Foreign Affairs ha pubblicato un’analisi straordinariamente perspicace sulle relazioni tra India e Stati Uniti, di ANDREW KORYBKO

Foreign Affairs ha pubblicato un’analisi straordinariamente perspicace sulle relazioni tra India e Stati Uniti

ANDREW KORYBKO
1 MAG 2023
18
1
Condividi

I decisori americani hanno supposto con arroganza che le esportazioni di difesa verso l’India, le esercitazioni congiunte con l’India e la cooperazione tra i due Paesi attraverso il Quad abbiano garantito l’affidabilità di Delhi come Stato proxy anti-cinese. Invece di prestare attenzione all’obiettivo esplicitamente dichiarato di rafforzare la propria autonomia strategica, anche attraverso la padronanza indigena delle tecnologie di difesa, si sono lasciati andare a un pio desiderio immaginando che l’espansione dei legami di difesa dell’India con gli Stati Uniti segnalasse la sua intenzione di diventare un vassallo.

Foreign Affairs è la rivista ufficiale dell’influente Council on Foreign Relations, il che significa che il più delle volte ripropone i punti di vista politici degli Stati Uniti, riconfezionati come analisi. Per questo motivo è stato sorprendente vedere che ha appena pubblicato un’analisi così perspicace sulle relazioni tra India e Stati Uniti, intitolata “America’s Bad Bet on India: New Delhi non si schiererà con Washington contro Pechino”. È stata scritta da Ashley J. Tellis, senior fellow del Carnegie Endowment for International Peace.

L’autore ha chiarito con precisione la politica estera dell’India nei confronti della Cina e degli Stati Uniti, informando i responsabili politici di questi ultimi che dovrebbero immediatamente dissipare l’illusione che l’India parteciperà a qualsiasi conflitto militare con loro contro la Repubblica Popolare. Pur essendo certamente solidale con gli Stati Uniti in un simile scenario, l’India non subordinerà le proprie forze al controllo di quel Paese con il pretesto dell'”interoperabilità”, né aprirà un secondo fronte attraverso l’Himalaya.

I decisori americani hanno supposto con arroganza che le esportazioni di difesa verso l’India, le esercitazioni congiunte con l’India e la cooperazione tra i due Paesi attraverso la Quadriglia garantissero l’affidabilità di Delhi come Stato proxy anticinese. Invece di prestare attenzione all’obiettivo esplicitamente dichiarato di rafforzare la propria autonomia strategica, anche attraverso la padronanza indigena delle tecnologie di difesa, si sono lasciati andare a un pio desiderio, immaginando che l’espansione dei legami di difesa dell’India con gli Stati Uniti segnalasse la sua intenzione di diventare un vassallo.

Tellis ha anche detto al suo influente pubblico che è una falsità credere che l’India condivida la stessa visione dell’ordine internazionale degli Stati Uniti. Sebbene non abbia approfondito troppo questo aspetto della sua grande strategia, il Ministro degli Affari Esteri Dr. Subrahmanyam Jaishankar ha ampiamente elaborato la visione del mondo del suo Paese in un’intervista rilasciata a una rivista austriaca all’inizio dell’anno. Egli ha difeso gli interessi nazionali oggettivi dell’India nei confronti della Russia, di fronte alle pressioni occidentali.

La sua politica pragmatica di neutralità di principio nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina ha già raccolto grandi dividendi strategici che hanno collettivamente accelerato la sua ascesa come Grande Potenza di rilevanza globale nell’ultimo anno. L’India prevede di guidare informalmente il Sud globale nell’imminente triforcazione delle relazioni internazionali in questa categoria di Paesi, il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e l’Intesa sino-russa.

Per quanto riguarda le sue relazioni con questi due blocchi di fatto della Nuova Guerra Fredda, l’India mira ad allinearsi abilmente tra i due al fine di massimizzare la sua autonomia strategica già menzionata. Non è “alleata” degli Stati Uniti contro la Cina, come i gestori della prima percezione la dipingono maliziosamente per scopi di divisione e di dominio, aiutati da simpatizzanti liberal-globalisti tra l’intellighenzia indiana, ma nemmeno le relazioni con la Cina sono così grandi a causa della loro disputa di confine irrisolta.

Nel dilemma se diventare un vassallo degli Stati Uniti per assicurarsi protezione nello scenario di un conflitto maggiore con la Cina o se trasformarsi nel “junior partner” della seconda normalizzando le relazioni nonostante la presenza di truppe straniere sul suo territorio, l’India è arrivata a fare affidamento sulla Russia. Mosca aiuta Delhi a mantenere la sua deterrenza militare nei confronti di Pechino senza doversi arrendere strategicamente a Washington, segnalando al contempo alla Repubblica Popolare che non dovrebbe usare la forza per risolvere la sua disputa con l’India.

L’ordine mondiale che l’India sta costruendo insieme alla Russia e al resto del Sud globale è un ordine multipolare complesso (“multiplexity”), in cui l’egemonia unipolare degli Stati Uniti si esaurisce senza che la sua precedente influenza sull’Asia venga sostituita dalla Cina. Delhi comprende abbastanza bene le dinamiche dell’Intesa sino-russa da sapere che anche Mosca non vuole che Pechino sia l’attore dominante nel continente, anche se non lo dirà mai ad alta voce per ovvie ragioni diplomatiche.

Questo spiega perché il partenariato strategico russo-indiano si è rafforzato senza precedenti nell’ultimo anno, nonostante le pressioni altrettanto senza precedenti esercitate dagli Stati Uniti. In realtà, è stata probabilmente quella stessa pressione a catalizzare questa nuova era nelle loro relazioni, poiché Delhi si è sentita obbligata a costruire legami ancora più forti con Mosca in risposta al tentativo di Washington di costringerla al vassallaggio. Senza rendersene conto, gli Stati Uniti si sono screditati come partner affidabile attraverso questa campagna di pressione.

Qualsiasi illusione potessero avere alcuni decisori indiani sulla cosiddetta “egemonia benigna” dell’America è stata immediatamente dissipata dopo che i suoi funzionari e media hanno chiesto a Delhi di prendere le distanze dalla Russia, cosa che avrebbe paralizzato le sue capacità di deterrenza nei confronti della Cina. Gli Stati Uniti non combatteranno (almeno non ancora) contro la Cina per l’omonimo Mare del Sud né contro Taiwan, quindi sicuramente non accorrerebbero in aiuto dell’India se la Repubblica Popolare decidesse di sfruttare la situazione per imporre la sua visione preferita del confine.

In un’ottica diversa, gli Stati Uniti stavano essenzialmente cercando di fare pressione sull’India affinché abbandonasse i suoi legami militari pluridecennali con la Russia a scapito dei suoi oggettivi interessi di sicurezza nazionale, lasciandola così completamente vulnerabile nei confronti della Cina, con la sola clemenza di Pechino a impedire lo scenario peggiore. Nessun decisore responsabile darebbe per scontato quest’ultimo fattore dopo gli scontri letali nella valle del fiume Galwan nell’estate 2020, motivo per cui ha respinto le richieste suicide degli Stati Uniti.

Tornando al pezzo di Tellis, dopo aver spiegato il ruolo centrale che la Russia svolge nel multiallineamento dell’India tra America e Cina, egli conclude saggiamente che “gli Stati Uniti dovrebbero certamente aiutare l’India nella misura compatibile con gli interessi americani. Ma non dovrebbero illudersi che il loro sostegno, per quanto generoso, possa indurre l’India a unirsi a loro in qualsiasi coalizione militare contro la Cina”, aggiungendo che “l’amministrazione Biden dovrebbe riconoscere questa realtà piuttosto che cercare di alterarla”.

Sono stati proprio i tentativi dell’amministrazione Biden di alterare la realtà condivisa in questa analisi e in quella di Tellis a far sì che gli indiani concludessero che gli Stati Uniti sono un alleato inaffidabile dopo aver praticamente voluto mettere il loro Paese alla mercé della Cina costringendolo a tagliare i legami di difesa con la Russia. Questa è stata una delle peggiori scommesse che gli Stati Uniti abbiano mai fatto, ed è impossibile riparare il grande danno strategico dopo che le sue richieste egemoniche hanno accelerato in modo senza precedenti l’ascesa dell’India.

Questo non vuol dire che gli Stati Uniti abbiano qualcosa da temere da questa vicenda, ma solo che essa ha inferto un colpo mortale a qualsiasi illusione unipolare che i suoi decisori potessero ancora nutrire. Non si può tornare all’ordine mondiale precedente, in cui gli Stati Uniti comandavano a bacchetta e costringevano i Paesi a sacrificare i loro interessi nazionali oggettivi per promuovere i propri. Quanto prima gli Stati Uniti se ne renderanno conto e inizieranno a trattare l’India con il rispetto che ha sempre meritato, tanto prima i loro legami potranno tornare a essere reciprocamente vantaggiosi.

La cattiva scommessa dell’America sull’India
Nuova Delhi non si schiererà con Washington contro Pechino
Di Ashley J. Tellis

Url della pagina
https://www.foreignaffairs.com/india/americas-bad-bet-india-modi

Negli ultimi due decenni, Washington ha fatto un’enorme scommessa nell’Indo-Pacifico: trattare l’India come un partner chiave aiuterà gli Stati Uniti nella loro rivalità geopolitica con la Cina. Da George W. Bush in poi, i presidenti americani che si sono succeduti hanno rafforzato le capacità dell’India partendo dal presupposto che ciò rafforza automaticamente le forze che favoriscono la libertà in Asia.

L’amministrazione del presidente Joe Biden ha abbracciato con entusiasmo questo manuale. Anzi, ha fatto un ulteriore passo avanti: l’amministrazione ha lanciato una nuova ambiziosa iniziativa per espandere l’accesso dell’India a tecnologie all’avanguardia, ha approfondito ulteriormente la cooperazione in materia di difesa e ha fatto del Quadrilatero (Quadrilateral Security Dialogue), che comprende Australia, India, Giappone e Stati Uniti, un pilastro della sua strategia regionale. Ha anche trascurato l’erosione democratica dell’India e le sue scelte di politica estera poco utili, come il rifiuto di condannare l’aggressione di Mosca in Ucraina. Tutto questo nella presunzione che Nuova Delhi risponderà favorevolmente quando Washington chiederà un favore durante una crisi regionale che coinvolge la Cina.

Le attuali aspettative di Washington nei confronti dell’India sono mal riposte. Le notevoli debolezze dell’India rispetto alla Cina e la sua ineluttabile vicinanza a quest’ultima garantiscono che Nuova Delhi non sarà mai coinvolta in un confronto con Pechino che non minacci direttamente la sua sicurezza. L’India apprezza la cooperazione con Washington per i benefici tangibili che ne derivano, ma non ritiene di dover sostenere materialmente gli Stati Uniti in qualsiasi crisi, anche se coinvolge una minaccia comune come la Cina.

Rimanete informati.
Analisi approfondite con cadenza settimanale.
Il problema fondamentale è che gli Stati Uniti e l’India hanno ambizioni divergenti per il loro partenariato di sicurezza. Come ha fatto con gli alleati di tutto il mondo, Washington ha cercato di rafforzare la posizione dell’India all’interno dell’ordine internazionale liberale e, quando necessario, di sollecitare il suo contributo alla difesa della coalizione. Tuttavia, Nuova Delhi vede le cose in modo diverso. Non nutre alcuna lealtà innata verso la conservazione dell’ordine internazionale liberale e mantiene una perdurante avversione a partecipare alla difesa reciproca. Cerca di acquisire tecnologie avanzate dagli Stati Uniti per rafforzare le proprie capacità economiche e militari e facilitare così la sua ascesa come grande potenza in grado di bilanciare la Cina in modo indipendente, ma non presume che l’assistenza americana le imponga ulteriori obblighi.

Nel momento in cui l’amministrazione Biden procederà a espandere i suoi investimenti in India, dovrà basare le sue politiche su una valutazione realistica della strategia indiana e non sulle illusioni che Nuova Delhi diventi un compagno d’armi durante qualche futura crisi con Pechino.

AMICI VELOCI
Per la maggior parte della Guerra Fredda, l’India e gli Stati Uniti non si sono confrontati seriamente sulla difesa nazionale, poiché Nuova Delhi cercava di sfuggire alle implicazioni di un’adesione agli Stati Uniti o al blocco sovietico. Il rapporto di sicurezza tra i due Paesi è fiorito solo dopo che Bush ha offerto all’India un accordo nucleare civile di grande portata.

Grazie a quella svolta, oggi la cooperazione tra Stati Uniti e India in materia di sicurezza ha un’intensità e una portata mozzafiato. Il primo e più visibile aspetto sono le consultazioni in materia di difesa. I leader civili dei due Paesi, così come le loro burocrazie, mantengono un dialogo regolare su una serie di argomenti, tra cui la politica della Cina, l’acquisto da parte dell’India di tecnologie militari avanzate statunitensi, la sorveglianza marittima e la guerra sottomarina. Queste conversazioni variano in qualità e profondità, ma sono fondamentali per rivedere le valutazioni strategiche, definire i parametri della cooperazione desiderata e ideare strumenti per l’attuazione delle politiche. Di conseguenza, gli Stati Uniti e l’India collaborano in modi che sarebbero stati inimmaginabili durante la Guerra Fredda. Ad esempio, collaborano per monitorare le attività economiche e militari della Cina nell’intera regione dell’Oceano Indiano e hanno recentemente investito in meccanismi per condividere con altri Stati costieri informazioni quasi in tempo reale sui movimenti di navigazione nella regione indo-pacifica.

Una seconda area di successo è stata la collaborazione militare-militare, che si svolge in gran parte al di fuori della vista pubblica. I programmi per le visite di alti ufficiali, le esercitazioni militari bilaterali o multilaterali e l’addestramento militare reciproco si sono ampliati notevolmente negli ultimi due decenni. Le esercitazioni di alto profilo esemplificano in modo evidente la portata e la diversità di questa relazione allargata: le esercitazioni annuali di Malabar, che riuniscono la marina statunitense e quella indiana, si sono ora estese fino a includere permanentemente il Giappone e l’Australia; le esercitazioni Cope India offrono alle forze aeree statunitensi e indiane l’opportunità di esercitarsi in operazioni aeree avanzate; e la serie Yudh Abhyas coinvolge le forze terrestri in attività di addestramento sia sul campo che al posto di comando.

Infine, le aziende statunitensi hanno ottenuto un notevole successo nella penetrazione del mercato indiano della difesa. Le forze armate indiane sono passate dall’essere praticamente prive di armi statunitensi nel proprio inventario circa vent’anni fa all’avere oggi aerei da trasporto e marittimi, elicotteri da combattimento e da utilità, missili antinave e cannoni d’artiglieria americani. Gli scambi commerciali tra Stati Uniti e India nel settore della difesa, che erano trascurabili all’inizio del secolo, hanno superato i 20 miliardi di dollari nel 2020.

Ma l’era delle grandi acquisizioni di piattaforme da parte degli Stati Uniti ha probabilmente fatto il suo corso. Le aziende statunitensi rimangono in lizza in diversi programmi di approvvigionamento indiani, ma sembra improbabile che possano godere di una quota di mercato dominante nelle importazioni indiane di prodotti per la difesa. I problemi sono interamente strutturali. Nonostante l’intensificarsi delle minacce alla sicurezza dell’India, il suo budget per gli acquisti nel settore della difesa è ancora modesto rispetto a quello del mercato occidentale. Le esigenze di sviluppo economico hanno impedito ai governi eletti dell’India di aumentare le spese per la difesa in modo tale da consentire un’ampia espansione delle acquisizioni militari dagli Stati Uniti. Il costo dei sistemi di difesa statunitensi è generalmente superiore a quello di altri fornitori a causa della loro tecnologia avanzata, un vantaggio che non è sempre sufficientemente attraente per l’India. Infine, la richiesta di Nuova Delhi alle aziende statunitensi di passare dalla vendita di attrezzature alla loro produzione con partner locali in India – che richiede il trasferimento della proprietà intellettuale – si rivela spesso poco attraente dal punto di vista commerciale, date le dimensioni ridotte del mercato indiano della difesa.

L’INDIA VA DA SOLA
Sebbene la cooperazione tra Stati Uniti e India in materia di sicurezza abbia riscosso un notevole successo, la più ampia partnership in materia di difesa deve ancora affrontare importanti sfide. Entrambe le nazioni cercano di sfruttare i loro legami sempre più profondi per limitare l’assertività della Cina, ma c’è ancora un divario significativo nel modo in cui intendono raggiungere questo scopo.

L’obiettivo degli Stati Uniti nella cooperazione militare è l’interoperabilità: il Pentagono vuole essere in grado di integrare un esercito straniero in operazioni combinate come parte della guerra di coalizione. L’India, tuttavia, rifiuta l’idea che le sue forze armate partecipino a qualsiasi operazione militare combinata al di fuori dell’ombrello delle Nazioni Unite. Di conseguenza, ha resistito a investire in una significativa integrazione operativa, specialmente con le forze armate statunitensi, perché teme di mettere a rischio la propria autonomia politica o di segnalare uno spostamento verso uno stretto allineamento politico con Washington. Di conseguenza, le esercitazioni militari bilaterali possono migliorare la competenza tattica delle unità coinvolte, ma non espandono l’interoperabilità al livello che sarebbe richiesto in grandi operazioni combinate contro un avversario capace.

La visione indiana della cooperazione militare, che enfatizza il mantenimento di legami internazionali diversificati, rappresenta un’ulteriore sfida. L’India considera le esercitazioni militari più come simboli politici che come investimenti per aumentare la competenza operativa e, di conseguenza, si esercita con numerosi partner a vari livelli di sofisticazione. D’altra parte, gli Stati Uniti enfatizzano le esercitazioni militari relativamente intense con una serie più ristretta di controparti.

Nuova Delhi ha ora dato priorità al sostegno di Washington per le sue ambizioni industriali nel campo della difesa
La priorità dell’India è stata quella di ricevere l’assistenza americana per costruire le proprie capacità nazionali in modo da poter affrontare le minacce in modo indipendente. Le due parti hanno fatto molta strada in questo senso, ad esempio rafforzando le capacità di intelligence dell’India sulle attività militari cinesi lungo il confine himalayano e nella regione dell’Oceano Indiano. Gli accordi esistenti per la condivisione dell’intelligence sono formalmente strutturati per la reciprocità e Nuova Delhi condivide ciò che ritiene utile. Ma poiché le capacità di raccolta degli Stati Uniti sono così superiori, il flusso di informazioni utilizzabili finisce spesso per essere a senso unico.

Sotto il Primo Ministro Narendra Modi, l’India si è sempre più concentrata sulla cooperazione industriale nel settore della difesa come motore principale del suo partenariato di sicurezza con gli Stati Uniti. L’obiettivo di fondo è garantire l’autonomia tecnologica: fin dalla sua fondazione come Stato moderno, l’India ha cercato di ottenere la padronanza di tutte le tecnologie critiche per la difesa, a duplice uso e civili e, a tal fine, ha costruito grandi imprese del settore pubblico destinate a diventare leader globali. Poiché questo sogno non è ancora stato realizzato, Nuova Delhi ha dato priorità al sostegno di Washington per le sue ambizioni industriali nel settore della difesa, insieme a partenariati simili creati con Francia, Israele, Russia e altri Stati amici.

Per oltre un decennio, Washington ha cercato di aiutare l’India a migliorare la sua base tecnologica di difesa, ma questi sforzi si sono spesso rivelati inutili. Durante l’amministrazione del Presidente Barack Obama, i due Paesi hanno lanciato la Defense Trade and Technology Initiative, che mira a promuovere lo scambio di tecnologie e la coproduzione di sistemi di difesa. I funzionari indiani vedevano nell’iniziativa la possibilità di procurarsi molte tecnologie militari avanzate statunitensi, come quelle relative ai motori a reazione, alle piattaforme di sorveglianza e ricognizione e alle capacità stealth, in modo che potessero essere prodotte o sviluppate in India. Ma l’esitazione di Washington nell’autorizzare tali trasferimenti è stata accompagnata dalla riluttanza delle aziende statunitensi del settore della difesa a cedere la loro proprietà intellettuale e a fare investimenti commerciali per quelle che, in ultima analisi, erano scarse opportunità di business.

LA GRANDE SCOMMESSA DI WASHINGTON
L’amministrazione Biden si sta ora impegnando a fondo per ribaltare il fallimento dell’Iniziativa per il commercio e la tecnologia della difesa. L’anno scorso ha annunciato l’Iniziativa sulle tecnologie critiche ed emergenti, che mira a trasformare radicalmente la cooperazione tra i governi, le imprese e gli enti di ricerca dei due Paesi in materia di sviluppo tecnologico. Questo impegno comprende un’ampia varietà di settori, tra cui i semiconduttori, lo spazio, l’intelligenza artificiale, le telecomunicazioni di nuova generazione, l’informatica ad alte prestazioni e le tecnologie quantistiche, che hanno tutte applicazioni per la difesa ma non sono limitate ad essa.

Nonostante il suo potenziale, tuttavia, l’Iniziativa sulle tecnologie critiche ed emergenti non garantisce alcun risultato specifico. Il governo degli Stati Uniti può far fallire l’iniziativa, poiché controlla il rilascio delle licenze che molte joint venture richiederanno. Sebbene l’amministrazione Biden sembri incline a essere più liberale su questo punto rispetto ai suoi predecessori, solo il tempo dirà se l’iniziativa realizzerà le aspirazioni dell’India di un maggiore accesso alla tecnologia avanzata degli Stati Uniti a sostegno dell’iniziativa “Make in India, Make for World” di Modi, che mira a trasformare l’India in un importante polo manifatturiero globale che potrebbe un giorno competere con la Cina, se non soppiantarla, come officina del mondo.

La domanda più grande, tuttavia, è se la generosità di Washington nei confronti dell’India aiuterà a raggiungere i suoi obiettivi strategici. Durante le amministrazioni Bush e Obama, le ambizioni degli Stati Uniti erano in gran parte incentrate sull’aiutare a costruire il potere dell’India per impedire alla Cina di dominare l’Asia. Con il progressivo deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina durante l’amministrazione Trump – quando anche le relazioni sino-indiane hanno toccato il fondo – Washington ha iniziato a considerare l’idea più ampia che il suo sostegno a Nuova Delhi avrebbe gradualmente indotto l’India a svolgere un ruolo militare maggiore nel contenere la crescente potenza della Cina.

Ci sono ragioni per credere che non sarà così. L’India ha mostrato la volontà di unirsi agli Stati Uniti e ai suoi partner del Quad in alcune aree di bassa politica, come la distribuzione dei vaccini, gli investimenti nelle infrastrutture e la diversificazione della catena di approvvigionamento, anche se insiste sul fatto che nessuna di queste iniziative è diretta contro la Cina. Ma per quanto riguarda la sfida più gravosa che Washington deve affrontare nell’Indo-Pacifico – garantire contributi militari significativi per sconfiggere qualsiasi potenziale aggressione cinese – l’India probabilmente si rifiuterà di giocare un ruolo in situazioni in cui la sua sicurezza non è direttamente minacciata. In tali circostanze, Nuova Delhi potrebbe al massimo offrire un tacito sostegno.

La relativa debolezza di Nuova Delhi la costringe a non provocare Pechino.
Sebbene la Cina sia chiaramente l’avversario più temibile per l’India, Nuova Delhi cerca comunque di evitare di fare qualcosa che possa portare a una rottura irrevocabile con Pechino. I responsabili politici indiani sono perfettamente consapevoli della forte disparità di potere nazionale tra Cina e India, che non sarà corretta in tempi brevi. La relativa debolezza di Nuova Delhi la costringe a non provocare Pechino, come certamente farebbe l’adesione a una campagna militare guidata dagli Stati Uniti. L’India non può inoltre sfuggire alla sua vicinanza fisica con la Cina. I due Paesi condividono un lungo confine, quindi Pechino può minacciare la sicurezza indiana in modo significativo – una capacità che è aumentata solo negli ultimi anni.

Di conseguenza, la partnership di sicurezza dell’India con gli Stati Uniti rimarrà fondamentalmente asimmetrica ancora a lungo. Nuova Delhi desidera il sostegno americano nel suo confronto con la Cina, ma allo stesso tempo intende rifuggire da qualsiasi confronto tra Stati Uniti e Cina che non riguardi direttamente i suoi interessi. Se dovesse scoppiare un conflitto importante tra Washington e Pechino in Asia orientale o nel Mar Cinese Meridionale, l’India vorrebbe certamente che gli Stati Uniti prevalessero. Ma è improbabile che si coinvolga nella lotta.

L’approfondimento dei legami di difesa di Nuova Delhi con Washington, quindi, non deve essere interpretato come un forte sostegno all’ordine internazionale liberale o come il desiderio di partecipare alla difesa collettiva contro l’aggressione cinese. Piuttosto, l’intensificarsi del rapporto di sicurezza è concepito dai politici indiani come un mezzo per rafforzare le capacità di difesa nazionale dell’India, ma non include alcun obbligo di sostenere gli Stati Uniti in altre crisi globali. Anche se questa partnership è cresciuta a passi da gigante, rimane un divario incolmabile tra i due Paesi, dato il costante desiderio dell’India di evitare di diventare il partner minore – o addirittura un confederato – di qualsiasi grande potenza.

Gli Stati Uniti dovrebbero certamente aiutare l’India nella misura compatibile con gli interessi americani. Ma non devono illudersi che il loro sostegno, per quanto generoso, possa indurre l’India a unirsi a loro in una coalizione militare contro la Cina. Le relazioni con l’India sono fondamentalmente diverse da quelle che gli Stati Uniti intrattengono con i loro alleati. L’amministrazione Biden dovrebbe riconoscere questa realtà piuttosto che cercare di alterarla.

ASHLEY J. TELLIS è titolare della Cattedra Tata per gli Affari strategici e Senior Fellow presso il Carnegie Endowment for International Peace.

https://korybko.substack.com/p/foreign-affairs-published-an-impressively?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=118551956&isFreemail=true&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Cosa succederà dopo l’attacco dei droni al Cremlino di martedì sera?_ Andrew Korybko

Cosa succederà dopo l’attacco dei droni al Cremlino di martedì sera?
Andrew Korybko

L’immagine tratta da un video mostra un oggetto volante che esplode in un’intensa esplosione di luce vicino alla cupola del palazzo del Senato del Cremlino a Mosca, Russia, 3 aprile 2023. /CFP

Nota dell’editore: Andrew Korybko è un analista politico americano con sede a Mosca. L’articolo riflette le opinioni dell’autore e non necessariamente quelle della CGTN.

Il 3 maggio la Russia ha accusato l’Ucraina di aver tentato di assassinare il Presidente Vladimir Putin con un attacco di droni, cosa che Kyiv ha negato. I due droni sono stati neutralizzati dai servizi di sicurezza e non hanno danneggiato Putin né causato vittime o danni. Mosca considera questo incidente con i droni come un attacco terroristico e ha dichiarato che si riserva il diritto di reagire in un momento e in un luogo a sua scelta.

Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Mao Ning ha dichiarato, durante la regolare conferenza stampa del 4 maggio, che “la posizione della Cina sulla crisi ucraina è coerente e chiara. Tutte le parti devono evitare di intraprendere azioni che potrebbero far degenerare ulteriormente la situazione”. Anche il consigliere di Stato e ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha ribadito la posizione centrale della Cina sulla promozione dei colloqui di pace per contribuire a raggiungere una soluzione politica della crisi ucraina il 5 maggio durante l’incontro con l’omologo russo Sergei Lavrov a margine della riunione dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai nello Stato indiano di Goa. Lavrov ha sottolineato che la Russia attribuisce importanza al documento di posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina.

Il contesto in cui si è svolto l’incontro è quello delle tensioni che precedono la prevista controffensiva dell’Ucraina contro le forze russe in quei territori che Kyiv rivendica come propri ma che Mosca considera come votati per unirsi a lei in referendum contestati lo scorso settembre.

Le ultime notizie trapelate dal Pentagono suggeriscono che l’Ucraina sta lottando per prepararsi a questa operazione e Politico, nel suo rapporto della scorsa settimana, ha citato funzionari dell’amministrazione Biden senza nome che hanno espresso serie preoccupazioni su ciò che accadrebbe se fallisse.

Nei giorni scorsi sono deragliati diversi treni russi nel territorio universalmente riconosciuto di quel Paese, che Mosca ha sostenuto essere il risultato di un sabotaggio. Inoltre, Mosca ha precedentemente accusato l’Ucraina di aver effettuato diversi attacchi transfrontalieri con i droni nell’ultimo semestre, il che rafforza la sua affermazione che Kyiv sia responsabile dell’incidente di martedì sera al Cremlino.

Tornando all’incidente in sé e a ciò che potrebbe accadere in seguito, tutti dovrebbero essere sollevati dal fatto che il Presidente Putin non sia stato ferito, cosa che avrebbe potuto portare a un’escalation della crisi senza precedenti e forse persino impensabile.


Un cartello “No Drone Zone” si trova vicino alla Piazza Rossa di Mosca, in Russia, e vieta ai veicoli aerei senza pilota di sorvolare l’area, il 3 maggio 2023. /CFP

Con la garanzia della sua sicurezza, la Russia potrebbe quindi essere meno propensa a reagire emotivamente a questo incidente e prendersi invece il tempo per riflettere attentamente sulle sue prossime mosse. I politici potrebbero quindi ricordare che saranno soprattutto i civili a sopportare il peso di un’eventuale escalation.

Sebbene gli attacchi di Mosca contro obiettivi militari mirino a raggiungere obiettivi rilevanti, finora non sono stati in grado di raggiungere l’obiettivo desiderato dal Cremlino, ovvero la capitolazione di Kiev e il suo accordo a rispettare gli interessi di sicurezza della Russia così come la sua leadership li considera. I precedenti suggeriscono quindi che un maggior numero di attacchi su larga scala potrebbe non fare una grande differenza in questo senso, anche se potrebbero temporaneamente disturbare i preparativi dell’Ucraina per la sua prevista controffensiva.

A questo proposito, va notato che anche Kiev e i suoi partner occidentali non sono riusciti finora a raggiungere l’obiettivo che volevano, ovvero la capitolazione di Mosca e il suo accordo a lasciare tutto il territorio che l’Ucraina considera suo. I precedenti suggeriscono quindi che anche la loro controffensiva pianificata probabilmente non farà una grande differenza in questo senso e quindi non farà altro che perpetuare il conflitto, le cui conseguenze saranno in gran parte a carico dei civili.

Le osservazioni condivise nei due paragrafi precedenti suggeriscono naturalmente che lo scenario più ottimale è che entrambe le parti prendano seriamente in considerazione l’immediata ripresa dei colloqui di pace con l’obiettivo di raggiungere un cessate il fuoco il prima possibile. Ciascuna delle due parti sostiene di avere in mente gli interessi dei civili, che ovviamente trarrebbero il massimo beneficio se le armi fossero messe a tacere. Perché ciò avvenga, tuttavia, ciascuna parte dovrebbe scendere a compromessi e qui sta il dilemma.

La Russia e l’Ucraina sono ancora convinte di poter raggiungere i loro obiettivi massimalisti in questo conflitto, anche se il loro continuo perseguimento non fa che estendere inavvertitamente le difficoltà che i civili stanno vivendo.

Dopo l’incidente di martedì sera, è più che mai urgente che entrambe le parti prendano seriamente in considerazione la de-escalation, che può essere facilitata dai servizi diplomatici di terze parti neutrali, se ogni combattente ha la possibilità di fare un passo indietro.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

 

Non sorprende che le fughe di notizie del Pentagono abbiano affermato che il Sud globale si stia multiallineando, di ANDREW KORYBKO

Non sorprende che le fughe di notizie del Pentagono abbiano affermato che il Sud globale si stia multiallineando

ANDREW KORYBKO
30 APR 2023
13
1
1
Condividi

L’ultimo rapporto del Washington Post sulle fughe di notizie del Pentagono dimostra che al giorno d’oggi esistono limiti reali all’influenza degli Stati Uniti sul Sud globale, il che scredita l’aspettativa di poter costringere ogni Paese a schierarsi contro Russia e Cina. Comunque sia, la situazione strategica non è così disastrosa come si temeva, dato che gli Stati Uniti hanno ancora una notevole influenza in Pakistan e in Brasile, per bilanciare quella relativamente minore nelle Repubbliche dell’Asia centrale e la totale assenza di influenza sull’India.

Geopolitica contemporanea

Il Washington Post (WaPo) ha pubblicato sabato l’ultimo rapporto sulle fughe di notizie del Pentagono, intitolato “Le nazioni più importanti si tirano fuori dallo stallo degli Stati Uniti con la Russia e la Cina, come dimostrano le fughe di notizie”. Nessun osservatore serio dovrebbe essere sorpreso, tuttavia, dal fatto che Stati del Sud globale come il Pakistan, l’India, le Repubbliche dell’Asia centrale (RCA) e il Brasile si stiano allineando alla nuova guerra fredda invece di schierarsi decisamente dalla parte degli Stati Uniti. In questo pezzo si critica il resoconto del WaPo sulle politiche di questi Paesi e si condividono anche alcune sintetiche informazioni su di essi.

Il Pakistan

Iniziando dal Pakistan, per gli Stati Uniti è sempre stato un sogno irrealizzabile aspettarsi che questo Paese prendesse le distanze dalla Cina, dal momento che le sue prospettive economiche future dipendono dal commercio e dagli investimenti con la Repubblica Popolare. La sua decisione di astenersi dalle risoluzioni antirusse dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite può essere compresa in questo senso, poiché prendere le parti degli Stati Uniti su questa questione globale avrebbe suscitato i sospetti della Cina sulle grandi intenzioni strategiche del regime golpista postmoderno nella nuova guerra fredda.

Nonostante la politica estera ufficiale del Pakistan non sia cambiata dopo il cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti, ma superficialmente “democratico”, contro Imran Khan un anno fa, Washington è riuscita comunque a far deragliare la traiettoria geostrategica di questo Stato dell’Asia meridionale. Le crisi a cascata che hanno seguito la sua estromissione hanno paralizzato il Pakistan proprio nel momento in cui doveva concentrarsi sulla ricerca del proprio posto nell’ordine mondiale emergente, nel contesto di un’accelerazione senza precedenti della transizione sistemica globale verso il multipolarismo.

Alla luce di ciò, si può concludere che gli Stati Uniti hanno ottenuto un grande ritorno dal loro investimento in quell’evento, poiché la cosiddetta “Dottrina Wolfowitz” è stata attuata senza problemi. Tale concetto predica la necessità per gli Stati Uniti di ostacolare in modo proattivo l’ascesa di qualsiasi Paese che possa potenzialmente rappresentare una minaccia per i propri interessi regionali, cosa che è stata indiscutibilmente realizzata nel caso del Pakistan, che potrebbe non essere più in grado di riconquistare lo slancio multipolare perduto dopo la sconfitta dell’ultimo anno storico.

L’India

La situazione geostrategica del Pakistan è in netto contrasto con la rapida ascesa dell’India come Grande Potenza di rilevanza globale nello stesso periodo. La sua politica pragmatica di neutralità di principio nella dimensione russo-statunitense della Nuova Guerra Fredda ha raccolto grandi dividendi strategici, consentendo a Delhi di posizionarsi perfettamente tra questi due protagonisti della transizione sistemica globale. L’esempio dell’India ha ispirato altri Stati del Sud globale a seguirne l’esempio, conferendole così un’influenza unica all’interno di questo gruppo di Paesi.

L’affermazione del Pentagono secondo cui il consigliere per la sicurezza nazionale Doval avrebbe detto al suo omologo russo che Delhi non si opporrà a Mosca nelle sedi multilaterali corrisponde a questa politica. Prendere le parti degli Stati Uniti contro la Russia in questi eventi, specialmente quelli del G20 che ospiterà quest’anno, avrebbe catalizzato una reazione a catena che sarebbe culminata con la subordinazione dell’India agli Stati Uniti come il suo più grande Stato proxy di sempre, abbandonando così la sua politica di multi-allineamento che ha ispirato l’intero Sud globale.

Sebbene il WaPo abbia presentato questa politica in modo scettico rispetto agli interessi degli Stati Uniti, è anche vero che l’India rimane molto vicina agli Stati Uniti, nonostante il suo rifiuto di assecondare le sue richieste a somma zero contro la Russia. Questi due Paesi hanno interessi comuni quando si tratta di gestire l’ascesa della Cina, ma tuttavia anche questa importante comunanza tra loro non significa che l’India sia alleata degli Stati Uniti contro la Repubblica Popolare né che abbia interesse a integrare le sue forze con quelle della NATO come stanno facendo i suoi partner Quad.

Le repubbliche dell’Asia centrale

Dando credito a ciò che è dovuto, le fughe di notizie del Pentagono hanno colto nel segno per quanto riguarda i calcoli strategici delle RCA nella Nuova Guerra Fredda e il loro palese opportunismo. È vero che sono “desiderosi di lavorare con chiunque offra i risultati più immediati, che per ora è la Cina”, al fine di ridurre quella che le loro leadership percepiscono come la cosiddetta dipendenza dalla Russia. Queste motivazioni creano aperture per gli Stati Uniti che mettono a disagio Mosca, che teme l’invasione militare regionale americana.

