L’Occidente non ha più tempo, di Irina Alksnis

Importante. Se questo report dell’agenzia Bloomberg rilanciato da Ria Novosti risponde al vero, gli Stati Uniti stanno preparando il quadro giuridico e politico per l’intervento in Ucraina della “coalition of the willing” proposta dal gen. (a riposo) David Petraeus nel settembre 2022. Sintesi: l’Ucraina non è più in grado di fornire le truppe sufficienti a resistere alla pressione russa. Dunque, intervento nella guerra ucraina di truppe di paesi membri della NATO, sotto la propria bandiera ma senza coinvolgere l’Alleanza atlantica, in seguito a richiesta di aiuto militare del governo ucraino. Truppe polacche, rumene, baltiche, etc., che entrano in conflitto con la Russia in Ucraina. Viene messo a rischio il territorio europeo, ma non il territorio statunitense. Ovviamente, questa decisione obbliga i russi a decidere se rispondere soltanto sul territorio ucraino, oppure anche sul territorio dei paesi che mostreranno la propria bandiera sul campo di battaglia ucraino. Dal pdv militare, è vantaggioso per la Russia colpire anche fuori dal territorio ucraino, per esempio i centri logistici polacchi, rumeni, etc. Dal pdv politico, è estremamente pericoloso farlo, perché sarebbe altrettanto difficile limitare il conflitto a interventi chirurgici: a colpi russi sul territorio polacco seguirebbero, incoraggiate dagli USA, ritorsioni polacche sul territorio russo, e così via in una serie di azioni e reazioni che potrebbero dar luogo a una escalation difficilissima da controllare. Roberto Buffagni

 

“L’Occidente non ha più tempo”. La NATO prepara l’Europa per l’invio in guerra

di Irina Alksnis*

L’agenzia Bloomberg, citando proprie fonti, ha riferito che uno di questi giorni i ministri della Difesa dei Paesi membri della NATO firmeranno un documento segreto che illustrerà le azioni dell’alleanza in condizioni di coinvolgimento simultaneo in un conflitto ad alta intensità ai sensi del quinto articolo della statuto dell’organizzazione, e anche – cosa più interessante – in eventi non coperti da questo paragrafo.

L’articolo 5 della Carta della NATO è il famosissimo paragrafo sulla difesa collettiva, quando l’aggressione contro uno dei membri dell’alleanza è considerata come un attacco all’organizzazione nel suo insieme, che comporta una risposta congiunta all’aggressione.

Il fatto che in realtà questo articolo sia una lettera fragile e che la NATO, se lo si desidera, avrà sempre l’opportunità di eludere l’intervento in qualsiasi conflitto, è stato detto a lungo e da molti. Ma l’insider di Bloomberg indica che Bruxelles sta attivamente gettando le basi proprio per un tale sviluppo di eventi – quando alcuni membri dell’alleanza saranno coinvolti in alcune ostilità in relazione alle quali la NATO non utilizzerà il quinto articolo.

Non ci vuole molto per cercare la causa di questi movimenti, si trova in superficie. Tanto più è chiaro che l’Occidente è caduto in una trappola lì: ha puntato tutto su una vittoria militare sulla Russia , ma chiaramente non torna. Nelle ultime settimane, le risorse mondiali più influenti e mainstream hanno scritto sempre più apertamente che e forze armate ucraine sono destinate alla sconfitta e nessuna fornitura di equipaggiamento occidentale le salverà.

La scommessa degli Stati Uniti e dell’Europa sulla vittoria sulla Russia per mano degli ucraini è già stata effettivamente vinta, il che significa che la questione di cosa fare dopo è all’ordine del giorno in modo più netto.

Se i fatti fossero accaduti qualche anno fa, l’Occidente avrebbe preso fiato, si sarebbe ritirato per un riordino militare e politico, per riprovarci qualche tempo dopo. È questa tattica che osserviamo da parecchi anni, quando dopo ogni duro, ma inefficace attacco al nostro Paese, seguiva un periodo di relativa calma e persino tentativi di normalizzare le relazioni tra i Paesi.

Il problema è che questa volta l’Occidente non ha tempo: il sistema globale mondiale, di cui è leader e principale beneficiario, si sta sgretolando, e sempre più velocemente. Non può permettersi di fermarsi e non può permettersi di ritirarsi. L’unica via d’uscita è andare avanti. E alla luce della diminuzione della riserva di mobilitazione ucraina, è necessario cercare nuova carne da cannone, e la sua fonte è ovvia: i paesi della NATO.

Ma qui entrano in gioco le sottigliezze interne delle relazioni nell’alleanza del Nord Atlantico. Il leader e l’attuale proprietario dell’organizzazione sono gli Stati Uniti. Hanno un interesse diretto, che non nascondono più, è gettare l’Europa nella fornace della guerra con la Russia (avendo ricevuto gravi vantaggi economici per questo), ma allo stesso tempo evitare uno scontro militare diretto con Mosca, poiché questo sarà inevitabilmente seguito da una catastrofe nucleare globale .

I piani della NATO annunciati da Bloomberg mirano a risolvere questo particolare problema. Da un lato, c’è un’attiva preparazione di procedure per ignorare il quinto articolo in caso di ostilità che coinvolga i paesi membri dell’organizzazione. D’altra parte, lo stesso documento segreto, secondo l’agenzia di informazione, è in gran parte dedicato al “raggiungimento degli obiettivi di spesa per la difesa”, cioè all’espropriazione dei membri più ricchi dei kulak, che per molti anni si sono ostinatamente sottratti allo stanziamento del famigerato due per cento del PIL per esigenze militari.

È chiaro che i polacchi e altri europei dell’Est sono i primi in fila per il sacrificio. Ma non c’è dubbio che gli Stati Uniti abbiano piani di vasta portata anche per l’Europa occidentale. E tenendo conto del successo di Washington nel soggiogare le élite locali e dirigere questi paesi lungo un percorso apertamente suicida, i piani degli americani di mandare il Vecchio Mondo al tritacarne sul fronte orientale, ancora una volta nella storia, potrebbero diventare realtà.

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24946-irina-alksnis-l-occidente-non-ha-piu-tempo-la-nato-prepara-l-europa-per-l-invio-in-guerra.html?fbclid=IwAR2CTJtO9InPFIE-7JHNHrFZ9YoNjNTkgPSgdDeIm0JnBX6jvf47qoNTsa8

La Cina ha lanciato una chiave inglese nella narrativa di Alt-Media negando che sia una minaccia per l’Occidente, di Andrew Korybko

Quelli della comunità Alt-Media che sostengono sinceramente la Cina dovrebbero immediatamente ricalibrare le loro narrazioni sulla sua politica nei confronti dell’Occidente dopo l’ultimo chiarimento del portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. La Repubblica popolare si difenderà sempre con orgoglio dall’aggressione non provocata di quel blocco de facto della Nuova Guerra Fredda, ma non si impegnerà mai nemmeno nelle sue aggressioni non provocate contro di loro. Fantasticare che la Cina sia ossessionata dalla lotta contro l’Occidente coltiva false aspettative sulla sua politica estera che a loro volta portano a confusione e delusione.

La Alt-Media Community (AMC) ha insistito per anni sul fatto che esiste una cosiddetta “alleanza sino-russa” che è unita in opposizione all’Occidente, la cui falsa affermazione è stata successivamente riciclata dal Mainstream Media (MSM ) per promuovere i propri interessi narrativi opposti polari. In realtà non esiste una tale “alleanza” , ma ciò non ha impedito all’AMC di negare che la Cina voglia allentare le tensioni con l’Occidente, soprattutto alla luce del recente incidente del pallone .

Invece, questa raccolta di presunti manager della percezione cinese ha presentato la narrativa fabbricata artificialmente nelle ultime due settimane, affermando che Pechino sta raddoppiando il suo grande corso strategico antiamericano e si sta preparando per un conflitto apparentemente inevitabile con quell’egemone in declino. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità, tuttavia, come dimostrato nientemeno che dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin nella sua risposta a una domanda posta dalla TASS russa giovedì.

Quando è stato chiesto di commentare il riferimento del Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg alla Cina come una sfida all’alleanza, questo rappresentante ufficiale dello stato ha affermato che “Abbiamo ripetutamente sottolineato che la NATO nel cosiddetto nuovo concetto strategico ignora i fatti, chiama nero bianco e persiste nel posizionare erroneamente la Cina come una sfida sistemica. La Cina è seriamente preoccupata per questo e si oppone fermamente”. In sole due frasi, la Cina ha screditato la letterale teoria del complotto dell’AMC sulle sue intenzioni.

Questo sviluppo per impostazione predefinita dà credito anche alle osservazioni precedenti sul suo sincero desiderio di concludere una nuova distensione con gli Stati Uniti, o una serie di compromessi reciproci volti a raggiungere una “normalizzazione” comparativa nelle loro relazioni in modo che possano poi lavorare insieme per rilanciare la globalizzazione . Ciò farebbe avanzare i loro grandi interessi strategici condivisi rispetto alla conservazione del duopolio di superpotenze bi-multipolari sino-americane che ha caratterizzato le relazioni internazionali fino allo scorso anno.

I due collegamenti ipertestuali precedenti si collegano ad analisi dettagliate su questi due concetti, proprio come quello sull’incidente del pallone nel primo paragrafo porta i lettori a una visione altrettanto profonda di quel recente evento, che dovrebbe essere rivisto da coloro che vogliono saperne di più su di loro. Sono oltre lo scopo della presente analisi, ergo perché sono solo collegati e non spiegati, dal momento che questo pezzo si concentra solo sull’attirare l’attenzione su come la Cina abbia appena screditato uno dei principali dogmi dell’AMC.

La realtà “politicamente scomoda” per questa collezione di manager della percezione è che la Cina non è interessata a intraprendere mosse ostili, dure o ostili contro il Golden Globe dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti Billion , ma piuttosto ha sempre preferito riforme graduali amichevoli, gentili e non ostili dell’ordine mondiale. Cambiamenti improvvisi nel sistema internazionale come quelli seguiti all’operazione speciale della Russia rischiano di interrompere quei processi di globalizzazione da cui dipende l’intera grande strategia della Cina .

Quelli dell’AMC che sostengono sinceramente la Cina dovrebbero quindi ricalibrare immediatamente le loro narrazioni sulla sua politica nei confronti dell’Occidente. La Repubblica popolare si difenderà sempre con orgoglio dall’aggressione non provocata di quel blocco de facto della Nuova Guerra Fredda , ma non si impegnerà mai nemmeno nelle sue aggressioni non provocate contro di loro. Fantasticare che la Cina sia ossessionata dalla lotta contro l’Occidente coltiva false aspettative sulla sua politica estera che a loro volta portano a confusione e delusione.

