La Turchia, l’Italia e il realismo_di Giuseppe Gagliano

Articolo come sempre ben centrato nella sua consueta essenzialità. Il focus è incentrato su uno Stato, la Turchia e un capo di governo, Erdogan, destinati ad assumere, nella veste di una potenza di media grandezza, un ruolo di primo piano in un ampio, se non addirittura sovradimensionato, in assenza di supporto e placet da parte dei grandi, spazio che va dall’area turcomanna, ai Balcani, all’Europa Orientale, al vicino oriente, al Mediterraneo Centro-Orientale, all’Africa Sahariana e Sub-sahariana. Offre altresì uno spunto interessante sulle miserie domestiche per caratterizzare ulteriormente, a seconda dei casi, la postura rispettivamente di plenipotenziario, di luogotenente e di cerbero di Mario Draghi, sotto le mentite spoglie di Capo di Governo. Non so se avete notato l’apparente discrasia tra l’annuncio trionfalistico e denso di aspettative per il prestigio del paese che ha accompagnato l’investitura a Presidente del Consiglio di Mario Draghi e il tono dimesso che ha accompagnato le particolari e specifiche prestazioni del nostro nell’agone internazionale. Un po’ c’entra la goffaggine con la quale il nostro si è avventurato nelle sue scorribande, specie esterne e prospicienti al suo territorio di elezione e di coltura, l’Europa; una sorta di ripetitore automatico, spesso gracchiante ed approssimativo. Tantissimo c’entra il merito della sua missione e la natura dell’esercizio delle sue funzioni.

Mario Draghi, ammantato dell’aura di supertecnocrate, è stato invocato per sistemare la farraginosa macchina amministrativa quel tanto che bastasse per avviare e mettere in atto il PNRR. Al di là delle aspettative illusorie affidate al piano e al netto dei suoi aspetti compromettenti e vincolanti, il nostro sta deludendo nell’ambito riformatore, sta ampiamente conseguendo altresì l’obbiettivo di vincolare ulteriormente le future politiche economiche e, conseguentemente, le dinamiche geopolitiche del nostro paese al carro NATO-UE ormai sempre più simbiotico. La missione ormai nemmeno tanto più occulta ed imprescindibile è un’altra: condurre con mano i paesi europei dell’area mediterranea all’interno delle spericolate strategie dell’attuale leadership americana. Con poco sforzo Spagna, Portogallo e Grecia hanno seguito il buon pastore in ordine ed allineati. Vigilare sui comportamenti di Macron in Francia e Scholz in Germania. I due conoscono sin troppo bene la propensione gregaria e la fonte primaria della sua affiliazione. E’ evidente lo scarso gradimento riguardo alla sua ossessiva presenza; hanno il serio problema, a prescindere dalla loro indole e propensione politica, di dover fronteggiare i forti impulsi di autonomia presenti all’interno dei rispettivi paesi. Che sia questa la funzione essenziale da svolgere lo si deduce dalla irrilevanza dei risultati ottenuti in ambito UE da Mario Draghi in materia di calmieramento e compensazione dei danni seguiti alla pedissequa attuazione delle sanzioni nominalmente ai danni della Russia. L’aspetto più pernicioso, che rivela per altro definitivamente lo spessore umano della persona e dell’uomo di governo, si è manifestato nella postura assunta di recente nei confronti della Turchia. A fronte di qualche risultato raggiunto nel campo degli scambi commerciali e delle commesse industriali, in settori nei quali per altro l’Italia ha mantenuto parzialmente la capacità produttiva ma perso significativamente il controllo strategico, risalta l’accettazione acritica della superiore postura strategica assunta dalla Turchia in aree di interesse vitale dell’Italia, a cominciare dal controllo degli hub energetici del Mediterraneo Orientale per finire con la gestione della crisi libica. Il tutto ovviamente in linea con l’accettazione pedissequa dei nuovi orientamenti statunitensi nei confronti della Turchia, ma particolarmente onerosi per il nostro paese. Dal punto di vista simbolico la irridente anticamera imposta a Draghi e a mezzo governo italiano in attesa del vertice è stata una significativa illustrazione della reale condizione geopolitica del nostro paese della quale il nostro luogotenente non fa che prendere atto e perseguire, perfezionandola. Questo commento non è una gratuita e sterile manifestazione di livore nei confronti di un personaggio tanto estraneo quanto influente nell’agone politico italiano. Vuole stigmatizzare la tragica e grave condizione nella quale sta trascinando il paese grazie alla sua pedissequa e solerte esecuzione dei dictat statunitensi. Non è demerito suo esclusivo. Ad esso contribuiscono la grettezza della quasi totalità della nostra classe dirigente e, con la parziale eccezione di parte degli ambienti vaticani, la condizione inebetita dell’intero ceto politico. Quest’ultima è ancora una volta patrimonio comune delle compagini che sostengono il governo e della forza di opposizione: la prima a partire dalla veste assunta dal Partito Democratico, il quale per esplicita ed ostentata ammissione, ha scelto una postura “discreta” e riservata proprio per non ostacolare il cammino di Draghi; la seconda, Fratelli d’Italia, assumendo una posizione ostentatamente più realista del re tale da farla apparire pienamente corresponsabile dei prossimi disastri annunciati. Sulla base degli antefatti, molto probabilmente Mario Draghi riuscirà a sgattaiolare senza particolari danni in tempo utile per sfuggire al prossimo redde rationem; addirittura con qualche benemerenza e lascito aggiuntivo. Il cerino acceso rimarrà in mano ai suoi improbabili epigoni. In quel momento, ormai prossimo, il paese dovrà seguire necessariamente una delle due vie obbligate: una opzione autonoma ed indipendente, dai costi comunque pesanti, tale da tirarsi fuori dalla trappola costruita dall’avventurismo disperato dell’attuale leadership statunitense; la continuità nelle attuali per così dire “scelte” che avranno per epilogo l’individuazione definitiva nella Russia del capro espiatorio responsabile del disastro autolesionistico economico-sociale prossimo a venire e relativo corollario di una politica apertamente bellicista, del tutto autolesionistica per l’intero continente europeo. Il compimento tragico di un percorso avviato con la 1a guerra mondiale e proseguito con la 2a. Un paese come l’Italia, il quale quattro anni fa, ha ostentatamente rifiutato di giocare nel Mediterraneo le carte che le sono state offerte, non merita alcuna considerazione, almeno sino a quando non vorrà liberarsi delle proprie nullità al comando. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Come le democrazie liberali a volte si piegano alla ragion di Stato. Il caso della Turchia e dell’Egitto. Il corsivo di Giuseppe Gagliano

Numerosi sono i cantori dei supremi valori della democrazia liberale. Valori, questi, che tuttavia – almeno nel contesto della politica estera – vengono profondamente ridimensionati di fronte alla ragion di Stato. Per non dire vanificati. Ieri con l’Egitto. Oggi con la Turchia.

Questa discrasia tra la realtà effettuale e i nostri ideali è pienamente giustificabile e comprensibile all’interno di una determinata cornice teorica quale quella del realismo ma diventa priva di legittimità e di giustificazione se si abbraccia un approccio di tipo liberale alla politica internazionale. Cosa ha indotto il nostro paese a consolidare i propri legami con la Turchia dopo le dichiarazioni di Mario Draghi fatte lo scorso anno a proposito del premier Erdogan definito un dittatore ? Vediamole in breve.

In primo luogo la necessità di contenere i flussi migratori proventi della Libia, sulla quale ormai la Turchia esercita una politica di influenza sempre più rilevante che ha in breve tempo marginalizzato quella italiana; in secondo luogo, grazie al gasdotto Tap l’Italia avrà sempre più bisogno della Turchia. E avrà sempre più bisogno della Turchia come delle nazioni africane e di quelle mediorientali perché l’Italia ha da molto tempo rinunciato ad avere una politica energetica autonoma.

Quanto alle sinergie strette tra Italia e Turchia nel settore degli armamenti queste non fanno altro che consolidare quelle che già esistono da molto tempo, come abbiamo avuto modo di indicare in un articolo precedente. Se poi guardiamo alle scelte poste in essere dal premier turco sia in relazione al vertice di Madrid della Nato – dove è riuscito a ottenere, senza troppo clamore, che in cambio di un suo ‘sì’, in relazione all’ingresso di Helsinki e Stoccolma nella Nato, la Finlandia e la Svezia promettessero di non prestare più sostegno ai leader curdi che Ankara considera ‘terroristi’ -, sia a indurre gli USA a rivedere la loro decisione di non vendere i 40 caccia F16 il vero vincitore del vertice di Madrid è certamente il premier turco.

Forse sulla carta e sui preziosi volumi di diritto internazionale e di filosofia della politica i valori della democrazia sono sacri e puri – come l’amore narrato nei film hollywoodiani – ma nel contesto della realtà conflittuale, quale è quella della politica internazionale, questi valori vengono profondamente ridimensionati e relativizzati. Ecco che allora la realtà concreta nella quale viviamo assomiglia a una via di mezzo fra un dramma e una tragica farsa.

https://www.startmag.it/mondo/turchia-egitto-italia-ragion-di-stato/?fbclid=IwAR01QO-5qz7R_tQLpoOGDb3c83f-DfpOfnKyd9vufBZmVgoMqtKPKi9CTq8

L’ELEZIONE DI ZELENSKY E QUELLE PROMESSE TRADITE AGLI OCCHI DEL MONDO, di Marco Giuliani

L’ELEZIONE DI ZELENSKY E QUELLE PROMESSE TRADITE AGLI OCCHI DEL MONDO

Correva il 2019. Quando il conflitto poteva ancora essere evitato, il leader ucraino remò contro

Nel 2019, una volta eletto presidente ai ballottaggi con il 73% dei voti, Volodymyr Zelensky ha trasformato la sua natura di comico d’avanspettacolo televisivo in cruda realtà, soprattutto quella legata alla sorte futura dei suoi connazionali (malgrado loro). Nel puntualizzare le promesse disattese di questo personaggio, in primo luogo di fronte alla comunità internazionale, è opportuno ripercorrere analiticamente il processo politico che, dal punto di vista di Kiev, ha provocato la tragedia militare in corso da quasi cinque mesi nell’Est europeo. Processo che, come ormai noto a tutti, sta mutando gli equilibri geopolitici di mezzo mondo.

