DIETRO L’UCRAINA/ I piani americani che hanno indotto Mosca alla guerra, di Giuseppe Gagliano

Ecco come Obama e Biden hanno provocato la trappola che ha costretto la Russia a intervenire in Ucraina, secondo Michael Brenner

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Soldati delle forze ucraine (LaPresse)

Professore emerito di affari internazionali nell’Università di Pittsburgh e membro del Center for Transatlantic Relations presso Sais/Johns Hopkins, Michael Brenner è stato direttore del programma di relazioni internazionali e studi globali presso l’Università del Texas. Ha anche lavorato presso il Foreign Service Institute, il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse. È autore di numerosi libri e articoli sulla politica estera americana, la teoria delle relazioni internazionali, l’economia politica internazionale e la sicurezza nazionale.

Secondo lo studioso americano per capire il conflitto attualmente in corso con la Russia è necessario tenere presenti tre aspetti.

In primo luogo, la guerra in Ucraina è il culmine di una crisi iniziata poco dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden. Questa crisi è di per sé una ripresa del fuoco dalle braci mal spente dell’iniziale conflagrazione risalente al colpo di Stato fomentato da Washington nel marzo 2014.

In secondo luogo, le fasi successive di questa crisi devono essere intese nel contesto della crescente ostilità delle relazioni russo-americane. I suoi indicatori sono stati l’intervento di Mosca nella guerra civile siriana (2015), le decisioni delle successive amministrazioni statunitensi di terminare o ritirarsi dagli accordi sul controllo degli armamenti risalenti alla Guerra fredda – che hanno suscitato la preoccupazione di Mosca per le intenzioni militari di Washington –, il graduale allargamento della Nato verso Est, le “rivoluzioni colorate” orchestrate alla periferia della Russia, e il sentimento antirusso suscitato dall’affare manipolato “Russiagate”.

Terzo, l’Ucraina è stata l’occasione, non la causa, della rottura definitiva delle relazioni tra Mosca e Washington.

Da aprile 2021 i contorni della strategia americana nei confronti dell’Ucraina e della Russia si sono ben presto chiariti: organizzare un incidente provocatorio nel Donbass che scateni una reazione russa che potrà poi essere utilizzata per confermare le affermazioni speculative di Washington sui preesistenti piani di invasione russa.

Il significativo rafforzamento delle forze ucraine lungo la linea di contatto nel Donbass, abbondantemente rifornite di missili anticarro Javelin e antimissili Sprint, prefigurava la preparazione di azioni militari offensive. L’azione Usa stava facendo esattamente quello di cui abbiamo accusato Mosca: pianificare un attacco deliberato. Washington si aspettava che la conseguente crisi costringesse gli europei occidentali ad accettare una serie completa di sanzioni economiche, inclusa la cancellazione del Nord Stream 2 contro la Russia. Era il fulcro del piano. Il team di politica estera di Joe Biden era convinto che le sanzioni draconiane avrebbero causato il collasso dell’economia fragile e non diversificata della Russia. Il vantaggio secondario per gli Stati Uniti sarebbe una maggiore dipendenza europea dagli Usa per le risorse energetiche, e implicitamente l’allineamento europeo con le posizioni politiche di Washington. Così, la paura della Russia e la dipendenza economica perpetuerebbero indefinitamente lo status di vassallo degli Stati europei che è loro proprio da 75 anni.

Pertanto, secondo Brenner, l’obiettivo principale di Washington nella crisi ucraina era la Russia: la crescente obbedienza degli alleati europei a Washington era un guadagno collaterale. Il diffuso boicottaggio delle esportazioni russe di gas naturale e petrolio è stato visto come un modo per drenare le risorse finanziarie e l’economia del Paese mentre i proventi dalle sue esportazioni diminuivano.

Se a questo si aggiunge il piano per escludere la Russia dal meccanismo di transazione finanziaria Swift, lo shock subito dall’economia doveva portare alla sua implosione. Il rublo sarebbe crollato, l’inflazione aumentata, il tenore di vita crollato, il malcontento popolare avrebbe indebolito Putin così tanto che sarebbe stato costretto a dimettersi o sarebbe stato sostituito da una cabala di oligarchi scontenti. Il risultato sarebbe stato una Russia più debole, legata all’Occidente, o una Russia isolata e impotente.

Come ha detto il presidente Biden: “Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”.

Per comprendere appieno la tattica adottata dagli Stati Uniti, bisogna tener conto di un fatto cruciale: pochissime persone nella Washington ufficiale si preoccupavano della stabilità dell’Ucraina o del benessere del popolo ucraino. I loro occhi erano fissi su Mosca. Nella mente degli strateghi di Washington, l’Ucraina rappresentava un’opportunità unica per giustificare l’imposizione di sanzioni paralizzanti che avrebbero messo fine alle presunte ambizioni di Putin in Europa e oltre. Inoltre, i legami sempre più stretti tra la Russia e gli Stati europei sarebbero stati interrotti, probabilmente in modo irrimediabile. Una nuova cortina di ferro avrebbe diviso il continente, segnato da una linea di sangue: sangue ucraino. Questa realtà geostrategica permetterebbe all’Occidente di dedicare tutte le sue energie al confronto con la Cina. Tutto ciò che gli Stati Uniti hanno fatto con l’Ucraina nell’ultimo anno è stato guidato da questo obiettivo generale.

Questi scenari ottimistici avevano in comune la speranza che la nascente partnership sino-russa sarebbe stata fatalmente indebolita, ribaltando l’equilibrio a favore degli Stati Uniti nella prossima battaglia con la Cina per la supremazia globale.

Come è stato concepito e deciso questo piano? In verità, gli obiettivi generali erano stati definiti dall’amministrazione Obama. Lo stesso presidente ha dato la sua approvazione al colpo di Stato di EuroMaidan (2014), che è stato supervisionato direttamente dall’allora vicepresidente Joe Biden, che ha agito come pilota per l’Ucraina tra marzo 2014 e gennaio 2016. Poi, l’amministrazione americana ha adottato misure forti per bloccare l’attuazione degli accordi di Minsk II, protestando con Merkel e Macron. Ecco perché Berlino e Parigi non hanno mai fatto il minimo gesto per convincere Kiev a rispettare i propri obblighi.

L’operazione per provocare una crisi nel Donbass è stata architettata da figure influenti – in particolare Anthony Blinken, segretario di Stato, e Jake Sullivan, capo del Consiglio di sicurezza nazionale – e circoli neoconservatori durante la presidenza Trump, la cui incoerenza e disordine ha impedito la definizione di una politica calibrata nei confronti dell’Ucraina e della Russia; così il peso delle sanzioni è aumentato negli anni 2016-2020.

La strategia era quella di aumentare la pressione su Mosca per stroncare sul nascere l’aspirazione della Russia a diventare ancora una volta un attore importante in grado di privare gli Stati Uniti dei suoi privilegi di egemone mondiale e unico sovrano d’Europa. Era guidata dall’ardente Victoria Nuland e dai suoi compagni neoconservatori del Consiglio di sicurezza nazionale (Nsc), della Cia, del Pentagono, del Congresso e dei media. Poiché Blinken e Sullivan erano essi stessi sostenitori di questa strategia di confronto, l’esito del dibattito era una conclusione scontata.

Per quanto riguarda l’Ucraina, il piano era pronto e in attesa della decisione della Casa Bianca. I fautori di una nuova Guerra fredda in tutta l’amministrazione hanno potuto imporre le loro opinioni su un governo in cui non c’erano voci dissenzienti e guidato da un presidente passivo e malleabile. Così prendeva corpo il piano antirusso in Ucraina con il rafforzamento delle forze militari lungo la linea di contatto nel Donbass e discorsi bellicosi sulla necessità di imporre sanzioni economiche più pesanti a Mosca in caso di conflitto, provenienti sia da Washington e Bruxelles.

I leader del Cremlino sembrano essere stati pienamente consapevoli di quello che stava succedendo. L’obiettivo americano di riportare la Russia al suo posto subordinato era dato per scontato dal Cremlino. Ma c’era incertezza su quali iniziative aspettarsi sul campo: un grande assalto delle forze di Kiev nel Donbass o piccoli atti provocatori per provocare una reazione russa che potesse fungere da pretesto per l’imposizione di sanzioni, inclusa la chiusura del Nord Stream 2?

È probabile che gli alti funzionari di Washington non abbiano fatto loro stessi una scelta riguardo alle modalità tattiche della loro azione. Le divergenze tra i diversi attori e un presidente titubante avrebbero potuto benissimo lasciare aperte opzioni per arrivare a un consenso morbido e oscuro. L’alternanza di retorica bellicosa e parole rassicuranti in pubblico di Biden, così come le conversazioni telefoniche “non andiamo in guerra” che ha avviato con Putin e riaffermato nei comunicati stampa, ne sono un esempio, una prova tangibile.

Ma alla fine è stata presa la decisione di lanciare l’operazione contro la Russia. Prova innegabile di ciò sono gli annunci molto specifici del presidente Biden, di Anthony Blinken e del direttore della Cia William Burns sulla data dell’“offensiva” russa. Potevano essere così affermativi perché erano ben consapevoli della data fissata per l’inizio dell’operazione militare ucraina contro il Donbass e sapevano che Mosca avrebbe immediatamente reagito militarmente. Queste affermazioni non erano basate su informazioni privilegiate ottenute attraverso intercettazioni di comunicazioni russe o la presenza di una talpa al Cremlino. Washington non ha tale accesso ai centri decisionali di Mosca, come dimostra il fatto che gli Stati Uniti sono rimasti sorpresi da tutte le altre iniziative significative della Russia, compreso l’intervento militare in Siria nel 2015.

Il conto alla rovescia è stato innescato da un aumento di 30 volte dei bombardamenti ucraini nel Donbass, anche contro quartieri residenziali, tra il 16 e il 23 febbraio 2022, come riportato dagli osservatori dell’Osce. La forma e la portata esatte della reazione del Cremlino erano imprevedibili, ma questo di per sé non era un problema per Washington, dal momento che qualsiasi azione militare di Mosca serviva al suo grande scopo. Inoltre, gli americani erano convinti che l’ambizioso programma di addestramento ed equipaggiamento dell’esercito ucraino lanciato dal 2018 – e integrato dall’erezione di un’importante rete di fortificazioni che costituiscono una linea Maginot in miniatura – avrebbe impedito una disfatta delle forze di Kiev e, di conseguenza, creato le condizioni per una guerra di logoramento i cui effetti sull’economia e sull’opinione pubblica russa sarebbero stati particolarmente marcati.

Joe Biden ha richiamato indirettamente l’attenzione su questo punto durante una conferenza stampa tenutasi all’inizio di febbraio 2022. Ha affermato che una forte reazione da parte della Russia avrebbe garantito l’unità della Nato e l’accordo degli Stati membri al fine di imporre forti sanzioni. Una reazione più limitata, ha detto in quell’occasione, avrebbe provocato probabilmente un acceso dibattito tra i governi alleati sull’opportunità o meno di escludere la Russia dal sistema Swift e sospendere il progetto Nord Stream 2. Pertanto, l’attacco preventivo russo su larga scala del 24 febbraio ha permesso agli americani di vedere realizzata la loro opzione preferita, quella di sanzioni massicce.

Che dire della ripetuta affermazione di Joe Biden secondo cui Volodymyr Zelensky ha sfidato l’“avvertimento” del presidente degli Stati Uniti di un’imminente operazione militare russa? Abbiamo potuto consultare la trascrizione di questa famosa conversazione telefonica durante la quale il primo esprimeva infatti il suo scetticismo mentre il secondo insisteva a gran voce sul fatto che non c’erano dubbi. Ci sono solo due spiegazioni per questo indovinello. La prima è che Zelensky e la sua squadra di diplomatici dilettanti – tratti dalla sua ex squadra di produzione televisiva – sono rimasti sbalorditi all’avvicinarsi del fatidico giorno e, di conseguenza, hanno cercato di ottenere un certo margine di manovra. La seconda è che Zelensky potrebbe non essere stato informato della data esatta dell’offensiva dell’esercito ucraino contro il Donbass. I suoi stessi comandanti militari e alti funzionari della sicurezza avrebbero potuto venire a patti con gli americani – che erano stati a lungo presenti e attivi nel cuore dei principali centri decisionali del Paese – senza perdere la fiducia del presidente ucraino. La sua inclinazione a parlare nel modo sbagliato potrebbe essere la ragione principale di ciò, così come il fatto che è stato solo un presidente di facciata dalla sua elezione nel 2019.

