada perché penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che, nella visione del mondo di Xi Jinping, l’allineamento Cina-Russia è al centro della politica estera di Xi Jinping ed è al centro della formazione di questo blocco antiamericano. D’altra parte, penso che da parte americana, l’accordo per ridurre il sostegno a Taiwan potrebbe anche essere superficiale, non è vero? Dopo tutto, le relazioni tra gli Stati Uniti e Taiwan sono protette dal Taiwan Act, che impone agli Stati Uniti di trasferire armi a Taiwan, che attualmente è l’elemento più essenziale del sostegno statunitense a Taiwan. Ciò richiederebbe una revisione della legislazione da parte del Congresso. Quindi penso che Trump potrebbe accettare di inviare meno alti funzionari a visitare Taiwan o di non ricevere Lai Ching-de, di non avere telefonate con Lai Ching-de, ma queste sono cose superficiali, no? E Xi Jinping sa che è superficiale. Quindi, in teoria, potrei vedere una sorta di accordo superficiale, ma non durerà.

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Arthur Kroeber

Credo che sia proprio così, ti rimando alla domanda, Tom. Abbiamo parlato molto di come le cose cambieranno negli Stati Uniti, ma ovviamente anche altri Paesi hanno le loro agenzie in questo settore. In particolare, credo che Yanmei abbia appena sottolineato che la Cina ha una strategia attiva di impegno con la Russia, che è profondamente strategica. Ma ha anche una sorta di strategia più ampia per cercare di aumentare il suo impegno con altri Paesi. Ne abbiamo un assaggio in questi giorni con il vertice dei BRICS a Mosca, che a quanto pare è stato un’occasione per Cina e India di risolvere, o forse appianare, una disputa di confine di lunga data. Parliamo prima di questo. Vorrei dire che l’India è un caso interessante: negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno cercato in tutti i modi di fare dell’India un contrappeso alla Cina. E l’India è stata al gioco fino a un certo punto, perché ha i suoi sospetti sulla Cina. Ma allo stesso tempo, sembra che gli indiani siano molto desiderosi di non cadere in un campo o nell’altro. Cosa pensa, innanzitutto, di questo accordo specifico che cinesi e indiani sembrano aver raggiunto? E cosa ci dice, più in generale, sul modo in cui alcuni di questi Stati intermedi potrebbero cercare di posizionarsi nella rivalità tra Stati Uniti e Cina?

Tom Miller

Certamente. Quindi credo sia prematuro dire che sia stato formalizzato un accordo. Quello che è successo è che negli ultimi sei mesi circa ci sono stati incontri ad alto livello tra cinesi e indiani per cercare di risolvere il problema del confine. Se torniamo indietro al 2020, c’è stato uno scontro molto violento al confine, in cui sono stati uccisi 20 o 30 indiani, credo, e non sappiamo quanti cinesi siano stati uccisi. Circa 100.000 soldati si sono scontrati al confine. Da allora, le relazioni tra India e Cina sono state sostanzialmente congelate. Per 18 mesi, ad esempio, la Cina non ha avuto nemmeno un ambasciatore a Delhi. A luglio, Wang Yi e Jai Shankar, i due più alti funzionari di politica estera dei due Paesi, si sono incontrati di nuovo. La scorsa settimana abbiamo visto diplomatici di livello inferiore cercare di definire alcuni dettagli. Ora sembra che ci sia un certo disimpegno sul confine e un accordo su come dovrebbero funzionare i pattugliamenti. Una delle domande che ci si pone è se Xi Jinping e Modi si incontreranno al 16° vertice dei BRICS, che si tiene in Russia oggi [questo è stato registrato il 22 novembre] e domani, e se ci sarà un qualche tipo di annuncio in merito. Penso che sia forse troppo presto per questo tipo di annuncio formale, ma sembra che ci stiamo muovendo più verso una normalizzazione delle nostre relazioni, che ha senso per entrambe le parti.

