La malattia del mondo, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Francesco Borgonovo, La malattia del mondo, Milano 2020, pp. 207, € 15,00

Questo libro è una riflessione sulla pandemia da coronavirus, che dall’evento risale alle condizioni ideali e materiali da cui è stato incentivato, in un’epoca in cui eventi del genere, che hanno funestato l’umanità per millenni, sembravano chiusi nell’archivio della storia. Archivio che a dispetto dei progressisti – e purtroppo non solo loro – si è riaperto.

La pandemia è stata frutto di due fattori fondamentali, ambo ideali: il primo è la ybris, il secondo è (la pretesa/aspirata) assenza di limiti (non solo fisici) che caratterizzano il pensiero della globalizzazione (e dei globalizzatori). Quanto alla prima scrive l’autore, la ybris è “prima di tutto superamento del limite, del confine. E se ci pensate, l’intera storia dell’epidemia di Covid-19 (esattamente come la storia della globalizzazione) è una faccenda di confini varcati e limiti infranti”. Il limite infranto è quello della natura “Della natura noi uomini siamo, al massimo, i custodi, come rivela il libro della Genesi. Quando veniamo meno al nostro ruolo, o quando tentiamo di farci creatori sostituendoci al Creatore, allora scateniamo l’epidemia, la pestilenza biblica”. Secondo gli scienziati il Coronavirus è nato – come altri agenti patogeni – da uno spillover da un “salto” tra specie (da animali selvatici all’uomo). Varcato il limite della specie è stato assai più agevole, dato il progresso tecnico e la permeabilità delle frontiere, diffondersi nel pianeta a velocità impressionante “Prigionieri come siamo dell’ideologia della dismisura, non abbiamo saputo chiudere tempestivamente i confini, non abbiamo voluto fermare il vortice della circolazione globale: la malattia, dalla Cina, è approdata in Germania, e da lì è giunta in Italia. Poi, il disastro. Quando il Covid-19 è calato nella nostra nazione, tutti i nostri limiti sono tornati prepotentemente a galla: quelli delle nostre strutture sanitarie, della nostra potenza industriale, della nostra indipendenza economica… Il confine, il limite, le barriere salvifiche che avrebbero potuto arginare l’avanzata del nemico occulto sono stati sbriciolati dal capitalismo selvaggio e dall’ideologia che impone: nessuna frontiera”.

Ricordando quanto scriveva Schmitt della contrapposizione tra terra e mare e le conseguenze che comporta sull’ordine, sul diritto e sull’economia, Borgonovo sostiene che non erra Zigmunt Bauman quando definisce la società post-moderna “società liquida” contrapposta alla solida terra che fonda società basate sul limite (confine delle proprietà, dei territori delle sintesi politiche, almeno di quelle stanziali, ossia, nella modernità, tutte). Per espandersi la “società liquida” necessita di superare se non di abolire i limiti.

Hegel lo aveva notato per l’industria nel paragrafo 247 dei Lineamenti di filosofia del diritto: “come per il principio della vita familiare è condizione la terra, cioè il fondo e il terreno stabile, così per l’industria l’elemento naturale che la anima verso l’esterno è il mare.

Nella brama di guadagno, esponendo al pericolo il guadagno stesso, l’industria si eleva a un tempo al di sopra di esso, e soppianta il radicarsi nella zolla e nella cerchia limitata della vita civile, i suoi godimenti e desideri, con l’elemento della fluidità, del pericolo e del naufragio…”; il mare pertanto era l’ “ambiente” più favorevole al commercio e all’industria. Ancor più quando, venuta meno la scoperta di nuove terre (e mercati) l’espansione deve basarsi sull’abolizione dei residui confini.

Il libro è colmo di idee. Per restare nei limiti di una recensione, la sintesi – purtroppo limitata come tutte le sintesi – è che la post-modernità si fonda sulla ybris, ossia la superbia di superare i limiti della natura. Borgonovo ricorda come i greci notassero ciò: Erodoto ed Omero, cui occorre aggiungere Sofocle, in particolare nell’Antigone e nell’Edipo re. Come condanna della ybris come distruttrice dell’ordine terreno e divino è particolarmente significativo il canto del coro nell’Edipo rePossa io avere destino di serbare santa purezza di parole e di azioni, a cui sono preposte leggi sublimi, procreate nell’etere celeste, e l’Olimpo solo è loro padre; non natura mortale di uomini le generò, né mai l’oblio le sopirà: un dio potente è in esse, e non invecchia. La dismisura genera tiranni”. O nella profezia di Tiresia a Creonte nell’Antigone, nella quale l’indovino prevede la rovina del re per aver violato le leggi di natura “questo non è un potere tuo, né degli dei supremi, anzi essi soffrono questa violenza da te”. Indubbiamente una civiltà come quella greco-romana che Spengler riteneva basarsi sul senso del finito, cioè del limite è particolarmente utile per capire la degenerazione faustiana della post-modernità.

La quale trova la propria caratteristica fondamentale nel ritenere superabili realtà e leggi naturali. Lo stesso comunismo reale, rapidamente espanso e conclusosi, si fondava sull’illusione del giovane Marx di cambiare la natura umana, mutando i rapporti di produzione; alla fine della dittatura si sarebbe costruita la società comunista, senza comando né obbedienza, pubblico e privato, amico e nemico. Cioè senza i presupposti del politico – le costanti che connotano ogni comunità politica umana. Risultato smentito dalla breve storia del comunismo. Il quale si è retto solo perché ha mantenuto anzi potenziato le costanti del politico nella dittatura sovrana del partito. Cessata la fede nella quale è imploso. Nella post-modernità questa ybris ha preso altre forme, immaginato altri idola: tutti accomunati dalla credenza di poter oltrepassare leggi e limiti naturali. Illusione sempre smentita e fondante, come cantava Sofocle, nuove tirannie.

Teodoro Klitsche de la Grange

FORSE NON LA STIAMO PRENDENDO PER IL VERSO GIUSTO, Pierluigi Fagan

FORSE NON LA STIAMO PRENDENDO PER IL VERSO GIUSTO. L’altro ieri, la missione di analisti dell’IMF, di ritorno dal suo soggiorno americano, ha pubblicato questo rapporto su stato e prospettive dell’economia americana che da sola vale un quarto di quella planetaria.

Nel secondo trimestre (A-M-G), il Pil USA ha fatto -37% (lo ripeto per i distratti e coloro che saltano i dati di quantità a priori perché preferiscono le parole: “meno trentasette per cento”). Si prevede che l’economia USA tornerà ai livelli di Pil fine 2019, solo a metà 2022, forse. IMF segnala che gli USA erano già un sistema con una forte componente di povertà interna, la crisi è destinata ad allargare e sprofondare questa parte addensata nelle etnie afro-americana ed ispanica. Al momento sono 15 milioni i disoccupati ed è appena iniziata la catena di fallimenti di esercizi commerciali ed imprese che accompagnerà la lenta ma costante caduta. Ed aggiunge: “il rischio che ci attende è che una grande parte della popolazione americana dovrà affrontare un importante deterioramento degli standard di vita e significative difficoltà economiche per molti anni a venire.”.

“Molti anni a venire” , come riportato in post precedenti, viene da Nouriel Roubini e dai “miliardari invocanti tasse”, quotato sulla prospettiva del decennio, magari non saranno proprio dieci anni, ma al momento le prospettive sono di crisi profonda e lunga. “Larga parte della popolazione” significa più che la maggioranza. Il “deterioramento dello standard di vita” è l’esatto opposto del contratto sociale americano basato sull’espansione continuata, ciò che tiene in piedi un sistema assai variegato e pieno di contraddizioni e pluralità problematiche. Tutto questo, nonostante gli eccezionali sforzi di pronto intervento messi in campo dall’Amministrazione e dal FED (che noi in Europa ci sogniamo) e nonostante lo sbandierato +8% dei consumi a maggio. Si stima un rapporto debito/Pil al 160% nel 2030 (reggerà la credibilità dell’unità di conto, scambio e valore internazionale di un paese che ha il 160% di debito pubblico/Pil?) , ma si teme che poiché grande parte dei costi di assistenza sanitaria, educazione e disoccupazione sono nei bilanci degli stati federati già per altro al limite o oltre il limite, l’intera situazione possa ulteriormente peggiorare. Ne segue una lunga ricetta di interventi che però è politicamente improbabile per via delle diverse priorità che le élite americana in genere hanno (o l’una o l’altra poco importa) e soprattutto di cui non si vede né la sostenibilità finanziaria, né il certo effetto ristoratore. Ironia della sorte, giusto il giorno prima, il governo cinese annunciava un +3,2% su aspettative del +2,5% per la crescita del proprio Pil nello stesso periodo.