Gli analisti dovrebbero sempre aspirare ad articolare le politiche dei loro soggetti nel modo più accurato possibile per riflettere il modo in cui oggettivamente esistono, non distorcerle secondo i propri desideri soggettivi su ciò che dovrebbero o non dovrebbero essere. L’AMC è stato infettato dal cosiddetto ” pio desiderio ” sulla grande strategia cinese, e coloro che continuano a rifiutarsi di correggere le loro affermazioni al riguardo dopo l’ultimo controllo dei fatti di Wenbin potrebbero presto essere sospettati da alcuni di agire come agenti di disinformazione.

https://korybko.substack.com/p/china-threw-a-wrench-in-alt-medias?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=103238637&isFreemail=true&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

MASSA, POTENZA, ADATTAMENTO AL MONDO COMPLESSO, di Pierluigi Fagan

Fu un articolo di Agamben del 2013 ad attirare allora la mia attenzione sul saggio di Kojève che prospettava l’idea dell’Impero latino. Da allora seguii questa traccia del pensiero come alternativa tra l’idea di un pieno ritorno allo stato nazionale o la continuazione della tormentata confederazione economico-giuridica dell’UE. Le ragioni erano le stesse di Kojève anche se sono passati più di settanta anni e quindi il mio punto di partenza non aveva nulla a che fare con le contingenze ideologiche del sovranismo e dell’europeismo. Kojève è detto filosofo, ma quello che scrisse sull’Impero latino lo scrisse soprattutto come funzionario del governo francese di cui poi divenne esponente della burocrazia direttiva (nelle istituzioni OEEC-CECA-UNCATD-GATT). K restringeva l’idea di impero europeo di Kalergi, alla comunità dei popoli latini.
Del resto, anche Kalergi, venti anni prima, era partito dallo stesso problema di Kojève, problema che continuiamo ad avere: che rapporti di forza ci sono tra i popoli europei e quelli anglosassoni o russi o cinesi (Kalergi temeva il Giappone dati i suoi tempi o forse la madre) o oggi anche la vasta area asiatica che è un sistema con un certo grado di vari tipi di similarità, pur nelle sue ricche partizioni etniche? O attualizzando l’agenda: come gestiranno gli europei il problema dell’Africa che crescerà nei prossimi trenta anni circa di altri due terzi di popolazione, età media intorno ai venti anni, per un rilevante totale di 2,5 mld, in genere poveri mentre noi saremo 0,5 mld, in genere ricchi?
Europa è geopoliticamente per destino geografico obbligata a definire i suoi gradi di interrelazione con Asia, Arabia, Africa. Qualunque società vogliate immaginar desiderabile avere nei prossimi trenta anni, questa dovrebbe esser quanto più possibile in grado di autodeterminarsi, ma poiché gli europei vivono in un ambiente di potenze che tentano di usarla a loro fini o che domani potrebbero minacciarla, tale facoltà si ottiene solo con la potenza. La potenza non scaturisce di per sé dalla massa, ma ne ha precondizione. Non ha alcuna rilevanza se a voi la “potenza” non piaccia come concetto o idea, è il contesto eco-politico in cui viviamo ad imporla. Non ci piaceva neanche fino ad un anno fa ed infatti ci siamo svegliati con una guerra terribile all’uscio di casa perché ci occupavamo più delle nostre paturnie ideologiche interne invece di curare le nostre relazioni confinarie, capendo dove andava a parare il Grande Gioco del Mondo.
L’Italia da sola potrebbe fare molto di più in politica estera come mi sembra sottolinei sempre Caracciolo, tuttavia quella non sarà mai “potenza”. Gli stati nazionali europei emergono da una specifica geo-storia. Basta prendere un Atlante se vi fa fatica qualche libro di storia e capirete come questa parte di mondo sia dedita alla speciazione varietale. Ma se queste furono le condizioni imperfette di partenza, due guerre fratricide hanno suicidato ogni condizione di possibilità di poter esprimere potenza. Nessun stato europeo da solo, neanche la Germania, ha la massa degli asiatici, degli indiani, cinesi, americani e financo russi e contraendo le proprie possibilità sul tavolo dei globali, ne avrà progressivamente sempre di meno.
Quale fosse l’interesse dell’Europa sul problema russo-ucraino era chiaro: non far scoppiare nessuna guerra, mediare e costringerli a trovare e rispettare un ….. di accordo. L’hanno fatto? Non hanno fatto rispettare gli accordi di Minsk, poi si sono svegliati attoniti davanti al mantra dell’aggressore e dell’aggredito scendendo di fatto come fronte di una proxy war degli americani contro i russi ed in parte viceversa. L’interesse geostrategico dell’Europa era fare guerra al proprio fornitore di gas con cui confina e svenarsi in spese militari per supportare il proprio non interesse? Per quanto gli europei siano strani, tutto ciò si spiega solo con un profondo difetto di potenza. La sottomissione di una antica civiltà, ormai senile per quanto aliena alla saggezza come poche, la culla della “democrazia” e della filosofia, un clamoroso fallimento adattivo.
Quindi il problema è sempre quello dei nostri due K precedenti, come fondere popoli, per ottenere potenza?
Fondere popoli è esercizio complesso e la sua precondizione è data dalla cultura e dal tempo. Il tempo è necessario per compiere i molteplici processi di una tale costruzione, tempo storico che esonda di molti gradi l’attualità, chi vive nell’attualità non ha sufficiente spazio mentale per affrontare questa questione, non è in grado di ospitarla mentalmente. Chi davanti a questo argomento si mette a pensare a Macron o Scholz o il neoliberismo o il globalismo lasci perdere, stiamo parlando di un altro livello.
Poi c’è la cultura poiché la natura stessa di definizione di “popolo” è culturale. Le stesse fusioni operate tra XV e XVI secolo e seguenti per formare gli stati-nazione europei si compirono operando suture lungo linee di diversa identità relativa. Ancora oggi baschi, catalani, isolani (corsi, ad esempio) hanno parziale rigetto delle varie unificazioni pur in condizioni di omogeneità relativa con coloro con cui si sono associati. Meno problematiche ma ancora presenti differenze interne agli stati, soprattutto in Spagna, Francia, Italia e relativamente anche la Germania. Lasciando sospeso lo statuto “europeo” del Regno Unito che è un problema a sé. Se quindi la definizione stessa di popolo è culturale questi progetti di unificazione tra diverse entità che ormai hanno una soggettività secolare distinta, è un problema culturale.
Per questa ragione l’Unione europea non ha alcuna possibilità storica di unificarsi compiutamente perché c’è un eccesso di eterogeneità. Dai matrimoni alle fusioni societarie ai partiti, eccesso di eterogeneità porta al fallimento di fusione ovvero al rigetto. Da questo punto di vista, l’Europa geostorica ha varie aree di relativa omogeneità interna che rimane eterogeneità reciproca. L’area latino-mediterranea con anche l’area greca, l’area anglosassone, l’area germano-balto-scandinava, l’area slavo-carpato-danubiana che però è geostoricamente assai tormentata e tutt’altro che omogenea. Se i popoli europei capissero il problema della loro dotazione di potenza per il nuovo problema della convivenza planetaria e non più regionale come è stato per due millenni passati, è a queste aree che dovrebbero riferirsi per progetti di progressiva fusione federale. Tra loro, queste nuove entità potrebbero rimanere in una intesa confederale che non abbia istituzioni centrali se non quelle necessarie a supervisionare una qualche forma di mercato in comune (ma non di moneta) e magari una forza armata continentale non esclusiva.
Kalergi fu forse il primo a comprendere questa questione della potenza necessaria alle dinamiche di scenario di una piattaforma mondo tra Prima e Seconda guerra euro-mondiale, ma non comprese il vincolo culturale. Del resto, era austro-ungarico. Questa posizione era diversa dalla sottile tradizione di utopico unionismo europeo che risale all’ecumene cristiano poi fino a Kant ed alcuni idealisti del XIX secolo. Tutti questi ragionavano ancora come se lo scenario fosse solo la convivenza europea. Se Kalergi fu il primo a comprendere il problema esterno, Kojève fu il primo a comprendere la necessità di un certo grado di omogeneità culturale, cosa che mi sembra sfugga ad Agamben. Né una astratta ragione di filosofia politica o geostorico-politica, tantomeno ragioni economiche possono mediare i problemi di fusione culturale.
Noi italiani siamo la dimostrazione pratica di come tali fusioni andrebbero fatte con tempo e criterio. Dall’Italia dei Comuni e principati alla tarda unificazione dall’alto del XIX secolo, pur avendo ampi gradi di omogeneità culturale relativa, siamo la dimostrazione vivente di come processi mal condotti lascino intatte molte contraddizioni che poi minano la compattezza del soggetto geostorico che si voleva unificare.
Questo argomento però non ha alcuna possibilità di esser discusso prima ancora che condiviso. Manca la conoscenza diffusa sotto il profilo storico e geografico, manca la conoscenza relativa a quanto il mondo sia oggi e sempre più domani il contesto decisivo. Manca la conoscenza dei vari aspetti di necessaria profilazione culturale e di contro abbiamo varie teorie supportate con estrema passione, a favore o contro, su lo Stato-nazione, l’Unione in atto, il fatto economico, l’euro, l’idea di società, la diatriba tra nazionalismo e cosmopolitismo, tutte cose che purtroppo non dovrebbero aver alcun vero peso nel discutere questo problema.
In fondo, anche gli unificatori dell’Italia, per quanto commisero vari errori, avevano chiaro che il problema principale era esterno quel “…calpesti e derisi perché non siam popolo, perché siam divisi”. Allora il problema era verso la Francia, il Regno Unito ed ovviamente la Germania e l’Austria Ungheria. Oggi il problema è la convivenza euroasiatica, il Mediterraneo, la Turchia ed il Medio Oriente, nonché il mondo arabo ed il grande problema africano, l’emancipazione dall’Impero anglosassone. Ma anche le questioni climatico-ambientali, quelle di potenza tecnologica, di dotazione militare, demografiche, energetiche ed ovviamente economiche e finanziarie ed anche poi culturali come scelta di civiltà, di come la nostra antica civiltà intende affrontare il XXI e seguenti secoli visto che il moderno è terminato.
Per affrontare questi problemi ci vuole massa a base di potenza tra coloro che sono in grado di darsi un interesse comune, quindi non certo con gli europei del nord o dell’est e tantomeno con gli anglosassoni che vivono su un’altra piattaforma continentale.
Qualunque società vi piaccia immaginare, dovete prima dotarvi di un soggetto politico statale in grado di sopravvivere al meglio nel contesto di un mondo di prossimi 10 miliardi di umani. Ma non essendo in grado neanche di intavolare la discussione, preferiamo dedicarci a discutere se è meglio farlo liberale o conservatore o socialista, un tipico caso di idealismo impotente in cui la forma si pensa prima della sostanza.

https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-u2019impero-europeo?fbclid=IwAR0bvO53rpSYaEs_7Z6GWrM2OFNdm1-_8d-n0b0Du4GBIXfBmV1Cnz2XPyc

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

La “gara di logistica” autodichiarata dalla NATO conferma la crisi militare-industriale del blocco, di Andrew Korybko

A un anno dalla guerra. Qualche bilancio.

Articolo come sempre interessante di Andrew Korybko. A corollario allego il dossier fondamentale del CSIS, Centro Studi Strategici Internazionali statunitense, tradotto in italiano,sull’argomento_Giuseppe Germinario

230119_Jones_Empty_Bins it 

L’aspetto sorprendente di questa dinamica strategica è che le capacità militari-industriali combinate delle due dozzine e mezzo di Paesi del blocco non possono competere con quelle del singolo avversario russo. Questa constatazione dimostra a sua volta quanto sia potente il complesso militare-industriale della Russia, che è ancora in grado di sostenere lo stesso ritmo, la stessa scala e la stessa portata dell’operazione speciale in corso in Ucraina, nonostante le sanzioni contro di essa, mentre 30 Paesi del miliardo d’oro non possono fare collettivamente lo stesso.

Nell’ultimo mese si è speculato sul motivo per cui il Golden billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti ha cambiato così decisamente la sua “narrazione ufficiale” sul conflitto ucraino , passando da una prematura celebrazione della presunta “inevitabile” vittoria di Kiev a un serio avvertimento sulla sua potenziale sconfitta in questa guerra per procura

Ciò ha assunto la forma di commenti correlati da parte del Primo Ministro,  del Presidente,  e del Capo dell’Esercito polacchi , nonché del Presidente e dello Stato Maggiore degli Stati Uniti, dopo i quali il New York Times ha ammesso che le sanzioni sono fallite.

Il  motivo per cui hanno deciso di spostare in modo così deciso la “narrazione ufficiale” è che la crisi militare-industriale della NATO, di cui il New York Times ha messo in guardia lo scorso novembre e che è stata poi accennata dal Segretario della Marina di Biden  il mese scorso, è finalmente diventata innegabile. Mettendo a tacere tutte le speculazioni precedenti, lunedì il Segretario Generale della NATO ha dichiarato la cosiddetta “corsa alla logistica” contro la Russia proprio con questo pretesto, confermando così la paralizzante crisi militare-industriale del blocco.