Quali furono i presupposti per la candidatura di Zelensky alla presidenza della Rada ucraina? Quale programma elettorale determinò la sua vasta popolarità nel paese che decise di dargli fiducia? Procediamo per ordine. Oltre alle promesse di “smontare” gli establishments oligarchici che di fatto imperversavano nella cosa pubblica e nell’amministrazione ucraine dando luogo a vasti fenomeni di corruzione, i primi slogan, in politica estera, si ispirarono alla volontà di avvicinare il paese alla zona euro e all’impegno simultaneo di pacificare le aree russofone e quelle a maggioranza ucrainofona, in guerra da decenni (e non dal 2014, come l’informazione convenzionale ripete da tempo). Opzioni entrambe fallite, vuoi per dolo, vuoi per inconsapevole negligenza. Sappiamo che tra le lobbies che sostennero l’ex comico gravitavano personaggi poco limpidi – il controverso banchiere Ihor Kolomoisky, miliardario e vicino agli ambienti neonazisti ucraini, ne è un esempio – ma non è questo il punto. Il problema si è ingigantito a seguito del rifiuto ai posteri di instaurare un dialogo con il Cremlino circa le questioni Crimea-Donbass, dove la popolazione è per circa il 60% a maggioranza russa da secoli, e dove le leggi nel Donetsk contro la libertà di espressione e contro la lingua da parte degli ucraini si sono susseguite negli anni e inasprite – guarda caso – proprio con Zelensky. Il quale Zelensky, soggiogato (ma soprattutto foraggiato) dalla Nato e dai governi occidentali filostatunitensi, non ha fatto altro che provocare il muro contro muro. E di conseguenza, altri morti. Lo ha fatto di fronte alla comunità internazionale, che nonostante tutto, ha iniziato ad appoggiarlo con lo scopo di cercare un casus belli per scontrarsi con Putin.

Non bisogna dimenticare – contrariamente a quanto fanno oggi i leaders e i media mainstream euro-atlantici – che nel 2010, alle presidenziali indette da Kiev, i candidati filorussi presero il 90% dei voti. Dopo di che, dal 2019 a oggi, che corre la metà del 2022, le condizioni nell’Ucraina sudorientale sono precipitate. Non solo a causa dell’attacco russo, ma anche perché smentendo quanto garantito nel suo programma politico preelettorale, l’ex comico ha fatto l’opposto di ciò che sarebbe stato opportuno e sacrosanto per evitare la guerra, o quanto meno interromperla: complicità in quelle che si possono definire vere e proprie leggi razziali ai danni delle minoranze russofone, il rifiuto per qualsiasi tipo di trattativa per giungere ad accordi bilaterali che ratificassero la carta di Minsk, e in ultimo, la svolta atlantista e guerrafondaia che nel tempo ha attirato a sé tutta una serie di movimenti neonazisti ben armati e sfruttati militarmente in chiave antirussa. Salvo farli passare da molti per “eroi della resistenza”.

La recrudescenza del sentimento di contrapposizione a coloro che ormai vengono considerati da Biden & c. come i nemici da abbattere senza compromessi, ha pochi precedenti, se non dal 1945; detta condizione, legata alla paventata e stupida idea di fornire armi non più difensive ma a lungo raggio a Kiev (promossa dal deposto Johnson e non scartata dal governo italiano “dei migliori”), a conflitto ormai in corso e ferme restando le colpe di Mosca, suggerisce che c’è premeditazione. Da un lato gli alleati atlantici, che hanno trasformato l’Europa in una propria succursale senza proporre compromessi bensì rimpinguando lo scontro, e dall’altro un governo che in pieno terzo millennio usa mezzi vecchi e spicci per risolvere controversie internazionali. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

 

MARCO GIULIANI

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

  1. Sciuto, Quegli strani neonazisti europeisti e atlantisti in Ucraina, articolo del 7 marzo 2022 in Micromega –

www.analisidifesa.it

www.balcanicaucaso.org

www.iltempo.it, pagina del 2 giugno 2022

www.ukrcensus.gov.ua., censimento della popolazione ucraina effettuato nel 2001 –

 

 

 

 

 

 

 

La giunta maliana non è un “regime difensivo nazionalista” ma un pioniere africano, di Andrew Korybko

Ci siamo soffermati più volte sul Mali, grazie anche ai fondamentali contributi di Bernard Lugan. E’ stato il primo paese a subire i pesanti contraccolpi dello scellerato intervento della NATO in Libia, nel 2011, conclusosi con il terribile eccidio di Gheddafi e di uno dei suoi figli. Le truppe scelte di pretoriani, rimasti orfani del capo e mecenate, presero la strada del Mali e diedero un apporto sostanziale alla ripresa dei conflitti di natura tribale in un quadro di contrapposizione atavica tra la popolazione nera stanziale e quella nomade presente a nord del paese. I francesi furono chiamati dai militari al governo a sedare la ribellione. Agirono, più o meno pretestuosamente, adottando il comodo discrimine del conflitto religioso, facendo della guerra al radicalismo islamico il vessillo delle loro imprese e costringendo l’azione politico-militare entro questa chiave largamente fuorviante. Il risultato è stato l’acuirsi delle rivalità e il fallimento disastroso dell’operazione nell’immediato. Ancora peggiori e disastrose le conseguenze future, in particolare per la Francia e per tutti i paesi, compresa l’Italia, i quali del tutto gratuitamente hanno offerto il sostegno all’operazione. Il discredito e l’alea di impotenza ed inaffidabilità rapace che sono riusciti a generare priverà di senso e autorevolezza ogni dichiarazione di intenti per decenni. La situazione dei regimi politici africani è profondamente cambiata. Sono realtà fortemente dipendenti dal punto di vista economico e politico, ma non sono più semplici marionette da manipolare a piacimento; soprattutto possono contare su numerosi interlocutori alternativi all’Occidente, dalla Cina, alla Russia, alla Turchia, all’India, ai sauditi. Hanno rapidamente imparato a non dire sì prima ancora che si pongano le domande. Una postura che il ceto politico italiota è ancora lungi da perseguire con la conseguente immagine e realtà di vacuità ed insignificanza che l’Italia ormai offre da tempo. Mario Draghi ne rappresenta solo l’apoteosi e l’essenza mortifera definitiva. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Colpo di stato in Mali; come la giunta ecowas ha revocato le sanzioni economiche

L’esempio maliano incute timore nel cuore dei leader occidentali poiché li fa sospettare che alcuni degli stessi uomini incaricati di far rispettare i loro regimi neocoloniali nell’Africa occidentale potrebbero essere segretamente combattenti per la libertà antimperialisti che complottano per rovesciare questi sistemi ingiusti dall’interno come la giunta di quel paese era chiaramente con il senno di poi.

La BBC ha condannato la giunta maliana come un cosiddetto “regime nazionalista difensivo” che “ha abilmente giocato” sulle percezioni popolari nella regione per convincere l’ECOWAS a revocare le sue sanzioni paralizzanti in un pezzo che l’outlet ha appena pubblicato intitolato ” Colpo di stato in Mali: come la giunta ha fatto revocare le sanzioni economiche di Ecowas ”. Non è altro che un pezzo di successo che ruota la valorosa difesa della giunta di interessi nazionali oggettivi di fronte alle sanzioni neoimperialistiche sostenute dalla Francia dell’ECOWAS a causa della paura che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti ha dell’esempio continentale dato da Bamako.

Attraverso “l’approvazione di una nuova legge elettorale e disposizioni per un’autorità elettorale, e una tabella di marcia dettagliata per la transizione e, soprattutto, un calendario fisso che fissa una scadenza fissa per il primo turno delle elezioni presidenziali che si terrà a febbraio 2024”, la giunta ha convinto questo blocco regionale a revocare le sue restrizioni economiche nei confronti del Paese. Rispondendo con aria di sfida a “ogni messaggio duro di Ecowas o dell’Europa e delle Nazioni Unite”, sono stati anche in grado di convincere il popolo dell’Africa occidentale che l’ECOWAS sta effettivamente lavorando contro tutti loro, il che è ciò che ha portato alla revoca delle sanzioni.

Dopotutto, l’ECOWAS pretende di agire in nome del popolo dei suoi stati membri, ergo il pretesto con cui ha sanzionato in primo luogo la giunta maliana. La falsa base era quella di “ristabilire la democrazia” lì, ma l’ultimo colpo di stato è stato davvero popolare tra le masse che la BBC, a suo merito, ha accuratamente riferito che erano desiderose “di un cambiamento radicale in un paese la cui élite tradizionale era stata presumibilmente marcita dalla corruzione e dall’autocompiacimento. ” Insieme alla campagna “antiterrorista” lunga anni della Francia che molti ritenevano fosse una copertura per lo sfruttamento neocoloniale del paese, è chiaro il motivo per cui si è verificato il colpo di stato.

La giunta maliana ha quindi aperto la strada a un nuovo modello da seguire per tutti gli altri paesi africani. In primo luogo, l’esercito era motivato da ragioni genuinamente patriottiche e antimperialistiche per rovesciare il governo corrotto sostenuto dalla Francia. In secondo luogo, questa era una sincera espressione della volontà popolare. In terzo luogo, la successiva sanzione da parte dell’ECOWAS del loro stato ha peggiorato direttamente la vita della gente media. In quarto luogo, invece di rivoltarli contro la giunta, ha cambiato decisamente il loro atteggiamento contro l’ECOWAS ei suoi sostenitori occidentali. E quinto, la risposta provocatoria della giunta a tutte le pressioni ha ispirato gli africani ovunque.

Elaborando quest’ultimo punto, tutti hanno visto come un movimento militare genuinamente patriottico e popolare può resistere a un blocco regionale sostenuto dall’Occidente di fronte a sanzioni paralizzanti senza concedere unilateralmente alcuna questione di interessi nazionali oggettivi. Al contrario, la giunta ha articolato in modo convincente questi stessi interessi in risposta a pressioni massicce e quindi è servita a educare la popolazione su di essi, il che a sua volta ha aumentato ulteriormente il loro sostegno. Questa rivoluzione della coscienza di massa, che era già in divenire da molto tempo, può essere descritta come un punto di svolta.

Questo perché non è solo un’esclusiva del Mali, ma si sta diffondendo in tutta l’Africa occidentale – che è pronta a diventare un importante campo di battaglia per procura nella Nuova Guerra Fredda – e nel continente in senso più ampio. Dall’altra parte dell’Africa, la sfida altrettanto coraggiosa dell’Etiopia di fronte a pressioni senza precedenti su di essa per concedere unilateralmente la sua autonomia strategica in risposta alla Guerra del terrore ibrida guidata dagli Stati Uniti, sostenuta dall’Occidente e organizzata dall’Egitto, dal TPLF, ha stabilito un identico esempio. Presi insieme, Etiopia e Mali stanno dimostrando che esistono percorsi diversi verso gli stessi obiettivi di sovranità.

Che siano guidati da un leader genuinamente popolare eletto democraticamente come in Etiopia o da un militare genuinamente popolare salito al potere con un colpo di stato come in Mali, i paesi africani possono proteggere la loro sovranità fintanto che i loro massimi rappresentanti hanno veramente la volontà politica di farlo. Certamente comporta costi considerevoli, come dimostrato da tutto ciò che l’Etiopia ha vissuto come punizione per le sue politiche indipendenti e le enormi sofferenze inflitte al popolo maliano dalle sanzioni neoimperiali dell’ECOWAS, ma questi costi valgono probabilmente la pena per difendere il loro onore e indipendenza.