Da un lato, l’India ha bisogno di investimenti cinesi. Vuole diventare una sorta di base per le esportazioni globali. Vuole diventare una potenza manifatturiera. Ed è molto, molto difficile raggiungere questo obiettivo senza la Cina. Al momento esporta molto di più, le catene di approvvigionamento si stanno spostando in India, ma deve importare molti prodotti intermedi dalla Cina. Sarebbe francamente più sensato avere investimenti cinesi in India. Quindi credo che la direzione sia quella. E sì, come lei ha detto, l’India è uno di quei Paesi intermedi che si collocano tra la Cina e gli Stati Uniti, cercando di interporsi tra i due e di trarre il meglio da entrambe le parti. Voglio dire, l’India, meno di altri Paesi, direi, è una sorta di Paese intermedio. È, credo, un po’ più vicina agli Stati Uniti. Ma è comunque un membro dei BRICS. È anche membro dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. E come lei ha detto, sta perseguendo questa politica di autonomia strategica. È determinata a non rimanere bloccata in un campo o nell’altro. Per questo ha senso che l’India collabori con la Cina, oltre che con gli Stati Uniti e altri Paesi. L’India è un po’ diversa da altri Paesi perché vede la Cina come un nemico. Pertanto, manterrà sempre una distanza molto maggiore dalla Cina rispetto a Paesi come il Messico, la Thailandia, la Malesia, il Vietnam o altri Paesi che stanno cercando di trarre vantaggio dalla rivalità tra Stati Uniti e Cina.

Arthur Kroeber

Per continuare, la tesi centrale di Yanmei è che se ci sarà un secondo mandato Trump, la politica sarà essenzialmente di disaccoppiamento strategico. Quindi gli Stati Uniti imporranno molte tariffe alla Cina e attueranno molte politiche per cercare di ridurre l’impronta economica della Cina negli Stati Uniti. E probabilmente lo faranno senza consultare i loro alleati, come ha fatto in modo molto aggressivo l’amministrazione Biden. Quindi, se questa politica viene effettivamente attuata e otteniamo un disaccoppiamento strategico molto, molto forte da parte degli Stati Uniti, come reagiscono gli altri Paesi del mondo? Si diranno che ora devono scegliere da una parte o dall’altra, oppure hanno ancora spazio di manovra per giocare da entrambe le parti, Stati Uniti e Cina?

Tom Miller

Credo che dipenda da ogni Paese. La prima cosa da dire è che se Trump sale al potere e colpisce duramente la Cina con i dazi, questo potrebbe essere molto positivo per alcuni Paesi. Quindi abbiamo già avuto, direi, due ondate di riduzione del rischio. La prima è stata quando Trump è salito al potere nel 2018 e ha imposto tariffe alla Cina, e le catene di fornitura hanno iniziato a spostarsi in altri Paesi per aggirare le tariffe statunitensi sulle importazioni. Poi abbiamo avuto una seconda ondata con COVID, quando è diventato chiaro che essere troppo dipendenti da un solo Paese era semplicemente pericoloso e che dovevamo diversificare le catene di approvvigionamento. Ora, se Trump si mette in gioco e fa quello che dice, ad esempio imponendo tariffe del 60% sulle esportazioni cinesi, potremmo assistere a una terza ondata di riorientamento della catena di fornitura verso questi Paesi intermedi. Vietnam, Messico e India ne sono un esempio. Ma allo stesso tempo, credo che ci sia anche un rischio per questi Paesi. In passato, Trump ha criticato il Vietnam, l’India e il Messico perché sono luoghi in cui le esportazioni cinesi vengono reindirizzate. Tornando al punto di Yanmei, Trump ha parlato di imporre tariffe molto alte sulle esportazioni cinesi. Ha fatto lo stesso commento sui veicoli messicani, dicendo che qualsiasi cosa prodotta in quel Paese sarebbe stata colpita da tariffe del 100%, 200%, 2.000%, e che sarebbe stato impossibile costruire qualcosa in Messico e importarlo negli Stati Uniti. Non so se possiamo prenderlo sul serio. Ma se siete messicani, il vostro principale partner commerciale sono gli Stati Uniti e le vostre principali esportazioni sono le automobili, dovreste essere preoccupati.