 Secondo la trascrizione della conferenza stampa preministeriale di Jens Stoltenberg, condivisa dal sito ufficiale della NATO in vista dell’incontro con i ministri della Difesa dell’alleanza anti-russa, egli ha dichiarato quanto segue, rilevante per questo argomento:

“È chiaro che siamo in una corsa logistica. Capacità fondamentali come munizioni, carburante e pezzi di ricambio devono arrivare in Ucraina prima che la Russia possa prendere l’iniziativa sul campo di battaglia.

……

I ministri si concentreranno anche sui modi per aumentare la nostra capacità industriale di difesa e ricostituire le scorte. La guerra in Ucraina sta consumando un’enorme quantità di munizioni e sta esaurendo le scorte alleate. L’attuale tasso di spesa per le munizioni dell’Ucraina è molte volte superiore al nostro attuale tasso di produzione. Questo mette a dura prova le nostre industrie della difesa.

Ad esempio, il tempo di attesa per le munizioni di grosso calibro è passato da 12 a 28 mesi.

Gli ordini effettuati oggi verrebbero consegnati solo due anni e mezzo dopo. Dobbiamo quindi aumentare la produzione. E investire nella nostra capacità produttiva.

Si tratta di una questione che abbiamo iniziato ad affrontare l’anno scorso, perché ci siamo resi conto che per fornire un enorme sostegno all’Ucraina, l’unico modo era quello di attingere alle nostre scorte esistenti. Ma ovviamente, a lungo termine, non possiamo continuare a farlo: dobbiamo produrre di più, per essere in grado di fornire munizioni sufficienti all’Ucraina, ma allo stesso tempo garantire di avere munizioni sufficienti per proteggere e difendere tutti gli alleati della NATO, ogni centimetro del territorio alleato.

……

Naturalmente, nel breve periodo, l’industria può aumentare la produzione con un maggior numero di turni, utilizzando maggiormente gli impianti di produzione esistenti. Ma per ottenere un aumento significativo è necessario investire e costruire nuovi impianti. Vediamo una combinazione tra un maggiore utilizzo della capacità esistente e la decisione di investire in una maggiore capacità. Questo è iniziato, ma abbiamo bisogno di più.

……

Quello che ho detto è che l’attuale tasso di consumo di munizioni è più alto, più grande dell’attuale tasso di produzione. Questo è un dato di fatto. Ma poiché ne siamo consapevoli da tempo, abbiamo iniziato a fare qualcosa. Non ce ne stiamo seduti a guardare mentre succede.

……

E naturalmente l’industria ha la capacità di aumentare la produzione anche a breve termine, a volte su capacità non utilizzate o non sfruttate. Ma anche quando si ha una fabbrica in funzione, si possono fare più turni. Si può lavorare anche durante i fine settimana.

……

Quindi sì, abbiamo una sfida. Sì, abbiamo un problema. Ma i problemi sono lì per essere risolti e noi stiamo affrontando questo problema e abbiamo strategie per risolverlo sia a breve termine che a più lungo termine come industria della difesa mobilitata. E se c’è qualcosa che gli alleati della NATO, le nostre economie e le nostre società hanno dimostrato per decenni, è che siamo dinamici, adattabili, in grado di cambiare quando necessario.

……

”E permettetemi di aggiungere che, naturalmente, anche la sfida di avere munizioni a sufficienza è una grande sfida per la Russia. Questo dimostra che si tratta di una guerra di logoramento e che la guerra di logoramento diventa una battaglia logistica e noi ci concentriamo sulla parte logistica della capacità di difesa, sulla capacità dell’industria della difesa di aumentare la produzione”.

Come dimostrato dalla conferenza stampa di Stoltenberg, non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che la NATO stia vivendo una crisi militare-industriale senza precedenti, responsabile di rimodellare le narrazioni dei suoi membri e la strategia complessiva nei confronti del conflitto ucraino.

 Questa auto-dichiarata “gara di logistica”, che egli ha anche descritto come una “guerra di logoramento”, dimostra innanzitutto che il blocco non era preparato  a condurre una prolungata guerra per procura contro la Russia, altrimenti avrebbe preventivamente riattrezzato i propri complessi militari-industriali di conseguenza. La recente ammissione del New York Times che le sanzioni antirusse sono un fallimento suggerisce anche che la NATO ha completamente sbagliato i calcoli in questo senso, aspettandosi che la Russia collassasse a seguito di tali restrizioni, cosa che non è accaduta.

Questi due fattori aggiungono un contesto cruciale al motivo per cui la “narrazione ufficiale” del miliardo d’oro sul conflitto è cambiata in modo così decisivo nell’ultimo mese. Semplicemente non possono sostenere il ritmo, l’entità e la portata della loro assistenza armata a Kiev, soprattutto dopo che le loro tanto sbandierate sanzioni non sono riuscite a catalizzare il collasso economico della Russia o, per lo meno, a dare al loro proxy un vantaggio in questa “gara logistica”/”guerra di logoramento”. Di conseguenza, sono stati costretti a cambiare il modo in cui presentano questo conflitto al loro popolo.

 Il fatto più significativo è che il Presidente polacco, nella sua  recente intervista a Le Figaro, non ha escluso lo scenario di concessioni territoriali alla Russia da parte di Kiev ,  che secondo lui dovrebbe essere una scelta esclusiva del Paese e non dei repubblicani contrari alla guerra. Anche Stoltenberg si è lasciato sfuggire, durante la sua ultima conferenza stampa, che “dobbiamo continuare a fornire all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per vincere. E per raggiungere una pace giusta e sostenibile”, che non ha incluso la sua solita condanna esplicita dello scenario di concessione territoriale.

 “Questa stessa “pace giusta e sostenibile”, secondo Dave Anderson del Jerusalem Post, può essere ottenuta rinunciando finalmente alle proprie rivendicazioni territoriali. Nel suo articolo su come “Ucraina può vincere contro la Russia rinunciando al territorio, non uccidendo le truppe”, pubblicato per coincidenza lo stesso giorno della conferenza stampa di Stoltenberg, ha sostenuto che questa rapida risoluzione delle dispute territoriali dell’Ucraina con la Russia potrebbe portare a un’accelerazione della sua ammissione alla NATO.

Questo risultato garantirebbe in modo duraturo la sua sicurezza, rappresentando così una vittoria sulla Russia, almeno secondo la visione di Anderson. Nel contesto più ampio di questa analisi e in particolare dell’interpretazione delle osservazioni di Stoltenberg nella sua ultima conferenza stampa, il suo articolo può quindi essere visto come l’ultimo contributo a spostare decisamente la “narrazione ufficiale” sul conflitto ucraino nella direzione di precondizionare l’opinione pubblica occidentale ad accettare una sorta di “compromesso” con la Russia.

 Tutto questo, va ricordato al lettore, avviene a causa della crisi militare-industriale della NATO che ostacola le capacità dei suoi membri di sostenere il ritmo, la portata e l’entità dell’assistenza armata a Kiev. La loro “gara logistica”/”guerra di logoramento” contro la Russia è ovviamente a favore di Mosca, dopo che la Grande Potenza eurasiatica ha dimostrato di avere davvero i mezzi per sostenere il ritmo, l’entità e la portata della sua operazione speciale, nonostante le sanzioni senza precedenti del Golden billion contro di lei.

 Se qualcuno continuasse a negare l’esistenza di una crisi militare-industriale della NATO nonostante la sorprendente ammissione di Stoltenberg di lunedì, allora dovrebbe essere messo al corrente del rapporto esclusivo di Politico pubblicato lo  stesso giorno, che rafforza la sua affermazione. Quattro funzionari statunitensi senza nome hanno dichiarato che il loro Paese non può inviare a Kiev i “sistemi missilistici tattici dell’esercito” (ATACMS) richiesti perché “non ne ha da parte”.

Questa rivelazione dovrebbe quindi servire come la proverbiale “ciliegina sulla torta” che dimostra che la NATO si trova in questo momento nel mezzo di una crisi militare-industriale così grave che lo stesso leader statunitense non può nemmeno permettersi di risparmiare importanti munizioni che potrebbero dare ai suoi proxy a Kiev il vantaggio di cui hanno disperatamente bisogno in questo momento. L’aspetto sorprendente di questa dinamica strategica è che le capacità militari-industriali combinate delle due dozzine e mezzo di Paesi del blocco non possono competere con quelle del loro singolo avversario russo.

Questa intuizione, a sua volta, dimostra quanto sia potente il complesso militare-industriale della Russia, che è ancora in grado di sostenere lo stesso ritmo, la stessa scala e la stessa portata dell’operazione speciale in corso in Ucraina, nonostante le sanzioni contro di essa, mentre 30 Paesi del miliardo d’oro non possono fare collettivamente lo stesso. Se l’offensiva su larga scala di cui si parla dovesse concretizzarsi, probabilmente infliggerebbe un colpo mortale ai proxy della NATO, grazie al vantaggio della Russia in questa “gara logistica”/”guerra di logoramento”, costringendoli così a cedere finalmente le loro regioni contese.

https://korybko.substack.com/p/natos-self-declared-race-of-logistics

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

 

Ucraina, il conflitto 28 puntata. Il bianco, il nero….il grigio_con Max Bonelli e Stefano Orsi

Il regime ucraino ha deciso di mantenere il paese che pretende di rappresentare nella trappola in cui si è cacciato e nel quale lo hanno ingabbiato gli istigatori all’opera negli Stati Uniti e a vari livelli della NATO. La guerra è la sua ragione d’essere e la sua condizione di esistenza. Ma la guerra potrà durare solo a condizione che la NATO continui a fornire i mezzi alla carne da cannone, ormai decimata, destinata al sacrificio. Ancora una volta, come più volte ripetuto, sarà l’esito sul campo a dettare i termini di una trattativa. Il solco profondo, scavato dai centri decisori statunitensi, ha segnato direzioni diverse e di fatto contrapposte tra la Russia e l’altra metà dell’Europa. Solo la fine della guerra con una chiara vittoria della Russia potrà insinuare anche in Europa quel tarlo della mancanza di autorevolezza e credibilità della potenza americana ormai all’opera nel resto del mondo. Tante cose, però, dovranno ancora succedere per arrivarci. Siamo ancora ai primi giri di poker. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v29xnlq-ucraina-il-conflitto-28-puntata.-il-bianco-il-nero….il-grigio-con-max-bon.html

 

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Le strategie fatali dell’Occidente in Ucraina_La decifrazione della situazione da parte del colonnello Jacques Baud Intervista di Laurent Schong

A un anno dalla guerra. Qualche bilancio_Giuseppe Germinario

Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg e il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky. È l’ottobre 2019, Zelensky non ha ancora indossato il suo abbigliamento sportivo da combattimento color kaki. L’adesione dell’Ucraina alla NATO è in programma sin dalla dissoluzione dell’URSS nel 1991. Il Cremlino ha sempre detto chiaramente che questa è la linea rossa da non oltrepassare.

 

Le strategie fatali dell’Occidente in Ucraina

La decifrazione della situazione da parte del colonnello Jacques Baud

Intervista di Laurent Schong

 

Saggista “complottista” per Conspiracy Watch e “agente della lobby filorussa” per la RTS, Jacques Baud è ora sulla lista nera di Mirotvorets, un battaglione di “esecuzioni extragiudiziali” per conto del governo ucraino. Questo non sembra smuovere molto i difensori professionisti della libertà di espressione. Colpa sua? Per aver ricordato al “campo occidentale”, lui che nel 2014 era a Kiev in qualità di colonnello svizzero in missione presso la NATO, la sua pesante parte di responsabilità nello scoppio della guerra in Ucraina. Con l’avvicinarsi del primo anniversario dell’operazione militare speciale russa, era necessario un nuovo aggiornamento.

 

 

ELEMENTS: All’epoca della nostra prima intervista (Elements n. 196), il conflitto in Ucraina stava raggiungendo il sesto mese e lei stava per pubblicare Operazione Z, un libro che faceva il punto sulla realtà dell’OMS: i suoi prodromi, i suoi attori, le sue poste in gioco. Dalla sua pubblicazione sono passati altri sei mesi e la situazione si è naturalmente evoluta, apparentemente a vantaggio delle forze armate ucraine…

JACQUES BAUD. Prima di tutto, dobbiamo sottolineare un aspetto che in Francia fingiamo di ignorare: il modo in cui intendiamo una crisi determina il modo in cui viene risolta. L’insopprimibile tendenza a sostituire le spiegazioni dei protagonisti con le nostre “impressioni” distaccate dai fatti ci porta invariabilmente a un peggioramento della situazione.