Stravagante? No, solo strano. Come ci ha insegnato Sherlock Holmes: “Una volta eliminate tutte le altre possibilità, tutto ciò che resta – per quanto strano – è la verità”.

https://www.ilsussidiario.net/news/dietro-lucraina-i-piani-americani-che-hanno-indotto-mosca-alla-guerra/2376515/?fbclid=IwAR3ZEc97t35AEDe6AaBWk5Fk8JkRt1bhlJXjtZ9MyuTH_DyWr7TKPGmk8pc

Per la prima volta in 12 anni, le partecipazioni sono scese sotto il trilione! La Cina ha perso fiducia nei buoni del tesoro statunitensi?_da Guancha

Per la prima volta in 12 anni, le partecipazioni sono scese sotto il trilione! La Cina ha perso fiducia nei buoni del tesoro statunitensi?

Fonte: Rete di osservatori

2022-07-20 15:44

[Testo/Rete di osservatori Li Li] Il 18 il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha pubblicato i dati secondo cui la Cina continentale ha ridotto le sue disponibilità di debito statunitense per sei mesi consecutivi e le sue partecipazioni sono scese al di sotto di $ 1 trilione per la prima volta in 12 anni, o circa 980,8 miliardi di dollari al mese Ridotte le partecipazioni di circa 23 miliardi di dollari. Inoltre, il Giappone, l’attuale maggiore detentore di titoli del Tesoro statunitensi, e più di 10 principali detentori d’oltremare di titoli del Tesoro statunitensi hanno tutti venduto titoli del Tesoro statunitensi a vari livelli.

Cosa ha causato la caduta in disgrazia del debito statunitense? Wang Yongzhong, direttore e ricercatore dell’International Commodities Research Office dell’Institute of World Economics and Politics dell’Accademia cinese delle scienze sociali, ha dichiarato a Observer.com che le sanzioni statunitensi e il congelamento di beni di paesi come Russia e Afghanistan hanno chiamato mettere in discussione la sicurezza di investire nel debito statunitense. Inoltre, uno dei motivi è anche l’inflazione statunitense che ha portato a “ridotti rendimenti sull’investimento in obbligazioni statunitensi”.

“Anche gli stessi titoli del Tesoro USA sono attività rischiose, quindi anche le nostre partecipazioni stanno diminuendo.” Wang Yongzhong ha introdotto che l’allocazione più flessibile e diversificata delle attività estere della Cina è la tendenza generale. Tuttavia, ha anche affermato che le attività in dollari USA sono ancora una risorsa all’estero molto importante per la Cina. “Sebbene il potere d’acquisto del dollaro USA sia fortemente diminuito, è ancora una ‘valuta forte’. Rispetto all’acquisto di obbligazioni di altri paesi , come l’acquisto di obbligazioni europee, giapponesi, non ottengono gli stessi rendimenti delle obbligazioni statunitensi”.

Screenshot del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti

Cina e Giappone continuano a vendere obbligazioni statunitensi e le partecipazioni cinesi scendono sotto i 1 trilione di dollari per la prima volta in 12 anni

Il 18 luglio, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha pubblicato il suo International Capital Flows Report (TIC) per maggio 2022. Secondo il rapporto, alla fine di maggio, le disponibilità di debito statunitense della Cina continentale sono diminuite di $ 22,6 miliardi rispetto al mese precedente a $ 980,8 miliardi, il sesto calo mensile consecutivo e il livello più basso da maggio 2010.

Allo stesso tempo, anche il Giappone, che è un alleato economico degli Stati Uniti e il più grande “creditore” degli Stati Uniti, sta riducendo continuamente le sue disponibilità di dollari.

Inoltre, più di 10 importanti detentori di debito degli Stati Uniti all’estero, tra cui Arabia Saudita, India e Australia, hanno venduto tutti il ​​debito degli Stati Uniti a vari livelli. Tuttavia, il Regno Unito, che è al terzo posto in termini di disponibilità di debito statunitense, ha comunque aumentato le sue partecipazioni a maggio, raggiungendo $ 634 miliardi, con un aumento di $ 21,3 miliardi rispetto al mese precedente.

Secondo i dati diffusi dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, alla fine di maggio i funzionari esteri avevano venduto $ 8,3 miliardi netti in obbligazioni a lungo termine e $ 22,8 miliardi netti in obbligazioni a breve termine. Complessivamente, le disponibilità estere di titoli del Tesoro statunitensi sono scese a 7.421 trilioni di dollari a maggio da 7.455 trilioni di dollari di aprile, il livello più basso da maggio 2021.

La prossima volta che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti rivelerà la dimensione delle attività di debito statunitensi nelle economie estere è il 15 agosto.

Allora, qual è il motivo per cui i principali detentori esteri di debito statunitense questa volta vendono invariabilmente obbligazioni statunitensi?

Gli Stati Uniti sanzionano altri paesi, sollevando interrogativi sulla sicurezza del debito statunitense

Wang Yongzhong, direttore e ricercatore dell’International Commodities Research Office dell’Institute of World Economics and Politics dell’Accademia cinese delle scienze sociali, ha dichiarato a Observer.com che le sanzioni statunitensi contro Russia, Afghanistan e altri paesi hanno ridotto la stabilità del debito statunitense . Ritiene che la questione della sicurezza del debito statunitense sia una delle ragioni della “riduzione del debito statunitense da parte della Cina”.

“In passato, gli investitori globali, inclusa la Cina, consideravano il debito statunitense un ‘bene sicuro e di alta qualità’. Ma dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino nel febbraio di quest’anno, gli Stati Uniti e alcuni paesi europei hanno congelato il Gli Stati Uniti hanno inoltre congelato i beni all’estero dell’ex governo afghano (circa 9,5 miliardi di dollari USA) , e se ne sono appropriati indebitamente senza autorizzazione (di cui oltre 3 miliardi di dollari USA) come risarcimento per le famiglie delle vittime dell'”11 settembre” La banca centrale e persino il mondo intero hanno avuto grossi dubbi sulla sicurezza di questo titolo statunitense”, ha spiegato Wang Yongzhong. “Se ci sarà un conflitto tra la Cina e gli Stati Uniti in futuro, gli Stati Uniti congeleranno anche il debito statunitense che deteniamo? Questo è un fattore per la Cina per ridurre le sue disponibilità di debito statunitense”.

Il professor Huang Renwei, vice preside esecutivo del “Belt and Road” e del Global Governance Institute dell’Università Fudan, ha anche menzionato nel programma “This Is China” trasmesso l’11 luglio che gli Stati Uniti congelano le proprietà russe o ne confiscano una parte, e la Russia è non è consentito utilizzare SWIFT (System for International Settlement of Funds). Perdere il credito delle persone per aver depositato la loro proprietà negli Stati Uniti. Al fine di prevenire future sanzioni statunitensi, sia gli alleati statunitensi che non gli alleati statunitensi devono ridurre le loro riserve in dollari USA e ridurre la loro dipendenza da SWIFT (International Funds Clearing System). Questo è il più grande danno al sistema di egemonia del dollaro.Questo danno non è evidente a breve termine, ma se tutti riducono la riserva in dollari anno dopo anno e aumentano gli altri sistemi di regolamento anno dopo anno, allora la riserva in dollari e SWIFT (The International Funds Settlement System), i due più importanti strumenti del dollaro USA, rischiano il collasso.

Screenshot del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti

Gli ultimi dati dal sito web del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti mostrano che le disponibilità russe di debito statunitense sono solo $ 2,004 miliardi. Già nel 2010 la Russia deteneva un debito di USD 176,3 miliardi ed era uno dei principali creditori esteri degli Stati Uniti, scendendo a 131,8 miliardi di USD nel 2014, per poi precipitare a 14,9 miliardi di USD nel 2018. La Russia ha continuato a vendere il debito degli Stati Uniti fino ad oggi sono rimasti solo circa 2 miliardi di dollari ed è vicino alla liquidazione.

L’elevata inflazione negli Stati Uniti influisce sul reddito degli investimenti in obbligazioni statunitensi

Wang Yongzhong ha detto a Observer.com che un altro motivo importante per la “caduta in disgrazia” del debito statunitense è la questione del “reddito da investimento”.

“L’inflazione negli Stati Uniti ha raggiunto l’8%, il 9%, il dollaro si è ridotto e il prezzo del mercato obbligazionario statunitense è fortemente diminuito. Sebbene il dollaro si sia apprezzato rispetto ad altre valute, si è notevolmente ridotto in termini di potere d’acquisto. Quindi questo investimento Il ritorno è decisamente negativo. La Cina prenderà sicuramente in considerazione questo reddito da investimento, giusto?”, ha detto Wang Yongzhong.

Le informazioni pubbliche mostrano che i funzionari della Fed hanno alzato i tassi di interesse negli ultimi tre incontri per frenare l’aumento dell’inflazione negli Stati Uniti.Il primo aumento dei tassi è stato a marzo, aumentando i tassi di interesse di 25 punti base. Questo è stato seguito da un aumento del tasso di 50 punti base a maggio. Il mese scorso, la Fed ha annunciato un aumento del tasso di 75 punti base, il più grande aumento in quasi 30 anni.

Secondo i dati diffusi dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti il ​​13 luglio, l’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti è aumentato dell’1,3% su base mensile a giugno e del 9,1% su base annua, il più alto aumento su base annua da allora novembre 1981. Reuters ha riferito che i funzionari della Fed hanno dichiarato il 15 luglio che potrebbero continuare ad aumentare i tassi di interesse di 75 punti base nella riunione del 26-27 luglio.

Tuttavia, dal rapporto sull’inflazione “mal di testa” del 13 luglio, alcuni operatori del mercato ritengono che la Fed considererà l’aumento del tasso di inflazione di un punto percentuale. Secondo un rapporto di Bloomberg del 14 luglio, gli economisti di Citigroup negli Stati Uniti prevedono che la Federal Reserve alzerà i tassi di interesse di 100 punti base.

Il Wall Street Journal ha riferito che il governatore della Fed Christopher Waller ha dichiarato in una riunione a Victor, Idaho, il 14: “I rialzi eccessivi dei tassi non sono ciò che vogliamo. Un aumento dei tassi di 75 punti base è già aggressivo. “Non si può dire, “Poiché non hai aumentato i tassi di 100 punti base, non hai fatto il tuo lavoro”.

La Federal Reserve statunitense non ha aumentato i tassi di ben 100 punti base da quando ha iniziato a utilizzare il tasso sui fondi federali come principale strumento decisionale all’inizio degli anni ’90. E l’aumento dei tassi di interesse di 100 punti base porterà a un “restringimento globale” dei fondi globali, portando a un rapido ritorno del dollaro negli Stati Uniti. Inoltre, l’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti scatenerà anche il panico e porterà a problemi di cambio in molte valute . La scorsa settimana il tasso di cambio euro-dollaro si è avvicinato a un livello di parità di 1:1.

Screenshot del rapporto dell’Associated Press

Secondo il rapporto dell’Associated Press del 15 luglio, il tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro è sceso al livello più basso degli ultimi 20 anni. La Federal Reserve statunitense ha alzato in modo aggressivo i tassi di interesse per ridurre l’inflazione, mentre la Banca centrale europea (BCE) ha finora resistito a forti aumenti. Un euro più debole potrebbe essere un mal di testa per la BCE, in quanto potrebbe significare prezzi più alti per i beni importati, in particolare il petrolio, che è denominato in dollari. E per gli Stati Uniti, un dollaro più forte ridurrebbe anche la competitività dei prodotti americani sui mercati esteri.

La grave inflazione interna negli Stati Uniti, unita ai continui aumenti dei tassi di interesse da parte della Fed, sono tutte ragioni importanti per la svendita globale del debito statunitense.