Come avete detto, potrebbe agire senza consultare i suoi alleati. Questo può rendere la vita molto, molto difficile per loro. Naturalmente, una delle cose che Biden ha cercato di fare, e non sempre ci è riuscito, è cercare di riunire i Paesi in partenariati. Credo che il nuovo termine che amano usare a Washington sia che ha creato un reticolo, se volete, di diversi raggruppamenti, mini-gruppi bilaterali e altri partenariati in tutto il mondo. Una delle minacce di una presidenza Trump è che questi comincino a disintegrarsi. Francamente, se si tratta di questi Paesi di mezzo, è molto difficile sapere come andrà a finire. Penso che il Messico sia particolarmente vulnerabile perché è così vicino agli Stati Uniti. Se si dovesse scegliere da che parte stare, il Messico dovrebbe scegliere gli Stati Uniti piuttosto che la Cina. È un partner commerciale molto più importante. Ma se si guarda al Sud-Est asiatico, questi Paesi sono molto, molto dipendenti dalla Cina. La Cina è il loro principale partner commerciale, per quasi tutti i Paesi, credo, la Cina è il loro principale partner commerciale. È un investitore molto, molto importante. Se ci fosse davvero una sorta di competizione totale e le cose diventassero molto, molto spiacevoli tra Cina e Stati Uniti, penso che quei Paesi probabilmente si rivolgerebbero alla Cina. Spero che ciò non accada. Ma direi che la più grande minaccia di una presidenza Trump è che inizi a imporre tariffe a diversi Paesi. Si otterrebbe una sorta di risposta “tit for tat “. L’intero sistema commerciale mondiale crolla. Quindi, ovviamente, le persone devono scegliere da che parte stare.

Yanmei Xie

Allora, Arthur, mi permetti di aggiungere qualche parola a quello che ha detto Tom?

Arthur Kroeber

Assolutamente sì.

Yanmei Xie

Per quanto riguarda la questione dei Paesi terzi, credo che una delle critiche principali alle tariffe sia stata che le tariffe sono come un palloncino, non è vero? Se si esercita pressione su un lato, le esportazioni commerciali cinesi appaiono in altre parti del mondo. I nostri colleghi hanno redatto una serie di rapporti che dimostrano che le esportazioni dirette della Cina verso gli Stati Uniti sono in calo, ma che le esportazioni complessive cinesi verso il mondo sono in realtà in costante aumento. Credo che questo sia diventato motivo di preoccupazione per il Presidente Trump e la sua squadra. Trump e Lighthizer hanno ripetutamente affermato di volersi assicurare che i Paesi terzi non vengano utilizzati come intermediari per i prodotti cinesi, sia che si tratti di trasbordo diretto di prodotti finiti, sia che si tratti di una sorta di camuffamento attraverso l’assemblaggio finale e la successiva spedizione negli Stati Uniti. Mi aspetto quindi una maggiore coercizione nei confronti dei Paesi terzi affinché agiscano contro questo tipo di merci cinesi che transitano attraverso i Paesi terzi verso gli Stati Uniti. Credo che Tom abbia menzionato la minaccia di Trump di aumentare le tariffe sulle auto messicane o provenienti dal Messico fino al 200%. Forse non sarà così radicale, ma credo che probabilmente cercherà di rendere la vita piuttosto difficile ai paesi che non collaborano con gli Stati Uniti per bloccare le esportazioni cinesi.