Questo è ciò che ha alimentato il terrorismo jihadista in Francia nel zoi5-zoi6 e dovrebbe servire da lezione.

Questo riguarda sia chi è filo-russo (o “anti-NATO”) sia chi si sente filo-ucraino. Come sempre, gli occidentali (di destra e di sinistra) non ascoltano i protagonisti e impongono la loro interpretazione del conflitto, che soddisfa le loro fantasie. Secondo i nostri “esperti”, l’intervento russo è l’espressione di un conflitto di civiltà; è causato dall’estensione della NATO a est; mira a ricostituire l’impero zarista o l’Unione Sovietica (non si sa bene); esprime l’odio per il popolo ucraino; oppure è motivato dall’odio per l’Occidente, l’Europa e/o la loro democrazia.

In breve, ognuno vede un motivo secondo la propria visione del mondo. Ma queste diverse narrazioni non sono né il movente né la causa dell’intervento militare russo in Ucraina. – Si tratta al massimo di “fattori facilitanti” che esistono sullo sfondo e che contribuiscono all’aumento del divario tra l’Occidente e la Russia. Alcune di queste sono effettivamente preoccupazioni importanti per la Russia, ma non sono mai state considerate tali da richiedere un confronto militare.

Queste “spiegazioni” hanno due conseguenze che hanno un forte impatto sugli sviluppi futuri. In primo luogo, fanno della guerra in Ucraina un’inevitabilità legata alla natura del contesto e non più influenzabile. In secondo luogo, abbiamo spogliato questo intervento della razionalità che i russi gli hanno attribuito, per far sembrare la decisione di Putin irrazionale rispetto agli obiettivi che avevamo previsto per lui. Per questo si dice che è malato o folle. Di conseguenza gli europei non vedono nella negoziazione una soluzione possibile. I nostri media hanno creato così le condizioni di impossibilità di un dialogo.

Ma la realtà è molto più concreta e prosaica. A scatenare l’operazione militare speciale russa è stata la situazione della popolazione russofona del Donbass. Ecco perché queste vittime non vengono mai menzionate. Alcuni sostengono che questo fosse solo un pretesto per la Russia. Può darsi che sia così. Ma abbiamo fatto di tutto per dargli questo pretesto, che di per sé è perfettamente legittimo. Non è altro che l’applicazione del principio della “responsabilità alla protezione” (RCP). Se i nostri diplomatici si fossero impegnati a rispettare il diritto umanitario internazionale già nel 2004, non ci troveremmo in questa situazione.

Il  24 febbraio 2022 Vladimir Putin ha enunciato le motivazioni e gli obiettivi dell’intervento russo: smilitarizzazione e de-nazificazione della minaccia per le popolazioni del Donbass. Gli obiettivi erano la distruzione di una potenziale minaccia, non la conquista di un territorio.

La narrazione occidentale si basa sull’idea che la Russia stia cercando di conquistare l’Ucraina. Pertanto, misuriamo il successo russo in termini di territorio conquistato e velocità di avanzamento. Poiché questa velocità è bassa, i nostri media ed “esperti” la considerano un fallimento.

I media e gli “esperti” lo considerano un fallimento. Il problema è che i russi misurano il loro successo in potenziale distrutto e non in chilogrammi. Nel giugno di quest’anno, il consigliere di Zelensky David Arakhamia ha dichiarato che l’Ucraina stava perdendo 1.000 uomini al giorno (tra morti e feriti). Oggi la battaglia di Bakhmut sarebbe ancora più micidiale e gli ucraini perderebbero l’equivalente di un battaglione al giorno!

ELEMENTS: Lei parla di un deliberato dirottamento dei negoziati e sottolinea che in meno di un mese, dal 27 febbraio al 23 marzo, l’UE ha sbloccato quasi un miliardo di euro per equipaggiare e armare gli ucraini, impedendo così a Kiev di tentare un dialogo con il “regime di Mosca”.

A giugno, Petro Poroshenko ha confessato di aver firmato gli accordi di Minsk solo per permettere all’Ucraina di riarmarsi e di essere stato persino ingannato dai giornalisti al telefono su questo punto. Il 4 novembre, su Der Spiegel, e l’8 dicembre su Die Zeit, Angela Merkel ha confessato di sapere che l’Ucraina non aveva intenzione di applicarli e che stava cercando di guadagnare tempo per rimettere in piedi il suo esercito, e che lei stessa li aveva firmati senza avere l’intenzione di farli rispettare. Questa confessione dimostra che la Germania era complice dell’Ucraina e non era disposta ad adempiere al suo dovere di garante della buona fede. Inoltre, nel giugno 2022, la pubblicazione della sua conversazione telefonica con Vladimir Putin del febbraio precedente aveva dimostrato che Emmanuel Macron semplicemente non

 

 

SOLO PERCHÉ LA GENTE DICE CHE L’UCRAINA STA VINCENDO NON SIGNIFICA CHE SIA COSÌ! È IN REALTÀ IL CONTRARIO,  PERCHÉ GLI OCCIDENTALI HANNO RAFFORZATO GLI ERRORI TATTICI E OPERATIVI CHE IL PAESE HA COMMESSO A PARTIRE DAL 2014

 

aveva mai letto gli accordi di Minsk, di cui avrebbe dovuto essere il garante.

In altre parole, i principali attori occidentali degli accordi di Minsk ammettono di essersi impegnati in prima persona per non rispettarli e di aver mentito ai russi, alle popolazioni del Donbass e al popolo ucraino. Naturalmente, i media francofoni non hanno menzionato la confessione di Angela Merkel, perché darebbero ragione a  Vladimir Putin e dimostrerebbero  la doppiezza dell’Occidente! Tutti coloro che oggi condannano senza riserve la Russia dovrebbero chiedersi se questo disastro non si sarebbe potuto evitare se fossero stati onesti gli uni con gli altri.

Ricordo che fino al 2022, la posizione della Russia era il conseguimento dell’autonomia (non la separazione) delle repubbliche del Donbass sotto l’autorità di Kiev, come previsto dagli accordi di Minsk. L’Ucraina sta ora pagando il prezzo del tradimento della parola data. La nostra preoccupazione di garantire il rispetto del diritto internazionale è perfettamente legittima, ma avrebbe dovuto essere fatta già nel 2015. e non solo nel  2022 dopo che la situazione è diventata catastrofica.

ELEMENTI: Inondati come siamo di informazioni sull’evoluzione dei combattimenti, nuotiamo nella confusione. Tattica, operazioni, strategia, tutto è sottosopra, e non si può dire che gli specialisti che parlano di più dell’OMS ci aiutino a vedere le cose più chiaramente…

JAC QUES BAUD. Le informazioni disponibili sulla stampa in lingua francese sull’andamento delle operazioni sono estremamente frammentarie e parziali. Inoltre, concetti come tattica, arte operativa o strategia sono compresi dai nostri cosiddetti “esperti” con molto meno rigore rispetto ai russi. Mi preoccupa la debolezza degli alti ufficiali e dei generali che si esprimono su questo conflitto. È facile capire come siano nati i disastri del 1914 e del 1940: si ragiona senza tenere conto dell’avversario!

Da allora, e soprattutto da febbraio, il discorso occidentale ha sistematicamente minimizzato le capacità della Russia: le sue truppe sono mal comandate, la sua logistica non funziona, i suoi militari sono demoralizzati, la sua economia è crollata, e così via. Tutte queste informazioni, diffuse dai media mainstream, si sono rivelate false. Hanno portato i nostri politici (e i politici ucraini) a sottovalutare le capacità russe e a sopravvalutare le possibilità ucraine. Sottovalutare l’avversario è il peggior errore che un manager possa commettere. I nostri politici hanno deciso mossi dalla convinzione che la Russia fosse debole. Così, già nel marzo scorso, si diceva che i russi non avevano più missili, e quindi si trascurava completamente di dare agli ucraini missili antimissile. I russi ne hanno sparato quasi 4500 da allora…

Adattando i fatti alle loro conclusioni, invece di adattare le conclusioni ai fatti, i nostri media hanno un’enorme responsabilità per la tragica situazione in Ucraina oggi.

ELEMENTS: Con la notevole eccezione di Sud Radio, i media francofoni sono unanimemente contro di lei…

JACQUES BAUD. Viviamo in un periodo dominato dai giudizi e non dall’analisi. Tutto ciò che diciamo sul conflitto ucraino viene automaticamente etichettato come “filo-russo” o “filo-ucraino”. La realtà è più complessa. Non sto cercando di fare da arbitro tra russi e ucraini, ma tra le informazioni che ci vengono fornite e i fatti. Se legge attentamente, vedrà che i miei avversari sono i media e non l’Ucraina. Se avessero ascoltato quello che ho sempre detto e ne avessero tratto le conclusioni, oggi l’Ucraina sarebbe in una posizione molto migliore. Solo perché diciamo che l’Ucraina sta vincendo, non significa che stia vincendo! In realtà, è esattamente il contrario, perché l’Occidente ha sostenuto l’Ucraina negli errori tattici e operativi che ha commesso dal 1994.

La lotta contro i telegiornali e le fake news implica la necessità di essere il più imparziali possibile. Ma questo è ben lungi dall’essere il caso della Francia. Conspiracy Watch (CW), ad esempio, è un’officina che opera (anche) nell’ambito dell’Integrity Initiative del governo britannico, che mira a contrastare le narrazioni favorevoli alla Russia. CW non è quindi imparziale “Ecco perché, dopo avermi accusato di “cospirazione”, distorcendo le parole del mio libro Concerning Fake News (senza che Antoine Hasday abbia – per sua stessa ammissione – letto il mio libro!), CW mi ha rifiutato la possibilità di esercitare il mio diritto di replica.

Questo dimostra il loro livello di integrità! Esiste una definizione di “cospirazione”: è la creazione di una narrazione basata su fatti (giusti o sbagliati) collegati tra loro da una logica e da uno scopo arbitrari. Un buon esempio di  cospirazionismo  è dato dal giornalista Jean-Philippe Schaller, della RTS, il quale mi ha

LA SITUAZIONE DELL’ESERCITO UCRAINO È CRITICA.

LA SITUAZIONE DELL’ESERCITO UCRAINO È CRITICA, IL CHE SPIEGA L’ADOZIONE DI UNA LEGGE CHE AUTORIZZA GLI UFFICIALI A PUNIRE PIÙ SEVERAMENTE LA DISERZIONE E LA DISOBBEDIENZA IN BASE ALLA E DISOBBEDIENZA SUL CAMPO DI BATTAGLIA.

accusato di far parte delle antenne che “Vladimir Putin ha a disposizione” per “la sua impresa di disinformazione”. Non solo è un bugiardo, ma crea l’idea che ci siano reti in Europa che sono al servizio del governo russo e di cui io faccio parte. Questa è esattamente la definizione di cospirazione. A questo si è ridotto  il servizio pubblico!

ELEMENTS: Mentre parliamo, sempre più alti funzionari americani esprimono pessimismo sull’esito di questa guerra. Presto arriveremo all’anno dall’avvio dell’OMS e non si vede come la situazione possa sbloccarsi, a meno che Kiev non rinunci alle sue province russofone…

JACQUES BAUD. Non ho la sfera di cristallo, ma noto che il discorso sta cambiando nel mondo anglosassone. Le recenti dichiarazioni del generale Mark Milley, di Henry Kissinger, di Antony Blinken, di Joe Biden e di Olaf Scholz dimostrano che finalmente si sta iniziando a comprendere il problema. Finora, i nostri media e i nostri politici ci hanno presentato un’Ucraina che poteva solo vincere. Ma questa non è la realtà. Ucraini e occidentali hanno scambiato i loro desideri per realtà! Oggi, le proposte che cominciano a emergere negli Stati Uniti ci riportano alla situazione del 4 febbraio, ovvero che l’Ucraina dovrebbe rinunciare definitivamente al Donbass e alla Crimea.