Wang Yongzhong ha detto a Observer.com: “Anche gli stessi titoli del Tesoro USA sono attività rischiose, quindi anche le nostre partecipazioni stanno diminuendo”.

Screenshot dell’orologio del Tesoro degli Stati Uniti alle 10:30 del 20 luglio, ora di Pechino

Un orologio del debito nazionale degli Stati Uniti viene eretto sulla West 43rd Street a New York, negli Stati Uniti, che aggiorna i dati sul debito totale degli Stati Uniti in tempo reale.A partire dalle 10:30 del 20 luglio, la seguente pagina di aggiornamento del disavanzo del debito federale degli Stati Uniti come un aeroplano il cruscotto mostra gli Stati Uniti. Il debito federale totale ha superato la soglia dei 30,59 trilioni di dollari, salendo al 129,88% del PIL. Per mezzo secolo, gli Stati Uniti fungono da fondamento a sostegno dello status di valuta del dollaro attraverso l’uso del debito statunitense sotto forma di prodotti di investimento.

La Cina sta gradualmente promuovendo l’allocazione diversificata delle attività estere e la riduzione delle sue partecipazioni nel debito statunitense è una tendenza

Wang Yongzhong ha introdotto che per la Cina, è la tendenza generale continuare a ridurre le sue partecipazioni in titoli del tesoro statunitensi e rendere più flessibile e diversificata l’allocazione delle attività all’estero. Ha suggerito che alcuni investimenti possono essere gradualmente aumentati, come l’acquisto di azioni in alcuni mercati emergenti esteri; aumentando in modo appropriato gli investimenti negli asset di paesi con buone prospettive di sviluppo economico come i paesi “Belt and Road” e il sud-est asiatico, che sono relativamente amichevole con il mio paese, ecc. Allo stesso tempo, Wang Yongzhong ha anche ricordato che la diversificazione delle attività all’estero non dovrebbe essere affrettata: “Questo è facile a dirsi, ma è anche difficile investire”.

Secondo Wang Yongzhong, sebbene nel lungo periodo la riduzione delle disponibilità di debito statunitense sia una tendenza e diminuirà gradualmente, le attività in dollari statunitensi sono ancora risorse molto importanti al momento. “Sebbene il potere d’acquisto del dollaro sia fortemente diminuito, è ancora una ‘valuta forte’. Rispetto all’acquisto di obbligazioni di altri paesi, come quelle europee e giapponesi, i rendimenti che si ottengono non sono buoni come quelli statunitensi”, ha affermato disse.

Parlando dell’impatto delle relazioni sino-americane sulla “riduzione del debito degli Stati Uniti da parte della Cina”, Wang Yongzhong ha affermato che la guerra commerciale sino-americana non è la ragione della riduzione del debito cinese da parte della Cina. “In effetti, la Cina era relativamente fiduciosa in il dollaro USA e il debito USA prima. Non si arriva al punto delle “sanzioni finanziarie”. Ma dopo che Biden ha congelato i beni russi e quelli afgani, la fiducia nel dollaro è diminuita”.

“Questa è essenzialmente una questione di relazioni sino-americane”. Tan Yaling, direttore del China Foreign Exchange Investment Research Institute di Pechino, ha dichiarato in un’intervista al “South China Morning Post” di Hong Kong il 20 luglio: “In passato, detenere un gran numero di azioni era dovuto alle buone relazioni bilaterali, ma ora la Cina potrebbe dover evitare il rischio di un conflitto con gli Stati Uniti”.

Rispetto alle obbligazioni statunitensi, le obbligazioni del tesoro cinesi non sono di dimensioni elevate ma stabili e hanno rendimenti elevati

Wang Yongzhong ha introdotto che, rispetto alle obbligazioni statunitensi, sebbene l’entità del debito nazionale cinese non sia molto elevata, il rendimento del debito nazionale cinese è comunque buono. Il tasso di cambio RMB stesso è relativamente stabile e i titoli di stato cinesi sono relativamente popolari.

Secondo il sito web del Ministero delle Finanze cinese, con l’approvazione del Consiglio di Stato, il Ministero delle Finanze emetterà 20 miliardi di yuan di titoli di Stato nella regione amministrativa speciale di Hong Kong nel 2021. Nel 2022 a Hong Kong saranno emessi 23 miliardi di yuan di titoli di Stato.

Wang Yongzhong ha sottolineato che per il mercato finanziario i titoli di stato cinesi sono asset di alta qualità.

Le informazioni pubbliche mostrano che sotto la pressione dell’inflazione globale, i prezzi cinesi sono rimasti stabili. Secondo i dati diffusi di recente dal National Bureau of Statistics of China, da gennaio a giugno, l’indice nazionale dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato dell’1,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e l’IPC di giugno è rimasto piatto su base mensile -mese. Nella prima metà dell’anno i prezzi sono rimasti generalmente stabili entro un range ragionevole.

“A differenza di altri grandi paesi, l’inflazione non è il problema più preoccupante in Cina.” Xie Peihua, chief investment officer della Bank of Singapore, ha dichiarato alcuni giorni fa sul Financial Times che l’IPC del 2,5% di giugno di quest’anno ha mostrato il cibo cinese ed energia La resilienza, gli stimoli fiscali e monetari offrono ampio spazio per raggiungere gli obiettivi del PIL. La People’s Bank of China è l’unica banca centrale che non ha alzato i tassi di interesse per frenare le pressioni inflazionistiche. Lo yuan è rimasto stabile rispetto a un dollaro più forte e la Cina ha la capacità di allentare le condizioni di credito abbassando i tassi di interesse.

Il sito web del Wall Street Journal ha riferito che il tasso di inflazione in Cina era leggermente superiore alle attese a giugno a causa dell’aumento dei prezzi di cibo e carburante, ma le pressioni sui costi sono rimaste modeste rispetto all’elevata inflazione in Europa e negli Stati Uniti.

Secondo il rapporto economico annuale pubblicato di recente dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, l’economia mondiale rischia di entrare in un nuovo periodo di alta inflazione. Agustin Carstens, direttore generale della banca, ha dichiarato di recente in un’intervista ai media che la Cina ha mostrato una forte resilienza economica sullo sfondo dell’elevata inflazione globale, che offre alla banca centrale spazio per adeguare in modo costruttivo la politica monetaria.

“La Cina continuerà a dare slancio alla crescita economica mondiale”, ha affermato Carstens.

Russia e Iran hanno annunciato che abbandoneranno il dollaro USA, esperti: costituiscono una “alternativa parziale” al dollaro USA

Vale la pena ricordare che, nello stesso momento in cui la Cina ha ridotto le sue disponibilità di debito statunitense a meno di 1 trilione di dollari, Russia e Iran hanno annunciato che avrebbero gradualmente abbandonato il dollaro USA nel commercio tra i due paesi .

Alla vigilia della visita del presidente russo Vladimir Putin in Iran, il 18 luglio il segretario stampa presidenziale russo Peskov ha rivelato che la Russia e l’Iran continueranno a sviluppare relazioni bilaterali e legami economici e commerciali.I passi verso la deprecazione del dollaro USA nel commercio bilaterale alla fine porteranno a una completa deprecazione del dollaro USA.

Il vice governatore della Banca centrale dell’Iran per gli affari internazionali ha precedentemente rivelato che Russia e Iran stabiliranno il commercio bilaterale nella valuta locale di entrambe le parti e che i due paesi hanno firmato accordi pertinenti.

Il 19 luglio il presidente russo Vladimir Putin è arrivato a Teheran, in Iran, e lo stesso giorno i due Paesi hanno firmato un memorandum d’intesa del valore di circa 40 miliardi di dollari Usa sulla cooperazione nel settore del gas naturale .

Putin è arrivato a Teheran il 19 e ha incontrato il presidente iraniano Rahey, la foto è della spinta ufficiale del governo iraniano

Sia la Russia che l’Iran sono sanzionate dagli Stati Uniti. In precedenza, la Russia ha lanciato ufficialmente il meccanismo di regolamento del “rublo di gas naturale” e il sistema di regolamento finanziario interno della Russia si sta confrontando con il sistema di regolamento occidentale. Da parte iraniana (27 giugno), durante il vertice BRICS a Pechino, il Ministero degli Affari Esteri iraniano ha annunciato di aver presentato domanda per entrare a far parte dei paesi BRICS .

Per quanto riguarda la questione della “de-dollarizzazione”, Wang Yongzhong ha affermato che allo stato attuale il dollaro USA è ancora in una posizione molto forte. Per il momento, è ancora difficile per queste valute sostituire il dollaro USA a breve termine e non hanno avuto un impatto relativamente ampio sul dollaro USA. Soprattutto nel settore finanziario, tutti hanno l’abitudine di usare dollari americani.

“È difficile per le valute diverse dal dollaro sostituire il dollaro USA. In passato, il dollaro USA ha impiegato molto tempo per sostituire la sterlina britannica. Quando altri paesi aumenteranno l’insediamento in non dollari, formeranno un “parziale sostituzione” per il dollaro USA, ma vogliono sfidare lo status del dollaro. , è ancora troppo presto”, ha detto Wang Yongzhong.

https://m.guancha.cn/economy/2022_07_20_650151.shtml

Ad agosto oltre al caldo africano avremo anche focosi cambiamenti nel conflitto bellico ucraino? _Di Claudio Martinotti Doria

Come avrete capito, lo scopo dei miei articoli è esclusivamente divulgativo, per fornire una visione realistica alternativa alla narrazione mainstream che si basa sulla propaganda, disinformazione e mistificazione. Motivo per cui evito noiosi dettagli tecnici limitandomi a esporre solo la mia valutazione della situazione generale che se ne può trarre dall’esame delle condizioni oggettive rilevate dai vari analisti militari che seguo abitualmente, da me selezionati per la loro serietà e indipendenza. Chi desidera i dettagli tecnici può eseguire ricerche mirate e specialistiche, oppure fidarsi e approfittare di quanto riporto.

Prendiamo l’esempio di Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO (ancora per poco) che le spara sempre più grosse per fare propaganda con il patetico intento di intimidire o addirittura minacciare l’avversario, recentemente ha affermato l’intenzione di portare a 300mila effettivi l’unità d’intervento rapido della NATO. Fantozzi avrebbe quasi certamente commentato: una cagata pazzesca!

La NATO in questo momento di particolare difficoltà e debolezza non sarebbe in grado neppure di mettere insieme 300mila soldati perfettamente abbigliati e armati per farli sfilare in una parata militare.

Basterebbe analizzare in quali penose condizioni versa l’esercito della prima potenza continentale, il Regno Unito, ormai ridotto a esercito da media potenza regionale (similmente all’Italia, per intenderci e di molto inferiore a quello ucraino). Se avesse dovuto affrontare le forze armate russe sul campo di battaglia al posto di quello ucraino, gli analisti seri e indipendenti gli avrebbero dato al massimo tre settimane di durata prima della completa disfatta.

Il fatto che sia una potenza nucleare è irrilevante in una guerra convenzionale (e comunque lo è anche la Russia, e molto di più), non potendo ricorrere alle armi nucleari, neppure quelle tattiche di limitata potenza e fallout, conta soprattutto l’artiglieria, i mezzi corazzati e l’aviazione e i britannici in proposito sono messi male e il budget per la Difesa si riduce ogni anno e si tagliano progressivamente gli organici.

Se ne deduce che più si è deboli e più si ricorre alla propaganda e si assumono atteggiamenti guerrafondai da sbruffone come faceva Boris Johnson prima di essere silurato politicamente. A differenza dei russi, che di propaganda ne fanno pochissima, il bluff sanno a malapena cosa sia e quando fanno qualche affermazione sarebbe meglio ascoltarli, prima di finire sotto i loro schiacciasassi.

Veniamo ora alle condizioni in cui versano le forze armate ucraine.

E’ ormai risaputo per loro stessa ammissione (non del Comando Supremo che continua a omettere e fare propaganda ma dei comandanti locali) che molti reparti al fronte hanno subito perdite tra il 60 e l’80%, cioè parecchie brigate sono ridotte a meno di un battaglione di effettivi, ergo non sono più pienamente operativi.

