Modelli di vita, di Roberto Buffagni

Domanda: c’è un rapporto tra la riforma della scuola e i carabinieri di Piacenza che diventano criminali?
Risposta: sì.
La riforma di Giovanni Gentile, che sta per compiere cent’anni, ha certo limiti e difetti (come tutto) ma sotto un aspetto essenziale coglie il punto: è intesa a insegnare alla futura classe dirigente a pensare criticamente l’ordine dei fini, in parole povere e chiare il perché si fanno o non si fanno le cose. Ecco perché è costruita intorno all’asse della filosofia, ed ecco perché nella scuola di vertice, il liceo classico, si insegnano il latino e il greco, senza i quali è impossibile accedere direttamente ai testi fondativi della civiltà europea. Le odierne proposte di aggiornamento alle “esigenze della modernità”, in soldoni di incentrare l’asse della scuola sull’apprendimento di materie scientifiche e lingue straniere per allinearsi ai “paesi più avanzati” omettono di rilevare il fatterello che la scienza non ha NIENTE da dire in merito all’ordine del fini, al “perché si fanno e non si fanno le cose”, e che il benchmark di apprendimento delle lingue straniere è la lingua materna (nessun italiano imparerà mai l’inglese meglio dell’italiano, anche se lo studia per tutta la vita).
E i carabinieri criminali? Cosa c’entrano?
I carabinieri non diventano criminali per difetti operativi, per esempio per un criterio di reclutamento inadeguato o procedure di controllo interno insufficienti. i carabinieri diventano criminali perché, fatta esperienza di ingiustizie, ipocrisie, abusi, corruzione nell’Arma, nello Stato, nel mondo in generale, prima pensano “chi me lo fa fare”, poi pensano “sono tutti corrotti, perché non approfittare delle occasioni?” poi commettono le prime irregolarità, poi constatano la propria impunità, poi diventano criminali veri e propri, e fino a quando non li beccano sentono di essere nel giusto, perché il giusto non esiste.
E attenzione, ragazzi: il giusto non esiste sul serio, se non esiste dentro l’anima, o se si preferisce nella mente, delle persone.

Le prospettive del sovranismo. Una conversazione tra Vincenzo Costa, Andrea Zhok e Roberto Buffagni

Conversazione sulle prospettive del “sovranismo”

Pubblichiamo una lunga conversazione sulle prospettive del “sovranismo” tra Vincenzo Costa (Università del Molise), Andrea Zhok (Università Statale di Milano), e il nostro collaboratore Roberto Buffagni. La conversazione si è sviluppata in questi giorni sulla pagina Facebook di Vincenzo Costa. Sono intervenuti molti altri interlocutori, che spesso hanno dato un contributo importante al dialogo. Non pubblichiamo tutti gli interventi per ragioni di ordine e brevità. Invitiamo i lettori interessati a leggere l’intero scambio di opinioni sulla pagina del prof. Costa.

 

Il post di Vincenzo Costa che ha dato inizio alla discussione è questo:

Vincenzo Costa

La fine del sovranismo e l’orizzonte della sinistra a venire

Con le decisioni di ieri della UE si chiude una fase. Il crollo della UE non ci sarà. La UE ha molte criticità ma non tali da portare al suo crollo. Consegnerebbe i paesi europei a potenze estranee, e questo nessuno lo vuole, non lo vuole il popolo e non lo vogliono le élites.

Finisce l’epoca del sovranismo, di destra e di sinistra. Epoca che ha consumato energie e forze intellettuali, senza produrre niente se non strabismo e cecità rispetto alle trasformazioni reali e ai bisogni effettivi del paese.

L’orizzonte della sinistra a venire è un altro: le diseguaglianze crescenti, le lacerazioni del tessuto sociale, una cultura di sinistra arretrata e attardata su un liberalismo da anni ‘80, la riduzione di democrazia e di sovranità popolare, che va distinta dalla sovranità nazionale.

Rimarranno piccole sacche unificate dall’antieuropeismo, dall’odio contro i crucchi, etc., sempre più espressione di nazionalismo che di aderenza alle esigenze popolari e del paese. Estranee alla tradizione socialista e con la faccia rivolta all’indietro invece che verso il futuro

Viene l’ora di una sinistra socialista, riformista, positiva, che non aspetti né l’apocalisse né la rigenerazione. E che traduca esigenze reali in idee, invece di fossilizzarsi attorno a idee astratte che poco interessano le persone reali.

Non nascerà domani, sarà un lungo cammino, ma bisogna iniziarne uno nella direzione giusta. Quello sovranista si è rivelato essere solo un vicolo cieco.

A volte piccoli segni marcano cambiamenti profondi, che bisogna sapere cogliere.

Ps. Questo non è un post polemico. Anzi.

Andrea Zhok

Senza polemica, a mio personale e fallibilissimo giudizio, credo che non sia una buona analisi, Vincenzo, qualunque sia il senso che diamo a un termine scivoloso come “sovranismo”.

Se “sovranismo” vuole intendere quella sorta di neoliberismo nazionalista brandeggiato da Salvini (e da parecchi altri in Europa) non credo affatto che sia morto, tutt’altro. E’ e resta quasi ovunque forza dominante, perché la profondità e multifattorialità del fallimento della sinistra non si cancella in un giorno e questi vivono del discredito della sinistra.

Se “sovranismo” vuole intendere “antieuropeismo”, dubito molto che la manovra annunciata di millemila miliardi arriverà ad essere ciò che pretende di essere. Di fatto i veti incrociati ci sono e continuano ad essere robusti. Inoltre non siamo affatto in presenza né di una mutualizzazione del debito, né di una corresponsabilità fiscale, neanche lontanamente. Infine le cifre coinvolte, visto che si continua ad operare senza monetizzazione del debito ma in forma di offerta di titoli sul mercato dei capitali, saranno alla fine piuttosto modeste. Un calcolo di ieri sul Corriere (fonte entusiasticamente europeista) diceva che potremmo avere a che fare con un 0,7% del Pil per anno, per 6 anni, a fronte di una perdita di oltre il 9% solo quest’anno. Diciamo che vedervi un’operazione epocale è mero wishful thinking. E tacciamo la questione delle condizionalità legate all’erogazione del credito, condizionalità ancora molto vaghe, ma che finora hanno sempre rappresentato il punto dirimente. Qui non si è superato ancora nessun problema, ma proprio neanche mezzo.
In tutto questo quadro l’unica cosa ad essere cambiata è che la Germania ha accettato il principio di poter operare una redistribuzione interna all’UE. Il principio è significativo e idealmente potrebbe essere il segno di una riforma dell’UE a venire. Ma dopo 12 anni di fallimento profondissimo mi sa che i tempi per un ribaltamento della direzione non ci siano più. Diciamo quanto meno che siamo molto lontani dal poter dire che l’antieuropeismo sarebbe morto perché l’Unione Europea avrebbe dimostrato di essere madre e non matrigna. Francamente prematuro.

Se “sovranismo” è un altro modo dire “ritorno alla centralità dello Stato nazione”, credo che a fronte degli esiti catastrofici della pandemia sugli ordinamenti dell’iperglobalizzazione contemporanea, questo ritorno in auge è appena agli inizi e proseguirà per lungo tempo. Le catene di produzione del valore iperestese si sono dimostrate fragili e il ruolo difensivo degli Stati nazionali si è dimostrato cruciale. Lo Stato nazione è destinato a ritornare durevolmente al centro della scacchiera (che in verità aveva lasciato solo sul piano propagandistico e ideologico.)

Non so se ci sono altre accezioni di “sovranismo” di cui dare conto. A me queste paiono le principali, e nessuna di queste parla di un ‘de profundis’ del “sovranismo” (anche se magari la parola potrebbe andare fuori moda.)

Vincenzo Costa

Caro Andrea grazie del tuo commento, che come sempre sopra porta un contribuito di riflessione importante. E mi offre la possibilità di precisare. Certo, è probabile che le nostre analisi divergano profondamente, e di conseguenza anche la direzione dell’agire politico. E probabilmente ci troveremo a fare scelte politiche diverse. Ma spero che la discussione tra noi rimanga aperta, perché rappresenta per me uno stimolo importante. le posizioni sono appunto divergenti.

Io credo che il sovranismo socialista o di sinistra sia finito. Per sovranismo di sinistra intendo l’idea secondo cui l’obbiettivo principale è uscire dalla UE, e che questa è una precondizione per porre sul tavolo le esigenze del lavoro e dei diritti delle classi meno abbienti, per non dire che è la precondizione per parlare di riforme in senso socialista democratico (nei commenti al post molti lo hanno osservato esplicitamente).

Questo sovranismo è defunto, e non per gli accordi di ieri, ma perché è sterile. Non vi sarà alcuna implosione della UE, né alcuna uscita dall’Euro. Almeno, allo stato attuale sembra molto improbabile. Quindi è un’idea sterile, senza prospettiva politica, che si è dimostrata incapace di sviluppare egemonia nelle classi lavoratrici. Al massimo trova accoglienza presso qualche intellettuale.

Nel caso in cui avvenisse sarebbe gestita da una classe dirigente pessima, e sarebbe pagata interamente dalle classi popolari. Ne abbiamo già parlato: uscire dall’euro significa un 30% di svalutazione, un’inflazione di circa 7-8%. Quindi la ricchezza privata nazionale, di cui tanto si parla, sarebbe erosa. Praticamente si farebbe una patrimoniale pazzesca. Facciamo prima a fare un patrimoniale del 2% e siamo a posto, ci costa meno.

Questa svalutazione e inflazione sarebbero pagate interamente dalle classi popolari, dato che i grandi capitali si sposterebbe molto prima (come hanno fatto già durante questa estate e come fanno ogni volta che 4tira aria cattiva). Pietro Ingrao, tempo fa, dichiarava lo stato nazione troppo ristretto per tutelarsi contro il capitale internazionale. Io non starò certo a cercare di convincerti, ma vi fu e vi è tutta una letteratura per cui gli stati nazionali erano vasi di argilla tra vasi di ferro. Se vuoi farti un’idea del dibattito nella sinistra dell’epoca prova a guardare Dockès, L’internazionale del capitale e Michalet, Il capitalismo mondiale, come anche Crisi e terza via di Ingrao. Tutti editori riuniti. Non che si debba sottoscrivere quelle tesi, datate, ma solo per dire che la narrazione sulla Banca d’ Italia e il divorzio col Tesoro, e la svendita di un paese magnifico è una semplificazione bestiale, e sta producendo, secondo me, accecamento. Fanatismo. Le cose stavano diversamente e stanno diversamente. Un piccolo stato come il nostro sarebbe divorato dai ricatti di multinazionali e altri grandi stati. Dalle grinfie dell’odiata Germania alle grinfie di chi? Questo bisogna dirlo.

Ma insomma, così ho detto troppo, e non sono cose da FB, a meno che non si voglia volgerle in chiave propagandistica o fare la sfida all’OK corrall, cosa di cui non ho molta voglia. Il punto è che l’uscita dalla UE è un salto nel buio, che se si andasse a votare non avrebbe alcun seguito (secondo me), non appena le persone capiscono che dei loro risparmi in banca perderebbero il 30%. Dal punto di vista macroeconomico una follia, una distruzione di ricchezza nazionale. Tutto opinabile, per carità, ma non credo sia opinabile che il sovranismo, nel modo che ho specificato prima, si è rivelato sterile. Ha portato solo un poco di acqua e di argomenti alle destre. Questi i fatti.

La UE può venire meno solo perché implode per le sue contraddizioni interne. Questo non è escluso, ma è improbabile. La sua dissoluzione consegnerebbe i paesi europei alla forza di altri, e questo non conviene a nessuno. Il punto non è allora uscire dalla UE ma avere una classe dirigente che, come legittimamente fanno gli altri, sappia fare gli interessi del paese. Si può fare un altro percorso.

L’idea di un debito comune non è praticabile, e fossimo noi tedeschi ci guarderemmo dall’accettarla. Tu fai debiti e io me li accollo? Dai. Quello che si sta facendo non è moltissimo, ma non è niente. Sono passi avanti importanti, che non vanno enfatizzati come fanno i governativi ma neanche minimizzati. Sono cose importanti.

In ogni caso, per come la vedo io si tratta di concentrarsi su questioni concrete: la rivoluzione tecnologica e la ristrutturazione del mondo del lavoro, la disoccupazione, la mobilità sociale etc. Un intero orizzonte di problemi che bisogna giocarsi stando DENTRO la UE, perché a questo ci consegna la storia. La UE è diventata il drappo rosso che fa infuriare il toro e lo inganna, distogliendolo dai veri problemi. Almeno io la vedo così. Alla fine, il post non aveva un tono o un fine polemico. Voleva solo dire che secondo me una fase si chiude perché mi sembra che non porti a niente, e che vale piuttosto la pena seguire altre strade, sia dal punto di vista teorico che pratico. Come dire, era una sorta di confessione pubblica, poi ognuno segue quello che crede vero e giusto.

Infine, lo stato-nazione tornerà, sta tornando, ma non sarà quello di prima. Tornasse quello di prima sarebbe lo zimbello di grandi imperi finanziari e industriali. Oppure vuoi mettere i dazi alle frontiere e fare una bella politica mercantilista? Magari prendiamo Fichte e lo stato commerciale chiuso a modello? Credo che siamo entrambi d’accordo che non possono essere quelle le soluzioni.

Grazie della discussione, Andrea.

 

Andrea Zhok

Sono d’accordo con un paio di cose (lo sono sempre stato, peraltro). Primo, non credo che porre in testa all’agenda politica l’Italexit sia produttivo. L’Italexit è un mezzo, non un fine, e bisogna tener fermo il fine, e renderlo plausibile (e molto si può fare senza puntare senz’altro sull’Italexit, in termini di proposte politiche socialiste). In effetti sono uscito da una forza politica che proponeva l’Italexit come tema primario e preliminare proprio per un disaccordo su questo punto.

In secondo luogo è vero che un’uscita unilaterale sarebbe un’operazione di grande complessità, che dovrebbe essere gestita dalla stessa classe dirigente che finora non è riuscita a fare cose ben più semplici, come riprendere in mano un po’ di industria strategica in mano statale.

Detto questo sono invece in netto disaccordo con quasi tutte le altre analisi particolari.

La tua analisi degli effetti dell’inflazione è a mio avviso, perdonami, proprio sbagliata. Dove si abbatte l’inflazione dipende da decisioni politiche molto semplici da gestire (se non lo si vuole gestire è una scelta politica, ma certo non è qualcosa da ascrivere ad un problema tecnico intrinseco all’inflazione. Inoltre un’inflazione moderata in un contesto come quello italiano sarebbe una benedizione, perché costringerebbe gli ingenti capitali immobili a rimettersi in circolazione, ad investirsi, e simultaneamente abbatterebbe il debito pubblico reale. Un’inflazione moderata per qualche anno per un paese come l’Italia, se gestita decentemente (un’indicizzazione parziale dei salari?) sarebbe una benedizione, non un problema.

La questione dell’isolamento fuori dall’UE è a mio avviso mal posta. L’UE è una struttura definita da certi trattati. Al posto di quei trattati si possono stipulare trattati diversi, magari tra paesi con maggiore omogeneità di interessi. Al momento l’UE è un sistema votato alla paralisi (lo ha dimostrato costantemente per anni), e che dunque non è d’aiuto per nessuno. Poi, come dico sempre, se vogliamo credere ai miracoli, per me va bene: se domattina con accordo unanime si chiama “Unione Europea” un sistema di collaborazione istituzionale su basi keynesiane, bene, mi farò piacere il vecchio nome per un nuovo oggetto. Ma al momento è solo una pastoia neoliberale.

La questione del “debito comune” poi è, temo, di nuovo mal posta. Se hai una moneta comune e una politica economica comune, definite dai trattati, allora mantenere competizione fiscale illimitata e responsabilità separata dei debiti è una follia suicida. Non può funzionare, perché non è né carne né pesce. Questo arrangiamento istituzionale era stato proposto come passo intermedio verso gli “Stati Uniti d’Europa”, dunque verso un orizzonte di unificazione della legislazione fiscale e del debito pubblico. Oggi moltissimi hanno enormi dubbi rispetto a questa prospettiva, ma è almeno una prospettiva internamente coerente. Se però non si va avanti bisogna andare indietro.
(Per inciso, i sovranisti duri e puri non vogliono affatto la mutualizzazione del debito, perché essa sarebbe un passo ulteriore verso un’unificazione europea. Però l’argomento che guarda alla mutualizzazione del debito come se fosse un dettaglio indipendente, e non fosse correlato con la comunanza della moneta, del mercato e della fiscalità, è semplicemente un errore: un europeista deve volere la mutualizzazione anche del debito, un sovranista deve volere la separazione anche della moneta, ma volere la moneta comune + robe come l’Olanda che gioca al paradiso fiscale e senza mutualizzazione del debito, beh, questo può volerlo solo un masochista.).

Molto altro sarebbe da dire, ma un’altra volta.

 

Roberto Buffagni

Nel loro dialogo, a mio avviso, Vincenzo Costa e Andrea Zhok prendono in considerazione i due versanti della questione “sovranismo”/europeismo”, e per così dire procedono in parallelo con le loro argomentazioni. Provo a integrare. Dice Vincenzo Costa che “il sovranismo è sconfitto” (personalmente concordo). Dice Andrea Zhok che no, perché a) il “sovranismo realmente esistente”, cioè “quella sorta di neoliberismo nazionalista brandeggiato da Salvini (e da parecchi altri in Europa)” è tutt’altro che sconfitto”, perché “E’ e resta quasi ovunque forza dominante, perché la profondità e multifattorialità del fallimento della sinistra non si cancella in un giorno e questi vivono del discredito della sinistra.” b) i problemi e le contraddizioni della UE, questo ferro di legno, sono tutt’altro che risolti o in via di soluzione (concordo anche su questo). Concordo con entrambi i dialoganti, che pur dissentono tra loro, per i seguenti motivi.