La recente intervista al Generale Valerii Zaluzhnyi, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine, pubblicata su The Economist, contraddice il beato ottimismo e la propaganda dei nostri media. Questo fa seguito alle numerose dichiarazioni rilasciate nelle ultime settimane dall’Ucraina e dagli Stati Uniti, secondo cui l’Ucraina non sarà in grado di riprendere il controllo dei territori.

La situazione dell’esercito ucraino è critica. Questo spiega l’adozione di una legge che permette agli ufficiali di punire più severamente la diserzione e la disobbedienza sul campo di battaglia. Questo riflette le tensioni tra militari e politici in Ucraina. L’Ucraina è stata indotta a credere che la Russia sarebbe stata rapidamente sconfitta dalle sanzioni, ma non è stato così. Gli elementi di valutazione utilizzati nel 2022 erano gli stessi del 2014. Le sanzioni avrebbero certamente funzionato come previsto all’epoca, ma oggi è una storia diversa. L’ironia della sorte è che la strategia sviluppata nel 2009 dalla Rand Corporation, e che vediamo applicata oggi, avvertiva che sarebbe stata molto costosa per l’Ucraina.

Tuttavia, le nostre “élite” hanno deliberatamente scelto di ignorare questo aspetto. Come possiamo vedere dal contraccolpo delle nostre sanzioni, hanno completamente trascurato di anticipare le conseguenze delle loro decisioni. Questo dimostra che i nostri media e i nostri politici hanno deliberatamente spinto l’Ucraina in questo disastro…

 

Jacques Baud, Operazione Z, Parigi, Max Milo,

379 p., 21,90 G.

https://www.revue-elements.com/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

HOMO COGNITIVUM, di Pierluigi Fagan

(Revisioni e rifondazioni di paleoantropologia). L’immagine di mondo, che comprende una nostra immagine di uomo, è un tutto coerente. Ogni epoca ha la sua IDM dominante che è poi quella largamente condivisa in un sistema piramidale che dai primi livelli sociali giunge fino alla massa. Non ricordo chi sostenesse, a ragione, che ogni filosofia generale parte da una esplicita o implicita antropologia, una idea di cos’è l’uomo. L’antropologia profonda ovvero la ricerca sull’intero arco temporale della nostra esistenza di genere prima che di specie, tra 3 e 2,5 milioni di anni, è la cornice che maggiormente influisce sulla risposta.
A metà Settecento Linneo era ancora fuori l’impeto della rivoluzione industriale. Quando dovette catalogare l’intero genere umano entro il generale catalogo dei viventi, la chiamò Homo sapiens. Il genere Homo, il nostro, si caratterizzava specificatamente per la cognizione. Ovviamente Linneo era ignaro della profondità temporale del genere e la sua suddivisione in molte specie, ma gli sembrò chiaro che il concetto di umano fosse la nostra peculiare mentalità.
Lungo tutto l’Ottocento ed il Novecento che ne è la continuazione di seconda modernità, si cominciò ad esplorare la profondità temporale. In pieno impeto della Rivoluzione industriale, prima venne messo nome al lungo periodo del Paleolitico, poi il Neolitico. Qualcuno provò ad inserire un intermedio tra i due, il Mesolitico, ma inizialmente con scarsa fortuna. Qui vanno notate due cose. La prima è che il concetto di questo lungo tempo dell’ominazione, era basato sulle pietre (litico) e loro lavorazione, la seconda è che non si vedeva necessario mettere un intermedio tra il paleo ed il neo perché valeva il concetto di rivoluzione e le rivoluzioni, si sa, sono cambiamenti radicali in breve tempo, a salto.
Quindi non c’era stata alcuna transizione, non era successo nulla di rilevante fino a che l’uomo ad un certo punto s’era messo a inventare strumenti nuovi, prima di pietra poi di metallo ed a coltivare la terra, aveva fatto la sua rivoluzione agricola. Come diceva Marx “l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica” qui intesa come sussistenza. Lo schema, condiviso dalla mentalità positivistica a matrice nordeuropea ma più significativamente anglosassone (Marx vive, studia e scrive a Londra ai tempi di questa frase che è nella breve illustrazione della c.d. “concezione materialistica della storia” contenuta in “Per la critica …” 1859), quindi anche dalla tradizione liberale, era questo: a) innovazioni tecniche; b) nuovi modi di produzione; c) cambia la forma sociale e poi politica e giuridica della società.
Per questo si configurarono i tre milioni di anni del tempo profondo dell’ominazione seguendo il come scheggiavamo i sassi, fino agli anni ’60 del Novecento dove un archeologo anglosassone ma marxista, confezionò l’idea della “Rivoluzione agricola o neolitica” ovvero nuova società (civile, da civis = città) conseguente nuovi modi di produzione conseguenti innovazioni tecniche. Oggi sappiamo che non ci fu alcuna rivoluzione agricola ma una complessa storia determinata da un nugolo di variabili stesa su più di 10.000 anni prima di arrivare a vivere in città di decine di migliaia di persone.
Questa tradizione di pensiero che è un pensiero d’epoca al di là del fatto che la parte dominante (liberale) ne ha poi tratto giudizi diversi dalla parte critica (marxista), permane nella seconda metà del Novecento su base antropologica dell’homo faber, l’uomo che fa cose. Così paleoantropologi inglesi quando scoprirono quello che ritennero il primo umano gli misero nome Homo habilis ovvero con l’abilità di manipolare sassi per produrre strumenti che cambiarono il suo modo di stare al mondo. In seguito, altri ritrovamenti di Homo poco più recente, vennero definiti Homo ergaster che si può tradurre con “operaio”. Età della pietra, innovazione tecnica, modi di sussistenza, cacciatori ed operai, nuovi tipi di società che ne riflettono le forme, rivoluzioni improvvise ed eccoci qui a celebrare rivoluzioni produttive che secondo alcuni sarebbero arrivate alla versione 4.0.
Già, ma perché l’uomo fa cose che gli altri animali non fanno? E soprattutto, dopo un secolo e mezzo di scavi, affinamento delle tecniche che ci fanno trarre informazioni dai reperti fossili ed interpretazioni, questa impostazione vale ancora? È questa l’essenza umana?
L’essere umano deriva da stadi precedenti di cui eredita il percorso ed il nostro stadio precedente è nelle scimmie antropomorfe bipedi. Oggi troviamo resti di utilizzo della pietra da parte di queste scimmie, alcune sbozzate ovvero lavorate e spesso provenienti da siti di molti chilometri distanti da dove le troviamo ovvero dove erano lavorate prima che usate. In alcuni casi, la loro quantità suggerisce la possibilità che questo lavoro sulle pietre fosse collettivo. Questo ultimo fatto mostra una differenza sostanziale dall’utilizzo di strumenti rispetto gli altri animali. In questo secondo caso lo strumento è trovato o creato (ad esempio pulire un ramo di foglie in modo da farlo diventare una bacchetta da infilare in un termitaio) sul posto, nessuno va in giro diversi chilometri portandosi appresso strumenti da utilizzare alla bisogna, nessuno lo fa con le pietre, nessuno le lavora, nessuno lo fa in gruppo. La sequenza “prendo queste pietre assieme ad altri e le porto lontane all’accampamento per esser lavorate in gruppo in vista di successivo utilizzo” è mentale. Presuppone uno spazio mentale che prefigura l’azione prima di agire, prefigura la cognizione.
Tutto ciò, bipedismo e facoltà cognitive distinguenti sono correlate e compaiono come anche prima di 3 milioni di anni fa a livello di scimmie antropomorfe. Per più di un milione di anni abbiamo sbozzato pietre per ricavarne schegge, per poco più di un altro milione e mezzo di anni lo abbiamo fatto con una tecnica poco più sofisticata di modo da avere due lati taglienti, poi le tecniche hanno avuto una proliferazione più recente (30-40.000 anni fa). Il paradigma litico è confermato? Niente affatto.
In questi due milioni e mezzo di anni abbiamo conquistato definitivamente la posizione eretta e ci siamo messi a camminare invadendo l’intero pianeta dai ghiacci ai deserti, le terre, le acque ed i cieli. La nostra scatola cranica è triplicata in volume e con essa il cervello, si è evoluta la corteccia e la neocorteccia sede delle nostre facoltà mentali e cognitive più sofisticate e propriamente umane. Abbiamo sviluppato una “teoria della mente” che è una facoltà di intellezione sociale.
La retorica narrativa sulla caccia grossa paramilitare è falsa se presa come paradigma, gli ultimi cacciatori-raccoglitori hanno solo il 30% della loro sussistenza dalla caccia che in molti casi è caccia di piccole o medie prede. Il più antico dipinto murale non è francese ma indonesiano e non mostra grandi alci e mammut ma un grasso maiale selvatico.
Prima dell’ultima deglaciazione il mare era 90 metri meno profondo, oggi a nessuno viene in mente di andare a scavare a mare a cento metri di profondità per cercare fossili e tracce di vita umana. Ci sono buone ragioni per ritenere che la gran parte dei gruppi umani abbiano vissuto in prossimità della costa e pescato e frutti di mare hanno avuto un ruolo proteico fondamentale.
Avremo evoluto chissà quanto e come gli strumenti in legno molto più utili, versatili e lavorabili di quelli in pietra, abbiamo trovato lance di legno e strumenti composti di più di 300.000 anni fa, ma trovare legno del tempo profondo è un puro caso visto che per lo più si degrada. Abbiamo noiosissime catalogazioni sulle lavorazioni sapiens delle pietre in Francia, ma nessuno spiega come abbiamo fatto a coprire 80 chilometri di oceano per arrivare in Australia 50.000 anni fa.
Abbiamo poi ristretto la definizione di “sapiens” alla nostra singola specie, ma abbiamo poi scoperto che anche i Neanderthal o forse anche l’Homo heidelbergensis (700.000 – 200.000 a.f.) avevano forme di cognizione superiore ed usavano pigmenti colorati o producevano strumenti composti di parti.
Ci siamo anche raccontati fossimo gli unici a poter comunicare col linguaggio (poiché l’IDM prevede anche “In principio era il Verbo” da Giovanni a Derrida è un attimo) ma oggi sappiamo che anche l’Homo ergaster e l’erectus (1,8 milioni di anni fa) ne avevano facoltà sebbene limitata.
Il nostro apparato di dentizione e di digestione rimane stretto parente degli erbivori ma ci siamo fatti una immagine di barbecue miglior amico dell’uomo, ovviamente previa caccia, laghi di sangue e massacro indiscriminato. Per carità, tutte cose vere e provate ma che non fanno “paradigma”. Ci siamo raccontati di un uomo primitivo hobbesiano ma abbiamo prove provate di super-cooperazione interindividuale e sociale addirittura a livello Neanderthal.
Nel Paleolitico superiore vediamo una improvvisa crescita delle popolazioni nelle unità sociali e nella densità territoriale, ma la variabile demografica ci è ignota nelle descrizioni poiché l’intera immagine di uomo è centrata sull’individuo che inventa cose per produrre cose. In più il registro fossile rimane terribilmente scarso, pieno di buchi riempiti con vere e proprie narrazioni che riflettono solo i principi dell’immagine di mondo e di uomo moderna, stile anglosassone, come anglosassoni sono gran parte degli studiosi del campo.
Non compare nessuna rivoluzione, nessun salto particolare, solo un molto lento crescere di facoltà evolutesi su basi molto antiche ed espressesi in modalità molto più ampie che non la tecnologia litica. Molti nostri cambiamenti sono stati risposte a novità ambientali, ecologiche e climatiche, il nostro cambiamento è stato il risultato di vari tipi di adattamento al cambiamento del mondo e forse la nostra specie emerge come ibridazione tra molte altre.
Siamo le bestie più generaliste del vivente e per questo siamo diventati gli immaturi dominatori del mondo perché non ci siamo mai legati ad “un” modo di essere. E siamo le bestie più generaliste perché il nostro organo adattivo è un grande cervello plastico. Siamo in essenza generalisti ma le nostre forme di conoscenza attuali sono tutte specialistiche. Siamo l’animale cognitivo ma osserviamo solo i frutti delle nostre prassi.
Noi non siamo l’animale che fa, siamo l’animale che pensa prima di fare, come farlo e se farlo. Il nostro posto nel catalogo dell’antropologia profonda è quello di animali cognitivi. Aveva ragione Linneo. La revisione tassonomica dice che noi siamo Homo sapiens da circa 200.000 anni e facciamo parte del genere Homo cognitivum che deriva da Australopithecus habilis. Questo è un paradigma e si sa, è dal cambio di paradigma, a cascata, si produce una diversa immagine di mondo e noi oggi abbiamo disperato bisogno di una nuova immagine di mondo e di uomo.
Fino a che rimarremo intrappolati nell’IDM della Rivoluzione industriale, dell’economicismo positivista, dell’assurda dicotomia tra idea e materia, del fare senza pensare, rimarremo schiavi di un incanto che tra l’altro incanta sempre meno.
[Questa l’ultima scoperta. Erano bipedi, creavano strumenti di pietra, avevano un cervello un terzo più piccolo del nostro ed erano scimmie]

https://www.reuters.com/lifestyle/science/whodunit-mystery-arises-over-trove-prehistoric-kenyan-stone-tools-2023-02-09/?fbclid=IwAR0lvL2IfGm117ITUECxuO7rHq_vwG_QaWXoLGNEGFkqGWE0uuW707kE8vk

