SIAMO IN GUERRA, di Augusto Sinagra

Un male pernicioso si sta pian piano insinuando in tante società occidentali. Probabilmente non siamo ancora giunti al livello denunciato da Augusto Sinagra, ma la direzione presa è sempre meno incerta. Non è certo quella giusta_Giuseppe Germinario

 

SIAMO IN GUERRA

Alla distruzione di “Notre Dame” sono seguiti infiniti commenti. Non aggiungerò i miei.
Siamo in guerra. Le risate e i commenti di molti islamici, anche di seconda o terza generazione, lo attestano e hanno ferito ancor più dell’incendio della Cattedrale di Parigi (che solo i complici degli autori possono definire “accidentale”).

Siamo in guerra e non abbiamo un Governo degno di questo nome e adeguato alle gravi responsabilità del momento.

Il pampero argentino, il falso papa, non parla. Lui è troppo occupato a interferire negli affari interni dello Stato, a promuovere l’invasione islamica, a fare ignobili sceneggiate di bacia-scarpe con telecamera al seguito, a distruggere la fede e la Chiesa cattolica. Un certo Mons. Paglia dice che l’incendio di “Notre Dame” sarebbe “un attacco a tutte le religioni”: la complicità vestita con la più becera ipocrisia della tonaca.

Da parte sua, l’inverosimile Presidente del Consiglio dei Ministri, Conte Giuseppe, corre in Vaticano appena gli fanno un fischio. A fare cosa non si sa. Come l’ineffabile (ex “Lotta Continua”) Gentiloni Paolo con il pluriricercato George Soros.

Le Forze Armate non devono difendere i confini, come dice quel tale Ezio Vecciarelli, Capo di Stato Maggiore Generale della Difesa. Il Generale di Corpo d’Armata Claudio Graziano si inchina a 90° dinanzi all’alcolizzato J.C. Junker.

Del figlio di Bernardo Mattarella preferisco non parlare: si commenta da sé per quel che dice e che non dice, e per quel che fa.

Siamo in guerra. Una guerra esterna ed interna. Ognuno assuma le sue responsabilità senza – disertando – preoccuparsi di difendere egoisticamente il “proprio”: tra poco perderà anche quello.

Le Forze Armate ancora sane si uniscano al Popolo sovrano e compiano il loro dovere di difesa della Nazione e delle Istituzioni democratiche. Non è in gioco solo l’Italia. È in gioco l’Europa.

Nei suoi momenti più tragici questa nostra Patria amatissima sa rialzarsi e vincere: come quei ragazzi del “99” attestati caparbiamente sulla riva occidentale del Fiume Sacro, seppero resistere e vincere.

Il nemico più pericoloso è in casa. Cacciamo i ladri dal Tempio; cacciamo i traditori, e per questi non ci sarà più a proteggerli un nuovo art. 16 del c.d. “trattato di pace” del 1947.
Che nessuno debba poi dire ai propri figli e nipoti, con rimpianto e vergogna, “io non c’ero”.

L’Europa, gli Stati, l’Unione tra attualità e lunga durata. Intervista a Piero Visani

Tocca, dopo Pierluigi Fagan, a Piero Visani offrire il suo punto di vista sulle dinamiche politiche e geopolitiche in Europa. Lo spunto, ancora una volta, sono le prossime elezioni europee; l’intenzione è quella di individuare le dinamiche più profonde che stanno tracciando il solco e segnando l’esito del contenzioso tanto acceso quanto inadeguato a reggere il confronto geopolitico planetario. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Gasdotto EastMed: un’occasione mancata per l’Italia? – di Piergiorgio Rosso

tratto da http://www.conflittiestrategie.it/gasdotto-eastmed-unoccasione-mancata-per-litalia-2-a-parte-di-piergiorgio-rosso

Lo scorso 24 marzo Gli Occhi della Guerra hanno pubblicato un interessante analisi di Andrea Muratore a proposito di gasdotti ed interessi nazionali italiani, con particolare riferimento alla proposta del Consorzio IGI Poseidon per l’EastMed.

Riassumiamo qui di seguito i principali aspetti tecnici della proposta – e del contesto generale in cui si inserisce –  per poi avanzare qualche nostra considerazione, in aggiunta a quelle espresse nell’articolo citato.

Il nuovo gasdotto EastMed partirebbe da Cipro ed arriverebbe in Grecia dalle parti di Igoumenitsa, innestandosi sul gasdotto IGI Poseidon (Interconnettore Italia-Grecia) che è previsto connettersi a Otranto con la rete italiana (SNAM ReteGas).  Con una capacità di 10 miliardi di m3/anno (MMm3/a) – espandibile a 20 MMm3/auna lunghezza di 1900 km ed appoggiato su fondali che arrivano a 3000 m. di profondità, EastMed batterebbe tutti i recordmondiali nella costruzione di gasdotti offshore. La società proponente è la franco-greca IGI Poseidon, partecipata pariteticamente da Edison SpA (di proprietà della francese EDF) e Depa SA, entrambe aziende focalizzate sulla distribuzione di energia. Edison è posizionata immediatamente dietro a ENI nel mercato italiano.

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(Immagine da http://www.igi-poseidon.com/en)

Da dove arriverebbe il gas? Il gasdotto IGI Poseidon – che arriva a Kipoi, al confine greco-turco – era stato concepito per trasportare 15 MMm3/a di gas dal Mar Caspio in parte destinati all’Italia, ma è stato battuto dal concorrente TAP ed ora pertanto non ha un’alimentazione certa …. che non sia il gas di Gazprom (!) che non aspetta altro per avviare la costruzione della seconda linea del Turkish Stream attraverso il Mar Nero. Ma costruire un gasdotto per far arrivare in Europa il gas russo – bypassando l’Ucraina, poi! – non va di moda nella UE, ecco quindi che il consorzio IGI Poseidon promuove la nuova direttrice EastMed destinata a raccogliere il gas dei giacimenti israeliani (Leviathan e Tamar) e ciprioti (Afrodite, Calipso e Glauco) scoperti tra il 2009 ed il 2018(vedi fig.1). Ed in questo modo si assicurano la dichiarazione di Progetto di Interesse Comune e la possibilità di accedere a finanziamenti UE.

Come si nota in figura, da quelle parti esistono anche giacimenti egiziani (Zohr e Noor) che però il consorzio non menziona nel suo sito. Ed infatti l’incontro a Gerusalemme di cui parla A. Muratore è stato fra Israele, Grecia e Cipro con la straordinariapartecipazione del Segretario di Stato USA, Mike Pompeo. Egitto ed Italia assenti. Se gli italiani possono essere stati distratti dalle beghe interne fra 5S e Lega sulla necessità o meno delle “infrastrutture”, oppure dalla irrefrenabile ed infantile voglia di fare un dispetto ai francesi – come sembra sostenere  A.Muratore – è possibile, ma l’assenza dell’Egitto va spiegata.

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Fig.1 (slide presentata dalla Fondazione ENI E.Mattei a OMC2019/27.3.2019)

La spiegazione è indicata nel titolo della fig.2: dopo il soddisfacimento dei fabbisogni interni di Cipro, Israele ed Egitto, quanto gas resta per l’esportazione?