1) Il “sovranismo realmente esistente”, cioè “quella sorta di nazionalismo neoliberista brandeggiato da Salvini” (Zhok) è l’unico realmente esistente, in tutta Europa e per il vero in tutto l’Occidente, perché il vasto e articolato benché confuso e confusionario movimento che s’usa etichettare sotto il nome “sovranismo” (che è poi parola che a scopo cosmetico sostituisce la più corretta “nazionalismo”) è una reazione al “globalismo” o “mondialismo”, ed essendo una vera e propria reazione, è il negativo fotografico del suo nemico. Chi sono le forze politiche che hanno costruito e governano la UE? Sono le classi dirigenti europee (e statunitensi): liberals, cattolici, socialdemocratici; gli eredi legittimi delle classi dirigenti antifasciste che hanno vinto, sul campo di battaglia o nelle urne elettorali, la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra. Dalla grande alleanza antifascista mancano solo i comunisti sovietici, ma sono rappresentati dai loro eredi: eredi legittimi anche loro, anche se dopo l’estinzione del ramo principale è un ramo cadetto (i maligni dicono, un ramo bastardo) a portare il titolo.
Dopo la grande vittoria comune di settant’anni fa, queste grandi Case si sono aspramente combattute per decenni. Oggi governano insieme il Consiglio della Corona del (falso) Re e la Camera dei Lord dell’Unione Europea. Come hanno fatto ad accordarsi? Per il potere, si dirà. Certo, per il potere: ma questa risposta, che è sempre vera, non spiega tutto, e anzi forse non spiega niente. Qual è il minimo comun denominatore che ha consentito alle grandi Case, un tempo in lotta per il potere, di trovare un durevole accordo, e così porre la corona sul capo del falso Re?
Il minimo comun denominatore delle grandi Casate americane ed europee che sostengono il falso Re (l’Unione Europea) è l’universalismo politico. L’universalismo è una cosa sul piano delle idee, dei valori, della spiritualità (nella cristianità europea, l’istituzione delegata a incarnarlo era la Chiesa, il primo “sole” del De Monarchia dantesco). Se tradotto sul piano politico, però, l’universalismo non può che incarnarsi in forze inevitabilmente particolaristiche: perché esistono solo quelle, nella realtà effettuale.
Volendo, chiunque se ne senta all’altezza può parlare in nome dell’universale umanità; ma non può agire politicamente in nome dell’universale umanità senza incorrere in una contraddizione insolubile, perché l’azione politica implica sempre il conflitto con un nemico/avversario.
Senza conflitto, senza nemico/avversario non c’è alcun bisogno di politica, basta l’amministrazione: “la casalinga” può dirigere lo Stato, come Lenin diceva sarebbe accaduto nell’utopia comunista. A questa contraddizione insolubile si può (credere di) sfuggire solo postulando come certo e autoevidente l’accordo universale, se non presente almeno futuro, di tutta l’umanità: “Su, lottiamo! l’ideale/ nostro alfine sarà/l’Internazionale/ futura umanità!” (il “governo mondiale” è un surrogato o avatar della “futura umanità” dell’inno comunista).
Lenin, e in generale il movimento comunista (o anarchico) rivoluzionario, vuole risolvere la contraddizione con la forza. Nella classificazione machiavelliana, Lenin è un “leone”.
L’universalismo politico delle grandi Casate nobiliari nordamericane ed europee che sostengono l’UE non è meno radicato di quello leniniano, perché discende dalla stessa radice illuminista. Esse però vogliono/devono risolvere la contraddizione con l’astuzia; Machiavelli le definirebbe “volpi”. Scrivo “devono”, perché a prescindere dalle intenzioni soggettive, le grandi Case non potrebbero essere altro che “volpi”: entrambi i “federatori a metà”, USA e Germania, non possono portare a compimento con la forza la loro opera.
Come l’URSS comunista, anche l’UE postula l’accordo universale, se non presente almeno futuro: accordo anzitutto in merito a se medesima, e in secondo luogo in merito al governo mondiale legittimato dall’umanità universale, che ne costituisce lo sviluppo logico, e giustifica eticamente sin d’ora l’obbligo di accogliere un numero indeterminato di stranieri, da dovunque provenienti, sul suolo europeo. Per questa ragione è impossibile definire una volta per tutte i confini territoriali dell’Unione Europea, che qualcuno, ai tempi dell’entusiasmo europeista, pretendeva di estendere alla Turchia, e persino a Israele: perché ha diritto di far parte dell’UE chi ne condivide i valori universali (cioè virtualmente tutti, dal Samoiedo al Gurkha al Masai), non chi ne condivide i confini storici e geografici.
Il passaggio tra il momento t1 in cui l’accordo universale è soltanto virtuale, e il momento t2 in cui l’accordo universale sarà effettuale, non avviene con il ferro e il fuoco della “volontà rivoluzionaria”. Le volpi oligarchiche UE introducono invece nel corpo degli Stati europei, il più possibile surrettiziamente, dispositivi economici e amministrativi – anzitutto la moneta unica – che funzionano, secondo la celebre definizione di Mario Draghi, come “piloti automatici”. Questi piloti automatici provocano crisi politiche e sociali, previste e premeditate, all’interno degli Stati e delle nazioni, ai quali impongono o di insorgere in aperto conflitto contro la Corona, o di addivenire a un accordo universale in merito al “sogno europeo”: per il bene degli europei e dell’umanità, naturalmente, come per il bene dei russi e dell’umanità Lenin ricorreva al terrore di Stato, alle condanne degli oppositori per via amministrativa, etc.
A quest’opera va associata, inevitabilmente, una manipolazione pedagogica minuziosa e su vasta scala, in altri termini una lunghissima campagna di guerra psicologica. La dirigenza UE conduce questa campagna di guerra psicologica da una posizione di ipocrisia strutturale formalmente identica a quella della dirigenza sovietica, perché non è bene e vero quel che è bene e vero, è bene e vero quel che serve alla UE o alla rivoluzione comunista: in quanto Bene e Verità = accordo dell’intera umanità, fine dei conflitti, pace e concordia universali. Le élites, necessariamente ristrette, di “pneumatici” e di “psichici” che conoscono questo arcano della Storia, hanno il diritto e anzi il dovere morale di ingannare e manipolare, per il loro bene, le masse di “ilici” che invece lo ignorano.
Il leone Lenin accetta solo provvisoriamente il conflitto politico, e anzi lo spinge a terrificanti estremi di violenza, in vista dell’accordo universale futuro: dopo la “fine della preistoria”, quando diventerà reale il “sogno di una cosa” comunista e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in URSS poi nel mondo intero. Le volpi UE celano l’esistenza effettuale del conflitto (in linguaggio lacaniano lo forcludono), e da parte loro lo conducono, solo provvisoriamente, con mezzi il più possibile clandestini, in vista dell’accordo universale futuro, quando diventerà reale il “sogno europeo” e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in Europa poi nel mondo intero.
In questo grande affresco romantico proposto alla nostra ammirazione con la colonna sonora dell’Inno alla Gioia (forse non è un caso che il Beethoven delle grandi sinfonie fosse anche il compositore preferito di Lenin) c’è solo una scrostatura: che nella realtà, l’accordo universale di tutta l’umanità non si dà effettualmente mai. Ripeto e sottolineo due volte: mai, never, jamais, niemals, jamàs, etc.

Dunque, la “reazione sovranista” non poteva che venire da una cultura politica di destra, perché solo nella cultura politica di destra esistono elementi, già prefabbricati, in grado di contrapporsi all’universalismo politico: nazione, popolo, comunità e (Deus avertat) razza.

2) Ma la “reazione sovranista al mondialismo” incontra necessariamente, sulla sua strada, un’altra per così dire Entità che non è una forza politica bensì una vera e propria forza di sistema impersonale, un criterio, una logica, ed è, per dirla con de Benoist, la Forma Capitale, la quale è ordinata alla logica più universalista di tutte. La incontra necessariamente per il banale ma non trascurabile motivo che se il “sovranismo” non interpreta e rappresenta gli interessi del Lavoro, perde. E’ in effetti lo stesso identico problema che si trovarono ad affrontare i fascismi negli anni entre deux guerres del Novecento, e anche stavolta la soluzione è estremamente difficile. La soluzione sarebbe, in linea teorica, quella del superamento della contrapposizione destra/sinistra, e dell’alleanza strategica tra nazionalismo e socialismo. Le condizioni oggettive ci sarebbero tutte. Mancano le condizioni soggettive, vale a dire: a) sul piano teorico, manca una articolazione sufficiente dell’universalismo. E’ possibile un universalismo che integri in sé non solo la possibilità, ma la legittimità permanente delle differenze? Differenze tra popoli, culture, regimi politici, etc.? Sì che è possibile. Ne offrirebbe una, anzi ne offrirebbe diverse il pensiero del realismo politico cristiano, se ci fosse ancora, come forza culturalmente e politicamente attiva, il realismo politico cristiano (non c’è più) b) mancando una cultura politica e non solo politica abbastanza coerente da integrare universalismo e particolarismo delle differenze, manca anche il punto di contatto tra cultura politica “di sinistra” (che non può non essere universalista) e cultura politica “di destra” (che non può non essere particolarista). Dunque i tentativi di alleanza “al di là della destra e della sinistra”, che pur sono stati esperiti, e anche con una certa buonafede, in Francia e (con meno buonafede) in Italia, sono falliti. Falliti per ragioni contingenti (infinite) ma falliti anche per questa ragione, non contingente ma essenziale o strutturale, che costituisce un colossale ostacolo alla formazione di un soggetto politico in grado di contrapporsi alle forze mondialiste ed europeiste in modo davvero efficace, il che significa “contrapporsi alle forze europeiste e mondialiste integrando la parte decisiva delle loro ragioni“. La parte decisiva delle ragioni delle forze mondialiste e europeiste è l’universalismo spirituale, cioè a dire il concetto filosofico e religioso di “umanità”, di partecipazione di tutti gli uomini a un medesimo Logos.

Se non viene integrata questa ragione del mondialismo, e ricompresa con una articolata e coerente legittimazione delle differenze all’interno della comune umanità, si abbandona tout court la radice della civiltà europea e letteralmente si regredisce alla barbarie identitaria, tribale o, peggio (Deus avertat, di nuovo) razziale/razzista.

3) Quindi, per quanto ho esposto sopra, che cosa è successo? E’ successo che il “sovranismo realmente esistente”, nato da una cultura politica di destra, fallita l’alleanza con le culture politiche (minoritarie) di sinistra che si contrappongono a mondialismo ed europeismo, è regredito. Non è regredito alla barbarie, per fortuna, ma è regredito alla Guerra Fredda. Ha tirato fuori dal baule del nonno tutti i vecchi stilemi e riflessi condizionati della guerra fredda: americanismo perinde ac cadaver, tirannide comunista con la Cina al posto dell’URSS, statalismo e sindacalismo egualitarista come Babau, liberismo da poveracci con la partita IVA martire dei comunisti e Briatore come modello di vita, e come ciliegina sul gelato, la gestione imbecille della pandemia in corso, con il “virus comunista” e il suo corteggio di allucinanti scemenze complottiste e di mascherina totalitaria (ciò, si noti bene, quando era facile per una opposizione decente fornire il massimo appoggio al governo per l’emergenza sanitaria, e fare la massima opposizione alla gestione dell’emergenza economica).

Ora, siccome la Guerra Fredda non c’è più e il nemico non è il comunismo, va da sé che il “sovranismo realmente esistente” è condannato a perdere, anche se sicuramente resterà una forza politica molto rilevante e potrà anche andare al governo, in Italia e altrove.

4) Che fa intanto il nemico, vale a dire le forze mondialiste/europeiste? Il nemico si dimostra più bravo, più capace di imparare dai propri errori, di integrare le ragioni dell’avversario e di prendere l’iniziativa. In Francia, con l’esperimento Macron, ha dimostrato di sapere, lui sì, stringere un’alleanza strategica fra destra e sinistra: ha infatti alleato le borghesie (termine improprio, facciamo per capirci) di destra e di sinistra contro populismo e sovranismo, in una riedizione aggiornata del compromesso louis-philippard del 1830; e ora, con il Recovery Fund, il quale sul piano empirico sarà sicuramente una fregatura per i paesi mediterranei, ma sul piano qualitativo è una svolta che può rivelarsi decisiva, ha forse saputo dare inizio a una vera e propria integrazione economica europea.

5) Per riassumere. Penso che abbia ragione Andrea Zhok quando espone le mille ragioni oggettive, strutturali, della precarietà e contraddittorietà della UE; e del fatto che essa non può che essere un nemico dei popoli e dei lavoratori europei. Esse ci sono, ci sono eccome, e per il solo fatto di esserci attestano che la partita NON è chiusa, e che si spalancano intere autostrade a venti corsie per una opposizione efficace. Penso che abbia ragione Vincenzo Costa quando dice che “il sovranismo è sconfitto”, perché è sconfitto il “sovranismo realmente esistente”, il quale si è in buona sostanza sconfitto da sé, per le gravi insufficienze soggettive delle quali ho tratteggiato un abbozzo ai punti precedenti.

Insomma, la partita non è chiusa perché non sono chiuse le contraddizioni e i conflitti reali; ma il primo tempo è finito con la sconfitta dell’opposizione all’europeismo e al mondialismo, perché non basta che le contraddizioni e i conflitti vi siano: bisogna anche sapervisi inserire nel modo opportuno.

Vincenzo Costa

Grazie del contributo. Un’analisi accurata che da molto da pensare.

Andrea Zhok

Roberto Buffagni. Analisi molto bella e articolata, di cui ti ringrazio.
La trovo convincente sul piano dell’analisi della parabola del “sovranismo realmente esistente” identificato con la Lega e i suoi cespugli.
La trovo affascinante, ma meno convincente per quanto riguarda la macroanalisi storica.

Nello specifico la categoria storica decisiva, quella di ‘universalismo’, è a mio avviso troppo indeterminata per esaminare la storia successiva alla Rivoluzione francese.

La vera lotta degli ultimi due secoli è stata solo in piccola parte lotta tra universalismo e particolarismo, ma molto più spesso è stata lotta tra tipi radicalmente diversi di universalismo. Nel movimento comunista e socialista, accanto ad un universalismo scientista e livellatore, positivista ed imperialista, è sempre esistito (in considerevole confusione concettuale, va detto) un universalismo che dichiarava diritto dell’intera umanità l’autogoverno e la sovranità dei popoli, la loro autodeterminazione, cioè un universalismo che riconosceva e legittimava le nazioni, le culture, le diversità territoriali. Questo non è particolarismo, è universalismo, ma non del tipo astratto formulato dal primo illuminismo. (Incidentalmente, avendone il tempo potrei mostrare come solo questo universalismo è concretamente sostenibile).

La seconda questione, correlata alla prima, su cui (in un altro momento) vorrei approfondire il discorso è legata al nesso tra universalismo e capitalismo. Nel quadro che proponi si giunge alla conclusione paradossale che imperialismo, comunismo, illuminismo, capitalismo ed europeismo sono solo aspetti di un medesimo Moloch concettuale, l’universalismo. Però capisci bene che trattare Lenin come alleato del capitalismo – e qui si arriva – opera una semplificazione concettuale davvero troppo ardua da metabolizzare.

Arrivato qui il dovere mi chiama, ma ti rimando – secondo l’indecente costume accademico – al mio libro sulla ragione liberale, dove cerco di mettere a fuoco proprio al differenza tra l’universalismo liberale, legato alll’evoluzione del capitalismo, ed un universalismo democratico (talvolta socialista) che diverge dal primo molto precocemente, e che non è senz’altro assimilabile alla ‘destra’ (l’eredità dell’Ancien Regime).

Roberto Buffagni

Grazie a te. In effetti dire che il comunismo leninista è un alleato segreto del capitalismo è un po’ forte, non ci sarebbero arrivati neanche i geni dell’Ufficio Falsi Politico-Letterari dell’Okhrana, quelli del “Protocollo dei Savi di Sion”. Il tuo libro lo leggerò volentieri. Come sai la mia cultura politica è di destra e non sono né storico né filosofo di professione, quindi, in mancanza di dovere d’informazione esaustiva professionale, tra le mie letture di dilettante ci sono più opere “di destra” che opere “di sinistra”; però conosco anche io, anche se non abbastanza bene, che è effettivamente esistito un “universalismo democratico, talvolta socialista” che fa ampio spazio alle differenze, pur senza rinunciare all’universalismo, anzi. Basta fare il nome di Giuseppe Mazzini, l’Apostolo le cui severe sembianze riprodotte in busti di marmo o bronzo tuttora costellano i giardinetti italiani, per la gioia dei piccioni (ci scherzo un po’ ma lo rispetto molto, eh?). Io sono persuaso che sia certamente possibile, anche oggi, una articolazione dell’universalismo che comprenda e legittimi la permanenza delle differenze particolari, e delle gerarchie di valori che ne conseguono. Non mi risulta che essa via sia in misura sufficiente e sufficientemente egemonica, da un canto; e dall’altro, ho l’impressione (è solo un’impressione ma è molto forte) che ad essere in questione nell’arena politica e filosofica, oggi, siano questioni antropologiche di fondo che rinviano alla radice del problema; e la radice del problema è vecchia se non antica, vale a dire l’illuminismo e la rivoluzione francese, e probabilmente anche le guerre di religione intracristiane. L’impressione si fonda anzitutto sul fatto (perché questo mi pare un fatto) che, per farla cortissima: il segreto o il trucco liberalcapitalistico di fondo è: far sì che la gerarchia e il comando, indispensabili per la sussistenza di ogni società, siano quanto più possibile depurati dal comando dell’uomo sull’uomo. Comando impersonale sulle cose e sulle procedure, e comando impersonale delle cose e delle procedure sugli uomini. Ora, se tu vuoi limitare il capitalismo liberale, e restringerlo nel recinto dell’Economico, dovrai di nuovo giustificare e legittimare il comando dell’uomo sull’uomo; e come fai, se non giustifichi e legittimi una gerarchia che NON risponda al criterio democratico del denaro? Ci sono i voti, un altro criterio quantitativo e democratico. Bastano? Non lo so (sul serio non lo so, e mi fermo qui perché non so proseguire).

la parabola del santo guidatore, di Roberto Buffagni

A volte l’esempio rende meglio l’idea_Giuseppe Germinario

da facebook

Perché sono state introdotte le misure di confinamento? Un esempio facile.

Nel 2019, in soli sei mesi – da gennaio a giugno – si sono verificati 82.048 incidenti stradali, con 1.505 morti e 113.765 feriti.

I morti sono lo 1, 32% dei feriti, una percentuale bassa.

Tranne chi sia morto sul colpo, tutti i coinvolti negli incidenti hanno potuto ricevere le cure appropriate, compreso chi necessitava di ospedalizzazione, interventi chirurgici, terapia intensiva. Dunque, considerata la bassa percentuale di mortalità, nessun bisogno di limitare la circolazione dei veicoli, tranne per quanto attiene ai limiti di velocità e alla repressione delle infrazioni al codice della strada.

Si immagini che per ragioni affatto impreviste e si moltiplichino per 10 gli incidenti stradali.

Nello stesso periodo di sei mesi, diciamo che gli incidenti stradali siano 820.480. I feriti sarebbero 1.137.650.

I morti, però, NON sarebbero l’1,32%, cioè 15.050, ma molti di più.
Il SSN, infatti, non sarebbe in grado di rispondere all’enorme afflusso di vittime di incidenti stradali bisognose di cure; dunque non tutti, ma solo una percentuale via via minore dei feriti potrebbe ricevere le cure appropriate.

Sarebbe inevitabile ricorrere al triage, privilegiando i feriti gravi con maggiori probabilità di guarigione e maggiore aspettativa di vita.

Un numero non esattamente calcolabile di feriti seriamente o gravemente, non ricevendo le cure adeguate morirebbe, o andrebbe incontro a complicanze e conseguenze incapacitanti o mortali a più lunga scadenza.

Per evitare una strage, sarebbe dunque necessario,anzitutto, limitare il numero di incidenti stradali, eccessivo rispetto alle capacità di risposta del SSN,

L’unica misura immediatamente efficace per limitare gli incidenti stradali sarebbe limitare gli spostamenti dei veicoli; prima vietando, con sanzioni severe, la circolazione veicolare a tutti tranne poche categorie di autorizzati per ragioni di necessità.

Via via che il SSN ritrovasse la sua capacità di risposta, sarebbe possibile concedere il permesso di circolazione veicolare ad altre categorie, associandovi misure di educazione stradale obbligatoria, limiti di velocità molto minori, una repressione capillare e severa delle violazioni al codice della strada (es., sequestro dei veicolo), etc.

Una volta cessato l’aumento imprevisto degli incidenti stradali, e via via che si ritorna alla normalità (che fisseremo a 80.000 incidenti circa nel corso di sei mesi) sarebbe possibile eliminare le restrizioni alla circolazione veicolare, auspicabilmente continuando la campagna di educazione stradale e approntando un piano di pronto intervento da applicarsi qualora ci siano nuove avvisaglie di un improvviso aumento verticale e repentino degli incidenti, in modo da poter prevenire, in futuro, la strage verificatasi nei sei mesi di epidemia di incidenti.

Chiaro così?

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    Alberto PiAlberto Pi ha risposto

      13 risposte   12 min

  • Luca Alberici Sbagliato l’esempio.
    Se per il covid si è ritenuto avere un atteggiamento dovuto al timore di non poter ottemperare al servizio dato dalla scarsità del sistema ospedaliero, non capisco il perché, quando si è visto senza ombra di dubbio che il virus poteva essere curato anche da casa con farmaci a basso costo e ampiamente testati da decenni contro malaria e sars, si è continuato a perseguire un atteggiamento incomprensibile.