È con queste preoccupazioni che il ministro della Difesa russo Shoigu ha detto ai suoi omologhi della SCO a Delhi, la scorsa settimana, che il suo Paese sta “aumentando la prontezza di combattimento delle sue basi in Kirghizistan e Tagikistan in mezzo ai tentativi degli Stati Uniti e dei loro alleati di ripristinare la loro presenza militare in Asia centrale”. È evidente che il Cremlino è a conoscenza delle trame regionali del Pentagono e vuole sventarle in modo proattivo, comprese quelle non convenzionali che riguardano il sostegno degli Stati Uniti a vari gruppi terroristici in loco.

Nessuna RCA accetterebbe mai di ospitare l’ETIM o l’ISIS, per esempio, ma alcuni, come il Tagikistan, membro della CSTO, e l’Uzbekistan, recentemente allineato alla Russia, potrebbero essere tentati dalle proposte di cooperazione creativa degli Stati Uniti per espandere le loro relazioni con le sue forze armate. Detto questo, i loro crescenti legami economici con la Cina potrebbero potenzialmente dissuaderli dal farlo, se Pechino si sentisse a disagio con questo scenario, come lo è attualmente Mosca a causa del deterioramento dei suoi legami con Washington, che le fa temere l’accerchiamento degli Stati Uniti.

Brasile

L’ultima parte del rapporto del WaPo sulle fughe di notizie del Pentagono che vale la pena di criticare riguarda la politica estera del Presidente brasiliano Lula e in particolare la sua proposta del cosiddetto “club della pace” per mediare la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina. Come già analizzato a suo tempo, “L’approvazione della retorica di pace di Lula da parte della Russia non sorprende”, poiché l’ottica di una sua parziale attribuzione di responsabilità all’Occidente per questo conflitto – per quanto insincera – va contro gli interessi di soft power di quest’ultimo.

Ciononostante, il leader del più grande Paese dell’America Latina, recentemente rieletto e ormai tre volte, è ancora politicamente allineato con gli Stati Uniti contro la Russia nel conflitto geostrategicamente più importante dalla Seconda Guerra Mondiale, come dimostra la posizione ufficiale del suo governo nei confronti di questa guerra per procura, documentata qui. Anche il principale consigliere di Lula per la politica estera ha confermato la suddetta valutazione in una lunga intervista, seguita dalla dichiarazione del suo capo che non visiterà la Russia se questa non riprenderà i colloqui di pace con Kiev.

Le tre analisi qui, qui e qui illustrano nel dettaglio la grande strategia di Lula, che può essere semplificata come il suo desiderio di de-dollarizzarsi con la Cina e contemporaneamente di fare proseliti con il “wokeismo” in tutto il mondo attraverso la rete di influenza globale che, secondo quanto riferito, ha proposto di creare con i Democratici statunitensi durante il suo viaggio a Washington. Le relazioni con la Russia sono considerate sacrificabili se sono necessari sacrifici unilaterali per mantenere la fiducia dei suoi alleati ideologici, per questo gli Stati Uniti non dovrebbero leggere troppo a fondo nella superficiale retorica pacifista di Lula.

Pensieri conclusivi

Come dimostrato dall’ultimo rapporto del WaPo sulle fughe di notizie del Pentagono, oggi esistono limiti reali all’influenza degli Stati Uniti sul Sud globale, il che scredita l’aspettativa che essi possano costringere ogni Paese a schierarsi contro Russia e Cina. Comunque sia, la situazione strategica non è così disastrosa come quella paventata, poiché gli Stati Uniti hanno ancora un’influenza considerevole in Pakistan e in Brasile per bilanciare la loro influenza relativamente minore nelle RCA e la loro totale mancanza sull’India.

https://korybko.substack.com/p/its-not-surprising-that-the-pentagon

https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3219290/china-says-its-stand-ukraine-war-has-not-changed-after-un-vote?module=perpetual_scroll_0&pgtype=article&campaign=3219290

La Cina afferma che la sua posizione sulla guerra in Ucraina “non è cambiata” dopo il voto delle Nazioni Unite

  • La scorsa settimana Pechino ha appoggiato una risoluzione che descriveva il conflitto come “aggressione da parte della Federazione Russa”
  • Ma la missione della Cina alle Nazioni Unite afferma che il suo voto era sull’intero testo e non era un’approvazione di quel paragrafo

SCELTE MIGLIORI

"Abbiamo bisogno di canali migliori tra i due governi e canali più profondi e siamo pronti a parlare", ha detto martedì l'ambasciatore degli Stati Uniti in Cina Nicholas Burns.  Foto: Reuters
Immagini di Sofia e Alina, due bambine uccise da un attacco missilistico russo, sono state viste sabato nella città di Uman, nella regione di Cherkasy in Ucraina.  Foto: Reuters
Immagini di Sofia e Alina, due bambine uccise da un attacco missilistico russo, sono state viste sabato nella città di Uman, nella regione di Cherkasy in Ucraina. Foto: Reuters

La Cina ha affermato di non approvare la descrizione del conflitto ucraino come “aggressione da parte della Federazione Russa” votando a favore di una risoluzione delle Nazioni Unite la scorsa settimana.

“La posizione della Cina sulla questione ucraina non è cambiata e la posizione di voto non ha nulla a che fare con la telefonata tra i due capi di stato”, ha dichiarato martedì la Missione permanente della Cina presso le Nazioni Unite in una risposta via e-mail alle domande.

La missione si riferiva al voto della Cina su una risoluzione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 26 aprile e a una conversazione tra il presidente cinese Xi Jinping e il leader ucraino Volodymyr Zelenksy lo stesso giorno.

Il voto della Cina ha attirato l’attenzione poiché la risoluzione descriveva la Russia come l’aggressore nel conflitto – linguaggio che Pechino non ha usato. La Cina non ha mai condannato l’attacco della Russia all’Ucraina ed è stata criticata dall’Occidente per la sua posizione sulla guerra.

Anche la tempistica del voto – poche ore dopo che Xi e Zelensky si sono parlati per la prima volta dall’invasione russa – ha sollevato interrogativi su quella posizione.

Il capo della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell ha twittato mercoledì che il blocco ha accolto con favore la risoluzione e che è stata sostenuta dal suo Gruppo dei 20 partner tra cui Cina, Brasile, India e Indonesia.

Ma la missione di Pechino alle Nazioni Unite ha negato che ci sia stato alcun cambiamento nella posizione della Cina.

“Il voto ‘sì’ è stato un voto sull’intero testo della risoluzione e non può essere considerato un’approvazione di quel paragrafo”, ha affermato la missione.

La Cina si era astenuta da una precedente votazione sull’opportunità di mantenere il paragrafo nel preambolo secondo cui l’Europa doveva affrontare sfide senza precedenti a seguito dell’aggressione russa contro Ucraina e Georgia.

Il paragrafo chiedeva anche il tempestivo ripristino della pace e della sicurezza “basato sul rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di qualsiasi stato” e che tutti i responsabili di violazioni del diritto internazionale fossero ritenuti responsabili.

Il colloquio di Xi con Zelenskyj guadagna l’approvazione di Usa e Ue, oltre a una certa cautela
27 aprile 2023

La bozza di risoluzione è incentrata sul sostegno alla cooperazione tra le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, un organismo internazionale da cui la Russia è stata espulsa settimane dopo l’invasione.

L’Assemblea Generale ha adottato la risoluzione non vincolante – contenente il paragrafo a cui la Russia si è opposta – con 122 voti a favore, 18 astensioni e 48 Stati membri non votanti. I cinque paesi che si sono opposti alla risoluzione sono stati Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua e Siria.

La missione ha affermato che non è la prima volta che la Cina sostiene una risoluzione delle Nazioni Unite che si riferisce all’aggressione russa contro l’Ucraina, indicando un voto del 21 novembre. Quella risoluzione riguardava la promozione della cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Iniziativa centroeuropea.

Pechino ha votato a favore di quella risoluzione ma si è astenuta da un voto separato sull’opportunità di mantenere i riferimenti all’”aggressione russa”.

Courtney Fung, professore associato presso la Macquarie University di Sydney, ha affermato che l’astensione della Cina dal voto sul paragrafo la scorsa settimana riflette la sua posizione di sicurezza e priorità sull’amicizia “senza limiti” con la Russia.

Questa partnership è stata annunciata quando Xi e il leader russo Vladimir Putin si sono incontrati a Pechino nel febbraio dello scorso anno, settimane prima che la Russia invadesse l’Ucraina.

Un anno dopo, la Cina ha pubblicato un documento di posizione sulla guerra in cui affermava che i colloqui di pace erano l’unico modo per fermare i combattimenti. È stato criticato dall’Occidente per non aver chiesto alla Russia di ritirare le sue truppe, mentre gli sforzi di Pechino per essere un pacificatore sono stati accolti con scetticismo visti i suoi stretti legami con Mosca.

In primo luogo dalla guerra in Ucraina, la Russia ha acquistato yuan cinesi per immagazzinare riserve estere
2 maggio 2023

“La Cina spende risorse diplomatiche per modificare la lingua e raccogliere voti che siano almeno più vicini alle proprie posizioni”, ha detto Fung, che è anche un membro associato del Lowy Institute, un think tank di Sydney. Ha detto che la Cina era in buona compagnia astenendosi con dozzine di altre nazioni nel Sud del mondo, il che “diffonde qualsiasi costo reputazionale per la Cina”.

La Cina si è per lo più astenuta dalle risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano l’invasione della Russia invece di seguire la Russia ei suoi sostenitori – Corea del Nord, Siria e Bielorussia – con un voto negativo.

Fung ha affermato che votare contro una risoluzione che chiede la cooperazione sulla pace e la sicurezza internazionale “mina [la Global Security Initiative] con il messaggio che la Cina sta concettualizzando la sicurezza solo per gli stati forti”.

Xi ha promosso l’iniziativa – un vago quadro – come alternativa all’ordine di sicurezza internazionale guidato dall’Occidente dall’aprile 2022.

Li Lifan, uno specialista della Russia presso l’Accademia delle scienze sociali di Shanghai, ha affermato che è troppo semplicistico considerare la posizione della Cina sul conflitto sulla base di un voto delle Nazioni Unite.

“La chiave è guardare come la Russia ha reagito al voto”, ha detto Li. “La Russia agisce per i suoi interessi nazionali e non usa mezzi termini per difenderli, ma non ha criticato la Cina per come ha votato”.

Ha detto che la Cina si è astenuta dal votare sulla maggior parte delle risoluzioni che condannano l’invasione poiché la maggior parte dei paesi non si opporrebbe. L’astensione è stata anche un modo per gestire le sue relazioni con i principali partner commerciali come l’UE.

Jack Lau

Jack Lau

Jack è entrato a far parte del Post nel 2020 dopo aver studiato giornalismo all’Università di Hong Kong. Prima di allora, ha studiato giurisprudenza a Londra e Hong Kong, dove ha collaborato con la ricerca nelle istituzioni legali cinesi e la risoluzione delle controversie civili.

Per saperne di più

La telefonata di Xi con Zelenskyj è stata un colpo di stato diplomatico, ma la Cina deve affrontare ostacoli come mediatore di pace, affermano gli analisti

La chat di Xi con Zelensky è un “colpo di stato diplomatico ma la Cina ha ostacoli come mediatore di pace”

Per saperne di più

I legami UE-Cina non dovrebbero essere visti attraverso il "prisma della crisi ucraina", afferma il principale inviato

L’inviato della Cina nell’UE afferma che le relazioni non dovrebbero essere legate alla crisi ucraina

Per saperne di più

Zelensky afferma di aver chiesto aiuto al cinese Xi Jinping per i bambini ucraini "rapiti" dalla Russia

Zelensky afferma di aver chiesto aiuto a Xi per i bambini ucraini “rapiti” dalla Russia

Per saperne di più

Chi è Li Hui, l'uomo di punta della Cina in Ucraina?

Chi è l’uomo di punta della Cina in Ucraina?

Guerra in Ucraina

Le mie 5 letture quotidiane
Curare gli articoli più importanti che ti interessano

Saperne di più

La telefonata di Xi con Zelenskyj è stata un colpo di stato diplomatico, ma la Cina deve affrontare ostacoli come mediatore di pace, affermano gli analisti

  • La conversazione ha segnalato che Pechino è disposta ad assumere un ruolo più attivo come mediatore tra Ucraina e Russia, affermano gli analisti
  • Ma molti in Europa e negli Stati Uniti, aggiungono, credono che mentre la Cina è neutrale in superficie, rimane predisposta nei confronti di Mosca

SCELTE MIGLIORI

Notizia

Il pluripremiato matematico cinese torna dagli Stati Uniti all’Università di Pechino

3 maggio 2023

Sun Xin, assistente professore nel dipartimento di matematica dell'Università della Pennsylvania, tornerà all'Università di Pechino, ha affermato PKU in una nota.  Foto: Università della Pennsylvania

Macroeconomia cinese

I marchi stranieri stanno prendendo piede in Cina, ma non è tutto orgoglio nazionale

4 maggio 2023

Molti marchi internazionali hanno subito boicottaggi da parte dei consumatori in Cina negli ultimi anni.  Illustrazione: Lau Ka-kuen

Notizia

‘Per favore perdonami’: proprietario di un ristorante in ginocchio mentre la capitale cinese del barbecue trabocca

5 maggio 2023

Milioni di persone sui social media cinesi hanno visto un video di un proprietario di un ristorante in Cina inginocchiato davanti a un cliente deluso e implorando perdono.  Foto: composito SCMP/Weibo

Notizia

La Gran Bretagna vuole voltare pagina nei rapporti con Hong Kong, afferma il diplomatico

4 maggio 2023

Brian Davidson, console generale britannico a Hong Kong e Macao.  Foto: Dickson Lee
La posizione della Cina come potenziale mediatore è aumentata dopo che il presidente cinese Xi Jinping (a destra) ha parlato con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, hanno detto gli analisti.  Foto: AFP
La posizione della Cina come potenziale mediatore è aumentata dopo che il presidente cinese Xi Jinping (a destra) ha parlato con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, hanno detto gli analisti. Foto: AFP

La telefonata di mercoledì tra il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky è stata un colpo di stato diplomatico per Pechino, ma la Cina deve ancora affrontare sfide formidabili nel mediare qualsiasi pace tra Ucraina e Russia, hanno detto gli analisti.

La conversazione di un’ora, accolta con cautela dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei, ha segnalato che la Cina è disposta ad assumere un ruolo più attivo come pacificatore nei conflitti regionali, hanno affermato gli analisti.

Dimostra anche che i leader cinesi ora credono che il paese sia in grado di assumersi maggiori responsabilità come potenza globale e che tali sforzi potrebbero aiutare a ricucire i suoi legami con l’Europa e rafforzare la sua influenza diplomatica, specialmente con i suoi vicini e in Asia centrale, hanno aggiunto.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Il più alto ufficiale militare polacco ha condiviso alcune verità impopolari sulla guerra per procura tra NATO e Russia, di ANDREW KORYBKO

Il più alto ufficiale militare polacco ha condiviso alcune verità impopolari sulla guerra per procura tra NATO e Russia

ANDREW KORYBKO
29 APR 2023

Nessuno dovrebbe dubitare delle intenzioni del Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate polacche, il generale Rajmund Andrzejczak, o sospettare che sia un cosiddetto “agente russo”, dal momento che desidera sinceramente che l’Occidente vinca la sua guerra per procura con la Russia in Ucraina, ma è anche molto preoccupato che possa perdere, a meno che la sua parte non riconosca le verità impopolari che ha appena condiviso, dal momento che la mancanza di ciò potrebbe condannare Kiev alla sconfitta.

L’ultima volta che il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate polacche, il generale Rajmund Andrzejczak, ha attirato l’attenzione dei media è stato a fine gennaio, quando ha spiegato quanto formidabile fosse la Russia in quel momento. Il quotidiano polacco Do Rzecy ha riferito della sua recente partecipazione a una sessione strategica con l’Ufficio per la sicurezza nazionale, durante la quale ha condiviso alcune verità impopolari sulla guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina.

Andrzejczak ha affermato che la situazione non è affatto buona per Kiev se si considerano le dinamiche economiche di questo conflitto, richiamando in particolare l’attenzione sulle finanze, le questioni infrastrutturali, le questioni sociali, la tecnologia, la produzione alimentare, ecc. Da questo punto di vista, egli prevede che la Russia possa continuare a condurre le sue operazioni speciali per altri 1-2 anni prima di iniziare a sentire una pressione strutturale per ridurre le sue attività.

Al contrario, Kiev sta bruciando decine di miliardi di dollari di aiuti, ma è ancora molto lontana dal raggiungere i suoi obiettivi massimi. Andrzejczak ha detto candidamente che i partner occidentali della Polonia non stanno valutando adeguatamente le sfide che ostacolano la vittoria dell’Ucraina, comprese quelle legate alla “corsa alla logistica”/guerra di logoramento” che il capo della NATO ha dichiarato a metà febbraio. Un altro grave problema riguarda la riluttanza dei rifugiati a tornare presto in patria.

Questi fattori economici, logistici e demografici si sono combinati per convincerlo che deve urgentemente sensibilizzare il più possibile su questi problemi per “dare all’Ucraina una possibilità di costruire il suo futuro sicuro”, che nel contesto in cui ha condiviso questa motivazione, è un eufemismo per un aumento degli aiuti occidentali. Ha poi aggiunto che “come soldato, sono anche obbligato a presentare la variante più sfavorevole e difficile da attuare, dando campo a tutti coloro che possono e devono aiutare l’Ucraina”.

Nessuno dovrebbe quindi dubitare delle intenzioni di Andrzejczak o sospettare che sia un cosiddetto “agente russo”, dal momento che vuole sinceramente che l’Occidente vinca la sua guerra per procura con la Russia in Ucraina, ma è anche molto preoccupato che possa perdere se la sua parte non riconosce le verità impopolari che ha appena condiviso. A suo avviso, il mancato riconoscimento potrebbe condannare Kiev alla sconfitta, anche se si può argomentare in modo convincente che perpetuare indefinitamente questo conflitto, come cerca di fare la Polonia, potrebbe essere ancora più disastroso.

Dopo tutto, nessuna delle tre sfide su cui ha richiamato l’attenzione può essere superata a breve. L’unica eccezione potrebbe essere quella demografica, ma ciò comporterebbe la modifica della legislazione dell’UE per consentire l’espulsione dei rifugiati, cosa improbabile. I fattori economici e logistici sono sistemici e riguardano non solo l’Ucraina, ma l’intero Occidente in generale. È semplicemente impossibile sostenere il ritmo, l’entità e la portata degli aiuti multidimensionali dell’Occidente all’Ucraina se il conflitto si trascina.

Come ha ammesso lo stesso Andrzejczak, “non abbiamo munizioni. L’industria non è pronta non solo a inviare attrezzature all’Ucraina, ma anche a rifornire le nostre scorte, che si stanno sciogliendo”. Considerando che la Polonia è il terzo più importante patrocinatore dell’Ucraina dopo l’Asse anglo-americano, ciò suggerisce fortemente che tutti gli altri membri della NATO stanno lottando tanto quanto l’Ucraina per mantenere il ritmo, l’entità e la portata del sostegno, se non di più, dal momento che molti sono molto più piccoli e quindi meno in grado di contribuire in questo senso.

Di conseguenza, questa osservazione significa che l’imminente controffensiva di Kiev sarà probabilmente il suo “ultimo urrà” prima della ripresa dei colloqui di pace con la Russia, poiché l’Occidente non sarà in grado di mantenere l’assistenza per molto tempo ancora. Andrzejczak sembra ben consapevole di questo fatto “politicamente scomodo”, per cui vuole che il suo schieramento conceda ai suoi proxy quanto più possibile fino alla fine dell’operazione, nella speranza di potersi trovare in una posizione relativamente più vantaggiosa al momento della ripresa dei colloqui.

Lui e coloro che la pensano come lui stanno facendo due azzardi molto pericolosi: 1) si aspettano che l’imminente controffensiva abbia almeno un lieve successo nel guadagnare terreno; e 2) prevedono che la Russia accetterà di riprendere i colloqui di pace una volta che l’operazione sarà finalmente terminata. I rischi corrispondenti sono evidenti in quanto: 1) la controffensiva potrebbe fallire a tal punto che la Russia sfrutterebbe questo disastro per guadagnare invece una quantità incerta di terreno; e/o 2) Mosca potrebbe non riprendere i colloqui su richiesta di Kiev.

Nessun politico responsabile darebbe per scontata una di queste variabili, motivo per cui è probabilmente meglio che Kiev abbandoni la controffensiva e accetti la proposta di cessate il fuoco della Cina, invece di correre il rischio crescente che fallisca e/o che la Russia continui a combattere sapendo che il sostegno occidentale potrebbe presto finire. Questi scenari peggiori, tra loro interconnessi, stanno diventando sempre più probabili a causa delle sfide economiche e logistiche individuate da Andrzejczak, con la sola possibilità di incidenti russi a bilanciare le probabilità.

Tuttavia, tutti gli indizi suggeriscono che la controffensiva inizierà presto, nonostante le gravi sfide ad essa connesse, con questa decisione guidata da fattori politici legati alla necessità di mostrare all’opinione pubblica occidentale che i loro oltre 150 miliardi di dollari di aiuti sono stati spesi per qualcosa di tangibile. Anche se dovesse rivelarsi uno spettacolo disastroso, i decisori sono disposti a correre questo rischio, e alcuni come Andrzejczak vogliono andare fino in fondo per la disperazione di segnare una vittoria finale prima di riprendere i colloqui di pace.

02https://korybko.substack.com/p/polands-top-military-official-shared?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=118112205&isFreemail=true&utm_medium=email

https://dorzeczy.pl/opinie/433303/gen-andrzejczak-sytuacje-oceniam-jako-bardzo-zla.html

Il generale Andrzejczak sulla guerra in Ucraina: Purtroppo la situazione non è buona
Aggiunto: 27 aprile 2023, 17:1311284 26

Il Gen. Rajmund Andrzejczak, capo dello Stato Maggiore dell’Esercito polacco Fonte: KPRP / Przemysław Keler
Valuto la situazione della sicurezza come molto negativa, molto pericolosa per la Polonia”, ha dichiarato il generale Rajmund Andrzejczak, capo dello Stato Maggiore dell’esercito polacco, a proposito della guerra in Ucraina.
Durante un dibattito strategico presso l’Ufficio di sicurezza nazionale, Andrzejczak ha affermato che “la guerra non è una questione militare. – La guerra è stata, è, e non c’è alcuna indicazione che sarà in altro modo, una politica, e ha un numero fondamentale di fattori economici tra i suoi fattori determinanti: finanza, questioni infrastrutturali, questioni sociali, tecnologia, produzione di cibo e tutta una serie di questioni che devono essere messe in questa scatola per capire questa guerra”, ha sottolineato.

– Quando guardo alla guerra in Ucraina, prima di tutto la vedo attraverso queste lenti politiche, e sfortunatamente non ha un bell’aspetto”, ha valutato. Ha spiegato che nel breve orizzonte di pianificazione, 1-2 anni, “non c’è alcuna indicazione che la Russia non abbia i soldi per la guerra”. – Gli strumenti finanziari di cui disponeva prima della guerra, le dinamiche di spesa e l’efficacia delle sanzioni o l’intera complessa situazione economica indicano che la Russia avrà i soldi per la guerra, ha aggiunto.

– L’Ucraina ha enormi problemi finanziari. Sappiamo di quanto ha bisogno al mese. Sappiamo qual è l’aiuto americano, di tutto l’Occidente civilizzato. Sappiamo anche qual è l’aiuto polacco in questo settore, perché siamo il secondo donatore e probabilmente dovremmo essere un importante ispiratore per gli altri. La velocità di logoramento nell’area finanziaria oggi va a svantaggio (dell’Ucraina – ndr) a mio avviso. Purtroppo”, ha detto.

Gen. Andrzejczak: la situazione è molto pericolosa per la Polonia
Ha inoltre sottolineato che nel prossimo futuro non c’è alcuna indicazione che gli ucraini fuggiti dalla guerra torneranno a casa e inizieranno il processo di ricostruzione del Paese. Ha sottolineato che il vertice della Nato che si terrà a luglio a Vilnius sarà “più che altro un vertice della nostra credibilità, non solo della Nato, ma di tutto l’Occidente”. – Se siamo in ritardo, se non cogliamo questa opportunità e non mostriamo determinazione, non daremo all’Ucraina la possibilità di costruire un futuro sicuro”, ha sottolineato.

– Come soldato, è anche mio dovere presentare l’opzione più sfavorevole e difficile, dando spazio a tutti coloro che possono e devono aiutare l’Ucraina, valuto questa situazione di sicurezza come molto negativa, molto pericolosa per la Polonia”, ha detto Andrzejczak.

Alla domanda se i leader occidentali si rendano conto che l’Ucraina è molto lontana dal vincere la guerra con la Russia, il generale ha risposto che “una prospettiva disincantata sulla valutazione delle minacce è ancora una sorpresa per molti, ancora scioccante”.

– Non abbiamo le munizioni. L’industria non è pronta non solo a inviare attrezzature all’Ucraina, ma anche a ricostituire le nostre scorte, che si stanno sciogliendo. Questa consapevolezza non è la stessa che c’è qui sulla Vistola, e questo deve essere comunicato assolutamente, senza anestesia, a tutti e in tutti i forum dove è possibile, cosa che sto facendo”, ha sottolineato il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito polacco.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Lula, gli Stati Uniti, i BRICS_a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una serie di articoli di varia estrazione riguardanti il ritorno di Lula a Presidente del Brasile e i suoi primi atti nello scacchiere geopolitico. So bene che buona parte di questi articoli susciterà le perplessità se non l’avversione di tutta quell’area politica attratta, ormai da generazioni, dalle azioni e dai proclami della sinistra rivoluzionaria e populista dell’America Latina. Una attrazione determinata più da una visione romantica di quelle spinte, rivoluzionarie o riformiste che siano, che dai reali successi conseguiti in termini di solidità del potere eventualmente conseguito e di reale trasformazione positiva dei rapporti sociali di quelle formazioni. Un abbaglio che ha impedito di cogliere i trasformismi e gli opportunismi che regolarmente seguono a prese di posizione velleitarie o mal poste. E’ troppo presto per esprimere un giudizio definitivo sul senso reale del ritorno di Lula alla presidenza; come pure appare troppo sbrigativo qualificarlo come un mero strumento statunitense all’opera all’interno dei nuovi schieramenti geopolitici in via di formazione. I dubbi, però, sono tanti e giustificati. Lula fungerà, comunque, da una sorta di cartina di tornasole. Attualmente lo scacchiere geopolitico vede uno schieramento occidentale, a guida statunitense, in fase di contrazione, ma ancora coeso politicamente e militarmente in un suo proprio sistema di alleanze. Dall’altra parte si assiste ad aggregazioni crescenti, tra queste i BRICS, ma ancora eterogenee nei fini e nei mezzi, le quali riescono ad assumere con relativa efficacia il compito di destrutturare la forma di dominio tuttora dominante, con minore efficacia quella propositiva. Diventano, così, al contempo, esse stesse un campo di azione delle varie potenze attive nello scacchiere, comprese quelle che intendono avversare. Man mano che negli Stati Uniti dovesse crescere la consapevolezza di una competizione geopolitica impensabile solamente venti anni fa, tanto più si intensificheranno le azioni diversive e dirompenti all’interno di quei nuovi schieramenti in formazione. Lula potrebbe rientrare in queste dinamiche. Staremo a vedere. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Non siamo obbligati a seguire tutte le opinioni degli Stati Uniti”, dice Celso Amorim

BAHIA

 

A 80 anni, l’ex ministro degli Esteri Celso Amorim è il diplomatico con più esperienza in Brasile. È anche il più vicino a Lula (PT), che lo ha scelto come consigliere speciale per rappresentare il presidente nelle delicate missioni internazionali.

 

Amorim ha comandato il Ministero delle Relazioni Estere nel governo di Itamar Franco tra il 1993 e il 1995, ha ricoperto la stessa carica nei due precedenti mandati di Lula come Presidente della Repubblica ed è stato Ministro della Difesa sotto Dilma Roussef (PT).

 

In questa intervista, difende la posizione di Lula sulla guerra in Ucraina e afferma che le critiche del presidente non riguardano solo la posizione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea in relazione al conflitto.

 

Afferma che le critiche sono già state rivolte a gran voce alla Russia, che ha invaso il Paese confinante, e che il Brasile ha persino accompagnato i Paesi occidentali nella condanna dell’atto alle Nazioni Unite.

 

Tuttavia, afferma che bisogna cercare la pace e che le “sanzioni” o l’insistenza per “sconfiggere la Russia” non risolveranno la questione.

 

“Che cosa volete? Una vendetta? Dare una lezione?”, dice a proposito della posizione dei Paesi occidentali nel conflitto. “L’ultima volta che ci si è provato [con il Trattato di Versailles dopo la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale] è andata proprio così”, afferma.

 

Amorim afferma inoltre che il Brasile riconosce l’importanza del ruolo degli Stati Uniti, che hanno riconosciuto il risultato delle elezioni presidenziali brasiliane quando queste erano messe in discussione dall’ex presidente Jair Bolsonaro (PL). Questo, però, non obbliga il Brasile a seguire gli interessi statunitensi negli affari internazionali.

 

“Non c’è stato alcun patto”, afferma.

 

Leggete, di seguito, i principali estratti dell’intervista.

 

RICEVERE

 

Il coordinatore delle comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato che le dichiarazioni del presidente brasiliano sulla guerra in Ucraina sono profondamente problematiche e che sta “ripetendo a pappagallo” la propaganda di Cina e Russia sul conflitto. Lula sta dicendo verità scomode o sta ripetendo ciò che interessa a questi due Paesi?

 

Non ho intenzione di entrare in polemica con l’addetto stampa della Casa Bianca. Lasciamogli pensare ciò che vuole.

 

Ma, in realtà, la posizione del Presidente Lula è molto chiara: è una difesa degli interessi brasiliani e della percezione del Brasile rispetto al mondo. È la difesa di un mondo multipolare, che ha a che fare anche con la questione della dollarizzazione o della de-dollarizzazione di parte delle relazioni economiche [tra Paesi].

E ha anche a che fare con la ricerca di equilibrio nel mondo, [con il tentativo di] contribuire a renderlo più equilibrato.

 

Per quanto riguarda specificamente la guerra, la nostra ricerca è la pace. Il Brasile ha condannato [la guerra tra Russia e Ucraina] innumerevoli volte e in innumerevoli occasioni.

 

Il Presidente Lula ha criticato verbalmente l’azione russa di invasione dell’Ucraina. Il Brasile difende il principio dell’integrità territoriale degli Stati. Su questo non ci sono dubbi.

 

INCONTRO TRA LULA E IL CANCELLIERE RUSSO

 

Lula ha ripetuto le sue critiche al Cancelliere russo Sergei Lavrov, con cui si è incontrato lunedì (17)?

 

Mettiamola in prospettiva: il cancelliere russo non è venuto in Brasile come emissario [del presidente russo Vladimir Putin].

 

Il suo ospite è stato il ministro Mauro Vieira [delle Relazioni estere]. I due hanno parlato a lungo e ciò che hanno detto in seguito è stato divulgato alla stampa. Entrambi.

 

L’incontro del Cancelliere russo con il Presidente [Lula] è stata una visita di cortesia. Non entrerò nei dettagli [della conversazione tra i due].

 

Ma il nostro atteggiamento è chiaro. Abbiamo già votato le risoluzioni dell’ONU [che condannano l’aggressione russa all’Ucraina], lui [Lula] ha già parlato [condannando l’azione della Russia]. Non c’è dubbio che il Brasile sia critico.

 

Il Brasile difende la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale.

 

Ora, quello che pensiamo è che non serve a nulla rimanere fermi su questo, o continuare ad applicare sanzioni, o voler sconfiggere la Russia. Questo non porterà la pace. La Russia è un Paese molto importante e molto grande, oltre ad essere partner del Brasile. E bisogna cercare un modo per avere [negoziati di pace]. Questo è stato il senso delle parole del Presidente Lula.

 

Perché c’è la percezione, da parte sua e del Presidente Lula, che gli Stati Uniti e l’Unione Europea non stiano cercando la pace in questo momento?

 

Ci sono dichiarazioni specifiche [da parte di funzionari degli Stati Uniti e dei Paesi europei], come “dobbiamo sconfiggere la Russia” o “dobbiamo indebolire la Russia”. Questo è variato nel tempo.

 

Ora, nell’ambito della concezione che la Russia ha sbagliato, la nostra posizione è quella di far dialogare i Paesi.

 

La guerra non è una soluzione né per la Russia né per l’Ucraina. Questa è la domanda del Brasile.

 

Lavorare solo per rafforzare militarmente una parte [come hanno fatto gli Stati Uniti e i Paesi europei], o per, ad esempio, imporre sanzioni all’altra, non contribuisce alla pace. Non si contribuisce alla conversazione, non si crea un clima favorevole alla ricerca di negoziati.

 

E [queste autorità] finiscono, volontariamente o involontariamente, per contribuire al prolungamento della guerra.

 

RICERCA DELLA PACE IN UCRAINA

 

Una parte della stampa statunitense afferma che l’ambizione del Brasile di negoziare la fine della guerra e la pace è ingenua, non è alla portata del nostro Paese.

 

Non credo che sia ingenua. C’è buona fede nelle nostre azioni, nella ricerca della pace.

 

C’è una grande chiarezza sul fatto che non sarà il Brasile a fare la pace. Deve essere un gruppo di Paesi.

Rileggete la dichiarazione congiunta del Presidente Lula e del Presidente cinese Xi Jinping, in cui si afferma che entrambi i Paesi sostengono tutti i movimenti per la pace e invitano altri Paesi a unirsi a questo sforzo.

È chiaro che non si tratta di un’azione che il Presidente Lula farà da solo.

 

Ora, contrariamente a quanto dicono certi editoriali, il Brasile è un Paese importante, è uno dei cinque Paesi più grandi del mondo in termini di territorio, insomma è un Paese molto rispettato a livello internazionale.

 

Si dà il caso che, in questo caso [di guerra], l’Unione Europea abbia adottato un partito.

 

Non dico che sia sbagliato criticare l’azione specifica [della Russia contro l’Ucraina].

Ma bisogna farlo in modo da non rendere impossibile la pace.

 

Cosa volete? Una vendetta? Volete dare una lezione?

 

L’ultima volta che è stata tentata una politica del genere, dopo la Prima guerra mondiale, con il Trattato di Versailles [in cui i Paesi vincitori della guerra imponevano dure condizioni alla Germania], ha portato a quello che è successo dopo [l’ascesa al potere di Adolf Hitler]. Ha dato origine a questo sentimento di rancore e risentimento.

 

Noi non crediamo che le cose stiano così.

 

Quali sono i limiti del Brasile in questo scenario?

 

Molte volte, per fare la pace, c’è bisogno di un po’ di denaro per aiutare la ricostruzione [dei Paesi distrutti dai conflitti]. E questo il Brasile non ce l’ha.

 

Abbiamo una capacità di dialogo che fa parte della nostra storia, che è una storia di pace con i suoi vicini, di mediazione, di ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti, come è nella nostra Costituzione e anche nella Carta delle Nazioni Unite.

 

Quindi, se aggiungiamo un Paese come la Cina, che ha una forte capacità di persuasione, e Paesi come il Brasile… Per esempio, la troika del G20 oggi è composta da Indonesia, India e Brasile. Possiamo anche aggiungere il Sudafrica.

 

Quando si dice “c’è una reazione molto forte” [alle dichiarazioni di Lula], si tratta di una forte reazione occidentale. Ora, se si va a vedere cosa pensano gli indiani, gli africani e molti altri che magari non hanno le stesse condizioni per esprimersi, la visione non è la stessa.

 

MONDO MULTIPOLARE

 

Gli Stati Uniti non hanno capito la posizione del Brasile? O il Presidente Lula non ha usato bene le parole? O ancora, gli Stati Uniti non sono realmente interessati alla pace?

 

Non lo so, né posso dare giudizi sugli altri.

 

Penso che sia una visione diversa, sì, da quella brasiliana.

 

È una differenza di visione nel senso seguente: vogliamo un mondo equilibrato e multipolare, perché è quello che interessa di più al Brasile. Naturalmente, il Brasile non avrà la forza di creare questo mondo. Ma può contribuire a un mondo che non sia diviso in una “guerra fredda”, tra buoni e cattivi.

 

Questa non è la politica storica del nostro Paese. Il Brasile storicamente, anche durante il governo militare, ha evitato di adottare una politica del genere.

 

Nel caso [dell’indipendenza] dell’Angola, il Brasile ha riconosciuto il governo angolano. E gli Stati Uniti lo aborrivano, perché si definiva marxista-leninista. Noi volevamo la pace, fin da allora.

 

Nelle attuali condizioni mondiali, dell’economia e di molti altri aspetti, interessa al Brasile lavorare per un mondo multipolare.

 

La nostra voce sarà ascoltata meglio lì che in un mondo diviso da una guerra fredda tra buoni e cattivi.

 

Un mondo multipolare interessa agli Stati Uniti?

 

È curioso. L’ex presidente [Barack] Obama ha persino usato questa espressione in un’occasione.