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Fig.2(slide presentata da ENI a OMC2019/27.3.2019)

Mentre Cipro e Israele, con popolazioni stabili. non sono grandi consumatori di gas naturale – fra tutti e due consumano circa 12 MMm3/a – l’Egitto ha invece letteralmente fame di gas naturale – un consumo pari a ca. 50 MMm3/a – per servire la sua crescente popolazione e garantire ad essa un adeguato sviluppo industriale e civile.

Oltre alla produzione interna – compreso il giacimento Zohr che non opera ancora alla potenzialità massima prevista – oggi ne importa da Israele attraverso un gasdotto che va da Askhelon a ElArish (Sinai) aggirando via mare la Striscia di Gaza. Ne farebbe volentieri a meno per ovvie ragioni di sicurezza e sfere d’influenza: mentre Gaza non potrà mai accettare gas israeliano, potrebbe volentieri accettare gas egiziano.

A questa spiegazione fondamentale se ne aggiunge una accessoria – citata anche da A.Muratore – costituita dall’esistenza di due impianti di liquefazione del gas naturale a Idku e Damietta al momento fermi, per mancanza di gas da esportare (!).

Ci sembra ovvio pertanto che l’Egitto non sia molto interessato a spedire il suo gas in Europa via gasdotto, mentre – una volta soddisfatto il fabbisogno interno – potrebbe eventualmente utilizzare, saturare o anche potenziare i suoi due liquefattori ed esportare GNL.

E ci sembra altresì comprensibile e giustificato che ENI – che partecipa alla proprietà e gestione del liquefattore di Damietta – non promuova il gasdotto EastMed bensì promuova la rimessa in funzione dei liquefattori egiziani.

Se questo è il quadro complessivo degli interessi materiali in gioco, è ancora da notare che il consorzio franco-greco IGI Poseidon, già scottato dalla perdita del gas azero (dal Mar Caspio)a favore del TAP, fa di tutto per convincere fornitori e clienti a sostenere l’alternativa EastMed. Dal punto di vista finanziario, il consorzio si pone come un investitore privato che – detenendo la proprietà del gasdotto – si remunererà tramite le tariffe di trasporto, non avendo la proprietà del gas che verrà venduto sui mercati greco e italiano. A nostro modesto parere né Edison né DEPA hanno la forza finanziaria per sostenere un progetto così sfidante sia a livello tecnologico che geopolitico. Arriverà il momento in cui il consorzio dovrà imbarcare qualcuno che abbia un interesse sostanziale: la presenza di Mike Pompeo a Gerusalemme è un indizio sufficiente?

In questo contesto qual è dunque l’interesse nazionale italiano nei confronti del futuribile gasdotto EastMed? Proveremo a discuterne più diffusamente nella 2.a parte.

2aparte

Nella prima parte di questa analisi abbiamo illustrato le basi tecnico-industriali su cui si fonda l’iniziativa per il gasdotto EastMed. Oltre alla società franco-greca IGI Poseidon che si occuperebbe della costruzione e gestione della nuova infrastruttura, ci sono gli interessi diretti dei proprietari del gas, scoperto in abbondanza negli ultimi dieci anni, e quelli più generalmente geopolitici di altri attori. In particolare gli interessati da questo punto di vista sono Cipro, Israele e Grecia con sullo sfondo USA, Italia, Unione Europea e Turchia.

 

Per la Grecia si tratta di acquisire un ruolo ancora più importante nei confronti della UE, come nazione di transito e re-distribuzione di una fonte energetica ancora fortemente necessaria nei Paesi dell’Europa sia Occidentale che Orientale, dopo il successo dell’iniziativa TAP. La Grecia è in una posizione ideale essendo al centro del  Mediterraneo. Incassando inoltre la rendita del transito. Inoltre ha ambizioni di sfruttamento del gas che potrebbe trovare nelle sue acque profonde a ovest di Creta. Dal punto di vista geopolitico si è ultimamente molto avvicinata a Israele in chiave anti-turca, avvicinamento segnato dalla visita ufficiale del primo ministro israeliano, Netanyahu, e da esercitazioni militari congiunte fra le due aviazioni. Da qualche tempo Israele usa lo spazio aereo greco per le sue esercitazioni aeronautiche. Da questo quadro si intuisce come l’interesse greco economico e geopolitico sia decisamente spostato a favore di un gasdotto piuttosto che verso terminali GNL, men che meno quelli egiziani che la taglierebbero fuori.

 

Per Cipro si tratta di guadagnare una rilevanza internazionale e sfruttare economicamente al meglio una risorsa di valore, abbondante nella sua Zona Economica Esclusiva. Sfruttamento che però necessita di cooperazione con altri partner sia per la fase di esplorazione e produzione – ad oggi affidate a TOTAL, EXXON, ENI e NOBLE (vedi Fig.3) – che per la fase vendita.

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Fig.3 – (slide da OMC 2019/27.3.2019)

 

Dal punto di vista geopolitico Cipro deve fare i conti con la forte opposizione della Turchia a che si sfruttino le ricchezze cipriote senza il suo assenso e la sua compartecipazione. La Turchia occupa Cipro-Nord e rivendica diritti sulle risorse marine dell’isola.

In questo quadro possiamo intravedere come Cipro possa essere neutrale rispetto alla tecnologia – gasdotto o liquefattori – utilizzata per sfruttare il suo gas, ma abbia nel contempo assoluta necessità che l’infrastruttura pianificata sia finanziata in modo sostenibile e protetta, anche militarmente, dalle minacce turche.

 

Israele ha un rilevante interesse economico e geopolitico alla costruzione del gasdotto EastMed. L’enorme capacità dei suoi giacimenti di gas Tamar e Leviathan – che eccede le necessità di consumo interno per i prossimi 50 anni – determina un forte interesse a esportare gas in Europa, il più grande mercato di gas naturale del mondo, in cerca di diversificazione delle sue fonti. La via turca – cioè collegarsi al gasdotto TANAP/TAP – che sarebbe la più economica, è stata a questo punto scartata dagli israeliani a seguito dello stato dei rapporti con Ankara, deterioratisi progressivamente fin dai tempi dell’incidente della nave Marmara di fronte a Gaza, per giungere all’attuale allineamento tra Ankara, Mosca e Teheran.

Questa nuova partnership nel Mediterraneo Orientale fra Israele, Grecia e Cipro darebbe una spinta vigorosa a due obiettivi strategici che Israele condivide con gli USA: tagliare le unghie alla prevalenza russa nel mercato energetico europeo e controbilanciare l’accesso al Mediterraneo dell’Iran, via Siria. Proprio perché il gasdotto EastMed sarà più costoso di altre soluzioni, l’interesse USA si paleserà anche in termini di supporto finanziario. Al momento la UE ha garantito un finanziamento limitato, per completare gli studi di fattibilità.