     

    Luca AlbericiLuca Alberici ha risposto

      5 risposte   13 min

  • Fabio Massimo Mascolo Roberto Buffagni il paternalismo è attraente 😉
  • Fabio Massimo Mascolo Roberto Buffagni torniamo alla monarchia assoluta, nessuno proteggeva meglio del Re Sole
  • Roberto Buffagni Fabio Massimo Mascolo Cioè,fammi capire. Per preservare la libertà di andare in macchina dove cazzo ti pare, tu sacrificheresti senza problemi alcune decine di migliaia di persone che altrimenti, se curate adeguatamente, potrebbero vivere? E’ un’idea.
     
  • Hermann Sta Roberto Buffagni probabilmente si sente un padreterno, a me non succerà mai nulla, peggio per gli altri.
  • Fabio Massimo Mascolo Ma smettetela e chiedetevi se tutto questo allarmismo adesso è giustificato … Hanno saputo solo chiudere dopo aver addirittura chiesto di non fare le autopsie … Se le avessero fatte a inizio pandemia quanti morti ci saremmo risparmiati?
  • Roberto Buffagni Fabio Massimo Mascolo Guarda, ti inviterei a deciderti: perché un conto è criticare gli errori (tanti) nella gestione dell’epidemia, un conto è dire che l’epidemia è sopravvalutata, che è finita o che addiriuttura non c’è. Sono posizioni diverse e incompatibili, quindi per favore scegline una sola.
     
  • Hermann Sta Roberto Buffagni lasci stare. son colpevolmente ignoranti preda di opinioni contrastanti. la Ragionevolezza della tesi è oltre la loro smania.
  • Hermann Sta Roberto Buffagni l’analogia è aderente alla realtà. quello che è accaduto con enorme realismo ci dice che, senza contingentamento sociale, il sistema sanitario collassava e con esso il Paese. si veda a confronto quello che sta accadendo in Inghilterra a causa dei tentennamenti iniziali. e quello che ancora a ccade in alcune zone degli Usa.
      • Luca Alberici Hermann Sta ignorante sarà lei. Mi scusi.
        Non voler vedere le cose che sono sotto gli occhi di tutti ormai non è solo ignoranza. È ottusità
      • Hermann Sta Luca Alberici lei è ignorante perché ignora dati e realtà e usa opinioni non fondate per supportare le sue affermazioni. semplice. la descrizione di Roberto Buffagni non solo ha una sua logica ma è la descrizione della realtà a cui non si possono sostiAltro…
      • Luigi Puddu Hermann Sta, poi ex post si possono fare 10000 discorsi alla Agamben etc, ma solo ex post (quando la pelle l’abbiamo salvata)… Diversa è la questione se ci siano malintenzionati verso operazioni “d’ingegneria sociale e di trasbordo ideologico”… Occorre calma e gesso per dirimere bene le questioni.
      • Roberto Buffagni Luigi Puddu Segnalo che qui, la pelle che va salvata è anzitutto la pelle degli altri. Se uno vuole fare il pilota di formula 1 e guidare bendato, da solo, sul circuito di Monza io non ho obiezioni.
      • Luca Alberici Hermann Sta si informi meglio.
        Burloni ha solo preso il premio fedeltà da Fazio.
      • Hermann Sta Luigi Puddu credo che abbiamo la capacità, come nazione, per la sua storia e la sua tradizione culturale, di denunciare e contrastare questi tentativi di inegneria sociale. Che poi affidati a personaggi come quelli attualmente al governo fa già ridere …
      • Hermann Sta Luca Alberici ecco lei si basa su opinioni di questo e di quello, la citazione lo conferma. non ho mai sentito una sola parola del signore che cita, e volutamente evitato di leggerlo. qui ci si rifà a cose serie, proprio per evitare queste tossine.
  • Gert Dal Pozzo Non sono d’accordo. O meglio questo ragionamento poteva starci all’inizio quando non si conoscevano gli effetti di questo virus ed hanno sbagliato i trattamenti peggiorando la situazione. Ora mi sembra abbastanza assodato da diverse fonti autorevoli che il trattamento iniziale deve essere indirizzato per curare rischi di trombosi e non polmoniti. Oltre ad evitare gli errori con le Rsa etc
    • Roberto Buffagni Giusto. Invece il trattamento risolutivo ce l’ha lei? La invito a comunicarlo, il Nobel aspetta anche lei.
  • Gert Dal Pozzo Roberto Buffagni no io non ce l”ho ma i medici che hanno compreso le dinamiche evolutive del virus in un corpo contagiato, sembra di si.
  • Visualizza altre 3 risposte
  • Antonio de Martini Perfetto. Ma non capiranno lo stesso.
  • Alessandro Di Martino l’esempio è calzante, ci sta; il problema grosso a mio avviso non sta tanto nelle limitazioni volte a contenere la diffusione del virus, quanto piuttosto nell’inadeguatezza dei sostegni economici nei confronti delle attività rimaste bloccate. eventi straordinari richiedono misure straordinarie, mentre qui si sono dati due spicci, a qualcuno, e pure tardi.
    • Roberto Buffagni Questo è tutt’altro argomento, ed è un problema molto, molto serio. Non aiuta però nella più che legittima battaglia per il sollievo economico e le misure di rilancio chi sostiene che il Covid19 a) non esiste proprio, è un complotto b) è una banale infAltro…
  • Alessandro Di Martino ero consapevole di essere un po’ fuori tema, tuttavia ritengo nemmeno troppo: oltre al sostegno economico, quella che si è dimostrata carente è l’immagine positiva della lotta alla pandemia, che invece è stata vissuta come vessazione. cittadini multatiAltro…
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  • Antonio Esoterico Fiore Grande spiegazione nella sua veridicità e chiarezza, speriamo illumini gli ottusi

In ricordo di Piero Visani, di Roberto Buffagni

Di seguito un intenso e commovente ricordo di Piero Visani ad un mese dalla sua repentina dipartita. Mi ero ripromesso anch’io di ricordarlo pubblicamente. Non serve; Roberto Buffagni è riuscito ad esprimere il sentimento comune. Non siamo riusciti, io e Piero, nel paio di anni di contatti ad incontrarci fisicamente. Le nostre conversazioni si stavano però sempre più infittendo. Le nostre storie personali erano agli antipodi, ma il rispetto, il disincanto e la lucidità di analisi suoi propri avevano creato una atmosfera di grande stima reciproca. Un rapporto che prometteva di essere sempre più proficuo. In pochissimi casi la scomparsa di una persona mi ha prodotto una simile sensazione di vuoto; penso che capiti quando a lasciarci è qualcuno che avrebbe potuto dare ancora tantissimo con la giusta lucidità ed il giusto tatto_Giuseppe Germinario

In ricordo di Piero Visani,

di Roberto Buffagni

 

E’ già passato un mese dalla morte di Piero Visani. Mi capita, ogni tanto, di leggere qualcosa o sentire una notizia e pensare, “Di questo ne voglio parlare con Piero” oppure “Sentiamo che ne pensa Piero”. Poi mi ricordo che non si può, non si può più; ma non mi sono ancora completamente convinto che Piero è morto. Forse perché, nonostante ci conoscessimo da pochi anni, e fossimo sotto tanti riguardi  persone diversissime – per il carattere, le persuasioni ideali, l’esperienza di vita – con Piero ci si intendeva al volo, con la facilità umoristica e complice delle amicizie d’infanzia o di chi abbia condiviso i momenti più formativi della vita, come i compagni di scuola o i camerati che hanno servito insieme.

L’ho conosciuto attraverso Facebook. Buffo, ma è così. Ho letto quel che scriveva, ne ho stimato subito la serietà e profondità delle conoscenze, l’intelligenza brillante, il professionismo dei giudizi, l’eleganza del tratto – perché come sa chiunque l’abbia conosciuto, Piero era un uomo molto elegante. Affabile, cortese, spiritoso, pieno di tatto: un uomo che non avrebbe mai potuto offendere nessuno involontariamente, che è la miglior definizione della nobiltà di spirito e dell’eleganza d’anima che conosca.

C’era poi in Piero un tratto che me lo rendeva profondamente simpatico, e che – adesso che non mi può leggere posso dirlo – mi inteneriva, pensando a lui: la sua fedeltà alla giovinezza. E’ morto che aveva quasi settant’anni, quando l’ho conosciuto era a metà della sessantina; ma si sentiva subito, in lui, il lieto respiro, il soffio di freschezza della gioventù. Fedeltà alle persuasioni e alle esperienze e ai principi radicatisi in lui nell’infanzia e nella giovinezza, certo; una fedeltà che gli è costata molto cara, proprio in termini di soldi e carriera e onori, i premi di quella solidità borghese e adulta che non era fatta per lui, anche se quei premi li avrebbe meritati più di molti che li collezionano.

La solidità borghese e adulta non era fatta per Piero, Piero non era fatto per essa, perché Piero, uno dei più acuti e coerenti pensatori del realismo politico, uno storico militare di valore, uno studioso appassionato di Schmitt e Nietzsche, Piero era giovane cioè ingenuo. Sembra paradossale, ma se ci si pensa bene è logico. Per cogliere i premi della solidità borghese e adulta ci vuole un requisito borghese e adulto: la disponibilità al compromesso. Compromesso nel senso migliore e peggiore della parola, intendiamoci: compromesso come riconoscimento che anche noi siamo, in fin dei conti, “come tutti gli altri”, uomini soggetti all’errore, al limite, al comune destino di mortali; e compromesso come abdicazione alle immagini di bene, di grandezza, di nobiltà e di onore che hanno acceso di speranza e di illusioni i nostri anni giovanili; o come loro simulazione ipocrita.

Deve averlo profondamente ferito e amareggiato, lui che per formazione, ambiente familiare, generosità d’animo  era per così dire nato nazionalista e patriota innamorato dell’Italia, la lunga esperienza professionale all’interno dello Stato italiano, presso la Presidenza della Repubblica e le Forze Armate. Troppo grande, troppo desolante la distanza tra ideale e realtà; quella distanza non misurabile in metri lineari da cui nasce lo spleen, la malinconia; e infatti nell’umorismo di Piero, nel dominio che con garbo esercitava su di sé si avvertiva sempre l’eco lontana della malinconia: che è l’impronta lasciata da un vero amore quando lo perdiamo, e pur sapendo che non lo ritroveremo mai non lo rinneghiamo né lo dimentichiamo, e lo conserviamo così, in certe pause che interrompono i nostri discorsi, in certi sguardi che scivolano via dal presente e si perdono, per un momento, nel vuoto.

Proprio ieri mi è capitato, su Facebook, di vedere il nome di Piero, perché suo figlio e sua moglie hanno lasciato aperta la sua pagina, dove le molte persone che lo stimavano e le poche che lo conoscevano di persona e gli erano affezionate hanno lasciato e ancora lasciano un ricordo, una frase, una firma. Il nome di Piero era illuminato di quel colore azzurrino, luminescente, che segnala i link, i collegamenti alla persona che porta quel nome. Basta cliccarci sopra con la freccina del mouse, ed ecco che si apre la pagina di diario. La pagina di Piero, oggi, si apre sull’aldilà in cui non credeva, che disprezzava come illusione dei deboli e raggiro dei vili; o sui ricordi di chi l’ha conosciuto, che sono anch’essi una specie di aldilà, di grande notte punteggiata di fiammelle che ci guidano nel dedalo del nostro passato. Brucia bene, brucia limpida la fiammella dei ricordi di Piero, nella mia memoria. Ciao Piero, ci vediamo presto.

Essere, avere e potere nella crisi, di Dominique Strauss-Kahn, a cura di Roberto Buffagni

Qui sotto la traduzione di un importante saggio di Dominique Strauss-Kahn, già direttore del FMI ed influente opinionista, liquidato da quell’incarico per uno scandalo sessuale appositamente costruito. La sua prospettiva è distante dal punto di vista del blog; cionondimeno l’analisi e gli spunti che offre sono molto interessanti per individuare i mutamenti di paradigma in corso nei centri decisionali_Giuseppe Germinario

https://www.leclubdesjuristes.com/blog-du-coronavirus/libres-propos/letre-lavoir-et-le-pouvoir-dans-la-crise/?fbclid=IwAR2Hz9MV49hy-11KvemmoULZR-2jCeMhKCZw_tzv1-jX7j8djpZuPtDR2aI

Essere, avere e potere nella crisi, di Dominique Strauss-Kahn

di Dominique Strauss-Kahn, ex ministro dell’Economia e delle finanze, ex amministratore delegato del Fondo monetario internazionale

 

Questo importante articolo è stato scritto da Dominique Strauss-Kahn, ex capo del FMI, per l’influente rivista Politique Internationale, che lo pubblicherà nel prossimo numero (numero di primavera). Un ringraziamento speciale a Patrick Wajsman per aver autorizzato la sua distribuzione e Dominique Strauss-Kahn che lo accetta a beneficio dei lettori del blog del Club des juristes.

 

La crisi sanitaria che stiamo vivendo è diversa da qualsiasi altra conosciuta dalle generazioni precedenti. Le rievocazioni della grande peste nera del 1348 o dell’influenza spagnola del 1918-1919 sono interessanti in quanto ci consentono di ripensare le conseguenze delle pandemie. Ma non dicono nulla sulla resilienza di una società la cui economia è integrata a livello globale e che ha perso quasi tutta la memoria del rischio di infezione.

 

Anzitutto, se la crisi attuale è diversa, è per la velocità di diffusione di questa malattia. Tre mesi dopo l’inizio della crisi sanitaria, quasi la metà della popolazione mondiale è chiamata in isolamento. Anche se la contagiosità del virus ha probabilmente avuto un ruolo in questo passaggio, dallo stadio epidemico a quello della pandemia, la globalizzazione, contrassegnata dall’accelerazione della circolazione delle persone, è al centro del processo di propagazione (1). Anche i tempi di reazione dei paesi sviluppati, i cui sistemi sanitari sono stati rapidamente sommersi, devono senza dubbio essere incolpati. Attesta la mancanza di lungimiranza e una – infondata – fiducia nella capacità dei sistemi sanitari di proteggere in maniera massiccia la loro popolazione, ottenendo al contempo dispositivi di protezione e test di monitoraggio da  fornitori esteri, principalmente cinesi. Non c’è dubbio che questo non fosse inevitabile. Taiwan, con la sua esperienza in precedenti epidemie, aveva molti dispositivi di protezione (2), le sue capacità di produzione e un dipartimento dedicato alla gestione delle malattie infettive in grado, in particolare, di gestione rapida, e applicazioni di condivisione dei dati sui pazienti infetti. È senza dubbio normale che un sistema sanitario non sia realizzato per far fronte a un’esigenza brutale e temporanea. Ma, in questo caso, è importante che sia reattivo, cioè capace di reindirizzare la sua offerta e mobilitare riserve predefinite e identificate. Questa agilità sembra mancare.

 

L’altra differenza strutturale tra questa crisi sanitaria e le crisi precedenti è la sua entità. Molte persone hanno prima cercato di mettere in prospettiva la gravità della situazione ricordando il numero di decessi dovuti all’influenza stagionale, alle epidemie di HIV ed Ebola e persino alle conseguenze sulla salute di pratiche di dipendenza come l’alcool o tabacco. Oltre a non conoscere le conseguenze letali di Covid-19 fino a quando non avremo interrotto la sua trasmissione, avanzare questo tipo di argomento equivale a ignorare la natura globale e assoluta di questa pandemia. Globale in quanto nessuna area geografica è più risparmiata e perché la pandemia attraversa una demografia mondiale che non ha paragoni con quella del 1919: il semplice numero di individui chiamati a rimanere a casa è oggi il doppio del la popolazione mondiale totale durante l’episodio di influenza spagnola. Assoluto, perché è ovvio che nessuno può considerarsi al sicuro dal rischio di contaminazione.

 

Ed è quest’ultima specificità della crisi sanitaria che la distingue da tutti gli episodi precedenti: il suo carattere altamente simbolico colpisce e sconvolge una popolazione mondiale che aveva quasi dimenticato il rischio di infezione. In questo, mina l’accogliente comfort in cui i paesi economicamente sviluppati si sono gradualmente accomodati. La morte non solo era diventata distante a causa della maggiore aspettativa di vita, ma era anche diventata intollerabile, come dimostrato dalla riluttanza a ingaggiare truppe di terra nei conflitti più recenti. Il “valore” della vita umana è aumentato considerevolmente, nell’inconscio collettivo dei paesi più ricchi. Oggi stiamo realizzando la precarietà dell’essere. Questa crisi dell’essere avrà certamente conseguenze considerevoli che potrebbe essere troppo presto per affrontare qui, ma è anche indicativa di una crisi di avere e una crisi di potere la cui analisi è necessaria per guidare le decisioni da prendere.

 

Una crisi di avere

Abbiamo conosciuto crisi economiche. Ma questa è diverso. Questa recessione è solo in parte molto simile a quella che abbiamo vissuto, perché che mescola uno shock all’offerta e un altro alla domanda.

 

Uno shock sull’offerta e uno shock sulla domanda.

 

Difficilmente possiamo evitare le conseguenze in termini di impieghi dello shock sull’offerta. Ciò deriva dalle istruzioni di confinamento che, per impostazione predefinita, si sono rivelate essenziali dal punto di vista sanitario. Con una parte della forza lavoro confinata per un periodo indefinito, è inevitabile che la produzione diminuisca. Le aziende ridimensioneranno, altre chiuderanno. Questi lavori vanno persi, probabilmente per molto tempo. Questo è ciò che accade in caso di catastrofe naturale, ma di solito colpisce solo una parte dell’economia.

 

Alcune di queste compagnie potrebbero essere salvate dallo stato. E il ricorso a “nazionalizzazioni temporanee”, che io non immaginavo se non in rari casi in cui fosse in gioco l’indipendenza nazionale (3), può salvarne alcune, ma non tutte.

 

Lo shock alla domanda ha ovviamente diverse cause cumulative. Il reddito di una parte della popolazione che sta svanendo, il consumo ritenuto non essenziale che viene rinviato, ciò che è reso impossibile dal confinamento e, poiché “le mie spese sono le tue entrate”, la domanda si indebolisce ulteriormente. Questo è il noto ciclo della recessione.

 

A questo si aggiunge la fusione degli attivi finanziari. In una recessione classica, la gestione più saggia delle attività finanziarie è attendere il ritorno alla normalità, se non è necessario vendere per un motivo o per l’altro. Qui, il ritorno alla normalità non sarà come prima. Alcuni attivi finanziari scenderanno a zero perché le società che rappresentano chiuderanno in proporzioni maggiori rispetto alle crisi precedenti. Questa fusione degli attivi  finanziari rinvia a comportamenti precauzionali che deprimono ulteriormente la domanda complessiva. Questo “rischio di rovina” di alcuni risparmiatori era in gran parte scomparso dalla Grande Depressione, e qui è tornato.

 

È questa simultaneità di shock di domanda e offerta che rende la situazione attuale così eccezionale e così pericolosa.

 

A breve termine, le perdite sono inevitabili.

Negli Stati Uniti, ci sono volute solo due settimane per disoccupare quasi 10 milioni di americani. In Europa, 900.000 spagnoli hanno già perso il lavoro. In Francia, l’INSEE stima che un mese di reclusione dovrebbe costarci 3 punti del PIL. Nessuno è stato risparmiato. E a sentire il FMI: “Non abbiamo mai visto l’economia mondiale fermarsi. È molto peggio della crisi del 2008 “. Queste cifre terribili portano alcuni ad adottare una griglia di letture marziali della nostra crisi. I governi, le Nazioni Unite, il FMI, parlano tutti di una “guerra” contro Covid-19. Tuttavia, un conflitto armato non sembra necessariamente riflettere la natura della paralisi economica che ci colpisce. Più che una distruzione di capitale, è un’evaporazione della conoscenza, specialmente quella nascosta nelle aziende che andrà necessariamente in bancarotta, il che deve essere temuto. Più che un reindirizzamento della produzione verso un’economia di guerra, stiamo assistendo a un coma organizzato e una disintegrazione sostenuta ma probabilmente duratura delle catene di approvvigionamento.