Questo spiega il perché nelle ultime settimane la resistenza ucraina si è indebolita e di molto abbreviata, città che prima avrebbero difeso per due o tre settimane vengono abbandonate dopo tre o quattro giorni di combattimenti. Le perdite sono state eccessive e adesso preferiscono far ripiegare i superstiti su posizione arretrate meglio difendibili, dove cercare di ricomporre i reparti e renderli ancora parzialmente operativi.

Impresa ardua, in quanto le forze armate russe incalzano senza tregua, lentamente ma inesorabilmente. Se vogliamo fare un confronto di come siano i rapporti di forza, se a livello numerico inizialmente il rapporto era a favore degli ucraini per 3 a 1 ora sono pressappoco alla pari, non perché siano aumentati i soldati russi o donbassiani, ma perché sono diminuiti quelli ucraini, con perdite che si stimano tra i 1000 e i 1500 soldati al giorno, tra morti, feriti e catturati. Per quanto riguarda l’artiglieria gli ucraini sparano circa 5-6mila proiettili al giorno sull’intero fronte di guerra mentre i russi ne sparano circa 60mila. Secondo i cosiddetti esperti occidentali da salotto mediatico i russi avrebbero dovuto esaurire le munizioni di artiglieria già da mesi, forse si erano consultati con la casalinga di Voghera, nota esperta di analisi militare e di storia della Russia.

Le testimonianze dei soldati ucraini e anche di alcuni mercenari dal fronte riferiscono di un vero e proprio fuoco d’inferno, una cosa mai vista, motivo per cui molti mercenari rinunciano all’ingaggio e soldati ucraini disertano o si arrendono o quantomeno ripiegano in posizioni più arretrate e difendibili. In molti casi si giunge persino a scontri a fuoco tra gli stessi militari ucraini, tra ufficiali che impongono di combattere e soldati che si rifiutano di continuare a farsi massacrare. In questi casi dal punto di vista tecnico mi domando se tali caduti devono essere annoverati tra le perdite per “fuoco amico” o altra catalogazione.

A proposito dei mercenari, avevo già accennato che ne sono rimasti pochi rispetto all’inizio del conflitto, sia perché morti o perché se ne sono tornati ai luoghi di provenienza, alcuni catturati rischiano la pena di morte perché non sono protetti dalla Convenzione di Ginevra e sono considerati dai donbassiani criminali di guerra. Alcune testimonianze rilasciate da alcuni di loro accennano al fatto che non sono assolutamente preparati ad affrontare una guerra di questo tipo, essendo privi di copertura aerea, di tecnologia di supporto adeguata ed essendo sottoposti a un fuoco infernale di artiglieria. Un conto è combattere in Iraq e Afghanistan, contro gente armata di AK-47 Kalashnikov e tuttalpiù di RPG (lanciarazzi), tutt’altra esperienza è dover affrontare l’esercito russo, uno dei più potenti e meglio addestrati al mondo.

Gli unici mercenari veramente preparati e in grado di sostenere lo scontro sul terreno con i russi sono i soldati finlandesi, per esperienza storica accumulata e relativo addestramento ricevuto in patria. Ogni soldato è dotato di tutto il supporto tecnico tattico necessario alla sopravvivenza per lungo tempo in zona di guerra, dovendo combattere da solo o in piccoli gruppi affiatati, applicando soprattutto tattiche di guerriglia, esplorazione, cecchinaggio, incursione, sabotaggio, ecc., senza poter contare sulla copertura aerea e su nessun rinforzo e appoggio logistico. Ma sono gli unici con tali competenze e sono troppo pochi.

Da quanto s’intuisce dalle manovre politiche in corso tra il governo ucraino e quello polacco, nel preparare la tanto sbandierata controffensiva di agosto, che secondo i deliri della leadership ucraina dovrebbe respingere i russi fino al punto di partenza di fine febbraio, devono poter liberare i numerosi reparti militari ucraini attualmente impegnati a presidiare gli oblast occidentali. Per farlo dovrebbe intervenire l’esercito polacco per sostituirli.

A parte il fatto che è una palese cessione di sovranità, e questo la dice lunga sulla coerenza e serietà della leadership ucraina, legittimando anche il sospetto che siano d’accordo fin nelle intenzioni, cioè che sappiano benissimo che l’intervento delle forze armate polacche significa cedere la sovranità dell’Ucraina Occidentale alla Polonia, divenendone un Protettorato. Alla faccia del nazionalismo e amor patrio. Ma il secondo punto fondamentale che pare sfuggire agli esperti da salotto televisivo, è che l’intervento polacco in Ucraina si potrebbe legittimamente interpretare come una discesa in guerra contro la Russia, seppur non avvenga per ora direttamente nelle zone di combattimento, la Polonia sarebbe considerato dai russi un paese cobelligerante.

A questo punto se la Russia attaccasse (come già avvenuto numerose volte) obiettivi militari nell’Ucraina Occidentale con missili ad alta precisione e uccidesse soldati polacchi, anche in grande numero, non si potrebbe in alcun modo invocare il famoso articolo 5 del Trattato costitutivo della NATO, in quanto la Polonia non sarebbe affatto aggredita dalla Russia, in primis perché il suolo è ucraino e non polacco, e in seguito perché semmai è la Polonia che ha preso l’iniziativa divenendo cobelligerante a fianco dell’Ucraina. In ogni caso molti paesi aderenti alla NATO si rifiuterebbero di intervenire e l’alleanza rischierebbe la disgregazione definitiva.

Il governo polacco dovrebbe essere più prudente e sondare bene la propria opinione pubblica prima di correre simili rischi solo per appagare le sue mire espansionistiche e manie di grandezza da potenza regionale. A meno che, siano talmente smaliziati  da anticipare e attuare un calcolo cinico e spietato, dando per scontata la sconfitta militare e lo smembramento territoriale dell’Ucraina ,volendo partecipare fin da subito alla spartizione prendendosi la fetta che gli spetterebbe di diritto per motivi storici (cioè la Galizia e le aree contigue). Avere decine di migliaia di soldati già sul posto agevolerebbe tale espansione territoriale, divenendo in pratica un dato di fatto non facilmente contestabile.

La Polonia di fatto si sta anche privando di gran parte del suo armamento pesante per appoggiare quella che sarà la controffensiva ucraina di agosto, parliamo di centinaia di carri armati assemblati e modificati in polonia, che peraltro, considerando che sono modelli che gli ucraini non conoscono e ci vorrebbero mesi per imparare a utilizzarli al meglio, mi domando se non saranno impiegati direttamente da soldati polacchi contro i russi, palesando un’implicita cobelligeranza di fatto. Anche se ho dei dubbi che vi sia un sufficiente numero di carristi polacchi disposti a rischiare la pelle in una battaglia persa in partenza, mi riferisco alla potenza di fuoco dell’artiglieria e aviazione russa, che lascerebbe ben pochi carri armati intatti dopo una battaglia sul campo.

Da quanto finora enunciato emerge abbastanza chiaramente una grave difficoltà da parte della leadership occidentale nella percezione della realtà oggettiva. Una dissonanza cognitiva che distorce la realtà fondandosi su presupposti inesistenti che conduce inevitabilmente a scelte errate e dannose, Vedremo probabilmente entro il mese di agosto quanto saranno dannose, e non solo per l’Ucraina. Una cosa è certa, per quanto possiamo essere messi male noi italiani, io per tutto l’oro del mondo non vorrei essere al posto degli ucraini, dei polacchi e dei baltici.

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Dopo la svolta, di FAZ

Niente di nuovo sotto il sole. Le classi dirigenti degli stati nazionali europei non hanno alcuna intenzione di sganciarsi dal guscio protettivo della NATO. Si confermano, piuttosto, una punta di diamante della politica atlantista sino a sopperire, nelle fasi di crisi, alle incertezze politiche e alle convulsioni che ormai attanagliano le classi dirigenti statunitensi. Non è un paradosso inspiegabile. Nelle fasi di crisi di una potenza egemone, le élites subordinate della periferia imperiale sono le prime destinate a subire il contraccolpo del disfacimento e sono quelle più aggrappate ala tentazione di ripristinare lo statu quo. Lo abbiamo visto nella fase di implosione del blocco sovietico; la dinamica si è ripresentata con l’avvento di Trump alla presidenza degli Stati Uniti. L’intervista di Scholz rientra pienamente in questo canovaccio; un pegno che il leader politico deve pagare per le timide incertezze manifestate all’incedere della crisi ucraina e che si è affrettato a saldare con i dovuti interessi. Nelle more Scholz, con dosi massicce di ipocrisia, delinea i teatri nei quali si svolgerà il confronto multipolare, in un contesto di fatto molto più sfavorevole di mezzo secolo fa, soprattutto per i paesi europei, nei teatri africani, asiatici e addirittura, in qualche misura, latino-americani. Prende atto che il processo di globalizzazione ed integrazione economica non ha condotto ad una era di pace. Ne attribuisce la responsabilità non alle dinamiche intrinseche del processo le quali presuppongono l’esistenza di una potenza egemone dal punto di vista politico e militare, non solo geoeconomico, ma a chi ha rotto quell’equilibrio: ai regimi autocrati; ne trae le conseguenze con il perfetto allineamento alle posizioni più aggressive ed avventuriste della leadership statunitense. Questo monolitismo politico in realtà non rispecchia fortunatamente il senso comune esclusivo presente tra le realtà nazionali europee; rivela però la pressoché totale assenza di una espressione politica adeguata che sappia ricondurre le aspirazioni di indipendenza ed autonomia politica, pur presenti in varia misura negli stati europei e comunque destinati ad emergere ulteriormente, a scelte politiche adeguate alla dimensione delle dinamiche multipolari, piuttosto che alla esasperazione di pulsioni nazionalistiche straccione funzionali alle dinamiche egemoniche delle grandi potenze, nella fattispecie quella statunitense. Olaf Scholz ha ragione nel vedere nella Unione Europea la vittima designata di queste dinamiche. Ne attribuisce la responsabilità ai regimi cosiddetti autocrati, quando invece ne sta emergendo l’inutilità intrinseca e l’inconsistenza politica dovuta alla progressiva rivelazione del proprio legame simbiotico e complementare al vero collante dell’alleanza occidentale a direzione statunitense, la NATO. Con ogni evidenza la battaglia politica di recupero delle prerogative sovrane degli stati nazionali europei deve essere condotta contro queste stesse élites nazionali, piuttosto che ridursi ad un atteggiamento sterile di rimostranze  verso un nemico impossibile da raggiungere. La cartina di tornasole che ha evidenziato l’immaturità politica delle forze che vogliono assumere la titolarità di questa battaglia è stato l’atteggiamento mantenuto nei confronti della presidenza americana di Trump, sia nella sua avversione che nelle sue aspettative fideistiche. Da allora questa stessa maturità, con rare eccezioni, non ha fatto che regredire, specie in Italia. Buona lettura, Giuseppe Germinario

L’attacco di Putin all’Ucraina ha creato una realtà: anche in Germania, molte cose non possono rimanere come sono. Un articolo ospite il Cancelliere federale Olaf Scholz sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung.

La politica inizia guardando la realtà. Soprattutto quando non ci piace. Parte della realtà è che l’imperialismo è tornato in Europa. Molti speravano che stretti legami economici e mutue dipendenze avrebbero assicurato stabilità e sicurezza allo stesso tempo. Putin ha ora visibilmente distrutto questa speranza con la sua guerra contro l’Ucraina. I missili russi non solo hanno causato una massiccia distruzione a Kharkiv, Mariupol e Cherson, ma hanno anche ridotto in macerie l’ordine di pace europeo e internazionale degli ultimi decenni.

Inoltre, le condizioni della nostra Bundeswehr e delle strutture di difesa civile, ma anche la nostra eccessiva dipendenza dall’energia russa suggeriscono che abbiamo sentito un falso senso di sicurezza dopo la fine della Guerra Fredda. La politica, gli affari e gran parte della nostra società erano fin troppo felici di trarre conseguenze di vasta portata dal detto di un ex ministro della Difesa tedesco, secondo il quale la Germania era circondata solo da amici. È stato un errore.