 

E veniamo all’Italia. La competitività di prezzo è tutta da dimostrare, finora il gas russo ha dimostrato di saper battere – sul mercato europeo – qualsiasi concorrente. Per quanto riguarda la necessità di diversificazione e la ridondanza delle provenienze, citiamo: … nel 2018 abbiamo importato quasi 68 miliardi di mc. Arrotondando, Russia (Tarvisio) 29,6; Algeria (Mazara) 17; Nord Europa (Gries) 7,7; Libia (Gela) 4,4; GNL (Cavarzere, Panigaglia, Livorno) 16,8. A fronte del volume importato, le nostre infrastrutture hanno una capacità continua di importazione di 127 miliardi di mc/anno; che con il TAP a pieno regime (2026) diventeranno 137.  Il Piano decennale di Snam Rete Gas ci predice una sostanziale stabilità del volume delle nostre importazioni da qui al 2035 (con un’oscillazione che al massimo supera da un anno all’altro il 7,5%). A primissima vista sembreremmo più che ridondanti e l’andare oltre, equivalente ad assicurarci contro la nevicata di giugno a Palermo; insomma verrebbe da dire che per infrastrutture di importazione abbiamo più che raggiunto un ragionevole quantum di sicurezza.”

Quanto agli “elevati profili di rischio geopolitico” di cui soffriremmo attualmente, adombrati nel Piano Energia e Clima del governo (PNIEC), non ci sembra che EastMed stante le premesse fatte sopra possa definirsi una provenienza stabile ed affidabile. Sarebbe senza alcun dubbio il gasdotto più militarizzato del pianeta.

Mettere in sicurezza i contratti italiani con Libia e Algeria sembrerebbe la vera priorità. ENI sta facendo la sua parte industriale non solo in Egitto, ma anche in Libia dove ha finalizzato un accordo con BP e NOC per ottenere una quota del 42,5% dei diritti di esplorazione e produzione di tre nuove aree – limitando tra l’altro le ambizioni di TOTAL – ed in Algeria dove ha siglato un accordo con SONATRACH per nuove esplorazioni offshore – in questo caso insieme a TOTAL.

E se proprio vogliamo dirla tutta, sviluppare e sfruttare il gas naturale che abbiamo in casa (onshore e offshore) dovrebbe essere la prima opzione di qualsiasi strategia energetica e industriale del Paese.

Il Ministro Salvini, in una recente visita in Israele, si è espresso a favore dell’EastMed, mentre i 5S, reduci dalla battaglia persa sul TAP, difficilmente potranno digerire un altro gasdotto che arrivi a Otranto. L’EastMed sembra pertanto assumere qui in Italia la forma di uno dei tanti possibili casus belli che si succederanno dopo le elezioni europee per far saltare questo governo.

La conclusione dell’articolo de Gli Occhi della Guerra è amara: “ E così ora l’Italia si trova costretta a dover nicchiare su EastMed per ragioni che esulano quelle che sarebbero le legittime cautele espresse dall’Eni, per mera conflittualità politica; a non poter recuperare il gap che la separa dalla Germania nella costruzione dell’hub per il gas russo; a non poter sfruttare la rendita geopolitica che la posizione nel Mediterraneo e le esplorazioni di Eni consentirebbero di conseguire. Con il rischio di dover scrivere la storia di questi nostri tempi come una lunga sequela di occasioni mancate.

Condividiamo la sostanza di queste parole, ma non se e quando fossero espressione di una scelta a favore della partecipazione italiana all’EastMed, che, per le cose rappresentate in questa analisi, assume chiaramente i connotati di un progetto che utilizza l’Italia come mercato di consumo, senza contropartite in termini di sicurezza e scambi commerciali. E ci legherebbe ad un progetto geopolitico di prevalente interesse USA, ostile rispetto a Russia e Turchia con i quali abbiamo al contrario forti legami commerciali e comuni interessi strategici.

Nei confronti della nascente area energetica e geopolitica del Mediterraneo Orientale, la scelta più coerente con l’interesse nazionale italiano, sta nello sviluppare accordi con l’Egitto per commercializzare gas naturale liquefatto di provenienza varia: egiziana, israeliana, cipriota. L’Egitto tra l’altro offre all’industria italiana un mercato di 100 milioni di cittadini in via di modernizzazione, rispetto ai 10 milioni di israeliani super-tecnologizzati. E può contribuire in modo decisivo alla creazione di nuova stabilità in Libia e Algeria, aree di prevalente interesse italiano nel Mediterraneo.

Un’ultima considerazione: il gasdotto EastMed senza la partecipazione italiana non si fa. Parola di IGI Poseidon.

Ivan Krastev – Gli ultimi giorni dell’Unione, di Teodoro Klitsche de la Grange

Ivan Krastev – Gli ultimi giorni dell’Unione. Luiss University Press, Roma 2019, pp. 133 € 16,00

L’autore ha vissuto da giovane il crollo del comunismo, la cui “ragione sociale) era l’emancipazione definitiva dell’umanità e la durata – nel caso più longevo, come l’URSS – è stata poco più di settant’anni. In questo saggio Krastev ritiene assai probabile anche il collasso dell’Unione europea.

Causa principale è l’esaurirsi dello “spirito” originale. Scrive Saraceno nella prefazione “A partire dagli anni Ottanta del Ventesimo secolo, le sfide della globalizzazione hanno messo in crisi questo modello e il suo motore principale, quelle classi medie ormai impoverite, strette fra un élite globale di plutocrati sempre più ricchi che di fatto si sono sottratti al patto sociale, e le classi medie dei Paesi emergenti, che reclamano il posto che compete loro sulla scena globale. A questo si aggiunge in economia un “Nuovo consenso”, anch’esso sviluppatosi negli anni Ottanta e che, in nome di una supposta supremazia dei mercati, rifiuta un ruolo proprio a quello Stato regolatore e al patto sociale che avevano costituito due dei pilastri del modello sociale ed economico europeo. A questo si aggiunge che nel nuovo quadro della globalizzazione “è diventato impossibile effettuare scelte democratiche a livello di Stati nazionali; … essendo la cessione di sovranità all’Unione Europea una chimera, i popoli europei maltrattati dalla globalizzazione hanno cercato spazi di democrazia nel sovranismo e nella protezione dell’interesse nazionale”.

La profezia di “fine dell’Europa” non è auspicata: è anche (e soprattutto) un monito; “è un pugno in faccia alle élite compiaciute che soffrono di “disturbo autistico”.

Tuttavia che il recupero di una piena sovranità nazionale porti alla risoluzione dei problemi pare non meno utopico all’autore del progetto federale in via di decomposizione. Certo occorre cambiare (politiche ed élite dirigenti). Il saggio è pieno di intuizioni originali o poco frequentate: ad esempio il “peso” della concezione di Fukuyama nell’ideologia della globalizzazione. O l’emergere di nuovi conflitti. “I conflitti tra esponenti di visioni Da Ovunque e Da qualche Posto, tra globalisti e nativisti, tra società aperte e società chiuse influenzano l’identità politica degli elettori più di quanto facessero le precedenti identità basate sulle classi”; il tutto mette in crisi, con riduzioni a percentuali sempre più modeste, il consenso ai partiti di sinistra (e non solo) che sulla scriminante di classe avevano investito.

È costante poi la stigmatizzazione di Krastev sull’inadeguatezza delle elite politiche ed economiche europee ad affrontare la crisi; onde hanno in effetti lavorato per i loro avversari sovranisti e populisti. Chi abbia visto (e sopportato) l’opera del governo Monti, principale ostetrico del sovran-populismo italiano, non può che concordare.