Tutto ciò, mentre gli USA continuano a macinare record di contagi. Gli USA hanno tre volte i contagiati che abbiamo avuto noi (a parità di popolazione) ma per via del fatto che hanno iniziato dopo e si sono potuti avvalere di qualche parziale miglioramento nelle cure e nei trattamenti, nonché una popolazione decisamente più giovane della nostra, la mortalità è al momento a 430 per milione di abitanti, contro i 580 nostri. Sono però al limite di capienza alcune strutture sanitarie tra cui la Florida ed il Texas, ma non sono i soli. Il conflitto capitale-salute-libertà continua a dilaniare gli americani stante che quando si sceglie il capitale, peggiora la salute ma sopratutto non sembra neanche migliorare il capitale. C’è infatti la psicologia umana in mezzo che valuta il rischio non secondo pura logica statistica.

Tutto ciò potrebbe avere una svolta col vaccino ma al momento non si sa bene quando potrà esser operativo, a che condizioni, come verrà preso dalla popolazione, quanto sarà efficace. Non si è mai trovato un vaccino per i coronavirus che pure si conoscono da decenni. Questi tipi di virus hanno una strategia adattativa molto basica: grande semplicità (è un filo di RNA corto) e grande cambiamento (molte mutazioni per darsi più condizioni di possibilità), cambia molto ed in fretta per ingannare i sistemi immunitari. I virus sono qui sulla Terra da forse 3,5 miliardi di anni e sono le entità biologiche più diffuse sul pianeta, evidentemente la strategia ha i suoi perché. Noi invece non solo geneticamente ma soprattutto socialmente, siamo molto complessi e cambiamo poco e molto, molto lentamente.

Credo che noi non si stia capendo bene in che tipo di problema siamo capitati, un problema che non è italiano o americano ma quantomeno occidentale prima e mondiale poi. Molti si impegnano ad interpretare il virus, la sua genesi, gli interessi in gioco, le pratiche sanitarie, il rumore dei media, criticare il governo, l’Unione europea. Ognuno di questi punti è interessante ma perde il quadro d’insieme ed il quadro d’insieme è un lento armageddon economico e quindi sociale cui saremo soggetti, forse, per anni. E’ desolante il fatto che tra le tante analisi che si leggono, quelle mainstream non meno di quelle alternative, sembra non comprendersi la profondità della crisi cui siamo condannati. Poco o nulla importa se il virus è così o colà, come e da dove è venuto, se i suoi effetti sono esagerati e da chi e perché, poco importa prevedere catastrofi biopolitiche o incolpare i cinesi o Big Pharma. Questi sono intrattenimenti info-culturali. Il fatto crudo e duro è che nella misura in cui la gente teme di ammalarsi e forse morire, i suoi comportamenti sociali abituali o tali ritenuti, cioè i precedenti, non torneranno a sostenere la vita associata per lungo tempo. In tutto il mondo. Con questo avremo a che fare e per questo non sembra esserci medicina di pronto intervento. Questo minerà il funzionamento della società radicalmente. Molto ma molto più radicalmente di qualsiasi Recovery fund o MES, Trump o Biden, ricetta economica a base di interventi generici e consueti. Manca cioè, a mio avviso, consapevolezza dell’eccezionalità e radicalità del problema.

Per adattarsi a questo quadro d’insieme mancano tre cose essenziali. Una è il tempo, il tempo semplicemente non c’è, siamo in ritardo cronico. Qualsiasi intervento risulterà parziale, ci vorrà molto tempo a metterlo in essere e impiegherà molto tempo a dare gli effetti sperati, se li darà. Il secondo è la comprensione del fatto che dovrebbe portare ad una comprensione dell’intervento. Da tempo posto articoli su tassazioni ridistributive straordinarie e diminuzioni immediata dell’orario di lavoro con ridistribuzione dello stesso. Non son le uniche ricette possibili, forse neanche le migliori, ma danno il tono di quanto dovrebbero esser fuori norma gli interventi necessari. Non si può pensare normale in tempi eccezionali. Il terzo è la sistematica rimozione della realtà. Ci vuole un massa critica importante per spingere una società ad una mossa adattiva così importante e seria, qualcosa intorno ad un 60% del corpo sociale, non certo meno. Soprattutto, faccio notare quel “una grande parte della popolazione […] dovrà affrontare un importante deterioramento degli standard di vita e significative difficoltà economiche per molti anni a venire”. C’è da riformulare il contratto sociale, cosa di non poco conto in tutta evidenza, cosa necessaria e di attualità già da tempo prima, ora con una specifica urgenza conclamata. Siamo molto lontano ed in ritardo dall’affermarsi tale consapevolezza nei grandi numeri ma, mi pare, anche nei piccoli.

Scusate per quello che a voi, una domenica di fine luglio, apparirà pessimismo ma che per me è semplice realismo consapevole. Mi sentivo di allarmare sul fatto che forse non la stiamo prendendo per il verso giusto. Anche a livello teorico, penso si dovrebbe mettere in campo più pensiero radicale concreto, non narrativo o contro-narrativo e neanche critico, la critica non cambia il reale. C’è da modificare la realtà il prima possibile in quanti più è possibile, con idee semplici e forti. Forse non ci si riuscirebbe comunque, ma sarebbe sano vederne almeno il tentativo, la discussione, ci sarebbe da provar ad imporre un dibattito pubblico più serio e tra adulti non compromessi da rimozione nevrotica della realtà. Nella misura in cui la gente pensa che questa sia la realtà, questa sarà la realtà e se questa sarà la realtà come sembra, a lungo, gli effetti saranno quelli annunciati. Toccherebbe darsi una regolata …

https://www.imf.org/en/News/Articles/2020/07/17/mcs-071720-united-states-of-america-staff-concluding-statement-of-the-2020-article-iv-mission?fbclid=IwAR2Q0TOBoyweogopmS4Sy4ZTXWbzyqW7tKM9PF3CMB7FA3dgVTmGu6AlnfA

United States of America: Staff Concluding Statement of the 2020 Article IV Mission July 17, 2020 A Concluding Statement describes the preliminary findings of IMF staff at the end of an official staff visit (or ‘mission’), in most cases to a member country. Missions are undertaken as part of reg…

RESPONSABILITÁ E POTERE, di Teodoro Klitsche de la Grange

RESPONSABILITÁ E POTERE

Si dice che nel decreto-legge sulla “semplificazione” amministrativa di cui (al momento in cui scrivo) si è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, vi sia una modifica (per un anno) del regime di responsabilità amministrativa dei funzionari, che escluderebbe quella per “colpa grave”, limitandola al dolo; per lo più, pare, inteso in senso penalistico.

Questa norma era, per così dire, “nell’aria”, perché confermativa della tendenza a ridurre la responsabilità dei funzionari che connota la prassi legislativa della repubblica: anche se, bisogna dire, altre norme annunciate – tese a limitare gli atteggiamenti omissivi e lentezze procedurali, sono condivisibili e semmai tardive perché avrebbero dovuto essere poste in essere da decenni.

Già agli albori dello “Stato di diritto” nel continente europeo la responsabilità dei funzionari (sia verso i cittadini per i loro atti che dello Stato) era oggetto di dibattito tra posizioni contrastanti. Così ne discutevano già Constant (oltre due secoli orsono) e Tocqueville (a metà dell’ottocento) con argomenti tuttora illuminanti.

Scriveva Constant nei Principes de politique (del 1815) che “Non basta aver stabilito la responsabilità dei ministri; se questa responsabilità non comincia nell’esecutore immediato dell’atto che ne è oggetto, essa non esiste: deve pesare su tutti i gradi della gerarchia costituzionale. Quando non è tracciata una via legale per sottoporre tutti gli agenti all’accusa che essi tutti possono meritare, la vana apparenza della responsabilità non è che una insidia funesta per coloro che saranno tentati di credervi. Se punite soltanto il ministro che dà un ordine illegale e non lo strumento che l’esegue, collocate la riparazione tanto in alto da non poterla spesso conseguire”, all’obiezione che “se gli agenti inferiori possono essere puniti in una circostanza qualsiasi per la loro obbedienza, li si autorizza a giudicare le misure del governo prima di parteciparvi. Per ciò stesso ogni sua azione è impedita. Dove troverà il governo degli agenti se l’obbedienza è pericolosa? in quale impotenza mettete tutti coloro che sono investiti del comando! in quale incertezza gettate tutti coloro che sono incaricati dell’esecuzione!”, il pensatore di Losanna replicava che “Questa obbedienza, quale ci viene esaltata e raccomandata, è, grazie al cielo, del tutto impossibile. Persino nella disciplina militare l’obbedienza passiva ha dei limiti tracciati dalla stessa natura delle cose a dispetto di tutti i sofismi… Un soldato dovrebbe forse, dietro ordine del suo caporale ubriaco, sparare al suo capitano? Egli deve dunque distinguere se il suo caporale è ubriaco o no; deve riflettere che il capitano è un’autorità superiore al caporale. Ecco che al soldato si richiede intelligenza e discernimento”. Per cui “Mai però si potrà far sì che l’uomo possa divenire totalmente estraneo all’esame e fare a meno dell’intelligenza che la natura gli ha dato per guidarsi e di cui nessuna professione può dispensarlo dal fare uso”.