L’esempio maliano incute timore nei cuori dei leader occidentali ancor più di quello etiope, anche se fa sospettare che alcuni degli stessi uomini incaricati di far rispettare i loro regimi neocoloniali in Africa occidentale potrebbero essere segretamente combattenti per la libertà antimperialisti che complottano per rovesciare questi sistemi ingiusti dall’interno come la giunta di quel paese era chiaramente col senno di poi. Elezioni democratiche come quella che ha confermato la premiership di Abiy Ahmed si verificano in date programmate mentre i colpi di stato militari si verificano inaspettatamente e talvolta quando meno se lo aspetta il Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti.

Considerando il fatto che molteplici regimi neocoloniali sostenuti dall’Occidente continuano ad esistere in Africa occidentale e oltre, l’esempio dato dal Mali potrebbe ispirare “imitatori” in tutto il continente, soprattutto perché hanno appena visto che rispondere con aria di sfida a tutte le pressioni su di loro può avere successo nell’alleviarne alcune manifestazioni come le sanzioni senza concedere unilateralmente interessi nazionali oggettivi. Ecco perché la giunta ha fatto tremare di paura i leader occidentali per ciò che ha appena ottenuto, ecco perché la BBC ha cercato di screditarlo, anche se falliranno nel manipolare le percezioni regionali su di loro.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3056

Ucraina e Africa sono una formula esplosiva per l’UE, di cui pare non avere consapevolezza alcuna. Di Claudio Martinotti Doria

Premetto che non mi ripeterò rispetto a quanto ho già scritto in precedenza, perché francamente ho poca voglia di scrivere, ritenendo che chi è sinceramente desideroso di sapere, capire e interpretare la realtà che ci circonda e prevedere quella che si approssima, dovrebbe ricercare fonti attendibili d’informazione e non abbeverarsi ai media mainstream che fanno solo propaganda di regime, non dovrebbe fare scelte comode e omologate o far finta di nulla e rifiutarsi di sapere come realmente stanno le cose, ma semmai assumersi le proprie responsabilità individuali cercando di fare scelte consapevoli.

Dopo questa breve premessa veniamo all’oggetto di questo mio sintetico intervento: Ucraina (intesa come situazione complessiva in corso e sue ripercussioni) e Africa e la loro stretta correlazione geopolitica, economica e antropologico culturale.

Sull’Ucraina ormai tutti dovrebbero aver capito che il Donbass è stato quasi totalmente liberato dalle forze armate russe e donbassiane e quindi la guerra per gli ucraini è persa nonostante le decine di miliardi armi e finanziamenti stanziati dagli USA, NATO e UE (che vengono usate per colpire obiettivi civili russi e donbassiani) e gli otto anni di addestramento e guerra intestina guidata dagli specialisti NATO nel paese, con lo scopo di provocare e aggredire la Russia per poi smembrarla e depredarla delle sue risorse naturali, perché questo era ed è tuttora lo scopo degli angloamericani, ci sono i piani resi pubblici sui vari siti istituzionali militari e dei principali think tank atlantisti, andate a cercarli e leggeteli.

Dopo il Donbass le forze armate russe e donbassiane, come ho scritto fin dalla fine di febbraio di quest’anno, si dedicheranno all’oblast di Odessa ricongiungendosi alla Transnistria russa, e agli oblast del nordest del paese fino a giungere al grande fiume Dnepr che fungerà da confine naturale tra i due blocchi. L’Ucraina senza le sue regioni più ricche, senza sbocco al mare, diverrà del tutto una colonia polacco-americana, onerosa da mantenere, in quanto ridotta in miseria e difficile da controllare in quanto con una popolazione incazzata (non ben disposta, se vogliamo ricorrere al politically correct.

Anche la guerra economica alla Russia è fallita e si è ritorta contro l’Occidente, UE in primis. Paradossalmente con questa pessima strategia si è favorito proprio quello che si temeva, cioè la creazione di un mondo multipolare con Russia Cina e India (e altri grandi paesi e quasi interi continenti) da un lato e dall’altro un mondo occidentale sempre più isolato e in declino, fondato sulla sottomissione coloniale agli USA come potenza unilaterale ormai al collasso, che sta perdendo il controllo finanziario e militare del mondo. Non sto a soffermarmi sui vari disastri provocati da queste strategie deleterie e disastrose, stagflazione e crisi energetica autoindotta in primis, perché dovreste esserne ormai consapevoli e il peggio deve ancora avvenire, probabilmente già in autunno.

Vediamo invece quali altri disastri si approssimano e non sono stati considerati nella loro gravità: l’Africa.

L’Africa era già una polveriera prima della guerra in Ucraina e delle assurde, per non dire demenziali sanzioni alla Russia, ora sta per esplodere.

L’Africa nel suo complesso, salvo rare eccezioni, ha sempre dovuto subire lo sfruttamento postcoloniale delle multinazionali occidentali, le modalità sono sempre state le stesse ripetute aridamente: si corrompe l’élite locale in genere tribale perché prenda il potere o lo conservi in cambio di concessioni di sfruttamento minerario ed altro, la quale a sua volta tramite un esercito agguerrito e ben remunerato impone la sua volontà e il controllo repressivo sulla maggioranza della popolazione tenuta a livelli di povertà assoluta, mentre l’élite locale si arricchisce. Complici di questo stato di cose tutte le istituzioni internazionali (evito di citare le varie sigle, sostanzialmente ci sono tutte), carrozzoni parassitari al servizio dei poteri forti angloamericani ed europei.

Orbene pochi sanno che la Russia, non solo non ha mai partecipato a questa predazione parassitaria cinica e spietata, ma semmai ha applicato metodologie simili a quelle di Enrico Mattei negli anni ‘50 e ’60 quando agiva per conto di un’Italia non ancora del tutto asservita agli interessi angloamericani. Cioè agiva rispettando le popolazioni locali, evitando la corruzione eccessiva e l’incitamento alla guerra civile, coinvolgendo gli stati africani alla compartecipazione al business pariteticamente o quantomeno trattandoli con maggiore rispetto e onestà. Non solo, la Russia ha da decenni agito a favore degli stati africani per liberarli dalla loro schiavitù da indebitamento e colonizzazione occulta, la stragrande maggioranza della classe dirigente africana si è formata nelle accademie e università russe, spesso ospitata gratuitamente, e di questo impegno russo gli africani sono quasi tutti consapevoli, ne sono intimamente grati e simpatizzano per i russi, ma questo ovviamente non lo trovate pubblicato sui media mainstream. Ma avreste potuto intuirlo, infatti dopo la risoluzione di condanna dell’ONU e l’applicazione delle sanzioni alla Russia quasi tutti gli stati africani si sono rifiutati di aderirvi, per loro sarebbe stato un tradimento nei confronti dell’unico paese che non li ha mai sfruttati ma semmai aiutati. Ma in questo caso non si tratta solo di essere politicamente filorussi, la situazione è più grave. L’Africa per gli approvvigionamenti alimentari ed energetici e logistici dipende in gran parte dalla Russia e dalle regioni del Mar Nero, leggasi in primis Ucraina. Se ci sarà uno stop a questi approvvigionamenti l’Africa esploderà a causa di gravi carestie e non si tratterà solo di immigrazioni di massa che confluiranno sull’Europa, ma di guerre civili e infiltrazioni di organizzazioni criminali e persone pericolose che penetreranno sul suolo europeo arrecando danni immani. L’Europa sta rischiando una deflagrazione mai vista nella sua storia precedente e deve ringraziare la sua classe dirigente mediocre, incompetente, corrotta e iniqua, invece di perdersi dietro al cazzeggio politico mediatico ipocrita e imbarazzante, spesso da mentecatti.  Sarebbe meglio lasciar spazio alle diplomazie serie e qualificate oltre a lasciar mano libera alla Russia di porre rimedio, l’Unica in grado di evitare la catastrofe avviata dagli angloamericani, intervenendo in maniera appropriata in Africa, come ha dimostrato di saper fare già in alcuni paesi dove i rapporti con la Russia sono molto stretti, intensi e costruttivi, dove, per capirci fino in fondo, la Russia è di casa, nonostante qualche imbecille di leader occidentale ritenesse di sfidarla tramite l’Ucraina, senza rendersi conto che era già presente sul Mediterraneo proprio di fronte alle sue coste.

Ma forse ormai l’Occidente ha scelto la distruzione propria e altrui come unica soluzione al suo inesorabile fallimento a 360 gradi, della serie “muoia Sansone con tutti i Filistei”.

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Rolf Peter Sieferle, Finis Germania, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Rolf Peter Sieferle, Finis Germania (a cura di Francesco Coppellotti), Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2022, pp. 174, € 22,00

Come scrive Antonio Caracciolo nella presentazione: “A differenza che per il passato, nel 1945, la guerra – la stessa che ebbe inizio nel 1914 – non si è conclusa con Trattati di pace che restituivano ogni paese a se stesso, magari con diminuzioni territoriali, passate ad altre città statuali. Si è voluto procedere alla devastazione spirituale delle nuove generazioni che non avevano vissuto la moderna guerra dei Trent’anni”. Il tema del saggio (postumo) è proprio questo; la sconfitta nella seconda guerra mondiale ha comportato un “lavaggio del cervello e del carattere permanente”, tendente a cancellare o a modificare radicalmente la cultura del vinto.

Infantilizzazione, colpevolizzazione, relativismo ne sono gli aspetti più evidenti. Anche se spesso neppure aventi il carattere di novità. Vediamo la colpevolizzazione dei tedeschi (con le guerre mondiali e l’olocausto): il tutto non pare tanto voluto ed eseguito (per di più a oltre settant’anni dal compimento dei fatti) per il crimine in se, quanto per colpevolizzare una nazione e la sua cultura. Ma che la colpevolizzazione (di massa) o almeno lo sfruttamento del senso di colpa sia uno strumento di potere l’aveva già scoperto Thomas Hobbes nel “Behemoth” quando scrive che i pastori protestanti predicavano in particolare contro la concupiscenza perché essendo una pulsione naturale tutti ne erano “colpevoli” in quanto peccatori “E, così, divennero confessori di quelli che avevano la coscienza turbata per questo motivo, e che obbedivano loro come a direttori spirituali, in tutti i casi di coscienza”. Per cui il senso di colpa si convertiva in disposizione all’obbedienza a chi aveva il potere.

Altro argomento è il relativismo coniugato al progresso “La relatività di tutte le culture, compresa la propria, viene accettata; al tempo stesso esse vengono però allineate accuratamente su una linea progressiva. La propria cultura diventa allora incompatibile in quanto è la più progressiva di tutte. Il modo del progresso diviene così un assoluto che può di nuovo togliere le penne al relativismo”. Ed è proprio quel che succede: se la Storia finisce è l’ultima cultura quella che, contraddittoriamente, diviene assoluta. E questa cultura è quella dei vincitori. Ma quando il progresso scompare, entrando in una fase di decadenza, il relativismo diventa un virus distruttivo di cultura, posizione ed identità.