Chiudendo tale recensione (breve per definizione di genere) il crescere del populismo ha prodotto anche una copiosa produzione di saggi sul medesimo, che ne attribuiscono l’emergere impetuoso alle cause più varie: dalla decadenza delle élite alla globalizzazione, da uno stile di propaganda alla crisi economica, dalla difesa dell’identità nazionale a quella della democrazia. Verosimilmente tutte (o quasi) compresenti. Se si vuole ascrivere a uno di tali “filoni interpretativi” il saggio di Krastev, questo è a quello – forse il più antico – che risale al saggio di C. Lasch sulla “Ribellione delle élite” di oltre vent’anni orsono.

La tesi di Lasch era che le nuove élite globalizzate, erano separate dalle masse per cultura, aspirazione, modi di vita. Èlite e masse non condividevano non solo l’idem sentire de republica ma molto di più. Se quindi basta la non condivisione dell’idem sentire per generare una crisi di legittimità, ancora più facile e determinante che si produca se quella distinzione è a “tutto tondo”: coinvolge pubblico e privato, lavoro, tempo libero, famiglia e svago, morale e scelte religiose. E da una crisi siffatta si esce in un solo modo: ricostruendo quell’almeno “idem sentire” e, meglio, anche qualcosa di più.

Teodoro Klitsche de la Grange

Le armi e l’ombrello della Nato: così la Germania rafforza la sua egemonia sull’Europa, di Giuseppe Gagliano

Questo saggio di Giuseppe Gagliano assume una particolare importanza per due motivi. Sottolinea il carattere competitivo e conflittuale del sistema di relazioni tra gli stati europei con la Germania impegnata a conquistare una posizione di leadership continentale non assieme ma ai danni dei due altri grandi paesi fondatori, in particolare l’Italia. Una dinamica che però non intende mettere in discussione la funzione di guida degli Stati Uniti almeno nei prossimi dieci anni. Un arco di tempo biblico rispetto alla convulsione dei tempi. Il progressivo inserimento tedesco a capo di gran parte dei centri direzionali della NATO, l’integrazione delle strutture militari di alcuni paesi satelliti non sono avvenuti senza un qualche beneplacito del supervisore americano, quantomeno di una delle due componenti politiche di esso. La Germania, da sola, non è in grado di garantire una unità di azione, tanto meno politica, degli stati europei. Tanto meno può realizzare in queste condizioni l’ambizione di un confronto alla pari con gli Stati Uniti e con le altre potenze emergenti nell’agone internazionale. Quasi tutte le sue carte sembrano giocate nell’ambito economico ed energetico, comprese le esportazioni di armi. Per quanto importante è solo uno degli ambiti di applicazione delle strategie geopolitiche; uno spazio particolarmente esposto alle pressioni e alle incursioni di altre logiche e priorità. Le vicissitudini nel settore automobilistico, il preavviso di tempesta nel settore chimico, due settori trainanti dell’economia tedesca, la fragilità del settore finanziario sono lì a testimoniare la reale collocazione di una potenza probabilmente sovrastimata, incapace di offrire ai vicini una prospettiva comune accettabile. Una rideterminazione del sistema di relazioni degli stati europei e della loro collocazione rispetto ai protagonisti delle dinamiche geopolitiche mondiali, in particolare gli Stati Uniti, deve passare necessariamente attraverso la sconfitta delle attuali leadership tedesca e francese_Giuseppe Germinario

All’inizio del XXI secolo, la Germania si è posta l’ambizione di diventare il principale fornitore degli eserciti europei, e quindi di acquisire un monopolio tecnologico e industriale sui suoi vicini. Ciò avvenne in due modi: imbrigliando gli eserciti vicini nel suo complesso militare-industriale e indebolendo le industrie dei suoi “alleati”. Tale obiettivo può essere raggiunto perché Berlino ha un forte sostegno: la Nato. Pertanto, le procedure volte a bloccare le esportazioni di armi europee lasciano intravedere gli obiettivi reali dei tedeschi: rendere l’industria delle armi la spina dorsale di un’Europa della difesa purchè  questa sia sotto il suo controllo.

Armi ed esportazioni

Tutto ciò non deve destare alcuna sorpresa: la produzione del complesso militare-industriale tedesco è diventata di estrema rilevanza al punto che il mercato delle armi  è diventato molto dinamico.

La  Germania ha infatti, nel contesto dell’industria degli armamenti, ha una visione anglosassone poiché predilige una privatizzazione molto accentuata. Anche se allo stato attuale la Germania non è in grado di mantenere l’indipendenza militare ma è tuttavia in grado di esportare il suo equipaggiamento in Europa e in tutto il mondo per rafforzare l’economia tedesca. Insomma, Berlino sta utilizzando la Nato come un cavallo di troia per rafforzare la sua economia e per dominare, a livello europeo, l’Alleanza atlantica a danno degli altri alleati.

Egemonia sotto protezione Nato

L’ide del framework nation concept è stato sviluppato dalla Germania e proposto al vertice Nato nel 2014. La Nato si basa su questo principio per mettere assieme gli alleati in un sistema di difesa standardizzato ad alte prestazioni.

Già quando il concetto fu formulato era chiaro che la Germania stesse cercando in questo modo di ribaltare l’equilibrio della cooperazione a suo favore. Non a caso nel mese di agosto 2017, la Stiftung für Wissenschaft und Politik (SWP) ha raccomandato che la Germania potesse diventare il ​​pilastro europeo della Nato, anticipando un ritiro degli Stati Uniti e sottolineando altresì come la Bundeswehr potesse diventare una colonna portante della sicurezza europea nel lungo periodo. Questa integrazione tra la Germania e i paesi vicini ha già preso forma. I Paesi Bassi non sarebbero più in grado di schierare il loro esercito senza il supporto di quello tedesco a causa della loro integrazione troppo profonda. L’integrazione attuata dalla Germania è altrettanto profonda  per esempio sia in Norvegia (per i sottomarini) sia in Lituania, dove la Germania investirà 110 milioni di euro. Questo progetto fa parte del piano della Nato per lo schieramento di quattro battaglioni multinazionali negli Stati baltici e in Polonia, dove ancora una volta la Germania sta assumendo il ruolo di nazione ombrello. Berlino ha compreso in modo chiaro  come sfruttare la sua posizione all’interno della Nato per sostenere il complesso militare-industriale del paese.

Così la Germania “frega” i partner

Una delle strategie poste in essere da Berlino per  rafforzare la sua egemonia è quella di bloccare indirettamente le esportazioni di armi da altri paesi europei attraverso tempi di autorizzazione talmente lunghi da scoraggiare le imprese europee concorrenti e n el contempo, autorizzare l’esportazione se questa serve gli interessi tedeschi indipendentemente dal rispetto dei diritti umani o dalla lotta al terrorismo.

Uno dei primi clienti di Berlino è Ankara. La Turchia, in conflitto con i curdi (che sono armati e addestrati da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti e che sono la punta di diamante della lotta contro l’Isis in Oriente), sta combattendo con i carri armati tedeschi. Anche dopo l’inizio del conflitto con i curdi, gli industriali tedeschi hanno continuato a fornire alla Turchia attrezzature militari del valore di milioni di euro.

Un altro eloquente esempio è fornito dal viaggio fatto nel  2008 da Angela Merkel  in Algeria per parlare dei diritti umani e delle libertà religiose. Quattro anni dopo, l’Algeria acquisterà due fregate tedesche per 2,1 miliardi di euro e, per due anni e mezzo, i marinai algerini saranno formati dalla marina tedesca. Allo stato attuale, con buona pace dei francesi, l’Algeria è diventata  ufficialmente il primo cliente per l’esportazione dell’industria tedesca degli armamenti.