Dato che proponeva, come giudice delle responsabilità, collegi di giurati, sosteneva che ciò non avrebbe incentivato troppo la disobbedienza perché la tendenza naturale dei funzionari “favorita altresì dal loro interesse e dal loro amor proprio, è sempre l’obbedienza. I favori dell’autorità hanno questo prezzo. Essa dispone di tanti mezzi segreti per compensarli degli inconvenienti del loro zelo!”.

Quanto a Tocqueville scriveva che le costituzioni francesi succedutesi dal 1789 avevano tutte confermato di sottrarre l’attività dei funzionari al controllo giudiziario, confermando così quello che, nell’ancien régime era una prassi consolidata “l’articolo parve così ben concepito che abolendo la costituzione di cui faceva parte si ebbe cura di estrarlo dalle rovine e dopo lo si è sempre conservato accuratamente al riparo dalle rivoluzioni. Gli amministratori lo considerano ancora una delle grandi conquiste del 1789, ma in ciò sbagliano ancora, perché sotto la vecchia monarchia, il governo non aveva meno cura nell’evitare ai funzionari il disagio di rispondere al giudice come capita ai semplici cittadini”.

Sono quindi due secoli che lungo la “linea di faglia” che congiunge i principi di forma politica a quelli dello Stato borghese – e che comprende (anche) le garanzie del corretto esercizio della funzione pubblica – si riproduce il dibattito nelle medesime posizioni e quasi sempre, argomenti.

E la ragione è chiara: in ogni forma statale insistono due regolarità potenzialmente confliggenti: il rapporto tra governanti e governati (comando/obbedienza) e quella della classe politica, che Miglio estensivamente denominava aiutantato. In ogni regime politico le due regolarità devono essere tenute in equilibrio: perché nessuna classe dirigente può rinunciare a una certa misura di consenso dei governati e neanche ad un certo tasso d’obbedienza dell’aiutantato.

Sicuramente però eliminare la colpa grave come causa di responsabilità – anche se temporaneamente, ma in Italia spesso il contingente diventa duraturo – appare improponibile. Significa assicurare l’irresponsabilità per ogni errore provocato da negligenza, imperizia, imprudenza grave.

Se fosse applicato nei rapporti privati, renderebbe non sanzionabili le inadempienze più evidenti, compresa l’inadeguatezza a esercitare il ruolo per cui si è retribuiti.

Anche l’obbedienza dell’aiutantato ha un prezzo per l’autorità: ma, l’irresponsabilità per colpa grave è un costo troppo alto da pagare.

Teodoro Klitsche de la Grange

spirali INFERNALI, di Giuseppe Masala

DECLIVIO

Fa davvero impressione leggere il rapporto demografico dell’Istat uscito oggi. Le nascite nel solo 2019 sono diminuite del 4,5% rispetto al 2018 e in cinque anni i residenti sono diminuiti di 550mila a livello nazionale, che significa aver perso, azzerato, in cinque anni una città come Bologna. Interessante anche ciò che emerge dai flussi migratori: i cittadini stranieri che arrivano in Italia sono diminuiti dell’8,5% circa mentre gli italiani andati all’estero sono aumentati dell’8,1%. Se ne deduce che la popolazione oltre a diminuire sempre più invecchia. Difficile ipotizzare una crescita economica in un paese che invecchia, uguale discorso per l’aumento della produttività che non può esserci senza giovani e tantomeno senza giovani istruiti. Questi sono i risultati delle politiche suicidiarie che stiamo portando avanti da decenni nel nome del “Sogno Europeo”, sisi, il sogno. Poca istruzione, poco lavoro, paghe da fame, servizi scadenti. Ma troppa gente ancora non lo capisce. E ancora è nulla rispetto a quello che vedremo dopo la pandemia e la crisi economica che ne sta conseguendo. Questi dati peggioreranno e di molto se non succede qualcosa che risolva la situazione.

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PATETICO
Ormai Conte fa pure pena in questo suo giro da questuante nelle capitali del nord. Prima gli schiaffi da Rutte, ora le sberle dalla Merkel. Vi prego, non fatelo andare in Svezia, Finlandia e Danimarca. Non ce la meritiamo questa cosa, siamo una nazione che ha fatto la Storia.
ATTESA PREAGONICA
Ma la notizia più importante è che gli incontri di oggi dello spagnolo Sanchez con l’olandese Rutte e di Conte con la Merkel attestano inoppugnabilmente che da parte dei paesi del Nord non vi è alcun interesse a salvare l’Euro. Continuano a pretendere riforme in cambio di pochi spicci, per altro nel caso dell’Italia si tratta (se si sommano ai RF anche i fondi ordinari del bilancio 2021-2028) di danaro in perdita; nel senso che è più quello che daremo di quello che riceveremo. In sostanza dobbiamo pagarli per farci saccheggiare. Ci trattano da paese sconfitto in una guerra. Oppure se non ci sta bene spetterebbe a noi prenderci la responsabilità politica di un uscita dall’Euro (che la nostra classe politica totalmente compromessa non prende manco in considerazione). Questo ci dicono. Ma vi rendete conto che nella migliore delle ipotesi i primi soldi inizieranno ad arrivare nell’autunno 2021? Ovvero a danno economico e sociale abbondantemente realizzato irreversibilmente. Ma di che parliamo?
GUERRA GUERREGGIATA

Dimenticavo, oggi la Frankfurter Allgemeine Zeitung dice che questa settimana il Prestigioso Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung (Zew) di Mannheim pubblicherà uno studio dal titolo “Sliding down the slippery slope”, scivolare giù per il pendio scosceso. Dove si spiega che a scivolare nel pendio è la politica monetaria della Bce che si trasforma a furia di operazioni di quantitative easing in politica fiscale di sostegno agli stati. Bene, a Karlsruhe sono certo che prenderanno buona nota nel caso in cui i vincitori della causa saranno costretti a chiedere “giudizio di ottemperanza” della sentenza del 5 Maggio. Molti non lo sanno ma la partita è aperta.

Noto che l’interesse verso la sentenza di Karlsruhe del 5 Maggio è, qui in Italia, velocemente scemato. Mi permetto di dire che è un grave errore. Tutto, secondo molti, sarebbe finito a tarallucci e vino dopo il voto di del Bundestag che avrebbe approvato le politiche della Bce. Gli economisti a riprova del fatto che non succederà nulla sventolano dei grafichetti che descrivono l’andamento del cambio tra Euro e Dollaro che dimostrerebbe essendo stabile che non succederà nulla. Mi spiace, non è così. Innanzitutto bisogna che gli economisti imparino che i mercati finanziari non si muovono più da anni sulla scorta di valutazioni di natura economica; i movimenti sono fatti con degli algoritmi di Trading ad Alta Frequenza che operano sulla base di istruzioni preordinate (se il prezzo supera X compra, se scende ad Y vendi e cose di questo genere, pura analisi tecnica). I mercati finanziari sono mere fabbriche di danaro sintetico, nulla di più. Quando avviene qualche fatto nel mondo umano non ignorabile, semplicemente le macchinette vengono spente e “a mano” gli operatori vendono e comprano. Un esempio ne abbiamo avuto con la Brexit. Fino al giorno prima i mercati finanziari agivano sulla scorta degli algoritmi ignorando il reale (tanto tutti erano convinti che avrebbe vinto il remain); un minuto dopo la notizia della vittoria del fronte Brexit è cascato giù il mondo. Ecco, sarebbe bene che anche gli economisti – buoni ultimi, come al solito – imparassero queste cose e la smettessero di trarre responso dall’andamento dei mercati che tanto questa pratica vale ne più e ne meno di quella romana di sbudellare i tori e da essi far divinar responso agli Aruspici.

Ecco, detto questo, aggiungo che in questi giorni non è che di cose non ne siano avvenute.