Anche qui la memoria va al passato a Maurice Hauriou il quale faceva del “pensiero critico” (qualcosa di assai simile al relativismo almeno sul piano socio-politico) uno dei caratteri della decadenza. Solo che se di una storia “lineare” ordinata lungo l’asse del progresso si passa ad una storia “ciclica”; c’è comunque da sperare che il nuovo ciclo in gestazione riavvii un’epoca di miglioramento culturale, sociale, economico.

Una lunga ed accurata post-fazione di Francesco Coppellotti completa il volume e sintetizza così il saggio di Sieferle “Possiamo dire che finis Germania è la descrizione lucida della cappa ideologica che determina la vita religiosa, politica e culturale della Bundesrepublik che Sieferle ha disegnato e contro la quale, novella Antigone, si è infranto” e ciò perché “Sieferle ha mantenuto viva la fiamma della sua giovinezza ed ha sconfessato alla radice la Bundesrepublik, ma non perché, come hanno cantato tutti i filistei in tutto il mondo, voleva la scomparsa della Germania, ma perché ha voluto tenere aperta quella ferita chiamata Germania”.

Teodoro Klitsche de la Grange

JUS SCHOLAE E ITALIANI DA FARE, di Teodoro Klitsche de la Grange

JUS SCHOLAE E ITALIANI DA FARE

Qualche sera fa in televisione era invitato un parlamentare PD il quale strenuamente difendeva il d.d.l. sullo jus scholae ripetendo che i giovani cui sarebbe stato applicato (ove approvato) erano “italiani” ed avevano “diritto” alla cittadinanza.

È facile obiettare che un tale modo di ragionare ha il (doppio) difetto di dare per scontata e pacifica l’italianità (cioè il “presupposto di fatto” per la concessione della cittadinanza) ossia la cosa da provare, a realizzare la quale può concorrere (anche) la frequentazione scolastica; dall’altra che il tutto sarebbe un “diritto”. Ma se è un diritto (positivo) è inutile battersi per riconoscerlo; se invece è – com’è – una pretesa, occorre valutare se tale pretesa – promossa a diritto – sia legittima ed opportuna. Che è poi l’oggetto del dibattito nell’opinione pubblica e in Parlamento. Di fronte a tali argomentazioni strabiche e filiformi, la risposta acconcia è quella di Salvini: con tanti problemi che abbiamo dalla guerra al COVID, dalle macro-bollette alla crisi energetica e all’inflazione, è proprio così pressante e decisivo il riconoscimento di cittadinanza?

Ma invece di dare la consueta risposta dietrologica: che è importante per il PD il quale spera di trovare nei riconosciuti italiani un serbatoio elettorale sostitutivo di quello in gran parte perso (nonché una bandiera da sventolare), vediamo come sia stato considerato il problema da oltre due millenni fa.

Scrive Aristotele nella Politica esaminando le cause dei rivolgimenti politici e quindi (anche) dei cambiamenti costituzionali “Anche la differenza di razze è elemento di ribellione finché non si raggiunga concordia di spiriti, perché, come non si forma uno stato da una massa qualunque di uomini, così nemmeno in un qualunque momento del tempo. Per ciò (coloro che) hanno accolto uomini d’altra razza sia come compagni di colonizzazione sia come concittadini dopo la colonizzazione, la maggior parte sono caduti in preda alle fazioni” (1303b) e prosegue, per dimostrarlo, con un lungo elenco di “inclusioni” finite in guerre civili.

Anche i romani che della concessione della cittadinanza (a singoli o a collettività) fecero un efficace sistema d’integrazione, questa era normalmente uno dei benefici per i veterani non cittadini che avevano militato per 25 anni nell’esercito. Né i tempi erano granché solleciti: a parte l’editto di Caracalla (dopo oltre due secoli dalla costituzione dell’impero), la cittadinanza latina (e non romana) fu concessa a tutta la Spagna all’epoca dei Flavi (anche qua, oltre due secoli dalla conquista) e mentre la Spagna dava alla letteratura latina alcuni dei più suoi grandi scrittori. Ma a differenza dei politici italiani i romani non misuravano benefici del genere con i tempi delle campagne elettorali. Anche la storia successiva prova che, per fare una nazione da più etnie, occorrono secoli.

Renan sosteneva che una “nazione è un’anima, un principio spirituale”, e soprattutto due cose la costituiscono: il comune possesso di ricordi nel passato  e il consenso nel presente “Un passato eroico, grandi uomini e gloria (mi riferisco a quella vera), ecco il capitale sociale su cui poggia un’idea nazionale. Avere glorie comuni nel passato e una volontà comune nel presente: aver compiuto grandi cose insieme e volerne fare altre ancora; ecco le condizioni essenziali per essere un popolo”.  Ma qua di comune passato non se ne parla affatto, perché non c’è; l’altro è assai dubbio che esista (nel presente).

Quel che succede nella banlieu francesi o nei quartieri islamici belgi non lascia granché da sperare. Ma soprattutto appare un misto di furberia burocratica e utopia interessata credere che per fare un italiano basti farlo nascere nel Bel Paese ed assolvere l’obbligo scolastico. Era un compito che – per gli italiani, quindi assai facilitati rispetto agli immigrati – già toglieva il sonno ai governanti del Risorgimento consapevoli della necessità di fare gli italiani; e invece i nostri dem hanno trovato una soluzione così semplice e a portata di mano: un esame e passa la paura. Per una questione che, da Aristotele in poi, ha preoccupato statisti e pensatori, abituati a ragionare sulla realtà e sui precedenti storici (e giuridici). Se D’Azeglio lo avesse saputo…

Teodoro Klitsche de la Grange

BISCOTTI E MISSILI: IN UCRAINA IL TRIANGOLO WASHINGTON-EUROPA-RUSSIA, di Hajnalka Vincze

Al termine del confronto bipolare, l’ottimo diplomatico americano allora ambasciatore a Mosca, Robert S. Strauss, segnalava a Washington: “L’evento più rivoluzionario dell’anno 1991 per la Russia non è stato il crollo del comunismo, ma la perdita dell’Ucraina” . A trent’anni di distanza, il destino di questo Paese fratello-nemico resta, per Mosca, uno dei punti più delicati. Attraverso la NATO/America, è quindi a Kiev che si svolgono gran parte delle relazioni tra Europa e Russia. Washington sa perfettamente che, mantenendo la pressione su questo centro nevralgico, mantiene il suo posto di padrone del gioco nella sicurezza europea.

Vittoria in manovra

Nel dicembre 2013, durante le manifestazioni contro il presidente ucraino che si era rifiutato di firmare l’accordo di associazione con l’UE, il vicesegretario di Stato americano per gli affari europei è sceso in modo spettacolare nell’arena. Victoria Nuland si è unita a Independence Square con un grande sacchetto di plastica in mano, da dove ha distribuito i biscotti ai manifestanti. Lo stesso Nuland aveva spiegato al Senato degli Stati Uniti, appena un mese prima, come Washington stesse facendo pressioni sugli europei affinché offrissero questo accordo a kyiv, un accordo redatto in modo tale da poter essere visto solo come una provocazione al Cremlino. Poche settimane dopo, l’audio della conversazione telefonica tra Victoria Nuland e l’ambasciatore americano a Kiev è trapelato alla stampa; li sentiamo orchestrare la composizione del futuro governo ucraino. Fu in questo scambio che il vicesegretario di Stato pronunciò l’ormai famosa frase“Al diavolo l’Ue” , diceva in un linguaggio molto più colloquiale.

Allo stesso tempo, questo ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO ha affermato, durante una conferenza d’affari, che Washington aveva investito 5 miliardi di dollari in Ucraina per promuovere “istituzioni democratiche e altri obiettivi”. Ora sottosegretario n. 3 del Dipartimento di Stato per gli affari politici, ha detto al Financial Times che l’America ha non meno di 18 scenari nella manica se gli Stati Uniti dovessero invadere l’Ucraina attraverso Mosca. È anche lei ad affermare che il gasdotto Nord Stream 2 appena ultimato, tra Germania e Russia, verrà bloccato se necessario, anticipando allegramente qualsiasi annuncio ufficiale da parte tedesca. Incoraggia anche l’intensificazione delle consegne di armi “difensive letali”., compresi i missili antiaerei e anticarro, a Kiev, dicendo di voler rendere “una lotta molto sanguinosa” per la Russia.

Continuità americane

Capo di stato maggiore del Dipartimento di Stato sotto l’amministrazione Clinton, consigliere del vicepresidente Cheney sotto George W. Bush, Victoria Nuland incarna perfettamente il consenso bipartisan ampiamente predominante che regna su questi argomenti a Washington. Come si spiega questa coerenza quando, a 30 anni dalla fine della Guerra Fredda, la principale preoccupazione per gli Stati Uniti non è più la Russia – relegata nei documenti ufficiali allo stato di “disturber” – ma la Cina? E che, nella sua strategia di difesa nazionale, l’America non aspira nemmeno più a poter combattere due grandi guerre contemporaneamente?

In realtà, è proprio pensando alla Cina che Washington sta lavorando ancora di più per mantenere le posizioni acquisite in Europa. Perché la cosa principale, per l’America, è la sua politica di contenimento di Pechino, e la leva europea è fondamentale per raggiungere questo obiettivo. Tuttavia, senza lo spettro del pericolo russo, c’è il rischio che i suoi alleati europei gli sfuggano. D’altra parte, se la minaccia russa è forte, gli europei si schierano dietro agli Stati Uniti. In primo luogo, gli alleati orientali si precipitano sotto la loro ala protettiva, anche se ciò significa mettere, come ha detto il presidente Valéry Giscard d’Estaing,  “la fedeltà atlantista al di sopra dell’attaccamento al sistema europeo”. In secondo luogo, in un clima di animosità, essendo i legami di cooperazione gravemente ostacolati, Parigi e Berlino si trovano politicamente (ed economicamente) tagliate fuori dalla Russia. Divisi tra loro, isolati dalla Russia, gli europei sono quindi – fintanto che la questione russa resta in cima al conto – lontani anni luce dalle loro recenti ambizioni di autonomia.

L’eccellente specialista in politica estera e di sicurezza russa, Jean-Christophe Romer, parla giustamente dell’interesse degli Stati Uniti a “impedire una vera unificazione dell’Europa da Brest a Vladivostok – dove l’Ucraina avrebbe potuto fungere da ponte – e quindi un forte riavvicinamento tra l’UE e la Russia. Questa unificazione costituirebbe una competizione inaccettabile per Washington..[1] Tanto più che l’attuale status quo gli conferisce molteplici vantaggi, a cominciare dagli acquisti di armi americane da parte degli alleati, a cui si aggiungono le importazioni di gas naturale liquefatto (il cui volume aumenterebbe esponenzialmente se alcuni paesi, Germania in primis, riducessero ciò che Washington diffama come la loro eccessiva dipendenza energetica dalla Russia). Più in generale, ogni volta che una controversia commerciale contrappone l’UE agli Stati Uniti, molte voci europee si levano per spiegare che un tale fascicolo non merita di “mettere in pericolo le relazioni transatlantiche” . Non c’è da stupirsi che Washington sia soddisfatta dell’attuale stato delle cose e preferisca mantenere la Russia e l’UE il più distanti possibile.