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Tom Miller

Posso aggiungere qualcosa? Se è d’accordo. Credo che all’inizio della guerra commerciale ci siano state molte deviazioni, per cui le merci provenienti dalla Cina, ad esempio, passavano per il Vietnam e recavano la dicitura “Made in Vietnam”, anche se erano essenzialmente prodotti cinesi. Non credo che questo accada più molto spesso. La mia impressione, dopo essere stato in Vietnam e in Messico e aver parlato con la gente del posto, è che in realtà gli Stati Uniti siano diventati molto più bravi a prevenire questo fenomeno e che ciò che sta realmente accadendo ora è che la Cina esporta beni intermedi e poi c’è una sostanziale lavorazione di questi beni in questi Paesi terzi. Abbiamo visto, ad esempio, nel nord del Vietnam, aziende di pannelli solari che sono state espulse dal Paese perché non stavano facendo nulla di concreto. Erano solo uno stratagemma per dirottare le esportazioni cinesi. Oggi non credo che questo accada più.

Arthur Kroeber

Sì. Ma quello che vorrei dire, Tom, è che nella misura in cui siamo in grado di tracciare i flussi di valore aggiunto e che questi dati sono pubblicati con un lungo ritardo, sembra abbastanza chiaro che, sia con il semplice trasbordo che con mezzi più elaborati, c’è un’enorme quantità di valore aggiunto cinese che continua ad arrivare negli Stati Uniti e in altre economie sviluppate. E sarà molto difficile cambiare questa situazione, perché i produttori cinesi sono estremamente competitivi in quello che fanno. Si può dire che non si vuole prendere nulla dalla Cina, ma se l’alternativa è non prendere nulla dalla Cina, si può dire che non si vuole prendere nulla dalla Cina. Ma se l’alternativa è non avere questa categoria di prodotti perché non c’è alternativa alla Cina, allora c’è un problema. Penso quindi che esista una sorta di dura realtà economica, ovvero che la Cina è di fatto estremamente competitiva in un’ampia gamma di prodotti. Al momento è praticamente impossibile eliminare la Cina dalle catene globali del valore a costi quasi accettabili. Penso quindi che se il Presidente Trump adotterà questo tipo di strategia massimalista, si troverà molto rapidamente in difficoltà, perché diventerà chiaro, innanzitutto, che questa strategia non raggiunge i risultati desiderati. In secondo luogo, rischia di alimentare l’inflazione negli Stati Uniti se verrà effettivamente attuata. Sarà interessante vedere come reagirà l’amministrazione Trump. Vorrei concludere rapidamente. Ma Yanmei, volevo tornare da te e chiederti: abbiamo parlato fondamentalmente dell’amministrazione Trump, ma parliamo un po’ della vittoria di Harris, che sembra una possibilità al 50%. Abbiamo detto che avrebbe continuato le politiche di Biden. Ma una cosa che lei ha sottolineato è che probabilmente sarà ancora più aggressiva nel cercare di creare questi club, club settoriali, club commerciali, in cui i Paesi si riuniscono e cercano di creare accordi commerciali che cambiano il valore e che essenzialmente escludono la Cina, ma creano preferenze all’interno del club. Mi chiedo se possa spiegare un po’ come potrebbe essere questa strategia e quanto successo potrebbe avere.

Yanmei Xie

Giusto. Prima di tutto, parliamo di principi. Credo che in un’amministrazione democratica ci siano due principi guida. Il primo è il consenso. Un certo grado di disaccoppiamento deve avvenire tra Stati Uniti e Cina. Ma in secondo luogo, il disaccoppiamento deve essere metodico, graduale, incrementale, chirurgico, settoriale, per consentire l’adeguamento e ridurre al minimo le perturbazioni dell’economia statunitense. In terzo luogo, gli Stati Uniti non devono agire da soli. Devono regolare il ritmo con i loro alleati in modo da formare un’ampia alleanza contro la Cina, anche se questo significa che il ritmo sarà rallentato.