C’è stato certamente il voto del Bundestag che in una mattinata ha votato una mozione sulla proporzionalità della politica monetaria della Bce. Peccato che Karlsruhe chiedesse al Bundestag di valutare se la politica monetaria Bce fosse Ultra Vires che è un’altra cosa. Un modo pilatesco per lavarsene le mani. Peraltro nella mozione si sottolinea come la Bundesbank sia indipendente, che è un modo come un altro per dire “la responsabilità se la prenda Weidmann”.

C’è stata inoltre una potentissima offensiva del Ministero degli Esteri tedesco con è riuscita a rompere il fronte dei paesi che nella Bce sostenevano la Lagarde. Così io leggo l’elezione dell’irlandese alla guida dell’Eurogruppo e avvenuta con i voti dei paesi frugali (e di qualcuno che con sprezzo dell’aritmetica continua a negare il suo voto, vedi Germania). Se questo basti per soddisfare Weidmann e la Corte di Karlsruhe non lo sappiamo.

Prossimi passi sono la riunione del Board della Bce del 16 Luglio, vedremo se Weidmann parla e cosa dice. Idem vale per la Lagarde. Dopo ci sarà il fatidico 5 Agosto giorno della deadline posto dalla Corte per l’uscita della Bundesbank. Se Weidmann non uscirà finirà la storia? Assolutamente no. A quel punto i vincitori della causa potranno chiedere alla Corte di Karlsruhe “giudizio di ottemperanza”. Ma ci sarà modo di parlarne. Il destino dell’Euro è e rimane appeso a un filo.

IL PARTITO DELLA NAZIONE

Mi spiace per chi in privato mi accusa “di avercela con il Nord”. Non è assolutamente vero, ma bisogna ripartire da una presa di coscienza: il progetto europoide, in Italia è stato un progetto essenzialmente a trazione Nord, così come è proveniente dal Nord tutta la classe dirigente che follemente lo ha realizzato. Ora questo progetto è naufragato, tragicamente naufragato e il Nord stesso ha davanti a sé anni terribili. Cari amici, ma davvero pensate di ripartire e superare una catastrofe epocale con due spicci sottratti al Sud? Davvero credete di riprendervi con il Mes, il Recovery Fund e insistendo su un Europa che non esiste ne mai è esistita? Davvero pensate che le vetuste gabbie salariali siano una soluzione come credono Quartapelle e Sala? Suvvia dai. Qui è necessario rifondare l’Italia. Trovare una soluzione strategica complessiva e riprenderci quello che è nostro. Non c’è altra strada, altrimenti sarà miseria e schiavitù per tutti.

Ormai il PD si propone apertis verbis come “Sindacato del Nord” ovvero tenta di fare quello che per trenta anni ha fatto la Lega di Bossi: sottrarre risorse al Sud per riversarle al Nord e sostenerne così la crescita. Alla proposta di Quartapelle e del sindaco di Milano Sala andrebbe aggiunta – per completare il quadro – anche quella del Presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini che è molto semplice nella sua brutalità: le risorse per la ripartenza siano dirottate in buona parte se non integralmente “al Nord produttivo” e “il Sud aspetti” (ha detto proprio così, aspetti). A questi luminari rispondo che forse non è la risposta corretta quella di demolire (la peraltro già esangue) domanda eggregata del Sud per sostenere quella del Nord. Anche perchè in un contesto produttivo vergognosamente sbilanciato a favore delle regioni del Nord deprimere un mercato di sbocco della produzione del Nord significa semplicemente che ciò che guadagnerebbe il settore pubblico del Nord sarebbe pagato dal settore privato del Nord che “fatturerebbe” di meno. Quindi alla meglio questa operazione dal punto di vista economico si tradurrebbe in un gioco a somma zero per le regioni del Nord stesso. Non parliamo poi dell’aspetto politico ed etico di una simile proposta, non vale la pena. Non vale la pena alimentare una guerra tra regioni povere e regioni in via di impoverimento (sì, questa crisi colpirà in maniera molto più forte il Nord per chi non l’ha capita, trasformando quelle regioni in una Romania post comunista nel giro di qualche anno). Servirebbe altro, e io credo servirebbe soprattutto una presa di coscienza da parte delle popolazioni del Nord. Il progetto strategico della Seconda Repubblica che si è sostanziato nel saccheggio e nella colossale deindustrializzazione del Sud Italia per tenere agganciato il Nord Italia al motore produttivo europeo è tragicamente fallito. Al Sud non ci sono le risorse per sostenere niente e nessuno: le banche del Sud sono già state acquistate dalle banche del Nord, quindi il risparmio dei frugali meridionali (gli olandesi ci fanno una pippa a quattro mani) viene già usato per sostenere il sistema produttivo del Nord, lavori pubblici qui non si fanno da trenta anni (al Sud non c’è corruzione perchè manca la materia del contendere, la Svizzera a noi ci fa un baffo) quindi non c’è nulla da dirottare, le Università e la Sanità sono già state svuotate (noi facciamo il turismo sanitario ). Ora volete i due spicci dei dipendenti pubblici? Prendeteveli, buon pro’ vi faccia, se volete credere che bastino per recuperare, auguri.

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Due importanti traduzioni dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung. La prima è un articolo del parlamentare europeo tedesco Simon Sven (che peraltro è anche un giurista) sull’altro tema rilevante della sentenza del 5 Maggio di Karlsruhe, ovvero il conflitto tra Corte di Giustizia Europea e Corte di Karlsruhe. La seconda è invece relativa alla pretesa dell’Olanda e dei paesi frugali di avere il veto sui Recovery Fund (e infatti la Merkel vuole togliere la competenza alla Commissione per darla al Consiglio). Ecco, per chi vuole informarsi veramente, chi non vuole capire invece può continuare a leggere gli imperdibili pezzi de La Repubblica e del Corriere. Poracci.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-prof_simon_sve…/…/…

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-faz__i_paesi_b…/…/…

Quando Algeri si scuserà per la tratta degli schiavi in ​​Europa?_di Bernard Lugan

La storia offre argomenti, ma anche alibi e pretesti_Giuseppe Germinario
In questi tempi di pentimento ed etno-masochismo, dal momento che coloro che è difficile designare oltre al termine dei nemici, dato il loro comportamento nei confronti della Francia, si divertono a destreggiarsi nel contesto storico , quindi facciamo lo stesso.
L’Algeria economicamente angosciata, rovinata dai profittatori del Sistema che dal 1962 hanno metodicamente ingrassato saccheggiando le sue risorse, ha quindi l’incoscienza di chiedere scuse alla Francia. Perché non, inoltre, poiché, come diceva Etienne de la Boétie: “Sono fantastici solo perché siamo in ginocchio”?
Quindi scuse per aver tracciato in Algeria 54.000 chilometri di strade e binari (80.000 con i binari sahariani), 31 strade nazionali di cui quasi 9.000 chilometri asfaltati, costruito 4.300 km di ferrovie, 4 porti attrezzati secondo gli standard internazionali, 23 porti attrezzato (di cui 10 accessibili alle grandi navi mercantili e di cui 5 che potrebbero essere serviti da navi da crociera), 34 fari marittimi, una dozzina di aeroporti principali, centinaia di strutture (ponti, tunnel, viadotti, dighe ecc.) , migliaia di edifici amministrativi, caserme, edifici ufficiali, 31 centrali idroelettriche o termiche, cento importanti industrie nei settori dell’edilizia, della metallurgia, dell’industria del cemento ecc., migliaia di scuole, d istituti di formazione, scuole superiori, università con 800.000 bambini iscritti in 17000 classi (come molti insegnanti, due terzi dei quali sono francesi), un ospedale universitario da 2.000 letti ad Algeri, tre grandi h ospedali delle città principali di Algeri, Orano e Costantino, 14 ospedali specializzati e 112 ospedali polifunzionali, la cifra eccezionale di un letto per 300 abitanti. Per non parlare di una fiorente agricoltura lasciata incolta dopo l’indipendenza, tanto che oggi l’Algeria deve importare concentrato di pomodoro, ceci e persino semola per il couscous …
Tuttavia, tutto ciò che la Francia lasciò in eredità in Algeria nel 1962 fu costruito dal nulla, in un paese che non era mai esistito e il cui nome le era stato persino dato dal colonizzatore … Tutto era stato pagato dal Tasse francesi. Nel 1959, tutte le spese combinate, l’Algeria ha assorbito il 20% del bilancio dello Stato francese, più dei bilanci combinati di istruzione nazionale, lavori pubblici, trasporti, ricostruzione e alloggio, “Industria e commercio! (Vedi su questo argomento il mio libro Algeria History at the place ).
L’Algeria chiese, e su questo punto come non essere d’accordo, che la Francia restituisse i teschi dei combattenti sconfitti dall’esercito francese durante la conquista. Ma poi, che dire dei resti di decine di migliaia di schiavi europei tra cui migliaia di francesi rapiti in mare o da incursioni costiere, morirono in Algeria e seppellirono nella periferia di Algeri in quello che, prima della conquista, era designato come cimitero dei cristiani? È infatti a decine di migliaia che uomini, donne e bambini europei sono stati presi in mare o rapiti a terra da pirati barbareschi. Dal 1689 al 1697 Marsiglia perse 260 pescherecci o barche e diverse migliaia di marinai e passeggeri, tutti ridotti in schiavitù. Nel 1718, la contessa di Bourk, i suoi figli e i suoi servitori che si erano imbarcati a Sète per raggiungere il marito ambasciatore in Spagna via Barcellona furono catturati in mare e la piccola Marie-Anne du Bourk, all’età di 9 anni, fu acquistata nel 1720.
Grazie alle notizie dei padri degli ordini religiosi noti come “redenzione dei prigionieri”, sia che si tratti dell’Ordine dei Trinitari fondato da Jean de Matha e Félix de Valois, o dei Padri della Misericordia, dei Mercedari, un ordine religioso fondato da Pierre Nolasque, conosciamo i nomi di migliaia di schiavi riscattati, così come le loro città o villaggi di origine, tuttavia, a causa della mancanza di mezzi, decine di migliaia di altri non furono e morirono in catene .
Padri dell’Ordine dei Trinitari che negoziavano l’acquisto di schiavi francesi ad Algeri all’inizio del XVII secolo.