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Dal 3D al 5D e non mi riferisco alla cinematografia Di Claudio Martinotti Doria

Esco di casa sempre più raramente. Pur aggirandomi esclusivamente nell’area della riserva indigena provinciale dove risiedo, non ho potuto fare a meno di rilevare che ormai la conformazione sociale dell’ex homo sapiens geneticamente modificato da Big Pharma ha assunto tre connotazioni prevalenti:

–          La specie “faccia a scarpa” versione umana del Balaeniceps rex

–          La specie “occhio di cernia” versione umana del Polyprion americanus

–          La specie “zombie rallentato”, versione simile all’originale romeriano anni ‘60

Evitarli e impossibile. Interagire è difficile. Comunicare è irrilevante.

La celebre asserzione dantesca “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” è ormai solo un ricordo sbiadito, agli antipodi con l’attuale realtà dove ormai trionfano i bruti, soprattutto se portano una divisa o un camice e si sentono investiti dai gradi di caporale alla Totò, micropotere col quale poter sfogare la loro meschina frustrazione, nella peggiore delle ipotesi potranno sempre invocare l’attenuante che “stavano eseguendo degli ordini”.

Semmai andrebbe recuperata e valorizzata la premessa dantesca: “considerante la vostra s(c)emenza”

Ma cerchiamo di dettagliare meglio l’elencazione di cui sopra.

I faccia a scarpa versione umana sono in forte diminuzione, ma non a rischio di estinzione come il Balaeniceps rex. Probabilmente il calo è dovuto al fatto che il panico indotto mediaticamente e istituzionalmente sta perdendo efficacia e a portare la maschera o museruola sul viso rimangono solo quelli che già in precedenza la indossavano per motivi psicologici più che sanitari. Per nascondere le loro presunte bruttezze, per celare la loro identità, perché si sentono più a loro agio riducendo la loro timidezza e imbarazzo sociale, perché non prendono più il mal di gola e attribuiscono il merito al feticcio, ecc.. I motivi possono essere un’infinità, ma quello che duole all’osservatore obiettivo è rilevare che la maggioranza sono giovani, gli anziani gradualmente tornano alla normalità, i giovani meno, proprio non vogliono rinunciare a quel capo di abbigliamento.

I secondi in elenco, gli occhi di cernia, sono visibili e riconoscibili solo a distanza ravvicinata, anche se alcune caratteristiche comportamentali consentono di anticipare la loro identificazione. Non portano il feticcio in volto ma è come se lo portassero velato e invisibile sui loro occhi e il loro cervello, sul quale si dovrebbe indagare, magari anche solo con un EEG. Sono spenti nella loro vitalità e socialità, evitano di affrontare qualunque argomento delicato e vitale che possa compromettere il loro precario equilibrio esistenziale e porre in dubbio le loro scelte precedenti, privi di autocritica e capacità analitiche, preferiscono continuare a illudersi piuttosto che riconoscere la cruda realtà e affrontarla. Sono morti dentro, privi di prospettive, sperano sempre e comunque nell’intervento esterno di qualcuno che si occupi di loro e si lasciano trascinare dagli eventi, Probabilmente erano già così prima della modifica genetica subita da Big Pharma, questa loro connotazione si è solo accentuata, esasperata, fino a predisporli per il passaggio successivo, la zombificazione.

I terzi sono ormai completamente zombificati, proprio quelli dei primi film di Romero, sono cioè zombie romeriani, lenti e apparentemente innocui se si evita la distanza ravvicinata. Sono ancora in grado di emettere suoni, più o meno disarticolati, già in precedenza erano analfabeti funzionali gravi ma in qualche occasione riuscivano ancora ad articolare qualche semplice frase di senso compiuto, ora non più, al massimo ripetono a fatica e con qualche errore e omissione, quanto hanno sentito ripetutamente in televisione, qualche slogan propagandistico della narrativa ufficiale. Privi di pensiero autonomo attingono al pensiero unico elementare ultra semplificato e soprattutto duale, tipo buoni e cattivi, democrazia e dittatura, aggressore e aggredito, ecc., ovviamente senza sapere come attribuire in maniera appropriata la dualità ma delegando le istituzioni e i presunti esperti a farlo per loro.

In una simile condizione sociale ormai consolidata e destinata ad aggravarsi, paradossalmente per sapere come stanno realmente le cose occorre leggere alcuni romanzi, saggi, vedere film e serie tv di alcuni anni fa, nei quali trovi tutto quello che è accaduto recentemente e ti spiegano pure come lo avevano preparato da decenni, gli autori lo avevano previsto e anticipato e comunicato come potevano, con la loro arte, l’unica che poteva passare la censura. Gli sprovveduti che ancora guardano la tv pensano che sia solo fiction, e che la tv dei telegiornali riporti la realtà, mentre è il contrario, la fiction riporta i fatti e la tv (informativa e d’intrattenimento) riporta menzogne manipolatorie e mistificatorie e la propaganda (che è menzogna più sofisticata).

Se nel mondo cinematografico si è diffusa la tecnologia 3D mentre la 4D molto più complessa e costosa è limitata soprattutto ai parchi divertimenti, nella realtà che viviamo, da alcuni anni è stata ormai implementata la tecnica degli effetti speciali 5D, solo che molti non se ne sono ancora accorti. Lo scopo delle prima due è di rendere il più realistico possibile quanto si propone come fiction al pubblico pagante, in modo da intensificare le emozioni indotte nello spettatore come fosse coprotagonista del film. Ma il massimo successo, le élite che dominano il pianeta (i burattinai)  lo hanno ottenuto nella realtà stessa tramite le tecniche complesse e multidisciplinari del 5D, ottenendo in brevissimo tempo: Dispotismo, Distopia, Delirio, Demenza, Disimpegno, in quasi tutta la società cosiddetta occidentale e alcune sue colonie in vari continenti, soprattutto nei paesi dove si è accentuata la sperimentazione, Italia in primis, seguita non a caso da alcuni paesi anglofoni, come il Canada, Australia e Nuova Zelanda, oltre a parecchi stati degli USA, controllati dai DEM.

I burattinai avevano pianificato da parecchi anni questi esperimenti e li avevano anche comunicati anticipatamente in vari modi, persino pubblicandoli in alcuni siti d’istituzioni e organizzazioni facenti parte della piramide di potere, ma nell’eccesso di informazione (disinformazione) disponibile la dispersione è inevitabile e solo pochissimi si erano resi conto di quello che stava per accadere o stava accadendo e invano hanno cercato di trasmettere i loro sospetti a quante più persone possibili.

Gli episodi che caratterizzano questo successo del 5D sono molteplici e interconnessi, ma i fenomeni principali ovviamente sono due, che pur dissimili nelle modalità sono simili nella sostanza finalizzata, il primo è stata la psicopandemia e il secondo la guerra in Ucraina, entrambe provocate artatamente dai burattinai dell’élite dominante. Entrambi i fenomeni indotti sono stati gestiti con gli stessi criteri manipolativi seppur con altri complici, ma sempre sfruttando il completo controllo del potere mediatico.

Un piano del genere poteva essere eseguito solo con la partecipazione di centinaia di migliaia di complici a tutti i livelli istituzionali e gerarchici, sia tramite la corruzione, che l’intimidazione, la minaccia, il ricatto, il condizionamento, il mobbing, ecc.. Soprattutto efficace si è come sempre rivelato il divide et impera, la psicologia di massa e di gregge, la propaganda, il marketing, l’ideologia, l’indottrinamento, la narrazione unica mediatica, la menzogna ripetuta all’infinito, la negazione, la censura, ecc.. Tutte tecniche ormai collaudate da tempo immemore, tutte applicate in simultanea.

Il successo è stato tale che i burattini non si sono mai sentiti manipolati neanche per un attimo, finché hanno iniziato nelle loro stesse famiglie e in loro stessi, ad avere problemi gravi la cui correlazione con l’ingerenza di Big Pharma nelle loro vite non poteva essere negata. Se stavano male non era per casualità ma per causalità, e la causa non poteva che essere una. Non occorre essere Sherlock Holmes o Hercule Poirot per scoprire il colpevole. Anche in seguito alle demenziali sanzioni alla Russia vi sono state gravi ripercussioni, in particolare l’aumento dei costi energetici e non ha funzionato a lungo l’attribuzione della responsabilità a Putin, la speculazione era in corso da prima del conflitto. L’inflazione e la disoccupazione e l’indebitamento porteranno le famiglie a esaurire i loro risparmi, che è quanto desiderava l’élite per poterle spogliare dei loro averi e soggiogarle.

Ma c’è un fatto piuttosto rilevante che è sfuggito ai più, soprattutto a quelli che pensavano di trarre vantaggio dall’aver scelto “il carro dei vincitori” (o almeno così credevano), in particolare ai complici, più o meno lautamente remunerati per aver venduto la loro anima: che i burattinai di rango elevato, una volta raggiunto lo scopo, oppure per sottrarsi a ripercussioni impreviste, non esiteranno un attimo a sacrificare i loro complici come capri espiatori, cioè i burattinai di basso rango o i burattini kapò. Questi pagheranno al posto dei loro manovratori che rimarranno quasi tutti impuniti, perché irraggiungibili, perlopiù non identificabili, mentre quelli di basso rango sono tutti facilmente identificabili, ancora vivi nella memoria delle loro vittime.

E pagheranno sia perché subiranno le stesse conseguenze delle loro stesse vittime, perché fidandosi dei loro padroni anche loro sono stati intossicati da Big Pharma, sia perché verranno puniti in un’infinità di modi diversi dalle loro stesse vittime e dalle circostanze che diverranno molto avverse per loro col passare del tempo. Nessuno è esente dal precipitarsi degli eventi.

A differenza degli aguzzini dei campi di concentramento e sterminio nazisti della II Guerra Mondiale, non ci vorranno decenni come avvenne per molti nazisti per essere individuati, processati e puniti. Questa volta i tempi saranno più rapidi e le ripercussioni molto più complesse ed estese, il tempo non lavora a loro favore e non la passeranno liscia, nessuno di loro la farà franca, possono scordarselo.

Mala tempora currunt sed peiora parantur.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

 

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

In che modo un EMP nucleare influenzerebbe la rete elettrica?


[Nota che questo articolo è una trascrizione del video incorporato sopra.]