La Nato è l’origine del male

Per realizzare questa strategia americana, la NATO è uno strumento privilegiato. Gli Stati Uniti occupano una posizione dominante innegabile lì, e questa ex controparte del tardo Patto di Varsavia irrita la Russia al massimo grado. Il peccato originale fu la rottura della promessa – a lungo negata in Occidente, ma confermata dall’apertura degli archivi – fatta a Gorbaciov, in base alla quale l’Alleanza non si sarebbe estesa “per un centimetro” verso Oriente…[2] Da allora, come se nulla fosse, il numero degli Stati membri è quasi raddoppiato, dai 16 di allora ai 30 di oggi. E per rassicurare i nuovi paesi, provenienti dall’ex blocco sovietico, la Nato ha installato sempre più le sue infrastrutture, il suo quartier generale, le sue esercitazioni ei suoi missili più a est.

Ultimamente, sempre più esperti americani si stanno rendendo conto dei danni di questo approccio “tutto o niente” , che è andato avanti senza considerare alcuno status speciale per i nuovi membri, né limiti o garanzie particolari.[3] Lo stesso presidente del prestigioso Council on Foreign Relations, Richard Haass, ammette:“L’allargamento della NATO verso est è stata la politica più significativa e controversa del periodo successivo alla Guerra Fredda. Che la NATO continui ad esistere, o anche che si espanda, non è stato scritto in anticipo”. Da parte sua, avrebbe preferito vedere un rafforzamento del programma di Partenariato per la Pace degli anni ’90, che abbracciasse, attorno all’Alleanza Atlantica, i paesi dell’Europa orientale, compresa la Russia. La decisione del presidente Clinton di aprire le porte alla NATO ha presto eliminato tale opzione. Secondo Haass, “la scelta dell’allargamento ha avuto un ruolo nell’alienazione di Mosca” .[4]

Questa tendenza è culminata nel vertice dell’Alleanza a Bucarest nel 2008, la cui dichiarazione finale parlava del futuro del codice per l’adesione di Ucraina e Georgia, senza però dare una data precisa. Al termine di un burrascoso dibattito, il consigliere americano per la sicurezza nazionale aveva deciso: “Dobbiamo far capire alla Russia che la Guerra Fredda è finita e che l’ha persa” . La storica Mary Elise Sarotte paragona la politica americana dell’ultimo quarto di secolo, spingendo per l’allargamento della NATO, a una ruota a cricchetto: ad ogni nuova svolta, anche la più insignificante, le tacche impediscono ogni ritorno sui binari, non possiamo che continuare sempre nella stessa direzione. [5] Anche se ciò significa inimicarsi la Russia e fomentare divisioni all’interno dell’Alleanza.

Europa, parco giochi

È un ovvietà: i paesi europei hanno spesso atteggiamenti diametralmente opposti nei confronti della Russia. Da un lato i baltici, i polacchi, i romeni, i bulgari temono soprattutto una rinascita del potere russo e desiderano sfruttare gli equilibri di potere favorevoli alla NATO per creare le condizioni che lo proibiscano. Dall’altro, Germania, Francia, ma anche Spagna e Italia, sono certamente critiche nei confronti di Mosca, ma aspirano a un approccio più equilibrato. Questi paesi non credono che la stabilità del continente dipenda dal radicamento della Russia, al contrario, l’umiliazione è vista come una fonte di tensione, e sono anche più sospettosi della particolare agenda degli Stati Uniti. .

In effetti, la politica ufficiale di Washington continua ad essere guidata dal desiderio di mantenere la sua posizione di tutela in Europa – e alcuni paesi europei, credendo che l’America sia il loro unico e unico protettore, fungono da intermediari. In questo contesto, l’ambizione della presidenza francese dell’Ue, ovvero “realizzare una proposta europea che costruisca un nuovo ordine di sicurezza e stabilità” è simile alla quadratura del cerchio. Secondo il presidente Macron, intervenuto al Parlamento europeo sull’argomento: “Dobbiamo costruirlo tra gli europei, quindi condividerlo con i nostri alleati nel quadro della NATO. E poi offrilo alla Russia per la trattativa”. Solo che qualsiasi accordo che normalizzi i rapporti con Mosca, grazie a garanzie di sicurezza reciproca, ridurrebbe meccanicamente l’importanza, e quindi l’influenza, dell’America con i suoi alleati europei…

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[1]Jean-Christophe Romer, Russie-Europe: des malentendus paneuropéens, L’Inventaire, 2016.
[2]National Security Archives, NATO Expansion: What Gorbaciov ha sentito?, Washington DC, 12 dicembre 2017.
[3]ME Sarotte, Contenimento oltre la Guerra Fredda – Come Washington ha perso la pace post-sovietica, Affari esteri, novembre/dicembre 2021 ; Michael Kimmage, È ora che la NATO chiuda i battenti – L’Alleanza è troppo grande – e troppo provocatoria – per il suo bene, Affari esteri, 17 gennaio 2022.
[4]Richard Haass, Un mondo allo sbando: la politica estera americana e la crisi del vecchio ordine, Penguin Press, 2017.
[5]ME Sarotte, Not one inch – America, Russia, and the making of post-guerra fredda stallo, Yale UniversityPress, 2021.

Hajnalka Vincze, Europeans Facing the Old-New American Foreign Policy, Impegno n. 134 (primavera 2022) , ASAF (Associazione di supporto dell’esercito francese).

https://hajnalka-vincze.com/list/etudes_et_analyses/617-des_biscuits_et_des_missiles_en_ukraine_le_triangle_washingtoneuroperussie

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO, di Pierluigi Fagan

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO. Siamo entrati in un nuovo periodo storico di transizione, a livello mondiale, non più animato solo da stati ma da sistemi con più stati.
Il primo sistema ha al suo cuore una alleanza che lega due sponde dell’Atlantico. Originariamente creata da Stati Uniti e Regno Unito, paesi di comune antropologia e diversa geografia, quindi storia. Questa fratellanza antropologica è fatta di discendenti dei barbari continentali del Mare del Nord, angli, sassoni, frisoni, juti, poi danesi e varie fazioni normanne che si impossessarono di parte dell’isola britannica (spingendo ai margini o sottomettendo celti, britanni e scoti). Poi migrarono nel nord del continente americano, in Australia e Nuova Zelanda e si allargarono in Canada sottomettendo e segregando nativi americani, ispano messicani, aborigeni. Nel grande conflitto euro-continentale coi germani metà Novecento vennero salvati dai cugini d’oltremare mentre i germani incappavano in una forma delirante di volontà di potenza che incautamente aveva allargato il conflitto alle vaste pianure russe che, com’è noto, sono troppo profonde per esser conquistate. Saldato in un accordo del 1941 detto Carta Atlantica, il rapporto speciale tra popoli di comune discendenza, lingua e religione, fece da base alla successiva formalizzazione del successivo Trattato del Nord Atlantico e relativa organizzazione operativa (la “O” di NATO) nel 1949. I cinque paesi anglosassoni pesano oggi il 6% del mondo in termini di popolazione, ma il 31% in termini di Pil. Poco meno del 59% è il totale delle riserve valutarie del mondo in dollari e poco meno del 5% in sterline. La loro lingua è la lingua franca internazionale, la loro cultura in certi campi vastamente egemone anche se non da sola e sempre meno, la loro forza militare ancora primeggia.
Se questo è cuore antropologico del primo sistema da cui una mentalità dominante ben precisa, intorno si è condensata una corona di popoli affiliati al sistema. Tale corona è fatta dagli europei continentali a loro volta frazionati tra scandinavi, germanici, balto-slavi, latino-mediterranei ed altri del complesso mondo del Vecchio Continente, più, in Asia il Giappone e talvolta la Corea del Sud. Questo “sistema” si è affermato negli ultimi settanta anni come sistema politico-economico. Fondato sui principi dell’economia moderna sviluppati dagli inglesi già alla fine del XVII secolo che qualcuno chiama “capitalismo”, si basa però anche su un sistema politico chissà perché chiamato “democrazia” quando in effetti è il triplo potere statale (legislativo, giudiziario ed esecutivo) al servizio degli interessi economici e finanziari che ordinano il sistema. Così come gli anglosassoni condividono parte del loro potere mondiale con occidentali e orientali non antropologicamente del tutto affini, così le élite economiche e finanziarie cooptano al loro servizio parti di funzionariato di sistema che non originano direttamente dalla macchina economica e finanziaria.
Questo sistema è oggi sulla china calante della classica curva a campana che connota la vita di ogni sistema. La sua demografia è in vistosa contrazione percentuale sul totale mondo, la sua anagrafe è sempre più anziana (gli “occidentali” ed affini sono l’esatto ultimo quarto dei 200 paesi del mondo per età media), l’idea di ringiovanirla e rinvigorirla con etnie diverse da subordinare ma anche cooptare funziona in teoria ma per niente in pratica (vedi casi americano, inglese, francese, giapponese). Questa sempre maggior relativizzazione demografica (oggi gli “occidentali” sono scarsi il 16% del mondo), porta a traino la relativizzazione culturale che si manifesta in diversi aspetti. Ma ancora forte è il peso economico-finanziario sebbene con tre grossi problemi. Il primo è che, in quanto sistema ipersviluppato, l’Occidente fa sempre più fatica a trovare ragioni di ulteriore sviluppo per crescere. Visioni molto poco realistiche dell’economia, sottovalutano che il sistema di economia moderna serve a fare cose, ma le cose da fare sono nel dominio del finito e gli ipersviluppati sono coloro che sono arrivati ai margini delle potenzialità del sistema, l’hanno sfruttato tutto e bene e gli rimane davvero poco per alimentare il proprio impeto di crescita. Il secondo problema è l’enorme debito parallelo al funzionamento del sistema economico, viepiù inquietante laddove non si cresce per ripagarlo almeno in parte o dar la vaga impressione di poterlo fare. Il terzo è che questo primato economico-finanziario che molti pensano dovuto a chissà quali leggi ferree che governerebbero i sistemi economici come quelle newtoniane governavano l’Universo, è un sistema aperto, aperto all’ambiente naturale ed all’ambiente economico e politico mondiale. Cattive notizie però provengono dall’ambiente naturale quanto ad ulteriore sfruttamento, ma ancor più cattive notizie provengono da un ambiente politico ed economico mondiale dove, nel frattempo, sono nati e si stanno sviluppando nuovi attori potenzialmente potenti o indisponibili ad esser spazio gregario e passivo di possibilità per l’alimentazione dell’ipertrofico benessere occidentale.
Questo secondo altro sistema è molto più ampio, meno formalizzato e con al centro una unione almeno di intenti generali tra i paesi compresi nell’acronimo BRICS: riservarsi sempre maggiori condizioni di possibilità per il proprio sviluppo. Sono quasi tutti paesi in traiettorie di sviluppo, alcuni ancora demografico, molti se non altro economico e finanziario, altri ancora ribelli alle forme del dominio occidentale sotto altri aspetti. Ma oltre al nucleo di questa unione finora poco formalizzata ma forse in via di maggior formalizzazione (come recitano loro: 41% demografico del mondo, 25% del Pil globale e il 50% della crescita globale dell’ultimo anno con una crescita interna del 33% degli scambi commerciali tra loro cinque), praticamente ogni altro paese non compreso direttamente nei due sistemi è per molti versi dalla parte di questi sfidanti che vorrebbero ridurre il peso del primo sistema in modo da garantirsi maggiori condizioni di possibilità da poi disputarsi tra loro. Questa posizione terza, invero, tenderà ad usare il conflitto tra i due sistemi affinché l’uno contenga l’altro alternativamente e ponendosi come partner al miglior offerente per singole iniziative. Questa stessa posizione anima, in parte, anche il Brasile, il Sud Africa e l’India cuore del sistema BRICS. Cina e Russia sono in effetti il cuore di questo sfocato sistema alternativo ed infatti sono loro i nemici più nitidamente definiti come tali dal primo sistema.
Questo è, in breve, lo scenario della storia del mondo che si svolgerà nei prossimi anni/decenni. Il primo sistema è in una traiettoria di contrazione e proviene da ampio potere, il secondo di espansione e vuole ampliare il proprio potere. Il primo sistema pesa solo meno di un sesto del Mondo ma è più compatto ed ancora molto forte in molti aspetti, il secondo è il resto dei cinque-sesti ma assai meno compatto ed ancor di forza relativa sebbene crescente. Il primo si sente accerchiato dall’impeto del secondo e si unisce sempre più in forme difensive-aggressive per non perdere troppo o troppo velocemente, le condizioni di possibilità che ne hanno sino a qui garantito il potere, quindi il benessere. O anche per non esser costretto a cambiare le proprie forme interne per adattarsi ai nuovi equilibri del mondo. Il secondo ha vari gradi di contrasto col primo e più crescerà, più vedrà formarsi al suo interno concorrenze interne inedite come quella tra Cina ed India. La sua gran parte però, non ha interesse al conflitto diretto col primo sistema, vorrebbe semmai una transizione morbida di peso ed è sfruttando questa ritrosia ad iscriversi a forme di conflitto diretto generanti attriti non voluti e negativi per il proprio sviluppo che il cuore del primo sistema alzerà la tensione militare cercando di infilarsi nella differenza di intenti tra Russia e Cina da una parte e tutti gli altri dall’altra. Infine, il primo sistema ha intenti molto ambiziosi ancorché contrari all’andamento naturale del mondo e se il dover reagire oggi lo tiene unito, viepiù si passerà a dettagliare il come-quanto-quando, viepiù potrebbe screpolarsi. Non solo nella composizione della sua forma sistemica, anche nelle composizioni delle forme politiche e sociali interne ad ogni stato. Il secondo ha da sé la dinamica del mondo e quindi il tempo dalla sua parte, ha ambizioni forse più contenute e parte rischiando meno.
“Noi” ci troviamo in mezzo a tutto ciò. Una avvertenza, se mi posso permettere. Il tutto va compreso nella sua dinamica che è concreta, ogni forma di giudizio di valore non aggiunge nulla e rischia di non far comprendere l’esatta logica della dinamica.