 

Per i paesi più fragili, la pandemia promette di essere catastrofica. Un certo numero di esportatori di materie prime, in primo piano i produttori di petrolio, stanno entrando in crisi con un livello insufficiente di riserve valutarie. Il prezzo di un barile è sceso sotto i $ 20 e il prezzo del rame, del cacao e dell’olio di palma è precipitato dall’inizio dell’anno. Per i paesi che beneficiano in gran parte delle rimesse dall’estero (4), il 2020 potrebbe registrare un netto calo dei consumi e degli investimenti. Per quanto riguarda le destinazioni turistiche, queste dovranno sopravvivere a una cessazione quasi totale dell’attività economica nella prima parte dell’anno (5).

 

Questa battuta d’arresto economica rischia di riportare milioni di persone della “classe media emergente” in condizioni di estrema povertà. Tuttavia, più povertà implica anche più morti. I paesi africani sono più giovani, ma anche più fragili, con i più alti tassi di malnutrizione, infezione da HIV o tubercolosi nel mondo, il che potrebbe rendere il coronavirus ancora più letale. Inoltre, dove i paesi sviluppati possono adottare drastiche misure di confinamento, ciò è spesso impossibile nei bassifondi urbani sovraffollati, dove è difficile accedere all’acqua corrente e dove smettere di lavorare o andare al mercato per comprare cibo non è un’opzione. L’esperienza di Ebola ha dimostrato che la chiusura delle scuole – adottata da 180 paesi in tutto il mondo – spesso si traduce in abbandono permanente, gravidanza non intenzionale e istruzione sacrificata per una generazione di studenti

 

Potremmo evitare queste drammatiche conseguenze? Senza dubbio non del tutto, ma sicuramente in parte sì, se siamo in grado di evitare gli effetti cumulativi della recessione combattendo il collasso della curva della domanda aggregata.

 

I limiti dell’azione monetaria

La risposta è iniziata e le banche centrali stanno facendo la loro parte per inondare il mercato di liquidità. A differenza della crisi del 2008, questi ultimi sono stati particolarmente rapidi e coordinati. A partire dal 3 marzo, la Fed ha abbassato i tassi di 50 punti base, seguita dalla Banca d’Inghilterra l’11 e il 19 marzo. Il 15 marzo, i tassi della Fed scendono a zero. Allo stesso tempo, vengono implementati interventi non convenzionali utilizzando gli strumenti sviluppati dal 2008. Il 18 marzo la BCE ha annunciato un programma per l’acquisizione di titoli per una dotazione totale di 750 miliardi di euro. Il coordinamento delle banche centrali, sotto la guida della FED, contrasta con la risposta sconclusionata della Casa Bianca. Il 15 marzo, la Fed ha esteso i suoi swap a nove nuovi paesi che devono fronteggiare una evaporazione del dollaro prima di aprire un meccanismo di pronti contro termine per le banche centrali che desiderano scambiare i loro buoni del tesoro statunitensi con dollari (6).

 

Ma ciò influenzerà solo indirettamente le economie emergenti che non hanno una banca centrale in grado di svolgere questo ruolo. D’altro canto, è possibile utilizzare un meccanismo che ha già dimostrato la sua efficacia nella crisi finanziaria globale: i diritti speciali di prelievo dell’FMI (7). Niente impedisce di riattivarli; niente, tranne l’allergia americana a qualcosa che assomiglia all’azione multilaterale, un’allergia che la tiepidezza degli europei non aiuta a controbilanciare (8). La riduzione del debito per i paesi a basso reddito e la massiccia emissione di DSP sono ora un passo necessario per contribuire a evitare una catastrofe economica, le cui conseguenze si estenderanno oltre le sponde del Mediterraneo.

 

Prima dell’attuale crisi, l’Europa stava già lottando per far fronte all’afflusso di alcune centinaia di migliaia di migranti che si sono abbattuti sulle sue porte. Cosa succederà quando, spinti dal crollo delle loro economie nazionali, ci saranno milioni di persone che tenteranno di farsi strada? Sebbene ciò possa sembrare molto lontano dall’attuale emergenza, anche se l’opinione pubblica ha altre preoccupazioni da affermare, è dovere di chi è al potere anticipare le crisi dopo la crisi. Per gli europei, unire le forze per estendere l’efficacia delle misure monetarie che adottano per i paesi emergenti, a cominciare dall’Africa, è una necessità assoluta.

 

Tuttavia, l’azione monetaria ha i suoi limiti e, come nel caso di qualsiasi calamità naturale, è necessario mobilitare il sostegno di bilancio. In parte lo sono stati, e meccanismi di supporto come l’estensione della disoccupazione parziale in Francia sono un passo nella giusta direzione. Ma sono insufficienti di fronte all’entità dello shock. Non si può sostenere l’offerta finanziando solo l’offerta ed è probabilmente la più grande debolezza del piano di sostegno originale di Trump (9). Inoltre, mentre nel 2009 la Cina aveva lanciato un titanico piano di ripresa per sostenere la sua economia e guidare la crescita globale, il paese sembra per il momento più circospetto. È vero che il margine di manovra cinese oggi è più debole: la crescita si è indebolita e il debito totale del paese, pubblico e privato, supera il 300% del PIL, contro il 170% prima della crisi “subprime”. Tanto che le misure annunciate da Pechino non superano attualmente l’1,2% del PIL.

 

Naturalmente, parte di questo supporto provocherà un rialzo dei prezzi. Quando l’offerta è limitata dal contenimento, la capacità di produzione è necessariamente limitata. Ma questa pressione al rialzo sui prezzi, oltre a non essere sgradita altrove, costituirà un supporto per il sistema produttivo tanto efficace quanto le misure finanziarie che gli verranno offerte.

 

Questo è mostrato nel grafico I. In questa presentazione classica delle curve della domanda e dell’offerta aggregata con uno shock sulla domanda probabilmente più forte di quello sull’offerta, vediamo come parte delle perdite di produzione è impossibile da evitare a breve termine, ma anche come il danno può essere limitato da un’adeguata azione politica sulla domanda. Inoltre, il rischio di non fare nulla può peggiorare notevolmente la situazione. Il calo della domanda, non compensato da misure di sostegno, creerà un secondo shock dell’offerta e così via. La spirale deflazionistica è quindi in corso con le sue conseguenze funeste.

 

Inevitabilmente, queste misure di sostegno alla domanda non saranno pienamente efficaci fino a quando il contenimento non sarà gradualmente rimosso, consentendo di riavviare la produzione. Ma devono essere immediatamente al lavoro, da un lato per essere in atto quando arriva il momento, dall’altro per combattere l’ansia dei consumatori, che può soltanto spingerli a tesaurizzare quel che possiedono, l’esatto contrario di ciò che è desiderabile.

 

 

A medio e lungo termine, sparigliamento delle carte

a /La globalizzazione degli scambi è stata ovviamente accompagnata da una nuova divisione internazionale di produzione. Il costo del lavoro relativamente basso nelle economie emergenti combinato con lo sviluppo dei media è stato la fonte di una crescita senza precedenti nel commercio internazionale. Questo vale per quasi tutti i settori, a partire dall’industria automobilistica ed elettronica.

 

Oggi è in gioco questa divisione internazionale del lavoro. Le critiche non sono nuove e la crisi sanitaria agisce principalmente come rivelatore. C’erano molti detrattori.

 

Per alcuni, considerati idealisti, era messa in questione l’assurdità ecologica di transitare merci venti volte da un’estremità all’altra del pianeta, in particolare per le catene del valore degli alimenti. Per gli altri, considerati dottrinari, si trattava della denuncia di un sistema che consentiva agli abitanti dei paesi ricchi di continuare a trarre profitto della rendita coloniale. La globalizzazione è la “fase suprema del capitalismo”, in un certo senso. Altri, considerati pessimisti, erano interessati alla sicurezza dell’approvvigionamento. Stiamo ovviamente pensando alla sicurezza sanitaria; Il 90% della penicillina consumata nel mondo è prodotta in Cina. Ciò vale anche per le terre rare, per le quali la Cina ha di fatto il monopolio della produzione, sebbene si tratti di componenti essenziali per l’intero settore dell’elettronica e delle comunicazioni.

 

Tutti avevano in parte ragione ed è molto probabile che la crisi porterà a forme di trasferimento della produzione, regionali se non nazionali.

 

La globalizzazione in questione non è l’apertura al mondo né la coscienza di un’umanità planetaria, questa progredisce lentamente per molto tempo, è ciò che Hubert Védrine chiama la globalizzazione americana di questi ultimi decenni: “Quello iniziato nel dopoguerra, che ha accelerato con il riorientamento della Cina verso il mercato da parte di Deng nel 1979, poi con la coppia Thatcher-Reagan nei primi anni ’80 e la deregolamentazione finanziaria sotto l’influenza della Scuola di Chicago, e che alla fine si diffuse negli anni successivi alla scomparsa dell’URSS alla fine del 1991, una scomparsa che gli occidentali interpretarono – a torto! – come la fine della storia. (10) ”

 

Questa globalizzazione non ha solo fatto perdenti. I dipendenti dei paesi emergenti che lavorano nei settori di esportazione (e di rimbalzo gli altri) hanno ovviamente beneficiato di un aumento del loro tenore di vita legato a salari più elevati. Per quanto riguarda i consumatori dei paesi sviluppati, non hanno esitato a lungo prima di a rivolgersi a questi prodotti importati, per la rendita che contenevano.  E questo consumatore non rinuncerà facilmente a una parte significativa del suo potere d’acquisto.

 

Il trasferimento di parte della produzione avrà un costo, ma la crisi che stiamo vivendo potrebbe essere sufficiente per renderla pedagogica.

 

b / Al di là delle forme che la globalizzazione prenderà, la crisi potrebbe consentire alle economie sviluppate di sbloccare lo stallo in cui si è persa la crescita economica.

 

Il dibattito è noto ed è stato ripreso da Larry Summers nel 2014 (11). Usando il termine introdotto da Hansen nel 1939, descrive un ritorno alla stagnazione secolare che aveva alimentato così tanto il dibattito dopo la crisi del 1929: è un equilibrio di sottoccupazione da cui le economie non sono in grado di emergere, a causa di un basso tasso di interesse associato a un’inflazione pressoché inesistente nei mercati dei beni e dei servizi quando il prezzo degli attivi finanziari è, al contrario, significativamente aumentato. Il progresso tecnico rilascia pochi nuovi prodotti, le innovazioni portano principalmente al risparmio di capitale, gli investimenti rallentano ed è impossibile ripristinarli perché i tassi di interesse sono già a zero. I risparmi sono quindi sovrabbondanti. Rallenta la crescita economica a causa della mancanza di significativi investimenti pubblici, limitati dal debito già considerato eccessivo in termini di rapporti debito / PIL considerati insostenibili. Negli ultimi decenni, l’ingegneria finanziaria ha risolto l’equazione causando ricorrenti crisi finanziarie che mascherano la realtà dell’economia reale.

 

Di fronte a questa situazione di stagnazione più o meno sperimentata da tutte le economie sviluppate, la crisi economica, distruggendo capitale, può fornire una via d’uscita. Le opportunità di investimento create dal crollo di parte dell’apparato produttivo, come l’effetto del prezzo delle misure di sostegno, possono rilanciare il processo di distruzione creativa descritto da Schumpeter. Il suo imprenditore vincerebbe così sul campo la battaglia teorica che aveva intrapreso molto tempo fa, sia contro stagnazionisti ottimisti come Keynes, sia contro i pessimisti come Marx.

 

Questo rinnovo dell’offerta è reso possibile da uno shock tanto violento da giustificare le misure adottate dai governi a favore del settore produttivo. Esse saranno risibili senza misure a breve termine di sostegno alla domanda, ma essenziali per la ricostruzione dell’apparato produttivo.

 

c / Un altro elemento deve essere preso in considerazione: quello delle disuguaglianze.

 

A livello nazionale, alcune professioni possono lavorare – almeno in parte – a casa, per altre è molto più difficile se non impossibile. Ma questo non influisce su diverse parti della popolazione allo stesso modo. Il grafico II (12), che riguarda gli Stati Uniti, illustra questa situazione che giustifica un maggiore sostegno a favore dei dipendenti meno qualificati.

 

 

 

A livello internazionale, negli ultimi anni è stata posta molta enfasi sul fatto che, mentre la crisi dei subprime aveva comportato un notevole aumento delle disparità tra individui, d’altra parte le disuguaglianze tra i paesi stavano diminuendo costantemente. L’attuale crisi rischia di mettere completamente in discussione questa osservazione. A breve termine, a causa delle possibili, e purtroppo probabili, conseguenze della crisi sulle economie di molti paesi a basso reddito. A medio termine, perché il trasferimento di determinate attività, che è molto probabile che accada, sarà a loro spese. Questo è ciò che rende ancora più essenziale il supporto a queste economie che già menzionato.

 

d / Il futuro economico, difficile in ogni caso, è in gran parte nelle nostre mani.

 

I governi hanno già iniziato ad agire come mostrato nella Figura II (13). Ma questo grafico mostra diversi punti deboli.

 

 

Innanzitutto, l’entità molto diversa degli stimoli già decisi (in rosso). Quindi, la parte preponderante presa dalle garanzie sui prestiti, che è certamente utile, ma si riferisce solo in modo molto indiretto al sostegno della la domanda dei più poveri. Infine, la mancanza di coordinamento nella risposta, mentre ciò che aveva reso un successo il rilancio 2009 è l’ampio coordinamento tra i principali attori (14).

 

L’Unione Europea ha la possibilità, e per me il dovere, di fornire elementi di risposta, ma la molle risposta del Consiglio europeo del 26 marzo e la pantomima dell’Eurogruppo non portano all’ottimismo. Il punto principale è quello della messa in comune del bilancio tra gli Stati membri al fine di poter realizzare azioni significative (15).

 

Tre strumenti sono in discussione all’interno dell’Eurogruppo:

 

sostegno di circa 100 miliardi di euro per meccanismi di sostegno parziale della disoccupazione a breve termine;

un mandato più forte conferito alla BEI che può prestare o garantire prestiti;

un adattamento all’attuale situazione del meccanismo europeo di stabilità (16).

Tuttavia, ognuna di queste opzioni manca dell’argomento centrale che è una risposta di bilancio aggregata per non compromettere la sostenibilità del debito dei paesi più fragili. Ovviamente, tutto ciò ci riporta al dibattito sulla creazione di coronabond e, più in generale, sulla capacità di indebitamento dell’Unione, la cui assenza si fa crudelmente avvertire oggi. È anche una questione politica: la BCE non sarà in grado di mutualizzare i debiti per lungo tempo attraverso operazioni di mercato senza che si manifesti un esplicito sostegno politico.

 

Sono possibili due modi. La prima sarebbe una richiesta esplicita degli Stati di monetizzare l’eccedenza di debiti; ma è rimettere in causa l’indipendenza della banca centrale. Il secondo è andare avanti con coloro che vogliono emettere congiuntamente nuovi debiti al fine di finanziare sia i costi della risposta sanitaria immediata, della solidarietà internazionale che sarà necessaria, in particolare verso l’Africa, sia infine un piano di risanamento massiccio una volta superata l’emergenza sanitaria. La scelta è quindi semplice, l’uno o l’altro di questi due tabù deve essere spezzato: l’indipendenza della banca centrale o l’unanimità degli Stati membri.

 

Perché ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento è:

 

  • richiedere piani di sostegno nell’ordine di grandezza della produzione persa (diversi punti del PIL solo per il 2020). Questi devono basarsi, sia per le famiglie che per le imprese, su un reale sostegno alla loro liquidità attraverso misure fiscali e di bilancio;
  • coordinamento di tali politiche con le azioni svolte dalle banche centrali in materia monetaria;
  • uno strumento per mobilitare risorse di bilancio e debito congiunto in Europa. Senza mutualizzazione, la risposta di bilancio sarà insufficiente;
  • un’azione concertata a livello internazionale, compresa l’estensione di questa liquidità oltre i paesi sviluppati.

Una crisi di potere

È forse la più inquietante. Crisi della sovranità, che pertiene all’autonomia degli Stati in un mondo in cui le istituzioni multilaterali stentano a organizzare il processo decisionale necessario su scala globale. Crisi rappresentativa, colpisce anche per l’esercizio del potere, la garanzia delle libertà pubbliche e la legittimità delle autorità, in particolare nelle democrazie. Ma non sono la crisi sanitaria e l’epidemia di Covid-19 a creare queste crisi. Rivelano solo punti deboli che già esistono ampiamente.

 

La crisi getta una luce dura sulla relatività della nostra sovranità.

 

Sottolinea una dipendenza tecnologica che, per ignoranza o orgoglio nazionale, tendiamo a sottovalutare.

 

Questo ovviamente vale in campo sanitario. Scopriamo, sbalorditi, che gran parte della nostra offerta di medicinali dipende dalla Cina. Lasciando che questo paese diventi la “fabbrica del mondo” non ci siamo arresi in aree essenziali per garantire la nostra sicurezza?

 

Ci sono segnali allarmanti anche all’interno di un insieme molto integrato come l’Unione Europea. La carenza di curaro necessaria per l’intubazione di persone in gravi condizioni sembra in parte dovuta all’origine italiana e spagnola degli ingredienti. È chiaro che nell’Unione, in futuro questa situazione potrebbe trovare soluzioni. Ciò è meno semplice quando si tratta di materiali, tra cui tecnologie avanzate in cui è evidente la dipendenza dagli Stati Uniti.

 

Ma questa dipendenza sanitaria rinvia a una più grave dipendenza tecnologica. L’opinione pubblica è consapevole, ma forse noncurante, della scarsa sicurezza delle comunicazioni e in particolare degli smartphone. Che cosa sa dei contratti tra i nostri servizi di intelligence e Palantir, la società fondata da Peter Thiel? L’intelligenza artificiale fa paura, a ragione o in torto, ma senza dubbio i cittadini preferirebbero che le garanzie fornite dai funzionari che avevano eletto non fossero così dipendenti dal potere straniero e, quanto meno, è probabile che vorrebbero essere informati. Che dire dell’uso di Windows al Ministero della Difesa? Non potendo ritrovare una sovranità digitale ormai perduta, potremmo almeno indirizzare i nostri investimenti verso il software libero, che offre una garanzia di indipendenza. L’Europa, e anche la sola Francia, se non seguita, potrebbe rapidamente contribuire in modo significativo a questo bene comune digitale. Questo punto va ben oltre i soli problemi di sicurezza. Daniel Cohen (17) sottolinea giustamente un’evoluzione verso il capitalismo digitale che questa crisi può accelerare. L’indipendenza nazionale o europea non può essere misurata solo dall’esistenza di una capacità nucleare.

 

La crisi sanitaria alimenta i vecchi impulsi nazionalisti. Per evitarlo, non possiamo accontentarci delle tradizionali esplosioni liriche sugli orrori del fascismo, da un canto, e sull’universalità della condizione umana dall’altro. Se noi, sulla scala delle nostre nazioni, siamo troppo deboli per competere, allora l’Unione europea riacquista il suo pieno significato. Lungi dal riconoscere la sua morte, come alcune persone si sforzano di proclamare, il nuovo interesse mostrato dai popoli europei per il concetto di sovranità può dare all’Europa una seconda possibilità.