Nella tarda mattinata del 28 aprile 1958, la nave portaerei USS Boxer si trovava a circa 70 miglia dalla costa dell’atollo di Bikini nell’Oceano Pacifico. L’equipaggio del Boxer si stava preparando a lanciare un pallone ad elio ad alta quota. In effetti, questo sarebbe il 17° pallone ad alta quota lanciato dalla nave. Ma questo era un po’ diverso. Dove quei primi 16 palloni trasportavano alcuni strumenti e carichi utili fittizi, attaccati a questoil pallone era una testata nucleare da 1,7 chilotoni, nome in codice Yucca. La nave, il pallone e la bomba facevano tutti parte dell’operazione Hardtack, una serie di test nucleari condotti dagli Stati Uniti nel 1958. Yucca fu il primo test di un’esplosione nucleare nei limiti superiori dell’atmosfera terrestre. Circa un’ora e mezza dopo che il pallone è stato lanciato, ha raggiunto un’altitudine di 85.000 piedi o circa 26.000 metri. Quando due bombardieri pacificatori B-36 carichi di strumenti hanno fatto il giro dell’area, la testata è stata fatta esplodere.

Naturalmente, il team di ricerca ha raccolto tutti i tipi di dati durante l’esplosione, compresa la velocità dell’onda d’urto, l’effetto sulla pressione atmosferica e l’entità della radiazione nucleare rilasciata. Ma, da due postazioni a terra, stavano anche misurando le onde elettromagnetiche risultanti dall’esplosione. Sin dalle prime esplosioni nucleari si sapeva che le esplosioni generano un impulso elettromagnetico o EMP, principalmente perché continuava a friggere strumenti elettronici. Ma fino a Hardtack, nessuno aveva mai misurato le onde generate da una detonazione nell’alta atmosfera. Ciò che hanno registrato è stato così ben oltre le loro aspettative, che è stato liquidato come un’anomalia per anni.

Non è stato fino a 5 anni dopo che il fisico statunitense Conrad Longmire avrebbe proposto una teoria per gli impulsi elettromagnetici da esplosioni nucleari ad alta quota che è ancora la spiegazione ampiamente accettata del motivo per cui sono ordini di grandezza più forti di quelli generati da esplosioni a terra . Da allora, i nostri timori di una guerra nucleare non includevano solo lo scenario di una testata che colpiva un’area popolata, distruggendo città e creando ricadute nucleari, ma anche la possibilità che una testata esplodesse molto al di sopra delle nostre teste nell’atmosfera superiore, inviando un EMP abbastanza forte a interrompere i dispositivi elettronici e persino togliere la rete elettrica. Come con la maggior parte delle armi, viene classificata la ricerca migliore e più completa sugli EMP. Ma, nel 2019, una coalizione di organizzazioni energetiche ed enti governativi chiamata Electric Power Research Institute (o EPRI) ha finanziato unstudio per cercare di capire esattamente cosa potrebbe accadere alla rete elettrica da un EMP nucleare ad alta quota. Non è l’unico studio nel suo genere, e non è privo di critiche da parte di coloro che pensano che sia ottimista, ma ha i dettagli ingegneristici più succosi di tutte le ricerche che sono riuscito a trovare. E le risposte sono un po’ diverse da come Hollywood vorrebbe far credere. Questo è un riassunto di quel rapporto, ed è il primo di una serie di video approfonditi sulle minacce su larga scala alla rete. Sono Grady, e questa è ingegneria pratica. Nell’episodio di oggi, parliamo dell’impatto di un EMP nucleare sulla nostra infrastruttura energetica.

Una detonazione nucleare è sgradita in quasi tutte le circostanze. Questi eventi sono intrinsecamente pericolosi e la fisica di un’esplosione va ben oltre le nostre intuizioni. Ciò è particolarmente vero nell’atmosfera superiore, dove la detonazione interagisce con il campo magnetico terrestre e la sua atmosfera in modi davvero unici per creare un impulso elettromagnetico. Un EMP ha in realtà tre componenti distinti, tutti formati da diversi meccanismi fisici che possono avere impatti significativamente diversi qui sulla superficie terrestre. La prima parte di un EMP si chiama E1. Questo è l’impulso estremamente veloce e intenso che segue immediatamente la detonazione.

I raggi gamma rilasciati durante qualsiasi detonazione nucleare entrano in collisione con gli elettroni, ionizzando gli atomi e creando un’esplosione di radiazioni elettromagnetiche. Questo è generalmente negativo di per sé, ma quando viene fatto esplodere in alto nell’atmosfera, il campo magnetico terrestre interagisce con quegli elettroni liberi per produrre un impulso elettromagnetico significativamente più forte che se fatto esplodere nell’aria più densa ad altitudini inferiori. L’impulso E1 va e viene in pochi nanosecondi e l’energia è in qualche modo scherzosamente indicata come CC alla luce del giorno, il che significa che è diffusa su una parte enorme dello spettro elettromagnetico.

L’impulso E1 generalmente raggiunge qualsiasi punto all’interno di una linea di vista della detonazione e, per un’esplosione ad alta quota, può coprire un’enorme area di terra. Al culmine del test Yucca, questo è un cerchio con un’area più grande del Texas . Un’arma a 200 chilometri di altitudine potrebbe avere un impatto su una frazione significativa del Nord America. Ma non ovunque all’interno di quel cerchio sperimenta i campi più forti. In generale, più ci si allontana dall’esplosione, minore è l’ampiezza dell’EMP. Ma, a causa del campo magnetico terrestre, l’ampiezza massima si verifica un po’ a sud del punto zero (nell’emisfero settentrionale), creando questo modello chiamato diagramma del sorriso. Ma nessuno sorriderà scoprendo di trovarsi all’interno dell’area colpita da un’esplosione nucleare ad alta quota.

Anche se un’arma come questa non danneggerebbe edifici, creerebbe ricadute nucleari, non sarebbe percepita dagli esseri umani, o probabilmente anche visibile alla maggior parte, quell’impulso E1 può avere un enorme effetto sui dispositivi elettronici. Probabilmente hai familiarità con le antenne che convertono i segnali radio in tensione e corrente all’interno di un conduttore. Bene, per un impulso abbastanza forte diffuso su una vasta gamma di frequenze, praticamente qualsiasi oggetto metallico agirà come un’antenna, convertendo l’impulso in enormi picchi di tensione che possono sopraffare i dispositivi digitali. Inoltre, l’impulso E1 si verifica così rapidamente che persino i dispositivi destinati alla protezione dalle sovratensioni potrebbero non essere efficaci. Naturalmente, con quasi tutto ciò che ha l’elettronica incorporata in questi giorni, questo ha implicazioni di vasta portata. Ma sulla griglia, ci sono davvero solo pochi posti in cui un impulso E1 è una delle maggiori preoccupazioni. Il primo riguarda i sistemi di controllo all’interno delle stesse centrali elettriche. Il secondo riguarda i sistemi di comunicazione utilizzati per monitorare e registrare i dati per assistere gli operatori di rete. Il rapporto EPRI si è concentrato principalmente sul terzo pericolo associato a un impulso E1: i relè di protezione digitale.

La maggior parte delle persone ha visto gli interruttori che proteggono i circuiti in casa. La rete elettrica dispone di apparecchiature simili utilizzate per proteggere le linee di trasmissione e i trasformatori in caso di cortocircuito o guasto. Ma, a differenza degli interruttori di casa tua che fanno sia il rilevamento dei problemi che l’interruzione del circuito tutto in un unico dispositivo, quei ruoli sono separati sulla griglia. La disconnessione fisica di un circuito sotto carico viene eseguita da grandi contattori motorizzati temprati in olio o gas dielettrico per evitare la formazione di archi. E i dispositivi che monitorano la tensione e la corrente per problemi e dicono agli interruttori quando sparare sono chiamati relè. Normalmente si trovano in un piccolo edificio in una sottostazione per proteggerli dalle intemperie. Questo perché la maggior parte dei relè oggigiorno sono apparecchiature digitali piene di circuiti stampati, schermi e microelettronica. E tutti questi componenti sono particolarmente sensibili alle interferenze elettromagnetiche. In effetti, la maggior parte dei paesi ha regole severe sulla forza e la frequenza delle radiazioni elettromagnetiche che puoi imporre alle onde radio, regole che spero di non violare con questo dispositivo.

Questo è un generatore di impulsi che ho comprato su eBay solo per dimostrare gli strani effetti che le radiazioni elettromagnetiche possono avere sull’elettronica. Emette solo un’onda da 50 MHz attraverso questa antenna, e puoi vedere quando lo accendo vicino a questo multimetro economico, ha degli strani effetti. La lettura sul display diventa irregolare e talvolta riesco ad accendere la retroilluminazione. Puoi anche vedere i due diversi tipi di vulnerabilità E1 qui. Un EMP può accoppiarsi ai fili che fungono da input per il dispositivo. E un EMP può irradiare direttamente l’apparecchiatura. In entrambi i casi, questo piccolo dispositivo non era abbastanza forte da causare danni permanenti all’elettronica, ma si spera che aiuti a immaginare cosa sia possibile quando campi ad alta intensità vengono applicati a dispositivi elettronici sensibili.

Il rapporto EPRI ha effettivamente sottoposto i relè digitali a forti EMP per vedere quali sarebbero stati gli effetti. Hanno usato un generatore Marx che è un circuito moltiplicatore di tensione, quindi ho deciso di provarlo io stesso. Un generatore Marx immagazzina elettricità in questi condensatori mentre si caricano in parallelo. Quando vengono attivati, gli spinterometri collegano tutti i condensatori in serie per generare tensioni molto elevate, nel mio caso fino a 80 o 90 kilovolt. Il mio collega ingegnere di YouTube Electroboom ha creato uno di questi sul suo canale se vuoi saperne di più su di loro. Il mio genera una scintilla ad alta tensione quando viene attivato da questo cacciavite. A proposito, non provarlo a casa. Non ho progettato un’antenna per convertire questo impulso ad alta tensione in un EMP, ma ho provato un test di iniezione diretta. Questa cornice digitale economica non aveva alcuna possibilità. Giusto per chiarire, questo non è in alcun modo un test scientifico. È solo una divertente dimostrazione per darti un’idea di cosa potrebbe essere capace un impulso E1.

L’impulso E2 è più lento di E1 perché è generato in modo totalmente diverso, questa volta dall’interazione di raggi gamma e neutroni. Si scopre che un impulso E2 è più o meno paragonabile a un fulmine. Infatti, molti fulmini sono più potenti di quelli che potrebbero essere generati da detonazioni nucleari ad alta quota. Naturalmente, la rete non è del tutto immune ai fulmini, ma usiamo molta tecnologia di protezione contro i fulmini. La maggior parte delle apparecchiature sulla rete è già protetta contro alcuni impulsi ad alta tensione in modo tale che i fulmini di solito non creano molti danni. Quindi, l’impulso E2 non è così minaccioso per la nostra infrastruttura energetica, soprattutto rispetto a E1 ed E3.

Il componente finale di un EMP, chiamato E3, è, ancora una volta, molto diverso dagli altri due. In realtà non è nemmeno un impulso, perché è generato in un modo completamente diverso. Quando si verifica una detonazione nucleare nell’alta atmosfera, il campo magnetico terrestre viene disturbato e distorto. Man mano che l’esplosione si dissipa, il campo magnetico ritorna lentamente al suo stato originale nel corso di pochi minuti. Questo è simile a ciò che accade quando una tempesta geomagnetica sul sole interrompe la gravità terrestre e grandi eventi solari potrebbero potenzialmente rappresentare una minaccia più grande di un EMP nucleare per la rete. In entrambi i casi, è a causa della perturbazione e del movimento del campo magnetico terrestre. Probabilmente sai cosa succede quando sposti un campo magnetico attraverso un conduttore: generi una corrente. Lo chiamiamo accoppiamento, ed è essenzialmente il modo in cui funzionano le antenne. E infatti,

Ad esempio, la radio AM utilizza frequenze fino a 540 kilohertz. Ciò corrisponde a lunghezze d’onda che possono essere superiori a 1800 piedi o 550 metri, grandi onde. Piuttosto che servire come luogo per montare antenne come la radio FM o le torri cellulari, le torri radio AM lo sonol’antenna. L’intera struttura metallica è energizzata! Spesso puoi riconoscere una torre AM guardando in basso perché si trovano in cima a un piccolo isolante ceramico che le separa elettricamente dal suolo. Come puoi immaginare, maggiore è la lunghezza d’onda, più grande deve essere un’antenna per accoppiarsi bene con la radiazione elettromagnetica. E spero che tu veda a cosa sto arrivando. Le linee di trasmissione e distribuzione elettrica spesso si estendono per chilometri, il che le rende il luogo ideale in cui un impulso E3 si accoppia e genera corrente. Ecco perché è un problema.