Putin ha messo in guardia gli analisti strategici russi dall’indulgere sul pio desiderio, di Andrew Korybko

I previsori strategici devono sempre aspirare a riflettere la realtà nel modo più accurato possibile, comprendendo che ciò è impossibile da fare perfettamente nella pratica, ma tuttavia si muovono continuamente in questa direzione e migliorando regolarmente il loro lavoro a tal fine.

Il presidente Putin ha parlato con lo staff attuale e con i veterani del suo Foreign Intelligence Service (SVR) nel centenario della fondazione della loro intelligence illegale da parte dell’Unione Sovietica. Questo ramo dei suoi servizi speciali si riferisce a quelle spie che non operano sotto copertura diplomatica e quindi non possono essere semplicemente espulse una volta catturate. È senza dubbio il servizio di intelligence più pericoloso ma anche tra i più importanti che chiunque possa fare. Il leader russo ha colto l’occasione per condividere alcuni consigli generali con l’SVR e offrire alcuni commenti su altre questioni correlate, inclusa l’importanza dei previsori strategici che non si abbandonano a un pio desiderio come fanno le loro controparti occidentali.

Secondo il presidente Putin:

“Il Foreign Intelligence Service e altri servizi di sicurezza danno la priorità alle previsioni strategiche dei processi internazionali. E questa analisi deve essere realistica, obiettiva e basata su informazioni verificate e un’ampia gamma di fonti affidabili. Non si dovrebbe indulgere in un pio desiderio. A proposito, il cosiddetto Occidente collettivo si è ritrovato intrappolato, si è infilato proprio in questa trappola e con le sue stesse azioni procede dall’idea che non c’è alternativa al suo modello di globalismo liberale… l’Occidente sta cercando di ignorare un realtà scomoda, la formazione di un ordine mondiale multipolare… Gli atteggiamenti dogmatici del passato e la riluttanza ad affrontare la realtà aumentano inevitabilmente il rischio di azioni premature e impulsive da parte dell’Occidente in futuro”.

Le informazioni di cui sopra verranno ora analizzate.

A livello professionale, i previsori strategici devono sempre aspirare a riflettere la realtà nel modo più accurato possibile, comprendendo che ciò è impossibile in pratica perfettamente, ma tuttavia si muovono continuamente in questa direzione e migliorando regolarmente il loro lavoro a tal fine. Il pio desiderio, che a volte può essere il risultato del credere che la propria propaganda, come ha spiegato il presidente Putin durante il Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF) del mese scorso, fosse al centro della decisione dell’Occidente di sanzionare la Russia senza precedenti, può portare alla formulazione di controproducenti e politiche anche pericolose che contraddicono gli interessi nazionali oggettivi.

Questa saggezza è rilevante anche a livello pubblico.

L’ Alt-Media Community (AMC) si abbandona regolarmente a un pio desiderio rispetto alle loro fantasie sulla grande strategia russa, che molti credono sinceramente essere reali nella loro stessa mente. Ad esempio, un segmento significativo di questa comunità è convinto che il presidente Putin sia segretamente un alleato antisionista con la Resistenza guidata dall’Iran al fine di distruggere Israele nonostante il suo paese sia attualmente di fatto alleato del sedicente Stato ebraico. Un’altra narrativa di pio desiderio immagina che la Russia stia segretamente complottando per destabilizzare Turkiye in un modo o nell’altro, ancora una volta nonostante quei due abbiano gestito in modo impressionante le loro differenze nel corso degli anni.

Queste e altre narrazioni in realtà minano gli interessi russi.

Per spiegare, il pubblico viene fuorviato da queste fantasie di pio desiderio generate da quelle che considerano fonti attendibili e affidabili. Quando la realtà si instaura e l’illusione viene infranta, quelle stesse fonti raramente modificano i loro modelli imprecisi, ma invece raddoppiano su di essi vomitando letterali teorie del complotto per rendere conto di fatti “politicamente scomodi” come Israele e Turchia che rifiutano entrambi le pressioni occidentali guidate dagli Stati Uniti su loro di sanzionare la Russia. Con il tempo, la fantasia di un pio desiderio si distacca completamente dalla realtà e inizia letteralmente a somigliare a un culto, completo di regolari inquisizioni svolte dai guardiani contro i “blasfemi” che “osano” sfidare il loro dogma.

A livello professionale e pubblico, il pio desiderio è quindi una trappola ideologica.

Per quanto riguarda il primo, può letteralmente mettere in pericolo il paese nel modo più diretto possibile essendo responsabile della formulazione di politiche controproducenti che contraddicono gli interessi nazionali oggettivi, mentre il secondo riguarda la perdita involontaria di cuori e menti mentre le persone sobrie diventano disilluse dal letterale teorie del complotto vomitate da persone che affermano di sostenere la Russia. Il problema è intrinsecamente ideologico nel suo nucleo poiché i pio desiderio hanno la tendenza a filtrare i fatti “politicamente scomodi” a causa della loro zelante dedizione a qualunque possa essere la loro causa. Questa è una trappola evitabile, ma da cui è difficile liberarsi una volta che ci si cade dentro.

Può, tuttavia, essere sconfitto.

Ciò che devono fare coloro che sono indottrinati con un pio desiderio è rendersi conto che servono al meglio la loro causa facendo in modo che il loro lavoro rifletta la realtà nel modo più accurato possibile in modo che i responsabili politici e il pubblico rispettivamente possano trarre le proprie conclusioni. I propri funzionari statali non devono mai essere guidati deliberatamente in una direzione che è avulsa dalla realtà, ma a volte ci sono ragioni strategiche per farlo al pubblico, anche se non è responsabilità dei previsori strategici o dei membri dell’AMC ma di professionisti “gestori della percezione ”. In effetti, quei membri dell’AMC che “diventano canaglia” (anche se si sono convinti che sia “per la giusta causa”) possono effettivamente complicare inavvertitamente tali operazioni.

Ci sono quindi diverse lezioni da trarre dall’intuizione del presidente Putin.

In primo luogo, il precedente del pio desiderio dell’Occidente che ha influenzato la formulazione di politiche controproducenti nei confronti della Russia è un avvertimento per i previsori strategici di tutti gli altri paesi. In secondo luogo, i professionisti devono aspirare a riflettere la realtà nel modo più accurato possibile e non lasciare mai che le loro preferenze ideologiche influenzino i loro prodotti informativi. Terzo, l’AMC deve fare lo stesso a meno che non informi apertamente il suo pubblico che stanno agendo come attivisti che spingono l’agenda in modo che nessuno li confonda come analisti. In quarto luogo, quei professionisti e membri dell’AMC che si abbandonano a un pio desiderio lavorano contro la propria causa. E infine, il pio desiderio può essere curato comprendendo oggettivamente il proprio ruolo nel sistema.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3039

Vladimir Putin si è congratulato con l’attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell’intelligence illegale

Il presidente ha deposto fiori alla Patria, monumento d’onore al valore presso il quartier generale dei servizi di intelligence stranieri a Mosca e si è congratulato con l’attuale personale del servizio e con i veterani per il centenario dell’intelligence illegale.