 

Negli Stati Uniti non c’è una visione univoca su questo tema. E quello che abbiamo detto non è molto diverso da quello che ha detto l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger, soprattutto all’inizio di questo conflitto, in relazione all’idea che bisogna cercare soluzioni pacifiche, non provocatorie.

 

Ad esempio, sull’espansione della NATO [alleanza militare dei Paesi occidentali]: sono d’accordo con Kissinger.

 

Kissinger è di sinistra, è comunista, è antiamericano? No. Ma non pensiamo che questa [espansione della NATO] contribuisca alla pace, perché crea più tensioni.

 

Giustifica l’invasione [dell’Ucraina da parte della Russia]? Anche no. Ecco perché siamo a favore della soluzione pacifica.

 

È una cosa complicata, perché bisogna riconoscere gli interessi e le preoccupazioni delle varie parti, e allo stesso tempo garantire il rispetto delle norme fondamentali del diritto internazionale – non regole inventate e poi cambiate da un Paese o dall’altro.

 

Questo è ciò che stiamo cercando di fare.

 

Non saremo all’unisono con tutti, ma, ad esempio, con la Cina c’è stata un’ottima intesa.

 

Contrariamente a quanto a volte si pensa, la Cina non è impegnata solo a sconfiggere gli Stati Uniti o altro.

 

C’è una competizione, non c’è dubbio. Non sono ingenuo a non vederlo. Ma la Cina è il Paese che è cresciuto di più con la globalizzazione. E la globalizzazione dipende dalla pace.

 

La nostra posizione in merito, anche se da punti di vista diversi o differenti, è vicina a [quella della Cina], perché anche noi vogliamo la pace. Non vogliamo una guerra fredda e non vogliamo scegliere [una parte del conflitto].

 

In molte cose, gli Stati Uniti sono un partner eccellente per il Brasile.

 

Se si considera la politica sociale ed economica del presidente [Joe] Biden, abbiamo molte coincidenze con essa.

 

Riconosciamo l’atteggiamento positivo dell’amministrazione Biden nei confronti del processo elettorale in Brasile.

 

Ora, questo non ci obbliga a seguire tutte le loro opinioni. Possiamo divergere, come facciamo in altre cose, nei negoziati commerciali e in altre questioni.

 

I Paesi hanno interessi e per il Brasile una guerra fredda non è interessante.

 

Guardate il nostro settore agroalimentare: esporta [molto in Cina] e ha raggiunto delle posizioni.

 

È chiaro che non venderemo i nostri principi per questo. Ma non abbiamo nemmeno intenzione di lanciarci in provocazioni e conflitti inutili.

 

DIFESA DELLE ELEZIONI BRASILIANE DA PARTE DEGLI STATI UNITI

 

Si dice che i diplomatici statunitensi invochino il fatto che il loro governo abbia riconosciuto l’elezione del presidente Lula, come se fossero i garanti della nostra democrazia, e che ora si infurierebbero. Avrebbero un’altra alternativa? Appoggerebbero un colpo di Stato?

 

La nostra democrazia è una responsabilità brasiliana, fondamentalmente.

 

Ora, non c’è dubbio che la posizione americana, la posizione degli Stati Uniti, abbia influenza in Brasile. Ha influenza in tutti i settori della vita brasiliana.

 

Hanno assunto un atteggiamento corretto nei confronti del processo elettorale brasiliano, e questo è positivo.

 

Tra l’altro, non sono stati solo gli Stati Uniti. Sono stati loro e tutta la comunità internazionale. Loro e i tifosi del Flamengo, come si dice a Rio de Janeiro.

 

E questo non vincola il Presidente Lula alle posizioni americane.

 

Certo che no. Non c’è stato alcun patto per dire: “Guardate, noi sosteniamo il processo elettorale e voi ci sosterrete nel nostro conflitto contro la Cina”. No. Ogni Paese ha la propria opinione e ha il diritto di discutere civilmente. Di poter essere in disaccordo.

 

Discutiamo, vediamo e parliamo. Più partner abbiamo, meglio è.

 

Anche l’Unione Europea ha reagito alle posizioni del Brasile. Potrebbero esserci delle ritorsioni contro il Brasile?

 

L’Unione europea non ha una posizione unica [sulla guerra in Ucraina], vero? Cerchiamo di essere obiettivi.

 

Ad esempio, il presidente francese [Emmanuel] Macron è stato in Cina e ha parlato molto più a lungo di noi con Xi Jinping. Ed è tornato [in Francia] dicendo che è importante affermare l’autonomia strategica dell’Europa.

 

Ha detto che l’Europa non è in grado di risolvere i propri problemi, riferendosi all’Ucraina, e quindi non deve intromettersi a Taiwan.

 

Immagino che a Washington ci siano persone che non hanno gradito. Ma è normale. Non è ostilità. È una ricerca di difesa degli interessi del proprio Paese.

 

Il Presidente Lula ha parlato spesso con gli europei. Lui stesso si sta recando di nuovo in Europa, in Portogallo e in Spagna, e ha avuto contatti con il cancelliere tedesco, con il primo ministro [Olaf Scholz], con il presidente Macron e anche con il presidente ucraino Volodimir Zelenski.

 

Abbiamo parlato con tutti.

 

IN UCRAINA

 

L’Ucraina ha invitato Lula a visitare il Paese e a vedere da vicino la guerra, e anche la Russia vorrebbe la sua presenza e un forum economico a San Pietroburgo. Quante possibilità ci sono che questi viaggi avvengano?

 

Non posso dare certezze  su questo, perché queste cose a volte si evolvono.

 

Ma, al momento, il Presidente Lula, personalmente, non ha in programma alcun viaggio in quest’area. Al momento no. Per quanto ne so, non ci sono piani.

https://politicalivre.com.br/2023/04/nao-somos-obrigados-a-seguir-todas-opinioes-dos-eua-diz-celso-amorim/#gsc.tab=0

Lula annuncia le condizioni per visitare Russia e Ucraina

Il presidente brasiliano afferma che i futuri viaggi in uno dei due paesi dipenderanno dall’avanzamento dei colloqui di pace

 

Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva (L) incontra il presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa (R) prima di un colloquio al Palazzo Belem di Lisbona il 22 aprile 2023. © Stringer/Agenzia Anadolu via Getty Images

Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, comunemente noto come Lula, ha dichiarato sabato, durante una visita diplomatica in Portogallo, che rimane necessario che una coorte di Paesi aiuti a guidare sia la Russia che l’Ucraina verso la pace. Ha anche riservato critiche al ruolo di Mosca nell’istigare “una guerra con l’Ucraina”.

 

“Il Brasile vuole trovare un modo per stabilire la pace”, ha detto Lula sabato durante una conferenza stampa con il suo omologo portoghese Marcelo Rebelo de Sousa, con il quale aveva appena concluso un incontro a porte chiuse.

 

“È meglio trovare una via d’uscita al tavolo dei negoziati che una via d’uscita sul campo di battaglia”, ha dichiarato Lula. “La guerra distrugge soltanto, non costruisce nulla”, ha aggiunto, affermando che si rifiuterà di visitare Mosca o Kiev finché una o entrambe non faranno passi concreti verso la cessazione delle ostilità.

 

I commenti di Lula arrivano dopo che è stato criticato in Occidente per aver suggerito, poco dopo una visita di Stato in Cina questo mese, che gli Stati Uniti e i loro alleati europei stavano “incoraggiando la guerra” in Ucraina con la fornitura di armi alle forze di difesa di Kiev.

 

Il suo progetto di una roadmap verso la pace è stato elogiato dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, in visita a Brasilia all’inizio della settimana, ma un portavoce della Casa Bianca ha accusato il presidente brasiliano di “ripetere a pappagallo la propaganda russa e cinese senza guardare ai fatti”.

 

 

Leggi tutto La Casa Bianca si scaglia contro il Brasile per l’Ucraina

Tuttavia, venerdì la Reuters ha riferito che Lula avrebbe ammorbidito la sua posizione sulle critiche al ruolo dell’Occidente nel conflitto ucraino. Due funzionari di Brasilia hanno dichiarato all’agenzia di stampa che i commenti di Lula hanno provocato “rumore inutile” e hanno minato la posizione del Brasile come potenziale mediatore di pace.

 

Ciononostante, sabato Lula ha ribadito che “se non si fa la pace, si contribuisce alla guerra” e ha detto di aver rifiutato la richiesta del cancelliere tedesco Olaf Scholz di fornire aiuti militari all’Ucraina. Ma ha aggiunto che il suo governo si oppone fermamente alle azioni di Mosca; una posizione che, a suo dire, si è riflessa nei “voti dell’ONU” del Brasile.

 

“La Russia ha commesso un errore”, ha detto Lula sabato. “Tutti pensiamo che la Russia abbia commesso un errore. Non avrebbe dovuto invadere, ma lo ha fatto. Il Brasile non vuole scegliere da che parte stare. Vuole un gruppo di Paesi con cui parlare”.

 

L’arrivo di Lula in Portogallo venerdì è stato accolto da un’ondata di proteste da parte di cittadini e sostenitori ucraini fuori dall’ambasciata brasiliana a Lisbona, molti dei quali erano irritati da ciò che consideravano l’incapacità di Brasilia di affrontare la vera causa del conflitto. Venerdì Lula ha annunciato che il suo principale consigliere di politica estera avrebbe incontrato il presidente ucraino Vladimir Zelensky a Kiev.

 

La visita del leader brasiliano in Portogallo sarà seguita da un soggiorno di due giorni in Spagna, dove incontrerà il re Felipe IV e il primo ministro Pedro Sanchez.

https://www.rt.com/news/575189-brazil-lula-ukraine-russia/?utm_source=substack&utm_medium=email

 

Aprire in app o online

Lula ha appena screditato la politica estera del Brasile ponendo condizioni alla sua visita in Russia

ANDREW KORYBKO

23 APR

DETTAGLI

Lula sta essenzialmente dicendo che l’espansione globale delle relazioni economiche tra Brasile e Russia dipende dal fatto che la Russia comprometta gli obiettivi di sicurezza nazionale che cerca di portare avanti attraverso l’operazione speciale in corso in Ucraina, che Mosca considera ufficialmente come esistenziale. Questa posizione contraddice tutto ciò che la comunità multipolare rappresenta, ponendo così il Brasile dalla parte politica dell’Occidente nella dimensione russo-statunitense della nuova guerra fredda, nonostante i suoi crescenti legami con la Cina.

 

La transizione sistemica globale verso il multipolarismo ha visto decine di Paesi abbandonare il paradigma occidentale-centrico delle relazioni internazionali, tristemente noto per l’imposizione di condizioni unilaterali agli altri e per l’influenza che il pensiero a somma zero esercita sulla formulazione delle politiche. Il Brasile si annovera formalmente tra gli Stati che si concentrano sulla costruzione di un ordine mondiale più equo, in particolare nel coordinamento congiunto con i partner BRICS, ma il Presidente Lula lo ha appena screditato durante il suo viaggio in Portogallo.

 

Mentre si trovava lì, RT ha riferito che ha posto delle condizioni alla sua visita in Russia che gli erano state estese dal Presidente Putin attraverso il Ministro degli Esteri Lavrov durante la recente visita di quest’ultimo in Brasile. Il principale consigliere di Lula per la politica estera ha recentemente rivelato, in una lunga intervista sulla visione del mondo del suo capo, che al momento non ha in programma di recarsi in Russia o in Ucraina, ma sabato il leader brasiliano ha chiarito che potrebbe riconsiderare l’idea se i due paesi compiranno progressi tangibili verso la pace.

 

Probabilmente pensava che questo lo avrebbe fatto apparire “equilibrato”, “neutrale” e “pragmatico”, ma se da un lato questo approccio gli farà probabilmente guadagnare una proverbiale pacca sulla spalla dai suoi partner occidentali, dall’altro scredita completamente la politica estera del suo Paese agli occhi della Russia e del resto della comunità multipolare. La ragione di questa valutazione è che questa seconda categoria di Paesi non crede nell’imposizione di condizioni unilaterali ai propri partner, tanto meno che coinvolgano le loro relazioni con terze parti.

 

Ciò che Lula ha appena fatto dimostra quanto la sua visione del mondo sia strettamente allineata con i Democratici liberali-globalisti al potere negli Stati Uniti, con i quali avrebbe proposto di lanciare una rete di influenza globale durante il suo viaggio a Washington a febbraio, secondo quanto riportato recentemente da Politico, che ha citato esponenti del Congresso che hanno partecipato all’incontro. Invece di inventare un pretesto “pubblicamente plausibile” per rifiutare “gentilmente” l’invito del suo omologo a partecipare al Forum economico internazionale di San Pietroburgo di metà giugno, Lula sta facendo delle richieste al Presidente Putin.

 

In sostanza, sta dicendo che l’espansione globale delle relazioni economiche tra Brasile e Russia dipende dal fatto che la Russia comprometta gli obiettivi di sicurezza nazionale che cerca di portare avanti attraverso l’operazione speciale in corso in Ucraina, che Mosca considera ufficialmente come esistenziale. Questa posizione contraddice tutto ciò che la comunità multipolare rappresenta, ponendo così il Brasile dalla parte politica dell’Occidente nella dimensione russo-statunitense della Nuova Guerra Fredda, nonostante i suoi crescenti legami con la Cina.

 

A questo proposito, la grande strategia di Lula (che può essere approfondita attraverso le due analisi ipertestuali precedenti) è fondamentalmente quella di “bilanciare” i suoi principali partner cinesi e statunitensi – per quanto maldestramente – attraverso la de-dollarizzazione con i primi e il proselitismo del “wokeismo” con i secondi. Le relazioni con la Russia sono considerate sacrificabili, poiché la sua importanza in questo paradigma impallidisce rispetto a quelle dei due paesi, essendo per lo più relegata alla sfera della cooperazione sulle materie prime (compresa l’energia).

 

Anche se il Brasile e la Russia hanno interessi comuni nell’accelerare il multipolarismo finanziario, soprattutto attraverso il progetto della nuova valuta di riserva dei BRICS, Lula ha chiaramente lasciato che la sua preferenza ideologica per l’Occidente avesse la precedenza su questo, imponendo le condizioni che ha appena fatto per partecipare all’evento di metà giugno. Non c’è assolutamente alcuna possibilità che la Russia scenda a compromessi sui suoi obiettivi di sicurezza nazionale in Ucraina solo per fargli prendere in considerazione l’idea di presentarsi a quel forum di investimenti, quindi si dovrebbe dare per scontato che non ci andrà.

 

Anche se i propagandisti del suo schieramento potrebbero tentare di distorcere la situazione ricordando a tutti che non andrà in Ucraina a meno che la Russia non faccia progressi tangibili verso la pace, le relazioni del Brasile con Kiev non sono così importanti per la transizione sistemica globale come lo sono quelle con Mosca. Si può quindi affermare che Lula non sta solo tenendo in ostaggio i legami bilaterali con la Russia attraverso la sua richiesta unilaterale, ma sta anche rallentando il ritmo di realizzazione dei loro comuni obiettivi di multipolarità finanziaria.

 

La cosa più dannosa di questa intuizione è che ogni osservatore obiettivo sa che non si può fare affidamento sul Brasile durante il terzo mandato di Lula, che sta formulando la politica estera sotto l’influenza di paradigmi occidentalocentrici obsoleti a causa del suo allineamento ideologico con i democratici statunitensi. Nessun membro della comunità multipolare può dare per scontati i legami con questo Paese, nemmeno la Cina, perché c’è sempre la possibilità che gli Stati Uniti facciano pressioni per replicare questa politica ostile anche nei loro confronti.

 

Se dovesse scoppiare un conflitto caldo nel Mar Cinese Meridionale o nello Stretto di Taiwan, ad esempio, ci si aspetta che Lula riduca unilateralmente i legami del Brasile con la Cina con il falso pretesto di voler apparire “equilibrato”, “neutrale” e “pragmatico”. Dopo tutto, la NATO guidata dagli Stati Uniti sta attivamente conducendo una guerra per procura contro la Russia attraverso l’Ucraina, eppure non ha permesso che questo gli impedisse di visitare Washington all’inizio di febbraio o il Portogallo questo fine settimana. Questo dimostra che sta davvero applicando ipocritamente due pesi e due misure.

 

Alla luce di ciò, la sua retorica pacifista non può essere considerata altro che una copertura per il suo allineamento politico con gli Stati Uniti contro la Russia nel conflitto geostrategicamente più importante dalla Seconda Guerra Mondiale. È solo una tattica per ingannare i creduloni della comunità Alt-Media e facilitare le operazioni di gaslighting dei suoi propagandisti, volte a manipolare le percezioni popolari sulla verità della sua politica estera. Ponendo condizioni alla sua visita in Russia, Lula ha dimostrato che i legami con il Paese BRICS sono sacrificabili.

https://korybko.substack.com/p/lula-just-discredited-brazils-foreign?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=116678834&isFreemail=true&utm_medium=email

Il piano di Lula: Una battaglia globale contro il trumpismo

Ispirati dal presidente brasiliano, gli americani di sinistra stanno valutando se rispondere alla destra internazionale con un proprio movimento.

 

Il presidente Joe Biden, a destra, cammina con il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva.

I presidenti Joe Biden e Luiz Inácio Lula da Silva hanno profonde divergenze politiche, soprattutto sull’Ucraina. Per ora, hanno messo a tacere le loro differenze per presentare un fronte unito contro le forze autocratiche e insurrezionali locali. | Foto Alex Brandon/AP

 

Di ALEXANDER BURNS

 

13/04/2023 04:30 AM EDT

 

Aggiornato: 04/13/2023 10:25 AM EDT

 

Alexander Burns è redattore associato per la politica globale di POLITICO. La sua rubrica Domani esplora il futuro della politica e i dibattiti politici che attraversano i confini nazionali.

 

Luiz Inácio Lula da Silva è arrivato a Washington all’inizio di quest’anno nel bagliore di un glorioso ritorno. Liberato dal carcere, eletto per un nuovo mandato come presidente del Brasile e trionfatore di un’insurrezione in stile 6 gennaio, il populista di sinistra sembrava incarnare la resistenza della democrazia in un’epoca di estremismo.

 

Ma negli incontri privati con i legislatori progressisti e i leader dei lavoratori, Lula ha lanciato un messaggio terribile, secondo quattro persone presenti alle discussioni.

 

Sebbene demagoghi velenosi siano caduti sia in Brasile che negli Stati Uniti, Lula ha avvertito che una rete globale di forze di destra continua a minacciare la libertà politica. Gli elettori schiacciati dalla disuguaglianza economica e confusi da un torrente di disinformazione sui social media sono rimasti vulnerabili a figure come Donald Trump e Jair Bolsonaro, il brutale uomo forte che Lula ha sconfitto a fatica lo scorso autunno.

 

“Mi suona familiare”: Biden scherza con Lula su Bolsonaro e le “fake news”.

 

CondividiVideo

A Washington, il 77enne leader brasiliano ha lanciato un appello alla battaglia: La sinistra deve costruire una propria rete transnazionale, ha detto Lula, per combattere per i suoi valori politici e affrontare crisi come la privazione economica e il cambiamento climatico.

 

I leader dell’estrema destra come Trump e Bolsonaro nelle Americhe si sono cercati a vicenda e hanno trovato compagni di viaggio negli integralisti europei come la francese Marine Le Pen e il primo ministro ungherese Viktor Orbán. A sinistra non è esistito un club analogo. Secondo Lula, è giunto il momento di cambiare le cose.

 

La rappresentante Pramila Jayapal (D-Wash.), capo del Congressional Progressive Caucus, ha detto che Lula voleva mobilitare le forze di sinistra contro “una rete internazionale di persone e movimenti di destra” che sta cercando di “impadronirsi dei Paesi democratici”.

 

“Si è rivolto a noi chiedendo al Caucus Progressista di costruire qualcosa che possa contrastare questo fenomeno”, ha ricordato Jayapal.

 

Un primo passo potrebbe essere compiuto nel corso dell’anno, con un possibile viaggio in Brasile dei progressisti del Congresso. Il deputato californiano Ro Khanna, uno dei principali liberali della Camera che ha incontrato Lula, ha dichiarato che il presidente brasiliano ha sollecitato tre volte i legislatori a recarsi in visita.

 

Khanna ha detto di aver chiesto al suo staff di esplorare altri forum internazionali in cui i progressisti statunitensi dovrebbero far sentire la loro presenza.

 

L’esortazione di Lula rappresenta una sfida attesa da tempo per la sinistra statunitense. Per tutta l’influenza che hanno esercitato sulla politica interna, i Democratici di sinistra non sono ancora riusciti ad articolare un programma transnazionale distintivo.

 

Questa è stata un’occasione mancata.

 

Non è che ai progressisti non interessi il resto del mondo. È solo che tendono a coinvolgerlo come un insieme sparso di punti nevralgici e cause personali, senza raccontare una storia più universale sulle lotte del XXI secolo.

 

A Washington, molti progressisti hanno abbracciato la narrazione scelta dal Presidente Joe Biden di una grande competizione tra democrazia e autocrazia, lamentando al contempo l’abisso tra la retorica di Biden e la sua tolleranza verso tirannie strategicamente utili come l’Arabia Saudita. Tuttavia, essi hanno fatto solo tentativi stentati di delineare un programma generale di sinistra che parta dal cambiamento negli Stati Uniti e si estenda al resto del mondo.

 

Il senatore del Vermont Bernie Sanders ha fatto lo sforzo più sviluppato, chiedendo nel 2018 un “fronte progressista internazionale” contro oligarchi, despoti e multinazionali. Ma il suo ruolo principale in questi giorni è quello di presiedere il Comitato per la Salute, l’Educazione, il Lavoro e le Pensioni del Senato, una carica potente che si concentra sull’economia degli Stati Uniti.

 

Matt Duss, ex consigliere di Sanders per la politica estera, ha detto che c’è una “crescente sensibilità a sinistra” per un impegno più coerente con i partner di altri Paesi, “non solo in Sud America ma nel Sud globale”. Il momento sembra propizio per i progressisti per far valere le loro ragioni per una politica transnazionale ancorata a idee economiche tradizionalmente di sinistra.

 

Ma i progressisti statunitensi non dispongono attualmente di una ricca rete di relazioni all’estero a cui attingere.

 

“È un’area in cui la sinistra in particolare deve fare un lavoro molto, molto migliore”, ha detto Duss.

 

È facile sopravvalutare l’influenza globale della destra statunitense. Provocatori legati a Trump come Steve Bannon possono irrompere in altri Paesi, dichiarare l’alba di una nuova era di nazionalismo di ultradestra e generare una copertura ansiosa nella stampa tradizionale. Ma è stato più difficile per queste forze conquistare il potere e governare. Gli appoggi di Trump alle elezioni straniere non sono serviti a molto.

 

All’inizio di quest’anno, la mia collega Zoya Sheftalovich ha riferito che il panico per l’ingerenza in stile Bannon era diminuito in Europa: Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea, ha ricordato il timore che, dopo il 2016, un personaggio come Bannon potesse contribuire ad accendere un movimento continentale. “Non è successo”, ha detto Jourová.

 

I PIÙ LETTI

trump-nord-carolina-12405.jpg

Il nuovo problema di eleggibilità del GOP: il North Carolina

Come la Casa Bianca vede lo stallo sul tetto del debito con McCarthy

‘Vi brucerò vivi’

Trump ha ucciso l’ala “valoriale” del GOP. Non tornerà nel 2024.

Il progressista più arrabbiato di Washington sta conquistando i conservatori e sconcerta i vecchi alleati

Tuttavia, per i conservatori estremi ha avuto un valore politico pensare a se stessi in termini globali. Li ha aiutati a identificare le tendenze e gli atteggiamenti culturali che hanno guidato le elezioni oltre i confini nazionali – la rabbia per la crisi dei rifugiati siriani, la paura della Cina, il risentimento verso le grandi tecnologie – e ad affinare un vocabolario comune per discuterne.

 

A livello intangibile, ha dato a un gruppo di ideologi un tempo emarginato un certo esprit de corps che può tradursi in ciò che gli americani chiamano spavalderia.

 

Guarda: I manifestanti pro-Bolsonaro assaltano gli edifici governativi del Brasile

 

Condividi il video

Lula, che in precedenza è stato presidente del Brasile dal 2003 al 2010, potrebbe trovarsi in una posizione unica tra i leader stranieri per chiamare la sinistra statunitense alle barricate.

 

Anche prima del suo ritorno al potere, Lula occupava un posto speciale nell’immaginario dei progressisti statunitensi: un crociato populista in una delle più grandi democrazie del mondo, un difensore dell’Amazzonia, uno schietto esponente della sinistra americana durante l’era di George W. Bush. La sua incarcerazione nel 2018, frutto di un discutibile processo per corruzione, lo ha reso un martire politico.

 

C’è una componente estetica nel suo fascino per i progressisti che aiuta a oscurare altre realtà scomode, come la sua visione equivoca dell’invasione russa dell’Ucraina.

 

Si pensi alle immagini dell’ultima candidatura di Lula, che mostrano un ruggente combattente di sinistra che fa campagna nei quartieri poveri e saluta folle estasiate da un’auto scoperta. Sono scene sconosciute agli elettori statunitensi del nostro tempo. Per molti progressisti, sembrano la versione migliore della politica.

 

La detenzione di Lula ha rafforzato il suo rapporto a distanza con i legislatori di sinistra di Washington, che hanno sposato la sua causa. Sanders ha guidato lo sforzo, chiedendo ripetutamente il rilascio di Lula durante la sua campagna presidenziale. Dopo il suo rilascio, il politico brasiliano ha ringraziato Sanders.

 

“Spero che i lavoratori americani ti facciano diventare presidente degli Stati Uniti”, ha scritto Lula a Sanders su Twitter.

 

Nella foto il presidente della Commissione Salute, Istruzione, Lavoro e Pensioni del Senato, Bernie Sanders, I-Vt.

Il ruolo principale del senatore Bernie Sanders è quello di presiedere il Comitato per la salute, l’istruzione, il lavoro e le pensioni del Senato, una carica potente che si concentra sull’economia degli Stati Uniti. | J. Scott Applewhite/AP Photo

 

Quest’anno ha continuato a esprimere gratitudine a Washington, incontrando Sanders e ringraziando lui e altri progressisti per il loro sostegno. Quando Lula si è riunito con i leader sindacali, è stato effusivo. “Voleva ringraziare il movimento sindacale per essere al suo fianco”, ha detto Randi Weingarten, presidente della Federazione americana degli insegnanti.

 

Anche con i dirigenti sindacali, Lula ha sollecitato una mobilitazione transnazionale. Ha fatto pressione su di loro affinché conducano una “lotta per i lavoratori e per sollevare le loro aspirazioni economiche, i loro salari di sussistenza”, oltre a proteggere l’Amazzonia, ha detto Weingarten.

 

Nel suo incontro con i progressisti del Congresso, Khanna ha detto che Lula ha descritto una certa forma di politica progressista – incentrata sull’avanzamento economico della classe operaia e sulla lotta al cambiamento climatico – come l’antidoto allo stato di disperazione che alimenta le politiche autoritarie.

 

“Una delle intuizioni interessanti che ha avuto è che c’è un movimento, non solo in Brasile ma in tutto il mondo, di antipolitica”, ha detto Khanna, “e che le persone hanno perso la fiducia nell’organizzazione e nell’attività politica, e si sono bevute il racconto che tutto è corrotto, tutto è rotto e la politica non conta”.

 

La soluzione, secondo Lula, è una “politica di speranza e di aspirazioni” che dia agli elettori la fiducia “di poter migliorare le condizioni economiche della gente”, ha detto Khanna.

 

Per certi versi, questo sembra un personaggio molto vicino a noi: Joe Biden.

 

Il Presidente degli Stati Uniti e Lula hanno profonde divergenze politiche, soprattutto sull’Ucraina. Per ora, hanno messo a tacere le loro differenze per presentare un fronte unito contro le forze autocratiche e insurrezionali locali. Alla Casa Bianca, ciascuno ha salutato l’altro come un campione della democrazia.

 

Quando ho contattato il portavoce di Lula, José Crispiniano, in merito ai suoi incontri a Washington, ha condiviso una dichiarazione che sottolinea l’ammirazione di Lula per Biden: “È rimasto colpito e soddisfatto dell’impegno del Presidente Biden nei confronti dei sindacati e dei lavoratori”. Ha rifiutato di commentare le osservazioni di Lula sulla costruzione della sinistra globale.

 

Manifestanti, sostenitori dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, prendono d’assalto l’edificio del Congresso nazionale a Brasilia, in Brasile.

CASA BIANCA

 

L’amministrazione Biden condanna l’assalto agli edifici governativi della capitale brasiliana

DI OLIVIA OLANDER E NAHAL TOOSI

Biden e Lula sono simili per un altro aspetto importante. Sono entrambi leader nazionali di lunga data che hanno portato alla vittoria coalizioni di centro-sinistra, in parte perché hanno saputo resistere agli attacchi della destra che avrebbero potuto abbattere qualsiasi candidato meno familiare agli elettori.

 

Il ministro delle Finanze brasiliano, Fernando Haddad, che ha raggiunto Lula a Washington, lo ha fatto notare ai progressisti del Congresso. “Ha detto che nessun altro oltre a Lula avrebbe potuto vincere”, ha detto Khanna. Secondo Haddad, solo Lula era in grado di superare la valanga di bile e disinformazione diretta contro la sua candidatura.

 

In nessuno dei due Paesi è garantito che un messaggio di sinistra o di centro-sinistra possa avere successo con un altro messaggero.

 

Anche questo è un monito e una sfida per i progressisti.

https://www.politico.com/news/magazine/2023/04/13/lula-global-battle-against-trumpism-00091794?utm_source=substack&utm_medium=email

L’ultima guerra ibrida contro il Brasile è condotta da forze dichiaratamente pro-Lula

 

ANDREW KORYBKO

4 MAR 2023

 

La seconda guerra ibrida in Brasile è in realtà il risultato di una lotta di potere non dichiarata all’interno del partito, iniziata dai sostenitori del “Nuovo Lula” contro la base di sostenitori del partito che pensano ancora che sia il “Vecchio Lula”, il cui esito determinerà la traiettoria del Brasile nella Nuova Guerra Fredda. Continuerà a muoversi in una direzione allineata con gli Stati Uniti in mezzo all’imminente triforcazione delle relazioni internazionali o si ricalibrerà più vicino all’Intesa sino-russa e/o al Sud globale.

 

Chiarire il significato di guerra ibrida

 

La prima guerra ibrida in Brasile è stata condotta dagli oppositori del Presidente Lula per effettuare un cambio di regime contro il suo Partito dei Lavoratori (PT), il che rende l’ultima guerra ibrida in Brasile ancora più intrigante, poiché è condotta da forze apparentemente pro-Lula per rafforzare il regime. Prima di procedere, è necessario un chiarimento sulla terminologia precedente, per evitare qualsiasi malinteso sul modo in cui viene descritto lo stato attuale delle cose.

 

Per Guerra Ibrida si intende la manipolazione non convenzionale dei processi socio-politici di uno Stato preso di mira per far avanzare l’agenda degli operatori. Per quanto riguarda la parola “regime” nei termini “cambio di regime” e “rafforzamento del regime”, essa si riferisce semplicemente al governo e non viene utilizzata nel modo in cui i propagandisti occidentali l’hanno usata per delegittimare le autorità. Tenendo conto di ciò, l’osservazione che ci sono due guerre ibride in Brasile ha più senso.

 

La prima e la seconda guerra ibrida contro il Brasile

 

La prima è stata orchestrata dagli Stati Uniti con l'”Operazione Autolavaggio” per rimuovere il PT attraverso un colpo di Stato post-moderno guidato dalle forze dell’ordine, come punizione per la politica estera relativamente più multipolare dell’epoca. La seconda, invece, è condotta su prerogativa indipendente di forze apparentemente pro-Lula, al fine di manipolare le percezioni della base del PT sulla politica estera di Lula, relativamente più allineata agli Stati Uniti, durante il suo terzo mandato, in modo da scongiurare preventivamente il dissenso interno.

 

La prima guerra ibrida contro il Brasile si è basata su presunte rivelazioni anti-corruzione per mettere in moto la dimensione “lawfare” del processo di cambio di regime, che ha poi catalizzato una combinazione di proteste organizzate indipendentemente contro il PT e di quelle organizzate da agenzie di intelligence straniere mascherate da “ONG”. Al contrario, la seconda guerra ibrida contro il Brasile si basa esclusivamente su teorie del complotto armate per impedire alla base del PT di protestare contro Lula.

 

La realtà dell’approccio di Lula alla guerra per procura tra NATO e Russia

 

“Lula ha chiarito nella sua telefonata con Zelensky che è contrario all’operazione speciale della Russia”, che ha fatto seguito al voto del Brasile a sostegno di una risoluzione ONU anti-russa, che a sua volta è arrivata poco dopo che lui stesso aveva condannato l’operazione speciale della Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden all’inizio di febbraio. Invece di rimanere neutrale nei confronti del conflitto ucraino, astenendosi come hanno fatto i suoi colleghi BRICS, ha ordinato ai suoi diplomatici di allinearsi apertamente con gli Stati Uniti su questa delicata questione.

 

“La visione multipolare ricalibrata di Lula lo rende favorevole ai grandi interessi strategici degli Stati Uniti”, come spiegato nella precedente analisi ipertestuale e dimostrato dalla sua politica nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina. I lettori possono saperne di più esaminando le opere citate in questo pezzo. Il punto è che la sua politica nei confronti di questo conflitto non è quella che si aspettava la base del PT, che sperava che avrebbe invertito la posizione del suo predecessore Bolsonaro di votare contro la Russia alle Nazioni Unite, astenendosi invece.

 

Alla fine è successo l’esatto contrario: Lula ha ribaltato la posizione relativamente più neutrale del suo predecessore nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia, condannando senza precedenti la Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden, cosa che Bolsonaro non ha fatto dopo il suo incontro con il leader statunitense la scorsa estate. Ogni pretesa di neutralità che il Brasile avrebbe potuto tentare di invocare nei confronti di questo conflitto è stata screditata dal momento che Lula ha deciso di andare contro la tendenza dei BRICS diventando il primo leader a condannare ufficialmente la Russia.

 

La teoria del complotto sulla presunta posizione “segreta” di Lula

 

Il suo approccio indiscutibilmente allineato agli Stati Uniti nei confronti del conflitto geostrategicamente più trasformativo dalla Seconda Guerra Mondiale ha turbato molti tra la base del PT, soprattutto perché ha sollevato preoccupazioni su tutto ciò che questa posizione potrebbe comportare. Ad esempio, suggerisce che nell’imminente triforcazione delle relazioni internazionali tra il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale guidato informalmente dall’India, il Brasile si allineerà molto più vicino al blocco statunitense che agli altri due.

 

Al fine di evitare preventivamente il dissenso interno tra i suoi ranghi, sia che si esprima attraverso il cyberspazio sotto forma di critiche sui social media, sia che si esprima nelle strade sotto forma di proteste, le forze dichiaratamente pro-Lula hanno elaborato una teoria del complotto sulla sua posizione. Nonostante i fatti oggettivamente esistenti e facilmente verificabili, insistono sul fatto che Lula sostiene “segretamente” l’operazione speciale della Russia e che tutte le mosse pubbliche che lo riguardano sono solo un suo gioco di “scacchi 5D”.

 

Questa teoria del complotto è fondamentalmente un’imitazione brasiliana di quella messa in giro dal famigerato QAnon, secondo il quale ogni mossa fatta pubblicamente da Trump nella direzione opposta alle aspettative della sua base era solo un suo presunto gioco di “scacchi a 5D” per “psicologizzare” i suoi avversari, ma che “solo loro” e non i loro rivali “conoscono la verità”. Entrambi sono avulsi dalla realtà, sono stati inventati solo per evitare preventivamente il dissenso interno tra le file dei loro sostenitori e funzionano essenzialmente come “religioni secolari”.

 

Quest’ultima caratterizzazione è più azzeccata di quanto gli osservatori possano inizialmente pensare. Proprio come la base del Movimento MAGA era così disperata da credere che il suo “eroe” Trump fosse il suo “salvatore” che avrebbe invertito tutte le politiche odiate del suo predecessore Obama, così anche la base del PT è così disperata da credere che il suo “eroe” Lula sia il suo “salvatore” che invertirà tutte le politiche odiate del suo predecessore Bolsonaro.

 

In realtà, Trump ha finito per diventare il presidente più duro nei confronti della Russia sin dalla vecchia guerra fredda, prima della nuova guerra fredda in corso, che ha raggiunto la sua ultima fase sotto Biden dopo l’inizio dell’operazione speciale di Mosca. Quanto a Lula, ha abbandonato la posizione relativamente più neutrale di Bolsonaro nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia, condannando senza precedenti la Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden e diventando così il primo leader dei BRICS a farlo. Entrambi hanno finito per deludere le loro basi sulla Russia.

 

Il complotto per prevenire disperatamente il dissenso interno al PT

 

Per essere assolutamente chiari, non è realistico immaginare che la base del Movimento MAGA avrebbe protestato contro la politica ostile di Trump nei confronti della Russia se non fosse stata ingannata dalla teoria cospirativa degli “scacchi 5D” di QAnon, né avrebbe fatto alcuna differenza se lo avesse fatto. La base del PT è molto più consapevole e attiva dal punto di vista politico, quindi c’è la possibilità che alcuni protestino contro la politica ostile di Lula nei confronti della Russia, e questo potrebbe fare la differenza.