Nel 2017, inoltre, Angela Merkel ha incontrato il Re saudita con il  risultato di vendere 270 carri armati Leopard. D’altronde l’Arabia Saudita ha acquistato droni tedeschi al cui uso i soldati sauditi sono stati addestrati dai quadri del Bundeswehr e il fucile d’assalto tedesco G36 è prodotto su licenza sempre da Riad.

Se da un lato Berlino vuole egemonizzare a livello europeo la Nato dall’altro lato è evidente che sta con fermezza perseguendo non solo i propri interessi nazionali secondo una logica pragmatica (come la Francia ad esempio) ma sta marginalizzando sempre di più il nostro paese sia in Europa che nell’ambito dell’alleanza atlantica.

tratto da https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/armi-ombrello-nato-germania-egemonia-europa-111872/?fbclid=IwAR18oQU-T6weEqyYKseWqsRMfhdJBygyyh9_wRaPACx0xTrVXQF0D1VdXW8

CICERONE VOTA LEGA, di Teodoro Klitsche de la Grange

CICERONE VOTA LEGA

L’approvazione delle nuove norme sulla legittima difesa ha provocato una (scontata) serie di reazioni da parte del centrosinistra (e alleati).

La prima è che la riforma riguarda pochi casi, ed è quindi irrilevante. Sono d’accordo sul punto: i casi sono relativamente pochi (ma comunque non vanno dimenticati) e soprattutto meriti e demeriti di questa maggioranza dovranno valutarsi in altri ambiti.

La seconda che Salvini avrebbe una mentalità da sceriffo del Farwest: rozzo, ignorante e violento. La predilezione per l’uso delle armi e l’autodifesa denoterebbe addirittura una sottovalutazione dello Stato E perché? Perché facilitando i cittadini a difendersi da soli andrebbe a confliggere con la funzione dello Stato che è quella di dare protezione ai diritti (in primis, quello alla vita) di tutti i componenti la comunità. Ossia trascurerebbe (almeno) quattro secoli di Stato moderno che tra tutte le sintesi politiche è quella che più ha enfatizzato (e strutturato) detta funzione. Con ciò Salvini è dai politici ed intellos bocciato.

Ma è proprio vero che la legittima difesa è così in contrasto alla concezione dello Stato e che coloro che se ne sono occupati erano dei rozzoni dal modesto quoziente d’intelligenza? A fare qualche riscontro pare proprio di no.

Cominciamo da Cicerone. Questi difendendo Milone fece la più grande difesa dell’istituto. Definì legge naturale il diritto di difendersi “Esiste dunque, o giudici, una legge non scritta ma naturale, da noi né appresa né ereditata né letta, ma attinta dalla natura stessa, una legge che conosciamo non per insegnamento ma fin dalla nascita, non per educazione ma per istinto”, e la legge naturale (nel De re publica) per il grande oratore era “conforme alla natura, la si riscontra in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna”; a questa “non è lecito apportare modifiche né toglierne alcunché né annullarla in blocco, e non possiamo esserne esonerati … non sarà diversa da Roma ad Atene o dall’oggi al domani, ma come unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli ed in ogni tempo”. Questa legge è naturale perché conforme alla natura umana; è immutabile ed eterna e non dipende dalle decisioni di chi detiene il potere. Essendo, nel caso sia in pericolo la vita, l’unica possibilità di conservarla è rapportabile al conatus di Spinoza, per cui ogni vivente tende a “in suo esse perseverari”, ossia a conservare la propria esistenza.

Se poi passiamo al filosofo che più ha teorizzato lo Stato moderno e la funzione di protezione del potere politico, cioè Hobbes, il quadro non cambia. Il filosofo scriveva che né l’uomo può rinunziare a difendere se stesso, né il sovrano può pretendere l’obbedienza ad un tale precetto; così il suddito ha diritto, nel caso, a rifiutare obbedienza. E potremmo continuare ad elencare le legislazioni, le più varie, le quali, per quanto se ne sa, non dispongono di porgere l’altra guancia, ma, per continuare con Cicerone a legittimare che, in casi estremi, vim repellere licet. Perché in sostanza sono quei casi in cui non è possibile al sovrano assicurare protezione. Ed è tragicamente comico che un uomo, minacciato da energumeni armati, li possa fermare minacciandoli di “fargli causa”. Neppure i teologi cristiani pretendono ciò: resistere o non resistere è una scelta morale, ma difendersi è un diritto.

Anzi secondo taluni, come Jhering, chi difende il proprio diritto è un buon cittadino, perché collabora (attivamente) all’attuazione del diritto oggettivo.

C’è da chiedersi per quale ragione, a parte la evidente necessità di propaganda, in certi ambienti politici si sostengano tesi così contrarie a qualche millennio di pensiero e così ragionevoli (se non razionali).

Probabilmente perché – per un vizio congenito della “sinistra” – questa ha l’abitudine di paragonare la realtà socio-politica non con altre realtà ma con le proprie idee e aspirazioni. Raffronto cioè tra realtà ed immaginazione, in cui questa è sempre vincente proprio perché svincolata dal “fattuale”, ossia dal concreto. Non conoscendo la fantasia i limiti della realtà, è possibile fantasticare di mondi e società perfetti dove gli uomini si vogliono tutti bene, oppure in cui lo Stato è così efficiente da impedire il compimento di qualsiasi delitto. Come in un film di fantascienza di successo, dove il tutto era affidato a mutanti con capacità di pre-cognizione (cioè da profeti); gratta, gratta si parte dal rivendicare utopie come “ragione” e si finisce per affidarsi a Nostradamus o alla Sibilla. Cioè a film, maghi, indovini (e ciarlatani). Diversamente da Cicerone, Hobbes e gli altri che si accontentavano della ragione umana e della realtà dei fatti.

Teodoro Klitsche de la Grange

Quale Europa e quante Europa nel prossimo futuro_Intervista a Pierluigi Fagan

 La Brexit, il patto franco-tedesco, il gruppo di Visegrad sono il segno di un processo di riconfigurazione delle relazioni tra gli stati europei che sta mettendo in forse l’attuale organizzazione della Unione Europea. L’unica area ad assumere un carattere magmatico e poco definibile rimane l’Europa Mediterranea; proprio lo spazio che torna ad assumere un ruolo strategico di primaria importanza nelle complesse dinamiche geopolitiche determinate principalmente, ormai, da stati extraeuropei. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Tendenze totalitarie odierne: la gender theory, di Gennaro Scala

Tendenze totalitarie odierne: la gender theory

È soprattutto oggi il mondo cattolico ad accusare di totalitarismo la gender theory. Riteniamo che la consapevolezza dei pericoli che essa comporta debba essere patrimonio anche dei non cattolici. Pur non condividendo per nulla i principi su cui si basa l’educazione infantile cattolica, tuttavia essa non è definibile come totalitaria, perché non mira quella radicale ridefinizione dell’essere umano come invece vorrebbe la gender theory. Detto senza mezzi termini: voler cancellare l’identità maschile/femminile è un’aspirazione totalitaria. Ma vediamo quali sono le radici di tali tendenze.