 

La frammentazione della globalizzazione che la crisi è suscettibile di causare costituisce un’opportunità inaspettata per riprendere in mano le redini. Ci vuole una volontà popolare, ed essa era diventato così debole che nulla sembrava possibile in questa Unione appesantita dall’allargamento, ostacolata dalla burocrazia e delegittimata dal suo presunto carattere non democratico. Il graduale ritorno dell’egoismo nazionale stava lentamente uccidendo i sogni dei fondatori. I sovranisti di ogni genere ci sono andati a nozze, omettendo di  dire alla gente che non c’è ritorno alla sovranità se non condividendola con altri europei, come ha dimostrato la creazione dell’euro. Ma l’impossibile contabilità dei benefici della costruzione europea non è riuscita a convincere  cittadini sempre più dubbiosi di averne ottenuti.  Così che in questa crisi, l’inefficacia dell’azione europea ha dato argomenti a tutti i suoi detrattori. Nel settore sanitario come in quello economico, l’assenza di una visione politica ha impedito qualsiasi azione preventiva e il potere dell’egoismo nazionale sta ritardando le misure necessarie.

 

Ci voleva uno shock perché riemergese la vera natura dell’Unione; quella del rifiuto di abbandonare i valori collettivi e un modello di società che definisce un’identità. È questa identità che si è fusa nella globalizzazione, e che può rinascere dalla sua frammentazione. Questo shock, ora lo abbiamo. Una rinascita è possibile a due condizioni: che la solidarietà europea si affermi nella risposta alla crisi sanitaria, che uomini e donne portino e incarnino un risveglio dell’Europa politica. I prossimi giorni, settimane e mesi ci diranno se queste condizioni sono state soddisfatte. La sfida è grande, poiché l’Europa ha perso la sua credibilità. Sarà necessario convincere proponendo un metodo Monnet del dopoguerra sanitaria, capace di risultati visibili da tutti, che giustifichino trasferimenti calibrati di sovranità.

 

La crisi pone anche la questione democratica in termini nuovi.

 

Il nostro modello democratico, derivante dalla rivoluzione industriale, ha già subito molti danni. È fondamentalmente un modello di democrazia rappresentativa: si basa sul consenso a delegare il potere che dà il diritto di voto a uomini e donne che lo eserciteranno per nostro conto. Eleggiamo rappresentanti che riteniamo in grado di attuare la politica a cui aspiriamo e di cui ci fidiamo. Tuttavia questo consenso, come questa fiducia, è sempre più sotto attacco, l’aria del tempo è meno nell’interesse generale che nell’accumulo di interessi particolari (18).

 

C’è voluta una combinazione di diversi fattori per arrivarci. Innanzitutto, e soprattutto, la delusione legata ai risultati meno felici del previsto; ma anche lo sviluppo di social network che danno a tutti la sensazione fallace di sapere meglio di chiunque altro cosa fare; il lento passaggio da un mandato di rappresentanza a un mandato imperativo a causa della pressione diretta e talvolta fisica che questi stessi social network consentono; infine, la lenta scomparsa di organi intermedi come sindacati e partiti politici. Tutto ha contribuito alla lenta decrepitudine della democrazia rappresentativa.

 

È questa cachettica democrazia parlamentare, nata due secoli fa, che la crisi sanitaria ha colpito in pieno.

 

La gestione della crisi sanitaria ha quindi causato una crisi rappresentativa. Se, come afferma Max Weber, “uno stato è una comunità umana che rivendica il monopolio sull’uso legittimo della forza fisica su un determinato territorio” (19), questo monopolio trova la sua legittimità in quella della rappresentazione. Questo era già in questione prima della crisi. È stato messo alla prova dalla crisi.

 

Può essere facilmente ammesso Il principio che, in tempi di crisi, le democrazie possano ricorrere a misure coercitive “su una base eccezionale”, ma la questione dei limiti non manca di essere sollevata da parte dell’opinione. Ovunque, la domanda che sta al cuore del pensiero di Giorgio Agamben: “Possiamo sospendere la vita per proteggerla?” Ho trovato una risposta temporanea: vale a dire la vita (e persino l’economia) prima delle libertà pubbliche. Ma sarà lo stesso in futuro se le misure autoritarie, a partire dal contenimento, dovessero durare o essere rinnovate?

 

La democrazia deriva dal modo di salire al potere più che dal suo esercizio (20). Tuttavia, queste misure di emergenza hanno due conseguenze. Il primo è che la linea di demarcazione tra democrazie e regimi autoritari è confusa. Il secondo è che i governi eletti democraticamente potrebbero essere tentati di usare la crisi per una varietà di scopi: cercare di passare a un regime meno democratico (Ungheria) o gestire altri problemi interni (India, Algeria). In molti paesi, la vita democratica è sospesa dal rinvio delle elezioni come in Polonia o in Bolivia, con il caso particolare della Francia.

 

I tempi di crisi hanno spesso portato a una forma di unità nazionale. In una certa misura, il senso di urgenza e la necessità di sopravvivere hanno provocato un’esplosione di lealtà tra i cittadini. Il più delle volte, le persone hanno sostenuto le forti decisioni prese dal loro governo con consenso / accettazione se non con entusiasmo (21), (22). Tuttavia, nella maggior parte dei regimi democratici, le decisioni sono messe in discussione, le istruzioni sono disattese e, in generale, la pertinenza delle misure raccomandate dagli esperti che, in altri periodi, sarebbero state date per scontate, è ampiamente messa in discussione.

 

Tanto che ci si può legittimamente domandare se la nozione di programma politico abbia ancora un significato. Poiché i funzionari eletti non sono in grado di fare ciò che hanno promesso, i cittadini non si fidano più di loro e intendono intervenire in qualsiasi momento nel processo decisionale; ci allontaniamo molto dalla democrazia rappresentativa per tendere verso forme più o meno organizzate di democrazia diretta. Il rischio è quindi quello di tutto il populismo; verità e ragione contano meno dell’azione anche quando si basa solo sulla passione. Benda ci ha insegnato a quali drammi questo ha portato inesorabilmente  (23).

 

Al contrario, nella maggior parte dei regimi non democratici, la legittimità del potere è conferita dalla capacità dei leader di proteggere il loro popolo e mantenere l’ordine sociale piuttosto che garantire le loro libertà. Nella maggior parte di questi paesi, le autorità hanno imposto una risposta forte e rapida alla crisi e in cambio vediamo una certa sensazione di sostegno e unità nazionale tra la popolazione (Cina, Vietnam, Giordania, ecc.). In altre parole, non solo la fine della crisi potrebbe segnare un indebolimento della legittimità delle autorità pubbliche nelle democrazie, ma allo stesso tempo un rafforzamento del potere nelle autocrazie.

 

Per la rapidità della sua insorgenza e l’impetuosità della diffusione del virus, la crisi sanitaria ha imposto misure legislative e regolamentari di una portata senza precedenti nelle nostre democrazie. In molti paesi, l’esecutivo si è sentito autorizzato a prendere misure di sorveglianza di massa o liberticide utilizzando tecnologie finora riservate all’intelligence militare o antiterroristica! In generale, queste misure in deroga alle libertà pubbliche sono piuttosto ben accolte, persino acclamate dai cittadini che lo vedono come un arsenale che protegge la loro sicurezza.

 

Il fatto che i governi favoriscano l’efficienza non è una specificità della crisi sanitaria. Il fatto che i cittadini siano meno attenti alla salvaguardia dei loro diritti fondamentali riflette senza dubbio l’ansia di fronte al nuovo flagello dopo decenni di assenza di avversità collettive. Queste misure eccezionali e temporanee devono assolutamente rimanere tali. Tuttavia, negli ultimi anni, va detto che altre misure prese in nome della lotta al terrorismo sono passate, quasi nell’indifferenza generale, dallo status di misure eccezionali e temporanee a quello della legge ordinaria.

 

Dobbiamo stare attenti a non indebolire permanentemente lo stato di diritto in nome dell’urgenza di combattere il virus. Lo scorso autunno (ma sembra già così lontano), François Sureau ha ricordato che “lo stato di diritto, nei suoi principi e nei suoi organi, è stato progettato in modo tale che né i desideri del governo né le paure del popolo” potranno travolgere le basi dell’ordine pubblico, e prima di tutto la libertà ”(24).

 

All’indomani della crisi, le questioni politiche saranno quindi numerose. Quali schemi saranno percepiti come capaci di gestire bene la crisi? Quale transizione dovrebbe essere attuata per tornare da misure eccezionali alla vita normale? Se durante la crisi sanitaria non hanno agito all’unisono, quale credibilità avranno i regimi democratici, nella gestione di altre crisi come la sfida climatica o la migrazione?

 

E se gli egoismi nazionali dominano durante la gestione della crisi sanitaria, come impedire all’ondata di populismi nazionali di travolgere tutto sul suo cammino? Inoltre, la cooperazione internazionale non è solo un elemento di un’efficace gestione della crisi, ma una condizione di sopravvivenza democratica dopo di essa.

 

Senza dubbio stiamo entrando in un altro mondo

Un’altra economia: il ritorno dei regolamenti?

 

L’attuale periodo è di disordine, e ovviamente si pone la questione di quale direzione prenderemo quando la crisi sanitaria sarà terminata. Negli ultimi trenta anni, la causa è stata ascoltata. Stavamo assistendo alla vittoria sfrenata del liberalismo economico alla fine della storia di Francis Fukuyama (25). Ma quelli che guardano alla storia tenendo presente il lungo termine oggi trovano motivo per tornare all’idea che il liberalismo ha sicuramente vinto. La lezione tenuta da Karl Polanyi (26) tre quarti di secolo fa è che il liberalismo economico è una fase di disorganizzazione tra due periodi più regolati. Ciò si afferma periodicamente, come parentesi, fino a quando non viene imposta la necessità di nuovi regolamenti, perché i fenomeni economici non sono indipendenti dal resto dell’evoluzione della società.

 

In 150 anni abbiamo conosciuto tre grandi cicli di regolazione del capitalismo. Quello che, proveniente dal XIX secolo, termina con la prima guerra mondiale, dà il via a un altro regolamento basato sulla produzione di massa in un mondo lacerato dal risveglio del nazionalismo e abitato dalla costruzione della democrazia. E poi è arrivata una terza fase perché, contrariamente a quanto previsto da Polanyi, il mercato non è crollato con la crisi del 29 o dopo la seconda guerra mondiale. È che dopo il 1945, la generalizzazione dello stato sociale, l’emergere del dominio americano e la cancellazione del fascismo modellarono le nuove norme dei decenni successivi. Verso la fine degli anni ’70, iniziò una nuova rottura. Colpisce il mondo della produzione, le idee politiche e la scena internazionale. L’emergere della tecnologia dell’informazione, l’ondata liberale di rifiuto delle imposte e il crollo del comunismo hanno segnato la fine del periodo socialdemocratico.

 

Pertanto, abbiamo conosciuto per quasi due secoli un susseguirsi di fasi organiche durante le quali domina un modo di organizzazione dell’economia e della società e fasi critiche durante le quali questi regolamenti restano senza fiato e poi svaniscono , per lasciare il posto ad altri. L’ultima grande regolamentazione collettiva è stata quella dello stato sociale. Non c’è più alcun dubbio che sia finita. E nonostante un lieve balbettio all’indomani della crisi dei subprime, nulla è venuto a sostituirlo.

 

Tra queste fasi di regolazione, i vecchi schemi stanno crollando, l’organizzazione collettiva è in ritirata, gli individualismi ritrovano diritto di cittadinanza. Fino a quando uno shock enorme consentirà alla storia di riguadagnare i propri diritti e gli uomini scolpiranno il quadro della nuova società. Sono queste le strutture  che dobbiamo ricostruire oggi.

 

Questi regolamenti non risparmiano alcuna attività umana, ma al di là del tradizionale spazio di cooperazione economica, ci sono diverse aree in cui la necessità di una regolamentazione è essenziale.

 

Innanzitutto, ovviamente, nel campo dell’organizzazione sanitaria. Paradossalmente, è in quest’area che la cooperazione internazionale ha iniziato a svolgersi nel 1851 con il primo Regolamento sanitario internazionale. La riforma del 2005 ha rafforzato l’indipendenza del direttore generale dell’OMS, ma è necessario fare molto di più, in particolare nel suo coordinamento con l’OMC.

 

Il ruolo dell’OMS può in particolare essere importante nell’attuazione di politiche di prevenzione più attive. Non appena le pandemie non compaiono più come rischi trascurabili, “Black Swans” per usare l’espressione usata nel campo dei rischi finanziari, si afferma fortemente la necessità di tenere conto di queste politiche nelle scelte pubbliche.  Lo smantellamento, da parte di Donald Trump, della cellula responsabile della sicurezza sanitaria alla Casa Bianca dimostra che non ci siamo ancora arrivati.

 

La crisi sanitaria può anche creare l’opportunità di una nuova mobilitazione per combattere i cambiamenti climatici. Al di là dei legami tra clima e salute pubblica, le misure adottate nel contesto della lotta contro la pandemia stanno trasformando il dibattito sui vincoli di bilancio che ci imponiamo come sul controllo del comportamento individuale. Ma esiste anche un collegamento con altre aree di conservazione ambientale e in particolare la conservazione della biodiversità. La distruzione degli ecosistemi da parte dell’inquinamento, la progressiva limitazione dei luoghi in cui vivere o le imprese proibite favoriscono le zoonosi (trasmissione delle patologie dall’animale all’uomo), come hanno dimostrato molti esempi recenti.

 

Ma anche se accettiamo la plausibile ipotesi di una frammentazione della globalizzazione, queste diverse politiche possono essere solo globali. Poi arriva la domanda fastidiosa che attraversa qualsiasi interrogativo sulle conseguenze della crisi sanitaria: c’è un posto per il multilateralismo? E oltre, possiamo concepire un’azione multilaterale che non riguardi solo gli Stati ma che si svilupperebbe tra le regioni o anche le grandi metropoli?

 

Un altro paradigma

 

a / Un cambiamento nel rapporto tra gli Stati: quale nuovo equilibrio geopolitico?

 

Se resta da sperare che la crisi sia la fonte di una rinnovata cooperazione a livello globale ed europeo, è importante esaminare le sue conseguenze più immediate per le relazioni internazionali.

 

Il primo deriva dal vuoto di potere che l’attenzione sulla crisi sanitaria dei principali governi renderà ogni giorno più visibile. Finché sono, come tutti, sommersi dalla pandemia, i gruppi armati sembrano aver scelto di ritirarsi. Ma non appena le condizioni lo consentiranno, non vi è dubbio che i conflitti ricominceranno proprio mentre i principali attori si occuperanno principalmente della loro situazione interna. Si teme che sia così in Siria come in Libia, nel Sahel come nello Yemen. Tanto più che molti Stati scossi dalla crisi troveranno ancora più difficile che in passato esercitare le loro responsabilità sovrane.

 

In questo contesto, è probabile che vi sia una forte tentazione, per alcuni Stati, di aumentare la loro influenza internazionale. La Cina, la Russia in misura minore, hanno già colto questa opportunità distribuendo aiuti medici principalmente ai paesi europei. Alla fine della crisi sanitaria, la competizione ideologica riprenderà con forza in una situazione in cui le popolazioni avranno voglia di intervento statale e di potere forte. Intrappolati tra la loro riluttanza verso qualsiasi azione multilaterale e il loro confronto con Pechino, gli Stati Uniti faranno fatica a evitare una ridistribuzione delle carte, ma ovviamente molto dipenderà dalle elezioni di novembre. La Cina non è in grado di esercitare la leadership mondiale, ma non è certo che gli Stati Uniti ne siano ancora capaci.

 

È quindi chiaramente una frammentazione della globalizzazione che è ragionevole aspettarsi, e potrebbe essere l’occasione per l’Europa, se riuscirà a mettersi insieme.

 

b / La crisi dell’essere porterà a un cambiamento nel rapporto tra uomini?

 

Perché sia possibile un rimescolamento delle carte, il rischio di pandemia deve permeare profondamente, ma soprattutto durevolmente, la sensibilità globale collettiva. La metafora della guerra, che è stata ampiamente utilizzata, può essere applicata solo durante il periodo della mobilitazione: la maggior parte degli studi (27) suggerisce che non può esserci armistizio, né tanto meno una liberazione. Non è quindi solo uno sforzo bellico a lungo termine, ma anche un reinserimento nella coscienza collettiva, la permanenza di un rischio di pandemia infettiva. Di fronte a una tale minaccia strutturante e universale, è probabile che vedremo un profondo cambiamento nelle preferenze collettive.

 

Prima probabile evoluzione delle nostre preferenze collettive: il rapporto con la temporalità. Entrare in un mondo caratterizzato da un pericolo infettivo implica la correzione delle nostre carenze e la realizzazione della nostra incapacità, soprattutto in Europa, di dare realtà al principio di precauzione e coltivare l’approccio preventivo. L’ embolizzazione dei sistemi sanitari dei paesi sviluppati è solo il sintomo di una visione politica a breve termine che si crede premunita contro eventi reali imprevisti grazie alla sola esistenza di mercati interconnessi e reattivi di beni e servizi. Le decisioni future non potranno esonerarsi dall’iscrivere, anzitutto nei bilanci, misure a lungo termine, né da un approccio strategico sistematizzato ai vari settori prioritari della vita delle persone.

 

Al di là di questo primo aspetto, il rischio di infezione ci ricorda con forza l’evidenza dell’interdipendenza tra individui. Questo è l’intero paradosso dell’attuale confinamento: isolati in casa, gli individui non hanno mai lavorato così tanto per il ripristino del collettivo. La salute di tutti non è più, come nel caso delle malattie cardiovascolari e degenerative, la conseguenza del comportamento individuale: dipende dalla responsabilità di ciascuno nei confronti del collettivo e, al contrario, dalla capacità del collettivo di prendersi cura della salute del minimo dei suoi membri. La caratteristica dei virus che questa pandemia ci ricorda, è di non riconoscere confini, né sociali né politici: nessuna barriera, nessun muro proteggerà durevolmente le società da un rischio di contagio, da un “cluster” pronto sciamare.

 

Oltre al necessario rafforzamento del ruolo dell’OMS nell’attuazione delle politiche di prevenzione attiva, questa ricomparsa del sentimento di interdipendenza deve essere accompagnata, in modo che non emerga una società di sfiducia generale. Un recente sondaggio (28) sull’accettabilità di un’applicazione telefonica per tracciare i contatti dei gestori Covid-19 mostra che quasi il 75% degli intervistati installerebbe probabilmente questo tipo di applicazione, se esistesse. Quale apprezzamento sociale verrebbe fatto di un individuo che rifiuta di installare una tale applicazione? Questo rifiuto dovrebbe essere semplicemente autorizzato quando rischia di mettere in pericolo il collettivo? È probabile che questa crisi sanitaria e la sua penetrazione nell’immaginario collettivo stimolino l’emergere di una società di trasparenza medica: è quindi possibile che in futuro il movimento delle persone sia soggetto alla produzione di test di immunità, come la carta di vaccinazione internazionale attualmente richiesta al confine di molti stati. Ma c’è tutto un mondo, tra un semplice taccuino di cartone e i dati del tuo telefono cellulare. Affinché il sistema di trasparenza individuale che si raccomanda di adottare non si trasformi in una società della sfiducia, le autorità pubbliche devono svolgere un ruolo attivo, al fine di garantire non solo l’anonimato degli utenti, ma anche la cancellazione dei set di dati (29). Questo fermo posizionamento pubblico deve costituire la base di un nuovo “sistema provvidenziale” sul quale costruire la fiducia e un rinnovato patto civile.

 

 

 

[1] Jin Wu, Weiyi Cai, Derek Watkins e James Glanz, “Come è uscito il virus”, The New York Times, 22 marzo 2020

 

[1] Anche la Francia ha un vasto stock strategico. Creato nel 2007, lo stabilimento per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie nel 2009, nel contesto dell’epidemia di H1N1, un miliardo di maschere anti-proiezioni, destinate ai malati, e 900 milioni di maschere di protezione, chiamata “FFP2”. Nel 2013 è stata modificata la dottrina della gestione degli stock strategici, con il trasferimento della protezione dai lavoratori ai datori di lavoro. Nel 2016, le missioni dell’EPRUS sono state integrate in un nuovo istituto di sanità pubblica francese.