 

Anche se il loro dissenso interno rimane nell’ambito del cyberspazio, potrebbe comunque avere un impatto notevole sul ridisegno della percezione di Lula e della politica estera di questo terzo mandato, che potrebbe quindi cambiare le dinamiche interne al partito nel lungo periodo. Coloro che hanno architettato la teoria del complotto sulla sua posizione nei confronti della Russia, l’hanno armata contro la base del PT e impiegano aggressivamente attacchi tossici ad hominem contro chiunque li verifichi, vogliono disperatamente evitare questi due scenari.

 

Stanno letteralmente conducendo una guerra ibrida non solo contro lo stesso partito che dicono di sostenere, ma contro tutti i brasiliani attraverso i mezzi non convenzionali con cui mirano a manipolare i processi socio-politici del Paese attraverso la campagna di disinformazione appena descritta. Sebbene non si possa escludere che elementi di alto livello del PT abbiano incoraggiato o orchestrato questi ultimi sviluppi, questo non si può sapere con certezza e rimane quindi una pura speculazione.

 

Prove inconfutabili dell’esistenza della seconda guerra ibrida contro il Brasile

 

Tuttavia, l’esistenza di questa seconda guerra ibrida contro il Brasile non può essere negata da nessun osservatore onesto, poiché è indiscutibile che questa teoria cospirativa armata stia circolando in modo virale in tutto l’ecosistema informativo del Paese. Ecco tre esempi di oggi, che sono stati riciclati da “utili idioti” che hanno creduto a questa disinformazione sull’approccio di Lula alla guerra per procura tra NATO e Russia, oppure deliberatamente spinti da persone che intendevano consapevolmente fuorviare il loro pubblico.

 

Anche una setta nota come “Partito della Causa dei Lavoratori” (“PCO”, secondo l’abbreviazione portoghese) ha assunto questa teoria del complotto come causa principale, nel tentativo di reclutare nuovi membri e di accattivarsi il favore delle élite del PT, senza che nessuno dei due obiettivi sia garantito. Il punto è che la guerra ibrida descritta nel presente articolo, alimentata dal disperato desiderio politico di scongiurare preventivamente il dissenso interno alla base del PT, è attivamente condotta contro i brasiliani in questo momento.

 

Per ricordare al lettore che questo processo può essere tranquillamente descritto come una guerra ibrida, poiché si tratta di mezzi non convenzionali per manipolare i processi socio-politici dello Stato preso di mira al fine di portare avanti l’agenda degli operatori, che è stata appena riassunta sopra. A differenza della prima guerra ibrida contro il Brasile, non è orchestrata da alcun soggetto esterno, non mira a provocare proteste e non ha l’intenzione di promuovere un cambio di regime contro il PT.

 

“Sostenitori del “nuovo Lula” e sostenitori del “vecchio Lula

 

Piuttosto, questa seconda guerra ibrida contro il Brasile viene condotta sulla base di una prerogativa indipendente delle forze apparentemente pro-Lula (presumendo che non siano coinvolte figure di alto livello del PT) per scongiurare preventivamente il dissenso interno alla base del PT (compreso quello che potrebbe assumere la forma di proteste) a fini di rafforzamento del regime. Il motivo per cui questi agenti sono descritti come solo apparentemente a favore di Lula è che chi lo sostiene sinceramente non sentirebbe il bisogno di mentire sulle sue posizioni.

 

Un vero credente aspirerebbe sempre ad articolare accuratamente le sue politiche, anche quelle con cui potrebbe non essere d’accordo, invece di manipolare le percezioni degli altri su di esse, per non parlare di quelle della base del PT. Opinioni contrarie espresse in modo responsabile, attraverso critiche costruttive come quelle contenute nel presente articolo, potrebbero portare a cambiamenti significativi per il meglio o, almeno, a modellare in qualche modo i parametri per dibattiti a lungo attesi su questioni delicate come l’approccio “politicamente scomodo” di Lula alla guerra per procura tra NATO e Russia.

 

Ciò che invece sta accadendo è che gli opportunisti politici (sempre supponendo che non siano coinvolte figure d’élite del partito al potere) stanno impedendo che ciò accada per paura che i processi socio-politici risultanti all’interno del PT possano alla fine portare a ricalibrare la politica estera di Lula. Essi sostengono davvero il “Nuovo Lula”, incarnato dal suo approccio relativamente più allineato agli Stati Uniti durante il suo terzo mandato, in contrapposizione al “Vecchio Lula” che la maggior parte della base del PT apparentemente pensa ancora che sia.

 

Riconcettualizzare la seconda guerra ibrida contro il Brasile

 

Questa intuizione (a prescindere dalle speculazioni sul coinvolgimento di figure di alto livello del PT in quest’ultima guerra ibrida) consente agli osservatori di riconcepire il tutto come una lotta di potere interna al PT volta a manipolare la base del partito affinché ignori le prove inconfutabili che la sua visione del mondo è cambiata. Ciò di cui questi operatori non si rendono conto è che anche la consapevolezza di questa spiacevole realtà da parte della sua base non li porterebbe ad abbandonare il sostegno a Lula, poiché il loro feroce odio per Bolsonaro lo rende impossibile.

 

In questo senso, si può quindi affermare che le forze che stanno dietro a questa ultima guerra ibrida al Brasile sono pro-Lula nel senso che sostengono il “Nuovo Lula”, mentre la base del PT è anch’essa pro-Lula, ma soprattutto perché sostiene il “Vecchio Lula”. La seconda maggioranza dei suoi sostenitori non lo abbandonerebbe di certo per Bolsonaro o per chiunque altro anche se venisse a sapere che la sua visione del mondo è cambiata, ma potrebbe comunque cercare di fargli pressione per ricalibrare la sua politica estera più vicina alle loro aspettative.

 

Osservazioni oggettive

 

Da un punto di vista esterno, i sostenitori del “Nuovo Lula” che si armano di teorie cospirative sul suo approccio alla guerra per procura tra NATO e Russia sembrano avere la coscienza sporca, poiché si aspettano che la base del PT rifiuti questa politica, e quindi mentono per nasconderla. Quello che avrebbero dovuto fare è articolare la sua nuova visione del mondo e soprattutto la sua posizione nei confronti di questa delicata questione, avviando così un dibattito relativamente controllato all’interno del PT su tutto questo.

 

Conducendo una guerra ibrida guidata dalla disinformazione sui loro compagni di partito in particolare e sul resto dei loro compatrioti in generale, questi sostenitori del “Nuovo Lula” stanno facendo un gioco di potere per il controllo del PT, che a sua volta può essere descritto come un gioco di potere per il controllo della politica estera del Brasile. Sanno di essere in minoranza e che la maggioranza della base del PT rifiuterebbe la direzione allineata agli Stati Uniti in cui Lula sta portando il Paese, ergo perché stanno ricorrendo alla guerra ibrida per mantenere il loro potere.

 

Questa osservazione dà credito a quella che al momento è una pura speculazione sulla complicità di alti membri del partito nell’ultima guerra ibrida contro il Brasile, che appare probabile se si concettualizzano le dinamiche socio-politiche analizzate – soprattutto quelle interne al PT – in questo modo. Le loro teorie cospirative vengono utilizzate non per rafforzare il regime in sé, poiché la base del PT non abbandonerà mai Lula, ma specificamente per rafforzare il controllo di questa minoranza ideologica sul partito.

 

Riflessioni conclusive

 

Alla luce di ciò, la seconda guerra ibrida in Brasile è in realtà il risultato di una lotta di potere non dichiarata all’interno del PT, iniziata dai sostenitori del “Nuovo Lula” contro la base dei sostenitori del partito che lo ritengono ancora il “Vecchio Lula”, il cui esito determinerà la traiettoria del Brasile nella Nuova Guerra Fredda. Continuerà a muoversi in una direzione allineata con gli Stati Uniti in mezzo all’imminente triforcazione delle relazioni internazionali o si ricalibrerà più vicino all’Intesa sino-russa e/o al Sud globale.

https://korybko.substack.com/p/the-latest-hybrid-war-on-brazil-is?utm_source=substack&utm_medium=email

La restaurazione della politica estera brasiliana

Come Lula può recuperare il tempo perduto

Di Hussein Kalout e Feliciano Guimarães

15 marzo 2023

Il Presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva a Brasilia, marzo 2023

Il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva a Brasilia, marzo 2023

Adriano Machado / Reuters

Salva questo articolo per leggerlo più tardi

Stampa questo articolo

Invia per e-mail

Condividi su Twitter

Condividi su Facebook

Condividi su LinkedIn

Ottieni un link

Url della pagina

https://www.foreignaffairs.com/south-america/restoration-brazilian-foreign-policy

Richiedi i permessi di stampa

Scarica l’articolo

Il trionfo di Luiz Inácio Lula da Silva, noto come Lula, alle elezioni presidenziali brasiliane del 2022 ha segnato niente meno che il salvataggio della democrazia del Paese. La presidenza del suo predecessore, Jair Bolsonaro, aveva indebolito i pilastri fondamentali del sistema brasiliano: lo Stato di diritto e la coesione delle istituzioni statali, il consolidamento democratico raggiunto da quando il Paese è uscito nel 1988 da decenni di dittatura militare. In effetti, la vittoria di Lula ha rappresentato una rinascita della democrazia e un rifiuto dell’autoritarismo atavico.

 

Il 77enne presidente brasiliano ha ora iniziato il suo terzo mandato (due mandati tra il 2003 e il 2010). Deve affrontare sfide importanti su tutti i fronti. Come negli Stati Uniti, il Paese è polarizzato e molti sostenitori di Bolsonaro si rifiutano di accettare il risultato delle elezioni, una convinzione rabbiosa che ha portato a rivolte nella capitale Brasilia a gennaio. Il Brasile è cambiato dall’ultima volta che Lula è stato al potere e così anche il mondo. La politica estera di Lula deve tenere conto di un ordine internazionale che è più frammentato, competitivo e fragile di quanto non fosse due decenni fa.

 

Bolsonaro ha lasciato la politica estera del Brasile alla deriva. Quando ha lasciato il suo incarico, Brasilia non aveva ancora stabilito come posizionarsi nel contesto della crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti. Aveva voltato le spalle a un’azione concertata nel suo cortile sudamericano. E grazie al negazionismo climatico di Bolsonaro e dei suoi luogotenenti, la sua politica ambientale era a pezzi.

 

Rimanete informati.

Analisi approfondite con cadenza settimanale.

Il governo di Lula deve ora raccogliere i cocci. I politici brasiliani hanno a lungo insistito sulla virtù di un ordine mondiale multipolare, ma questa insistenza sarà messa alla prova dall’ineluttabile competizione tra Cina e Stati Uniti, le due maggiori potenze mondiali. Lula deve tracciare una rotta tra questi due Paesi, che sono entrambi partner essenziali per il Brasile. Sulla scena globale, il Brasile può tornare a svolgere un ruolo chiave nello sforzo di contenere il cambiamento climatico, un progetto ampiamente abbandonato da Bolsonaro. E nel suo vicinato, il Brasile dovrebbe usare le sue dimensioni e il suo peso economico per contribuire a sostenere la stabilità e la prosperità della regione. Se Lula riuscirà a trovare un equilibrio tra idealismo e pragmatismo, potrà mettere il Brasile sulla strada per recuperare il prestigio e la rilevanza persi sotto il suo predecessore.

 

A PIEDI LA LINEA

Quando Lula è diventato presidente, nel 2003, Washington e Pechino non erano ancora rivali quasi alla pari. Gli Stati Uniti si comportavano ancora come l’unica superpotenza mondiale. Sebbene in rapida crescita, la Cina non chiedeva di essere riconosciuta alla stregua degli Stati Uniti. Né i responsabili politici brasiliani dovevano preoccuparsi di come le loro decisioni avrebbero potuto giocare contemporaneamente in Cina e negli Stati Uniti. Oggi, la competizione tra le grandi potenze ha invariabilmente influenzato gli interessi del Brasile in varie arene internazionali, anche in America Latina, dove i due Paesi si contendono l’influenza. La competizione tra Stati Uniti e Cina rappresenta una sfida enorme per il governo Lula nel breve periodo e per la politica estera brasiliana nel lungo periodo.

 

La politica estera della nuova amministrazione Lula dovrebbe basarsi soprattutto sul bilanciamento tra le potenze. Non può sperare di sostituire l’una con l’altra: entrambe sono indispensabili. Gli Stati Uniti sono il principale investitore del Brasile e la Cina il suo principale partner commerciale. Entrambi i Paesi sono ugualmente importanti per lo sviluppo tecnologico del Brasile. Ad esempio, per quanto riguarda i semiconduttori, sia la Cina che gli Stati Uniti vogliono aumentare i loro investimenti per espandere gli elementi della catena di fornitura dei chip in Brasile. L’amministrazione Lula non può permettersi di perdere nessuno di questi investimenti nel tentativo di reindustrializzare il Paese.

 

Il Brasile può recuperare il prestigio e la rilevanza che ha perso sotto Bolsonaro.

Certo, il Brasile è stato deluso dal comportamento degli Stati Uniti negli ultimi 20 anni. Da tempo i politici brasiliani ritengono che Washington abbia trascurato il loro Paese e, più in generale, l’America Latina, che riceve l’attenzione degli Stati Uniti solo quando una grande potenza straniera – oggi la Cina – cerca di estendere la propria influenza. Il Brasile e gli Stati Uniti si trovano ora ad affrontare due sfide importanti nelle loro relazioni bilaterali. In primo luogo, Brasilia e Washington devono identificare e poi definire le aree importanti in cui entrambi possono cooperare. In un incontro di febbraio a Washington, Lula e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden hanno convenuto che entrambi i Paesi sono impegnati ad affrontare il cambiamento climatico e a difendere la democrazia. In secondo luogo, entrambe le parti devono avere una chiara percezione dei punti di disaccordo e di quelli che potrebbero sorgere in futuro. I diplomatici statunitensi, ad esempio, non sono riusciti a convincere il Brasile a sostenere apertamente l’Ucraina nella sua guerra con la Russia, un conflitto di cui il Brasile non vuole far parte. Brasilia e Washington possono istituire un gruppo di lavoro permanente per mitigare questi punti di attrito e, a poco a poco, smussare le potenziali tensioni. Ovviamente, i diplomatici non saranno in grado di risolvere ogni questione. Non ci si può aspettare che Paesi delle dimensioni del Brasile e degli Stati Uniti siano d’accordo su ogni aspetto dell’ordine internazionale e regionale.

 

Il Brasile deve evitare alleanze rigide e abbracciare partenariati più flessibili, in linea con l’idea che l’ordine internazionale sta diventando sempre più multipolare. In alcuni casi, il Brasile guadagnerà di più lavorando con i Paesi del Nord globale. Entro la metà di quest’anno, Lula cercherà di finalizzare l’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay). L’amministrazione di Lula potrebbe anche prendere in considerazione l’adesione all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, un piano avviato dai suoi predecessori ma deriso da settori della sinistra brasiliana. In altri casi, tuttavia, il Brasile cercherà partnership più adatte nel Sud globale. La Cina ha segnalato, ad esempio, il suo interesse a firmare un accordo commerciale con il Mercosur.

 

La guerra in Ucraina ha messo il Brasile in una posizione difficile. Non può non condannare l’invasione russa, né opporsi completamente alla Russia, suo partner in iniziative come il gruppo BRICS (che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Lula ha ventilato l’idea che un gruppo di Paesi non allineati, tra cui il Brasile, potrebbe contribuire a portare le due parti in conflitto al tavolo delle trattative e a porre fine alla guerra. Una cosa è avere una posizione sulla guerra a livello multilaterale e un’altra è cercare di mediare un conflitto molto intricato, in cui il Brasile ha una capacità limitata di influenzare gli eventi sul campo. Le innegabili qualità di negoziatore di Lula potrebbero scontrarsi con i duri limiti dell’incompatibilità degli interessi russi e ucraini.

 

Nei forum multilaterali, come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Brasile aspira ad assumere nuove responsabilità in materia di sicurezza globale. Sotto la guida di Lula, non dovrebbe deviare dai principi fondamentali della sua politica estera, tra cui l’impegno per la risoluzione pacifica delle controversie, il diritto internazionale, il multilateralismo e i diritti umani. A livello più ampio, i funzionari brasiliani hanno chiesto che le organizzazioni internazionali, in particolare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, affrontino meglio le minacce alla pace, così come le pandemie, le crisi dei rifugiati, le guerre commerciali, la sicurezza informatica, l’insicurezza alimentare e, soprattutto, i cambiamenti climatici.

 

POTERE CLIMATICO

Sotto Bolsonaro, il Brasile ha abbandonato la sua posizione di attore principale nell’affrontare la crisi climatica. Lula spera di raddrizzare la situazione e di riconquistare il rilievo che il Brasile aveva e il ruolo di leadership nella lotta al cambiamento climatico prima della presidenza di Bolsonaro.

 

Le foreste amazzoniche brasiliane, secondo il luogo comune, sono “i polmoni della Terra”, assorbono enormi quantità di anidride carbonica ed espirano ossigeno. Eppure queste foreste sono sotto pressione, minacciate da allevatori, agricoltori e minatori. La lotta alla deforestazione in Brasile è di interesse mondiale. Il governo di Lula, a differenza di quello di Bolsonaro, probabilmente applicherà le severe leggi esistenti volte a proteggere l’Amazzonia. Ma al di là dell’applicazione delle protezioni legali, la società brasiliana deve comprendere meglio il valore e lo scopo della conservazione della foresta. Per raggiungere questo obiettivo sociale più ampio, lo Stato deve incoraggiare gli sforzi per sviluppare bioindustrie in Amazzonia che sfruttino le sue risorse senza portare alla deforestazione – come la coltivazione delle bacche di acai – e dare potere alle comunità locali e ai gruppi indigeni. In questo modo, la nuova amministrazione Lula ritiene di poter affrontare la crisi climatica nel modo più efficiente possibile.

 

Purtroppo, i necessari investimenti pubblici e privati in scienza, tecnologia e innovazione per realizzare questa iniziativa sono ancora molto al di sotto di quanto necessario. Il Brasile e i suoi vicini amazzonici devono approfittare degli impegni assunti da tutti i firmatari dell’Accordo di Parigi per cercare finanziamenti sufficienti e tecnologie verdi. A tal fine, il governo Lula spera di dare nuovo impulso all’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica, un forum multilaterale con sede a Brasilia che promuove lo sviluppo sostenibile nel bacino amazzonico, ma che non è mai stato pienamente utilizzato dalla sua creazione nel 1995. Il Brasile potrebbe portare la sua politica climatica a un nuovo livello creando un’iniziativa multilaterale che potrebbe chiamarsi Forum mondiale dell’Amazzonia, una sede per riunire tutti i Paesi e gli attori politici interessati a garantire l’Amazzonia per le generazioni future.

 

ESSERE UN BUON VICINO

In questo contesto, il Brasile deve raddoppiare gli sforzi nel proprio cortile, in Sud America, il suo spazio d’azione naturale. Un Brasile disinteressato al Sudamerica, come è stato durante l’amministrazione di Bolsonaro, non fa che approfondire i possibili problemi. Impegnarsi nel dialogo con democrazie fragili e imperfette, e persino con Stati autocratici come il Venezuela, è meglio che ostracizzarli. Isolare questi attori porta solo alla rinascita dell’autoritarismo e genera instabilità politica e sociale.

 

Tuttavia, il Brasile deve stabilire come vuole esercitare la sua leadership e promuovere lo sviluppo nella regione. Bolsonaro ha trattato il Sudamerica come un ostacolo al futuro del suo Paese. Lula deve cercare un nuovo approccio al Sud America, riconoscendo che il suo Paese può guidare l’integrazione della regione. Il Brasile può offrire ai Paesi del Sudamerica vantaggi che nessun altro Stato sudamericano può offrire: un grande mercato di consumo, la capacità finanziaria della sua banca nazionale di sviluppo, la cooperazione su questioni di sicurezza più ampie e il peso diplomatico.

 

Per poter proiettare il proprio potere e conservare la propria influenza, il Brasile dovrà fare delle concessioni. La leadership regionale ha un costo. Queste concessioni, per la maggior parte, sono di natura economica e potrebbero danneggiare gli interessi di alcuni settori economici brasiliani. L’apertura del mercato interno a particolari esportazioni dai vicini, come le banane dall’Ecuador o i prodotti tessili dal Perù, potrebbe segnalare la volontà del Paese di pagare il prezzo della leadership. Se il Brasile non offre ai suoi vicini ulteriori incentivi per integrare le loro economie con il mercato brasiliano, il governo Lula corre il rischio di vedere potenze esterne alla regione prendere il controllo delle catene di approvvigionamento e interrompere ulteriormente l’integrazione sudamericana.

 

IL BRASILE È TORNATO

Naturalmente, quando tutto è una priorità, niente è una priorità. Il nuovo governo Lula deve stabilire come incanalare le proprie energie e risorse verso le iniziative giuste. La politica estera è una politica pubblica e, in quanto tale, deve rappresentare le richieste dei brasiliani e soddisfare le loro esigenze più pressanti. La priorità numero uno del Brasile è quella di ridurre la vergognosa disuguaglianza; come misurato dal coefficiente Gini, il Paese è uno dei più disuguali al mondo. La politica estera del Brasile dovrebbe guidare tutte le sue iniziative verso questo obiettivo essenziale, concentrandosi sui temi della sicurezza alimentare, del cambiamento climatico, dell’agricoltura sostenibile, dell’integrazione regionale, dello sviluppo tecnologico e dell’accesso al mercato. Qualsiasi azione che si discosti da questo obiettivo fondamentale non dovrebbe essere considerata una priorità.

 

Dopo il tumulto degli anni di Bolsonaro, il Brasile può riaffermarsi come una forza preziosa sulla scena internazionale. Il mondo è cambiato dal primo mandato presidenziale di Lula e la politica estera del Brasile deve adattarsi alle sfide attuali e future. Lula ha ora la grande opportunità di costruire una nuova dottrina, coesa, credibile e innovativa. Il Brasile è tornato e può svolgere un ruolo positivo, persino indispensabile, nella regione e nel mondo.

https://www.foreignaffairs.com/south-america/restoration-brazilian-foreign-policy

In Focus: i commenti dell’Ucraina di Lula

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva gesticola durante un evento al Palazzo Planalto di Brasilia il 20 aprile.

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva gesticola durante un evento al Palazzo Planalto di Brasilia il 20 aprile. EVARISTO SA/AFP TRAMITE GETTY IMAGES

Mentre Lula ha cercato di posizionarsi come un arbitro neutrale e degno di fiducia per aiutare a mediare la fine della guerra della Russia in Ucraina, una serie di suoi commenti nei giorni scorsi ha suscitato aspre critiche da parte di funzionari statunitensi ed europei, che hanno accusato il presidente brasiliano di schierarsi dalla parte di Mosca .

Sabato a Pechino, Lula ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero smetterla di “incoraggiare la guerra”; domenica, durante una sosta negli Emirati Arabi Uniti, ha affermato che la decisione di fare una guerra “è stata presa da due paesi”. Lunedì, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov è arrivato in Brasile per un viaggio precedentemente programmato e ha affermato che Russia e Brasile hanno una “visione simile” della guerra.

I commenti di Lula sono stati “semplicemente fuorvianti”, ha detto lunedì il portavoce della sicurezza nazionale degli Stati Uniti John Kirby. Martedì, la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha affermato che una conferenza stampa tenuta il giorno precedente dal ministero degli Esteri brasiliano sulla guerra non presentava “un tono di neutralità”.

In Europa, i funzionari hanno criticato pubblicamente i commenti e, secondo quanto riferito , un briefing interno dell’UE ha espresso preoccupazione per la posizione del Brasile sull’Ucraina. Martedì il ministero degli Esteri ucraino ha affermato che “l’approccio che mette sullo stesso piano vittima e aggressore” non è “in linea con la reale situazione” e ha invitato Lula a visitare il Paese.

Martedì Lula aveva rilasciato una nuova dichiarazione in cui condannava “la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina” e mercoledì il suo consigliere per gli affari esteri Celso Amorim ha discusso della guerra con il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan, dove c’è stata una “franca discussione in un tentativo di chiarire i malintesi”, ha riferito Bloomberg .

Sullivan e Jean-Pierre hanno affermato che il rapporto Brasile-USA è rimasto forte, ma i commentatori hanno concordato in modo schiacciante che il Brasile ha bruciato parte della benevolenza occidentale di cui godeva inizialmente dopo l’insediamento di Lula a gennaio. Il Brasile dovrebbe assumere “impegni reali nei confronti delle democrazie liberali che hanno contribuito a sconfiggere il golpe di Bolsonaro”, ha twittato il giornalista brasiliano João Paulo Charleaux . “È necessario prendere posizione nelle relazioni internazionali”.

Catherine Osborn è la scrittrice del settimanale Latin America Brief di Foreign Policy . È una giornalista di stampa e radio con sede a Rio de Janeiro. Twitter:  @cculbertosborn

Il Brasile corteggia la Cina per rafforzare i legami tecnologici

Lula crede che Pechino possa aiutare, non ostacolare, le ambizioni industriali di Brasilia.

Osborn-Catherine-editorialista-di-politica-estero15Caterina Osborn

Di Catherine Osborn , autrice del settimanale Latin America Brief di Foreign Policy .

Fai clic su + per ricevere avvisi e-mail per le nuove storie scritte da Caterina Osborn Caterina Osborn

Il ministro delle finanze brasiliano Fernando Haddad parla durante una conferenza stampa presso l’ambasciata brasiliana a Pechino il 14 aprile.

Il ministro delle finanze brasiliano Fernando Haddad parla durante una conferenza stampa presso l’ambasciata brasiliana a Pechino il 14 aprile. TINGSHU WANG-POOL/GETTY IMAGES

21 APRILE 2023, 8:00

Bentornati al  Latin America Brief di Foreign Policy .

I punti salienti di questa settimana: esaminiamo gli alti e bassi del recente viaggio in Cina del presidente brasiliano Lula, compresi i suoi commenti su tutto, dal commercio alla guerra in Ucraina, e incontriamo una rivoluzionaria pop star cilena palestinese .

Iscriviti per ricevere Latin America Brief nella tua casella di posta ogni venerdì.

ISCRIZIONE

Il legame Pechino-Brasilia

La megadelegazione brasiliana che si è recata in Cina la scorsa settimana comprendeva una sfilza di uomini d’affari, sette ministri, cinque governatori statali, 27 legislatori e, naturalmente, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Mentre i commenti di Lula sulla guerra in Ucraina hanno forse ricevuto la maggior copertura sulla stampa occidentale (ne parleremo più avanti in “In Focus”), il viaggio ha anche ripristinato le relazioni del suo governo con il suo più grande partner commerciale. A Pechino, Brasile e Cina hanno firmato una serie di memorandum e accordi che secondo i funzionari valgono circa 10 miliardi di dollari.

Lula ha molta esperienza nel trattare con la Cina e si è avvicinato al paese durante le sue due precedenti amministrazioni presidenziali, dal 2003 al 2010. In quel periodo, i due paesi hanno firmato un accordo per essere partner strategici, hanno visto un aumento del commercio e degli investimenti bilaterali e co -ha fondato il gruppo BRICS insieme a Russia, India e Sud Africa.

A quel tempo, Lula ei suoi consiglieri celebravano i crescenti legami tra Brasile e Cina. Ma alcuni nelle comunità di politica estera ed economica del Brasile hanno anche iniziato a chiedersi se il Brasile fosse abbastanza attento nel suo commercio bilaterale con la Cina. La stampa fine dei vari accordi firmati la scorsa settimana suggerisce che le loro preoccupazioni hanno plasmato l’approccio del nuovo governo Lula a Pechino.

Durante il primo periodo in carica di Lula, la Cina aveva un appetito travolgente per le materie prime brasiliane come la soia, il minerale di ferro e il petrolio. Ma alcuni produttori di manufatti brasiliani hanno segnalato difficoltà a vendere sul mercato cinese. Nel frattempo, la quota manifatturiera del PIL brasiliano si stava riducendo rapidamente. Quando il ministero degli Esteri brasiliano ha pubblicato una raccolta di saggi sulle relazioni Brasile-Cina nel 2011, molti hanno discusso se le relazioni economiche con la Cina stessero contribuendo alla deindustrializzazione del Brasile.

Gli studiosi hanno avvertito che la deindustrializzazione prematura è rischiosa per i paesi in via di sviluppo. Molti paesi che sono passati da poveri a ricchi hanno prima costruito i loro settori manifatturieri e hanno iniziato a lasciarli indietro solo quando le persone sono migrate verso lavori altamente qualificati e ad alto salario in altri settori. (Il Brasile si è mosso lungo la prima parte di questo percorso dagli anni ’50 agli anni ’80, quando sono cresciuti settori come la lavorazione dei metalli, la produzione di automobili, la produzione tessile e la produzione di macchinari pesanti.)

Ma in alcune parti del mondo in via di sviluppo che vedono una deindustrializzazione prematura, come il Brasile, le persone spesso lasciano i settori industriali per lavori a bassa retribuzione e bassa produttività piuttosto che lavori con salari più alti. Ad esempio, un ex operaio potrebbe ora lavorare come cassiere, autista Uber o venditore ambulante. Un enorme 39% dei lavoratori brasiliani oggi lavora nel settore informale.

Un documento del 2022 dell’economista ed esperta di Cina Tatiana Rosito e Vinicius Mariano de Carvalho del Kings College di Londra, entrambi brasiliani, sostiene che mentre il Brasile e la Cina hanno mantenuto “un’agenda complementare di successo”, i dati commerciali degli ultimi due decenni mostrano che il Brasile “non è stato in grado di diversificare in modo significativo le sue esportazioni” verso la Cina.

Rosito ha ora un’opportunità privilegiata per cambiare rotta: lei e altri che hanno chiamato a perfezionare la strategia del Brasile nei confronti di Pechino sono stati nominati a posizioni di rilievo nella nuova amministrazione Lula.

Tra i volti nuovi di Brasilia c’è Tatiana Prazeres, segretaria per il commercio estero del Ministero dello Sviluppo, Industria, Commercio e Servizi del Brasile. Prazeres ha detto a Foreign Policy che la nuova amministrazione sta cercando competenze e investimenti cinesi in Brasile che possano promuovere “una neo-industrializzazione del Paese” incentrata sulle tecnologie verdi e altri settori ad alta tecnologia. Ha definito queste le “industrie del futuro”.

Il Brasile è stato il maggior destinatario di investimenti diretti esteri cinesi nel 2021, secondo un rapporto del China-Brazil Business Council . Tra il 2007 e il 2021, il gruppo ha calcolato che gli investimenti cinesi in Brasile sono andati principalmente nei settori dell’elettricità e del petrolio, e i due paesi stanno pianificando un fondo di investimento congiunto per l’energia verde.

Uno dei memorandum firmati la scorsa settimana si impegna a facilitare progetti che includono trasferimenti di tecnologia; separatamente, sono stati annunciati accordi che includono un impianto di idrogeno verde, progetti eolici offshore e l’ultima fase di un programma satellitare prodotto congiuntamente, nonché un impegno per facilitare le start-up brasiliane a commercializzare i loro prodotti in Cina e un piano per creare un binazionale azienda di logistica agricola.

Molte delle idee annunciate “sono ancora intenzioni” piuttosto che piani concreti, come ha detto a Foreign Policy l’economista Paulo Morceiro dell’Università di Johannesburg , “ma è generalmente positivo”. Ha detto che il Brasile dovrebbe trarre vantaggio dal fatto che ha molti dei minerali critici necessari per la transizione energetica, “e la Cina ha la tecnologia”.

Tuttavia, i frequenti discorsi dell’amministrazione Lula sulle nuove politiche industriali – in collaborazione o meno con la Cina – innervosiscono alcuni economisti. Tali politiche sono molto difficili da calibrare con successo, ha dichiarato a Foreign Policy l’economista Emanuel Ornelas della Fondazione Getúlio Vargas Ha detto che l’attuale discorso sulla politica industriale gli dà “un po’ di pelle d’oca” e ha aggiunto che la storia del Brasile è disseminata di politiche industriali fallite che hanno portato a industrie che sono state “protette per decenni e sono sopravvissute senza diventare competitive a livello internazionale”.

Indipendentemente da come Lula progetta le sue ultime politiche industriali, il governo non ha i soldi per lanciare i pacchetti di stimolo verde multimiliardari che vanno di moda negli Stati Uniti e in Europa. Quello che ha sono le materie prime, un mercato interno di 215 milioni di persone e, se si fa attenzione, la capacità di contrattare a livello internazionale.

https://foreignpolicy.com/2023/04/21/brazil-china-lula-xi-trade-lavrov-russia-ukraine/

 

I cinque dettagli più importanti che molti osservatori hanno tralasciato della visita di Lavrov in Brasile, di ANDREW KORYBKO

Il viaggio di Lavrov ha evidenziato il ruolo significativo che la Russia attribuisce al Brasile quando si tratta della dimensione latinoamericana della grande strategia di Mosca. La retorica di entrambe le parti è stata positiva, ma resta da vedere se alla fine ne uscirà qualcosa di concreto, che sarà determinato in gran parte dalla partecipazione o meno di Lula al Forum economico internazionale di San Pietroburgo di quest’anno, tra meno di due mesi, come è stato appena invitato a fare.

L’ultima visita del ministro degli Esteri russo Lavrov in Brasile è andata esattamente come ci si aspettava, con la promessa di un’espansione globale della cooperazione tra i due Paesi BRICS, ma ci sono stati anche cinque dettagli molto importanti che sono sfuggiti alla maggior parte degli osservatori. Il primo è che il comunicato stampa ufficiale brasiliano ha informato tutti che l’anno scorso il commercio bilaterale ha raggiunto il record storico di 9,8 miliardi di dollari, che si è verificato interamente sotto il mandato del predecessore di Lula, Bolsonaro.

Questo fatto contraddice la narrazione della comunità Alt-Media secondo cui l’ex leader sarebbe stato un burattino degli Stati Uniti, poiché nessun mandatario di questo tipo avrebbe mai portato il commercio con la Russia al livello più alto mai raggiunto, soprattutto nel contesto della guerra per procura tra NATO e Russia in corso in Ucraina nell’ultimo anno. La base su cui entrambe le parti si sono impegnate a rafforzare ulteriormente i loro legami è stata quindi parzialmente costruita da Bolsonaro, che a sua volta ha proseguito la traiettoria che Temer e Rousseff hanno mantenuto dai primi due mandati di Lula.

In secondo luogo, l’espressione di gratitudine di Lavrov “ai nostri amici brasiliani per la corretta comprensione della genesi di questa situazione e per il loro sforzo di contribuire alla ricerca di modi per risolverla”, riportata nella trascrizione ufficiale del Ministero degli Esteri russo della sua dichiarazione congiunta, ha un significato più profondo. Il testo dà credito a un rapporto trapelato di recente secondo il quale il suo Paese approva l’ottica della retorica pacifista di Lula, ma ciò non significa che ne approvi la sostanza.

A questo proposito, il terzo dettaglio è il tempo che il diplomatico russo ha dedicato a spiegare la posizione di Mosca nei confronti del conflitto e il desiderio di vederlo finire “il prima possibile”. Ciò segue la condanna della Russia da parte di Lula nella sua dichiarazione congiunta con Biden, il voto del Brasile a sostegno di una risoluzione antirussa dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e poi la menzogna di Lula, proprio il giorno prima del viaggio di Lavrov, sul presunto disinteresse del Presidente Putin per la pace. Di conseguenza, le sue parole possono essere viste come una risposta educata a questi sviluppi precedenti.

In quarto luogo, la riaffermazione del sostegno di Lavrov al previsto seggio permanente del Brasile al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dimostra la de-ideologizzazione delle relazioni della Russia con l’America Latina, soprattutto dopo la summenzionata ostilità politica di Lula e i suoi piani riferiti di lanciare una rete di influenza globale con i Democratici statunitensi. Anche se la Cina e gli Stati Uniti sono i due partner più importanti del Brasile nella grande strategia di Lula, la Russia può ancora aiutarlo a portare avanti il loro obiettivo comune di accelerare la transizione sistemica globale verso il multipolarismo.

Infine, l’omologo di Lavrov ha confermato di aver trasmesso a Lula l’invito del Presidente Putin a partecipare al Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF) a metà giugno, invito che, secondo quanto riportato dalla TASS, è stato esteso per la prima volta durante il viaggio a Mosca del suo principale consigliere di politica estera il mese scorso. Lula si era già impegnato a non visitare né la Russia né l’Ucraina a causa del conflitto in corso e la Corte penale internazionale ha chiesto al Brasile di arrestare il Presidente Putin se dovesse mai recarsi in quel Paese, quindi non è chiaro se Lula accetterà l’offerta.

Quest’ultimo dettaglio del viaggio di Lavrov in Brasile è di gran lunga il più importante, poiché è un modo intelligente ed educato per valutare la sincerità delle intenzioni dichiarate da Lula di continuare a costruire legami con la Russia nonostante le pressioni degli Stati Uniti. Naturalmente può dire che ci sono i cosiddetti “conflitti di programmazione” o magari dichiarare di essere malato proprio prima della partenza per San Pietroburgo, ma il punto è che questo dimostrerà se Lula è seriamente intenzionato a mettere in pratica tutto ciò che Lavrov e il suo omologo hanno discusso.