Nel 1643, padre Lucien Herald, sacerdote dell’Ordine della Trinità e redenzione dei prigionieri , tornò in Francia con 50 infelici francesi che aveva appena acquistato dagli schiavisti algerini. Mancanza di mezzi, morte nella sua anima, si era lasciato alle spalle diverse migliaia di altri francesi, per non parlare delle migliaia di schiavi appartenenti ad altre nazioni europee rapite in mare o sulla costa.

In una lettera di grande potere di testimonianza indirizzata ad Anna d’Austria, regina reggente del regno di Francia, padre Herald si fece interprete dei prigionieri, rivolgendosi alla regina per loro, al fine di chiederle assistenza finanziaria per riacquistarli. Una lettera che dovrebbe chiudere le pretese e le richieste di scuse dei discendenti degli schiavisti algerini: ” Lacrime e clamori dei Chrestiens francesi della nazione, prigionieri nella città di Algeri a Barbary, indirizzati alla regina reggente, da RP Lucien Heraut , Religiosa dell’Ordine della Trinità e redenzione dei prigionieri, 1643 .

“(…) come al solito accade ai vassalli di tua Maestà, che languiscono miseramente nell’orribile schiavitù (…) questa stessa necessità rivolta ai piedi della sua misericordia e della sua bontà reale, lacrime e sospiri di oltre duemila François della nazione degli schiavi nell’unica città di Algeri a Barbary, nel cui luogo si esercitano le più grandi crudeltà che lo spirito umano può escogitare e gli unici spiriti infernali inventano.

Non è, signora, una semplice esagerazione (…) di quelli che purtroppo caddero nelle grinfie di questi mostri africani e che si risentirono, come noi, della loro infernale crudeltà, durante la lunga permanenza di un duro prigionia, i rigori di cui sperimentiamo giorno per giorno con nuovi tormenti: fame, sete, freddo, ferro e forca (…) ma è certo che i turchi e i barbari stanno facendo offerte oggi- soprattutto, inventando nuovi tormenti quotidiani, contro coloro che vogliono prostituire miseramente, in particolare verso i giovani, prigionieri dell’uno e dell’altro sesso, al fine di corromperlo per portare a peccati così orribili e famigerati, di cui non hanno alcun nome, e che si impegnano solo tra questi mostri infernali e la furia e quelli che resistono alle loro brutali passioni, vengono scorticati e fatti a pezzi con le percosse, i pendenti tutti nudi su un pavimento ai piedi, strappando le unghie, bruciando il suole dei piedi con torce accese, così che molto spesso muoiono in questo tormento. Alle altre persone anziane portano catene di oltre cento chili di peso, che tradiscono miseramente ovunque siano costrette ad andare, e dopo tutto ciò se vieni a mancare il minimo fischio o il minimo segnale che lo fanno, per eseguire i loro comandamenti, di solito siamo picchiati sulla pianta dei piedi, il che è un dolore intollerabile, e così grande, che spesso ci sono alcuni che muoiono per esso, e quando hanno condannato una persona a seicento colpi di lotte, se viene a morire prima che questo numero sia completato, non smettono di continuare ciò che rimane sul cadavere.

Gli impalamenti sono ordinari e la crocifissione è ancora praticata tra questi dannati barbari, in questo modo legano il povero paziente in una scala e inchiodando i suoi due piedi e entrambe le mani, poi dopo aver sollevato detto Scala contro un muro in un luogo pubblico, dove alle porte e agli ingressi delle città (…) e talvolta anche tre o quattro giorni languiscono senza che gli sia permesso di dare alcun sollievo.

Altri sono scuoiati vivi, e la quantità di lentini lentamente, specialmente quelli che bestemmiano o disprezzano il loro falso profeta Maometto, e alla minima accusa e senza alcuna altra forma di processo, vengono trascinati in questo rigoroso tormento, e lì attaccano tutto nodi con una catena su un palo e un fuoco lento tutto intorno disposti in un cerchio, venticinque piedi o di diametro circa, al fine di farli rimanere nel tempo libero e tuttavia servirli come hobby, altri sono agganciati a torri o porte della città, con punte di ferro, dove spesso languiscono a lungo.

Spesso vediamo i nostri compatrioti morire di fame tra quattro muri e nei buchi che fanno nel terreno, dove li mettono in vita, e quindi muoiono miseramente. Recentemente è stato praticato un nuovo tipo di tormento contro un giovane dell’arcivescovo di Rouen per costringerlo a lasciare Dio e la nostra santa religione, per la quale è stato incatenato con un cavallo in campagna, il ‘spazio di venticinque giorni, in balia del freddo e del caldo e di una serie di altri inconvenienti, che non potevano più sopportare il fallimento del nostro santo pidocchio.

Mille di queste crudeltà rendono spesso il più coraggioso apostasi, e anche il più colto e abile: come accadde all’inizio di quest’anno nella persona di un padre giacobino di Spagna, che fu tenuto prigioniero e non poté sopportare così tanti miseri, fecero professione del loy di Maometto, in cui rimase circa sei mesi, durante i quali (…) aveva scandalizzato più di trentamila schiavi cristiani di tutte le nazioni (…) decise di essere bruciato vivo, che è la normale tortura di coloro che rinunciano a Maometto (…) dopo di che è stato gettato in una prigione buia e famigerata (…) Il Bascha lo ha portato alla tortura (…) è stato rosty lentamente fuori città vicino al Cimitiere des Chrestiens.

Non avremmo mai fatto, e saremmo troppo sgraditi nei confronti di Vostra Maestà, per raccontare al ghiaccio tutte le miserie e le calamità di cui soffriamo: basti dire che siamo gelidi come bestie povere, vendute e rivendute in luoghi pubblici presso la volontà di questi disumani, che in seguito ci trattano come cani, generano la nostra vita e noi la tratteniamo quando lo riterranno opportuno (…).Qualsiasi mormorio, signora, è più che sufficiente per spostare la tenerezza dei tuoi affetti reali verso i tuoi poveri soggetti in cattività i cui dolori sono innumerevoli e la continua morte nella noia di una vita così dolorosa (…) e perdere la anima dopo il corpo, salvezza dopo la libertà, sotto l’impazienza del pesante fardello di tante oppressioni, che vengono esercitate quotidianamente nel nostro popolo, senza alcuna considerazione di genere o condizione, vecchi o giovani , il forte o il debole: al contrario, ciò che sembra delicato, è noto per essere ricco e, di conseguenza, più maltrattato, al fine di costringerlo a un riscatto eccessivo, da lui o dal suo (…) imploriamo incessantemente, gettando continuamente sospiri in cielo per assorbire le grazie favorevoli alla conservazione di tua Maestà e di nostro Roy suo caro figlio, destinato da Dio a soggiogare questa nazione come infida come crudele, al grande desiderio di tutti i cattolici, in particolare quelli che languiscono in questo miserabile inferno di Algeri, parte del quale ha firmato questo requisito in termini di qualità, signora, dei suoi umili, molto obbedienti, fedeli servitori e vassalli più miserabili della terra, i cui nomi seguono secondo le diocesi e le province del tuo regno. “

Il numero di settembre di Afrique Réelle sarà un numero speciale dedicato al pentimento e alla schiavitù e, il 1 ° settembre, pubblicherò un libro chiamato Schiavitù, la storia dietro di esso , un’arma di confutazione di il doxa colpevole. I lettori di questo blog e gli abbonati alla rivista saranno informati non appena saranno pubblicati.

Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan

NON INDURRE IN TENTAZIONE…, di Teodoro Klitsche de la Grange

NON INDURRE IN TENTAZIONE…

Al fine di giudicare la complessa vicenda – o almeno la parte di essa più rilevante –Palamara – CSM non è inutile quell’invocazione del paternoster all’Onnipotente: non c’indurre in tentazione. Nei due fatti di “deviazione” della giustizia ai fini politici che occupano le prime pagine dei giornali: la sentenza contro Berlusconi di anni fa e la recente richiesta di processare Salvini, un ruolo di grande rilievo hanno le innovazioni legislative e costituzionali successive a Tangentopoli, in particolare, da ultimo, la legge “Severino” del non rimpianto governo Monti.

Presupposto delle quali è la pretesa lesione del diritto di uguaglianza, che avrebbe provocato o comunque incentivato il malaffare dei politici. Questo è difficilmente perseguibile perché la giustizia “politica” – cioè con oggetto e/o soggetto politico – è (per sua natura) derogatoria sia delle competenze che delle procedure ordinarie, onde le deroghe apparivano (e sono viste) come vulnera del principio d’uguaglianza dei cittadini. I quali così, anche ai fini penali, sono distinti in governati e governanti: i primi soggetti alla legge, i secondi alle di essa “eccezioni”. A cui si aggiunge anche la lesione dei principi dello “Stato di diritto”.

Non è così: sin dai primi teorici (e dalle disposizioni delle costituzioni) degli Stati borghesi – risulta che la giustizia politica non può che essere derogatoria di quella ordinaria.

Scriveva Constant circa due secoli orsono per sostenere, nelle accuse ai ministri, la deroga della competenza dei Tribunali ordinari a favore della pairie che “La messa sotto accusa dei ministri è, di fatto, un processo tra il potere esecutivo e il potere del popolo. Occorre dunque, per condurlo a termine, ricorrere a un Tribunale che abbia un interesse parimenti distinto da quello del popolo e da quello del governo e che tuttavia sia unito da un altro interesse sia a quello del governo sia a quello del popolo” che individuava nella camera dei pari; ciò perché “La Camera dei pari è dunque, per l’indipendenza e la neutralità che la caratterizzano, il giudice adatto dei Ministri”, e così a decidere della pubblica accusa (cioè di iniziare l’azione penale) i più adatti sono i rappresentanti della Nazione (altra deroga); mentre i “tribunali ordinari, possono e debbono giudicare i ministri colpevoli di attentati contro gli individui; ma i loro membri sono poco adatti a pronunciare su cause che sono piuttosto politiche che giudiziarie; sono più o meno estranei alle conoscenze diplomatiche,, alle combinazioni militari, alle operazioni finanziarie: conoscono solo imperfettamente la situazione dell’Europa, hanno studiato soltanto i codici delle leggi positive, sono costretti dai loro doveri abituali a consultare soltanto la lettera morta e a chiederne soltanto la stretta applicazione”. Non aveva pensato Constant, al fatto che anche i tribunali ordinari possono essere sedotti dallo spirito partigiano, e giudicare secondo il medesimo, come rimproverato anche da alcuni magistrati nelle conversazioni intercettate. E se si considerano le opinioni dei giuristi negli ultimi due secoli, divergono poco o punto da quella di Constant.

Il carattere derogatorio è giustificato dai quei pensatori, sia dalla possibilità di sottrarre i ministri a vendette politiche, sia ad applicazioni di norme senza tener conto dell’interesse generale, sia all’indipendenza superiore di organi speciali rispetto ai tribunali ordinari. Non s’immaginava che gli organi giudiziari (ordinari) si trasformassero in soggetti politici, interloquenti e contrattanti con altri soggetti, politici a tutto tondo, come parlamentari, leaders, componenti del governo. E non solo per l’attività amministrativa del CSM, come la nomina dei dirigenti degli uffici o la giustizia disciplinare. Ma per la condanna o l’accusa giudiziaria di uomini di governo, cioè per la perversione del fine della giustizia, strumentalizzato ai fini della lotta politica.

Ma per riuscire compiutamente a ciò occorre che l’esito dell’azione giudiziaria intrapresa si traduca in risultato istituzionale: cioè nell’allontanamento/perdita delle cariche rivestite del politico condannato.

E questa è la prima tentazione alla perversione della giustizia e del pari il punto di frizione tra principi dello Stato borghese e principi di forma politica. Perché se da una parte trattare diversamente chi è giudicato è lesivo dell’isonomia, rimuovere dall’incarico chi è stato nominato dal potere politico – in una democrazia dal popolo – è lesivo sia della distinzione dei poteri (cioè di uno dei principi dello Stato borghese) che dell’essenza e supremazia del “politico”. Come scrive Schmitt “la democrazia è una forma essenzialmente politica, mentre la giurisdizione invece è essenzialmente non politica, poiché dipende dalla legge generale… in uno Stato democratico il giudice è indipendente, se deve essere un giudice e non uno strumento politico. Ma l’indipendenza dei giudici non può mai essere qualcosa di diverso dall’altro aspetto della loro dipendenza dalla legge”.

Proprio il carattere derogatorio della giustizia politica serve a garantire sia la distinzione dei poteri che la superiorità del politico e l’indipendenza del giudice. Ma per far questo occorre che sentenze e altri provvedimenti del giudice non incidano sulle decisioni politiche (e democratiche), in particolare sulle cariche elettive, e soprattutto degli organi rappresentativi. Se l’organo competente a mantenere (o esautorare) un eletto è un ufficio giurisdizionale (come nelle conseguenze alla legge Severino) questo diventa (quanto agli effetti) un organo di direzione politica. Come mi è capitato di scrivere tempo fa “Avendo il potere di carcerare chi governa – nei fatti rimuovendolo – a decider chi deve governare sarebbero i Tribunali e non i governati che li hanno eletti.

Per ovviare a questo evidente inconveniente un giurista francese, Duguit, riteneva che l’organo di governo (nella specie il Capo dello Stato) potesse continuare a svolgere le proprie funzioni pur in stato di detenzione.

A questa soluzione Orlando replicava ironicamente: come avrebbe fatto il Presidente detenuto a ricevere un ambasciatore o anche un altro capo di Stato invece che all’Eliseo, «in una cella della prigione della Santé»?

E il giurista siciliano continuava qualificando impostazioni come quelle “aberrazioni, contro cui resiste la forza delle cose” cioè la realtà dell’istituzione politica, nella quale, con riguardo al problema, occorre conciliare il principio di responsabilità  con la necessità dell’inviolabilità (assoluta o relativa) di determinati organi dello Stato. Cosa che si realizza nella democrazia, rimettendo il giudizio sul governante ai governati, cioè al corpo elettorale, che come ha il potere di eleggerlo, così quello di rimuoverlo (direttamente o indirettamente)” (v. Giudici e governo, Italia e il mondo 19/02/2019).

Per questo incolpare solo i giudici o solo il dr. Palamara della “perversione” è parziale e…ingeneroso. La realtà è che, proprio a quel fine distorto, sono stati predisposti da tempo gli strumenti adatti. E i peccati di oggi sono le conseguenze di quelle tentazioni, predisposte proprio al fine di farli commettere. In nome dell’uguaglianza e dello Stato di diritto, per di più.

Teodoro Klitsche de la Grange

La trappola di Tucidide e l’ascesa e la caduta di grandi potenze, di Jacek Bartosiak

La trappola di Tucidide e l’ascesa e la caduta di grandi potenze

Una teoria usata per spiegare la guerra del Peloponneso può essere applicata anche alle crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Di: Jacek Bartosiak

Circa 2.400 anni fa, Tucidide, uno storico greco e autore di “Storia della guerra del Peloponneso”, ha espresso una visione che risuona nel pensiero strategico fino ad oggi. Sosteneva che la vera causa della guerra del Peloponneso era il rapido aumento del potere di Atene e la paura che questo suscitava a Sparta, che finora aveva dominato la Grecia. L’autore Graham Allison ha usato questo concetto nel suo libro “Destined for War”, in cui ha descritto il rapporto tra Stati Uniti e Cina come un esempio di “trappola di Tucidide” – l’idea che il declino di un potere dominante e l’ascesa di un il potere in competizione rende inevitabile la guerra tra i due.