Penso quindi che, in termini di settori, gli Stati Uniti e l’attuale amministrazione stiano facendo una distinzione tra settori che, in primo luogo, non sono molto strategici e, in secondo luogo, hanno perso tutta la loro capacità industriale. In secondo luogo, gli Stati Uniti hanno perso quasi tutta la loro capacità industriale. Si accontentano quindi di lasciare che la Cina prenda il sopravvento e di importare prodotti cinesi a basso costo e di discreta qualità. Questi possono includere l’elettronica di consumo, i pannelli solari e i loro componenti. La seconda categoria di settori è quella delle materie prime. La Cina ha molta capacità, mentre gli Stati Uniti e i loro alleati ne hanno poca, ma questi settori sono anche molto strategici. Per questo settore, l’obiettivo è creare una capacità sufficiente negli Stati Uniti e tra gli alleati fidati in modo che, per applicazioni critiche come le infrastrutture di difesa, la fornitura sia sufficientemente affidabile in questi Paesi. Questi settori potrebbero includere, ad esempio, le batterie e i minerali critici. E poi ci sono settori che sono semplicemente essenziali per la competitività industriale e la salute industriale. L’automobile è il settore classico, non è vero? Gli Stati Uniti stanno puntando molto sull’industria automobilistica. Stanno bloccando il mercato americano. Nessuna auto o componente cinese può entrare negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti stanno anche convincendo gli alleati e le multinazionali automobilistiche a ridurre il numero di fornitori cinesi. Infine, l’ultima categoria riguarda i settori di importanza strategica in cui gli Stati Uniti hanno perso quasi tutta la loro capacità. Tra questi vi sono l’acciaio e forse la cantieristica, giusto? Quindi penso che la strategia sia quella di utilizzare una combinazione di tariffe e di esclusione dei componenti cinesi dalle catene di fornitura per, e lavorare con gli alleati per, come dire, mantenere, ancora una volta, una certa capacità negli Stati Uniti e nei Paesi fidati.

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Arthur Kroeber

In altre parole, se avremo un’amministrazione Harris, assisteremo a un’intensificazione degli sforzi che abbiamo visto per creare questo tipo di disaccoppiamento strategico, ma in modo più lento, graduale e disciplinato. In ogni caso, sembra, Yanmei, che la tua previsione sia che gli Stati Uniti siano tutti impegnati nel disaccoppiamento strategico. La domanda è: come si procede?

Yanmei Xie

È vero. Ecco cosa penso.

Arthur Kroeber

Penso che questo sia un buon modo per concludere. Probabilmente avremo un’altra conversazione più avanti nel corso dell’anno, quando sapremo chi sarà il prossimo presidente e avremo una base più concreta. In ogni caso, grazie a Tom e Yanmei e grazie a tutti i telespettatori per aver sostenuto la nostra ricerca e per aver ascoltato questi eventi.

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Dibattiti repubblicani sulla Cina: una bussola politica per i potenziali candidati di Trump, di T. Greer

MOLTI HANNO CERCATO di incastrare Trump nel “Progetto 2025” di Heritage. La campagna di Trump non solo si è rifiutata di sostenere il Progetto 2025, ma si è rifiutata di sostenere qualsiasi piano politico dettagliato. Trump preferisce tenere aperte le sue opzioni.

Un vantaggio inaspettato di questo approccio è che i repubblicani hanno trascorso gran parte dell’ultimo anno impegnati in dibattiti intensi ma aperti sulla politica. Politici ambiziosi, uffici del Congresso e think tank hanno esposto i loro piani preferiti su quasi ogni questione importante. Questi piani spesso differiscono l’uno dall’altro in modi sorprendenti. In assenza di approvazione da parte di Trump o della sua campagna, nessuno sa esattamente quale di questi pacchetti di politiche verrà infine adottato come standard repubblicano. I repubblicani coinvolti sono stati quindi liberi di discutere i meriti e i costi di ciascuno.

Prendiamo la politica cinese.