20:00
Mosca
Vladimir Putin si è congratulato con l'attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell'intelligence illegale.
Vladimir Putin si è congratulato con l'attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell'intelligence illegale.
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Vladimir Putin si è congratulato con l’attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell’intelligence illegale. Foto: RIA Novosti

Presidente della Russia Vladimir Putin : compagni ufficiali, veterani,

Ci siamo riuniti per celebrare una data importante: il centenario dell’intelligence illegale nel nostro paese. Già nel 1922, questa sfera di lavoro è stata praticamente ripristinata nonostante tutti gli sconvolgimenti rivoluzionari, assicurando continuità in un’area vitale per il nostro stato, la sicurezza nazionale e la sovranità.

Vorrei congratularmi cordialmente con tutti coloro per i quali lavorare in questa area critica era la loro vocazione e il loro destino; coloro che per anni e decenni hanno difeso gli interessi nazionali del nostro Paese senza alcuna copertura diplomatica o di altro genere; e tutti coloro che oggi svolgono operazioni uniche, trasmettendo preziose informazioni al Centro.

Il vostro dipartimento ha una ricca storia e tradizioni gloriose. Negli anni ’30 e all’inizio degli anni ’40, agenti sotto copertura acquisirono informazioni urgenti sull’aggressione pianificata da Hitler e dai suoi sostenitori, nonché sulle manovre dietro le quinte dei paesi occidentali che spinsero i nazisti ad attaccare l’URSS, a marciare verso est.

Dopo l’inizio della Grande Guerra Patriottica, agenti sotto copertura rivelarono i piani del nemico, accelerando la Grande Vittoria. Durante la Guerra Fredda, hanno dato un enorme contributo al raggiungimento della parità strategica. Hanno fornito un’assistenza inestimabile nello sviluppo dell’industria e della scienza nazionali, hanno contribuito a rafforzare le capacità di difesa della Patria e hanno aggiunto alla sua influenza e prestigio internazionali.

I nomi di Yakov Serebryansky e Naum Etingon, Dmitry Bystrolyotov e Konon Molody, i Vartanian, Alexei Botyan e altri combattenti del fronte invisibile sono per sempre nella storia del nostro paese, dei nostri servizi di sicurezza e dell’intelligence. Sono un esempio di professionalità e coraggio personale per le generazioni attuali e future di ufficiali dell’intelligence.

E oggigiorno, il lavoro in questo settore è pieno di grandi responsabilità, con ufficiali che devono affrontare requisiti estremamente severi.

La situazione nel mondo resta difficile e cambia rapidamente. Dobbiamo fare i conti con problemi non convenzionali e molte variabili sconosciute, e rispondere a sfide in cui il fattore di incertezza è elevato.

In questa situazione, il Foreign Intelligence Service e altri servizi di sicurezza danno la priorità alla previsione strategica dei processi internazionali. E questa analisi deve essere realistica, obiettiva e basata su informazioni verificate e un’ampia gamma di fonti affidabili.

Non si dovrebbe indulgere in un pio desiderio. A proposito, il cosiddetto Occidente collettivo si è trovato intrappolato, si è gettato in questa trappola e con le sue stesse azioni procede dall’idea che non c’è alternativa al suo modello di globalismo liberale. In sostanza, questo modello è solo una versione aggiornata del neocolonialismo e nient’altro. È un mondo alla maniera americana, un mondo per gli eletti in cui i diritti di tutti gli altri vengono semplicemente calpestati.

Una chiara prova di ciò è il destino di molti paesi e popoli del Medio Oriente e di altre regioni del mondo – e di milioni di persone in Ucraina oggi che vengono cinicamente usate dall’Occidente come materiale di consumo nei suoi giochi geopolitici, nei suoi tentativi di “Dissuadere” la Russia. A proposito, cosa significa scoraggiare? Per impedirci di svilupparci al giusto ritmo e sulla base dei nostri valori tradizionali. È deterrenza? È solo una lotta contro la Russia.

Nel frattempo, l’Occidente sta cercando di ignorare una realtà scomoda, la formazione di un ordine mondiale multipolare. Ovviamente, non possono distogliere completamente lo sguardo da queste tendenze oggettive. Ma nella loro politica pratica, sono guidati da un obiettivo, che è mantenere il loro dominio con ogni mezzo.

Gli atteggiamenti dogmatici del passato e la riluttanza ad affrontare la realtà aumentano inevitabilmente il rischio di azioni premature e impulsive da parte dell’Occidente in futuro. Allo stesso tempo, questo offre nuove opportunità alla Russia e ai paesi che la pensano allo stesso modo – come sapete, ce ne sono parecchie. È vero che alcuni di loro non sono ansiosi di parlare, ma sono più o meno sulla stessa lunghezza d’onda con noi. Ci sono molti paesi, popoli e nazioni che la pensano allo stesso modo che vorrebbero seguire la propria strada sulla base dei principi del vero multilateralismo.

Naturalmente, dobbiamo condurre una discussione separata su un modello e una visione del futuro e un’agenda che non separerà ma unirà l’umanità. Credo sia importante dedicare a questo argomento uno dei miei futuri interventi pubblici o eventualmente scegliere qualche altra forma.

Oggi vorrei sottolineare che il multipolarismo è, secondo me, la cosa principale. Vorrei sottolineare che multipolarità, come la intendiamo noi, significa soprattutto libertà. La libertà dei paesi e delle nazioni e il loro diritto intrinseco al proprio modo di sviluppo e alla conservazione della loro identità e del loro carattere unico. In questo modello del mondo non dovrebbero esserci posto per diktat, stereotipi o ideali di eccezionalismo imposti dai singoli paesi o blocchi.

Vorrei ribadire che è importante vedere il quadro generale sullo sfondo delle trasformazioni fondamentali in corso e utilizzarlo per agire in modo proattivo. Molto dipende, ovviamente, da te, dal tuo lavoro e dalla sua qualità. Mi riferisco in primo luogo alla sicurezza nazionale e alla tempestiva fornitura di informazioni sui piani militari e geostrategici di alcuni Stati e delle loro associazioni, che rappresentano o possono rappresentare una minaccia diretta per il nostro Paese.

Occorre prestare un’attenzione costante alla situazione dell’economia e della finanza globali. È importante studiare la situazione e le tendenze di base nei mercati globali, per elaborare le possibili conseguenze dei passi e delle decisioni che incidono sugli interessi della Russia e degli affari russi, nonché sulla nostra integrazione e sui progetti internazionali.

Come prima, una delle priorità del Foreign Intelligence Service è fornire assistenza allo sviluppo industriale e tecnologico del nostro Paese e al rafforzamento del suo potenziale di difesa. Questo è sempre importante, ma soprattutto in condizioni di pressione sanzionatoria esercitata sulla Russia. Per inciso, come tutti noi sappiamo benissimo, il nostro paese ha sempre vissuto sotto sanzioni durante il periodo sovietico e anche prima. In un modo o nell’altro, si cercava sempre di contenerci.

Un altro obiettivo chiave della nostra agenda è la lotta al terrorismo internazionale. Riguarda, in parte, il supporto informativo per le unità russe dispiegate in Siria, l’identificazione delle rotte lungo le quali vengono consegnati armi e denaro ai terroristi e l’ubicazione delle loro basi, posti di comando e centri di addestramento.

Dobbiamo continuare a prestare attenzione alla sicurezza dei cittadini russi all’estero, anche nel continente americano, in Occidente in generale, in Medio Oriente e in Africa. Vorrei sottolineare in questo contesto che negli ultimi anni il Foreign Intelligence Service ha notevolmente potenziato le proprie capacità operative, informative e di analisi. Le sue risorse umane sono aumentate. Sono fiducioso che farai tutto il necessario per adempiere encomiabile a tutti i compiti che ti sono stati assegnati. Come i tuoi leggendari predecessori, lavorerai in modo accurato ed efficace e servirai la nostra Patria e il nostro popolo in modo onorevole.

Vorrei congratularmi ancora una volta con te. Auguro a te e ai tuoi cari tutto il meglio, buona salute e risultati professionali.

Grazie.

Le mie congratulazioni.

Direttore del Servizio di intelligence estero Sergei Naryshkin: Colleghi,

Ricevere questa alta valutazione delle operazioni del Foreign Intelligence Service, che celebra oggi il suo 100° anniversario, è per noi un grande onore e un segno di speciale riconoscimento da parte del presidente russo Vladimir Putin. Siamo particolarmente orgogliosi che il Presidente abbia espresso questa opinione presso il  Monumento Patria, Valore, Onore presso la sede del Servizio.

Il centenario dell’intelligence illegale è un evento importante per il nostro Servizio e le altre agenzie che stanno a guardia della sicurezza nazionale della Federazione Russa, che è stato notato con grande interesse nella società russa e dai nostri partner stranieri. È un segno di riconoscimento dell’efficacia di questo affilato strumento di operazioni di intelligence a disposizione del Servizio e del rispetto dei russi per l’eroismo del nostro personale di intelligence che ha dedicato la propria vita al servizio della Patria.

Siamo pienamente consapevoli del significato crescente dell’intelligence illegale nel mezzo della crisi politico-militare nelle relazioni con la Russia progettata da Washington e dai paesi della NATO. La leadership e il personale della Direzione S, i nostri agenti illegali, stanno onorevolmente seguendo le orme dei loro predecessori, mantenendo gli elevati standard di combattimento della Direzione e introducendo nuove forme e metodi di lavoro di intelligence nell’ambiente digitale globale e in mezzo alla dura contraccolpo del nemico.

Compagni, vorrei congratularmi ancora una volta con voi per il centenario dell’intelligence illegale sovietica e russa. I russi sono una nazione di vincitori. Faremo tutto il necessario per garantire la sicurezza e la prosperità della nostra grande Patria.

Vorrei augurarvi buona salute, ogni successo e prosperità. Grazie per il vostro servizio.

http://en.kremlin.ru/events/president/news/68790

Gli Stati Uniti sono diventati due paesi all’interno di una nazione, Di Steve McCann

Da anni nel mondo e da pochi mesi in Italia si inizia a parlare apertamente del declino degli Stati Uniti, della fine del mondo unipolare, del rischio che quel paese arrivi addirittura a dividersi facendo precipitare alle estreme conseguenze il virulento dibattito politico in corso al proprio interno. Un segno inconfondibile del declino e del tramonto inesorabile di un paese, più che la virulenza del confronto, è piuttosto l’accettazione amorfa ed inconsapevole della propria condizione. Lo scontro accanito è un segno di vitalità e di protagonismo. Evitiamo quindi  di vendere la pelle dell’orso prima che sia catturato; soprattutto, guardiamoci in casa nostra, in Europa. Qui i segnali di vitalità tendono ad affievolirsi come le luci di candele consunte. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Non dal decennio che ha preceduto la guerra civile si è discusso così tanto sulla possibilità che gli Stati Uniti si dividano in due o più paesi come negli ultimi 10 anni. La realtà è che questa nazione si è effettivamente divisa in due paesi che, per il momento, vivono debolmente fianco a fianco.