Nel complesso, il viaggio di Lavrov ha evidenziato il ruolo significativo che la Russia attribuisce al Brasile quando si tratta della dimensione latinoamericana della grande strategia di Mosca. La retorica di entrambe le parti è stata positiva, ma resta da vedere se alla fine ne uscirà qualcosa di concreto, che sarà determinato in gran parte dalla partecipazione o meno di Lula allo SPIEF di quest’anno tra meno di due mesi. Nel frattempo, si prevede che gli Stati Uniti eserciteranno la massima pressione per indurlo a non partecipare, quindi è difficile prevedere cosa farà.

https://korybko.substack.com/p/the-five-most-important-details-that

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

L’Europa deve resistere alle pressioni per diventare “seguace dell’America”, dice Macron_di Politico, Andrew Korybko ed altri

L’uomo sbagliato nel posto giusto; fuori tempo massimo; una ambizione smisurata rispetto alle forze disponibili; la rimozione di un convitato di pietra, la Russia, indispensabile alla costruzione di un equilibrio europeo fondato su sovranità ed indipendenza. Il giudizio lapidario su di un personaggio politico che sta cercando di assumere un ruolo da protagonista su temi, sull’anatema dei quali ha fondato la propria formazione culturale, la propria carriera dirigenziale, la propria fulminante carriera politica, la propria attività di Ministro e in ultimo, da Presidente, la composizione dei propri governi.

Qui sotto una serie di articoli ed interviste di e su Emmanuel Macron, tra i tanti che hanno accompagnato e seguito la visita del presidente di Francia in Cina, al cospetto di Xi Jinping, e nei Paesi Bassi. Con una sorprendente eccezione: la attenzione riservata dalla stampa francese inversamente proporzionale all’enfasi presidenziale.

Emmanuel Macron è immancabilmente attratto da una prosopopea che lo trascina spesso e volentieri nella millanteria e nella vanagloria tale da trasformare in farsa l’esito delle sue imprese. Il suo ultimo viaggio in Cina ne rappresenta forse l’iperbole.

  • fallendo a suo tempo nella proposta di viaggio in comune con il tedesco Scholz, ha voluto presentarsi come paladino e rappresentante dell’Europa, trascinando con sè nella missione la tapina von der Leyern, per poi accettare senza batter ciglio lo spartito di Xi, il quale ha riservato alla commissaria un ruolo, non nuovo per la verità, da protagonista di quarta classe e una anticamera nella penombra dei ripostigli della diplomazia cinese;
  • ha riconosciuto con colpevole ritardo, nelle attuali dinamiche geopolitiche, la prevalenza del fattore politico-militare rispetto a quello geoeconomico per porre sul piatto della diplomazia euro-franco-cinese il solo fattore economico;
  • è sembrato dare per scontato, nello stesso ambito geoeconomico, un rapporto paritario tra Europa e Cina, quando la realtà si è risolta nel pietìre accordi commerciali che favorissero le esportazioni francesi in Cina, compresi i poco graditi, dai sindacati transalpini,  trasferimenti di attività produttive strategiche glissando sulle limitazioni imposte all’introduzione di quelle cinesi in Europa, non particolarmente gradite a Xi;
  • ha chiesto a Xi di concedere il tempo necessario alle presunte ambizioni di autonomia europea, sapendo dell’interesse della Cina a protrarre il più possibile le dinamiche passate della globalizzazione. Ha glissato, però, su un aspetto sul quale la dirigenza cinese è sempre più cosciente, trasformando una tentazione in un miraggio in grado di ingannare solo se stesso. Se c’è un attore non disposto a concederlo, è l’attuale dirigenza degli Stati Uniti, l’alleata di ultima istanza;
  • ha additato, spesso e volentieri esplicitamente, la dirigenza russa di Putin come perturbatrice dei vecchi equilibri e come fattore scatenante delle pulsioni oltranziste della stessa dirigenza statunitense nei confronti del mondo e degli stessi europei per attrarre la dirigenza cinese verso una posizione di neutralità indifferente alle sorti della Russia, quando Macron stesso è parte in causa diretta e subordinata della faziosità suicida degli europei nel conflitto ucraino, ormai ultradecennale e nelle politiche di caos programmato nel mondo tutt’ora all’opera.

Non si sa quale delle seguenti tre pulsioni stia prevalendo nel dettato dei comportamenti politici del piccolo Zeus dell’Olimpo francese. 

  • l’ambizione cieca e mal riposta, intrisa di retorica logorroica, di un leader ferito, indispettito ed incapace di reagire direttamente ai pesanti colpi bassi dei suoi cugini-alleati anglo-americani, specie nel Pacifico e in Africa, chiedendo in cambio del nulla al suo interlocutore cinese l’abbandono di Putin e l’eventualità impossibile di una collaborazione proficua con la Francia e l’Europa, prive di ogni facoltà di volere;
  • la meschinità di chi, sotto l’aura retorica nobile, o sedicente tale, dell’europeismo cerca di ricavare benefici immediati, quanto fragili per la classe dirigente del proprio paese a scapito dei propri vicini di casa. Benefici illusori che verrebbero dall’erosione del primato dei rapporti economici sino-alemanni, anche essi resi sempre più fragili dal contesto geopolitico, per giungere alla riacquisizione di un ruolo significativo in Africa e nel Pacifico meridionale, dato quasi per perso definitivamente quello in Medio Oriente;
  • il servilismo più abbietto rispetto alla avventurosa “strategia” demo-neocon statunitense di accomunare i suoi due nemici, definiti mortali e contestualmente di separarli nella loro azione politica sempre più concordata ed integrata.

Il passato remoto, quello adolescenziale e quello recente e immediato di Emmanuel Macron fa presagire il peggio. Il nuovo Zeus di Francia è un pollo di allevamento di Soros e dei Rothschild sin dalla adolescenza in quota enarcato; da Ministro ha contribuito a sferrare i colpi conclusivi, con la svendita e le dismissioni, a buona parte dell’industria strategica francese. L’illuminazione sulla via del sovranismo e del recupero delle prerogative statali, anche in economia e nelle attività industriali, sanno di tardivo se non di posticcio. Sta di fatto che, nei suoi anni di presidenza, il peso dell’industria è passato dal 18 al 11% dell’economia francese; ben al di sotto dei già bassi standard europei. La stessa invocazione delle prerogative sovraniste in salsa europeista, sembrano spingere l’impegno prevalente verso l’adozione integralista di criteri di tutela dell’equilibrio climatico e di riconversione ecologica fatti apposta per dirottare risorse ed ambizioni lontano dai fattori decisivi di potenza e di equilibrio e coesione sociale. In questo, probabilmente, è in buona e numerosa compagnia. Tra gli ultimi arrivati, spero di sbagliare, anche se non coltivato sistematicamente, potrebbe inserirsi il redivivo Lula, dal Brasile, nella sua funzione di sirena. La durezza della posizione di Korybko, espressa in un articolo recente, ha certamente spiazzato; se tuttavia la si affianca ad un altro articolo che marca positivamente la posizione sulla dedollarizzazione assunta nel comunicato congiunto Lula-Xi e nel valore preminente dato ad essa da Korybko rispetto a quella sul conflitto ucraino, si può contestualizzare meglio il senso di una posizione così netta, presa a se stante. Non sono nella testa, tanto meno nello stato d’animo dell’autore. Probabile che tanta durezza dipenda dal timore che la Cina sia attratta da una visione bipolare della gestione del mondo, deleteria per la Russia, piuttosto che dal peso delle posizioni di Lula. Dopo aver precisato questo occorre, a mio modesto avviso, tuttavia qualche sottolineatura che potrebbe incrinare l’aura che molto spesso avvolge il progressismo radicale e rivoluzionario latino-americano e impedisce di comprendere le ragioni dei suoi frequenti e ricorrenti fallimenti. Lula è certamente un pragmatico, ma di un pragmatismo diverso da quello di Erdogan e più ambiguo. Di ciò fa parte il comunicato congiunto con Biden e il voto favorevole alla risoluzione ONU, entrambe di condanna esplicita dell’aggressione russa. Lula punta a costruire un club mondiale della pace che parte da queste posizioni, pur edulcorate da qualche dichiarazione critica sull’atteggiamento statunitense. Non a caso sul punto 9 del comunicato Xi-Lula, i due statisti procedono per vie parallele piuttosto che su una posizione unica e condivisa. Il Lula dell’ultima elezione poggia su basi diverse di quelle della precedente, fondata su un “sovranismo” populista ed assistenziale, significativo, ma dai troppi limiti tipici della sinistra di quell’area geografica e tradotti purtroppo anche in Europa, ultimamente, dai movimenti Podemos e 5stelle. Ha tirato fuori tutto il repertorio “woke” tipico del democratismo statunitense coniugandolo con il rivendicazionismo e il terzomondismo storico della propria area. Sono note anche le “trattative” intercorse per la sua riabilitazione dalle condanne, le quali hanno consentito la ricandidatura e la rielezione; per non parlare dei brogli da “Dominion” per altro comune ai due candidati. Penso che Lula, con qualche margine di autonomia, si stia inserendo comunque in quella componente democratica statunitense ormai propensa a prendere atto della dinamica multipolare per proseguire le vecchie politiche egemoniche sotto altre spoglie. Un discorso da approfondire con la cautela e il beneficio di inventario richiesta da una situazione ed una transizione tutta ancora da definire.

La seconda pulsione potrebbe essere alimentata dalla forza e dalla costanza di un movimento di protesta tanto potente ed ostinato, quanto mal diretto o sviato, a seconda dei casi, dalla presenza da una parte di un movimento gaullista incapace di coniugare ambizioni di potenza ed autonomia geopolitica ed esigenze di difesa e integrazione di interessi popolari e dall’altra di un movimento progressista fossilizzato in un rivendicazionismo economicista pasticciato ben disposto di fatto a concedere spazi e credibilità da statista al nostro. Spazi che lo porterebbero a coltivare residue ambizioni nei vecchi domini coloniali ormai perduti, con la supervisione compiaciuta e velenosa della dirigenza statunitense e l’illusione di poter scavare nelle contraddizioni della presenza sino-russa in Africa. Una mera illusione che ignora il dato fondamentale che l’influenza politico-economica cinese è sempre più perfettamente complementare all’influenza politico-militare russa in quella e presumibilmente ormai in altra aree dello scacchiere geopolitico; come pure che la reale intenzione della dirigenza statunitense in terra europea, con l’assottigliarsi della sua area di influenza globale, è quella di succhiare le risorse disponibili nei paesi dell’Europa Occidentale per riequilibrare la situazione socio-economica al proprio interno e sostenere gli sforzi e le ambizioni dei paesi dell’Europa Orientale disposti ad incalzare l’orso russo. 

La prima pulsione è forse la più pericolosa e pregiudizievole; rappresenta la minaccia più perniciosa alla sopravvivenza fisica ed esistenziale del nostro. Lo espone al ludibrio e alla sufficiente derisione dei suoi avversari geopolitici, come successo a suo tempo con Trump, come ripetutosi in questi giorni con Xi Jinping, grazie anche ad alcune clamorose gaffe nella conduzione delle conversazioni. Non siamo ancora al livello del nostro scomparso Luigino Di Maio; ma la scuola francese ha conosciuto comunque illustri predecessori del calibro di Napoleone III, nella fase terminale del suo regno e nella curiosa concomitanza di sottovalutazione della forza del nemico-avversario. Lo espone alla crescente rabbia popolare, la quale, però, in mancanza di una direzione lungimirante, difficilmente riuscirà a spodestarlo. Potrebbe lasciarlo, è la condizione più minacciosa, in balìa delle reazioni indispettite dei propri cugini-fratelli angloamericani, consapevoli del loro successo relativo in ambito NATO e UE, ma anche della fragilità di questa coesione raggiunta così forzosamente.

La sua ostinazione nell’individuare nella improbabile sconfitta russa, piuttosto che in una collaborazione paritaria, la condizione preliminare di emancipazione dei paesi e degli stati europei rivela l’essenziale.

Il raggio di luce offerto offerto da alcune dichiarazioni di Macron e, in parte, di Lula sono un successo di Xi e di Putin; molto meno di Macron.

La sua sembra la mossa piuttosto che di un condottiero impavido e coraggioso, di un naufrago prossimo ad annaspare tra i flutti.

Più prosaicamente, come adombrato da Korybko, buona parte del colloqui riservati tra Macron e Xi sono dedicati ormai a salvare il salvabile dei rapporti franco-cinesi.

Si vedrà come il combinato-disposto di questi tre fattori influenzeranno il futuro comportamento di Macron. La riluttanza tedesca e dei paesi dell’Europa Orientale a seguirlo in alcuni propositi, la perseveranza russa, l’indisponibilità cinese e la ripicca anglo-americana potrebbero combinarsi in un mix nefasto. Il suo slancio retorico europeista potrebbe ottenere il risultato paradossale, ormai ben radicato anche nella dirigenza statunitense, di affondare o ridurre a luce fioca una Unione Europea sempre più inutile e ridondante. Sino ad ora l’unica prerogativa di sovranità che il nostro riesce a coltivare con successo è quella ad uso interno; nella fattispecie nella repressione violenta del movimento di protesta, grazie anche alla complicità devastatrice di gruppi di provocatori incontrollati. Di sicuro la figura meno adatta e credibile ad impersonare il passato ed il futuro dignitoso della Francia e delle nazioni europee. Buona lettura, pur nella precarietà della traduzione di alcune parti degli articoli. Il tempo e le risorse sono quelle che sono. Giuseppe Germinario

“Per troppo tempo l’Europa non ha costruito questa autonomia strategica. Oggi la battaglia ideologica è stata vinta”, ha dichiarato Emmanuel Macron in un’intervista a Les Echos. Ma ora è necessario attuare questa strategia. La trappola per l’Europa sarebbe che, nel momento in cui ottiene un chiarimento della sua posizione strategica, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento del mondo e in crisi che non sono nostre”.

Per il Presidente francese, l’autonomia strategica è fondamentale per evitare che gli Stati europei diventino “vassalli” quando l’Europa potrebbe essere “il terzo polo” di fronte a Stati Uniti e Cina. “Non vogliamo entrare in una logica di blocco a blocco”, ha aggiunto il Capo di Stato, che si è anche espresso contro “l’extraterritorialità del dollaro”. “La storia sta accelerando, e noi dobbiamo accelerare allo stesso tempo l’economia di guerra europea”, ha insistito il Presidente francese.Il Presidente francese insiste sul fatto che “la storia sta accelerando”.

Dopo il dialogo con il Presidente Xi Jinping, cosa possiamo davvero aspettarci dalla Cina sull’Ucraina?

Penso che la Cina stia facendo le stesse considerazioni  che stiamo facendo noi, con la differenza che oggi la priorità è militare.

Gli ucraini stanno resistendo e noi li stiamo aiutando. Non è il momento di negoziati, anche se sono, se necessario, per fissare le pietre miliari. Questo è lo scopo del dialogo con la Cina: consolidare approcci comuni

Uno: sostenere i principi della Carta delle Nazioni Unite.

Due: un chiaro richiamo sul nucleare e spetta alla Cina trarre le conseguenze del dispiegamento di armi nucleari in Bielorussia da parte del Presidente Putin pochi giorni dopo  essersi impegnato a non farlo.

Tre: un chiaro richiamo al diritto umanitario e la protezione dei bambini.

E quattro: la volontà per una pace negoziata e duratura.

Noto che il presidente Xi Jinping ha parlato di un’architettura di sicurezza europea. Ma non può esistere un’architettura di sicurezza europea finché ci saranno Paesi invasi o conflitti congelati.

Si può quindi notare che da tutto questo emerge una matrice comune.

L’Ucraina è una priorità per la diplomazia cinese? Forse no.

Ma questo dialogo ci permette di temperare i commenti che sono stati fatti su una forma di compiacenza della Cina nei confronti della Russia.

I cinesi sono ossessionati dal confronto con gli Stati Uniti, in particolare in particolare sulla questione di Taiwan; non tendono a vedere l’Europa  come una pedina tra i due blocchi?

Come europei, la nostra preoccupazione è la nostra unità. Questo è sempre stato il mio assillo. Noi dobbiamo dimostrare alla Cina che siamo uniti e questo è il significato di questa visita congiunta con il Presidente della Commissione Ur s u l a von der Leyen. Anche i cinesi si preoccupano della loro unità e Taiwan, dal loro punto di vista, ne fa parte.

È importante capire come ragionano. La domanda per noi europei è: Abbiamo interesse ad

accelerare sul tema di Taiwan? No, non è così. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo essere dei seguaci su questo tema,  adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina.

Perché dovremmo andare al ritmo scelto da altri?

A un certo punto, dobbiamo chiederci quale sia il nostro interesse. Qual è il ritmo. La Cina stessa dove vuole andare?  Vuole avere un approccio offensivo e aggressivo? Il rischio è di una strategia che si auto avvera; strategia del numero uno e del numero due su questo tema. Noi, europei, dobbiamo svegliarci. La nostra priorità non è quella di adattarsi all’agenda degli altri in ogni regione del mondo.

La trappola per l’Europa sarebbe che nel momento stesso in cui raggiunge un chiarimento della sua posizione strategica, in cui è più autonoma di prima di Covid, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento del mondo e in crisi che non sono nostre. Se c’è un’accelerazione dell’esplosione del duopolio, non avremo il tempo  e i mezzi per finanziare la nostra autonomia strategica e diventare vassalli quando possiamo essere  il terzo polo, avendo qualche anno per costruirlo.

Come un numero crescente di Paesi europei che guardano più che mai agli Stati Uniti per la loro sicurezza, l’autonomia strategica europea ha ancora senso?

Certo che sì! Ma questo è il grande paradosso della situazione attuale. Da quando ho tenuto il discorso della Sorbona su questo tema cinque anni fa, quasi tutto è stato fatto. Abbiamo vinto la battaglia ideologica da un punto di vista gramsciano, se così si può dire. Cinque anni fa, si diceva che la sovranità europea non esisteva. Quando parlavo del tema dei componenti delle telecomunicazioni, a chi importava? A quel tempo, stavamo già dicendo ai paesi extraeuropei che l’Europa che consideravamo che si trattava di un’importante questione di sovranità e che avremmo adottato dei testi per regolamentare

Questo è ciò che abbiamo fatto nel 2018. Noto che la quota di mercato di autonomia strategica deve essere la battaglia dell’Europa”.

Per troppo tempo l’Europa non ha costruito la sua autonomia strategica. Oggi, la battaglia ideologica è vinta”, ha dichiarato Emmanuel Macron, in un’intervista a “Echos”. Ma ora è necessario attuare questa strategia.

“La trappola per l’Europa sarebbe che al momento in cui riuscisse a chiarire la sua posizione strategica, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento e in una crisi a livello mondiale che non sarebbero nostre”. Per il Presidente francese, l’autonomia strategica è fondamentale  per evitare che gli Stati europei diventino “vassalli” L’Europa può essere “il terzo polo” di fronte agli Stati Uniti e alla Cina.

Non vogliamo essere un vassallo”, ha detto. “Non vogliamo entrare in una logica di blocco contro blocco”, ha aggiunto il Capo di Stato. Ha parlato anche contro la “extraterritorialità del dollaro”. “La storia sta accelerando, dobbiamo accelerare l’economia europea  in parallelo, insiste il Presidente.

Il Presidente francese insiste sul fatto che “la storia sta accelerando”.

Dopo il dialogo con il Presidente Xi Jinping, cosa possiamo davvero aspettarci dalla Cina sull’Ucraina?

Penso che la Cina stia facendo la stessa nostra  considerazione, con la differenza che oggi il momento è militare.

Gli ucraini stanno resistendo e noi li stiamo aiutando. Non è il momento per i negoziati, anche se sono per fissare le pietre miliari. Questo è lo scopo del dialogo con la Cina: consolidare approcci comuni.

L’Ucraina è una priorità per la diplomazia cinese? Forse no. Ma questo dialogo ci permette di temperare i commenti che sono stati fatti su una forma di compiacenza della Cina nei confronti della Russia.

I cinesi sono ossessionati dal confronto con gli Stati Uniti, in particolare sulla questione di Taiwan,non tendono a vedere l’Europa  come una pedina tra i due blocchi?

Come europei, la nostra preoccupazione è la nostra unità. Questo è sempre stato il mio cruccio. Noi dobbiamo dimostrare alla Cina che siamo uniti e questo è il significato di questavisita congiunta con il Presidente della  Commissione Ursula von der Leyen. Anche i cinesi  si preoccupano della loro unità e Taiwan, dal loro punto di vista, ne fa parte. È importante capire come ragionano.

La domanda per noi europei è: Abbiamo interesse ad accelerare sul tema di Taiwan? No, non è così. La cosa peggiore sarebbe  pensare che noi europei dobbiamo essere dei seguaci su questo tema, adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina.

Perché dovremmo andare al ritmo scelto da altri? A un certo punto dobbiamo chiederci quale sia il nostro interesse. Qual è il ritmo da sostenere? La Cina stessa dove  vuole andare?  Vuole avere un approccio offensivo e aggressivo? Il rischio è di una strategia che si auto avvera; strategia del numero uno e del numero due su questo tema. Noi, europei, dobbiamo svegliarci. La nostra priorità non è quella di adattarsi all’agenda degli altri in ogni regione del mondo.

La trappola per l’Europa sarebbe che nel momento stesso in cui raggiunge un chiarimento della sua posizione strategica, in cui è più autonoma di prima di Covid, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento del mondo e in crisi che non sono nostre.

Se c’è un’accelerazione dell’esplosione del duopolio, non avremo il tempo  e i mezzi per finanziare la nostra autonomia strategica e diventare vassalli quando possiamo essere il terzo, avendo qualche anno per costruirlo.

Con un numero crescente di  Paesi europei guardano più che mai agli Stati Uniti per la loro sicurezza, l’autonomia strategica europea  ha ancora senso?

Certo che sì! Ma questo è il grande paradosso della situazione attuale. Da quando ho tenuto il discorso della Sorbona su questo tema cinque anni, quasi tutto è stato fatto.  Abbiamo vinto la battaglia ideologica, da un punto di vista punto di vista gramsciano, se così si può dire. Cinque anni fa,  si diceva che la sovranità europea  non esisteva.

Quando parlavo del tema dei componenti delle telecomunicazioni, a chi importava?

A quel tempo, stavamo già dicendo ai paesi extraeuropei che per l’Europa si trattava di un’importante questione di sovranità e che avremmo adottato dei testi per regolamentare

Questo è ciò che abbiamo fatto nel 2018.

Noto che la quota di mercato di fornitori di apparecchiature di telecomunicazione in Francia si è ridotta in modo significativo, che non è il caso di tutti i nostri vicini.

Abbiamo anche stabilito l’idea di una difesa europea, di un’Europa più unita che emette debito insieme al momento della Covid. Cinque anni fa, l’autonomia strategica era una chimera. Oggi tutti ne parlano. È un cambiamento importante.

Ci siamo dotati di strumenti di difesa e di politica industriale.

Ci sono stati molti progressi: la legge sui chip, la legge sull’industria a zero emissioni e la Legge sulle Materie Prime Critiche,  questi testi europei sono gli elementi costitutivi della nostra autonomia strategica. Abbiamo iniziato a creare fabbriche di batterie, componenti a idrogeno o elettronici.

Erano completamente contrari all’ideologia europea solo tre o quattro anni fa! Ora abbiamo strumenti di protezione molto efficaci.

L’argomento sul quale dobbiamo essere particolarmente vigili è che la guerra in Ucraina sta accelerando la domanda di equipaggiamenti di difesa.

Tuttavia, l’industria europea della difesa non soddisfa tutte le esigenze e rimane molto frammentata, il che porta alcuni Paesi a rivolgersi a a fornitori americani o addirittura a fornitori asiatici su base temporanea.  Di fronte a questa realtà, dobbiamo diventare più potenti.

L’autonomia strategica deve essere nella battaglia dell’Europa. Non vogliamo dipendere da altri  questioni  critiche. Il giorno in cui non avrete più la possibilità di scegliere sull’energia, su come difendersi, sui social network, sull’intelligenza, reti sociali, sull’intelligenza artificiale perché non abbiamo più l’infrastruttura su questi temi, voi siete fuori dalla storia per un po’.

Qualcuno potrebbe dire oggi in Europa c’è più franco-germania e meno Polonia…

Io non lo direi. Non lo direi; ha creato un fondo europeo  per le munizioni con 2 miliardi, ma è rigorosamente europeo e chiuso.

Ma è chiaro che abbiamo bisogno di un’industria europea  che produca più velocemente. Abbiamo saturato la nostra offerta.

Mentre la storia accelera, abbiamo bisogno di una parallela accelerazione dell’economia di guerra europea.

Non stiamo producendo abbastanza velocemente. Anzi, guardate cosa sta succedendo per affrontare la situazione attuale: i polacchi stanno per comprare equipaggiamento coreano.

Ma da un punto di vista dottrinale, giuridico e politico, penso che non ci sia mai stata una tale accelerazione dell’Europa-potenza.

Abbiamo gettato le basi prima della crisi e c’è stata una tremenda crisi durante la pandemia, con progressi molto forti nella solidarietà finanziaria e di bilancio.

E abbiamo riattivato il formato Weimar con la Germania e Polonia. Oggi dobbiamo accelerare l’attuazione degli aspetti militari, tecnologici, energetici e finanziari per accelerare la nostra effettiva autonomia nella Unione Europea. Non vogliamo entrare in una logica a blocchi.

Al contrario, dobbiamo “deristificare” il nostro modello, per non dipendenza dall’altro, pur mantenendo una forte integrazione delle nostre  catene del valore, laddove possibile.

catene del valore. Il paradosso sarebbe che, in un momento in cui stiamo mettendo in atto gli elementi di una vera autonomia strategica europea, iniziamo a seguire la politica americana, per una sorta di riflesso di panico.

Al contrario, le battaglie da combattere oggi sono, da un lato, accelerare la nostra la nostra autonomia strategica e dall’altro di garantire il finanziamento delle nostre economie. Vorrei cogliere l’occasione per  sottolineare un punto: non dobbiamo dipendere dall’extraterritorialità del dollaro.

Joe Biden è un Donald Trump più educato?

Si impegna per la democrazia, per i principi fondamentali, alla logica internazionale, e conosce e ama l’Europa, tutto ciò è essenziale.

D’altra parte, fa parte di una logica americana trasparente che definisce l’interesse americano, clima e la sovranità americana. È la stessa battaglia. È la battaglia del nucleare, delle rinnovabili e della e della sobrietà energetica europea.

Sarà la battaglia dei prossimi dieci-quindici anni a venire. L’autonomia strategica è presumere che avremo convergenze di vedute con gli Stati Uniti

Ma che si tratti dell’Ucraina, del rapporto con la Cina o delle sanzioni, abbiamo una strategia; è a questo prezzo che le mentalità devono cambiare.

Resta il fatto che gli Stati Uniti con la legge sulla riduzione dell’inflazione (IRA), una politica che lei stesso ha definito che lei stesso ha definito  addirittura aggressiva…

Quando sono andato a Washington lo scorso dicembre scorso, ho messo il mio piede nella porta, sono stato persino criticato per averlo fatto in modo aggressivo.

Ma l’Europa ha reagito e prima alla fine del primo trimestre del 2023, in tre mesi, abbiamo avuto una risposta con tre testi europei.

Avremo la nostra IRA europea.

Agire così rapidamente è una piccola rivoluzione.

La chiave per essere meno dipendenti dagli americani è prima di tutto rafforzare la nostra industria della difesa, di concordare standard comuni.

Stiamo tutti investendo molto denaro, ma non si può avere dieci volte gli standard degli americani! Allora questo significa che dobbiamo accelerare la battaglia per il nucleare e le energie rinnovabili in Europa. Il nostro continente non produce nessun combustibile fossile.  Esiste una coerenza tra reindustrializzazione ed energie rinnovabili.

Il paradosso è che l’America sull’Europa è più forte che mai più forte che mai…

Abbiamo certamente aumentato la nostra dipendenza dagli Stati Uniti nel campo dell’energia, ma in una logica di diversificazione perché eravamo troppo dipendenti dal gas russo.

Oggi è un dato di fatto che siamo più dipendenti dagli Stati Uniti, dal Qatar e da altri.

Ma questa diversificazione era necessaria.

Per il resto, dobbiamo tenere conto delle conseguenze. Per troppo tempo l’Europa non ha costruito questa autonomia strategica per la quale mi sto battendo.

Io mi batto per questo. Oggi, la battaglia ideologica è stata vinta e le basi sono state gettate.

Questo ha un costo, che è normale. È lo stesso per quanto riguarda la reindustrializzazione della Francia: abbiamo vinto la battaglia ideologica,  le riforme, sono difficili, ma iniziamo a vedere i risultati; allo stesso tempo tempo, stiamo pagando il prezzo di ciò che di ciò che non abbiamo fatto in vent’anni. Questa è la politica! Bisogna resistere. Bisogna resistere.

https://www.lesechos.fr/monde/enjeux-internationaux/emmanuel-macron-lautonomie-strategique-doit-etre-le-combat-de-leurope-1933493

 

L’Europa deve resistere alle pressioni per diventare “seguace dell’America”, dice Macron
Il “grande rischio” che corre l’Europa è di rimanere “invischiata in crisi che non sono nostre”, afferma il presidente francese in un’intervista.

TOPSHOT-CINA-FRANCIA-DIPLOMAZIA
Il “grande rischio” che corre l’Europa è di rimanere “invischiata in crisi che non sono nostre”, dice Macron | Ludovic Marin/ AFP via Getty Images
DI JAMIL ANDERLINI E CLEA CAULCUTT
9 APRILE 2023 12:39 CET

A BORDO DEL COTAM UNITÉ (AIR FORCE ONE FRANCESE) – L’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in un confronto tra Cina e Stati Uniti su Taiwan, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron in un’intervista sul suo aereo di ritorno da una visita di Stato di tre giorni in Cina.

Parlando con POLITICO e due giornalisti francesi dopo aver trascorso circa sei ore con il Presidente cinese Xi Jinping durante il suo viaggio, Macron ha sottolineato la sua teoria dell'”autonomia strategica” per l’Europa, presumibilmente guidata dalla Francia, per diventare una “terza superpotenza”.

Ha detto che “il grande rischio” che corre l’Europa è quello di “rimanere invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”, mentre volava da Pechino a Guangzhou, nel sud della Cina, a bordo del COTAM Unité, l’Air Force One francese.

Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese hanno appoggiato con entusiasmo il concetto di autonomia strategica di Macron e i funzionari cinesi vi fanno costantemente riferimento nei loro rapporti con i Paesi europei. I leader del partito e i teorici di Pechino sono convinti che l’Occidente sia in declino e la Cina in ascesa e che l’indebolimento delle relazioni transatlantiche contribuirà ad accelerare questa tendenza.

“Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America”, ha detto Macron nell’intervista. “La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha detto.

Poche ore dopo che il suo volo ha lasciato Guangzhou per tornare a Parigi, la Cina ha lanciato grandi esercitazioni militari intorno all’isola autogovernata di Taiwan, che la Cina rivendica come suo territorio ma che gli Stati Uniti hanno promesso di armare e difendere.

Le esercitazioni sono state una risposta al tour diplomatico di 10 giorni della presidente taiwanese Tsai Ing-Wen nei Paesi dell’America centrale, che ha incluso un incontro con il presidente repubblicano della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy durante il suo transito in California. Persone che hanno familiarità con i pensieri di Macron hanno detto che egli era felice che Pechino avesse almeno aspettato che egli fosse fuori dallo spazio aereo cinese prima di lanciare l’esercitazione simulata di “accerchiamento di Taiwan”.

Pechino ha ripetutamente minacciato di invadere l’isola negli ultimi anni e ha una politica di isolamento dell’isola democratica, costringendo gli altri Paesi a riconoscerla come parte di “una sola Cina”.

Colloqui su Taiwan
Macron e Xi hanno discusso “intensamente” di Taiwan, secondo i funzionari francesi che accompagnano il presidente, che sembra aver adottato un approccio più conciliante rispetto agli Stati Uniti e persino all’Unione Europea.

“La stabilità nello Stretto di Taiwan è di fondamentale importanza”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha accompagnato Macron per parte della sua visita, a Xi durante il loro incontro a Pechino giovedì scorso. “La minaccia di usare la forza per cambiare lo status quo è inaccettabile”.

Il presidente cinese Xi Jinping e il presidente francese Emmanuel Macron a Guangdong il 7 aprile 2023 | Pool Photo by Jacques Witt / AFP via Getty Images
Xi ha risposto dicendo che chi pensa di poter influenzare Pechino su Taiwan è un illuso.

Macron sembra essere d’accordo con questa valutazione.

“Gli europei non sono in grado di risolvere la crisi in Ucraina; come possiamo dire in modo credibile su Taiwan: ‘attenzione, se fate qualcosa di sbagliato noi saremo lì’? Se si vuole davvero aumentare le tensioni, questo è il modo per farlo”, ha detto.

“L’Europa è più disposta ad accettare un mondo in cui la Cina diventa un egemone regionale”, ha affermato Yanmei Xie, analista di geopolitica presso Gavekal Dragonomics. “Alcuni dei suoi leader ritengono addirittura che un tale ordine mondiale possa essere più vantaggioso per l’Europa”.

Nell’incontro trilaterale con Macron e von der Leyen di giovedì scorso a Pechino, Xi Jinping è uscito dal copione solo su due argomenti – Ucraina e Taiwan – secondo quanto riferito da chi era presente nella sala.

“Xi era visibilmente infastidito per essere stato ritenuto responsabile del conflitto in Ucraina e ha minimizzato la sua recente visita a Mosca”, ha detto questa persona. “Era chiaramente infuriato per gli Stati Uniti e molto arrabbiato per Taiwan, per il transito del presidente taiwanese negli Stati Uniti e [per il fatto che] le questioni di politica estera venivano sollevate dagli europei”.

In questo incontro, Macron e la von der Leyen hanno assunto posizioni simili su Taiwan. Ma Macron ha successivamente trascorso più di quattro ore con il leader cinese, molte delle quali con la sola presenza di traduttori, e il suo tono è stato molto più conciliante di quello della von der Leyen quando ha parlato con i giornalisti.

Avvertimento ai “vassalli
Macron ha anche sostenuto che l’Europa ha aumentato la sua dipendenza dagli Stati Uniti per le armi e l’energia e deve ora concentrarsi sul potenziamento delle industrie di difesa europee.

Ha anche suggerito che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dalla “extraterritorialità del dollaro americano”, un obiettivo politico chiave sia di Mosca che di Pechino.

“Se le tensioni tra le due superpotenze si surriscaldano… non avremo né il tempo né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli”, ha dichiarato.

Negli ultimi anni, Russia, Cina, Iran e altri Paesi sono stati colpiti dalle sanzioni statunitensi, basate sulla negazione dell’accesso al sistema finanziario globale dominante, denominato in dollari. Alcuni in Europa si sono lamentati della “weaponization” del dollaro da parte di Washington, che costringe le aziende europee a rinunciare agli affari e a tagliare i legami con i Paesi terzi o ad affrontare sanzioni secondarie paralizzanti.

Seduto nella cabina del suo aereo A330 con una felpa con cappuccio con la scritta “French Tech” sul petto, Macron ha affermato di aver già “vinto la battaglia ideologica sull’autonomia strategica” dell’Europa.

Non ha affrontato la questione delle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti per il Continente, che fa grande affidamento sull’assistenza alla difesa americana nel contesto della prima grande guerra terrestre in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.

Essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’unica potenza nucleare dell’UE, la Francia si trova in una posizione unica dal punto di vista militare. Tuttavia, il Paese ha contribuito alla difesa dell’Ucraina dall’invasione russa in misura molto minore rispetto a molti altri Paesi.

Come accade spesso in Francia e in molti altri Paesi europei, l’ufficio del Presidente francese, noto come Palazzo dell’Eliseo, ha insistito per controllare e “correggere” tutte le citazioni del Presidente da pubblicare in questo articolo come condizione per concedere l’intervista. Questo viola gli standard editoriali e la politica di POLITICO, ma abbiamo accettato le condizioni per poter parlare direttamente con il presidente francese. POLITICO ha insistito sul fatto che non può ingannare i suoi lettori e non pubblicherà nulla che il Presidente non abbia detto. Le citazioni riportate in questo articolo sono state tutte effettivamente pronunciate dal Presidente, ma alcune parti dell’intervista in cui il Presidente ha parlato ancora più apertamente di Taiwan e dell’autonomia strategica dell’Europa sono state tagliate dall’Eliseo.

I falchi della Cina dicono a Macron: lei non parla per l’Europa
Il presidente francese scatena la bagarre con le sue dichiarazioni a POLITICO su Cina, Stati Uniti e Taiwan.

TOPSHOT-FRANCIA-OLTREMARE-GUIANA-POLIZIA-POLITICA-CERIMONIA
Macron ha detto che l’Europa rischia di rimanere “invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica” | Foto della piscina di Ludovic Marin/AFP via Getty Images
DI NICOLAS CAMUT
11 APRILE 2023 9:43 AM CET

Un gruppo di legislatori scettici nei confronti della Cina provenienti da tutto il mondo ha criticato le “osservazioni mal giudicate” del presidente francese Emmanuel Macron su Taiwan, rilasciate in una recente intervista a POLITICO.