Quanti hanno affrontato la questione del totalitarismo, in primo luogo Hannah Arendt, hanno effettuato un’omissione, non hanno indagato a fondo le radici del totalitarismo, che sono da ricercare nello stato liberale classico, trasformando il concetto di totalitarismo, nonostante gli elementi di verità, in uno strumento propagandistico del liberalismo. Il regime totalitario non è un nuovo regime (come vuole Arendt), ma è il funzionamento dello stato moderno in condizioni di crisi: in una fase di mobilitazione totale per la guerra totale, come nella Germania nazista; in una fase di modernizzazione accelerata come fu l’Unione Sovietica staliniana. La rivoluzione sovietica, vista con il senno di poi, non fu una rivoluzione “proletaria”, ma, per la classica eterogenesi dei fini, l’estensione dello stato moderno al di fuori dell’occidente, in seguito diventato egemone a livello globale come principale forma di organizzazione delle società. All’obiezione prevedibile secondo cui la rivoluzione sovietica nominalmente comunista intendeva proprio eliminare lo spazio dell’iniziativa privata, rispondiamo che vista nel ciclo lungo, ha portato, dopo la fase staliniana della costruzione dello stato russo moderno, al ripristino dello spazio privato dopo il crollo del comunismo. Non è questo il luogo per approfondire tali questioni, spero però sia sufficiente a mettere in discussione il modello propagandistico dei “due totalitarismi”, fascismo e comunismo, a cui si contrappone il regno della libertà liberale, perché tale modello ci rende ciechi rispetto alle tendenze totalitarie odierne che nascono dal seno del neo-libealismo.

Il totalitarismo ha come presupposto l’enorme concentrazione del potere coercitivo che caratterizza lo stato moderno, rappresentato dallo stato liberale classico. Abbiamo una polarizzazione tra concentrazione del potere coercitivo dello stato e individualismo: perché si affermi una sfera della libertà privata in cui l’individuo possa svolgere “liberamente” la sua attività è necessario che lo stato concentri il potere relativo alla sfera pubblica. È questa principalmente la ragione del successo dello stato moderno: dando vita ad una sfera della “libertà privata” ha dato grande impulso all’iniziativa economica privata, la quale si traduce in ricchezza, sviluppo economico, tecnico e scientifico e quindi in potenza dello stato.

Tale concentrazione del potere coercitivo che caratterizza lo sviluppo dello stato moderno dal ‘500 ad oggi (vedi in merito i fondamentali studi di Charles Tilly), comporta la progressiva distruzione delle “comunità intermedie”, quella “furia del dileguare” che Hegel attribuiva alla sola rivoluzione francese, ma che è in realtà una caratteristica propria dello stato moderno in quanto tale. La libertà nello stato moderno è essenzialmente libertà di perseguire il proprio interesse, a differenza della libertà nel mondo antico greco-romano che era la libertà di partecipare alla sfera pubblica, secondo l’intramontabile definizione di Benjamin Constant.

Il sistema parlamentare è interno alla concentrazione del potere dello stato, come osservò Tocqueville la rivoluzione francese conservò ed estese la concentrazione dei poteri ereditata dall’assolutismo. Come ebbe a scrivere Kant in un passo illuminante: “Che cos’è un monarca assoluto? È quello che, se dice: “Guerra sia”, è subito guerra. – Che cos’è viceversa un monarca limitato? Colui che prima deve chiedere al popolo se ci debba essere o no la guerra; e se il popolo dice “Non ci dev’essere guerra”, allora non viene fatta. – La guerra, infatti, è una condizione in cui tutte le forze dello stato devono stare agli ordini del suo capo supremo. Ora, le guerre che ha condotto il monarca britannico senza chiedere alcun consenso su ciò sono davvero molte. Perciò tale re è un monarca assoluto, cosa che in base alla costituzione egli non dovrebbe essere; la quale, invece, si può sempre aggirare, proprio perché attraverso quei poteri dello stato può assicurarsi il consenso dei rappresentanti del popolo, dato cioè che egli ha il potere di affidare tutti gli uffici e gli onori. Per avere successo, un tale meccanismo di corruzione non ha certo bisogno della pubblicità. Perciò rimane sotto il velo, molto evidente, del segreto.” A noi moderni sembra addirittura inconcepibile che la guerra possa davvero essere decisa democraticamente, ma così avveniva nella antica Roma repubblicana.

Pur restando formalmente democratica, con la democrazia parlamentare moderna, si afferma una relativa democratizzazione, che tempera le tendenze distruttive del sistema, dettata soprattutto dalla necessità di includere la popolazione a cui si richiede il servizio di leva, democratizzazione che riguarda soprattutto forme di garanzie sociale più che di effettiva partecipazione politica. Sono proprio queste forme di garanzie che mira a distruggere il neo-liberismo che si accompagna ad un evento che segna un cambiamento strutturale: l’abbandono della leva di massa.

La distruzione delle comunità intermedie è solo tendenziale, in quanto una vita a-comunitaria, cioè a-sociale non è vivibile, per cui da un lato abbiamo il sistema delle pseudo-comunità (come notava Costanzo Preve), altre forme comunitarie invece sussistono seppure in forme menomata e abnorme qual’è la famiglia “mononucleare” odierna. Ma se non contrastata da altre forze, la tendenza dello stato moderno, in quanto animato da un’illimitata volontà di potenza, è quella di distruggere ogni forma di comunità, e questo si verifica sia all’interno dello stato, che nei rapporti inter-nazionali dove l’imperialismo occidentale a guida statunitense mira virtualmente a distruggere ogni forma di aggregazione statuale.

Grande merito di Louis Dumont è l’aver mostrato (Saggi sull’individualismo) come la stessa ideologia razziale hitleriana vada vista come una delle multiformi manifestazioni dell’individualismo moderno (il quale, v ripetuto, è inseparabile dalla concentrazione del potere dello stato): al venir meno delle forme tradizionali di identità culturale e religiosa, l’ideologia razziale supplisce con una forma di identità meccanica, pseudo-scientifica, sulla base di creazione di “razze” pseudo-biologiche. Secondo Dumont, quindi, la teoria razziale è un modo per creare una pseudo-identità in un mondo in cui l’individualismo ha distrutto le identità religiose e culturali.

La polarizzazione tra concentrazione del potere coercitivo da parte dello stato e creazione di una sfera privata in cui l’individuo è libero di perseguire il suo interesse è il funzionamento normale del sistema. L’intrusione in questa sfera da parte dello stato è l’anomalia costituita dal totalitarismo, il quale è essenzialmente la rottura del patto che costituisce la sfera della libertà privata. Ma è proprio questa polarizzazione che crea la possibilità di questa intrusione, perché l’individuo è di fatto solo di fronte lo stato, e sta solo a quest’ultimo “rispettare il patto”. Dal momento che l’individuo ha consegnato (secondo il modello hobbesiano) ogni potere allo stato, di fronte a esso è di fatti senza difese.