Dopo la svolta che significa l’attacco di Putin, niente è più come prima. Ed è per questo che le cose non possono rimanere come sono! Ma solo la determinazione di una svolta non è un programma. Dalla svolta arriva il mandato di agire – per il nostro Paese, per l’Europa, per la comunità internazionale. Dobbiamo rendere la Germania più sicura e resiliente, l’Unione europea più sovrana e l’ordine internazionale più sostenibile.

La nuova realtà include i 100 miliardi di euro grazie ai quali abbiamo deciso di costituire un fondo speciale per la Bundeswehr. Segnano la più grande svolta nella politica di sicurezza della Repubblica Federale Tedesca. Stiamo fornendo ai nostri soldati il ​​materiale e le abilità di cui hanno bisogno per difendere vigorosamente il nostro paese e i nostri alleati in questa nuova era. Semplifichiamo e acceleriamo il troppo macchinoso processo di approvvigionamento. Sosteniamo l’Ucraina fintanto che avrà bisogno di questo sostegno: economico, umanitario, finanziario e fornendo armi. Allo stesso tempo, ci assicuriamo che la NATO non diventi un partito di guerra. Infine, poniamo fine alla nostra dipendenza energetica dalla Russia. L’abbiamo già raggiunto con il carbone. Vogliamo fermare le importazioni russe di petrolio entro la fine dell’anno. Nel caso del gas, la quota delle importazioni dalla Russia è già scesa dal 55 al 30 per cento.

Questo percorso non è facile, nemmeno per un Paese forte e prospero come il nostro. Avremo bisogno di resistenza. Molti cittadini stanno già soffrendo per gli effetti della guerra, soprattutto per i prezzi elevati di benzina e generi alimentari. Molti sono preoccupati per le loro prossime bollette di elettricità, petrolio o gas. Il governo federale ha quindi varato un aiuto finanziario di ben oltre 30 miliardi di euro a sostegno dei cittadini. Le varie misure stanno ora iniziando a entrare in vigore.

Ma la verità è che l’economia globale sta affrontando una sfida che non si vedeva da decenni. Catene di approvvigionamento rotte, materie prime scarse, incertezza sui mercati energetici causata dalla guerra: tutto questo fa salire i prezzi in tutto il mondo. Nessun paese al mondo può opporsi da solo a un simile sviluppo. Dobbiamo restare uniti e unire le mani, come abbiamo concordato in questo paese nell’ambito dell’azione concertata tra datori di lavoro, sindacati, scienza e decisori politici. Sono convinto che usciremo poi dalla crisi più forti e indipendenti di come siamo entrati. Questo è il nostro obiettivo!

Come nuovo governo, abbiamo deciso fin dall’inizio di liberarci dalla nostra dipendenza energetica dalla Russia il più rapidamente possibile. Già lo scorso dicembre, due mesi prima dell’inizio della guerra, abbiamo affrontato la questione di come garantire l’approvvigionamento energetico del nostro Paese in previsione del peggio. Quando Putin ha lanciato la sua guerra a febbraio, siamo stati in grado di agire. Sul tavolo c’erano ad esempio i progetti per la diversificazione dei nostri fornitori o la costruzione di terminali di gas liquido. Ora verranno affrontati con coraggio. Temporaneamente e con il cuore pesante, tuttavia, dobbiamo rimettere in rete le centrali a carbone. Abbiamo stabilito livelli minimi di riempimento per i serbatoi di stoccaggio del gas – stranamente, prima non esistevano. Oggi sono già molto meglio riempiti rispetto allo scorso anno in questo momento. Allo stesso tempo, lo sviluppo attuale ci incoraggia nel nostro obiettivo di espandere le energie rinnovabili molto più velocemente di prima. La Confederazione ha quindi accelerato notevolmente il processo di pianificazione, ad esempio, di impianti solari ed eolici. Ed è anche vero: più energia possiamo risparmiare tutti – industria, famiglie, città e comunità – nei prossimi mesi, meglio è.

Non stiamo percorrendo questa strada da soli. Siamo uniti nell’Unione Europea, parte di una forte alleanza militare con la NATO. E agiamo per ferme convinzioni: per solidarietà con la minaccia esistenziale dell’Ucraina, ma anche per proteggere la nostra stessa sicurezza. Quando Putin interrompe le forniture di gas, usa l’energia come arma, anche contro di noi. Nemmeno l’Unione Sovietica lo fece durante la Guerra Fredda.

Se non contrastiamo l’aggressione di Putin ora, potrebbe continuare. L’abbiamo visto: l’invasione della Georgia nel 2008, poi l’annessione della Crimea nel 2014, l’attacco all’Ucraina orientale e infine, nel febbraio di quest’anno, l’intero Paese. Lasciare che Putin la faccia franca significherebbe che la violenza può infrangere la legge praticamente senza conseguenze. Allora alla fine anche la nostra stessa libertà e sicurezza sarebbero in pericolo.

“Non possiamo più escludere un attacco all’integrità territoriale degli alleati.” Questa frase rientra nel nuovo concetto strategico della Nato, deciso congiuntamente dai 30 alleati al vertice di Madrid di fine giugno. Lo prendiamo sul serio e agiamo di conseguenza. La Germania aumenterà significativamente la sua presenza nell’area dell’alleanza orientale – in Lituania, in Slovacchia, nel Mar Baltico. Lo facciamo per dissuadere la Russia dall’attaccare la nostra alleanza. Allo stesso tempo, chiariamo che sì, siamo pronti a difendere qualsiasi parte del territorio dell’Alleanza, proprio come difenderemmo il nostro paese. Facciamo quella promessa. E possiamo contare su questa promessa a turno da ciascuno dei nostri alleati.

Parte della nuova realtà è che anche l’Unione Europea si è avvicinata negli ultimi mesi. Ha reagito con grande unanimità all’aggressione russa e ha imposto sanzioni senza precedenti. Funzionano, un po’ di più ogni giorno. E Putin non deve sbagliarsi: sapevamo fin dall’inizio che avremmo potuto dover mantenere a lungo le nostre sanzioni. Ed è anche chiaro per noi che nessuna di queste sanzioni sarà revocata in caso di pace dettata dalla Russia. Per la Russia, non c’è modo di aggirare un accordo con l’Ucraina che gli ucraini possano accettare.

Putin vuole dividere il nostro continente in zone di influenza, in grandi potenze e stati vassalli. Sappiamo a quali catastrofi questo ha condotto noi europei. All’ultimo Consiglio europeo abbiamo quindi dato una risposta univoca. Una risposta che cambierà per sempre il volto dell’Europa: abbiamo dato lo status di candidati all’Ucraina e alla Moldova e abbiamo riaffermato il futuro europeo della Georgia. E abbiamo chiarito che la prospettiva di adesione per tutti e sei i paesi dei Balcani occidentali deve finalmente diventare realtà. Quella promessa è vera. Questi paesi fanno parte della nostra famiglia europea. Li vogliamo nell’Unione Europea. Naturalmente, il modo per arrivarci è pieno di prerequisiti. È importante dirlo apertamente, perché niente potrebbe essere peggio che dare false speranze a milioni di cittadini. Ma la strada è aperta e l’obiettivo è chiaro!

Negli ultimi anni è stato spesso richiesto , e giustamente, che l’UE diventi un attore geopolitico. Una pretesa ambiziosa, ma reale! Con le decisioni storiche degli ultimi mesi, l’Unione Europea ha fatto un grande passo in questa direzione. Con determinazione e unità senza precedenti, abbiamo detto: il neoimperialismo di Putin non deve avere successo. Ma non dobbiamo fermarci qui. Il nostro obiettivo deve essere quello di stringere i ranghi in tutti quei settori in cui in Europa da troppo tempo lottiamo per trovare soluzioni: nella politica migratoria, ad esempio, nella costruzione di una difesa europea, nella sovranità tecnologica e nella resilienza democratica. La Germania avanzerà proposte concrete in merito nei prossimi mesi.

Siamo molto consapevoli delle conseguenze della nostra decisione per un’Unione europea geopolitica. L’Unione europea è l’antitesi vivente dell’imperialismo e dell’autocrazia. Ecco perché è una tale spina nel fianco di chi è al potere come Putin. La disunione permanente, il dissenso permanente tra gli Stati membri ci indebolisce. Ecco perché la risposta più importante dell’Europa alla svolta è: unità. Dobbiamo assolutamente mantenerli e dobbiamo approfondirli. Per me questo significa: niente più blocchi egoistici delle decisioni europee da parte dei singoli Stati membri. Niente più sforzi individuali nazionali che danneggiano l’Europa nel suo insieme. Semplicemente non possiamo più permetterci veti nazionali, ad esempio in politica estera, se vogliamo continuare a essere ascoltati in un mondo di grandi potenze in competizione.

Anche a livello globale, la svolta sta agendo come una lente d’ingrandimento: esacerbando i problemi esistenti come povertà, fame, catene di approvvigionamento rotte e carenza di energia. E mostrandoci brutalmente le conseguenze di una politica di potere imperialista e revanscista. I rapporti di Putin con l’Ucraina e altri paesi dell’Europa orientale hanno tratti neocoloniali. Sogna apertamente di costruire un nuovo impero basato sul modello dell’Unione Sovietica o dell’Impero zarista.

Gli autocrati del mondo stanno guardando da vicino per vedere se ci riesce. La legge del più forte o la forza della legge si applicano nel 21° secolo? Nel nostro mondo multipolare, il disordine sostituirà un ordine mondiale multilaterale? Sono domande che ci poniamo in modo molto specifico.

So dalle conversazioni con i nostri partner nel Sud del mondo che molti di loro vedono il rischio. Eppure, per molti, la guerra in Europa è molto lontana, mentre le conseguenze si fanno sentire direttamente. In questa situazione, vale la pena guardare a ciò che ci collega con molti paesi del Sud del mondo: l’impegno per la democrazia, per quanto diverso possa essere nei nostri paesi, la Carta delle Nazioni Unite, lo Stato di diritto, i valori fondamentali della libertà, l’uguaglianza , la solidarietà, la dignità di ogni essere umano. Questi valori non sono legati all’Occidente come posizione geografica. Li condividiamo con i cittadini di tutto il mondo. Per difendere questi valori dall’autocrazia e dall’autoritarismo, abbiamo bisogno di una nuova cooperazione globale delle democrazie – al di là del classico Occidente.

Affinché ciò abbia successo, dobbiamo fare delle preoccupazioni del Sud del mondo le nostre preoccupazioni, dobbiamo evitare doppi standard e mantenere le nostre promesse a questi paesi. Troppo spesso abbiamo rivendicato la “parità di base” ma in realtà non ce l’abbiamo fatta. Dobbiamo cambiarlo, anche perché molti paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina sono da tempo su un piano di parità con noi in termini di popolazione e potere economico. Di recente ho deliberatamente invitato i miei colleghi provenienti da India, Sud Africa, Indonesia, Senegal e Argentina al vertice del G7 in Germania. Siamo con loro e molti altri paesi democratici nel processo di sviluppo di soluzioni ai problemi del nostro tempo: la crisi alimentare, il cambiamento climatico o la pandemia. Abbiamo compiuto progressi tangibili in tutti questi settori al vertice del G7. La fiducia cresce da questo progresso, fiducia anche nel nostro Paese.

Questo può essere costruito se la Germania si assumerà la responsabilità dell’Europa e del mondo in questi tempi difficili. Guidare può solo significare riunire, in entrambi i sensi. Elaborando soluzioni insieme agli altri ed evitando di andare da soli. E riunendo l’est e l’ovest, il nord e il sud dell’Europa, come un paese al centro dell’Europa, come un paese che giace su entrambi i lati della cortina di ferro.

La Germania e l’Europa sono congelate in una saturazione sicura di sé, società post-eroiche incapaci di difendere i propri valori contro la resistenza: ecco come suona la propaganda di Putin. Ecco come hanno recentemente giudicato alcuni osservatori qui con noi. In questi mesi abbiamo vissuto una realtà diversa, nuova.