I commenti di Macron “non solo non tengono conto del ruolo vitale di Taiwan nell’economia globale, ma minano l’impegno decennale della comunità internazionale a mantenere la pace attraverso lo Stretto di Taiwan”, ha dichiarato lunedì l’Alleanza interparlamentare sulla Cina (IPAC) in un comunicato.

“Va sottolineato che le parole del presidente non sono affatto in linea con i sentimenti delle legislature europee e non solo”, si legge nella dichiarazione, firmata da legislatori, tra cui 15 deputati delle legislature nazionali dell’UE, tra cui uno del partito di Macron in Francia, oltre a tre eurodeputati e 13 parlamentari del Regno Unito.

La dichiarazione rileva che le osservazioni di Macron sono particolarmente inopportune, nel contesto delle esercitazioni militari in corso da parte delle forze armate cinesi nello Stretto di Taiwan.

Potrebbe interessarti
La metà orientale dell’Europa risponde a Macron: abbiamo bisogno degli USA
Di Jacopo Barigazzi
I legislatori francesi visiteranno Taiwan, dice il ministro degli Esteri dell’isola
Di Mari Eccles
UE: Macron e von der Leyen uniti nella stanza con la Cina di Xi
Di Gregorio Sorgi
La notizia arriva dopo che la scorsa settimana, in un’intervista a POLITICO, il presidente francese ha suggerito che l’Europa non dovrebbe farsi trascinare in un confronto tra Stati Uniti e Cina su Taiwan.

Macron ha detto che “il grande rischio” che corre l’Europa è quello di “rimanere invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”.

“La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No”, ha detto Macron.

“La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha aggiunto.

I commenti del presidente francese hanno scatenato una raffica di reazioni su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Mike Gallagher, presidente repubblicano del Comitato ristretto della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti sul Partito Comunista Cinese, li ha definiti “imbarazzanti” e “vergognosi”, mentre Norbert Röttgen, deputato cristiano-democratico tedesco ed ex capo della commissione Esteri del Bundestag, ha twittato che Macron è “riuscito a trasformare il suo viaggio in Cina in un colpo di Stato per le pubbliche relazioni [del presidente cinese Xi Jinping] e in un disastro di politica estera per l’Europa”.

L’IPAC è un gruppo di legislatori di 29 Paesi e del Parlamento europeo che mira a “lavorare per una riforma del modo in cui i Paesi democratici si approcciano alla Cina”, compreso lo “sviluppo di una risposta coerente alla [sua] ascesa”.

https://www.politico.eu/article/china-skeptic-mps-emmanuel-macron-speak-europe/

https://www.politico.eu/article/emmanuel-macron-china-america-pressure-interview/

I legislatori francesi visiteranno Taiwan, dice il ministro degli Esteri dell’isola
Il viaggio arriva dopo che Emmanuel Macron ha scatenato un putiferio dicendo che l’Europa dovrebbe evitare di “farsi coinvolgere in crisi che non sono nostre”.
I legislatori francesi visiteranno Taiwan, ha dichiarato lunedì il ministro degli Esteri dell’isola, mentre la Cina intensifica le esercitazioni militari intorno all’isola autogovernata.

Joseph Wu ha dichiarato che il Senato e l’Assemblea nazionale francese hanno mostrato sostegno a Taiwan e che i politici francesi si recheranno nella capitale “molto presto”, secondo quanto riportato da Bloomberg, che ha aggiunto che la delegazione dovrebbe viaggiare domenica.

Il governo di Taiwan “verificherà con loro di che tipo di supporto aggiuntivo abbiamo bisogno”, ha aggiunto Wu.

I suoi commenti fanno seguito alla visita del presidente francese Emmanuel Macron in Cina la scorsa settimana, durante la quale ha dichiarato a POLITICO che l’Europa dovrebbe evitare di farsi trascinare in un confronto tra Pechino e gli Stati Uniti su Taiwan. La Cina considera l’isola parte del suo territorio, una rivendicazione respinta da Taipei.

Potrebbe interessarti
La metà orientale dell’Europa ribatte a Macron: abbiamo bisogno degli USA
Di Jacopo Barigazzi
UE: Macron e von der Leyen uniti nella stanza con la Cina di Xi
Di Gregorio Sorgi
Charles Michel: l’Europa si sta scaldando per la spinta all'”autonomia strategica” di Macron, lontano dagli Stati Uniti
Di Clothilde Goujard
“Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America”, ha detto Macron.

“La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha aggiunto Macron nell’intervista, in osservazioni che hanno scatenato una tempesta sui social media e la reazione del senatore repubblicano Marco Rubio.

Wu non ha specificato quali legislatori francesi si recheranno a Taipei e l’Assemblea nazionale e il Senato francesi non hanno risposto alla richiesta di commento di POLITICO.

Pechino ha appena completato tre giorni di esercitazioni militari vicino a Taiwan come ritorsione per l’incontro tra la presidente Tsai Ing-wen e il presidente della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy, avvenuto mercoledì scorso in California.

Le esercitazioni – che Pechino ha definito un “severo avvertimento” – hanno visto la Cina praticare attacchi di precisione e bloccare l’isola. Taipei ha dichiarato che domenica circa 70 aerei cinesi hanno sorvolato Taiwan e sono state avvistate anche 11 navi.

La metà orientale dell’Europa risponde a Macron: abbiamo bisogno degli USA
I commenti del presidente francese a POLITICO sulla necessità di non essere coinvolti in un conflitto tra Stati Uniti e Cina hanno irritato i cittadini dell’Est che sono favorevoli a legami più stretti con gli americani.

TOPSHOT-PAESI BASSI-FRANCIA-POLITICA-DIPLOMAZIA
Le reazioni riflettono le divisioni che da tempo serpeggiano in Europa su come difendersi al meglio | Ludovic Marin/AFP via Getty Images
DI JACOPO BARIGAZZI
11 APRILE 2023 19:58 CET

Smettetela di allontanare l’Europa dagli Stati Uniti, si sono detti sgomenti i funzionari dell’Europa centrale e orientale martedì, mentre i commenti del presidente francese Emmanuel Macron continuavano ad avere ripercussioni in tutto il continente.

Dopo una visita in Cina la scorsa settimana, Macron ha fatto sobbalzare gli alleati della metà orientale dell’UE, mettendo in guardia il continente dal farsi trascinare nella disputa tra Stati Uniti e Cina su Taiwan, l’isola autogovernata che Pechino rivendica come propria, e implorando i suoi vicini di evitare di diventare “vassalli” di Washington e Pechino.

I commenti hanno scosso i paesi vicini al confine orientale dell’UE, che storicamente hanno favorito legami più stretti con gli americani – soprattutto in materia di difesa – e hanno spinto per un approccio più morbido nei confronti di Pechino.

“Invece di costruire un’autonomia strategica dagli Stati Uniti, propongo un partenariato strategico con gli Stati Uniti”, ha dichiarato martedì il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, prima di partire per gli Stati Uniti per una visita di tre giorni.

La Francia si scalda finalmente con gli olandesi nella spinta alla sicurezza economica
Di Giorgio Leali
In privato, i diplomatici sono stati ancora più franchi.

“Non riusciamo a capire la posizione di [Macron] sulle relazioni transatlantiche in questi tempi così difficili”, ha dichiarato un diplomatico di un Paese dell’Europa orientale che, come altri, ha parlato a condizione di anonimato per potersi esprimere liberamente. “Noi, come UE, dovremmo essere uniti. Purtroppo, questa visita e le osservazioni francesi che l’hanno seguita non sono d’aiuto”.

Le reazioni riflettono le divisioni che da tempo serpeggiano in Europa su come difendersi al meglio. Macron ha a lungo sostenuto la necessità che l’Europa diventi più autonoma dal punto di vista economico e militare – una spinta che molti nell’Europa centrale e orientale temono possa alienare il prezioso aiuto degli Stati Uniti nel tenere a bada la Russia, anche se sono favorevoli a rafforzare la capacità dell’UE di agire in modo indipendente.

“Nell’attuale mondo di cambiamenti geopolitici, e soprattutto di fronte alla guerra della Russia contro l’Ucraina, è ovvio che le democrazie devono collaborare più strettamente che mai”, ha dichiarato un altro diplomatico di alto livello dell’Europa orientale. “Dovremmo tutti ricordare la saggezza del primo ambasciatore americano in Francia, Benjamin Franklin, che ha giustamente osservato che o restiamo uniti o saremo impiccati separatamente”.

Macron, ha sbuffato un terzo alto diplomatico della stessa regione, ha fatto ancora una volta il libero professionista: “Non è la prima volta che Macron esprime opinioni che sono sue e non rappresentano la posizione dell’UE”.

Una polemica che si fa strada
Nella sua intervista, Macron ha toccato un argomento teso all’interno dell’Europa: come dovrebbe bilanciarsi rispetto alla lotta tra le superpotenze di Stati Uniti e Cina.

Il presidente francese ha incoraggiato l’Europa a tracciare la propria rotta, avvertendo che l’Europa corre un “grande rischio” se “si lascia coinvolgere in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la propria autonomia strategica”.

Macron ha detto di volere che l’Europa diventi un “terzo polo” per controbilanciare la Cina e gli Stati Uniti nel lungo periodo | Foto in piscina di Jacques Witt/AFP via Getty Images
Si tratta di una posizione che ha molti aderenti in Europa e che si è fatta strada anche nella politica ufficiale dell’UE, in quanto i funzionari lavorano per garantire che le linee di approvvigionamento del continente non siano completamente vincolate alla Cina e ad altri paesi su tutto, dalle armi ai veicoli elettrici.

Macron ha detto che vuole che l’Europa diventi un “terzo polo” per controbilanciare la Cina e gli Stati Uniti nel lungo periodo. Un imminente conflitto tra l’Europa e Washington, ha sostenuto, metterebbe a rischio questo obiettivo.

Tuttavia, a est, i funzionari hanno lamentato il fatto che il leader francese stesse semplicemente trattando gli Stati Uniti e la Cina come se fossero essenzialmente la stessa cosa in un gioco di potere globale.

I commenti, ha detto il secondo diplomatico, sono stati “inopportuni e inappropriati per mettere sullo stesso piano Stati Uniti e Cina e suggerire che l’UE dovrebbe mantenere una distanza strategica da entrambi”.

Un diplomatico dell’Europa centrale ha liquidato la posizione di Macron come “piuttosto oltraggiosa”, mentre un altro funzionario della stessa regione l’ha definita un tentativo di “distrarre da altri problemi e mostrare che la Francia è più grande di quello che è” – un riferimento alle proteste che stanno sconvolgendo la Francia a causa delle riforme pensionistiche di Macron.

La frustrazione nell’Europa centrale e orientale deriva in parte dalla sensazione che il presidente francese non abbia mai chiarito chi sostituirà Washington in Europa – soprattutto se la Russia espanderà la sua guerra oltre l’Ucraina, ha dichiarato Kristi Raik, responsabile del programma di politica estera del Centro internazionale per la difesa e la sicurezza, un think tank dell’Estonia, un Paese di circa 1,3 milioni di persone che confina con la Russia.

Si tratta di un punto emotivo per la metà orientale dell’Europa, dove i ricordi dell’era sovietica persistono.

“Sentiamo Macron parlare di autonomia strategica europea e in qualche modo tacere completamente sulla questione, che è diventata così chiara in Ucraina, che la sicurezza e la difesa europea dipendono fortemente dagli Stati Uniti”, ha detto Raik.

Raik ha sottolineato, naturalmente, che i Paesi europei, in particolare la Germania, si stanno affannando per aggiornare le proprie forze armate. Anche la Francia si è impegnata a incrementare notevolmente i propri bilanci per la difesa.

Ma questi cambiamenti, ha avvertito, richiederanno “molto tempo”.

Se Macron “vuole dimostrare seriamente che mira davvero a un’Europa capace di difendersi”, ha sostenuto Raik, “dovrebbe anche dimostrare che la Francia è disposta a fare molto di più per difendere l’Europa nei confronti della Russia”.
La posta
StampaL’articolo è disponibile anche in francese.

A BORDO DEL COTAM UNITÉ (AIR FORCE ONE FRANCESE) – L’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in un confronto tra Cina e Stati Uniti su Taiwan, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron in un’intervista sul suo aereo di ritorno da una visita di Stato di tre giorni in Cina.

Parlando con POLITICO e due giornalisti francesi dopo aver trascorso circa sei ore con il Presidente cinese Xi Jinping durante il suo viaggio, Macron ha sottolineato la sua teoria dell'”autonomia strategica” per l’Europa, presumibilmente guidata dalla Francia, per diventare una “terza superpotenza”.

Ha detto che “il grande rischio” che corre l’Europa è quello di “rimanere invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”, mentre volava da Pechino a Guangzhou, nel sud della Cina, a bordo del COTAM Unité, l’Air Force One francese.

Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese hanno appoggiato con entusiasmo il concetto di autonomia strategica di Macron e i funzionari cinesi vi fanno costantemente riferimento nei loro rapporti con i Paesi europei. I leader del partito e i teorici di Pechino sono convinti che l’Occidente sia in declino e la Cina in ascesa e che l’indebolimento delle relazioni transatlantiche contribuirà ad accelerare questa tendenza.

“Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America”, ha detto Macron nell’intervista. “La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha detto.

Poche ore dopo che il suo volo ha lasciato Guangzhou per tornare a Parigi, la Cina ha lanciato grandi esercitazioni militari intorno all’isola autogovernata di Taiwan, che la Cina rivendica come suo territorio ma che gli Stati Uniti hanno promesso di armare e difendere.

Le esercitazioni sono state una risposta al tour diplomatico di 10 giorni della presidente taiwanese Tsai Ing-Wen nei Paesi dell’America centrale, che ha incluso un incontro con il presidente repubblicano della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy durante il suo transito in California. Persone che hanno familiarità con i pensieri di Macron hanno detto che egli era felice che Pechino avesse almeno aspettato che egli fosse fuori dallo spazio aereo cinese prima di lanciare l’esercitazione simulata di “accerchiamento di Taiwan”.

Pechino ha ripetutamente minacciato di invadere l’isola negli ultimi anni e ha una politica di isolamento dell’isola democratica, costringendo gli altri Paesi a riconoscerla come parte di “una sola Cina”.

Colloqui su Taiwan
Macron e Xi hanno discusso “intensamente” di Taiwan, secondo i funzionari francesi che accompagnano il presidente, che sembra aver adottato un approccio più conciliante rispetto agli Stati Uniti e persino all’Unione Europea.

“La stabilità nello Stretto di Taiwan è di fondamentale importanza”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha accompagnato Macron per parte della sua visita, a Xi durante il loro incontro a Pechino giovedì scorso. “La minaccia di usare la forza per cambiare lo status quo è inaccettabile”.

Il presidente cinese Xi Jinping e il presidente francese Emmanuel Macron a Guangdong il 7 aprile 2023 | Pool Photo by Jacques Witt / AFP via Getty Images
Xi ha risposto dicendo che chi pensa di poter influenzare Pechino su Taiwan è un illuso.

Macron sembra essere d’accordo con questa valutazione.

“Gli europei non sono in grado di risolvere la crisi in Ucraina; come possiamo dire in modo credibile su Taiwan: ‘attenzione, se fate qualcosa di sbagliato noi saremo lì’? Se si vuole davvero aumentare le tensioni, questo è il modo per farlo”, ha detto.

“L’Europa è più disposta ad accettare un mondo in cui la Cina diventa un egemone regionale”, ha affermato Yanmei Xie, analista di geopolitica presso Gavekal Dragonomics. “Alcuni dei suoi leader ritengono addirittura che un tale ordine mondiale possa essere più vantaggioso per l’Europa”.

Nell’incontro trilaterale con Macron e von der Leyen di giovedì scorso a Pechino, Xi Jinping è uscito dal copione solo su due argomenti – Ucraina e Taiwan – secondo quanto riferito da chi era presente nella sala.

“Xi era visibilmente infastidito per essere stato ritenuto responsabile del conflitto in Ucraina e ha minimizzato la sua recente visita a Mosca”, ha detto questa persona. “Era chiaramente infuriato per gli Stati Uniti e molto arrabbiato per Taiwan, per il transito del presidente taiwanese negli Stati Uniti e [per il fatto che] le questioni di politica estera venivano sollevate dagli europei”.

In questo incontro, Macron e la von der Leyen hanno assunto posizioni simili su Taiwan. Ma Macron ha successivamente trascorso più di quattro ore con il leader cinese, molte delle quali con la sola presenza di traduttori, e il suo tono è stato molto più conciliante di quello della von der Leyen quando ha parlato con i giornalisti.

Avvertimento ai “vassalli
Macron ha anche sostenuto che l’Europa ha aumentato la sua dipendenza dagli Stati Uniti per le armi e l’energia e deve ora concentrarsi sul potenziamento delle industrie di difesa europee.

Ha anche suggerito che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dalla “extraterritorialità del dollaro americano”, un obiettivo politico chiave sia di Mosca che di Pechino.

Macron è da tempo un sostenitore dell’autonomia strategica dell’Europa | Ludovic Marin/AFP via Getty Images
“Se le tensioni tra le due superpotenze si surriscaldano… non avremo né il tempo né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli”, ha dichiarato.

Negli ultimi anni, Russia, Cina, Iran e altri Paesi sono stati colpiti dalle sanzioni statunitensi, basate sulla negazione dell’accesso al sistema finanziario globale dominante, denominato in dollari. Alcuni in Europa si sono lamentati della “weaponization” del dollaro da parte di Washington, che costringe le aziende europee a rinunciare agli affari e a tagliare i legami con i Paesi terzi o ad affrontare sanzioni secondarie paralizzanti.

Seduto nella cabina del suo aereo A330 con una felpa con cappuccio con la scritta “French Tech” sul petto, Macron ha affermato di aver già “vinto la battaglia ideologica sull’autonomia strategica” dell’Europa.

Non ha affrontato la questione delle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti per il Continente, che fa grande affidamento sull’assistenza alla difesa americana nel contesto della prima grande guerra terrestre in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.

Essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’unica potenza nucleare dell’UE, la Francia si trova in una posizione unica dal punto di vista militare. Tuttavia, il Paese ha contribuito alla difesa dell’Ucraina dall’invasione russa in misura molto minore rispetto a molti altri Paesi.

Come accade spesso in Francia e in molti altri Paesi europei, l’ufficio del Presidente francese, noto come Palazzo dell’Eliseo, ha insistito per controllare e “correggere” tutte le citazioni del Presidente da pubblicare in questo articolo come condizione per concedere l’intervista. Questo viola gli standard editoriali e la politica di POLITICO, ma abbiamo accettato le condizioni per poter parlare direttamente con il presidente francese. POLITICO ha insistito sul fatto che non può ingannare i suoi lettori e non pubblicherà nulla che il Presidente non abbia detto. Le citazioni riportate in questo articolo sono state tutte effettivamente pronunciate dal Presidente, ma alcune parti dell’intervista in cui il Presidente ha parlato ancora più apertamente di Taiwan e dell’autonomia strategica dell’Europa sono state tagliate dall’Eliseo.

Visualizza nuovi Tweet

Conversazione

Norbert Röttgen
@n_roettgen
#Macron has managed to turn his China trip into a PR coup for Xi and a foreign policy disaster for Europe. With his idea of ​​🇪🇺 sovereignty, which he defines in terms of distance rather than partnership with the USA, he is increasingly isolating himself in Europe.
Lingua originale: inglese. Traduzione di.
#Macron è riuscito a trasformare il suo viaggio in Cina in un colpo di stato per Xi e in un disastro di politica estera per l’Europa. Con la sua idea di 🇪🇺 sovranità, che definisce in termini di distanza piuttosto che di partenariato con gli USA, si sta sempre più isolando in Europa.

La retorica di Macron sull’autonomia strategica dell’Europa è una conseguenza diretta del suo viaggio in Cina

ANDREW KORYBKO
10 APR 2023

È importante sottolineare la tempistica delle sue ultime parole, condivise dopo aver incontrato il presidente Xi per circa sei ore, secondo quanto riportato da Politico. Il leader cinese è chiaramente convinto che il suo omologo francese sia sincero nelle sue intenzioni, altrimenti non avrebbe dedicato così tanto del suo prezioso tempo, ricordando quanto sia impegnato a gestire tante altre questioni in tutto il mondo.

Domenica Politico ha pubblicato un articolo esclusivo che riporta la conversazione dei suoi giornalisti con il Presidente francese Macron durante la sua visita in Cina, durante la quale ha parlato con entusiasmo del suo obiettivo di rendere l’Europa un attore strategicamente autonomo nelle relazioni internazionali. A riprova delle sue intenzioni, ha criticato l’idea che l’Europa debba seguire l’esempio degli Stati Uniti nel provocare la Cina su Taiwan, cosa che ha suscitato una forte condanna da parte di molti commentatori americani in tutto il continente.

Essi hanno giustificato questa presa di posizione suggerendo che il Presidente Xi sia riuscito a convincerlo a cenare e cenare durante il suo viaggio a Pechino, dividendo così il leader francese e il Commissario europeo Von Der Leyen, quest’ultimo noto per essere un falco pro-USA e potenzialmente in grado di guidare la NATO. Per quanto riguarda la reazione della comunità degli Alt-Media (AMC) all’ultima retorica di Macron, essi l’hanno prevedibilmente respinta, convinti che la sua visita non servisse ad alcuno scopo pratico e non fosse altro che teatro.

In realtà, “il viaggio di Macron e Von Der Leyen in Cina ha avuto uno scopo molto pragmatico”. I due stavano valutando cosa sarebbe dovuto accadere perché la Cina oltrepassasse la “linea rossa” dell’UE armando la Russia, mentre la Cina voleva sapere se avrebbe oltrepassato la propria “linea rossa” sanzionandola se ciò fosse accaduto. Il leader francese sembra sinceramente preoccupato per lo scenario in cui gli Stati Uniti potrebbero esercitare pressioni sull’UE affinché si “sganci” dalla Cina in quel caso, mentre Von Der Leyen probabilmente vuole che ciò avvenga per promuovere gli obiettivi degli Stati Uniti.

A proposito di questi ultimi, gli Stati Uniti hanno interesse a rafforzare ulteriormente la loro egemonia, già riaffermata con successo, sull’Europa a scapito dell’autonomia strategica di quest’ultima, al fine di trasformare la loro “sfera d’influenza” sul Miliardo d’oro in un unico polo nell’ambito dell’imminente triforcazione delle relazioni internazionali. Gli strateghi statunitensi ritengono che questo sia l’unico modo in cui il loro Paese possa mantenere il maggior numero possibile di orpelli dell’unipolarismo di fronte agli sforzi congiunti dell’Intesa sino-russa di dare vita al multipolarismo.

Il direttore generale del Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC) Andrey Kortunov ha spiegato a lungo, alla fine dello scorso anno, nel suo articolo su “Una nuova coesione occidentale e un nuovo ordine mondiale”, che gli Stati Uniti hanno una probabilità piuttosto alta di riuscire almeno in parte in questo intento, che dovrebbe essere letto per intero da tutti gli scettici dell’AMC. Sarà quindi molto difficile per Macron realizzare il suo obiettivo di trasformare l’Europa in un attore strategicamente autonomo nelle relazioni internazionali.

Tuttavia, non si può negare il potente simbolismo delle sue ultime parole, che contraddicono le richieste degli Stati Uniti ai loro vassalli europei di seguire sempre la loro guida nella Nuova Guerra Fredda per “solidarietà” con le “democrazie simili” di fronte alle “minacce autoritarie” presumibilmente poste da Cina e Russia. Ciò rafforza l’osservazione che Macron è sincero in ciò che ha detto, anche se sta deliberatamente o illusoriamente negando quanto sia difficile per l’UE sfidare in modo significativo gli Stati Uniti su qualsiasi cosa.

È anche importante sottolineare la tempistica delle sue ultime parole, condivise dopo aver incontrato il presidente Xi per circa sei ore, secondo quanto riportato da Politico. Il leader cinese è chiaramente convinto che il suo omologo francese sia sincero nelle sue intenzioni, altrimenti non avrebbe dedicato così tanto del suo prezioso tempo, considerando quanto sia impegnato ad affrontare tante altre questioni in tutto il mondo. Ciò suggerisce che il Presidente Xi non sta dando per scontato il “disaccoppiamento” dalla Cina esercitato dagli Stati Uniti.

Una cosa è che il blocco si “sganci” dalla Russia sotto la pressione degli Stati Uniti e un’altra è che faccia lo stesso quando si tratta della Cina, che è il suo principale partner commerciale. Sarebbe uno svantaggio reciproco se ciò accadesse, ma l’UE ne soffrirebbe molto di più della Repubblica Popolare a causa della stabilità economico-finanziaria molto più precaria della prima. Con queste premesse, Macron ha voluto far sapere che la Francia cercherà almeno di opporsi a qualsiasi complotto statunitense se la Cina arma la Russia.

Tutto sommato, anche se potrebbe essere irrealistico aspettarsi che la Francia sfidi con successo gli Stati Uniti su questo tema, è disonesto minimizzare l’importanza simbolica dell’ultima retorica di Macron. Nel caso in cui l’imminente controffensiva di Kiev vacilli e quindi non spinga la Cina a sentirsi costretta ad armare la Russia come ultima risorsa per garantire preventivamente la propria sicurezza nazionale, c’è la possibilità che i presidenti Xi e Macron cerchino insieme di mediare un cessate il fuoco nella guerra per procura tra NATO e Russia.

Gli interessi di entrambi i Paesi verrebbero serviti da un’attenuazione del conflitto: quello della Cina di posizionarsi come superpotenza diplomatica e quello della Francia di dare una spinta alla prevista autonomia strategica dell’Europa. Inoltre, sarebbero anche in grado di scongiurare lo scenario peggiore del loro “disaccoppiamento”, pressato dagli Stati Uniti, che Washington potrebbe cercare di imporre a Bruxelles sfruttando il pretesto di rispondere al potenziale armamento della Russia da parte della Cina, che potrebbe verificarsi nelle condizioni sopra descritte.

Ci sono molte variabili al di fuori del controllo di entrambi che potrebbero annullare lo scenario migliore, ma gli osservatori non dovrebbero lasciarsi fuorviare dalle ultime insinuazioni dei media mainstream, secondo cui Macron si sarebbe “venduto” alla Cina, o dalle affermazioni dell’AMC, secondo cui sarebbe un impostore. Le ultime parole del leader francese sono sincere, soprattutto quelle simbolicamente significative sull’intenzione di resistere alle pressioni statunitensi su Taiwan, dimostrando così che le sei ore trascorse con il Presidente Xi sono state fruttuose.

https://korybko.substack.com/p/macrons-rhetoric-about-europes-strategic?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=113824310&isFreemail=true&utm_medium=email

Il viaggio di Macron e Von Der Leyen in Cina ha avuto uno scopo molto pragmatico
ANDREW KORYBKO
8 APR

SALVARE
▷ ASCOLTA

L’UE voleva sapere cosa sarebbe successo perché la Cina superasse la “linea rossa” di Bruxelles armando la Russia, mentre la Cina voleva sapere se l’UE sarebbe stata disposta a superare la “linea rossa” di Pechino in quello scenario, sanzionandola in risposta. Entrambe le parti volevano anche esplorare fino a che punto l’altra si sarebbe spinta se si fosse sentita costretta dalle circostanze o sotto pressione da parte degli Stati Uniti, ergo un altro motivo per cui tutti hanno ritenuto abbastanza importante trovare il tempo per incontrarsi nei giorni scorsi.

Molti nella comunità dei media alternativi (AMC) hanno ignorato l’importanza del viaggio in Cina del presidente francese Macron e del commissario europeo Von Der Leyen, insinuando che il presidente Xi abbia sprecato il suo tempo prezioso incontrandoli per diversi giorni per nulla. In realtà, il loro viaggio ha avuto uno scopo pragmatico, in quanto ha permesso a ciascuna parte di parlare apertamente delle proprie preoccupazioni in questo momento cruciale della transizione sistemica globale, motivo per cui tutte le parti hanno trovato il tempo di incontrarsi a Pechino.

Se è vero che i due rappresentanti europei speravano di convincere la controparte cinese a vedere la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina nel loro stesso modo, non è stata questa la ragione principale per cui tutti hanno trovato il tempo di uscire dai loro impegni la scorsa settimana. Ciò che li ha riuniti a Pechino è stato l’imminente punto di inflessione che si sta rapidamente avvicinando nel suddetto conflitto.

L’imminente controffensiva di Kiev sarà un momento di svolta. Da un lato, potrebbe riuscire a respingere la Russia verso i suoi confini precedenti al 2014, nel qual caso la Cina potrebbe sentirsi costretta ad armare Mosca come ultima risorsa per scongiurare preventivamente la possibilità di una sua sconfitta. Questo a sua volta spingerebbe gli Stati Uniti a fare pressione sull’UE affinché sanzioni la Repubblica Popolare, aumentando così le possibilità di un rapido disaccoppiamento, che danneggerebbe entrambi i loro interessi e farebbe avanzare quello degli Stati Uniti.

D’altra parte, però, la controffensiva di Kiev potrebbe alla fine non ottenere grandi risultati, come dimostra il rapporto del Washington Post di un mese fa sulla scarsa efficienza delle sue truppe. In questo scenario, la Russia potrebbe o sfruttare lo slancio per fare una grande breccia attraverso la linea di contatto e oltre, oppure incoraggiare seriamente Kiev ad accettare un cessate il fuoco. L’ultima possibilità sarebbe certamente sostenuta dalla Cina e molto probabilmente anche dalla Francia.

Considerando la grande posta in gioco strategica legata all’esito dell’imminente controffensiva di Kiev, che probabilmente porterà o a un disaccoppiamento Cina-UE secondo il primo scenario o alla mediazione congiunta di Cina e Francia per un cessate il fuoco secondo il secondo, aveva senso che si incontrassero tutti prima del tempo. Il vero motore degli eventi sono gli Stati Uniti, i loro partner polacchi dell’Europa centrale (che comprendono gli Stati baltici) e i loro procuratori a Kiev, il cui successo o la cui mancanza condizionerà il futuro dei legami Cina-UE.

Non è detto che le cose vadano per forza così, ma il fatto è che è improbabile che l’UE sia in grado di resistere efficacemente alle pressioni sanzionatorie degli Stati Uniti nel caso in cui la Cina si senta costretta ad armare la Russia come ultima risorsa, come è stato spiegato in precedenza. Sanno quanto sarebbe doloroso per le loro economie già in difficoltà, soprattutto perché questo scenario drammatico potrebbe spingerle oltre il limite di una vera e propria recessione, ma è proprio per questo che due dei loro massimi rappresentanti hanno voluto parlare con il Presidente Xi.

Anche lui ha voluto parlare con loro per chiarire che la Cina non ha ancora armato la Russia, ma forse anche per spiegare perché potrebbe sentirsi costretta a farlo in senso ipotetico, senza confermare direttamente questo piano di emergenza a causa della delicatezza della questione. In parole povere, l’UE voleva sapere cosa sarebbe dovuto accadere perché la Cina oltrepassasse la “linea rossa” di Bruxelles armando la Russia, mentre la Cina voleva sapere se l’UE sarebbe stata disposta ad oltrepassare la “linea rossa” di Pechino in quello scenario, sanzionandola in risposta.

Entrambe le parti volevano anche esplorare fino a che punto l’altra si sarebbe spinta se si fosse sentita costretta dalle circostanze o sotto pressione da parte degli Stati Uniti, ergo un altro motivo per cui tutti hanno ritenuto abbastanza importante trovare il tempo di incontrarsi nei giorni scorsi. Se i rappresentanti europei avessero avuto il solo scopo di fare propaganda al Presidente Xi per convincerlo a schierarsi dalla loro parte nella guerra per procura tra NATO e Russia, il viaggio non avrebbe avuto luogo.

I principali influencer dell’AMC hanno quindi sbagliato di grosso nel valutare lo scopo della visita della scorsa settimana, che non ha tenuto conto della ragione pragmatica per cui tutte e tre le parti hanno dato priorità all’incontro in questo momento specifico. Era importante che parlassero apertamente di come reagiranno ai due scenari più probabili che emergeranno dall’imminente controffensiva di Kiev, che li porterà a separarsi sotto la pressione degli Stati Uniti o a lavorare insieme per mediare un cessate il fuoco.

Nel periodo intermedio tra il loro incontro e qualsiasi di queste due traiettorie i loro legami siano spinti, tutte le parti hanno almeno avuto qualcosa di tangibile da mostrare con le dichiarazioni rilasciate da Macron e Von Der Leyen dopo i rispettivi incontri con il Presidente Xi. La TASS russa ha richiamato l’attenzione su tre punti salienti delle prime, riguardanti il sostegno a un ordine mondiale multipolare sancito dall’ONU, la pace in Ucraina basata sul diritto internazionale e la sovrapposizione su molte altre questioni.

Anche se i cinici potrebbero affermare che queste dichiarazioni hanno più simbolismo che sostanza, sono almeno qualcosa su cui tutte le parti possono basarsi nello scenario in cui la Cina non si senta costretta ad armare la Russia come ultima risorsa o l’UE resista in larga misura alle pressioni degli Stati Uniti per sanzionarla se ciò dovesse accadere. In ogni caso, il Presidente Xi non sprecherebbe il suo tempo prezioso inscenando un photo-op di più giorni solo per il gusto di rilasciare alcune dichiarazioni di circostanza, quindi si dovrebbe dare per scontato che l’intento della Cina sia sincero.

Questa intuizione scredita ulteriormente la conclusione troppo semplicistica dell’AMC, secondo cui l’intero viaggio è stato una gigantesca perdita di tempo per tutti e non ha portato a nulla di utile per le tre parti. Forse non si è riusciti a evitare la peggiore sequenza di eventi descritta in precedenza, ovvero il loro disaccoppiamento accelerato sotto la pressione degli Stati Uniti, ma l’intento era quello di discutere apertamente del futuro dei loro legami in quel contesto, nel tentativo di mitigare le conseguenze reciprocamente svantaggiose nel caso in cui ciò si verificasse.

https://korybko.substack.com/p/macron-and-von-der-leyens-trip-to?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=113487519&isFreemail=true&utm_medium=email

Il “residuo secco” della visita di Macron in Cina
gilbertdoctorow Senza categoria 11 aprile 2023 54 minuti
A volte conviene trattenere il fuoco, lasciare che i leader del mainstream in Occidente, in Russia e altrove facciano prima un passo avanti con le loro valutazioni di eventi importanti come la visita di Macron in Cina la scorsa settimana, prima di esprimere un’opinione indipendente da diffondere attraverso i media alternativi. A questo proposito, sono lieto di aver beneficiato dei resoconti del Financial Times, del Figaro, di Le Monde e Les Echos, del sito web Politico.eu e dei programmi di informazione e analisi russi Sixty Minutes e Evening with Vladimir Solovyov prima di sedermi a scrivere su quello che definirei il “residuo secco” della visita congiunta di Macron in Cina della scorsa settimana in compagnia della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Ricordiamo che alla vigilia di questa visita il Financial Times, Euronews, la BBC e altri media occidentali mainstream hanno puntato l’attenzione su un solo aspetto dell’imminente vertice: quello che Macron e von der Leyen avrebbero detto al Presidente Xi. In poche parole, si trattava di esortare i cinesi ad esercitare pressioni sul Cremlino e a portare i russi al tavolo della pace alle condizioni di Kiev. La von der Leyen ha poi aggiunto, parlando con i giornalisti prima del viaggio, un altro punto: mettere in guardia i cinesi dall’inviare armi alla Russia per non incorrere in “conseguenze” nelle relazioni danneggiate con l’Unione Europea. Come breve coda alla copertura del FT prima della visita, ci è stato detto che c’era un certo numero di “leader d’affari” che viaggiavano con Macron, anche se non c’era alcuna indicazione su cosa, o cosa, avrebbero fatto.

La prima notizia emersa dai media mainstream al termine della visita di Macron e von der Leyen è stata che i cinesi hanno risposto in modo molto riservato ai consigli gratuiti dei visitatori europei. Si dice che Xi abbia sorriso educatamente in risposta alla richiesta di intervenire con i russi e quindi di partecipare più attivamente alla mediazione della pace. Prima di lasciare Pechino, la Von der Leyen ha dichiarato ai giornalisti che Xi aveva ascoltato il suo suggerimento di alzare il telefono e parlare con Zelensky. Ma, ha osservato, la risposta di Xi è stata che lo avrebbe fatto solo al momento opportuno.

Tuttavia, già il 7, il FT sembrava ammettere che la Cina avrebbe potuto avere un ruolo nel rapporto con i visitatori europei. Lo si legge in un articolo intitolato “Tè con Xi: Macron ha un tocco personale mentre la visita in Cina mette in evidenza le differenze nell’UE”. Si veda il seguente estratto:

Macron, che è stato accompagnato in Cina da decine di imprenditori francesi, è stato affiancato per una parte della sua visita di tre giorni dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in un gesto di comunanza di intenti europei nei confronti di Pechino. Tuttavia, qualsiasi senso di unità è stato compromesso da accordi che hanno lusingato il leader francese con un banchetto, una parata militare e altri orpelli di una visita di Stato, mentre la von der Leyen è stata esclusa da molti dei sontuosi eventi.