Lungo tutta la rete usiamo trasformatori per cambiare la tensione dell’elettricità. Sul lato della trasmissione, aumentiamo la tensione per ridurre le perdite nelle linee. E dal lato della distribuzione, abbassiamo nuovamente il voltaggio per renderlo più sicuro da usare per i clienti nelle loro case ed edifici. Quei trasformatori funzionano utilizzando campi elettromagnetici. Una bobina di filo genera un campo magnetico che passa attraverso un nucleo per indurre la corrente a fluire attraverso una bobina adiacente. In effetti, il motivo principale per cui utilizziamo la corrente alternata sulla rete è perché ci consente di utilizzare questi dispositivi davvero semplici per aumentare o diminuire la tensione. Ma i trasformatori hanno un limite.

Fino a un certo punto, la maggior parte dei materiali utilizzati per i nuclei dei trasformatori ha una relazione lineare tra la quantità di corrente che scorre e l’intensità del campo magnetico risultante. Ma questa relazione si interrompe al punto di saturazione, oltre il quale la corrente aggiuntiva non creerà molto ulteriore magnetismo per guidare la corrente sull’avvolgimento secondario. Un impulso E3 può indurre un flusso di corrente approssimativamente CC attraverso le linee di trasmissione. Quindi hai DC sopra AC, che crea un bias nell’onda sinusoidale. Se c’è troppa corrente CC, il nucleo del trasformatore potrebbe saturarsi quando la corrente si muove in una direzione ma non nell’altra, distorcendo la forma d’onda di uscita. Ciò può portare a punti caldi nel nucleo del trasformatore, danni ai dispositivi collegati alla rete che si aspettano un piacevole schema di tensione sinusoidale e molte altre cose strane.

Quindi quali sono le implicazioni di tutto questo? Per l’impulso E1 che danneggia alcuni relè, probabilmente non è un grosso problema. Ci sono spesso percorsi ridondanti per il flusso di corrente nel sistema di trasmissione. Ecco perché si chiama griglia. Ma maggiore è il numero di apparecchiature che vanno offline e maggiore è lo stress sulle linee rimanenti, maggiore è la probabilità di un guasto a cascata o di un collasso totale. L’EPRI ha effettuato test simulando una bomba da un megaton fatta esplodere a 200 chilometri di altitudine. Hanno stimato che circa il 5% delle linee di trasmissione potrebbe avere un relè che viene danneggiato o interrotto dall’EMP risultante. Questo da solo probabilmente non è sufficiente per causare un blackout su larga scala della rete elettrica, ma non dimenticare l’E3. L’EPRI ha scoperto che la terza parte di un EMP potrebbe portare a blackout regionali che coinvolgono più stati a causa della saturazione del nucleo del trasformatore e degli squilibri tra domanda e offerta di elettricità. La loro modellazione non ha portato a danni diffusi ai trasformatori effettivi, e questa è una buona cosa perché i trasformatori di potenza sono dispositivi grandi e costosi che sono difficili da sostituire e la maggior parte delle utility non tiene molti ricambi in giro. Detto questo, il loro rapporto non è privo di critiche e molti credono che un EMP potrebbe causare molti più danni alle infrastrutture elettriche. e la maggior parte delle utility non tiene molti ricambi in giro. Detto questo, il loro rapporto non è privo di critiche e molti credono che un EMP potrebbe causare molti più danni alle infrastrutture elettriche. e la maggior parte delle utility non tiene molti ricambi in giro. Detto questo, il loro rapporto non è privo di critiche e molti credono che un EMP potrebbe causare molti più danni alle infrastrutture elettriche.
Quando si combinano gli effetti dell’impulso E1 e dell’impulso E3, non è difficile immaginare come la rete possa essere seriamente disabilitata. È anche facile vedere come, anche se i danni reali alle apparecchiature non sono così significativi, la natura diffusa di un EMP, oltre ai suoi potenziali impatti su altri sistemi come computer e telecomunicazioni, ha il potenziale per frustrare il processo di recupero delle cose. in linea. Un blackout di più giorni, più settimane o persino più mesi non è fuori questione nello scenario peggiore. Probabilmente non causerà un ritorno in stile hollywoodiano all’età della pietra per l’umanità, ma è certamente in grado di causare un grave sconvolgimento nella nostra vita quotidiana . Esploreremo cosa significa in un video futuro.

https://practical.engineering/blog/2022/11/7/how-would-a-nuclear-emp-affect-the-power-grid

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Andrà tutto bene, di Andrea Zhok

Personalmente credo che la regola da adottare verso circenses lobotomici come il cosiddetto “festival della canzone italiana” sia tacerne. Anche parlarne male, nel meccanismo mediatico odierno, significa farlo diventare qualcosa di significativo.
Ma posto che il fuoco di artiglieria su questa grande operazione di distrazione e indottrinamento è comunque massivo, forse ci possiamo permettere una considerazione di cornice, che non nobiliti nessuno dei penosi dettagli della kermesse citandoli.
La prima osservazione da fare riguarda un meccanismo mentale, invalso a partire dagli anni ’80 con l’ingresso nelle vite degli italiani della televisione commerciale. Chiamiamolo l’argomento del “populismo delle élite”. Questo argomento scatta in presenza di critiche e contumelie espresse verso questi circenses, denunciandole come manifestazioni di elitarismo, lontane dal sentire del popolo.
È da quando ho memoria che sento usare questo argomento a molla, per cui se auspichi che qualcuno legga un classico della letteratura piuttosto che la finta autobiografia di un calciatore di successo, che ascolti buona musica invece di spazzatura commerciale, che apprezzi la differenza tra cinematografia di qualità (o, dio non voglia, buon teatro di prosa) rispetto all’ultimo video autopromozionale dell’influencer di turno, se fai questo gesto ti vedi rinfacciare di essere elitista, di non essere in sintonia con il gusto popolare, ecc.
Ed è così che, anno dopo anno, iterazione dopo iterazione di questa scemenza, si è arrivati al fondo del barile, iniziando gaiamente a scavare. Per rendere l’idea, nel mio anno di nascita (1967) il film per ragazzi campione di incassi era “Il libro della giungla” (Disney), oggi è “Me contro Te”.
Il problema dell’argomento del “populismo delle élite” è che è una falsità esiziale che si nutre di un fraintendimento.
Il fraintendimento è che si fa credere che tenere alti i criteri di qualità significhi prediligere dei generi “alti” rispetto ad altri generi. Ma questo è un modo di calciare la palla in tribuna. Non ha senso contrapporre, chessoio, la musica classica al rock, il teatro al cinema, la letteratura entrata nelle antologie a quella contemporanea, ecc. È del tutto ovvio che si trova alta e bassa qualità trasversalmente ad ogni genere, (oddio, per la Trap rimane un’ipotesi da dimostrare, ma diciamo in generale.)
C’è della “musica seria” contemporanea che è solo boriosa trasposizione in pubblico di un’officina di sperimentazione autoreferenziale che ha bisogno dei sottotitoli per significare alcunché, e c’è musica pop che ha prodotto capolavori.
La falsità (e nocività) in questo argomento sta nel fatto che il “gusto popolare” non è una realtà fissa e intrinsecamente scadente. La letteratura popolare ha creato miti profondi e leggende eterne, la musica popolare ha prodotto danze, canti e cori straordinari, una miniera tutt’oggi saccheggiata per estrarre cellule armoniche, melodiche e ritmiche. Il gusto popolare non è una realtà stabile: cresce o decresce, matura o degenera. E la prima forma per qualificare, educare, far maturare le qualità cognitive e la sensibilità pubblica è esporre le persone ad opere di qualità. (Ed ora, per piacere, risparmiatemi gli zebedei dai colpi di “e-chi-lo-dice-che-quella-è-qualità-è-qualità-per-te-non-per-me-il mio-idolo-è-bombolo”).
La scelta di cercare e proporre il livello più basso possibile ponendolo come “naturalmente popolare” è una scelta specifica, una scelta di politica culturale che produce una sistematica degenerazione delle anime. L’abbrutimento del mondo è in effetti la prima condizione per far accettare alla gente tutto il resto: l’arte e la letteratura di qualità consentono alle persone di esplorare modi di sentire e di vedere più perspicui, di percepire la possibilità di forme di vita superiori. Ma guai a lasciar vedere agli schiavi che lavorano nelle viscere della terra la luce del sole, perché potrebbero non voler più rientrare nel fango e nelle tenebre.
La cosiddetta “cultura popolare” odierna non è affatto popolare, non ha niente di spontaneo e non ha nulla a che vedere con una produzione “dal basso”. Si tratta di produzione industriale seriale, fatta cadere dall’alto da multinazionali dell’intrattenimento, che simultaneamente costruiscono personaggetti spendibili nelle proprie “pubblicità progresso”, personaggi su cui gli schiavi possono proiettarsi e trovare conferma che sono “nel posto giusto” e, soprattutto, che “non vi sono alternative”.
Le linee direttive di fondo che guidano l’intrattenimento per il bestiame di riferimento sono tre: bisogna comunicare che “è tutto a posto così com’è”, bisogna garantire che “ci stiamo già prendendo cura dei più alti ideali”, e bisogna far balenare l’idea che “c’è spazio per la spontaneità e per la massima libertà”.
Per fare qualche esempio con riferimenti puramente casuali a cose e persone. Monologhi piacioni da parte di qualche giullare di regime che spiegano la bellezza di una costituzione che viene straziata tre volte al dì nelle forme più spudorate servono a comunicare l’idea che “è tutto a posto” e che “abbiamo a cuore i più alti ideali”. In un paese che ha massacrato senza ritegno il diritto al lavoro, il diritto alla salute, la libertà di insegnamento, la libertà di parola, la libertà di stampa, la libertà terapeutica e che chiama le guerre cui partecipa incostituzionalmente da decenni “azioni di pace”, è necessario che qualcuno metta in campo di quando in quando una sviolinata falsa come Giuda sulla “Costituzione più bella del mondo”.
Similmente il florilegio di libertà in scatola, di trasgressioncelle a cottimo in cui si esibiscono “artisti” fatti a macchina è il modo in cui si rassicura il gregge intorno all’esistenza di spazi di spontaneità e di tolleranza. C’è quello che per l’ennesima volta, stancamente, spacca una chitarra, quello che si presenta in reggicalze, quella che recita in finto nudo, ecc. ecc. infinite spossate ripetizioni di simulacri di libertà, conformismo dell’anticonformismo.
L’intrattenimento è da almeno mezzo secolo – lo notava già Günther Anders – la forma primaria di indottrinamento e conformazione. Da tempo si sa che l’indottrinamento attraverso l’asserzione diretta produce resistenza. Invece l’intrattenimento produce i suoi effetti scivolando negli interstizi dell’attenzione, nella forma dell’implicito, dello sfondo, del collaterale.
L’odierno intrattenimento è un’operazione non semplicemente di rincoglionimento (è anche questo naturalmente), ma soprattutto è un’operazione sistematica di castrazione mentale. L’intero spettro dei luoghi dove si può e si deve “lottare” viene spostato in aree protette, innocue per chi detiene il potere, dove la plebe dedica gli ultimi ritagli di mente, tra una corvè e l’altra, alla rivendicazione di diritti sott’olio e libertà sponsorizzate.

https://sfero.me/article/andra-tutto-bene-1675946057027?fbclid=IwAR0u7G57IHj_oW6zSDx4uTX_EGfX5o7YkmIkwiDoHtqcCs_-5kqdZux3vKE

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo
1 162 163 164 165 166 291