L’Unione Europea è più attraente che mai, si sta aprendo a nuovi membri e si riformerà allo stesso tempo. Raramente la NATO è stata così vivace, sta crescendo con Svezia e Finlandia, due forti amici. I paesi democratici di tutto il mondo si stanno avvicinando e stanno emergendo nuove alleanze.

Anche la Germania sta cambiando alla luce della svolta. Ci rende consapevoli del valore della democrazia e della libertà – e che vale la pena difenderle. Questo rilascia nuova forza. La forza di cui avremo bisogno nei prossimi mesi. La forza con cui possiamo plasmare insieme il futuro. Potere che il nostro Paese porta in sé – in realtà.

https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/faz-bk-ukraine-2063006

La scoperta di noi stessi, di Andrea Zhok

L’altro giorno stavo assistendo ad una bella discussione di tesi avente per oggetto autori dei cosiddetti “postcolonial studies”.
Era tutto molto interessante, ma mentre ascoltavo gli argomenti di Frantz Fanon, Edward Said, ecc. ad un certo punto ho avuto quello che gli psicologi della Gestalt chiamano un’Intuizione (Einsicht, Insight).
Ascoltavo di come gli studi postcoloniali cercano di depotenziare quelle teorie filosofiche, linguistiche, sociali ed economiche per mezzo delle quali i colonialisti occidentali avevano “compreso” i popoli colonizzati proiettandovi sopra la loro autopercezione.
Ascoltavo di come veniva analizzata la natura psicologicamente distruttiva del colonialismo, che imponendo un’identità coloniale assoggettante intaccava la stessa salute mentale dei popoli soggiogati.
Queste ferite psicologiche, questa patogenesi psichiatrica avevano luogo in quanto lo sguardo coloniale toglieva al colonizzato la capacità di percepirsi come “essere umano pienamente riuscito”, perché e finché non riusciva ad essere indistinguibile dal colonizzatore. Ma tale compiuta assimilazione era destinata a non avvenire mai, ad essere guardata sempre come ad un ideale estraneo ancorché bramato. Di conseguenza il subordinato era condannato ad una esistenza dimidiata, in una sorta di mondo di seconda classe, irreale.
Quest’inferiore dignità rispetto alla cultura colonizzante finiva per inculcare una mentalità insieme servile e frustrata, perennemente insoddisfatta.
Di fronte al rischio di perenne dislocazione mentale una parte dei colonizzati reagiva cercando di fingere che la propria condizione subordinata era proprio ciò che avevano sempre desiderato.
D’altro canto, con il consolidarsi del dominio coloniale la stessa capacità di organizzare la propria esistenza in una forma diversa da quella del colonizzatore andava impallidendo, con sempre meno gente che aveva memoria del mondo di “prima”.
Il passo finale decisivo era l’adozione della lingua del colonizzatore, che il colonizzato parlava naturalmente sempre in modo subottimale e riconoscibile come derivato. Nel momento in cui i colonizzati iniziano ad adottare la lingua dei colonizzatori essi importano lo sguardo degli oppressori e le loro strutture di alienazione: il colonizzato introiettando lo sguardo del colonizzatore finiva per generare forme di sistematico autorazzismo.
Ecco, mentre sentivo tutte queste cose, ragionavo, come fanno tutti, assumendo che “noi” fossimo i colonizzatori e gli altri i colonizzati.
Ma poi, d’un tratto, lo slittamento gestaltico, l’intuizione.
D’un tratto ho visto che immaginarci come quel “noi” era a sua volta frutto della nostra introiezione della cultura dei colonizzatori.
Noi, come italiani, o mediterranei, dopo essere stati colonizzati dagli angloamericani, ne abbiamo adottato lo sguardo fino ad immaginare che “noi” fossimo come loro, che fossimo noi ad avere sulla coscienza secoli di tratta degli schiavi e di sfruttamento coloniale imperialistico con cui fare i conti (innalzando un paio di patetici e fallimentari episodi in Libia e nel corno d’Africa come se giocassero nella stessa lega con i professionisti).
Nell’ultimo mezzo secolo, abbiamo adottato pienamente e senza remore tutte le dinamiche dei popoli assoggettati, fantasticando che la “vita vera” fosse quella che ci arrivava come immaginario d’oltre oceano, dimenticando tutto ciò che avevamo ed eravamo, per proiettarci nell’esistenza superiore dei colonialisti, pronti ad assumerne i peccati nella speranza che ciò ci assimilasse, almeno da quel punto di vista, al modello irraggiungibile.
Questa condizione di esistenza a metà, tremebonda e felice di essere assoggettata, ma frustrata dal nostro essere ancor sempre distanti dal modello, ha creato ondate di autorazzismo inestinguibile e ha bruciato tutte le possibilità di rinascita.
In sempre maggior misura tutta la nostra cultura, da quella popolare a quella accademica ha iniziato questo processo di mimesi, immaginando che se farfugliavamo qualche neologismo in inglese o se ne infarcivamo i documenti ufficiali (dai programmi scolastici alle direttive ministeriali) avremmo magicamente acquisito la potenza del nostro santo oppressore.
Come paese sotto occupazione ci siamo inventati di essere “alleati” degli occupanti, e mentre eravamo orgogliosi del nostro acume nel denunciare “governi fantoccio” in giro per il mondo non vedevamo quelli che si succedevano (e succedono) in casa nostra.
In tutta questa storia di falsa coscienza conclamata, di cui si dovrebbero narrare le vicende in un libro apposito, siamo sempre rimasti un passo al di sotto della consapevolezza di ciò che siamo e possiamo.
Oggi che gli orientamenti della potenza occupante danno segni di progressivo disinteresse per noi – salvo che come ponte di volo per cacciabombardieri – oggi forse si presenta per la prima volta dopo tre quarti di secolo la possibilità di uscire da questa condizione di falsa coscienza.
Tra non molto saremo forse in grado di applicare lo sguardo dell’emancipazione coloniale anche a noi stessi. Sarà una presa di coscienza dolorosa e vi si opporranno forze enormi, ma il processo è avviato e con il fatale deterioramento della situazione interna esso emergerà sempre di più.

La tempesta infuria, di George Friedman

Nel mio libro più recente, “The Storm Before the Calm”, ho previsto che il 2020 sarebbe stato un periodo di intensi disordini economici e politici negli Stati Uniti che si sarebbero esauriti verso la fine del decennio. Ho scritto che gli Stati Uniti subiscono cicli politici ogni 50 anni e che il periodo di crisi alla fine dell’ultimo ciclo negli anni ’70 si è risolto all’inizio degli anni ’80. Voglio cogliere questa opportunità per confrontare dove stiamo andando confrontandolo con gli anni ’70.

Gli Stati Uniti erano in crisi economica. L’inflazione stava aumentando, quindi il presidente Richard Nixon ha dichiarato un congelamento dei prezzi e degli stipendi all’inizio del decennio. Nel 1973 scoppiò una guerra tra Israele e il mondo arabo. Gli Stati Uniti si sono schierati con Israele, quindi gli arabi hanno imposto un embargo petrolifero. Ciò ha creato una massiccia carenza di petrolio e inflazione su tutta la linea. Il primo periodo includeva anche guerre culturali. La guerra del Vietnam ha creato quello che è stato chiamato il divario generazionale che si è manifestato nella controcultura. La controcultura è stata guidata dalla scrittura di Herbert Marcuse (ho scritto la mia tesi di dottorato in gran parte su di lui) che con altri aveva sviluppato una cosa chiamata teoria critica, un capostipite della teoria critica della razza. Marcuse e altri hanno sostenuto che gli Stati Uniti erano tormentati dalla falsa coscienza, che le persone non capissero la distruttività del materiale e dell’azienda. Le università sono diventate il centro dei movimenti progettati per cambiare i valori e le credenze americane. Una delle convinzioni chiave era la liberazione sessuale. Rivolte razziali e omicidi hanno dilaniato il paese. Mentre ci avvicinavamo alla metà del decennio, i problemi di fondo erano disoccupazione, inflazione e tassi di interesse incredibilmente alti.

Quell’era è stranamente simile alla nostra attuale. La guerra in Ucraina ha contribuito a innescare una massiccia inflazione e ci stiamo avvicinando a un periodo di alti tassi di interesse. La disoccupazione probabilmente sostituirà l’attuale carenza di manodopera. La pandemia di COVID-19 ha certamente giocato un ruolo importante nei nostri problemi attuali, ma direi che non è il ruolo determinante.

Politicamente, un presidente negli anni ’70 è stato costretto a lasciare l’incarico a causa di attività criminali. Il caso di Donald Trump è diverso, ovviamente, ma la divisione che ne risulta è simile. Gran parte dell’America credeva che Nixon fosse stato distrutto dai media liberali. Altri hanno detto che si è autodistrutto. Oliver Stone ci ha fatto un film.

La rabbia tra le culture era intensa. Ricordo di aver guidato attraverso la Carolina del Nord, fermandomi su un 7-11 per una birra per tenermi sveglio. Il cassiere mi ha guardato e mi ha chiamato un “punk degenerato hippie”. Per l’amor di Dio, stavo andando a Fort Bragg; Avrei potuto essere un degenerato e un punk, ma non un hippie. Un’altra volta ho incontrato una giovane donna che mi ha detto che Nixon era Hitler. ho esitato. Mi ha chiamato mostro. Ho stupidamente detto che era solo un mostro part-time. Brutta mossa in un brutto momento.

Nixon diede origine a Gerald Ford, che nella mia mente era Joe Biden in termini di efficacia se non di ideologia. Poi è arrivato Jimmy Carter, che ha rappresentato tutti i tratti del ciclo della morte. Tra la furiosa inflazione, ha imposto un taglio delle tasse per la classe media e un aumento delle tasse per i ricchi. Ciò ha giocato sulla posizione morale di Franklin Roosevelt, ma ha aumentato la domanda e i prezzi, diminuendo il capitale per gli investimenti, proprio mentre il Giappone stava irrompendo nell’industria automobilistica statunitense. Nel 1980, Ronald Reagan è stato eletto e, indipendentemente dal fatto che ti piaccia, ha inaugurato una nuova era, non perché ne fosse responsabile, ma perché le elezioni hanno aperto il tavolo.

In altre parole, Nixon è stato sostituito da Ford, che non ha potuto ottenere il controllo. Ford è stato sostituito da Carter, che ha cercato di creare una versione del New Deal. Lungi dall’essere sciocchi, erano semplicemente intrappolati in un vecchio ciclo che non poteva vedere oltre. Per il nostro ciclo attuale, Biden è Ford e tra un paio d’anni verrà eletto un nuovo Carter. Il Carter del nostro tempo sarà qualcuno che non può vedere che l’era Reagan è finita e che qualcosa di nuovo arriverà. Come Carter, chiunque venga eletto peggiorerà la situazione. Poi nel 2028 inizierà una nuova era.

Allora, dove siamo adesso? Le guerre culturali infuriano, ma iniziano a logorarsi. C’è una massiccia crisi economica costruita attorno a una guerra, inflazione e tassi di interesse in aumento. Non c’è una soluzione apparente e l’ostilità interna generale sta ribollendo. Abbiamo almeno sei anni per raggiungere una risoluzione. Fino ad allora, attendiamo un Jimmy Carter che crede profondamente che le soluzioni di 50 anni fa ora funzioneranno.

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Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli Stati Uniti, di Andrew Korybko

16 LUGLIO 2022

Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli Stati Uniti

Tuttavia, nessuno dovrebbe cadere nel falso presupposto che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli Stati Uniti poiché non si sta verificando nulla del genere. Piuttosto, ciò che è successo è che l’UE ha inaspettatamente respinto contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso il suo sfruttamento della Lituania a tal fine.

Il chiarimento della Commissione europea secondo cui le sue sanzioni anti-russe non dovrebbero essere interpretate dalla Lituania come un via libera per il blocco di Kaliningrad suggerisce fortemente che il blocco è a disagio con l’influenza destabilizzante che gli Stati Uniti sono sospettati di esercitare su quel paese baltico. L’interpretazione unilaterale di Vilnius di queste restrizioni precedenti come pretesto per interrompere i collegamenti stradali e ferroviari con quell’exclave russa era più una provocazione politica orchestrata da Washington volta a manipolare le menti degli occidentali che un tentativo di peggiorare il tenore di vita della gente di quella regione come l’autore ha spiegato in quel momento qui . La sua decisioneassecondare Bruxelles in questo senso è quindi una sconfitta per quell’egemone unipolare in declino, e per di più inaspettata.

Gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’UE con un pretesto anti-russo all’inizio dell’operazione militare speciale in corso di Mosca in Ucraina, convincendo persino i suoi vassalli europei a sanzionare controproducente il loro principale fornitore di risorse grezze e innescando così una crisi economica assolutamente evitabile che portato l’euro alla parità con il dollaro per la prima volta in due decenni. Se alcune aziende europee finiscono per fallire nel prossimo futuro, allora le loro americane e britanniche i concorrenti ne trarrebbero vantaggio. Tutto sommato, gli Stati Uniti hanno al momento il controllo quasi totale sull’UE, ma alla fine hanno superato convincendo la Lituania a bloccare Kaliningrad e quindi provocare una grave crisi tra la Russia e il blocco.

Questo era troppo per i “Tre Grandi” (Francia, Germania e Italia), che sono prontamente intervenuti attraverso le istituzioni europee per riaffermare la propria egemonia molto più diretta su quel paese baltico, chiarendo che le sue sanzioni non possono essere sfruttate per tagliare il transito di prodotti civili verso l’exclave russa su rotaia. Anche se la Lituania è uno stato vassallo americano, è molto più europeo quando arriva la spinta, come è successo di recente. Vilnius non ha potuto sfidare la Commissione Europea, ecco perché ha rispettato il suo chiarimento politico e quindi è andata contro la volontà di Washington. L’unico motivo per cui ciò è accaduto è perché i “Tre Grandi” hanno ritenuto inaccettabile provocare la Russia in un modo così sfacciato, il che a sua volta parla della loro posizione relativamente più pragmatica nei confronti del conflitto ucraino.

Tuttavia, nessuno dovrebbe cadere nel falso presupposto che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli Stati Uniti poiché non si sta verificando nulla del genere. Piuttosto, ciò che è successo è che l’UE ha inaspettatamente respinto contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso il suo sfruttamento della Lituania a tal fine. Ciò dimostra che i più grandi vassalli europei d’America accetteranno praticamente tutto ciò che il loro signore supremo richiede loro, tranne se rischia di innescare un conflitto diretto con la Russia nel peggiore dei casi, come alcuni temevano che il blocco di Kaliningrad orchestrato dagli Stati Uniti in Lituania avesse minacciato di fare. In tali casi, i “Tre Grandi” hanno dimostrato di avere la volontà politica di intervenire con decisione contro la volontà di Washington.

Ci sono cinque considerazioni da trarre da questo incidente. In primo luogo, gli Stati Uniti sfrutteranno i suoi vassalli dell’UE più piccoli e più russofobi per provocare una crisi tra la Russia e il blocco. In secondo luogo, se i responsabili politici delle “Tre Grandi” ritengono che la crisi rischi un conflitto diretto con la Russia nello scenario peggiore, allora interverranno in modo decisivo per scongiurarlo. Terzo, questo intervento assume la forma di riaffermare la propria egemonia su qualunque vassallo statunitense sia stato sfruttato per provocare la crisi. In quarto luogo, non ci si aspetta che gli Stati Uniti facciano una faida con l’UE ogni volta che ciò accade, poiché ciò rischia di dividere l’unità del blocco e quindi di indebolire la piattaforma più ampia che è stata sfruttata per “contenere” la Russia. E infine, queste differenze inaspettate tra l’UE e gli Stati Uniti non dovrebbero essere interpretate come implicanti una spaccatura tra di loro.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3079

La difficile strada da percorrere della NATO, di Charles A. Kupchan

Ottimismo frettoloso e vittorie di Pirro_Giuseppe Germinario

Le maggiori minacce all’Unità dell’Alleanza arriveranno dopo il vertice di Madrid

Grazie al presidente russo Vladimir Putin, il vertice della NATO a Madrid si svolge questa settimana sullo sfondo di una rinascita dell’alleanza occidentale. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin costringe la NATO a tornare alla sua missione fondante di fornire difesa collettiva contro la Russia. I membri dell’alleanza stanno dimostrando una notevole unità e determinazione mentre incanalano armi in Ucraina, aumentano le spese per la difesa, rafforzano il fianco orientale dell’alleanza e impongono severe sanzioni economiche contro la Russia.

L’invasione dell’Ucraina ha mostrato che la NATO è tornata, ma la realtà è che non è mai andata via. L’alleanza era effettivamente in buona forma anche prima che Putin lanciasse la sua guerra errante, che è una delle ragioni per cui è stata in grado di rispondere agli sviluppi in Ucraina con tanta alacrità e solidarietà. Dalla fine della Guerra Fredda, la NATO ha dimostrato una notevole capacità di adattamento ai tempi, intraprendendo operazioni lontane, anche in Afghanistan e nei Balcani, e aprendo le porte alle nuove democrazie europee. Come conseguenza della guerra in Ucraina, una NATO già forte si è appena rafforzata.

Ma nonostante il suo buono stato di salute e l’unità dimostrabile, la NATO deve affrontare un boschetto di questioni spinose e le discussioni a Madrid inizieranno appena ad affrontarle. La guerra in Ucrainaovviamente dominerà il vertice. La conversazione è pronta a concentrarsi sulla parte facile: portare più armi in prima linea. Ma la NATO deve anche affrontare la parte difficile: quando e come coniugare il flusso di armi con una strategia diplomatica volta a produrre un cessate il fuoco e proseguire i negoziati sul territorio. L’urgenza di fare questo perno deriva dalla necessità non solo di porre fine alla morte e alla distruzione, ma anche di limitare le ricadute economiche della guerra, che potrebbero minacciare l’alleanza atlantica dall’interno erodendo la solidarietà e indebolendo le basi democratiche dell’Occidente. Il conflitto in Ucraina pone anche nell’agenda della NATO una serie di sfide aggiuntive: gestire il futuro dell’allargamento, incanalare le crescenti aspirazioni geopolitiche dell’Europa e la costruzione di un’architettura transatlantica in grado di accogliere le questioni sempre più complesse e diverse che l’Occidente deve affrontare.

UN FINALE DIPLOMATICO

Lo sforzo transatlantico per sostenere l’Ucraina si è concentrato sul fornire al paese le armi di cui ha bisogno per difendersi. Questo è come dovrebbe essere. Kiev ha bisogno di più potenza di fuoco per resistere e persino invertire l’avanzata russa nell’est e nel sud dell’Ucraina. L’obiettivo, secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è “difendere ogni metro della nostra terra”. Finora Washington non è stata disposta a mettere in guardia Kiev dal cercare l’espulsione completa delle truppe russe dalla sua terra. “Non diremo agli ucraini come negoziare, cosa negoziare e quando negoziare”, ha affermato Colin Kahl, il sottosegretario alla Difesa per la politica . “Hanno intenzione di stabilire quei termini per se stessi.”

Ma è giunto il momento che la NATO si concentri su un finale diplomatico e capitalizzi il suo sforzo di successo per rafforzare la mano dell’Ucraina facilitando un cessate il fuoco e proseguimento dei negoziati. Dai primi successi militari dell’Ucraina, lo slancio sul campo di battaglia si è spostato a vantaggio della Russia, che è uno dei motivi per cui Francia, Germania, Italia e altri alleati degli Stati Uniti stanno premendo per una svolta verso la diplomazia. Finora Washington ha resistito. Come ha affermato il presidente Joe Biden all’inizio di giugno, ” non farò pressioni sul governo ucraino, in privato o in pubblico, affinché faccia concessioni territoriali”.

Ma Washington può resistere solo per così tanto tempo. La questione non è solo il mantenimento della solidarietà transatlantica raccogliendo l’appello europeo per una strategia che includa un percorso verso una soluzione diplomatica. Anche con armi aggiuntive, l’Ucraina probabilmente non ha la potenza di combattimento per scacciare le forze russe da tutto il suo territorio o addirittura per ripristinare lo status quo territoriale di febbraio. Continuare la guerra potrebbe significare più perdite di vite umane e di territorio, non guadagni sul campo di battaglia per Kiev. E più a lungo va avanti la guerra, maggiore è il rischio di un’escalation, voluta o accidentale, e più prolungate e gravi sono le interruzioni dell’economia globale e dell’approvvigionamento alimentare .

Di particolare interesse sono gli effetti economici della guerra sugli stessi membri della NATO, compreso il potenziale impatto dell’inflazione dilagante sulla politica americana. Le basi interne della politica estera statunitense sono molto più fragili di quanto non fossero una volta. Il centrismo bipartisan che ha prevalso durante la Guerra Fredda è scomparso da tempo, lasciando il posto non solo alla polarizzazione ma a una potente tensione di sentimento neo-isolazionista. La politica estera “America first” dell’ex presidente Donald Trump è stata un sintomo più che una causa di questa svolta interiore. La “politica estera per la classe media” di Biden segnala che anche i democratici sono sensibili al desiderio dell’elettorato che Washington dedichi più tempo e risorse a risolvere i problemi in patria invece che all’estero. Il ritiro di Bidendall’Afghanistan consegnato su quel fronte. La sua ambiziosa agenda per gli investimenti interni e il rinnovamento mirava anche a migliorare la vita degli americani, a rimettere in piedi la classe media ea ricostruire il centro politico della nazione.

La guerra in Ucraina, insieme al perpetuo blocco del Congresso, ha messo da parte questo programma critico di riparazione interna. A dire il vero, la fornitura di assistenza militare ed economica all’Ucraina gode di un livello insolito di sostegno bipartisan. Tuttavia, il tempo non è dalla parte del bipartitismo, che è destinato a svanire con l’avvicinarsi del semestre di novembre. La guerra, in aggiunta alle interruzioni dell’approvvigionamento causate dalla pandemia, sta contribuendo a condizioni economiche che stanno giocando nelle mani dei repubblicani “America first”. L’inflazione è ai massimi degli ultimi 40 anni; il prezzo di benzina, cibo e altri beni essenziali continua a salire. Il mercato azionario è in svenimento tra i discorsi di una recessione imminente. La guerra in Ucraina non è certo l’unica causa di queste tribolazioni economiche, ma sta sicuramente giocando un ruolo importante. Sta inoltre assorbendo il tempo prezioso e il capitale politico dell’amministrazione Biden.

Con queste condizioni economiche sullo sfondo, il midterm è pronto a mettere la Camera e, probabilmente, il Senato in mani repubblicane. La carnagione della coorte repubblicana che chiamerebbe i colpi al Congresso è impossibile da prevedere, ma è probabile che il partito si inclini ulteriormente nella direzione “America first”. JD Vance, sostenuto dall’approvazione di Trump, ha recentemente vinto le primarie del Senato dell’Ohio molto contestate. Le sue opinioni sulla guerra in Ucraina possono essere emblematiche di ciò che verrà: “Penso sia ridicolo che ci concentriamo su questo confine in Ucraina. Devo essere onesto con te, non mi interessa cosa succede all’Ucraina in un modo o nell’altro”.

Vale la pena ricordare che Trump ha negato l’assistenza militare all’Ucraina per estrarre sporcizia politica su Biden, insultato regolarmente gli alleati della NATO ed espresso interesse a ritirare gli Stati Uniti dalla NATO. Lui, o qualche altro repubblicano “America first”, potrebbe benissimo tornare a politiche così ribelli se eletto. È anche possibile una crisi politica o costituzionale di qualche tipo. Poco prima che Putin invadesse l’Ucraina, un sondaggio ha rivelato che  il 64% degli americani  teme che la democrazia statunitense sia “in crisi e a rischio di fallimento”. Tutto questo per dire che i risultati elettorali in Ohio potrebbero avere un impatto sulla sicurezza europea e sul futuro della democrazia liberale almeno tanto quanto i risultati militari nel Donbas.