Ho trascorso gran parte dell’ultimo mese e mezzo intervistando politici repubblicani, membri dello staff, think tanker e simili sul loro approccio preferito alla Cina. Queste interviste sono ancora in corso. Mentre i miei risultati completi saranno pubblicati in un rapporto per il Foreign Policy Research Institute più avanti quest’anno, l’istituto ha pubblicato questa settimana un teaser pre-elettorale del mio rapporto più ampio. L’attenzione di questo teaser è sul dibattito geopolitico . Questo è importante, perché in realtà ci sono due dibattiti sulla Cina. Il primo è incentrato sulla sfida economica di una Cina in ascesa; l’altro è incentrato sulla geopolitica. Come ho detto nel mio saggio:

È comune che gli individui siano strettamente alleati nella sfera economica ma non in quella geopolitica, o viceversa. Ad esempio, i senatori Marco Rubio e JD Vance sono stretti alleati sul fronte economico; ci sono poche distinzioni significative tra la strategia economica che ciascuno sostiene. Le loro rispettive opinioni sul problema geopolitico posto dalla Cina sono molto più difficili da conciliare.

In teoria, la posizione di qualcuno sul CHIPS Act o sulle tariffe potrebbe influenzare la posizione di qualcuno sugli impegni militari verso Taiwan o sugli aiuti militari all’Ucraina. In pratica, è raro che ciò accada. I dibattiti economici e geopolitici avvengono su piani diversi.

Attualmente, ritengo che una “bussola politica” a quattro quadranti sia un modo utile per dare un senso al dibattito geopolitico (vedere l’immagine in testa a questo post).

Un asse è una misura dell’ottimismo rispetto al pessimismo:

La posizione in cui ci si colloca in molti dei dibattiti più importanti , come “Gli Stati Uniti possono permettersi di sostenere sia l’Ucraina che Taiwan?” o “L’obiettivo finale della nostra politica cinese dovrebbe essere la vittoria sul Partito Comunista Cinese o dovrebbe essere la distensione?”, ha meno a che fare con la propria valutazione della Cina e più a che fare con la propria valutazione degli Stati Uniti . Quali risorse possiamo radunare per competere con la Cina? Quanto sono grandi le nostre riserve di denaro, talento e volontà politica?

Quelli nei quadranti di destra del mio diagramma forniscono risposte pessimistiche a queste domande. Rafforzano la loro tesi con dati misurabili: acciaio prodotto, navi in mare, interessi pagati sul deficit federale o la percentuale del prodotto interno lordo di un alleato spesa per la difesa. A fronte di questi numeri si pongono statistiche spaventose sulla capacità industriale cinese e sul potere dell’Esercito Popolare di Liberazione. I cambiamenti nella tecnologia, che favoriscono le munizioni di precisione basate a terra a scapito di aerei e navi più costosi, erodono ulteriormente la posizione americana. Questa è una circostanza nuova e scomoda. L’ultima volta che gli Stati Uniti hanno mosso guerra senza una schiacciante superiorità materiale è stato nel 1812.

Per coloro che vedono il potere americano attraverso questa cornice, c’è una sola risposta logica: gli Stati Uniti devono limitare le proprie ambizioni. Ciò significa o riorganizzare radicalmente le priorità degli impegni di difesa per concentrarsi sulla Cina o ritirarsi del tutto dal conflitto con la Cina.

Quelli nei due quadranti di sinistra vedono le cose in modo diverso. Laddove i pessimisti vedono fatti consolidati, gli ottimisti vedono possibilità. Gli ottimisti riconoscono molte delle stesse tendenze dei pessimisti, ma le vedono come errori autoinflitti che possono e devono essere invertiti. Un bilancio della difesa inadeguato non è una legge dell’universo, ma una scelta politica. Se Trump vince, sceglierà diversamente. Implicito nella visione ottimista è un orizzonte temporale più lungo: c’è ancora tempo per cambiare le cose. Ma questa finestra non rimarrà aperta per sempre. Gli ottimisti temono che le valutazioni pessimistiche erodano la volontà politica necessaria per apportare cambiamenti finché il cambiamento è ancora possibile.