Il significato pratico di tutto ciò è illustrato in una citazione di John Delury, esperto di Cina dell’Università Yonsei di Seul:

La strategia di Xi è: Macron viene con le mani tese e loro lo abbracciano; [von der Leyen] esprime la posizione europea più dura e loro cercano di metterla ai margini”, ha detto.

Nello stesso numero del 7 aprile del Financial Times, troviamo un articolo di opinione di Sylvie Kauffmann, direttore editoriale di Le Monde, dal titolo allettante: “L’Europa si sta orientando verso un nuovo rapporto con la Cina”. Il contributo più prezioso dell’articolo è forse costituito dai due paragrafi finali:

L’UE sta costruendo strumenti per proteggersi dalle interferenze straniere. Sta anche imparando a comportarsi come una potenza mondiale. Le parole dure di Von der Leyen e Macron a Pechino possono aver sorpreso la leadership cinese.

Tuttavia, Macron aveva con sé più di 50 amministratori delegati che viaggiavano con lui. E la Cina è il principale partner commerciale dell’UE. Una Cina più assertiva e un’Europa più assertiva stanno ora cercando di trovare un terreno comune in un mondo in cui le realtà geopolitiche si scontrano con gli interessi economici.

Naturalmente, nel corpo del suo articolo la Kauffmann non ci ha detto una parola su ciò che quei 50 CEO possono aver ottenuto in Cina o su quale terreno comune Cina e UE possono trovare. Tuttavia, come persona che ha seguito la Kauffmann nel tempo, penso che l’elegante vacuità della sua scrittura possa essere ciò che la rende così attraente per il FT oggi come lo era in passato per l’International Herald Tribune. Nel 2013, ho scritto una critica al suo articolo sull’IHT che portava un titolo che oggi sembra particolarmente piccante: “Come l’Europa può aiutare Kiev”. Le mie osservazioni iniziali dicevano tutto:

L’articolo di Kauffmann dimostra che la scrittrice parla per luoghi comuni e commette errori di fatto e di interpretazione che, data la sua posizione di prestigio nei media mainstream, pochi, se non nessuno, mettono in evidenza.

Per chi volesse approfondire la questione della pigrizia intellettuale della Kauffmann che spiega questa vacuità, rimando alla mia raccolta di saggi La Russia ha un futuro? (2015) pag. 91 e seguenti.

Quindi, il FT, una delle principali fonti di informazione economica per un pubblico globale, non ha fornito ai suoi lettori alcuna informazione sull’aspetto commerciale della visita della delegazione francese in Cina. Questo è straordinario, poiché gli amministratori delegati non si recano mai in visita di Stato dai loro presidenti per negoziare sul posto. Vengono a firmare contratti o lettere d’intenti preparati con largo anticipo dai dirigenti delle loro sedi centrali e dai country manager. Questo è lo scenario che ho visto più volte quando ho partecipato ai vertici russo-statunitensi durante la mia attività di consulente per i consigli di amministrazione di alcune grandi aziende internazionali. Pertanto, suppongo che i francesi abbiano fatto un ottimo lavoro per nascondere all’opinione pubblica gli affari che potrebbero aver concluso a Pechino, per evitare la censura degli altri 27 Stati membri dell’UE, molti dei quali sono sicuramente molto gelosi dei possibili successi francesi in questi tempi di sanzioni alla Russia e di minacce di sanzioni secondarie agli amici della Russia.

Tra poco darò un’occhiata all’interessante notizia che ieri ha scosso i commentatori dei media occidentali, e presumibilmente anche il loro pubblico: l’intervista che Emmanuel Macron ha rilasciato ai giornalisti di Politico.eu e Les Echos. Prima, però, desidero richiamare l’attenzione su come la televisione di Stato russa ha presentato la visita di Macron in Cina al suo pubblico nazionale. Dall’inizio alla fine.

La differenza sostanziale è che i principali talk show politici russi, Sixty Minutes e Evening with Vladimir Solovyov, che mescolano la presentazione di video tratti da media mainstream per lo più occidentali e i commenti di esperti, hanno dato la parola a sinologi professionisti. Tra questi spiccava Nikolai Nikolaevich Vavilov. Il trentottenne Vavilov si è imposto come un’autorità pronta a trasmettere al pubblico televisivo ciò che i cinesi comunicano sia a parole che con il linguaggio del corpo in riferimento alla cultura tradizionale del Regno di Mezzo. Persino il prepotente conduttore televisivo Solovyov ha taciuto e ha lasciato che fosse Vavilov a parlare.

Va detto che Vavilov si è laureato all’Università Statale di San Pietroburgo. Il suo sito web ci informa che nel corso di dieci anni ha studiato e lavorato in varie regioni della Cina. Già durante gli anni dell’università è stato inviato in Cina dal suo consigliere di facoltà per partecipare a uno scambio di studi da Stato a Stato. Dal 2008 al 2013 ha lavorato per aziende commerciali e manifatturiere russe in tre province cinesi. Dal 2013 al 2015 ha lavorato presso l’agenzia di informazione statale cinese Xinhua. È autore di due libri in lingua russa, Uncrowned kings of Red China (2016) e The Chinese Authorities (2021).

Cosa ha detto Vavilov alla televisione russa sulla visita di Macron? In primo luogo, in contrasto con i notiziari occidentali, ancor prima che Macron atterrasse a Pechino, Vavilov ha spiegato che i cinesi hanno permesso che il viaggio andasse avanti, nonostante le intenzioni pubblicamente dichiarate dai visitatori di fargli la predica, cosa profondamente offensiva e che fa riemergere amari ricordi della dominazione coloniale del XIX secolo, perché la Cina aveva i suoi piani per il risultato. Questi erano quelli di ricordare alla Francia i vantaggi economici del rimanere politicamente amichevole con Pechino e di bloccare importanti progetti con le principali società francesi che possono portare in Cina nuove importanti tecnologie.

Vavilov ha anche sottolineato che la conversazione telefonica pubblicizzata di Macron con Joe Biden prima di partire per Pechino lo ha fatto apparire come un burattino di Washington agli occhi dei suoi ospiti cinesi. La loro massima priorità sarebbe quella di rompere questo rapporto.

Nel corso della visita, Vavilov e altri hanno fornito dettagli rilevanti sulle diverse accoglienze riservate a Macron e alla von der Leyen. Abbiamo appreso con sorpresa che la von der Leyen non si è recata in Cina con il jet di Macron. È arrivata invece con un volo commerciale. All’arrivo, non è stato steso alcun tappeto rosso per lei, non c’erano guardie d’onore militari e alti funzionari cinesi ad accoglierla. Ha semplicemente ricevuto il trattamento standard dei VIP all’interno della sala arrivi. Quando Xi ha ricevuto Macron e la von der Leyen per un colloquio congiunto, i due erano seduti a un tavolo rotondo molto grande, a diversi metri di distanza l’uno dall’altro. Si trattava di una disposizione simile a quella che Vladimir Putin aveva adottato per i suoi incontri con Scholz e altri a Mosca durante l’apice della crisi del Covid. Tuttavia, la Cina si è lasciata Covid alle spalle e la particolare distanza dei posti a sedere all’incontro serviva a sottolineare la distanza politica delle parti, soprattutto quella della von der Leyen.

Nessun dettaglio era troppo piccolo per sfuggire ai commenti degli esperti russi. L’insolito colore blu del panno che copriva il tavolo della riunione sarebbe stato inteso sia come un riferimento allo sfondo blu della bandiera dell’Unione Europea, appesa al muro, sia come un riferimento a uno stato di lutto, dal momento che il blu è il tessuto legato alle bare dei defunti in Cina per la cerimonia di sepoltura.

Allo stesso tempo, va detto che i media russi non hanno detto una parola su eventuali accordi commerciali conclusi dalla delegazione francese. Il muro del silenzio su questa vicenda sembra essere stato davvero molto efficace.

La Von der Leyen ha ricevuto un’agenda molto scarna durante il suo soggiorno a Pechino. È stata esclusa dai grandi banchetti e dagli altri eventi principali della visita di Stato di Macron. Nulla di tutto ciò è sfuggito alla delegazione imprenditoriale o ai giornalisti francesi e stranieri che hanno seguito la visita. In breve, è stata ridimensionata.

La prova che la Cina aveva una propria agenda per la visita di Stato di Macron e che l’ha avuta ampiamente vinta, mentre l’agenda politica dei visitatori è fallita, è arrivata ieri con la pubblicazione di un’intervista che Emmanuel Macron ha rilasciato a Politico e Les Echos nel corso di due voli sull’Air Force One francese. Una tratta di volo è stata da Pechino a Guangzhou, nel sud della Cina. L’altra è stata sul volo di ritorno a Parigi.

Si veda: https//www.politico.eu/article/emmanuel-macron-china-america-pressure-interview/ e https://www.lesechos.fr/monde/enjeux-internationaux/emmanuel-macron-lautonomie-strategique-doit-etre-le-combat-de-leurope-1933493.

Confrontando le due pubblicazioni, l’articolo di Les Echos è più sostanzioso. Tuttavia, di seguito utilizzerò il testo inglese di Politico come materiale di base.

Data la preparazione anticipata a questo epilogo della visita, i media russi hanno preso con filosofia ciò che Macron ha detto ai giornalisti, mentre i media occidentali stanno ancora riverberando lo choc che Macron ha dato nell’incontro informale con i giornalisti.

L’Europa deve resistere alle pressioni per diventare “seguace dell’America”, dice Macron. Il ‘grande rischio’ che corre l’Europa è di rimanere ‘invischiata in crisi che non sono nostre’, dice il presidente francese in un’intervista”. Questo è il titolo e il sottotitolo che Politico ha assegnato alla sintesi dell’intervista.

Il sito cita più diffusamente Macron per quanto riguarda la “crisi” che ha in mente:

Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America. La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina…

In un’altra parte del testo, Politico ha riassunto alcuni punti chiave delle osservazioni di Macron che meritano di essere citati:

Macron ha anche sostenuto che l’Europa ha aumentato la sua dipendenza dagli Stati Uniti per le armi e l’energia e deve ora concentrarsi sul potenziamento delle industrie di difesa europee.

Ha anche suggerito che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dall'”extraterritorialità del dollaro americano”, un obiettivo politico chiave sia di Mosca che di Pechino.

Se le tensioni tra le due superpotenze si surriscaldano… non avremo né il tempo né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli”, ha dichiarato.

In un inciso per i lettori alla fine dell’articolo, Politico spiega che l’Eliseo aveva insistito sul diritto di “correggere” tutte le citazioni del presidente che avrebbe pubblicato come condizione per concedere l’intervista. L’Eliseo ha acconsentito, ma, come si legge qui: “Le citazioni riportate in questo articolo sono state tutte effettivamente pronunciate dal presidente, ma alcune parti dell’intervista in cui il presidente ha parlato ancora più francamente di Taiwan e dell’autonomia strategica dell’Europa sono state tagliate dall’Eliseo”.

Guardando l’articolo più esteso di Les Echos, richiamo l’attenzione sulle dichiarazioni piuttosto importanti attribuite a Macron per quanto riguarda l’autonomia strategica dell’Europa:

Il paradosso è che la presa americana sull’Europa è più forte che mai…

Abbiamo certamente aumentato la nostra dipendenza dagli Stati Uniti nel settore dell’energia, ma nella logica della diversificazione, perché eravamo troppo dipendenti dal gas russo. Oggi, il fatto è che dipendiamo di più dagli Stati Uniti, dal Qatar e da altri. Ma questa diversificazione era necessaria.

Per il resto, bisogna tenere conto degli effetti della riprogettazione. Per troppo tempo l’Europa non ha costruito l’autonomia strategica per la quale mi sono battuto. Ora la battaglia ideologica è stata vinta e i fondamenti sono stati fissati. C’è un prezzo da pagare per questo, ed è normale. È come per la reindustrializzazione francese: abbiamo vinto la battaglia ideologica, abbiamo fatto le riforme, sono dure, e cominciamo a vederne i risultati, ma allo stesso tempo stiamo pagando per la ceramica rotta di ciò che non abbiamo fatto per vent’anni. Questa è la politica! Bisogna mantenere la rotta.

A questo vorrei aggiungere un’altra citazione di Macron riportata da Les Echos che è rilevante per la discussione odierna:

Joe Biden è solo una versione più educata di Donald Trump?

È attaccato alla democrazia, ai principi fondamentali, alla logica internazionale; e conosce e ama l’Europa. Tutto questo è essenziale. D’altra parte, si inserisce nella logica bipartisan americana che definisce gli interessi americani come priorità numero 1 e la Cina come priorità numero 2. Questo va criticato? Questo va criticato? No, ma dobbiamo tenerne conto.

Ho inserito queste ampie citazioni perché ritengo che dimostrino come Emmanuel Macron abbia un’eccessiva intellettualizzazione dei processi politici. Nelle sue osservazioni ai giornalisti ha persino fatto un riferimento al pensatore marxista italiano Antonio Gramsci. Non c’è dubbio che la maggior parte di loro sia rimasta sconcertata.

Il punto è che Macron vive in un mondo parallelo. Le uova si rompono quando si fa una frittata è il suo punto di vista su come è stata approvata la riforma delle pensioni. Sembra essere altrettanto indifferente alla realtà oggettiva in ambito geopolitico. Non riesco a capire come possa dire che l’Europa potrebbe diventare un vassallo se questo o quello dovesse accadere, e non vedere lo status attuale dell’Europa come inequivocabilmente quello di un vassallo rispetto all’egemone statunitense. Questa ottusità deve essere trasferita nella sua valutazione delle relazioni con la Cina e nel modo in cui ha condotto le conversazioni con Xi tête-à-tête per quasi sei ore con la sola presenza di interpreti.

Macron si considera ovviamente un uomo del destino. Questo è stato palesemente chiaro già all’inizio del suo primo mandato, quando ha pronunciato il suo discorso a una sessione congiunta del Congresso e si è posto in linea con l’unico altro francese ad essere stato così onorato, il generale De Gaulle. La domanda è quale destino lo attende. Sarà la ghigliottina, in senso figurato?

Concludo questo esame del “residuo secco” della visita di Macron in Cina citando un articolo apparso sul Financial Times di oggi.

“Emmanuel Macron’s Taiwan remarks spark international backlash”, scritto dai giornalisti del FT a Parigi, Bruxelles e Washington. I passaggi chiave sono i seguenti:

Il presidente francese Emmanuel Macron è stato messo sotto tiro per aver detto che l’Europa dovrebbe prendere le distanze dalle crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina su Taiwan e forgiare la propria indipendenza strategica su tutto, dall’energia alla difesa.

Diplomatici e legislatori statunitensi e dell’Europa centrale e orientale hanno rimproverato a Macron di essere morbido nei confronti di Pechino e preoccupantemente critico nei confronti degli Stati Uniti, soprattutto se si considera che Washington è stato un convinto sostenitore dell’Europa nell’affrontare le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Gli analisti hanno trovato i commenti particolarmente inopportuni, dato che la Cina sta effettuando esercitazioni militari su larga scala nello stretto di Taiwan in risposta alla visita del presidente taiwanese negli Stati Uniti la scorsa settimana….

…il viaggio ha suscitato malessere in alcuni ambienti anche per il modo in cui il presidente francese è stato accompagnato da una grande delegazione di leader commerciali e per l’annuncio di un lucroso accordo in Cina da parte del produttore francese di jet Airbus.

Tutto ciò dimostra che, con o senza la copertura di avere al suo fianco il Presidente della Commissione europea, anche senza la divulgazione pubblica dei risultati ottenuti dalla delegazione imprenditoriale, Emmanuel Macron non è riuscito a evitare le critiche degli altri Stati membri dell’UE, guidati ovviamente dai Paesi baltici e dall’Europa dell’Est, per la sua visita di Stato in Cina più di quanto non sia riuscito a fare il Cancelliere Scholz lo scorso novembre, quando non ha preso alcuna precauzione per proteggere gli interessi commerciali della Germania durante l’incontro con Xi. Noto che l’accordo di Airbus era stato annunciato una settimana prima del viaggio, presumibilmente per evitare imbarazzi durante la visita stessa. L’accordo era incentrato sulla creazione di una seconda linea di produzione Airbus in Cina, raddoppiando la produzione esistente. Si presume che ci sia anche una lettera di intenti per l’acquisto di un certo numero di aeromobili Airbus da Tolosa.

©Gilbert Doctorow, 2023

https://gilbertdoctorow.com/2023/04/11/the-dry-residue-from-macrons-visit-to-china/

Dichiarazione congiunta tra la Repubblica francese e la Repubblica popolare cinese.

Pubblicata il 7 aprile 2023

Parte del dossier :

Visita di Stato in Cina.

Contenuto

1

Rafforzare il dialogo politico e promuovere la fiducia politica reciproca

2

Lavorare insieme per promuovere la sicurezza e la stabilità nel mondo

3

Promuovere gli scambi economici

4

Incrementare gli scambi umani e culturali

5

Rispondere congiuntamente alle sfide globali

Su invito del Presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping, il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron si è recato in visita di Stato nella Repubblica popolare cinese dal 5 al 7 aprile 2023. Alla vigilia del 60° anniversario dell’istituzione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Francia, i due capi di Stato hanno ricordato le solide fondamenta delle relazioni tra i due Paesi e l’amicizia tra i due popoli. Hanno discusso approfonditamente i loro punti di vista sulle relazioni bilaterali, sulle relazioni UE-Cina e sulle principali questioni regionali e internazionali, decidendo di lanciare nuove prospettive per la cooperazione franco-cinese e di cercare un nuovo impulso per le relazioni UE-Cina, in linea con le dichiarazioni congiunte adottate il 9 gennaio 2018, il 25 marzo 2019 e il 6 novembre 2019.

 

Rafforzare il dialogo politico e promuovere la fiducia politica reciproca

  1. Francia e Cina manterranno incontri annuali tra i due capi di Stato.

 

  1. La Francia e la Cina sottolineano l’importanza degli scambi ad alto livello, del loro dialogo strategico, del loro dialogo economico e finanziario ad alto livello e del loro dialogo ad alto livello sugli scambi umani per promuovere lo sviluppo della loro cooperazione bilaterale e concordano di tenere una nuova sessione di questi dialoghi entro la fine dell’anno.

 

  1. La Francia e la Cina riaffermano la volontà di continuare a sviluppare il loro stretto e solido partenariato strategico globale sulla base del rispetto reciproco della loro sovranità, integrità territoriale e dei loro principali interessi.

 

  1. La Francia e la Cina convengono di approfondire gli scambi su questioni strategiche e, in particolare, di approfondire il dialogo tra il Teatro meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese e il Comando delle Forze francesi nell’area Asia-Pacifico (ALPACI), al fine di rafforzare la comprensione reciproca delle questioni di sicurezza regionale e internazionale.

 

  1. La Cina, nell’anno del 20° anniversario dell’istituzione del partenariato strategico globale Cina-UE, ribadisce il suo impegno per lo sviluppo delle relazioni UE-Cina, incoraggia gli scambi ad alto livello per promuovere la convergenza di vedute su questioni strategiche, potenziare gli scambi umani, affrontare congiuntamente le sfide globali e promuovere la cooperazione economica in modo proattivo ed equilibrato. La Francia, in quanto Stato membro dell’Unione europea, condivide questi orientamenti e vi contribuirà.

 

  1. La Francia riafferma il suo impegno a favore della politica di una sola Cina.

 

Promuovere insieme la sicurezza e la stabilità nel mondo

  1. Francia e Cina, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, collaborano per trovare soluzioni costruttive, basate sul diritto internazionale, alle sfide e alle minacce alla sicurezza e alla stabilità internazionali. Credono che le differenze e le controversie tra gli Stati debbano essere risolte pacificamente attraverso il dialogo e la consultazione. Cercano di rafforzare il sistema internazionale multilaterale sotto l’egida delle Nazioni Unite in un mondo multipolare.

 

  1. Francia e Cina ribadiscono la loro adesione alla Dichiarazione congiunta dei Capi di Stato e di Governo di Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti (P5) del 3 gennaio 2022 per prevenire la guerra nucleare ed evitare la corsa agli armamenti. Come si legge nella dichiarazione, “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”. Entrambi i Paesi chiedono di astenersi da qualsiasi azione che possa aggravare il rischio di tensioni.

 

  1. I due Paesi intendono rafforzare il coordinamento e la cooperazione per preservare congiuntamente l’autorità e l’efficacia del regime di controllo degli armamenti e di non proliferazione e per far progredire il processo internazionale di controllo degli armamenti. La Francia e la Cina ribadiscono il loro impegno a promuovere in modo equilibrato i tre pilastri del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), ossia il disarmo nucleare, la non proliferazione nucleare e l’uso pacifico dell’energia nucleare, e a rafforzare costantemente l’universalità, l’autorità e l’efficacia del TNP.

 

  1. Entrambe le parti sostengono tutti gli sforzi per ripristinare la pace in Ucraina sulla base del diritto internazionale e degli scopi e principi della Carta delle Nazioni Unite.

 

  1. Entrambe le parti si oppongono agli attacchi armati contro le centrali nucleari e altri impianti nucleari pacifici, sostengono l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) nei suoi sforzi per svolgere un ruolo costruttivo nella promozione della sicurezza degli impianti nucleari pacifici, compresa la garanzia della sicurezza dell’impianto di Zaporizhia.

 

  1. Entrambi i Paesi sottolineano l’importanza del rigoroso rispetto del diritto umanitario internazionale da parte di tutte le parti in conflitto. Chiedono in particolare la protezione delle donne e dei bambini, vittime del conflitto, e l’aumento degli aiuti umanitari nelle aree di conflitto, nonché la fornitura di un accesso sicuro, rapido e senza ostacoli per l’assistenza umanitaria in conformità con gli impegni internazionali.

 

  1. I due Paesi continueranno le loro consultazioni nel quadro del dialogo strategico franco-cinese.

 

  1. La conclusione del Piano d’azione congiunto globale sulla questione nucleare iraniana (JCPoA) nel 2015 è stato un importante risultato della diplomazia multilaterale. Francia e Cina ribadiscono il loro impegno a promuovere una soluzione politica e diplomatica sulla questione nucleare iraniana. Ribadiscono il loro impegno a lavorare per preservare il regime internazionale di non proliferazione nucleare e l’autorità e l’efficacia delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Ribadiscono il loro sostegno all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica in questo contesto.

 

  1. Francia e Cina proseguiranno le strette consultazioni sulla penisola coreana.

 

  1. I due Paesi concordano di proseguire gli scambi attraverso il dialogo franco-cinese sulle questioni cibernetiche.

 

Promuovere gli scambi economici

  1. La Francia e la Cina si impegnano a garantire condizioni di concorrenza eque e non discriminatorie per le imprese, in particolare nei settori della cosmesi, dei prodotti agricoli e agroalimentari, della gestione del traffico aereo, della finanza (banche, assicurazioni, gestori patrimoniali), della sanità (attrezzature mediche, vaccini), dell’energia, degli investimenti e dello sviluppo sostenibile. A tal fine, i due Paesi si stanno adoperando per creare un ambiente favorevole alla cooperazione commerciale, per migliorare l’accesso delle imprese ai rispettivi mercati, per migliorare il contesto imprenditoriale e per garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di tutte le imprese di entrambi i Paesi. Nel campo dell’economia digitale, compreso il 5G, la parte francese si impegna a continuare a trattare le richieste di licenza delle aziende cinesi in modo equo e non discriminatorio sulla base delle leggi e dei regolamenti, compresi quelli relativi alla sicurezza nazionale, di entrambi i Paesi.

 

  1. La Francia e la Cina intendono continuare a rafforzare la loro cooperazione pragmatica in tutte le aree del settore dei servizi e sostenere gli scambi economici e commerciali tra le istituzioni e le imprese di entrambi i Paesi sulla base del reciproco vantaggio, al fine di promuovere lo sviluppo del commercio dei servizi. La Francia è pronta ad accettare l’invito a partecipare alla Fiera internazionale dei servizi della Cina del 2024 (CIFTIS) come ospite d’onore.

 

  1. La Cina e la Francia desiderano intensificare il loro partenariato nei settori agricolo, agroalimentare, veterinario e fitosanitario. Accolgono con favore la garanzia di accesso al mercato per i prodotti a base di carne di maiale, l’apertura del mercato per il baby kiwi e per le proteine lattiero-casearie nell’alimentazione animale, nonché l’approvazione di 15 stabilimenti per l’esportazione di carne di maiale. Le autorità competenti di entrambi i Paesi risponderanno quanto prima alle future richieste di approvazione di aziende che esportano prodotti agricoli e agroalimentari, tra cui la carne e l’acquacoltura, alle richieste di registrazione di ricette a base di latte per lattanti, che soddisfano i requisiti delle rispettive leggi e regolamenti sulla sicurezza alimentare, nonché alle richieste di apertura del mercato presentate dalle rispettive autorità. Le due parti proseguiranno gli scambi e la cooperazione nei settori del bestiame da latte e del vino, nonché sulle indicazioni geografiche (IG), in particolare per la registrazione delle IG per i vini della Borgogna. La Francia sosterrà la richiesta della Cina di aderire all’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV) il prima possibile, nonché l’organizzazione da parte della Cina di una conferenza internazionale sul settore vinicolo.

 

  1. 20. La Francia e la Cina accolgono con favore la conclusione di un accordo sulle condizioni generali che concretizza l’acquisto da parte di società cinesi di 160 aerei Airbus. Esamineranno a tempo debito le esigenze delle compagnie aeree cinesi, in particolare in termini di voli cargo e a lungo raggio, alla luce della ripresa e dello sviluppo del mercato dei trasporti e della flotta cinese. Entrambe le parti accolgono con favore il rafforzamento della cooperazione tra l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) e l’Amministrazione dell’aviazione civile cinese (CAAC) e continueranno ad accelerare il processo di certificazione sulla base di standard di sicurezza internazionali reciprocamente riconosciuti, in particolare per quanto riguarda i programmi H175, Falcon 8X e Y12F. Accolgono con favore la conclusione di un accordo tra le compagnie di entrambi i Paesi sui carburanti sostenibili per aerei. Continuano inoltre a perseguire la cooperazione industriale, compreso il progetto della nuova linea di assemblaggio Airbus a Tianjin.

 

  1. 21. La Francia e la Cina sostengono il ripristino della connettività aerea al livello precedente alla pandemia il più presto possibile, in modo coordinato tra le autorità dell’aviazione civile e in vista di un ritorno all’applicazione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica Popolare Cinese e il Governo della Repubblica Francese sul Trasporto Aereo, firmato il 1° giugno 1966, e dei relativi accordi sulla libertà aerea. Alle compagnie di entrambe le bandiere devono essere date eque e pari opportunità di operare voli tra i due Paesi. Essi sosterranno l’approfondimento degli scambi umani ed economici, compresa la facilitazione dei visti per il settore privato e la comunità imprenditoriale.

 

  1. Entrambe le parti accolgono con favore la cooperazione tra le istituzioni spaziali dei due Paesi sulla navicella Chang’e 6 e sugli studi congiunti di campioni extraterrestri.

 

  1. Nel desiderio comune di passare a un sistema energetico decarbonizzato, Francia e Cina stanno sviluppando una cooperazione pragmatica nel campo dell’energia nucleare civile nell’ambito dell’Accordo di cooperazione per gli usi pacifici dell’energia nucleare tra i due governi. I due Paesi sono impegnati a portare avanti la cooperazione nucleare su questioni di ricerca e sviluppo all’avanguardia, in particolare sulla base dell’accordo tra l’Autorità cinese per l’energia atomica (CAEA) e la Commissione francese per l’energia atomica (CEA). I due Paesi sostengono lo studio da parte delle aziende di entrambi i Paesi della possibilità di rafforzare la loro cooperazione industriale e tecnologica, in particolare sulla questione del ritrattamento delle scorie nucleari.

 

  1. La Cina e la Francia accolgono con favore i risultati raggiunti dall’accordo intergovernativo del 2015 sui partenariati nei mercati terzi. Entrambe le parti stanno lavorando al follow-up e all’attuazione dei progetti di cooperazione nei mercati terzi già individuati. Entrambi i governi incoraggiano le imprese, le istituzioni finanziarie e gli altri attori a esplorare nuovi progetti di cooperazione economica strutturata nei mercati terzi, sulla base degli elevati standard internazionali applicabili.

 

Potenziamento degli scambi umani e culturali

  1. 25. Preoccupate di promuovere la protezione e la valorizzazione della diversità delle espressioni culturali nel mondo, la Francia e la Cina sostengono l’approfondimento della loro cooperazione nel campo della creazione e della valorizzazione delle opere culturali e incoraggeranno una ripresa dinamica degli scambi e della cooperazione in campo culturale e turistico. I due Paesi accolgono con favore la conclusione di una dichiarazione d’intenti sulla cooperazione nel campo della cultura tra i due Ministeri della Cultura.

 

  1. Entrambe le parti co-organizzeranno l’Anno franco-cinese del turismo culturale nel 2024 e sosterranno l’organizzazione di eventi di alta qualità in Francia e in Cina, in particolare tra il Castello di Versailles e la Città Proibita e tra il Centre Pompidou e il West Bund Museum. Entrambe le parti si impegnano a facilitare la circolazione delle mostre nel rispetto delle leggi di entrambi i Paesi, in particolare per quanto riguarda gli aspetti doganali e logistici, e si adopereranno per garantire l’integrità e la restituzione delle opere esposte al pubblico nell’ambito delle mostre sostenute.

 

  1. Entrambe le parti riaffermano la volontà di rafforzare la cooperazione nel campo delle industrie culturali e creative e il loro potenziale di diffusione al più ampio pubblico possibile, in particolare nei settori della letteratura, del cinema, del documentario televisivo, dell’editoria (compresi i videogiochi), della musica, dell’architettura e delle tecnologie digitali attraverso coproduzioni, partenariati per i diritti d’autore, concorsi e scambi di artisti

 

  1. 28. La Francia e la Cina si impegnano a intensificare la loro cooperazione bilaterale nel campo della protezione, del restauro e della valorizzazione del patrimonio culturale. I due Paesi accolgono con favore la conclusione di una tabella di marcia sulla cooperazione in materia di patrimonio culturale, in particolare per quanto riguarda la presenza di esperti cinesi accanto a équipe francesi nel cantiere di restauro della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, la cooperazione per la protezione, il restauro e lo studio dell’esercito di terracotta, i progetti di cooperazione intorno al Tempio di Gongshutang e alla Tomba di Maoling e la promozione di gemellaggi tra siti francesi e cinesi del Patrimonio mondiale. I due Paesi proseguiranno gli sforzi congiunti per prevenire e combattere i furti, gli scavi clandestini, l’importazione e l’esportazione illecita di beni culturali. Ribadiscono il loro pieno sostegno alla Fondazione ALIPH per la protezione del patrimonio nelle zone di conflitto.

 

  1. La Francia e la Cina riaffermano l’importanza che attribuiscono alla cooperazione per l’insegnamento della lingua dell’altro, attraverso la quale si forgiano l’amicizia e la comprensione reciproche. Si adopereranno per rinnovare l’Accordo di cooperazione linguistica tra i due governi firmato nel giugno 2015, incoraggeranno lo sviluppo dell’insegnamento delle due lingue nelle scuole di entrambe le parti e la moltiplicazione dei corsi bilingui, e promuoveranno gli scambi e la formazione degli insegnanti di lingue.

 

  1. Francia e Cina ribadiscono il loro impegno a rafforzare la cooperazione nel campo dell’istruzione superiore e della formazione professionale. Incoraggeranno lo sviluppo di partenariati tra istituti di istruzione superiore, come gli istituti franco-cinesi, e promuoveranno insieme la ripresa reciproca della mobilità di studenti e insegnanti. Faciliteranno inoltre gli scambi tra scuole. A tal fine, le due parti istituiranno una procedura di visto agevolata per questi pubblici. Le due parti organizzeranno al più presto una nuova sessione della commissione mista franco-cinese sull’istruzione.

 

  1. I due Capi di Stato convengono che la prossima Commissione mista franco-cinese sulla scienza e la tecnologia si terrà al più presto per definire le principali linee guida della cooperazione scientifica bilaterale e del “Centro congiunto franco-cinese per la neutralità del carbonio”, destinato a promuovere la cooperazione scientifica e tecnologica nel campo della neutralità del carbonio. Francia e Cina intendono promuovere lo scambio di ricercatori, in particolare attraverso il programma di partenariato scientifico franco-cinese (partenariato Hubert Curien – Cai Yuanpei). Le due parti intendono inoltre proseguire l’attuazione del programma “Giovani talenti Francia-Cina” per rafforzare gli scambi tra i giovani ricercatori di entrambi i Paesi e promuovere la cooperazione nei settori prioritari e lo sviluppo di attività di ricerca congiunte.

 

  1. 32. In vista dei Giochi Olimpici e Paraolimpici di Parigi del 2024, i due Capi di Stato desiderano fare dello sport un elemento importante delle relazioni bilaterali, in particolare per quanto riguarda gli scambi di giovani sportivi, lo sviluppo di infrastrutture sportive e la condivisione di competenze nell’industria sportiva.

 

Affrontare insieme le sfide globali

  1. Nel contesto delle crisi alimentari che, secondo le Nazioni Unite, colpiranno 323 milioni di persone entro il 2022, entrambe le parti si impegnano a preservare la stabilità del mercato, a evitare restrizioni ingiustificate alle esportazioni di fattori di produzione e prodotti agricoli e a rendere più fluide le catene di approvvigionamento alimentare globali, a partire dalla facilitazione delle esportazioni di cereali e fertilizzanti. Entrambe le parti stanno lavorando per raggiungere questi obiettivi, anche attraverso l’iniziativa FARM (Food and Agriculture Resilience Mission) e la China Global Food Security Initiative.

 

  1. 34. Francia e Cina concordano sull’importanza di aumentare il sostegno ai Paesi più colpiti dalla crisi alimentare, compresi i partner africani, per costruire sistemi alimentari resilienti e sostenibili. A questo proposito, entrambe le parti intendono promuovere la cooperazione internazionale contro la perdita e lo spreco di cibo e per la produzione locale. A tal fine, forniranno un sostegno congiunto alle organizzazioni responsabili di affrontare il problema dell’insicurezza alimentare, in particolare l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD) e il Programma alimentare mondiale (PAM), nonché alle istituzioni finanziarie multilaterali e bilaterali e ai donatori.

 

  1. La Francia e la Cina sottolineano il loro sostegno al sistema commerciale multilaterale basato sulle regole e incentrato sull’OMC, si impegnano a costruire un ambiente commerciale e di investimento libero, aperto, trasparente, inclusivo e non discriminatorio, appoggiano la necessaria riforma dell’OMC e sostengono un esito positivo della 13a Conferenza ministeriale dell’OMC.

 

  1. 36. La Francia e la Cina intendono cooperare per affrontare le difficoltà di accesso ai finanziamenti nelle economie emergenti e in via di sviluppo e per incoraggiare un’accelerazione della loro transizione energetica e climatica, sostenendo al contempo il loro sviluppo sostenibile. La Cina parteciperà al Vertice per un nuovo accordo finanziario globale che si terrà a Parigi nel giugno 2023. La Francia parteciperà al terzo Forum “Belt and Road” per la cooperazione internazionale.

 

  1. I due Paesi concordano di rafforzare la cooperazione nell’ambito del G20, in modo che il G20 svolga il suo ruolo di forum principale per la cooperazione economica globale e lavori, in conformità con gli impegni assunti dai leader al Vertice di Bali, per far avanzare la riforma del sistema monetario e finanziario internazionale.

 

  1. 38. Francia e Cina sostengono l’attuazione del Quadro comune per l’alleggerimento del debito adottato dal G20 e dal Club di Parigi, a cui hanno aderito nel novembre 2020, in un contesto di fragilità dei Paesi in via di sviluppo. Entrambe le parti ribadiscono il loro impegno per un’attuazione tempestiva, prevedibile, ordinata e coordinata del Quadro comune e il loro sostegno all’agenda del debito adottata in occasione della riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali del G20 nel febbraio 2023.

 

  1. Entrambe le parti accolgono con favore l’approvazione da parte del Vertice del G20 di Bali degli impegni di allocazione volontaria dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP) e invitano i membri del G20 e gli Stati disposti a incrementare la loro mobilitazione, con un aumento dello sforzo al 30% dei DSP mobilitati per i Paesi del G20, al fine di raggiungere rapidamente l’obiettivo di 100 miliardi di dollari adottato al Vertice del G20 di Roma.

 

  1. Il clima, la biodiversità e la lotta al degrado del territorio sono tra le priorità condivise da Francia e Cina. Entrambi i Paesi si impegnano a perseguire un elevato livello di ambizione in linea con l’Appello all’azione di Pechino lanciato nel novembre 2019 e nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e del suo Accordo di Parigi, nonché del Quadro globale sulla biodiversità di Kunming-Montreal (di seguito “Quadro di Kunming-Montreal”), la cui adozione nella seconda parte della Convenzione sulla diversità biologica (COP15) è accolta con favore da entrambe le parti. La Cina, assumendo la presidenza della COP15 per i prossimi due anni, intende collaborare attivamente con la Francia per la piena ed efficace attuazione del Quadro di Kunming-Montreal. Francia e Cina accolgono con favore il contributo attivo del Fondo di Kunming e dello strumento che verrà creato nell’ambito del Fondo mondiale per l’ambiente al finanziamento della biodiversità. Entrambi i Paesi accolgono con favore il lavoro presentato al One Forest Summit di Libreville.