Tucidide focalizzò i suoi scritti e le sue analisi sulle tensioni strutturali causate da un netto cambiamento nell’equilibrio di potere tra rivali. Ha sottolineato due fattori principali che contribuiscono a questo cambiamento: il crescente bisogno di convalida del potere aspirante e la sua richiesta, implicita o esplicita, di una voce più ampia e un posto strategico nelle relazioni multilaterali; e la paura e la determinazione del potere attuale di difendere lo status quo.

Nel V secolo a.C., Atene emerse come una forza potente che in pochi decenni era diventata una potenza marittima mercantile, possedendo risorse finanziarie e ricchezza ma raggiungendo anche il primato nel mondo greco nei campi della filosofia, della storia, della letteratura, dell’arte, dell’architettura e al di là. Ciò irritò gli spartani, il cui stato era fondato sul potere terriero dominante in Grecia durante il secolo precedente.

Come sosteneva Tucidide, il comportamento di Atene era comprensibile. Con il suo potere crescente, anche la sua fiducia aumentò, così come la consapevolezza delle ingiustizie passate e la determinazione a correggere i torti commessi contro di essa. Altrettanto naturale, secondo Tucidide, era il comportamento di Sparta, che interpretava il comportamento di Atene come ingrato e una minaccia al sistema che Sparta aveva creato e sotto il quale Atene era in grado di emergere come una grande potenza. Questa combinazione di fattori ha provocato tensioni strutturali e, successivamente, una guerra che ha devastato la Grecia.

Oltre allo spostamento obiettivo nell’equilibrio del potere, Tucidide ha attirato l’attenzione sulla percezione della situazione da parte dei leader spartani e ateniesi, che ha portato a un tentativo di aumentare il proprio potere attraverso alleanze con altri paesi nella speranza di ottenere un vantaggio strategico rispetto al loro rivale.

La lezione che ci ha dato Tucidide, tuttavia, è che le alleanze sono un’arma a doppio taglio. Quando scoppiò un conflitto locale tra Kerkyra (Corfù) e Corinto, Sparta sentì che, per mantenere l’equilibrio, doveva aiutare il suo vassallo, Corinto. La guerra del Peloponneso iniziò quando Atene venne in difesa di Kerkyra dopo che i leader di Kerkyra convinsero gli Ateniesi che una guerra di fatto con Sparta era già in corso. Corinto convinse anche gli spartani che, se non avessero attaccato l’Attica, sarebbero stati attaccati dagli stessi Ateniesi. Corinto accusò gli spartani di aver frainteso la gravità della minaccia di mantenere un favorevole equilibrio di potere in Grecia. Sebbene Sparta alla fine vinse la guerra del Peloponneso, sia Atene che Sparta uscirono dal conflitto trentennale in rovina.

Alleati di guerra del Peloponneso
(clicca per ingrandire)

La trappola di Tucidide, che molti chiamano ora un “dilemma di sicurezza”, può essere vista anche nel contesto delle relazioni USA-Cina.

Gli Stati Uniti sono preoccupati per la crescente potenza economica e le capacità militari della Cina, ritenendo che potrebbe sfidare il primato degli Stati Uniti e l’architettura di sicurezza esistente nel Pacifico occidentale e nell’Asia orientale. La Cina, nel frattempo, teme che, finché gli americani saranno presenti in questa parte del mondo, limiteranno la legittima crescita del potere e dell’influenza cinese.

Lo scienziato politico Joseph Nye ritiene che il grilletto chiave nella trappola di Tucidide sia una reazione eccessiva alla paura di perdere il proprio status di potere e le prospettive di sviluppo futuro. Nel caso di Washington e Pechino, il relativo declino del potere americano e il rapido aumento del potere cinese destabilizzano le loro relazioni e ne rendono difficile la gestione. Il generale Martin Dempsey, allora presidente del Joint Chiefs of Staff of the US Armed Forces, ha anche ammesso nel maggio 2012 che il suo compito principale era quello di garantire che gli Stati Uniti non cadessero nella trappola di Tucidide.

A seguito della lenta ma evidente erosione della posizione degli Stati Uniti nel Pacifico occidentale, è altamente ipotizzabile che possa emergere uno scenario in cui l’attuale egemon è tentato di condurre una controffensiva strategica in risposta a un incidente, anche banale, nel Mar Cinese Meridionale o nel Mar Cinese Orientale, credendo falsamente di avere un vantaggio rispetto al suo rivale inferiore. Ciò innescherebbe una moderna trappola di Tucidide.

Una lettura approfondita del lavoro di Tucidide rivela una seconda trappola, ancora più complessa e pericolosa della prima. Tucidide avvertì chiaramente che né Sparta né Atene volevano la guerra. Ma i loro alleati e stati vassalli riuscirono a convincerli che la guerra era inevitabile comunque, il che significava che entrambe le città-stato avrebbero dovuto ottenere un vantaggio decisivo in una fase iniziale del confronto crescente. Pertanto, decisero di entrare in guerra dopo essere stati invitati a farlo dai loro stati vassalli.

Secondo una ricerca condotta nel 2015 da un team guidato da Graham Allison presso il Belfer Center for Science and International Affairs di Harvard, 12 casi storici su 16 risalenti agli ultimi 500 anni e con somiglianze con quelli descritti sopra da Tucidide si sono conclusi in una guerra di dominio. Rilasciare la tensione competitiva, se possibile, ha sempre richiesto enormi e spesso dolorosi aggiustamenti alle aspettative, allo status e alla posizione internazionale.

Come ricorda Allison, otto anni prima dello scoppio della prima guerra mondiale, il re britannico Edoardo VII chiese al primo ministro britannico perché non vi fosse disaccordo con suo nipote, l’imperatore tedesco Guglielmo II, quando la vera minaccia per l’impero britannico erano gli Stati Uniti. Il primo ministro ha chiesto una risposta adeguata sotto forma di un memorandum dal capo del Ministero degli Esteri, Eyre Crowe.

Il memorandum, consegnato al re il giorno di Capodanno del 1907, era, come scrive Allison, “un diamante negli annali della diplomazia”. La logica al suo interno era veramente coerente con quella di Tucidide: la chiave per comprendere la minaccia tedesca era capire la capacità della Germania, nel tempo, di schierare non solo l’esercito più forte del Continente ma anche la flotta più forte, data la crescente forza del tedesco economia e vicinanza della Germania alla Gran Bretagna. Pertanto, indipendentemente dalle intenzioni tedesche, la Germania rappresenterebbe una minaccia esistenziale per la Gran Bretagna, il suo potere marittimo e la sicurezza delle rotte di comunicazione che collegano la metropoli con le colonie che rappresentavano la spina dorsale dell’impero.

Tre anni dopo, sia il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt sia l’imperatore tedesco parteciparono al funerale di Edward. Roosevelt, egli stesso un appassionato sostenitore dell’espansione della flotta americana, chiese all’imperatore se la Germania avrebbe rinunciato a costruire una grande flotta. L’imperatore disse che la Germania era determinata a possedere una potente flotta e aggiunse che era cresciuto in Inghilterra, si sentiva in parte inglese e credeva che la guerra fosse impensabile.

A quel tempo, nel 1910, la guerra mondiale sembrava impossibile come adesso. Ma risulta che i legami culturali, spirituali, ideologici e persino familiari, nonché l’interdipendenza economica e il sistema commerciale globale, non sono sufficienti per prevenire i conflitti. Sia allora che ora.

Europa e Turchia in rotta di collisione sullo sfruttamento del Gas Naturale nel Mediterraneo Orientale? – di Piergiorgio Rosso

Europa e Turchia in rotta di collisione sullo sfruttamento del Gas Naturale nel Mediterraneo Orientale? – di Piergiorgio Rosso

Nel luglio 2019 i ministri degli esteri della UE hanno deciso di sanzionare la Turchia qualora continuasse le attività di perforazioni esplorative al largo di Cipro, considerate dall’UE “illegali”. Le sanzioni non sono ancora state attivate. Da notare che le prime analisi sismiche eseguite dai turchi nella zona di interesse economico (EEZ) cipriota risalgono al 2014 (!!) La Turchia ha risposto che le sue operazioni si svolgono in acque appartenenti alla sua piattaforma continentale o in zone di interesse dei Turco-Ciprioti.

La UE non ha oggettivamente molte frecce al suo arco: si consideri che la Turchia ospita ca. 3,5 milioni di rifugiati e che l’UE paga la Turchia per evitare che questi proseguano il loro viaggio verso l’Europa. Senza dimenticare che Istanbul è un partner NATO.