… Nei loro dibattiti, i pessimisti sono rapidi a sottolineare i pochi sistemi d’arma spediti attraverso l’Atlantico che potrebbero essere utilizzati nel Pacifico, ma le loro critiche vanno ben oltre. I costi della guerra in Ucraina (e in Medio Oriente) non si misurano solo in proiettili, ma in attenzione e sforzo: ci sono solo un certo numero di minuti in cui il Consiglio per la sicurezza nazionale può riunirsi. Washington può avere solo pochi punti all’ordine del giorno in un dato momento. Il ramo esecutivo è noioso, lento e prigioniero degli interessi burocratici; il ramo legislativo è rancoroso, partigiano e prigioniero dell’opinione pubblica; al pubblico americano non importa un fico secco del mondo all’estero. Realizzare qualcosa di significativo negli Stati Uniti, per non parlare delle drastiche riforme della difesa che entrambe le parti del dibattito concordano siano necessarie, richiede un’attenzione e una volontà uniche.

Se questa sembra una visione pessimistica del sistema americano, beh, lo è. È comune per le persone nei quadranti ottimisti sostenere che la Repubblica Popolare Cinese è piena di contraddizioni interne. In una competizione a lungo termine tra i due sistemi, sono fiduciosi che queste contraddizioni divoreranno la Cina dall’interno e che l’ordine libero e democratico dell’America alla fine emergerà vittorioso. Nessuno dei pessimisti che intervisto fa previsioni simili. Se hanno qualcosa da dire sulle contraddizioni interne, si concentrano sulle contraddizioni americane.

Il mio asse y , d’altro canto, presenta due poli di argomentazione, uno incentrato sul potere e l’altro incentrato sui valori:

I repubblicani nei primi due quadranti basano le loro argomentazioni su freddi calcoli di realpolitik . Da questa prospettiva, la politica internazionale è prima di tutto una competizione per il potere. Gli stati cercano il potere. La prosperità, la libertà e la felicità di qualsiasi nazione dipendono da quanto potere il suo governo può esercitare sulla scena mondiale. Mentre gli stati potrebbero competere per il potere in molti ambiti, il potere militare è il più importante. Uno stato frustrato da una guerra commerciale potrebbe degenerare in una vera guerra, ma uno stato bloccato in un combattimento mortale non ha ricorso esterno. La responsabilità ricade sul proiettile.

Da una prospettiva basata sul potere, quindi, l’obiettivo della strategia americana deve essere la massimizzazione del potere americano, con la forza militare come arbitro ultimo di tale potere.

I due quadranti inferiori, al contrario, sono popolati da coloro che “credono che la politica estera americana non debba essere valutata da una singola variabile. Vedono connessioni tra ciò che l’America fa all’estero e ciò che l’America è come in patria. Hanno forti impegni basati sui valori verso specifici stili di vita che sono espressi nella loro visione della strategia americana”.

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Questi due gruppi non si rispecchiano facilmente come le persone nei quadranti superiori. In teoria, un primatista in alto a sinistra potrebbe diventare un prioritizzatore in alto a destra se fosse convinto della debolezza americana. I due quadranti inferiori, tuttavia, non differiscono solo nella loro percezione della forza americana, ma anche nei valori particolari sposati.