Con l’egemonia del capitalismo manageriale statunitense abbiamo una trasformazione: oltre alla concentrazione del potere coercitivo abbiamo la concentrazione del potere spirituale o ideologico. Essa, secondo gli studiosi della Scuola di Francoforte e affini, come Bruno Bettelheim, comportava strutturalmente un intervento nella vita individuale che minava la sfera della libertà individuale, cioè una tendenza totalitaria insita nel sistema stesso.
Questa precisazione riguardo alle trasformazioni dello stato sul modello egemone statunitense è importante perché è nell’ambito dei mass media che le lobby gay hanno un deciso radicamento, mentre dal mondo accademico viene la definizione teorica del concetto di gender. Complessivamente si tratta di una teoria elaborata e diffusa dal ceto medio semicolto (su tale blocco sociale vedi il mio Origini del ceto medio semicolto). Dai media viene il martellamento per quanto riguarda il politicamente corretto, chi non è d’accordo in merito a determinate politiche viene additato come omofobo o femminicida, a seconda dei casi, per quanto riguarda la famiglia, o come razzista per quanto riguarda l’immigrazione.

Per evitare ogni equivoco “complottista”, chiariamo che non c’è nessun ufficio segreto che pianifica occultamente la distruzione della famiglia, si tratta di dinamiche che insorgono all’interno del sistema di rapporti sociali. Dal momento non vi è più una normale riproduzione del sistema, siccome la famiglia normale con prole richiede un livello di integrazione sociale che l’attuale sistema di rapporti occidentale non fornisce più, vengono propagandate le “famiglie alternative” (di conseguenza acquisiscono peso le lobby gay radicate nei vari media) e così al posto dei diritti sociali (garanzie sulla continuità del lavoro, sistema pensionistico, sanità, istruzione) abbiamo i diritti individuali, cioè un’espansione della sfera della libertà individuale, in special modo la sfera sessuale, nell’ambito della quale virtualmente l’individuo è libero di fare tutto. Una libertà a costo zero per lo stato che si espande a scapito della socialità dell’essere umano.
È in questa crisi di sistema che si manifestano le tendenze totalitarie che caratterizzano le teorie gender. Se il paragone tra il totalitarismo nazista e le tendenze totalitarie odierne può sembrare azzardato, invitiamo a considerare questo passo da Il cuore vigile di Bruno Bettelheim:

«Quando il controllo esterno, in una forma o nell’altra, raggiunge finalmente l’intimità dei rapporti sessuali, come avviene nello Stato di massa di Hitler, all’individuo non viene lasciato quasi nulla di personale, di diverso, di unico. Quando la vita sessuale dell’uomo è regolata da controlli esterni, come il suo lavoro o il suo modo di divertirsi, egli ha definitivamente e completamente perduto ogni autonomia personale; il poco di identità che gli rimane può solo risiedere nell’atteggiamento interiore verso una tale evirazione»

Bettelheim in questo passo paragona le tendenze totalitarie della “società di massa” statunitense alla Germania nazista. La gender theory segna un ulteriore passo rispetto al bombardamento propagandistico dei media che mira ad un pesante condizionamento individuale, la gender theory ha una dimensione non solo ideologica, ma fattiva, le pratiche ad essa ispirata mirano ad una esplicita trasformazione della psicologia dei bambini attraverso l’adozione di precisi programmi all’interno del sistema scolastico, i quali mirano al superamento degli “stereotipi di genere”, operando apertamente una manipolazione della personalità del bambino. Esse costituiscono un’inaudita intrusione nella vita del bambino, una manipolazione della sua psiche sulla base del presupposto che non esiste un’identità di genere che affondi le sue radici nella natura, ma che l’identità di genere è solo un costrutto culturale e in quanto tale modificabile a piacimento. Ma è solo uno degli orrori della gender theory: il bambino non avrebbe bisogno della figura di un padre e di una madre, dei ruoli differenziati di madre e padre presenti in tutte la storia delle società umane oggi non ci sarebbe più bisogno, e l’assenza di una figura materna o paterna non provocherebbe nessuna sofferenza al bambino.

Mentre la teoria della razza era una negazione della realtà su base biologista (riducendo l’essere umano al suo dato biologico si negava il fatto culturale, specifico dell’essere umano), l’ideologia gender è una negazione della realtà su base culturalista, essa nega il lato biologico dell’essere umano, astraendo il solo dato culturale che in tal modo diventa uno strumento per la manipolazione delle identità. L’ideologia gender nei suoi esponenti più estremisti arriva addirittura a negare la figura della madre, la maternità non sarebbe un fatto naturale ma solo culturale al fine di legittimare una pratica abominevole come il cosiddetto utero in affitto.
Quel sentimento naturale che farebbe sentire in colpa qualsiasi essere umano normale a strappare i cuccioli alla gatta o alla cagna che allatta non vale più per i cuccioli dell’essere umano. Il neonato non avrebbe nessun danno dall’essere privato del seno della madre, per cui la pratica dell’utero in affitto è lecita. Sergio Lo Giudice, senatore Pd, in un intervista televisiva ha dichiarato di aver effettuato la pratica dell’utero in affitto all’estero dove questa è consentita. Lo stesso riferisce che, al posto dell’allattamento, si faceva consegnare il latte dalla madre per darlo al bambino, perché doveva rompere il più precocemente possibile il legame con la madre. E queste pratiche infami, degne di durissima sanzione penale, perché violenza esercitata su un essere del tutto indifeso passano per comportamenti normali, accettabili. In un dibattito televisivo Dario de Gregorio, in un altro video che ha fatto il giro dei social media, per giustificare la sua pratica di utero in affitto, ha definito la madre un “concetto antropologico”, volendo dire che non esiste una dimensione naturale nell’essere madre, ma solo culturale. In questo modo la madre del bambino di cui egli si è appropriato è stata cancellata. Ecco i mostri, i nuovi Mengele che produce la gender theory.

Il totalitarismo odierno è diverso da quello del secolo scorso (ricordiamo che tendenze totalitarie si presentano in tutti gli stati impegnati nella guerra: vedi ad es. imprigionamento dei cittadini statunitensi sulla base della sola origine tedesca o giapponese durante la seconda guerra mondiale). La fine della leva di massa (e sarebbe tutto da approfondire il legame tra fine della leva di massa e precarizzazione) segna un cambiamento decisivo nello stato moderno (vedi in merito il mio articolo Ripensare la rivoluzione francese). Oggi lo stato, poiché ritiene di avere un enorme potere tecnologico, e date le trasformazioni dell’esercito che necessita dell’apporto di professionisti, non ricerca più l’inquadramento di massa come durante le guerre mondiali fecero le “democrazie liberali”, la Germania nazista, e la Russia sovietica, piuttosto intende governare tramite l’esclusione, e per questo persegue il caos, sia all’interno dello stato che nei rapporti inter-nazionali. Ma questo caos prevede un mondo da incubo. Chi saprà e vorrà opporsi non è ancora dato vedere. Considerata la situazione, il movimento cattolico contro la devastazione della famiglia sarebbe da sostenere, nonostante tutti i limiti del movimento italiano, molto meglio però il movimento francese che vuole essere “pour tous”.

ANCORA SULLA “FUNZIONE PUBBLICA DELL’INTELLETTUALE”, di Andrea Zhok

tratto da facebook https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1171160363065361

ANCORA SULLA “FUNZIONE PUBBLICA DELL’INTELLETTUALE” (una riflessione autoreferenziale)

http://italiaeilmondo.com/2019/03/08/intellettuali-e-popolo-di-andrea-zhok/

Personalmente ho sempre preferito la forma espressiva del libro, della monografia, alle forme più agili del saggio breve o dell’articolo. Nel caso della scrittura di un libro si esercita uno sforzo di ‘differimento comunicativo’ particolarmente accentuato: si accetta infatti di rinviare a lungo, spesso per anni, la comunicazione di temi che stanno a cuore; questo fino a quando l’argomentazione non abbia raggiunto ciò che si ritiene essere una forma compiuta, solida, capace di reggere e durare nel tempo.