 

  1. 41. La Francia e la Cina si impegnano a comunicare entro la COP16 le loro strategie nazionali riviste e i piani d’azione allineati al quadro globale sulla biodiversità. La Cina prenderà favorevolmente in considerazione l’adesione alla High Ambition Coalition for Nature and People. Entrambi i Paesi contribuiscono all’obiettivo di ridurre i sussidi che danneggiano la biodiversità di 500 miliardi di dollari all’anno.

 

  1. Francia e Cina riaffermano i rispettivi impegni di neutralità climatica.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

La rete di influenza pianificata da Lula con i democratici statunitensi servirà gli interessi liberali-globalisti, di ANDREW KORYBKO

La rete di influenza pianificata da Lula con i democratici statunitensi servirà gli interessi liberali-globalisti

ANDREW KORYBKO
14 APR 2023

Lo scopo di questa rete incipiente è presumibilmente quello di sostenere le cosiddette cause “progressiste”, che è un eufemismo per quelle liberal-globaliste che il Partito dei Lavoratori e i Democratici statunitensi, recentemente “svegliati”, condividono. A giudicare dai precedenti di questi ultimi, ciò comporterà probabilmente la propagazione aggressiva di orientamenti sessuali non tradizionali su tutti i membri della società (compresi i bambini), la demonizzazione dei loro avversari politici come “fascisti”, la secolarizzazione forzata della società, la neo-segregazione e le frontiere aperte, ecc.

L’ultima narrativa di disinformazione sul ruolo di Lula negli affari globali

Il presidente brasiliano Lula viene elogiato da tutta la comunità Alt-Media (AMC) per i suoi piani di multipolarità finanziaria con la Cina, dopo aver recentemente accettato di de-dollarizzare il loro commercio e aver criticato aspramente tale valuta durante il suo viaggio nella Repubblica Popolare. Questi sviluppi vengono presentati come una presunta prova della sua opposizione agli Stati Uniti, ma si tratta di un’affermazione controfattuale, come dimostra il suo allineamento politico con gli Stati Uniti contro la Russia nel conflitto geostrategicamente più significativo dalla Seconda Guerra Mondiale.

L’allineamento politico di Lula con gli Stati Uniti contro la Russia per l’Ucraina

Lula ha condannato la Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden, dopo di che ha ordinato al Brasile di sostenere una risoluzione antirussa dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ha poi chiamato Zelensky per riaffermare il suo sostegno all'”integrità territoriale” dell’Ucraina, secondo le richieste stabilite nella risoluzione precedente, affinché la Russia si ritiri completamente e immediatamente da tutti i territori che Kiev rivendica come propri. Inoltre, Lula è ancora indeciso se deportare una presunta spia in Russia o estradarla negli Stati Uniti per affrontare le accuse.

Per saperne di più sugli eventi citati, si vedano le seguenti analisi:

* “Lula ha siglato il suo accordo con il diavolo condannando la Russia durante l’incontro con Biden”.

* “Lula ha appena pugnalato alle spalle Putin ordinando al Brasile di votare contro la Russia alle Nazioni Unite”.

* “La rabbia della Russia per l’ultima risoluzione dell’ONU dimostra che Lula ha sbagliato a sostenerla”.

* Lula ha chiarito nella telefonata con Zelensky di essere contrario all’operazione speciale della Russia”.

* Lula deporterà una sospetta spia in Russia o la estraderà negli Stati Uniti per far fronte alle accuse?

Ovviamente queste non sono le politiche di una persona che si suppone sia contraria agli Stati Uniti.

La superficialità della retorica apparentemente “amica della Russia” di Lula

Tuttavia, Lula ha anche lanciato un paio di colpi di scena per quanto riguarda il suo approccio alla Russia, ordinando al Brasile di votare a favore dell’indagine sull’attacco al Nord Stream al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Si è poi rifiutato di far firmare al suo Paese la “Dichiarazione del Vertice per la Democrazia” con pretesti presumibilmente favorevoli alla Russia. Nello stesso periodo, Lula ha inviato il suo principale consigliere di politica estera a Mosca per colloqui non riportati, al termine dei quali ha suggerito che forse la Russia potrebbe mantenere il controllo della Crimea se si ritirasse da altre regioni.

Nulla di tutto ciò, tuttavia, era come sembrava, come è stato ampiamente spiegato in queste analisi:

* “Il sostegno del Brasile alle indagini sull’attacco al Nord Stream non significa che Lula sia filorusso”.

* “La dichiarazione di Lula sul “Vertice per la democrazia” è uno spettacolo di pubbliche relazioni”.

* “L’incontro tra il principale consigliere di politica estera di Lula e il presidente Putin è stato molto importante”.

* Non fatevi ingannare dalle ultime dichiarazioni di Lula sulla guerra per procura tra NATO e Russia”.

Come si può vedere, questi avvenimenti sono stati solo inventati dai suoi sostenitori per distogliere l’attenzione dalla sua visione del mondo allineata agli Stati Uniti.

Fare luce sull’abbraccio di Lula alla visione liberale-globalista del mondo

Stanno conducendo una guerra ibrida guidata dalla disinformazione per coprire questa realtà “politicamente scomoda”, che ritengono lo screditi agli occhi della sua base e dell’AMC. Certo, i suoi piani di de-dollarizzazione con la Cina dimostrano che Lula conserva ancora una certa autonomia strategica nei confronti degli Stati Uniti, ma condivide comunque la visione del mondo liberal-globalista dei Democratici al governo, che è in contrasto con quella della Russia. Il leader brasiliano è stato anche entusiasticamente appoggiato dal famigerato finanziatore della Rivoluzione Colorata George Soros.

Questo complesso stato di cose è spiegato in questi articoli, che spiegano anche i suoi stretti legami con la Cina:

* “La reazione di Biden alle ultime elezioni in Brasile dimostra che gli Stati Uniti preferiscono Lula a Bolsonaro”.

* Korybko a Sputnik Brasil: Il Partito dei Lavoratori è infiltrato dai liberali-globalisti pro-USA”.

* Korybko a Sputnik Brasile: Gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo decisivo nell’incidente dell’8 gennaio”.

* “La visione multipolare ricalibrata di Lula lo rende compatibile con i grandi interessi strategici degli Stati Uniti”.

* “Il forte sostegno di Soros a Lula scredita le credenziali multipolari del leader brasiliano”.

* L’ultima guerra ibrida contro il Brasile è condotta da forze dichiaratamente pro-Lula”.

* “La de-dollarizzazione del commercio brasiliano-cinese getta ulteriore luce sulla grande strategia di Lula”.

* “La de-ideologizzazione delle relazioni della Russia con l’America Latina merita la massima attenzione”.

Coloro che sfoglieranno almeno le analisi fin qui citate avranno una migliore comprensione del contesto più ampio.

La convergenza tra Lula, i democratici statunitensi, Soros e la CIA

È in questo contesto che Alexander Burns, redattore associato di Politico per gli affari globali, ha pubblicato giovedì il suo esclusivo rapporto bomba. Intitolato “Il piano di Lula: A Global Battle Against Trumpism”, cita alcuni dei democratici statunitensi che hanno incontrato Lula durante il suo viaggio a Washington all’inizio di febbraio per informare il suo pubblico dei piani del leader brasiliano di lanciare una rete di influenza globale in collaborazione con quel partito politico.

Lo scopo è presumibilmente quello di sostenere le cosiddette cause “progressiste”, che è un eufemismo per quelle liberal-globaliste che il Partito dei Lavoratori (PT), recentemente “risvegliato”, e i Democratici statunitensi condividono. A giudicare dai precedenti di questi ultimi, ciò comporterà probabilmente la propagazione aggressiva di orientamenti sessuali non tradizionali a tutti i membri della società (compresi i bambini), la demonizzazione dei loro avversari politici come “fascisti”, la secolarizzazione forzata della società, la neo-segregazione e le frontiere aperte, ecc.

Inoltre, considerando l’entusiastico appoggio di Soros a Lula e la relazione simbiotica tra la CIA e i democratici statunitensi, si dovrebbe dare per scontato che anche la rete di “ONG” del primo e quella di intelligence del secondo giocheranno un ruolo importante in questa incipiente rete di influenza globale. Il vero scopo di questa piattaforma è quello di contrastare con forza la rapida proliferazione di tendenze conservatrici e sovraniste multipolari che rappresentano una minaccia per il liberal-globalismo di Lula e dei Democratici statunitensi.

Spiegazione dello scopo strategico di questa incipiente piattaforma di influenza globale

Spacciata per “trumpismo”, questa visione del mondo piace alla maggioranza della popolazione globale. Le sue ragionevoli restrizioni alle politiche socioculturali radicali, come la propagazione aggressiva di orientamenti sessuali non tradizionali (conservatorismo) e il sostegno al diritto di ogni Stato di gestire i propri affari come vuole (sovranismo) in un ordine internazionale più equo (multipolarismo) risuonano profondamente con loro. Se non controllata, questa tendenza potrebbe infliggere un colpo mortale al liberal-globalismo e consegnarlo alla pattumiera della storia.

Di conseguenza, Lula e i democratici statunitensi hanno un urgente impulso a lanciare la loro rete di influenza globale, secondo quanto riferito, nel disperato tentativo di contrastare questa crescente sfida alla loro ideologia, che potrebbe portare alla deposizione democratica di entrambi durante le prossime elezioni se non viene fermata. Per quanto riguarda la CIA, essa valuta che i rivali degli Stati Uniti sfrutteranno questa tendenza per accelerare il declino della loro egemonia unipolare, ergo il suo naturale interesse a sostenere i piani ideologici di questi due.

Inoltre, la convergenza tra il nuovo PT e i democratici statunitensi fa avanzare l’agenda di lunga data di questa agenzia di spionaggio, che mira a creare una cosiddetta “sinistra compatibile”, che considera una risorsa importante per rafforzare l’egemonia degli Stati Uniti nella sua attuale “sfera di influenza” e per espanderla ulteriormente. Soros condivide la stessa agenda e quindi probabilmente si affiderà al finanziamento di movimenti affini, compresi quelli della Rivoluzione Colorata che destabilizzeranno le società conservatrici-sovraniste multipolari.

Le grandi strategie complementari di Brasile e Stati Uniti nella nuova guerra fredda

Questo approfondimento aggiunge un contesto cruciale all’esclusiva notizia bomba di Politico sull’alleanza ideologico-politica di Lula con i democratici statunitensi, che a sua volta getta ulteriore luce sulla crescente convergenza strategica tra Brasile e Stati Uniti, nonostante le loro divergenze su questioni delicate come il futuro del sistema finanziario globale. Come spiegato nell’analisi precedentemente citata relativa ai suoi piani di de-dollarizzazione, egli prevede che il suo Paese si “bilanci” (per quanto maldestramente) tra Cina e Stati Uniti.

L’aspettativa di Lula è che il Brasile continui a cooperare con la Cina per accelerare il multipolarismo finanziario, parallelamente alla propagazione del liberal-globalismo in tutto il mondo e in particolare in America Latina, in collaborazione con i democratici statunitensi attraverso la loro rete di influenza pianificata. Dal punto di vista degli Stati Uniti, pur disapprovando ovviamente i suoi piani di multipolarismo finanziario, essi hanno comunque da guadagnare cooptando lui e il suo nuovo partito “woke” come volto della “sinistra compatibile” per rafforzare il loro soft power in tutto il mondo.

A livello globale, gli Stati Uniti rafforzeranno la loro “sfera d’influenza” sull’Eurasia attraverso una combinazione di paura nei confronti dei loro rivali geopolitici e di una falsa rappresentazione dei loro proxy liberal-globalisti come gli unici legittimi difensori dei “valori occidentali” nelle loro società. Per quanto riguarda l’America Latina, la “sinistra compatibile” guidata da Lula servirà come punta della lancia ideologica degli Stati Uniti per infiltrarsi nelle loro società, installare i propri delegati politici e, infine, ripristinare con il tempo l’influenza perduta nell’emisfero occidentale.

Riflessioni conclusive

L’AMC ha torto marcio nel sostenere che i piani di de-dollarizzazione di Lula con la Cina significhino che egli si oppone agli Stati Uniti, poiché è ancora politicamente allineato con essi contro la Russia per l’Ucraina e, secondo quanto riferito, sta addirittura lanciando una rete di influenza globale con i suoi Democratici al potere. Pur mantenendo una certa autonomia strategica sugli affari finanziari, egli collabora volontariamente con gli Stati Uniti su questioni geopolitiche e ideologiche, essendo uno dei suoi principali punti di forza in tutto il mondo, grazie alle loro visioni del mondo simili, il che sfata la narrativa dell’AMC.

https://korybko.substack.com/p/lulas-planned-influence-network-with

Le dinamiche strategiche che danno forma alle ultime tensioni sino-indiane sono più pericolose del solito, di ANDREW KORYBKO

Le dinamiche strategiche che danno forma alle ultime tensioni sino-indiane sono più pericolose del solito
ANDREW KORYBKO
11 APR

Le ultime tensioni sino-indiane sono più pericolose del solito, poiché le dinamiche strategiche che le stanno determinando coinvolgono tendenze più ampie che vanno oltre l’ambito dei loro legami bilaterali. Se le cose non si calmano presto, a prescindere dal ruolo della Russia in questo processo, gli eventi potrebbero rapidamente andare fuori controllo fino a un altro stallo di confine o addirittura a scontri letali come nell’estate del 2020.

La più grande linea di confine dei BRICS

La Cina e l’India hanno dispute di confine che durano da decenni e che rimangono tuttora irrisolte, in quanto ciascuna delle due nazioni è fortemente convinta delle proprie rivendicazioni, ma reciprocamente incompatibili. Questa situazione di stallo porta di tanto in tanto a escalation retoriche che caratterizzano le loro complesse relazioni, ma le dinamiche strategiche che hanno dato vita all’ultimo round sono probabilmente molto più pericolose del solito. Il presente articolo intende quindi sensibilizzare l’opinione pubblica su tutto ciò che di diverso c’è questa volta.

Contesto geografico

Per cominciare, la geografia dell’ultima escalation riguarda quello che l’India considera lo Stato dell’Arunachal Pradesh, sotto il suo controllo da decenni, ma che la Cina considera il Tibet meridionale e che ha controllato solo brevemente durante la guerra del 1962. Questo è diverso dallo stallo dell’estate 2017 sulla porzione di territorio vicino al Bhutan che l’India chiama Doklam ma la Cina chiama Donglang. È anche sul lato opposto dell’Himalaya rispetto a quello in cui si sono verificati scontri letali nell’estate del 2020.

All’epoca, India e Cina si contendevano parte di quello che la prima considera il territorio dell’unione del Ladakh e la seconda l’Aksai Chin, entrambi sotto il controllo dell’ex Stato principesco del Jammu e Kashmir. Il più grande cambiamento avvenuto nei due anni e mezzo trascorsi da allora è l’accelerazione senza precedenti della transizione sistemica globale verso il multipolarismo provocata dall’inizio dell’operazione speciale della Russia in Ucraina e dalla reazione dell’Occidente ad essa.

Contesto sistemico globale

Nel corso dell’ultimo anno, le relazioni internazionali hanno iniziato a triforcarsi tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, quella che oggi può essere descritta come l’Intesa sino-russa, e il Sud globale guidato informalmente dall’India. Ha iniziato a prendere forma una serie molto complicata di triangolazioni, le cui origini sono precedenti all’ultima fase della suddetta transizione sistemica, ma che sono state sempre più solidificate da queste dinamiche.

Attualmente: Russia e Cina si alleano per accelerare la caduta dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti; India e Stati Uniti lavorano insieme per tenere sotto scacco la Cina in Asia; Russia e India cooperano in modo globale per scongiurare preventivamente la dipendenza potenzialmente sproporzionata di Mosca dalla Cina; Cina e India si contendono i cuori e le menti del Sud globale; la Russia prevede che il formato trilaterale tra sé, India e Cina (RIC) diventi il fulcro dei processi multipolari in Eurasia.

Contesto economico

In mezzo a questa imminente triforcazione e alle triangolazioni che ne derivano, c’è anche un contesto economico in rapida evoluzione da considerare. La guerra commerciale dell’amministrazione Trump con la Cina ha destabilizzato la globalizzazione, dopo la quale i blocchi della COVID-19 e le relative interruzioni della catena di approvvigionamento hanno gettato tutto nel caos. La ripresa economica è stata poi impedita dall’escalation delle tensioni russo-occidentali dello scorso anno, dopo che le sanzioni unilaterali di quest’ultimo hanno catalizzato le crisi alimentari e dei carburanti in tutto il Sud globale.

La crescita della Cina è rimasta molto bassa, in parte a causa della sua rigida politica di “zero-COVID”, mentre quella dell’India è stata stimata dall’OCSE pari al doppio di quella del suo vicino settentrionale. Secondo l’ultimo rapporto di un importante think tank cinese, entrambi dovrebbero rappresentare circa la metà della crescita globale nel prossimo anno. L’India, inoltre, supererà presto la Cina in termini di popolazione, se non l’ha già fatto, e sta diventando sempre più una delle principali destinazioni del cosiddetto “reshoring” per le imprese occidentali provenienti dalla Cina.

Un’ottica scomoda

La triplicazione delle relazioni internazionali, le conseguenti triangolazioni tra gli attori chiave e il contesto economico in rapida evoluzione hanno contribuito a rafforzare i sentimenti ideologici e/o nazionalisti (patriottici) di ciascuna parte in causa, che si affanna a trovare il proprio posto in questo ordine mondiale emergente. Ciò ha indurito le rivendicazioni reciprocamente incompatibili di Cina e India, la cui tendenza è attualmente influenzata da altri due fattori significativi.

La presidenza indiana del G20 di quest’anno ha visto Delhi decidere di ospitare eventi correlati nei territori sotto il suo controllo rivendicati da altri, come l’Arunachal Pradesh, che la Cina avrebbe saltato il mese scorso, per riaffermare globalmente il suo dominio su di essi. Allo stesso tempo, le pressioni degli Stati Uniti sulla Cina in merito al Mar Cinese Meridionale e a Taiwan si sono intensificate al punto che Washington ha persino oltrepassato alcune “linee rosse” di Pechino, alle quali non ha risposto in modo da scoraggiare ulteriori trasgressioni.

Ad esempio, la Cina ha organizzato esercitazioni militari intorno a Taiwan solo dopo il viaggio dell’ex presidente della Camera Pelosi lo scorso agosto e l’incontro del leader dell’isola con il suo successore McCarthy questo mese, senza fare nulla (almeno per ora) per ostacolare le esportazioni di armi previste dagli Stati Uniti in quel Paese per un valore di 19 miliardi di dollari. All’inizio di questa settimana, inoltre, gli Stati Uniti sono entrati di nuovo illegalmente nelle acque rivendicate dalla Cina intorno alla barriera corallina Meiji (Mischief), evidentemente non essendo stati scoraggiati l’ultima volta che la Repubblica Popolare aveva semplicemente protestato.

L’ottica dell’America che continua a superare impunemente le “linee rosse” della Cina, a prescindere dalla saggezza strategica insita nelle risposte misurate di Pechino che finora hanno evitato le insidie di una reazione eccessiva a queste provocazioni, rischia di far “perdere la faccia” alla Repubblica Popolare. In combinazione con i crescenti sentimenti nazionalisti (patriottici) in patria, alcuni integralisti cinesi potrebbero essere portati a pensare di poter deviare da queste scomode ottiche riaffermando le proprie rivendicazioni sull’Arunachal Pradesh.

Motivazioni strategiche cinesi e indiane

Motivazioni aggiuntive potrebbero essere: segnalare all’India che ospitare eventi del G20 nell’Arunachal Pradesh è inaccettabile; tenere sotto controllo l’ascesa di Delhi secondo una variante del Sud globale della “trappola di Tucidide”; dissuadere l’India dall’espandere i legami strategico-militari con gli Stati Uniti; approfittare del fatto che l’America è distratta dal “contenimento” della Russia in vista dell’imminente controffensiva di Kiev; sfruttare il disgelo dei legami con l’Europa dopo il viaggio di Macron per fare leva sull’aspettativa che non seguano sanzioni dell’UE.

C’è anche la questione controversa della successione del Dalai Lama, che ha sede in India e che dovrà essere affrontata al più presto, vista la sua età avanzata. Il monastero di Tawang è il più grande dell’India e il secondo più grande del mondo, e si dà il caso che si trovi nell’Arunachal Pradesh, il che gli conferisce un significato simbolico maggiore. Questa posizione giocherà probabilmente un ruolo nel controverso processo di successione e nel prevedibile ulteriore inasprimento delle tensioni sino-indiane in quel momento.

Dal punto di vista dell’India, i suoi strateghi potrebbero aver concluso che la riaffermazione della sovranità sull’Arunachal Pradesh è così cruciale in questo particolare momento perché: il G20 rappresenta un’opportunità storica per mostrare un sostegno globale alle sue rivendicazioni; opporsi alla Cina invia segnali positivi al Miliardo d’oro e ad alcuni Stati del Sud globale; e la massima attenzione data all’Arunachal Pradesh potrebbe dissuadere Pechino da azioni transfrontaliere per fermare l’autostrada di frontiera di Delhi.

Quest’ultimo fattore è molto importante, poiché alcuni ritengono che l’imminente completamento di un progetto simile in Ladakh abbia spinto la Repubblica Popolare a intraprendere un’azione cinetica in quella regione nell’estate del 2020, in modo da prevenire il radicamento della sovranità militare indiana in quella regione. Una motivazione correlata potrebbe anche essere in gioco nell’influenzare i calcoli degli integralisti cinesi di oggi riguardo all’Arunachal Pradesh, il che aggiunge un’altra dimensione alla tempistica delle ultime escalation.

Valutazione della prospettiva strategica della Russia

Visto dalla prospettiva dei grandi interessi strategici della Russia, il deterioramento dei legami sino-indiani rappresenta una seria minaccia per la visione condivisa di un futuro multipolare di questi tre Paesi, a causa del rischio che un conflitto possa scoppiare tra loro per un errore di calcolo, ostacolando così la loro cooperazione nei BRICS e nella SCO. Per non parlare dello scenario in cui gli Stati Uniti potrebbero tentare di sfruttare un’altra serie di scontri potenzialmente letali per dividerli e governarli, nonostante sia improbabile che Delhi abbocchi all’amo.

Il Cremlino ritiene che le tensioni tra i suoi due principali partner siano strettamente bilaterali, motivo per cui non si intrometterà offrendosi come mediatore a meno che entrambi non glielo chiedano, anche se è innegabile che le dinamiche strategiche identificate in questa analisi siano modellate da qualcosa di più della sola interazione sino-indiana. Questo rende tutto molto più pericoloso del solito, il che spiega la crescente preoccupazione di Mosca per la loro recente escalation, anche se non la segnalerà apertamente a causa della sua delicatezza diplomatica.

Per questo motivo, lo scenario migliore dal punto di vista della Russia sarebbe che entrambi richiedessero i suoi discreti sforzi di mediazione, in modo che Mosca possa avere una possibilità di replicare il ruolo di Pechino nel mediare il riavvicinamento iraniano-saudita del mese scorso con i suoi due principali partner asiatici. Anche se il risultato non sarà così drammatico, il Cremlino si sentirebbe molto più tranquillo se raggiungesse una sorta di soluzione di compromesso pragmatica per evitare almeno ulteriori escalation.

Speculare sul potenziale ruolo di mediazione della Russia

Le attuali dinamiche strategiche che danno forma alle ultime tensioni vanno al di là dell’ambito delle relazioni bilaterali, come è stato spiegato, giustificando così il suggerimento ben intenzionato di chiedere a una terza parte affidabile e fidata di aiutarli a gestire meglio la situazione prima che vada fuori controllo. La Russia è l’unico Paese in grado di svolgere questo ruolo, per cui i suoi esperti, politici e strateghi farebbero del loro meglio per elaborare una proposta creativa ed equa per attenuare in modo sostenibile le tensioni.

È prematuro prevedere esattamente cosa ciò potrebbe comportare, dal momento che non è stato richiesto da entrambe le parti e potrebbe non esserlo mai, ma potrebbe valere la pena considerare la possibilità di congelare lo status quo, esplorando parallelamente speciali privilegi di viaggio per i locali nelle zone contese di ciascuna parte. Se abbinato a misure di disimpegno reciproco, questo potrebbe raggiungere contemporaneamente alcuni degli obiettivi politici, umanitari e militari di ciascuna parte in un modo rispettabile che non porti nessuno a “perdere la faccia”.

Per essere assolutamente chiari, al fine di evitare che il paragrafo precedente venga frainteso da lettori innocenti o distorto da propagandisti interessati, si tratta solo di un suggerimento ben intenzionato volto a stimolare processi creativi di brainstorming e non riflette la politica ufficiale della Russia né le opinioni informali della sua comunità di esperti. È solo una proposta dal punto di vista dei grandi interessi strategici della Russia, come risulta dalle sue tradizioni diplomatiche e tenendo conto delle relazioni del Paese con i suoi due principali partner.

Riflessioni conclusive

Le ultime tensioni sino-indiane sono più pericolose del solito, poiché le dinamiche strategiche che le stanno determinando coinvolgono tendenze più ampie che vanno oltre l’ambito dei loro legami bilaterali. Se le cose non si calmano presto, a prescindere dal ruolo della Russia in questo processo, gli eventi potrebbero rapidamente andare fuori controllo fino a un altro stallo di confine o addirittura a scontri letali come nell’estate del 2020. Lo scenario peggiore sarebbe una battuta d’arresto per il multipolarismo e quindi un grande vantaggio per gli Stati Uniti.

https://korybko.substack.com/p/the-strategic-dynamics-shaping-the?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=114055768&isFreemail=true&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

L’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è stato super significativo, di Andrew Korybko

L’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è stato super significativo

Andrew Korybko
2 ore fa

La visita di Zelensky è destinata a plasmare il corso della guerra per procura tra NATO e Russia nei prossimi tre mesi, prima del vertice del blocco all’inizio di luglio. Il ruolo di Varsavia nei prossimi eventi influenzerà fortemente l’operato di Kiev in questo momento cruciale del conflitto, da cui la tempistica con cui il leader ucraino ha deciso di incontrare la sua controparte. Per quanto Zelensky stia pianificando tutto con cura, tuttavia, potrebbe ancora fallire nel ribaltare le sorti della sua parte.

Simbolismo e sostanza

Il primo viaggio di Stato di Zelensky in Polonia dall’inizio dell’operazione speciale russa dello scorso anno si è svolto all’inizio della settimana, durante il quale è stato insignito della più alta onorificenza civile del Paese ospitante, l’Ordine dell’Aquila Bianca. La sua visita è avvenuta in un momento cruciale della guerra per procura tra la NATO e la Russia, il che aggiunge un elemento di intrigo alla visita, così come il suo simbolismo. Il presente articolo analizzerà quindi quanto sopra per comprendere meglio l’importanza dell’ultimo viaggio di Zelensky.

Le ultime dinamiche strategico-militari

Per cominciare, a metà febbraio il capo della NATO ha dichiarato che il suo blocco è in una cosiddetta “gara logistica”/”guerra di logoramento” con la Russia, che Mosca sta vincendo, come dimostra la sua continua resistenza militare e l’osservazione di Zelensky, alla fine del mese scorso, di essere a corto di munizioni. Il fondatore di Wagner Prigozhin ha anche recentemente rivendicato la vittoria nella battaglia di Artyomovsk/Bakhmut, dopo che il suo gruppo ha catturato il centro amministrativo della città, il che ha provocato un’inversione di rotta da parte del leader ucraino.

A fine febbraio aveva detto che le sue forze avrebbero potuto abbandonare l’area se le perdite fossero diventate irragionevoli, ma il mese scorso ha dichiarato alla CNN che la perdita di quella città avrebbe potuto portare la Russia a conquistare il resto del Donbass. Zelensky si è poi basato su questa previsione per avvertire, poco più di una settimana fa, che sarà sottoposto a pressioni in patria e all’estero per “scendere a compromessi” con Mosca se ciò accadrà, ma ora è tornato alla sua posizione precedente dopo aver preconizzato al pubblico un possibile ritiro.

Resta da vedere cosa succederà alla fine, ma non c’è dubbio che le dinamiche strategico-militari favoriscano la Russia. Questo non è un pio desiderio, ma si basa sui dettagli schiaccianti contenuti nel reportage del Washington Post della metà del mese scorso sulla scarsa efficienza delle forze di Kiev. Tenendo presente questo contesto più ampio, è chiaro che l’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è avvenuto davvero in un momento cruciale del conflitto.

La Confederazione polacco-ucraina di fatto

Per quanto riguarda il simbolismo, la Polonia è uno dei principali alleati dell’Ucraina, tanto che lo scorso maggio, durante la visita del Presidente Duda a Kiev, i due Paesi hanno dichiarato la loro reciproca intenzione di eliminare tutti i confini tra loro. Questo li ha portati a fondersi gradualmente in una confederazione de facto, che fa avanzare il progetto geopolitico della Polonia di ripristinare il suo commonwealth perduto per perseguire il suo grande obiettivo strategico di tornare a essere una Grande Potenza.

La riaffermazione da parte di Zelensky del reciproco intento di eliminare tutti i confini tra i due Paesi durante il suo ultimo viaggio in Polonia avvalora questa valutazione, così come la spinta di un lobbista neoconservatore a favore di questo progetto geopolitico in un recente articolo per l’influente rivista Foreign Policy. Nell’ottica di legittimare lo status dell’Ucraina come protettorato de facto del suo Paese, Duda ha dichiarato che Varsavia sta cercando di ottenere ulteriori garanzie di sicurezza per il suo vicino in vista del prossimo vertice NATO di quest’estate.

Problemi polacco-ucraini

Per quanto i due vogliano fondere gradualmente i loro Paesi in una confederazione di fatto, rimangono ancora alcuni ostacoli molto seri sulla loro strada. Per cominciare, c’è ovviamente la questione del finanziamento di questo progetto geopolitico, che la Polonia non può permettersi. In secondo luogo, i polacchi sono disgustati dalla glorificazione dell’Ucraina del collaboratore fascista e genocida di Hitler, Bandera. Più lo Stato polacco lo tollera, nonostante la sua occasionale retorica in difesa della verità storica, più i polacchi medi si arrabbiano.

Partendo da questa osservazione, la terza sfida a questo progetto geopolitico è l’aumento del sentimento anti-establishment in Polonia, che potrebbe portare il partito della Confederazione a conquistare un numero di voti tale da costringere il partito al governo a formare una coalizione di governo con loro. Questo risultato potrebbe mettere in crisi questi piani, ritardandone indefinitamente l’attuazione, soprattutto se la Confederazione trovasse un modo per bloccare i finanziamenti necessari e/o le garanzie di sicurezza.

Le prospettive di un intervento militare polacco

Prima delle prossime elezioni, tuttavia, possono ancora accadere molte cose, tra cui un intervento militare polacco in Ucraina. L’ambasciatore polacco in Francia ha tuonato alla fine del mese scorso che “se l’Ucraina non difende la sua indipendenza, non avremo altra scelta che entrare nel conflitto. I nostri valori fondamentali, che sono la pietra angolare della nostra civiltà, la nostra cultura saranno in grave pericolo, quindi non abbiamo scelta”. Anche se l’ambasciata ha detto che le sue parole erano decontestualizzate, l’intento era chiaro.

La Russia ha messo in guardia da tempo su questo scenario, che potrebbe rappresentare un’escalation senza precedenti nella guerra per procura della NATO contro di essa, in quanto la Polonia è un membro ufficiale del blocco, i cui Paesi hanno obblighi di difesa reciproca. Un intervento polacco potrebbe quindi servire da filo conduttore per l’alleanza anti-russa per formalizzare il suo ruolo in questo conflitto, soprattutto nel caso in cui la Polonia annunci la sua “unificazione” con l’Ucraina e la porti sotto il suo ombrello.

Sebbene questa sequenza di eventi rimanga speculativa, è comunque fondata su una base fattuale come è stato spiegato finora in questo pezzo, soprattutto considerando le svantaggiose dinamiche strategico-militari che hanno gettato una nuvola sull’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia. Tornando a queste, e tenendo conto delle parole dell’ambasciatore polacco in Francia e dei leader dei due Paesi che hanno ribadito la volontà di eliminare ogni confine tra loro, gli osservatori non dovrebbero scartare la possibilità che ciò avvenga.

Variabili dello scenario

In effetti, potrebbe verificarsi prima delle prossime elezioni autunnali, nel caso in cui la conquista di Artyomovsk da parte della Russia la portasse ad attraversare il resto del Donbass, come previsto da Zelensky, il che potrebbe spingere la Polonia a intervenire secondo le condizioni stabilite dal suo ambasciatore in Francia. Le uniche variabili che potrebbero credibilmente controbilanciare questo scenario sono la Russia che continua a fare solo progressi frammentari sul terreno o Kiev che accetta un cessate il fuoco con Mosca prima di riprendere i colloqui di pace.

Le possibilità della prima ipotesi potrebbero essere rafforzate da un afflusso di armi moderne occidentali in Ucraina, mentre quelle della seconda potrebbero essere ridotte dalla Polonia che promette tutto il sostegno necessario a Kiev per non sentirsi costretta dalle circostanze a negoziare con la Russia. È qui che probabilmente risiede lo scopo dell’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia, ovvero esplorare esattamente ciò che Varsavia potrebbe fornire in questo senso, per valutare meglio se valga la pena di prenderlo seriamente in considerazione in questo momento cruciale del conflitto.

Rivalutare la richiesta di Duda alla NATO

In un’intervista rilasciata a Le Figaro all’inizio di febbraio, Duda ha lasciato intendere di temere che la Francia possa cercare di mediare un cessate il fuoco, il cui scenario potrebbe essere favorito dal viaggio in corso di Macron in Cina, il cui piano di pace in 12 punti è stato elogiato dal Presidente Putin durante la visita del suo omologo a Mosca il mese scorso. Le dinamiche politiche di questo conflitto sono quindi altrettanto svantaggiose, dal punto di vista comune di Kiev e Varsavia, di quelle strategico-militari, poiché entrambe puntano a un imminente cessate il fuoco.

Questa osservazione aggiunge un ulteriore contesto alla richiesta di Duda che la NATO dia all’Ucraina maggiori garanzie di sicurezza. La sua dichiarazione può ora essere interpretata sia come un’allusione a un prossimo intervento militare polacco (indipendentemente dal fatto che questo sia preceduto dalla formalizzazione della loro confederazione), sia come un suggerimento che tali garanzie potrebbero essere presto estese per rassicurare Kiev del sostegno duraturo del blocco nel caso in cui fosse costretta dalle circostanze ad accettare un cessate il fuoco con la Russia (indipendentemente da chi potrebbe mediarlo).

L’imminente controffensiva ucraina

Il desiderio di Duda che ciò avvenga nei prossimi tre mesi, prima del vertice NATO di inizio luglio, pone una scadenza concreta alla sua richiesta, che coincide con la prevista controffensiva di Kiev. A questo proposito, il precedente rapporto del Washington Post ha mitigato le aspettative sul suo successo, così come l’ultima valutazione dell’ex comandante delle forze terrestri polacche. Waldemar Skrzypczak ha dichiarato ai principali media polacchi che l’Ucraina “non è pronta” per questo e che “ora è il momento dei politici”.

Ai cinici che potrebbero affermare che questo ufficiale in pensione non dispone di informazioni accurate sulle dinamiche strategico-militari del conflitto, va ricordato ciò che il capo di Stato Maggiore in carica delle Forze Armate polacche, il generale Rajmund Andrzejczak, ha dichiarato ai media finanziati pubblicamente a fine gennaio. Ha avvertito che il tempo sta per scadere per Kiev, ha confermato che la potenza militare della Russia rimane ancora formidabile e ha espresso la seria preoccupazione che l’Ucraina possa alla fine essere sconfitta.

Nonostante questa terribile analisi del più alto funzionario militare polacco, che è indiscutibilmente in grado di ricevere le informazioni classificate più aggiornate sulla guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina, Kiev probabilmente tenterà comunque la sua prevista controffensiva. Questo influenzerà a sua volta se la Polonia formalizzerà la loro confederazione de facto e/o interverrà militarmente a suo sostegno, quali garanzie di sicurezza la NATO potrebbe dare a Kiev e se si raggiungerà un cessate il fuoco prima del vertice estivo del blocco.

Riflessioni conclusive

Questo approfondimento porta a concludere che l’ultimo viaggio di Zelensky in Polonia è stato super significativo, in quanto destinato a plasmare il corso della guerra per procura tra NATO e Russia nei prossimi tre mesi. Il ruolo di Varsavia nei prossimi eventi influenzerà fortemente l’operato di Kiev in questo momento cruciale del conflitto, da cui il tempismo con cui il leader ucraino ha deciso di incontrare la sua controparte. Per quanto Zelensky stia pianificando tutto con cura, tuttavia, potrebbe ancora fallire nel ribaltare le sorti della sua parte.

https://korybko.substack.com/p/zelenskys-latest-trip-to-poland-was

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

1 6 7 8 9 10 16