La razza o l’etnia è stata la base fondamentale nella creazione di ogni nazione nella storia dell’umanità ad eccezione degli Stati Uniti, poiché la sua fondazione si basava sul principio che tutti gli uomini sono creati uguali e sono dotati di determinati diritti inalienabili che il governo non può abrogare. Poiché non ha i fattori coesi di razza o etnia, questa nazione così costituita può sopravvivere solo sulla base della bontà della sua gente e della saggezza e dell’integrità della sua classe dirigente.

Ben Franklin alla chiusura della Convenzione costituzionale nel 1787 in un discorso ai suoi colleghi membri della convenzione disse della Costituzione appena redatta e del governo che aveva creato:

… e non c’è alcuna forma di governo se non quella che può essere una benedizione per il popolo se ben amministrata, e [io] credo inoltre che questo sarà probabilmente ben amministrato per un corso di anni, e può finire solo con il dispotismo, come altri moduli hanno fatto prima di esso…

Il preveggente avvertimento di Ben Franklin si è avverato. Negli ultimi trent’anni, una pluralità di cittadini male istruiti e malleabili ha permesso alla classe dirigente egoista, decadente e nescitrice, in alleanza con la sinistra radicale, di stabilire un dispotismo quasi permanente negli Stati Uniti. Hanno deliberatamente e inesorabilmente ampliato il divario tra il popolo e il governo e hanno effettivamente diviso la nazione in due paesi de facto che sono ai ferri corti ideologici e sociali.

  • Un’America è decisa a privare i suoi cittadini del loro diritto inalienabile all’autodifesa come codificato nel Secondo Emendamento e ad eliminare la libertà di parola costituzionalmente protetta. La loro insensata determinazione a confiscare le armi con ogni mezzo possibile, palese o subdolo, e a censurare i discorsi che non approvano sono sfrenati e sfrenati indipendentemente dalle sentenze dei tribunali.

L’altra America è ferma e ferma nella sua convinzione che i diritti inalienabili e costituzionalmente protetti siano non negoziabili e immutabili. L’impavido tentativo di disarmo ha avuto l’effetto di convincere più della metà della popolazione che queste azioni sono un preludio alla volontà del governo di usare la forza contro i cittadini per spogliarli di tutti i loro diritti. Questo, poiché il 92% degli americani crede che tutti i loro diritti fondamentali siano sotto assedio.

  • One America è determinata a proteggere gli interessi delle élite al potere istituendo un implacabile sistema di giustizia a due livelli . La classe dirigente e i suoi compagni di letto militanti hanno creato un sistema giudiziario in cui i loro alleati, seguaci e criminali e criminali politicamente corretti sono trattati con indulgenza o, in molti casi, non perseguiti, mentre i loro avversari politici e i loro seguaci che rappresentano una minaccia alla loro egemonia e criminali e criminali non politicamente corretti sono perseguitati e perseguiti.

Nel frattempo, nell’altra America, i cittadini credono fermamente nell’uguaglianza di giustizia secondo la legge: che loro e tutti gli americani hanno un diritto costituzionalmente protetto a una giustizia equa e imparziale.  Ben più della metà della cittadinanza è irrevocabilmente convinta che esista un sistema giudiziario a due livelli e iniquo che avvantaggia le élite dominanti a loro spese. Questa mentalità ora intrattabile è stata rafforzata dal trattamento dei manifestanti non violenti del 6 gennaio 2021 rispetto alle azioni dei terroristi domestici nell’estate del 2020.

  • One America è guidata e promuove le distinzioni di classe . In cima alla piramide ci sono le élite dominanti e i loro ricchi mecenati che guardano con disprezzo al resto della società mentre vivono nelle loro bolle autonome tirando i fili del governo e concentrandosi esclusivamente sulla loro mobilità verso l’alto. Sebbene possano guardare al futuro, la maggior parte della società non può, poiché devono concentrarsi sulla sopravvivenza del presente a causa dell’avarizia della classe dirigente e della loro decennale fedeltà al globalismo elitario. Questi due settori hanno situazioni residenziali nettamente diverse, possibilità di mobilità verso l’alto, opportunità educative, accesso alle cure mediche e interazione con la legge.

Nell’altra America, i cittadini si aggrappano ancora al rispetto per il duro lavoro, lo sforzo onesto e applaudono coloro che si sforzano di migliorare se stessi e la società. Poiché vivono in una nazione che un tempo si vantava di essere una società essenzialmente senza classi caratterizzata da una mobilità verso l’alto, non possono tollerare una società strutturata basata sull’egocentrismo e sull’avarizia. Grazie a questo egocentrismo elitario e al malgoverno, oltre il sessanta per cento dei cittadini crede che il sogno americano non sia più realizzabile per loro, poiché il loro risentimento verso la classe dirigente privilegiata e la rabbia per essere permanentemente rinchiusi in un sistema di caste de facto crescono inesorabilmente.

  • One America ha ripristinato il razzismo e la discriminazione sponsorizzati dal governo con l’intento malevolo di frammentare la società e la cultura al fine di raggiungere un’egemonia politica permanente. La classe dirigente ha favorito i suoi alleati di sinistra radicale affermando che il razzismo è radicato nel DNA dell’America (cioè, il razzismo sistemico ), che è esclusivamente colpa dell’attuale popolazione bianca. Questo segmento della società, quindi, dovrebbe essere capro espiatorio e discriminato, mentre la società americana viene radicalmente trasformata a causa della fondazione “bianca” della nazione. Come risultato di questa tattica malevola, hanno fomentato con successo l’animosità razziale e hanno manipolato gli americani facendogli credere che le relazioni razziali fossero peggiori che mai. Come solo il 25%credono che le relazioni razziali siano eccellenti o buone nella nazione nel suo insieme.

L’altra America è la stessa che nel 2005 ha visto quasi il 70% degli americani affermare che le relazioni razziali negli Stati Uniti erano molto o in qualche modo buone. Queste sono le stesse persone che sono tra il 77% in un recente sondaggio che pensava che le relazioni razziali fossero buone nella loro comunità nonostante fossero notevolmente peggiorate a livello nazionale. Questa dicotomia rivela che questo paese di lavoratori della classe operaia non è razzista o infastidito dalla cosiddetta “supremazia bianca” e la cui indignazione nei confronti delle élite razziste che si lamentano di queste false accuse sta aumentando.

  • In un’America c’è tra le élite dominanti e i loro servitori senza cervello la convinzione dominante che gli Stati Uniti come fondati siano un paese carente e irredimibile la cui storia è piena di atrocità e ingiustizia. Pertanto, il governo della nazione deve essere convertito in un’oligarchia socialista a partito unico e i suoi documenti imperfetti devono essere effettivamente riscritti. Questo processo risoluto iniziato decenni fa ha effettivamente portato alla frammentazione permanente di quella che era una cultura americana unica e universalmente accettata.

Nell’altra America la maggior parte della cittadinanza ( 85% degli americani) crede che gli Stati Uniti siano un grande paese che ha superato con successo le carenze umane dei suoi cittadini del passato. Si oppongono con veemenza a qualsiasi modifica sostanziale ai documenti costitutivi della nazione. Capiscono che la Costituzione così come è scritta garantisce loro libertà e indipendenza da un governo ormai prepotente. Non scenderanno a compromessi né saranno disposti a trovare una via di mezzo con la classe dirigente e i loro servi senza cervello.

  • In un’America le élite e i loro compagni di viaggio nelle classi superiori hanno ipocritamente abbandonato praticamente tutta la moralità nella loro risoluta ricerca dell’edonismo superficiale, della ricchezza e della fama. Sono sempre più agnostici, promuovono sfacciatamente lo sfruttamento sessuale dei bambini, approvano l’aborto fino al momento della nascita e giustificano qualsiasi mezzo immorale o non etico per raggiungere i propri fini, tra cui l’imposizione coatta della loro immoralità al resto della società . Come sottoprodotto dei loro alleati nell’establishment dei media e dell’intrattenimento che promuovono la loro immoralità, un recente sondaggio ha indicato che il 50% degli americani ha valutato i valori morali della nazione come poveri e in peggioramento.

Mentre nell’altra America la stragrande maggioranza dei cittadini ( 81%) crede in Dio, riconosce che credere in Dio o in una religione non è una necessità per comprendere l’importanza della moralità e vivere una vita morale. Quella moralità è la base di fondo di una società libera. Senza la moralità, e la sua enfasi sul rispetto della vita, la libertà si estingue. Queste due visioni diametralmente opposte della moralità non possono coesistere nella stessa società.

Questi due paesi all’interno di un paese non possono più mantenere la loro relazione sempre più tenue e potenzialmente instabile. Noi come nazione siamo in quel momento decisivo in cui una parte deve vincere e l’altra perde; non ci sono vie di mezzo. L’era dei conservatori, dei libertari e degli americani di mezzo che cercano un accordo con la sinistra e la classe dirigente è finita, che lo vogliano o meno, poiché più della metà dei cittadini americani è d’accordo con l’affermazione: “USA la democrazia è a rischio di estinzione” e solo il 26% crede che sopravviverà.

Affinché l’America fondata vinca senza che nessuna delle parti ricorra alla dissoluzione o alla potenziale violenza, le linee di vita delle élite al potere/della sinistra radicale devono essere troncate e il loro peso politico completamente emarginato.

La recente attenzione all’avvio di mezzi di informazione “conservatori” deve lasciare il posto a concentrarsi invece sui nuovi media di intrattenimento al fine di minare i punti vendita di intrattenimento di sinistra esistenti. Dopo che i boicottaggi e la perdita di pubblico hanno preso il loro pedaggio finanziario, queste e le società di media in fallimento dovrebbero essere acquisite. Le società “politicamente corrette” devono subire le conseguenze finanziarie di assecondare la sinistra attraverso boicottaggi, messaggi mediatici e l’acquisizione mirata dei loro consigli di amministrazione. I finanziamenti del governo per le università “svegliate” devono essere drasticamente ridotti e infine eliminati.

La trasformazione del Partito Repubblicano, iniziata dal presidente Trump, deve continuare fino a quando il partito non sarà epurato da tutti i politici e amministratori eletti non disposti a lottare incondizionatamente per l’anima del Paese. Uno sforzo determinato e concertato deve essere intrapreso nelle Camere di Stato per fare in modo che determinate elezioni siano eque e prive di frodi. L’affluenza alle urne per tutte le elezioni locali, statali e federali deve superare le medie storiche poiché i politici che la pensano allo stesso modo devono essere selezionati alle primarie e alle elezioni generali.

Infine, invece di crogiolarsi nella loro indipendenza e stare in disparte lanciando pietre senza pensare, i libertari e altre fazioni che la pensano allo stesso modo devono unirsi alla battaglia e allearsi incondizionatamente con conservatori, repubblicani ed elettori moderati che desiderano preservare questo paese come fondato.

In caso contrario, il paese che tutti conosciamo e amiamo non ci sarà più.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/07/the_united_states_has_become_two_countries_within_a_nation.html

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