 

(3) Cfr. Fondazione Jean Jaurès .

 

(4) Come Haiti, ad esempio, di cui il 32% del PIL nel 2018 proviene da questi trasferimenti

 

(5) Alle Maldive, in casi estremi, il 75% del PIL dipende direttamente e indirettamente dal turismo e le riserve valutarie non superano i 2 mesi di importazioni.

 

(6) Di cosa potrebbe beneficiare la Cina, che non ha accesso agli swap.

 

(7) Aumentano le riserve delle banche centrali

e consentire ai paesi in via di sviluppo di ottenere “valute forti”.

 

(8) La Francia ha finalmente presentato una proposta in tal senso

 

(9) Da allora, l’assegno per $ 1.500 per tutte le famiglie ha migliorato la situazione.

 

(10) Terra Nova, marzo 2020

 

(11) Larry Summers “Prospettive economiche statunitensi: stagnazione secolare, isteresi e limite inferiore zero”, Economia aziendale, 49, pagg. 65-73, 2014

 

(12) Paolo Surico e Andrea Galeotti, “L’economia di una pandemia: il caso di Covid-19”, London School of Economics, 2020

 

(13) Paolo Surico e Andrea Galeotti, ibidem.

 

(14) Già nel gennaio 2008, il FMI aveva annunciato a Davos la necessità di uno stimolo fiscale globale. Prenderà forma al G20 del 2009 a Londra e ha salvato milioni di prevedibili disoccupati.

 

(15) Su questi punti, vedi Shahin Vallée “Nota macro: opzioni per l’Eurogruppo e un possibile percorso graduale verso coronabond”, 2 aprile 2020

 

(16) Questo meccanismo, creato nel 2012, può mobilitare fino a 700 miliardi di euro. Talvolta viene erroneamente descritto come un FMI europeo. La principale differenza con l’FMI deriva dal fatto che le risorse del MES stanno prendendo in prestito risorse e non risorse monetarie. Non è un Fondo monetario europeo ma un Fondo di bilancio europeo.

 

(17) Daniel Cohen, “La crisi del coronavirus segnala l’accelerazione di un nuovo capitalismo, il capitalismo digitale”, Le Monde, 2 aprile 2020

 

(18) Max Weber, in Economia e società, insiste sul fatto che la sottomissione volontaria specifica a qualsiasi forma di socializzazione dipende dalle qualità che il dominato presta a chi lo comanda.

 

(19) Max Weber, “Politik als Beruf”, 1919

 

(20) Se ciò che caratterizza la democrazia è la modalità di acquisizione del potere e non il suo esercizio (Adam Przeworski et al., “Democrazia e sviluppo: istituzioni politiche e benessere nel mondo, 1950-1990”, vol.3, Cambridge Univ. Press, 2001) quindi il carattere democratico delle nostre società non è in discussione.

 

(21) “Nelle democrazie, il rapporto tra cittadini e governo si basa sul triumvirato di conformità, consenso e legittimità”. Hardin, “Conformità, consenso e legittimità”, in Boix & Stokes, Politica comparata

 

(22) Chi avrebbe potuto immaginare che quando, 18 mesi fa, la rivolta dei giubbotti gialli in Francia nacque tra l’altro da indignazione contro il limite di velocità a 80 km / h, considerato liberticida.

 

(23) Julien Benda, “La trahison des clercs”, 1927, ristampa Les cahiers rouges, Grasset, 2003

 

(24) François Sureau “Senza libertà”, Tract, Gallimard, 2019

 

(25) Francis Fukuyama, “La fine della storia e l’ultimo uomo”, The Free Press, 1992

 

(26) Karl Polanyi, “La grande trasformazione. Le origini politiche ed economiche del nostro tempo “, Gallimard, 1944

 

(27) Gideon Lichfield, “Non torneremo alla normalità”, MIT, 2020

 

(28) https://045.medsci.ox.ac.uk/user-acceptance, Università di Oxford, 31 marzo 2020

 

(29) Ciò che l’Europa è stata in grado di attuare con l’adozione precursore del GDPR

 

I COSTI DEL NON FARE O DEL NON FARE BENE, del dr Giuseppe Imbalzano

Il dottor Giuseppe Imbalzano ha letto il mio articolo su I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto[1] e mi ha scritto questa lettera di commento, che pubblichiamo ringraziandolo di cuore.

Quel che dice va ascoltato con molta attenzione, perché il dottor Imbalzano ha le competenze e l’esperienza necessaria per parlare a ragion veduta: si veda qui un piccolo estratto dal suo curriculum professionale.

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi._Roberto Buffagni

P.S.: ci diamo del tu perché coetanei, ma sinora non ci conoscevamo.

 

Carissimo Roberto,

Hai uno stile forte, una concatenazione e una liquidità, una armonia nella lettura che affascina per semplicità e decisione, immediato, salta agli occhi e entra nel cuore.

Ma pensavi d’essere stato cattivo, deciso, e invece, sei stato buono, delicato, quasi pietoso.

Il tuo pennello sorprende per la durezza dei valori che esprimi, ma è stato al di sotto della realtà.

Hai scoperto il nervo e le lacune del mondo civile.

Quel che serve, quello che dovrebbe essere, quello che dovrebbero conoscere.

Il costo infinito.

Per fare prevenzione di comunità è necessario avere un sistema già operativo e pronto all’intervento sempre e comunque. Un impegno che pochi hanno, una rete pronta sempre.

La Germania, GB e le altre Nazioni non hanno un sistema di prevenzione sanitario sempre pronto, attivo, e universale.

Che si preoccupi della salute e del benessere dei cittadini, che lavori sempre e verifichi ed allontani i pericoli e i rischi che abbiamo, che si presentano, che si manifestano improvvisamente, laboratori di sanità pubblica, servizi per la sicurezza degli alimenti e per la nutrizione, di igiene ambientale, degli ambienti confinati, alle vaccinazioni, ai controlli per l‘acqua e quanto sia utile per l’intera comunità, oltre alla medicina del lavoro per la sicurezza dei lavoratori.

Costa ed è vero, ma è un sistema silenzioso e prezioso, è il nostro sistema di garanzia.

Non è solo costo, per fortuna non infinito, ma vigilanza costante, rigoroso strumento e barriera per il nostro benessere. E il tempo di gestire e formare il personale, di creare medici ed esperti solo per la sicurezza non è né breve né semplice.

E se c’è una infezione individua i casi e li assiste e li protegge, e protegge tutti noi.

Selezione della specie

Con questa infezione abbiamo scoperto che esiste un nuovo modello di selezione umana, della comunità, basato sul rapporto costo /utilità, “abituatevi a perdere i vostri cari”.

Non che non ci fosse in passato, Sparta docet, ma così lucida, chiara e definita, forse non l’abbiamo mai ascoltata negli ultimi 75 anni.

E in una culla della democrazia, della Magna Charta, della Costituzione, del diritto moderno.

La selezione non della razza, ma dell’utilità.

“Hai reso tutto quello che potevi al tuo Paese, hai bisogno di pensione e medicine, di badanti, carrozzine e di carezze, beh, adesso grazie.”

Un bel risparmio per il Welfare Nazionale.

Con occhi pungenti, lucidi, ben biondo e alla moda di oggi, scapigliato.

Ma senza sforzi particolari, anzi, una bella sforbiciata di inutili soggetti.

Un Flauto Magico e tanti anziani dietro (non bambini, questa volta).

Le infezioni non colpiscono gli anziani per forza, questa in particolare ha un tropismo verso le età non infantili (forse per “l’eccesso” di vaccinazioni dei bambini, come si sta cercando di capire) e come tutte le malattie, tende ad infierire su alcune categorie in particolare (anziani e patologie cronico degenerative nel nostro caso).

La scelta biologica ideale (e poi dicono che non l’hanno creata in laboratorio in Inghilterra…)

Ma tranquilli, colpisce tutti, senza preoccuparsi della carta di identità, dell’anno e del secolo di nascita.

Magari non muoiono, ma hanno bisogno di cure anche loro.

E poi tutta la famiglia del malato, se lo lasciano in casa con gli altri.

Ma il virus lo hanno creato difettoso!

Ahi ahi ahi la genetica!

È letale ad una certa età, ma non sempre è lieve per gli altri.

Per molti, diciamo 80%, passa veloce e non si sente per nulla o quasi, ma per il 20% più o meno dopo una settimana cominciano i guai, ossigeno, terapia intensiva, rianimazione o ECMO. E farmaci. E assistenza in ospedale.

Ma dove li trovo se i malati, mal educati di loro, si presentano, in ambulanza, tutti insieme?

E non solo quelli passati di età e buoni solo a chiedere pensioni, assistenza e medicine.

Ci sono autisti, elettricisti, idraulici, operai, vigili urbani, pompieri, poliziotti, soccorritori, medici ed infermieri tutti insieme e non sempre, adesso, che salvano la vita agli altri.

Selezioniamo anche lì, prima di spendere per chi non sopravvivrà sicuramente. Ma tra questi, chi ha più diritto? E poi hanno anche la pretesa di essere assistiti per due o tre settimane. E poi non è finita ancora.

Ah, ma erano rimasti a casa?

E allora tra 7 giorni dobbiamo ospitare tutta la famiglia.

Ma non abbiamo più posti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

E allora siamo tranquilli, non dobbiamo decidere più.

E anche i giovani perdono la vita in questa roulette dello Stato dove esce sempre e soltanto lo zero.

E non è più l’1% atteso e tanto benefico per lo Stato

Ma, e di più, non hanno età e nome e cognome

Si ammala il 60%?

No, assolutamente.

Non faranno in tempo.

Neanche la fortuna di ammalarsi con la collaborazione di questo prezioso corredo virale nuovo nuovo nuovo.

I nostri esperti internazionali devono aver studiato su un notissimo libro di virologia, igiene e programmazione sanitaria, di un quasi Premio Nobel- Ammiocuggino ha gli orecchioni

Cos’è successo, che non ce ne siamo accorti?

Che si ammalano quelli che hanno maggiori rischi per sede o per lavoro

Personale sanitario- personale viaggiante- autisti- servizi h24 con scopertura di turni e sospensione di servizi

Ospedali- trasporti- servizi essenziali (elettricità gas acqua carburante supermercati consegne a domicilio banche assicurazioni borsa pensioni stipendi computers semafori e treni, prodotti per la sicurezza farmacie ossigeno, spazzatura e tutto ciò che è socialmente utile, polizia, esercito, pompieri, e tutto quello che vi viene in mente, il sistema di sicurezza, il sistema sociale, telefoni e cellulari, il pc da cui state leggendo und so weiter)

E così sia.

E cadaveri ovunque, nella peggiore rappresentazione di una peste indotta e lasciata correre.

Ed è poco più di una influenza, come molti si sono affaccendati a raccontare dalle Poltrone e dal loro ruolo di Amministratori.

Tutto il sistema sociale viene sospeso e l’intera Nazione è paralizzata

Ma questo molto molto molto prima che il 60% venga colpito dall’infezione

Malta la possiamo soccorrere, e fino ad un certo punto

La GB no

Il ponte sotto la Manica è bloccato e tutto il Paese è isolato

I traghetti non hanno carburante e manca elettricità per i servizi

I fari saranno spenti

E nessuno che raccolga la gomena se vogliamo attraccare

E la rete 5G sarà disponibile alle generazioni future di polacchi che arriveranno sull’isola

Non è fantascienza, è fantasia di chi immagina che tutto vada e segua in modo ordinato la pellicola, il film, la narrazione che si è creata e che ci racconta.

Che forse Alain Deneault abbia ragione che siamo governati da una mediocrazia?

«Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere»

Ed è il tradimento del patto democratico, io ti eleggo e tu mi proteggerai e mi farai vivere meglio, tranquillo e a lungo.

Un patto fondamentale della nostra comunità. Della democrazia.

Chi avrà fatto un intervento di prevenzione dello sviluppo infettivo ed eradicato l’infezione (come da indicazioni dell’OMS) invece avrà preservato la propria popolazione a rischio e il proprio sistema sociale di supporto alla gestione della comunità

Un vero progetto criminale, l’altro.

E senza arrivare al 60% perché non ci sarà più popolazione vivente dopo pochi giorni

L’acqua non arriverà più e il cibo non sarà disponibile, la polizia non sarà attiva e tutti gli incidenti non saranno assistiti

Le proiezioni di Johnson o altri sono fatte da chi non sa dove e perché vive bene.

I morti non saranno 100.000

E chi andrà in GB per soccorrere dovrà essere ben protetto perché le salme saranno infinite.

E i topi, vivi, pulluleranno a milioni.

Non ricevendo più cibo nelle fogne usciranno tutti. E loro sono indenni dall’infezione.

Gli altri animali, quelli che necessitano di cure ed assistenza, non ci saranno più.

Chernobyl nel suo sarcofago di cemento sarà una cartolina da primavera rigogliosa.

Le centrali nucleari non saranno più governate e armi, aerei, missili e bombe atomiche saranno preda di chi arriverà per primo.

L’effetto Dunning-Kruger è una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità auto valutandosi, a torto, esperti in quel campo, mentre, per contro, persone davvero competenti tendono a sminuire o sottovalutare la propria reale competenza. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti (da Wikipedia).

E sono ovunque.

Forse i costi del non fare superano i benefici del fare.

 

 

[1] http://italiaeilmondo.com/2020/03/14/epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto-di-roberto-buffagni/

CORONAVIRUS EPIDEMIC: TWO STRATEGIC APPROACHES IN COMPARISON, by Roberto Buffagni

Un lettore di italiaeilmondo.com, il signor Andrea Ferrari della https://www.capstan.be/ , impresa internazionale nel campo delle traduzioni per imprese, privati, enti pubblici, con grande gentilezza e generosità ha messo a disposizione le capacità professionali sue proprie e dei suoi collaboratori, e ha tradotto gratuitamente in inglese e francese l’articolo di Roberto Buffagni I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto, pubblicato qui: http://italiaeilmondo.com/2020/03/14/epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto-di-roberto-buffagni/

L’autore e italiaeilmondo.com ringraziano di cuore Andrea Ferrari (traduzione in inglese)  Pierluigi Emma (traduzione in francese) la https://www.capstan.be/ e i suoi collaboratori.

A reader of italiaeilmondo.com, Mr. Andrea Ferrari of https://www.capstan.be/ , international company in the field of translations for companies, individuals, public authorities, with great kindness and generosity made available his own and his collaborators’ professional skills, translating for free  into English and French the commentary by Roberto Buffagni The two strategic styles of epidemic management in comparison, originally published here: http://italiaeilmondo.com/2020/03/14/epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto-di-roberto-buffagni/

The author and italiaeilmondo.com would like to warmly thank Andrea Ferrari (English translation) Pierluigi Emma (French translation) https://www.capstan.be/  and its collaborators.

 

 CORONAVIRUS EPIDEMIC: TWO STRATEGIC APPROACHES IN COMPARISON, by Roberto Buffagni

The two strategic styles of epidemic management in comparison

Traduzione di Andrea Ferrari

I propose a hypothesis regarding the different strategic styles of epidemic management adopted in Europe and elsewhere. Let me stress that this is a mere hypothesis–to substantiate it would require statistical, epidemiological, and economic expertise that I do not have and that cannot be improvised. I thus welcome all criticism and objections, even the most radical.

The hypothesis is as follows: the strategic style adopted to manage the epidemic faithfully reflects the ethics and presumed national interest and political priorities of States and, to a lesser extent, of nations and peoples. The choice of the strategic style of management is decidedly political.

There are essentially two strategic management styles:

  1. There is no fight against contagion, everything is focused on the care of the sick (German, British, partially French model).
  2. The contagion is counteracted by containing it as much as possible with emergency measures to isolate the population (Chinese, Italian, South Korean model).

Those who choose Model 1 make a cost/benefit calculation, and consciously choose to sacrifice a quota of their population. The magnitude of this quota will depend on the response capacity of the national healthcare infrastructure, and in particular on the number of places available in intensive care. As far as I understand, the Coronavirus has the following characteristics: high contagiousness, limited percentage of fatal outcomes (direct or due to complications), but relatively high percentage (around 10%, it seems) of patients in need of treatment in intensive care wards. If this is the case, in the event of a massive contagion of the population–in Germany, for example, Angela Merkel foresees 60-70% of people infected–no national health service will be able to provide the needed treatment to the entire percentage of patients that need intensive therapy. A proportion of these are thus sentenced to death in advance. The proportion of the population pre-sentenced to death will depend on the capacity of the health system, the demographic composition of the population (older people are at greater risk), and other unpredictable factors such as possible mutations of the virus.

The rationale for this decision seems to be as follows:

  1. The adoption of Model 2 (containment of infection) has devastating economic costs.
  2. The proportion of the population that is pre-condemned to death is largely made up of elderly and/or already sick people, and therefore their disappearance not only does not compromise the functionality of the economic system but if anything favours it, by alleviating the costs of the pension system and health and social care in the medium term, and by moreover triggering an economically expansive process thanks to inheritance. As has already happened in the great epidemics of the past, inheritance will increase the liquidity and assets of young people with a higher propensity to consume and invest than their elders.
  3. Above all, the choice of Model 1 increases the relative economic-political power of the countries adopting it compared to their competitors adopting Model 2, who must bear the devastating economic damage it entails. By taking advantage of the difficulties of their competitors in Model 2 countries, companies in Model 1 countries will be able to take their place quickly, gaining significant market shares and imposing on them, in the medium term, their economic and political hegemony.

Two requirements are indispensable for the adoption of Model 1: a State decision-making apparatus coherently and traditionally oriented towards a particularly radical and ruthless sense of national interest (typical of the British and German cases); and strong social discipline (this is why the adoption of Model 1 by France will be problematic, and there will probably be a reconversion of the strategic choice towards Model 2).[1]

The adoption of Model 1, in short, corresponds to a decidedly warlike strategic style. The choice is to consciously sacrifice a proportion of economically and politically less useful members of the population to the advantage of greater power for the economic-political system. Otherwise said, it is the choice to get rid of the ballast so as to fight more effectively. This is in fact a typical choice made in time of war, when it is normal because it is indispensable, for example, to privilege medical care and food supplies for the armed forces versus care and food for all others (including women, old people, and children). The only limits are resources needed to keep up the morale of the population, which is equally essential for the war effort.

The States adopting Model 1, therefore, do not act as if their competitors were adversaries, but as if they were enemies, and as if economic competition were a real war, differing from “waged” war by the mere fact that armies do not take to the field. The conduct of this type of war, precisely because it is a covert war, will be particularly harsh and ruthless; neither engagement rules nor military honour, which for example prohibit the mistreatment, or worse, the killing of prisoners and civilians, the use of weapons of mass destruction, etc., are applicable here. To conclude, the choice of Model 1 privileges, in the strategic evaluation, seizing the immediate opportunity window (to gain a strategic advantage over the enemy through rapid and violent action) over the medium-long term strategic opportunity window (reinforcing national cohesion, decreasing the dependence and vulnerability of one’s own economy on others by increasing state investment and domestic demand).

 

***

Considering what has been outlined about States adopting Model 1, it is easier to describe the ethical-political style of States adopting Model 2.

In the case of China, there is no doubt that the Chinese political leadership knows very well that economic competition is a decisive component of the “hybrid war”. Indeed, it was two colonels of the Chinese General Staff, Liang Qiao and Xiangsui Wang, who developed the seminal text on “asymmetric warfare” [2]in the 1980s. I believe that the Chinese political leadership has chosen, it seems successfully, to adopt Model 2 for three fundamental reasons:

  1. a) the distinctly communitarian character of the Chinese cultural tradition, in which the liberal concept of the individual and the Christian concept of the person have little or no importance;
  2. b) the profound respect for the elderly and the ancestors, a cornerstone of Confucianism;
  3. c) a long-term strategic evaluation, which can be summarized in these two maxims by Sun Tzu, the thinker who most inspires the Chinese strategic style: “Victory is achieved when superiors and inferiors are animated by the same spirit” and “Consistent leadership allows men to develop the confidence that their environment is honest and reliable, and that it is worth fighting for”.