Ma in quest’epoca dove le idee sono ridotte ad oggetti di consumo tra gli altri, parole da far passare rapidamente da un capo all’altro dell’encefalo, per poi sputarle in una disputa passeggera passando oltre, in quest’epoca, dicevo, la scrittura di un libro, e specificamente di un libro con le pretese classiche del testo filosofico (dunque non chiacchiere per épater le bourgeois) è qualcosa di peculiarmente inattuale e immensamente frustrante. Lo è anche la scrittura di un articolo scientifico, ma nel caso del libro la cosa assume tinte quasi patologiche. Se poi, come nel caso di chi scrive, uno intende ciascun libro come il pezzo necessario di un argomento complessivo, percepibile solo a chi ne colga l’insieme, beh, qui siamo con tutta evidenza di fronte a turbe psichiche con seri tratti deliranti.

È in quest’ottica che attività come quelle sui ‘social media’ acquisiscono un ruolo di compensazione terapeutica: qualcosa che dà quantomeno l’illusione di comunicare, e che limita così la crescente sensazione di autismo solipsistico che coglie ogni autore (autori pop esclusi).

In questo quadro la tentazione continua, fortissima, è quella di dismettere del tutto i pretenziosi panni di una riflessione ‘classica’, e di giocare le proprie carte nell’agone eristico, nella polemica, nella diatriba, nella fornitura di artiglieria leggera per questa o quella ‘buona causa’. Dopo tutto, in ciò non c’è niente di male e il bello è che qui i risultati (o la loro mancanza) si vedono subito.
L’impressione di fondo è che, per quasi chiunque, la differenza tra un argomento supportato da una rete di sostegno ampia, plurale e verificata, e un argomento improvvisato ma espresso con prontezza di spirito, sia sostanzialmente nulla.

Questa tentazione si è vista all’opera in maniera esemplare nell’intera generazione dei filosofi-letterati del postmodernismo francese; una generazione di intellettuali che ha deciso che resistere era inutile, e che per poter cedere in buon coscienza su tutta la linea, bisognava ingegnarsi a sostenere che cedere e nuotare con la corrente era proprio l’unica ‘verità’ rimasta. Era perciò giunto il momento di cantare la frammentazione, l’appagamento temporaneo, il consumo, l’opinione, il gioco di parole, di rivendicare con la faccia seria ogni giochino di rimpalli, rimandi, differenze, significanti vuoti, trasformando il Logos in insegne pubblicitarie di un sapere mordi e fuggi.

Tutto intorno a noi opera per metter vento nelle vele di chi intraprende questa strada (magari con nuovi stilemi).

A remare contro, a opporre resistenza, è restata solo una flebile residua coscienza. L’ultima cosa rimasta a separare il nostro mondo dal divenire un’illimitata giostra di consumi a maggior gloria del capitale è proprio la consapevolezza riflessiva che QUEL meccanismo è all’opera, che è reale, che è storicamente fondato, che è di principio superabile. Solo quello. Perché senza quella cosa, senza quella coscienza d’insieme, senza quelle idee, quel che resta è solo un infinito succedersi di naufragi privati e di ribellioni locali, in attesa di un nuovo set di catene dorate.

DALLA TRAGEDIA ALLA FARSA, di Augusto Sinagra

DALLA TRAGEDIA ALLA FARSA
Il titolo di questo mio scritto riproduce alla rovescia il titolo di un mio libro di prossima pubblicazione che riproduce i miei post su FB: “Dalla farsa alla tragedia”.
La tentata strage di 51 bambini a San Donato Milanese sventato dal magnifico intervento dei nostri Carabinieri, è stato assunto dalla stampa e dalla televisione in larga parte moralmente fradicia e professionalmente ignobile, come pretesto propagandistico per riproporre uno ius soli (che peraltro già esiste in Italia) e per promuovere ancora “porti aperti” e immigrazione incontrollata di africani che, deliberatamente senza documenti, sono da qualificare come clandestini.
Non si parla più del pericolo corso da quei ragazzini, non si parla più del criminale senegalese che pur aveva avuto dall’Italia casa, famiglia, lavoro e cittadinanza, non si parla più dei Carabinieri e meno che mai dei due ragazzini italiani cui maggiormente va dato il merito della salvezza di tutti, offrendosi generosamente uno di essi come “ostaggio” nelle mani del criminale senegalese. Si chiama Niccolò ma di lui non si parla per il razzismo della stampa e della sinistra contro gli italiani e perché non funzionale a ius soli e immigrazione tanto illegale quanto illimitata.
Dunque, la tragedia si è trasformata in farsa. L’atto conclusivo sarebbe la concessione della cittadinanza italiana ai due ragazzini, uno egiziano e l’altro marocchino. È stato lodevole il loro comportamento che però avrebbe dovuto essere riconosciuto in qualsiasi altro modo, per esempio la gratuità di tutto il loro corso di studi, Università compresa. O in qualsiasi altro modo.
Ma la cittadinanza non è l’equivalente di una medaglia, come ha detto il “primo” Salvini; il “secondo” Salvini sembra aver cambiato idea.
La legge del 1992 consente l’attribuzione della cittadinanza italiana a chi abbia onorato la Repubblica con meriti speciali. Al di là della prontezza e del coraggio dei quattro ragazzini non mi pare che quel che i due non cittadini, ancorchè nati in Italia e con le famiglie in Italia da tempo, integrino con il loro comportamento la fattispecie in questione.
La decisione del Ministro Matteo Salvini, se così sarà, significa che ad ogni atto di coraggio, vero o ritenuto tale, dovrà corrispondere il conferimento della cittadinanza italiana. Non mi pare una posizione condivisibile.
Peraltro, mi domando perché il 13 maggio 2015 non fu data la cittadinanza italiana al bengalese Sobuy Khalifa che, mettendo a rischio la sua vita e facendosi scoprire come clandestino in Italia con rischio di espulsione, non esitò a buttarsi nel Tevere (non sapendo neppure nuotare bene) salvando la vita ad una signora israeliana.
I problemi sono altri e contrari: togliere la cittadinanza italiana agli ex stranieri autori di delitti di sangue o di atti di terrorismo.
E inoltre, precludere l’acquisizione della cittadinanza italiana a chi discendente da continuità di sangue da nonni o avi trasferitisi all’estero, mai hanno messo piede in Italia, non parlano l’italiano e nulla sanno dell’Italia, e sono interessati solo al passaporto.
Altro da fare sarebbe incrementare nella misura dovuta le espulsioni di chi è in Italia irregolarmente e non è mai sfuggito da guerre e né mai fu sottoposto a torture. Va bene tutto ma non la presa in giro: i giovanottoni palestrati e muniti di smartphone provenienti dalla Libia, non sembra proprio che siano stati torturati o vessati.
Naturalmente il Ministro Matteo Salvini ha più elementi per decidere e deciderà in piena autonomia e responsabilità, ma non commetta specularmente gli errori dei suoi avversari politici.
AUGUSTO SINAGRA

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