Peraltro anche la Turchia non ha molte strade per assicurarsi lo sfruttamento dei giacimenti che dovesse trovare: carente di tecnologia propria e non potendosi affidare alle società occidentali del settore oil&gas, dovrebbe rivolgersi ai russi. Mosca sarebbe però riluttante verso una collaborazione che la costringerebbe a rompere con i ciprioti con i quali ha storici rapporti di tipo economico e culturale-religioso. E’ dunque probabile che si arrivi ad un compromesso che permetta alla Turchia di godere di una parte della ricchezza energetica che il Mediterraneo Orientale promette di contenere. La questione vera si giocherà dunque sul percorso che il gas naturale cipriota – ma anche quello israeliano – seguirà.

Abbiamo già discusso ampiamente qui e qui le implicazioni industriali e geopolitiche del progetto di gasdotto EastMed. Di nuovo c’è che Turchia e Libia – o meglio il governo riconosciuto di Al Sarraj (GNA) appoggiato dalla Fratellanza Musulmana – hanno stipulato proprio nel novembre 2019 un Memorandum d’Intesa che definisce i reciproci confini marittimi (vedi figura 1).

Figura 1 – Piattaforma continentale libica e turca

Se non fosse chiaro il “disegnino” – che si sovrappone al percorso dell’EastMed – il Ministro degli esteri turco ha dichiarato: “ …questo accordo rappresenta anche un messaggio politico per il quale la Turchia non può essere esclusa nel Mediterraneo Orientale e nessun progetto potrà essere portato a termine in questo settore senza la partecipazione turca …”. In pratica un blocco al progetto se non il definitivo de profundis.

Sembra evidente che la Turchia stia perseguendo in modo determinato i suoi interessi strategici per esercitare nella zona influenza ed egemonia al di là della questione del gas naturale cipriota.

Reindirizzare sulla penisola anatolica – sfruttando il gasdotto esistente TANAP – il gas che in futuro si potrebbe estrarre nel Mediterraneo Orientale rappresenta un ovvio obiettivo sia per soddisfare il fabbisogno energetico interno sia per guadagnare una posizione di hub, cioè di intermediario fra paesi produttori – Azerbajan, Cipro, Israele – e consumatori dell’Europa Centro-Orientale.

D’altra parte è altrettanto evidente che con il Memorandum e con l’intervento militare decisivo in Libia, la Turchia potrà inserirsi nel gioco esteso che vede competere nel Mediterraneo Orientale USA, Russia, Israele, Egitto, Arabia Saudita, Emirati, tagliando fuori UE, Grecia e Cipro praticamente impotenti nella zona.

E l’Italia? Non pervenuta …

Terre rare, la green tech è solo un’illusione di Giuseppe Gagliano

Un breve articolo che riesce a ricondurre e richiamare in termini realistici tematiche tanto in voga come quelle dell’ecologismo e dell’economia circolare che rischiano spesso e volentieri di cadere in schematismi semplicistici e dal sapore messianico_Giuseppe Germinario

L’errore grossolano che viene commesso quando ci si approccia alla green tech è quello di pensare che la transizione energetica digitale sia indipendente dal suolo e cioè dei metalli rari. L’analisi di Giuseppe Gagliano

 

Secondo una delle migliori indagini giornalistiche sul ruolo dei metalli rari nel contesto della politica attuale condotte dal giornalista francese Guillaume Pitron — collaboratore di Le Monde Diplomatic e del National Geographic — nel saggio edito in italiano con il titolo La Guerra dei metalli rari (Luiss, 2020), contrariamente all’opinione comune la tecnologia informatica richiede lo sfruttamento di rilevanti quantità di metalli. Pensiamo per esempio che ogni anno l’industria elettronica consuma qualcosa come 320 t di oro e 7500 t di argento oltre al 22% di mercurio e fino al 2,5% di piombo.

Ad esempio la fabbricazione dei computer così come dei telefoni cellulari implica l’uso del 19% della produzione di metalli rari come il palladio e il 23% del cobalto senza naturalmente trascurare la quarantina di altri metalli contenuti di solito nei telefoni cellulari.

In altri termini la fabbricazione di un microchip da due grammi implica di per sé la creazione di 2 kg circa di materiale di scarto.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale di Internet è necessario pensare che le nostre azioni digitali hanno un costo: una mail con un allegato utilizza elettricità di una lampadina a basso consumo di forte potenza per un’ora.

Ogni ora vengono scambiati nel mondo qualcosa come 10 miliardi di e-mail a e cioè 50 gigawatt/ora, cioè l’equivalente della produzione elettrica di 15 centrali nucleari in un’ora.

Per quanto riguarda poi la gestione dei dati in transito e il funzionamento dei sistemi di raffreddamento, un solo data center consuma ogni giorno altrettante energia di una città di 30.000 abitanti. Insomma il settore delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni consumo il 10% dell’elettricità mondiale e produce ogni anno circa il 50% in più di gas a effetto serra rispetto per esempio al trasporto aereo.

L’errore grossolano che viene commesso quando ci si approccia alla green tech è insomma quello di pensare che la transizione energetica digitale sia indipendente dal suolo e cioè dei metalli rari.

Anche se il petrolio venisse sostituito per intero la civiltà si troverà ad affrontare una nuova assuefazione e cioè quella dei metalli rari.

https://www.startmag.it/energia/terre-rare-la-green-tech-e-solo-unillusione/?fbclid=IwAR3AiodM6xlojq3C6ewmPk9vIhyVvL53VAOeJpECqY1VGMxvDNyDv-HmrnE

Libia: negoziazione o divisione?_ di Bernard Lugan

Libia: negoziazione o divisione? In Libia, dove l’esercito turco ha respinto le forze del maresciallo Haftar e dove il Cairo ha ordinato ad Ankara di non avanzare verso Sirte, il conflitto è inevitabile? Tutto dipenderà dagli obiettivi dei principali giocatori stranieri coinvolti nel campo. Il 7 novembre 2019 (vedi la mia analisi del 5 gennaio 2020), la Turchia ha agito come uno “stato pirata” firmando con la GUN, il governo dell’Unione nazionale installato a Tripoli, un accordo che ridefinisce le zone economiche esclusive (ZEE ) di entrambi i paesi. Concluso in violazione del diritto marittimo internazionale ea spese della Grecia e di Cipro, questo accordo afferma di tracciare un confine marittimo turco-libico nel mezzo del Mediterraneo in modo artificiale e illegale. La realizzazione di questo accordo passando per la sopravvivenza della GUN, il 2 gennaio 2020, il parlamento turco ha votato l’invio di forze di combattimento in Libia. Basandosi sia sulla solita codardia degli europei che sulle contraddizioni della NATO, il presidente Erdogan fa avanzare le sue pedine sul filo del rasoio, sapendo di beneficiare della benevola neutralità degli Stati Uniti la cui priorità è ” evitare di fondare una base russa in Cirenaica. Nel fare ciò, l’erratica amministrazione americana corre il rischio di provocare sia l’intervento militare dell’Egitto, una rottura all’interno della NATO e tensioni con i suoi alleati sauditi, emirati e israeliani. La Russia sta guardando in silenzio. La Libia non è un grande obiettivo per lei, il suo interesse non è quello di manifestarsi con la Turchia in un momento in cui quest’ultima si sta allontanando ulteriormente dalla NATO e dall’UE. Tuttavia, sorgono due domande:

1) La Grecia, un membro della NATO e dell’UE, e Cipro, un membro dell’UE, possono accettare il ricatto turco e hanno i mezzi per opporvisi?

2) L’UE rinuncerà alla Turchia, lasciando alla Turchia il controllo di due dei principali rubinetti della sua fornitura di gas, vale a dire EastMed e Turkstream?

Nonostante le dichiarazioni marziali, prima o poi la negoziazione riprenderà. Alla conferenza di Berlino dello scorso gennaio, la condivisione del potere su basi molto federali era stata quasi stabilita, ma i negoziati si erano finalmente bloccati sul posto da consegnare al maresciallo Haftar. Tuttavia, ora è fuori gioco … Qualsiasi piano di pace porterà quindi alle elezioni e, dato che tutti i protagonisti vengono screditati, l’unico in grado di essere supportato sia da un elettorato in Tripolitania che in Cirenaica sembra essere Seif-al-Islam, il figlio del colonnello Gheddafi a cui è stato spiccato un mandato di arresto internazionale … Il presidente Déby, i cui oppositori sono installati a Fezzan, sta seguendo con interesse l’evoluzione della situazione in Libia perché le forze di MisrataGUN-Turchia godono attualmente di un vantaggio; le tribù di Fezzan quindi si raduneranno ad esse. L’acquisizione del Fezzan da parte della GUN avrebbe conseguenze per Barkane perché la Turchia potrebbe quindi aiutare direttamente i gruppi terroristici saheliani … La NATO è sicuramente una grande famiglia … Bernard Lugan

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