In other words, I think that the Chinese leadership considered that the long-term strategic advantage of preserving and even strengthening the social and cultural cohesion of its population outweighed the short-to-medium-term cost of the economic damage and the foregone opportunity to take immediate advantage of their adversaries’ difficulties.

Because there are three “paths to success”: “1. Knowing when you can or cannot fight” “2. Knowing how to use both numerous and small forces” “3. Knowing how to instil equal intentions in both superiors and inferiors”.

In the case of Italy, I believe the choice of Model 2–albeit uncertain and poorly executed–depends on the following reasons.

1) On the cultural level, the influence of pre-modern Italian and European civilization, infused as it is with pre-Christian, peasant, and Mediterranean sensibility for the family and “creaturehood”, partially absorbed by Counter-Reformation Catholicism and the Baroque; this is an influence of very long duration that continues to operate despite the Protestantization of the Catholic Church today, and despite the cultural hegemony, at least superficially, of ideological and economic liberalism.

2) Again on the cultural level, the pacifism established after the defeat in World War II, perpetuated first by the left-wing communists and the Catholic world, then by the liberal-progressive EU leaderships–a pacifism that generates comic expressions such as “soldiers of peace” and a methodical denial of the tragic dimension of history.

3) On the political level, the serious institutional disorder, whereby the levels of decision making overlap and hinder each other, as was evident in the conflict between State and Regions at the opening of the epidemiological crisis; the electoral concerns of all parties; and the fragile legitimacy of the State, which is a long-running Italian problem.

4) on the political-operational level, the astounding incompetence of the ruling class, in which decades of reverse meritocracy and a habit of dumping responsibility, decisions, and their underlying motivations on the shoulders of the European Union have induced a mindset that always leads to taking the path of least resistance. In this case, that path is precisely the choice to contain the contagion, because to choose the path of mass war triage (however you judge it, and I judge it very negatively) requires a very considerable political decision-making ability.

In other words, the Italian choice of Model 2 has superficial and conscious reasons tracing to our political and institutional defects, and deep and semi-conscious reasons tracing to the merits of civilization and culture which, almost without knowing it anymore, continue to inspire Italy, especially in difficult times. So, we have undoubtedly acted in a humane and civil way, and perhaps even a strategically far-sighted way, without really knowing why. But we have acted so, and for this we must thank our deceased ancestors, the “Lares”[1] whose cult goes back centuries and millennia albeit under different names. Without knowing it, we still honour them today by doing everything possible to save our fathers, mothers, grandparents, even if they are no longer useful.

It would make Sun Tzu and perhaps even Hegel smile to see that the two models impose operational implementation methods that are in exact opposition to their respective strategic style.

The implementation of Model 1 (we do not contain the contagion, we deliberately sacrifice a quota of the population) does not require any measure of restriction of freedom; daily life goes on exactly as before, except that many people fall ill and a not exactly predictable but not negligible percentage of them, not being able to obtain the necessary treatment for reasons of health service capacity, die.

The implementation of Model 2 (we contain the contagion to save all those who can be saved) requires instead the application of very strict measures to restrict personal freedom, and to be fully carried out would indeed require the deployment of a dictatorship, however soft and temporary, to ensure unity of command and protection of the community from the unleashing of irrational passions, i.e. from itself. Operationally, the executive direction of Model 2 should be entrusted to the armed forces, which possess both the appropriate technical skills and the appropriate rigidly hierarchical structure.

I will conclude by saying that I am glad that Italy has chosen to save all who can be saved. It is doing it awkwardly, and without really knowing why, but it is doing it. This time it is easy to say: right or wrong, my country[3].

 

 

[1] Translator’s Note: the article was written before the 16 March 2020 decision by the French government to enact shutdown measures like those taken in Italy.

[2] Qiao Liang and Wang Xiangsui, Unrestricted Warfare, Beijing: PLA Literature and Arts Publishing House, February 1999. Freely available here: https://www.c4i.org/unrestricted.pdf

[3] Translator’s Note: In English in the original

[1] see https://www.romanoimpero.com/2018/07/culto-dei-lari.html

L’ÉPIDÉMIE DE CORONAVIRUS : COMPARAISON ENTRE DEUX APPROCHES STRATÉGIQUES, de Roberto Buffagni

Un lettore di italiaeilmondo.com, il signor Andrea Ferrari della https://www.capstan.be/ , impresa internazionale nel campo delle traduzioni per imprese, privati, enti pubblici, con grande gentilezza e generosità ha messo a disposizione le capacità professionali sue proprie e dei suoi collaboratori, e ha tradotto gratuitamente in inglese e francese l’articolo di Roberto Buffagni I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto, pubblicato qui: http://italiaeilmondo.com/2020/03/14/epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto-di-roberto-buffagni/

L’autore e italiaeilmondo.com ringraziano di cuore Andrea Ferrari (traduzione in inglese)  Pierluigi Emma (traduzione in francese) la https://www.capstan.be/ e i suoi collaboratori.

Un lecteur de italiaeilmondo.com, M. Andrea Ferrari de https://www.capstan.be/ , société internationale dans le domaine des traductions pour les entreprises, les particuliers, les pouvoirs publics, avec une grande gentillesse et générosité a mis à disposition les compétences professionnelles à lui et à ses collaborateurs, traduisant gratuitement en anglais et en français le commentaire de Roberto Buffagni Les deux styles stratégiques de gestion de l’épidémie mis en parallèle, initialement publié ici: http://italiaeilmondo.com/2020/03/14/epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto-di-roberto-buffagni/

L’auteur et italiaeilmondo.com remercient chaleureusement Andrea Ferrari (traduction anglaise) Pierluigi Emma (traduction française) https://www.capstan.be/ et ses collaborateurs.

L’ÉPIDÉMIE DE CORONAVIRUS : COMPARAISON ENTRE DEUX APPROCHES STRATÉGIQUES, de Roberto Buffagni

Les deux styles stratégiques de gestion de l’épidémie mis en parallèle

Traduzione di Pierluigi Emma

Je propose ci-après une hypothèse relative aux différents styles stratégiques de gestion de l’épidémie, adoptés en Europe et ailleurs dans le monde. J’insiste sur le fait qu’il ne s’agit que d’une hypothèse, car je n’ai, ni ne puis improviser, les compétences et les informations statistiques, épidémiologiques et économiques requises pour la valider. Les objections critiques et même radicales sont les bienvenues.

L’hypothèse est la suivante : le style stratégique de gestion de l’épidémie reflète de manière fidèle l’éthique et la façon d’entendre l’intérêt national et les priorités politiques des différents États, ainsi que, dans une moindre mesure, des nations et des peuples.

On peut distinguer essentiellement deux styles stratégiques de gestion :

  1. La contagion n’est pas combattue, on mise exclusivement sur les soins aux personnes atteintes (modèles allemand, britannique et en partie français)
  2. On combat la contagion en l’endiguant le plus possible à l’aide de mesures d’urgence d’isolement de la population (modèles chinois, italien, sud-coréen)

En choisissant le premier modèle, on effectue un calcul coûts/bénéfices et l’on opte sciemment pour le sacrifice d’un certain pourcentage de ses concitoyens. Ce pourcentage sera plus ou moins élevé selon que le potentiel de réponse du système de santé, en particulier quant aux places disponibles en soins intensifs, sera plus ou moins important. D’après ce qu’il m’est donné de comprendre, en effet, le Coronavirus présente les caractéristiques suivantes : un haut degré de contagiosité, un pourcentage limité de suites mortelles (directes ou du fait de complications), mais un taux relativement élevé (autour de 10% me semble-t-il) de malades nécessitant d’être hospitalisés en soins intensifs. Si telle est la situation, en cas de contagion massive de la population (en Allemagne, par exemple, Angela Merkel prévoit entre 60% et 70% de personnes atteintes) aucun service sanitaire national ne sera en mesure d’assurer les soins nécessaires pour tous les malades nécessitant des soins intensifs, qui seront donc à l’avance, en partie, condamnés. Le taux de pré-condamnés à mort sera plus ou moins important en fonction des capacités du système sanitaire, de la composition démographique de la population (les personnes âgées sont plus à risque), et d’autres facteurs imprévisibles, tels que d’éventuelles mutations du virus.

Le raisonnement à la base de cette décision semble être le suivant :

  1. L’adoption du deuxième modèle (endiguement de l’infection) entraîne des coûts économiques exorbitants.
  2. La part de la population condamnée à l’avance à mourir est largement composée de personnes âgées et/ou déjà malades, ce qui fait que sa disparition non seulement ne compromet pas le bon fonctionnement du système économique, mais pourrait même le favoriser, en allégeant à moyen terme les coûts du système des pensions, des soins de santé et de l’aide sociale; et en enclenchant, qui plus est, un processus d’expansion économique du fait des héritages qui, comme ce fut le cas lors des grandes épidémies du passé, augmenteront les liquidités et le patrimoine des plus jeunes, dont la propension à la consommation et à l’investissement est plus grande que celle de leurs ainés.
  3. Surtout, le choix du premier modèle accroît la puissance économique et politique des pays qui l’adoptent par rapport à leurs concurrents qui auront adopté le deuxième modèle, condamnés à affronter des dégâts économiques dévastateurs. En tirant profit des difficultés de leurs concurrents du modèle 2, les entreprises des pays du modèle 1 pourront rapidement les supplanter, en conquérant d’importantes parts de marché et en leur imposant, à moyen terme, leur propre hégémonie économique et politique.

Bien entendu, l’adoption du premier modèle suppose deux prérequis : un centre décisionnel étatique et politique logiquement et traditionnellement orienté vers une acception particulièrement radicale et impitoyable de l’intérêt national (les cas allemand et britannique sont typiques) et une forte discipline sociale (c’est la raison pour laquelle l’adoption du modèle 1 par la France s’avèrera problématique, et l’on assistera probablement à un retournement du choix vers le modèle 2).[1]

Bref, l’adoption du modèle 1 correspond à un style stratégique éminemment belliqueux. Le choix de sacrifier sciemment une partie de la population économiquement et politiquement peu utile au profit du surcroît de puissance que pourra acquérir le système économique et politique (concrètement: le choix de se débarrasser du ballast pour combattre plus efficacement), est en effet typiquement un choix nécessaire en temps de guerre, lorsqu’il est normal car indispensable, par exemple, de privilégier les soins médicaux et les ravitaillements des combattants par rapport aux soins et à la nourriture destinés aux autres – femmes, personnes âgées et enfants compris – avec pour unique borne l’entretien du moral de la population, qu’il faut tout autant soutenir.

Ainsi, les États qui adoptent le modèle 1 n’agissent pas comme si leurs concurrents étaient des adversaires, mais comme s’il s’agissait d’ennemis, et comme si la compétition économique était une véritable guerre, ne se différenciant de la guerre armée que par le fait que les armées n’entrent pas en jeu. La conduite de ce type de guerre, justement parce qu’il s’agit d’une guerre occulte, sera particulièrement dure et impitoyable, en l’absence de toute intervention d’un droit de la guerre, de l’idée d’honneur militaire qui par exemple interdit la maltraitance ou pire le meurtre des prisonniers et des civils, l’utilisation d’armes de destruction massive, etc. Pour conclure, le choix du modèle 1 privilégie, dans son évaluation stratégique, l’éventail d’opportunités immédiates (gagner par une action rapide et violente un avantage stratégique sur l’ennemi) par rapport aux opportunités stratégiques de moyen et long terme (ressouder la cohésion nationale, diminuer la dépendance et la vulnérabilité de sa propre économie par rapport à celles des autres pays, en accroissant les investissements publics et la demande intérieure).

 

***

 

À partir de ce qui vient d’être dit au sujet des États adoptant le modèle 1, il est plus aisé de décrire le style éthico-politique des États qui choisissent le modèle 2.

Pour ce qui est de la Chine, il ne fait aucun doute que le centre dirigeant politique chinois ne sache parfaitement que la guerre économique est la composante décisive de la guerre « hybride ». Ce furent même deux colonels de l’état-major chinois, Liang Qiao et Xiangsui Wang, qui élaborèrent dans les années quatre-vingt la première ébauche d’une théorie de la « guerre asymétrique »[2]. Je pense que le centre dirigeant politique chinois ait choisi – avec succès semble-t-il – d’adopter le modèle 2 essentiellement pour trois raisons :

  1. a) le caractère éminemment communautaire de la tradition culturelle chinoise, dans laquelle le concept libéral d’individu et le concept chrétien de la personne n’interviennent quasiment pas ;
  2. b) le profond respect pour les personnes âgées et les ancêtres, pivot du confucianisme ;
  3. c) une évaluation stratégique de long terme qu’on peut résumer par ces deux maximes de Sun Tzu, le penseur qui a le plus influencé le style stratégique chinois: « On remporte la victoire lorsque les supérieurs et les inférieurs sont animés par le même esprit » et « Un guide cohérent permet aux hommes de prendre confiance en l’honnêteté et en la fiabilité de leur milieu, et de penser qu’il vaille la peine de combattre pour celui-ci ». En d’autres termes, je pense que les dirigeants chinois ont estimé que l’avantage stratégique à long terme d’une préservation et même d’un renforcement de la cohésion sociale et culturelle de leurs concitoyens dépasserait le coût de court et moyen terme du dommage économique, et du renoncement à tirer promptement profit des difficultés des adversaires. Car « les chemins qui mènent au succès » sont au nombre de trois : « 1. Savoir quand on peut et quand on ne peut pas combattre ; 2. Pouvoir tirer profit aussi bien de forces nombreuses que de forces réduites ; 3. Savoir insuffler les mêmes motivations dans les supérieurs et dans les inférieurs ».

Dans le cas de l’Italie, je pense que le choix – encore qu’incertain et maladroitement mis en œuvre – du modèle 2 est dû aux raisons suivantes :

1) sur le plan culturel, l’influence de la civilisation italienne et européenne prémoderne, pénétrée de sensibilité préchrétienne, paysanne et méditerranéenne pour la famille et le concept de créature, partiellement absorbée ensuite par le catholicisme d’après la contre-réforme et par l’esprit baroque : une influence de très longue durée dont l’action ne s’est pas épuisée malgré la « protestantisation » de l’église catholique actuelle, et malgré l’hégémonie culturelle, du moins en surface, du libéralisme idéologique et du libéralisme économique;

2) toujours sur le plan culturel, le pacifisme qui s’est instauré après la défaite de la deuxième guerre mondiale et qu’ont perpétué, en un premier temps, les mouvements de la gauche communiste et le monde catholique, puis les dirigeants libéraux-progressistes de l’Union européenne ; un pacifisme donnant naissance à de drôles d’expressions comme « soldats de la paix », et à la négation systématique de la dimension tragique de l’histoire ;

3) sur le plan politique, d’un côté le grave désordre institutionnel, où les niveaux décisionnels se superposent et s’entravent mutuellement, comme dans le conflit entre État et Régions au début de la crise épidémiologique; de l’autre, les préoccupations électorales de tous les partis; puis, encore, la légitimation fragile de l’État, un vieux problème italien ;

4) sur le plan politico-opérationnel, l’ahurissante incapacité des classes dirigeantes, chez qui des décennies de sélection à l’envers et l’habitude de se décharger de ses responsabilités, de ses choix et des motivations connexes sur le dos de l’Union européenne, ont généré une forma mentis poussant à l’engagement systématique dans la ligne de moindre résistance: qui, dans le cas qui nous occupe, est justement le choix de l’endiguement de la contagion. Car pour faire le choix du triage belliqueux de masse (quel que soit le jugement qu’on porte à ce sujet, le mien étant fort négatif) il faut une très grande capacité décisionnelle au niveau politique.

En d’autres mots, le choix italien du modèle 2 se justifie par des raisons superficielles et assumées ayant trait à nos défauts politiques et institutionnels, et par des raisons profondes et quasi inconscientes ayant trait aux mérites de la civilisation et de la culture auxquelles, presque sans le savoir, l’Italie continue à s’inspirer, en particulier dans ses moments difficiles. Nous avons certes été humains et civilisés, et peut-être aussi stratégiquement clairvoyants, sans bien savoir pourquoi. Mais nous l’avons été, et nous devons en remercier nos défunts ancêtres, ces Lares[2] dont le culte, sous différents noms, se perd dans la nuit des temps ; et qu’aujourd’hui nous honorons et vénérons sans le savoir, en mettant tout en œuvre pour soigner nos parents et nos grands-parents, même s’ils ne servent plus à rien.

Sun Tzu et peut-être même Hegel souriraient en constatant que les deux modèles imposent des méthodes opérationnelles de mise en œuvre exactement opposées par rapport au style stratégique.

La mise en œuvre du model 1 (n’endiguons pas la contagion, sacrifions sciemment une partie de la population) ne demande aucune mesure de restriction de la liberté : la vie quotidienne se poursuit exactement comme avant, sauf que beaucoup tombent malades et un pourcentage, difficile à prévoir mais certes non négligeable, d’entre eux mourra faute de pouvoir bénéficier, du fait de structures médicales insuffisantes, des soins nécessaires.

La mise en œuvre du modèle 2 (endiguons l’épidémie afin de sauver tous ceux qui peuvent l’être) requiert au contraire des mesures extrêmement sévères de restriction des libertés personnelles, et exigerait même, pour être réalisé de façon cohérente, le déploiement d’une véritable dictature, aussi temporaire et douce soit-elle, afin de garantir l’unité de commandement et la protection de la communauté face au déchaînement des passions irrationnelles, c’est-à-dire d’elle-même. D’un point de vue opérationnel, la direction exécutive du modèle 2 devrait être confiée aux forces armées elles-mêmes, car elles possèdent aussi bien les compétences techniques que la structure rigidement hiérarchisée requises.

Je conclus en disant que je suis heureux que l’Italie ait choisi de sauver tous ceux qui peuvent l’être. Elle est en train de le faire maladroitement, et ne sait pas bien pourquoi elle le fait : mais elle le fait. Cette fois-ci, il est facile de déclarer : right or wrong, my country.[3]

 

[1] Liang Qiao e Xiangsui Wang, La guerre hors limites. L’art de la guerre asymétrique entre terrorisme et globalisation. Editions Rivages Poche, 2006.

[2] v. https://www.romanoimpero.com/2018/07/culto-dei-lari.html

 

[1] Note du traducteur : l’article a été rédigé avant la décision du gouvernement français du 16 mars 2020 de prendre des mesures de confinement de la population similaires à celles prises en Italie.

[2] [2] Qiao Liang and Wang Xiangsui, Unrestricted Warfare, Beijing: PLA Literature and Arts Publishing House, February 1999. Ici librement déchargeable, en anglais: https://www.c4i.org/unrestricted.pdf

 

[3] Note du traducteur : en anglais dans l’original.

EPIDEMIA CORONAVIRUS: DUE APPROCCI STRATEGICI A CONFRONTO, di Roberto Buffagni

Culto cinese degli antenati

Culto dei Lari

 

I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto

 

 

Propongo una ipotesi in merito ai diversi stili strategici di gestione dell’epidemia adottati in Europa e altrove. Sottolineo che si tratta di una pura ipotesi, perché per sostanziarla ci vogliono competenze e informazioni statistiche, epidemiologiche, economiche che non possiedo e non si improvvisano. Sono benvenute le critiche e le obiezioni anche radicali.

L’ipotesi è la seguente: lo stile strategico di gestione dell’epidemia rispecchia fedelmente l’etica e il modo di intendere interesse nazionale e priorità politiche degli Stati e, in misura minore, anche  delle nazioni e dei popoli. La scelta dello stile strategico di gestione è squisitamente politica.

Gli stili strategici di gestione sono essenzialmente due:

  1. Non si contrasta il contagio, si punta tutto sulla cura dei malati (modello tedesco, britannico, parzialmente francese)
  2. Si contrasta il contagio contenendolo il più possibile con provvedimenti emergenziali di isolamento della popolazione (modello cinese, italiano, sudcoreano).