Ho etichettato quelli nel quadrante in basso a sinistra come “internazionalisti” per la frequenza con cui invocano la frase “ordine internazionale liberale”. Questo gruppo ritiene che l’America e i suoi alleati siano uniti non solo da interessi di sicurezza condivisi, ma anche da valori condivisi. Infatti, i valori condivisi dal blocco liberale spiegano perché questi paesi condividono interessi di sicurezza in primo luogo. La Cina è una potenza autoritaria le cui operazioni di influenza minacciano l’integrità delle democrazie in tutto il mondo. Molti internazionalisti considerano questa minaccia politico-ideologica come la più pericolosa che la Cina rappresenti. Quelli in questo quadrante sono particolarmente scettici sulla distensione; non credono che sia possibile un compromesso permanente con la Cina. Attribuiscono la belligeranza cinese al sistema politico comunista che governa il paese. Per loro, le tensioni nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina sono meno gli scontri attesi tra una potenza emergente e l’egemone dominante che una battaglia tra due sistemi sociali incompatibili. Sottolineando la stretta cooperazione che lega Iran, Corea del Nord, Russia e Cina, gli internazionalisti sostengono (contrariamente a chi dà la priorità) che il mondo è alle prese con una contesa generale tra ordine liberale e autoritarismo risorgente, le cui diverse componenti non possono essere separate l’una dall’altra.

Quelli nel quadrante in basso a destra, i frenatori, pensano anche agli affari esteri attraverso una lente di regime, ma il regime belligerante in questione è il loro. I frenatori repubblicani collegano l’ordine internazionale liberale agli accordi di libero scambio che tutti i trumpiani disprezzano e allo “stato profondo” amministrativo di cui tutti i trumpiani diffidano. Vedono l’ordine internazionale liberale come un’estensione internazionale dell’ordine progressista che stanno cercando di abbattere in patria.

Se vuoi farti un’idea di dove potrebbero trovarsi individui specifici su questa bussola, ecco una versione modificata della bussola che ho realizzato una settimana fa:

Sono meno sicuro dell’esatta collocazione di questi individui/istituzioni rispetto alle categorie di quadranti più ampi. Quanto JD Vance sia vicino alla linea di contenimento, o quanto Marco Rubio sia lontano dalle argomentazioni dei primatisti, è difficile da dire (non ci sono unità scientifiche né per la x né per la y, e i politici cambiano a seconda delle circostanze ). Ma questi due uomini, stretti alleati sul fronte economico, sono in quadranti opposti. Solo qualcuno nel quadrante in basso a sinistra redigerebbe l’ Uyghur Human Rights Policy Act . Non è una proposta di legge che posso immaginare che Vance, o qualsiasi altro che dia priorità, porti all’Aula del Senato.

Se Vance sia effettivamente un prioritizzatore, o se semplicemente si presenti come tale, è stato contestato da coloro che ho intervistato. Questo è stato uno dei temi più sorprendenti delle mie interviste. Le persone su entrambi i lati della bussola spesso si chiedevano se coloro che erano dall’altra parte fossero onesti con le vere ragioni delle loro argomentazioni:

Ho sentito ripetere più e più volte questa accusa: gli argomenti dei prioritizzatori sono solo un tentativo di rendere sexy l’isolazionismo. I prioritizzatori non credono realmente nella realpolitik : la realpolitik è solo un modo rispettabile per attaccare l’ordine internazionale esistente che disprezzano.

C’è un’ironia in questa critica. Proprio come i primacisti e gli internazionalisti condannano la falsa faccia dei prioritizzatori, così i prioritizzatori e i frenatori condannano la falsa faccia dei primacisti! Molti di quelli che ho intervistato hanno insistito sul fatto che i loro oppositori primacisti hanno avanzato questo o quello argomento non per le ragioni di realpolitik che professavano, ma a causa del loro (nascosto) impegno verso gli ideali liberali. Ideali che non possono essere difesi per i loro meriti dovevano essere abbelliti con discorsi di hard power.

Tutti questi sospetti di sotterfugio sono esagerati. Sia i primatisti che i prioritizzatori credono alle argomentazioni che sostengono. Eppure i loro sospetti sono rivelatori! Tutte le parti credono chiaramente che ci sia un vantaggio politico nel formulare le proprie argomentazioni nella logica della realpolitik . Questo fatto da solo ci dice qualcosa sui probabili contorni di una presidenza Trump, e forse sulle convinzioni dello stesso Trump.

 

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