Chi sceglie il modello 1 fa un calcolo costi/benefici, e sceglie consapevolmente di sacrificare una quota della propria popolazione. Questa quota è più o meno ampia a seconda delle capacità di risposta del servizio sanitario nazionale, in particolare del numero di posti disponibili in terapia intensiva. A quanto riesco a capire, infatti, il Coronavirus presenta le seguenti caratteristiche: alta contagiosità, percentuale limitata di esiti fatali (diretti o per complicanze), ma percentuale relativamente alta (intorno al 10%, mi pare) di malati che abbisognano di cure nei reparti di terapia intensiva. Se così stanno le cose, in caso di contagio massiccio della popolazione – in Germania, ad esempio, Angela Merkel prevede un 60-70% di contagiati – nessun servizio sanitario nazionale sarà in grado di prestare le cure necessarie a tutta la percentuale di malati da ricoverarsi in T.I., una quota dei quali viene così condannata a morte in anticipo. La quota di pre-condannati a morte sarà più o meno ampia a seconda delle capacità del sistema sanitario, della composizione demografica della popolazione (rischiano di più i vecchi), e di altri fattori imprevedibili quali eventuali mutazioni del virus.

La ratio di questa decisione sembra la seguente:

  1. L’adozione del modello 2 (contenimento dell’infezione) ha costi economici devastanti
  2. La quota di popolazione che viene pre-condannata a morte è in larga misura composta di persone anziane e/o già malate, e pertanto la sua scomparsa non soltanto non compromette la funzionalità del sistema economico ma semmai la favorisce, alleviando i costi del sistema pensionistico e dell’assistenza sanitaria e sociale nel medio periodo, per di più innescando un processo economicamente espansivo grazie alle eredità che, come già avvenuto nelle grandi epidemie del passato, accresceranno liquidità e patrimonio di giovani con più alta propensione al consumo e all’investimento rispetto ai loro maggiori.
  3. Soprattutto, la scelta del modello 1 accresce la potenza economico-politica relativa dei paesi che lo adottano rispetto ai loro concorrenti che adottano il modello 2, e devono scontare il danno economico devastante che comporta. Approfittando delle difficoltà dei loro concorrenti 2, le imprese dei paesi 1 potranno rapidamente sostituirsi ad essi, conquistando significative quote di mercato e imponendo loro, nel medio periodo, la propria egemonia economica e politica.

Naturalmente, per l’adozione del modello 1 sono indispensabili due requisiti: un centro direzionale politico statale coerentemente e tradizionalmente orientato su una accezione particolarmente radicale e spietata dell’interesse nazionale (tipici i casi britannico e tedesco); una forte disciplina sociale (ecco perché l’adozione del modello 1 da parte della Francia sarà problematica, e probabilmente si assisterà a una riconversione della scelta strategica verso il modello 2).

L’adozione del modello 1, insomma, corrisponde a uno stile strategico squisitamente bellico. La scelta di sacrificare consapevolmente una parte della popolazione economicamente e politicamente poco utile a vantaggio della potenza che può sviluppare il sistema economico-politico, in soldoni la scelta di liberarsi dalla zavorra per combattere più efficacemente, è infatti una tipica scelta necessitata in tempo di guerra, quando è normale perché indispensabile, ad esempio, privilegiare cure mediche e rifornimenti alimentari dei combattenti su cura e vitto di tutti gli altri, donne, vecchi e bambini compresi, nei soli limiti imposti dalla tenuta del morale della popolazione, che è altrettanto indispensabile sostenere.

Gli Stati che adottano il modello 1, dunque, non agiscono come se i loro concorrenti fossero avversari, ma come se fossero nemici, e come se la competizione economica fosse una vera e propria guerra, che si differenzia dalla guerra guerreggiata per il solo fatto che non scendono in campo gli eserciti. La condotta di questo tipo di guerra, proprio perché è una guerra coperta, sarà particolarmente dura e spietata, perché non vi ha luogo alcuno né il diritto bellico, né l’onore militare che ad esempio vieta il maltrattamento o peggio l’uccisione di prigionieri e civili, l’impiego di armi di distruzione di massa, etc. Per concludere, la scelta del modello 1 privilegia, nella valutazione strategica, la finestra di opportunità immediata (conquistare con un’azione rapida e violenta un vantaggio strategico sul nemico)  sulla finestra di opportunità strategica di medio-lungo periodo (rinsaldare la coesione nazionale, diminuire la dipendenza e vulnerabilità  della propria economia dalle altrui accrescendo investimenti statali e domanda interna).

 

***

 

Alla luce di quanto delineato a proposito degli Stati che adottano il modello 1, è più facile descrivere lo stile etico-politico degli Stati che adottano il modello 2.

Nel caso della Cina, è indubbio che il centro direttivo politico cinese sappia molto bene che la competizione economica è componente decisiva della “guerra ibrida”.  Furono anzi proprio due colonnelli dello Stato Maggiore cinese,  Liang Qiao e Xiangsui Wang, che negli anni Ottanta elaborarono il testo seminale sulla “guerra asimmetrica”[1]. Credo che il centro direzionale politico cinese abbia scelto, pare con successo, di adottare il modello 2 per tre ragioni di fondo: a) il carattere spiccatamente comunitario della tradizione culturale cinese, nella quale il concetto liberale di individuo e il concetto cristiano di persona hanno rilievo scarso o nullo b) il profondo rispetto per i vecchi e gli antenati, cardine del confucianesimo c) una valutazione strategica di lungo periodo, riassumibile in queste due massime di Sun Tzu, il pensatore che più ispira lo stile strategico cinese: “La vittoria si ottiene quando i superiori e gli inferiori sono animati dallo stesso spirito”  e  “Una guida coerente permette agli uomini di sviluppare la fiducia che il loro ambiente sia onesto e affidabile, e che valga la pena combattere per esso.” In altri termini, penso che la direzione cinese abbia valutato che il vantaggio strategico di lungo periodo di preservare e anzi rafforzare la coesione sociale e culturale della propria popolazione superasse il costo di breve-medio periodo del danno economico, e della rinuncia a profittare nell’immediato delle difficoltà degli avversari. Perché “le vie che portano a conoscere il successo” sono tre: 1. Sapere quando si può o non si può combattere 2. Sapersi avvalere sia di forze numerose che di forze esigue 3. Saper infondere uguali propositi nei superiori e negli inferiori.”

Nel caso dell’Italia, la scelta – per quanto incerta e mal eseguita – del modello 2 credo dipenda dalle seguenti ragioni. 1) Sul piano culturale, dall’influsso della civiltà italiana ed europea premoderna, infusa com’è di sensibilità precristiana, contadina e mediterranea per la famiglia e la creaturalità, poi parzialmente assorbita dal cattolicesimo controriformato e dal barocco: un influsso  di lunghissima durata che continua ad operare nonostante la protestantizzazione della Chiesa cattolica odierna, e nonostante l’egemonia culturale, almeno di superficie, di liberalismo ideologico e liberismo economico 2) Sempre sul piano culturale, dal pacifismo instaurato dopo la sconfitta nella IIGM e perpetuato prima dalle sinistre comuniste e dal mondo cattolico, poi dalle dirigenze liberal-progressiste UE; un pacifismo che genera espressioni buffe come “soldati di pace”, e la negazione metodica della dimensione tragica della storia 3) Sul piano politico, sia dal grave disordine istituzionale, ove i livelli decisionali si sovrappongono e ostacolano reciprocamente, come s’è palesato nel conflitto tra Stato e Regioni all’apertura della crisi epidemiologica; sia dalle preoccupazioni elettorali di tutti i partiti; sia dalla fragile legittimazione dello Stato, antico problema italiano 4) sul piano politico-operativo, dalla sbalorditiva incapacità delle classi dirigenti, nelle quali decenni di selezione alla rovescia e abitudine a scaricare responsabilità, scelte e relative motivazioni sulle spalle dell’Unione Europea hanno indotto una forma mentis che induce sempre a imboccare la linea di minor resistenza: che in questo caso è proprio la scelta di contenere il contagio, perché per scegliere la via del triage bellico di massa (comunque la si giudichi, e io la giudico molto negativamente) ci vuole una notevolissima capacità di decisione politica.

In altre parole, la scelta italiana del modello 2 ha ragioni superficiali e consapevoli nei nostri difetti politici e istituzionali, e ragioni profonde e semiconsapevoli nei pregi della civiltà e della cultura a cui, quasi senza più saperlo, l’Italia continua ad ispirarsi, specie nei momenti difficili: siamo stati senz’altro umani e civili,  e forse anche strategicamente lungimiranti, senza sapere bene perché. Però lo siamo stati, e di questo dobbiamo ringraziare i nostri antenati defunti, i Lari[2] il cui culto, sotto diversi nomi, si perde nei secoli e millenni; e che senza saperlo, oggi onoriamo e veneriamo facendo tutto il possibile per curare i nostri padri, madri, nonni, anche se non servono più a niente.

Farebbe sorridere Sun Tzu e forse anche Hegel constatare che i due modelli impongono metodi operativi di implementazione esattamente opposti rispetto allo stile strategico.

L’implementazione del modello 1 (non conteniamo il contagio, sacrifichiamo consapevolmente una quota di popolazione) non richiede alcuna misura di restrizione della libertà: la vita quotidiana prosegue esattamente come prima, tranne che molti si ammalano e una percentuale non esattamente prevedibile ma non trascurabile di essi, non potendo ottenere le cure necessarie per ragioni di capienza del servizio sanitario, muore.

L’implementazione del modello 2 (conteniamo il contagio per salvare tutti i salvabili) richiede invece l’applicazione di misure severissime di restrizione delle libertà personali, e anzi esigerebbe, per essere coerentemente effettuato, il dispiegamento di una vera e propria dittatura, per quanto morbida e temporanea, in modo da garantire l’unità del comando e la protezione della comunità dallo scatenamento delle passioni irrazionali, cioè da se stessa. Operativamente, la direzione esecutiva del modello 2 dovrebbe essere affidata proprio alle forze armate, che possiedono sia le competenze tecniche, sia la struttura rigidamente gerarchica adatte.

Concludo dicendo che sono contento che l’Italia abbia scelto di salvare tutti i salvabili. Lo sta facendo goffamente, e non sa bene perché lo fa: ma lo fa. Stavolta è facile dire: right or wrong, my country.

[1] Liang Qiao e Xiangsui Wang, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, LEG Edizioni 2011

[2] v. https://www.romanoimpero.com/2018/07/culto-dei-lari.html

Il Fiero Pasto, di Giuseppe Masala

Qui sotto alcune pregnanti riflessioni di Giuseppe Masala. In questi giorni si sono susseguiti gli appelli e le stigmatizzazioni per indurre tutto il paese e le forze politiche ad adottare uno spirito unitario e di concordia nazionale indispensabile a fronteggiare l’emergenza sanitaria. Emergenza che allo stato riguarda la contagiosità piuttosto che la letalità del virus. Appelli che poggiano in gran parte su un equivoco più che mai deleterio e subordinato a dinamiche politiche potenti. La diffusione del corona virus e la gestione dell’emergenza sanitaria sono l’occasione e lo strumento per rideterminare i rapporti di forza e le relazioni geopolitiche. Da una parte il colpevole ritardo della Cina nel comunicare ed affrontare l’epidemia. Nella fattispecie vediamo che per ragioni di gestione interna e di implicita attribuzione a soggetti esterni, gli untori di turno, delle responsabilità della diffusione, tra questi numerosi paesi europei, in particolare Francia e Germania si adoperano a nascondere, minimizzare e manipolare i dati di contaminazione del virus nei propri territori nazionali; dall’altro i suddetti, spalleggiati tempestivamente dai funzionari della Unione Europea, stanno spingendo per l’approvazione definitiva entro metà marzo del MES2 ed una accelerazione della Unione Bancaria. Due trattati particolarmente deleteri per il nostro paese, in particolare nell’attuale contingenza. Una operazione di vero e proprio sciacallaggio del resto consueta nel sistema di relazioni internazionali. Per quanto riguarda le dinamiche politiche interne al paese, i provvedimenti del Governo sono comunque il frutto di pressioni, punti di vista ed interessi contrastanti; ne parleremo a tempo debito. Stanno evidenziando le crepe e le disarticolazioni delle quali soffre particolarmente il nostro apparato statale ed amministrativo. Ancora una volta anzichè a un Giuseppe, continuiamo ad assistere a più “Giuseppi”, di Mattei ne abbiamo già almeno due; bastano ed avanzano. A questo punto un Governo che si vorrebbe di “afflato nazionale”, che invoca la concordia nazionale, che cerchi piena legittimità ed autorevolezza, dovrebbe contraccambiare la richiesta di responsabilità con l’accantonamento quanto meno delle scelte più divisive del paese e delle forze politiche. Il MES2 e l’Unione Bancaria sono appunto tra le scelte più divisive e su questo le forze di governo sembrano troppo ben disposte a cedere e accondiscendere. La gestione interna dell’emergenza sta assumendo toni contraddittori e ormai grotteschi. Il virus segue certamente una logica ed una dinamica più potente delle intenzioni politiche, anche le migliori; la contraddittorietà, la comunicazione e l’uso spesso maldestri dei provvedimenti sono il frutto di un progressivo disordine istituzionale ormai ultratrentennale e di un senso civico ed uno spirito di unità nazionale quantomeno carente tanto da rendere improbo il sacrificio degli operatori impegnati nell’emergenza. Non pare proprio che questa classe dirigente, questo Governo e la stessa PdR siano in grado di contrastare queste dinamiche; ne sembrano piuttosto una espressione. Non riesce ad ottenere dai fratelli europei nemmeno forniture di mascherine, medicinali e disinfettanti, nè pare porsi il problema di cominciare a produrne in casa propria.  Pare piuttosto propensa a manipolare ad uso proprio le progressive limitazioni. Il potere è protezione, e la protezione implica sempre il dominio. Non esiste la decretazione d’emergenza che si basa sul “per favore”. Le talpe che hanno diffuso in anticipo il decreto governativo di ieri vanno individuate, sanzionate, esposte al pubblico ludibrio. Lo stesso vale per i fuggitivi. Se la situazione si fa seria, e pare sia così, il governo si avochi i poteri necessari, metta fine al disordine istituzionale, consultata l’opposizione nomini un responsabile esecutivo (meglio un militare). L’opposizione, in particolare la Lega, all’inizio dell’emergenza virus ha gravemente sbagliato, attaccando il governo e facendo leva sul disordine istituzionale nel tentativo di accedere al governo. Poi i sondaggi l’hanno informata che el pueblo non gradiva, e si è corretta. Ora fa benissimo a contestare con la massima forza il tentativo di far passare i provvedimenti dei cravattari della UE come il MES. Può dunque con piena ragione condizionare il suo indispensabile appoggio alla necessaria avocazione governativa dei poteri emergenziali. Niente MES, e responsabile esecutivo dell’emergenza scelto di comune accordo. Parafrasando Giuseppe Masala ” Se la prossima settimana a Palazzo Chigi ci fosse un Generale dei Carabinieri non mi stupirei”. L’importante è che non si chiami Pietro Badoglio._Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni

Il Fiero Pasto.

Fonti dell’Eurogruppo hanno fatto sapere che è attesa l’approvazione definitiva della riforma del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) per il 16 di Marzo. Ecco, allora, non è che ci vuole Nostradamus per capire che per l’Italia la firma del Mes significherebbe suicidarsi. Le nostre banche stanno crollando in borsa e conseguentemente lo spread Btp/Bund sta salendo. E’ evidente che avremo bisogno di finanziamenti e quelli della Bce sono vincolati all’attivazione del Meccanismo Europeo di Stabilità. Herr Weidman ha parlato chiaro: non sono all’orizzonte misure straordinarie di erogazione di liquidità da parte della Banca Centrale Europea. Letto in controluce significa: <<Chi ha bisogno di liquidità usi le procedure ordinarie attivando il Mes e firmando un Memorandum of Understanding in stile greco>>.

Ancora meno si può parlare di approvazione di norme capestro quali quella della dell’Unione Bancaria che prevedono la ponderazione del peso dei titoli di stato nazionali nel portafoglio titoli delle banche. Il cosiddetto doom loop tra banche e governi” è un concetto tortuoso e illogico che solo gli economisti – categoria maestra di pensiero gregario – può accettare. In una situazione di crollo generalizzato la logica dello spalmare il rischio sia nello spazio che nella diversificazione degli asset class non funziona: crolla tutto. Il concetto di Risk-Weighted Assets (RWA) è stato semplicemente demolito come concetto dal crollo del 2008. I tedeschi fanno finta di crederci e vorrebbero imporlo perchè è funzionale ai loro disegni. L’Italia ha un un’allocazione dei risparmi/capitali fortemente concentrata sui titoli di stato italiani e questa situazione va smontata (dal loro punto di vista) con la scusa dell’effetto contagio banche-governo. Ma le banche spagnole che hanno una distribuzione più incentrata sull’estero sono messe meglio? Non mi pare proprio, hanno centinaia di miliardi impelagati in quell’Argentina che non riesce manco a pagare le rate dell’FMI e in quella Turchia impegnata in due guerre a bassa intensità (Siria e Libia) e come se non bastasse che rischia uno scontro con la Grecia. E’ forse questa un allocazione delle risorse più razionale e meno rischiosa? Non mi pare proprio.

Perchè i tedeschi vorrebbero una allocazione meno incentrata sul nazionale da parte dell’Italia? Siamo alle solite: comportarsi alla prussiana mantenendo una parvenza di correttezza con la quale fare pistolotti morali agli altri. Ovviamente loro con questa manovra intendono attivare un meccanismo virtuoso per loro e mortale per l’Italia: convogliare verso gli assets tedeschi parte del risparmio italiano abbassando i tassi sui bund che sono già negativi e sottoponendo i capitali esteri che vi sono convogliati a una patrimoniale di fatto. Ovvero sia, le spese per l’emergenza sanitaria glielo pagano i risparmiatori italiani (che però non possono pagarle per se stessi). I tassi dei titoli italiani saliranno vista la mancanza dell’afflusso di risparmio italiano? Non c’è problema secondo loro, lo stato italiano può tranquillamente attivare il Mes firmando un Memorandum of Understendig che ci vincolerà per decine di anni a ciò che decide una società privata di diritto lussemburghese (questo è il Mes). Questo è il meccanismo. Non entro neanche nel discorso su come definire il vincolo del parlamento italiano e del governo alle decisioni di una società privata di diritto lussemburghese, dico solo che io nella costituzione italiana non vedo questa opzione che vincola il parlamento italiano nell’approvazione della legge finanziaria al placet di una società privata. Un colpo di stato bello e buono.

Semplicemente con l’attivazione di questo meccanismo mortale si vedrebbe la riedizione di quanto è accaduto con la crisi finanziaria partita nel 2008: il primo che cade viene usato come fiero pasto dagli altri che si rafforzano ed evitano così a loro volta di cadere semplicemente spolpando come degli avvoltoio il malcapitato. Chiedere ad Atene in cosa si sostanzia questo concetto. Solo che questa volta a rischiare di essere i primi a cadere siamo noi.

Scusate il sermone di primo mattino.

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NOTE A MARGINE
  • per amore di verità, spiega però che gran parte degli scenari che descrivi a partire dal secondo paragrafo fanno parte dell’Unione bancaria e non propriamente del MES2.
  • In realtà, il MES2 è preparatorio all’UB, va solo precisato che su quella l’Eurogruppo è ancora indietro. Ma non di molto. E con questo governo…
  • e si, le due cose vanno di pari passo….del resto è stato Conte a parlare di “logica di pacchetto” non avendo capito che è proprio il pacchetto che ci uccide…

tratto da https://www.facebook.com/bud.fox.58/posts/3078210225570615

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