Anche l’Europa deve tenere d’occhio il fronte interno. Gli europei hanno dimostrato una notevole generosità nell’ospitare milioni di profughi ucraini , ma la calorosa accoglienza potrebbe esaurirsi e potrebbe produrre un contraccolpo politico; le precedenti ondate di immigrazione hanno rafforzato la mano dei populisti illiberali. Nel frattempo, la carenza di cibo in Africa, aggravata dalla guerra in Ucraina, potrebbe innescare una crisi umanitaria e mettere gli europei di fronte all’ennesimo afflusso di migranti disperati. L’inflazione persistente e la prospettiva di una penuria di energia il prossimo inverno potrebbero anche indebolire l’impressionante determinazione dell’Europa nel tenere testa alla Russia. Come ha avvertito Robert Habeck, ministro dell’Economia tedescoall’inizio di questo mese, “Siamo in una crisi del gas. Il gas è una merce rara d’ora in poi. . . . Ciò influirà sulla produzione industriale e diventerà un grosso onere per molti consumatori”.

Il governo italiano sta già vacillando a causa di controversie interne sulla fornitura di armi all’Ucraina e i leader tedeschi continuano a litigare sulla consegna di armi pesanti. Emmanuel Macron potrebbe essere stato rieletto in Francia ad aprile, ma circa il 40 per cento dell’elettorato ha votato per Marine Le Pen, la candidata di estrema destra che è una fan di Putin e si è impegnata a ritirare il suo paese dal comando militare della NATO. Che Macron abbia perso la maggioranza assoluta alla camera bassa del parlamento è un ulteriore segno di malcontento popolare. Il partito di Le Pen, il National Rally, è passato da otto a 89 seggi.

Le sanzioni dell’Occidente contro Mosca, anche se hanno un impatto negativo sull’economia globale , finora non hanno avuto l’effetto sperato in Russia. A causa dell’impennata del prezzo del greggio, la Russia continua a godere di ampi ricavi petroliferi. E anche se il valore del rublo è precipitato quando la Russia ha lanciato la sua invasione a febbraio, è rimbalzato e recentemente ha toccato il massimo degli ultimi sette anni rispetto al dollaro. Gli Stati Uniti e i loro partner del G-7 hanno concordato all’inizio di questa settimana di perseguire ulteriori misure per restringere il commercio con la Russia e hanno anche discusso di fissare un tetto massimo agli acquisti di petrolio russo per alleviare le pressioni inflazionistiche e ridurre le entrate della Russia. Il potenziale impatto di questi prossimi passi rimane incerto.

Sì, l’Occidente deve sostenere l’Ucraina, punire l’ espansionismo russo e difendersi da ulteriori atti di aggressione. Ma deve anche soppesare queste priorità rispetto all’imperativo di impedire ai populisti illiberali di prendere il potere su entrambe le sponde dell’Atlantico. Il prezzo del gas in Ohio o in Baviera sembra di importanza irrilevante sullo sfondo della valorosa lotta dell’Ucraina per la sua libertà. Ma gestire la guerra in Ucraina significa anche navigare nei pericolosi banchi della politica americana ed europea. L’Ucraina non sarebbe certamente la beneficiaria se i repubblicani “America first” salissero al potere negli Stati Uniti o se i populisti filo-Mosca guadagnassero terreno in Europa.

Sarebbe davvero una crudele ironia se la NATO riuscisse ad aiutare Kiev a contrastare l’ambizione predatoria di Putin solo per vedere le democrazie atlantiche cadere preda di minacce dall’interno. Anche se inviano più obici e droni in Ucraina, i leader della NATO devono prestare molta attenzione al contraccolpo economico e politico della guerra sulle loro stesse società. Quando lo faranno, apprezzeranno meglio la necessità di facilitare un cessate il fuoco e di sostenere la causa dell’Ucraina al tavolo dei negoziati.

Il passaggio dalla guerra ai negoziati, ovviamente, non offre una soluzione rapida alle dislocazioni economiche prodotte dal conflitto; le sanzioni contro la Russia potrebbero rimanere in vigore per un bel po’ di tempo. Ma la diplomazia in definitiva offre l’unico percorso per allentare le tensioni geopolitiche che continuano a interrompere le forniture di energia e cibo e contribuiscono alle pressioni inflazionistiche.

LA ZONA GRIGIA DELL’EUROPA

I membri della NATO si occuperanno della guerra in Ucraina, gestendo relazioni difficili con la Russia, rafforzando il fianco orientale dell’alleanza e, dopo la fine dei combattimenti, partecipando alla ricostruzione postbellica . Ma devono anche cominciare a guardare oltre la guerra e le sue conseguenze immediate per trarre lezioni più ampie.

Il conflitto in Ucraina ha chiarito la necessità di ripensare in modo nuovo al progresso della sicurezza nella “zona grigia” dell’Europa, le terre tra la NATO e la Russia. Anche se la guerra va avanti, sta emergendo una conversazione costruttiva sul potenziale status geopolitico dell’Ucraina che va avanti. L’evoluzione di questa questione potrebbe fornire un modello per Georgia, Moldova e altri paesi che hanno guardato all’Occidente ma potrebbero non essere destinati all’adesione alla NATO ora che la Russia ha lanciato la sfida in Ucraina.

Tre approcci intrecciati stanno prendendo forma per far avanzare le esigenze di sicurezza dei paesi nella zona grigia dell’Europa. In primo luogo, la neutralità permanente offre a questi stati un mezzo per rafforzare la loro sovranità e indipendenza, tenendo conto delle obiezioni della Russia all’ulteriore allargamento della NATO verso est. L’Ucraina ha abbracciato la neutralità dopo essersi separata dall’Unione Sovietica nel 1991. È stato solo nel 2019, in risposta all’accaparramento di terre della Russia del 2014 in Crimea e nel Donbas, che l’Ucraina ha sancito nella sua costituzione la sua intenzione di aderire alla NATO. Secondo Putin, la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina all’alleanza ha giocato un ruolo nella sua decisione di invadere di nuovo. Nel suo discorso del 24 febbraio alla nazione per giustificare la “operazione militare speciale”, Putin ha sottolineato “le minacce fondamentali che i politici occidentali irresponsabili hanno creato per la Russia. . . . Mi riferisco all’espansione verso est della NATO, che sta spostando le sue infrastrutture militari sempre più vicino al confine russo. Durante le prime settimane di guerra, Kiev sembrava pronta ad abbracciare un ritorno alla neutralità. Se tale risultato dovesse emergere come parte di una soluzione negoziata alla guerra, la neutralità dell’Ucraina potrebbe servire da modello per la regione.

In secondo luogo, la neutralità sarebbe accompagnata da garanzie di sicurezza da parte di una coalizione di paesi volenterosi. Tali assicurazioni non sarebbero all’altezza delle garanzie formali di difesa che accompagnerebbero l’adesione alla NATO, ma impegnerebbero i firmatari ad aiutare a mantenere la sicurezza e lo status di non allineamento dei paesi nella zona grigia dell’Europa. Questi accordi andrebbero oltre i precedenti livelli di supporto occidentale, comportando probabilmente un ulteriore addestramento militare e trasferimenti di armi durante il tempo di pace e un solido supporto militare nel caso in cui gli stati che beneficiano di tali assicurazioni dovessero affrontare un attacco. L’Ucraina è di nuovo un buon modello. I membri della NATO non stanno inviando truppe in Ucraina per unirsi alla lotta, ma stanno fornendo all’Ucraina i mezzi per difendersi. Quando la guerra finisce, l’Ucraina potrebbe trovarsi in uno stato di neutralità armata, con il continuo sostegno economico e militare dei membri della NATO che rafforza la sua mano nei negoziati sul territorio che potrebbero seguire un cessate il fuoco.

Il terzo livello di sicurezza nella zona grigia sarebbe l’adesione all’UE. Bruxelles ha già concesso lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldova, mentre la Georgia è in sala d’attesa. Sebbene i negoziati di adesione possano durare un decennio o forse più, lo status di candidato fornisce agli aspiranti un colpo politico nel braccio e offre ai loro governi la leva di cui hanno bisogno per combattere la corruzione e attuare onerose riforme economiche e politiche, passi chiave che l’Ucraina deve intraprendere per autoestrarsi dall’eredità oligarchica del suo passato. L’adesione all’UE alla fine segnerebbe l’inclusione istituzionale formale nella comunità delle democrazie atlantiche, evitando al contempo la provocazione della Russia che deriverebbe dall’adesione alla NATO. Come ha affermato Putin di recente di fronte alla prospettiva dell’ingresso dell’Ucraina nell’UE,“Non abbiamo nulla contro. È la loro decisione sovrana di aderire o meno ai sindacati economici. . . . Sono affari loro, affari del popolo ucraino”.

In questo scenario, la NATO prenderebbe Finlandia e Svezia e l’alleanza alla fine integrerebbe aspiranti nei Balcani. Ma non andrebbe oltre. Fissare un limite trasparente all’allargamento verso est della NATO e guardare invece all’UE per estendere la sua portata nella zona grigia dell’Europa potrebbe finalmente consentire all’Occidente e alla Russia di mettere da parte una questione che ha infastidito le loro relazioni da quando l’allargamento della NATO è iniziato subito dopo la fine del freddo Guerra. Anche se Putin ha usato l’espansione della NATO come pretesto per il suo accaparramento di terre, una maggiore chiarezza sul futuro della NATO potrebbe contribuire a smorzare la rivalità tra Russia e Occidente.

IL PILASTRO EUROPEO

La guerra in Ucraina è stata un campanello d’allarme geopolitico per l’ Europa—e la NATO dovrebbe trarre vantaggio da questo momento. L’Europa ha fatto numerose false partenze nel corso degli anni per acquisire maggiore forza e responsabilità geopolitiche, ma questa volta, grazie alla Russia, lo sforzo potrebbe produrre risultati più impressionanti. L’aggressione russa ha già spinto gli europei a fare nuovi e sostanziali investimenti in capacità militari. La Germania ha stanziato 100 miliardi di euro per potenziare il suo esercito fatiscente e ha accettato di soddisfare il parametro di riferimento della NATO di spendere il 2% del PIL per la difesa. Altre nazioni europee hanno annunciato aumenti considerevoli dei loro budget per la difesa. La traduzione di questi investimenti in capacità di combattimento richiederà tempo e richiederà un coordinamento oltre i confini nazionali e tra la NATO e l’UE. Ma questi investimenti e la svolta della Germaniain particolare, hanno il potenziale per essere un punto di svolta, dotando finalmente l’Europa del maggiore peso geopolitico di cui ha bisogno in un mondo in cui è tornata la rivalità tra grandi potenze. Gli Stati Uniti dovrebbero mantenere la pressione sui loro alleati e collaborare con loro per sfruttare appieno la loro nuova disponibilità ad assumersi maggiori oneri di difesa.

Un’Europa più capace creerà un partenariato atlantico più forte. Democratici e repubblicani allo stesso modo si lamentano da tempo che la NATO ha bisogno di un pilastro europeo più robusto. Qualunque partito sia al potere a Washington, il collegamento atlantico sarà in condizioni migliori se l’Europa porterà sul tavolo più peso geopolitico. Con la Russia che ora minaccia il fianco orientale della NATO e le tensioni nel Pacifico occidentale che pongono anche nuove richieste alle risorse statunitensi, Washington apprezzerà di avere più capacità europee. E anche se una rinnovata minaccia russa manterrà le forze statunitensi in Europa per il prossimo futuro, l’Europa deve essere in grado di agire da sola quando necessario.

ISTITUZIONI IDONEE ALLO SCOPO

Sebbene l’invasione russa dell’Ucraina costituisca un tradizionale atto di aggressione territoriale , rivela anche quanto sia diventata complicata l’agenda per la sicurezza. Le implicazioni del conflitto attraversano un’ampia varietà di questioni. Gli affari militari e l’intelligence sono al centro, ma lo è anche la sicurezza energetica. Abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili russi può essere una necessità strategica, ma ha anche effetti negativi sui cambiamenti climatici poiché l’Europa riapre centrali elettriche a carbone chiuse e poiché i produttori di energia pompano più petrolio e gas. Sicurezza informatica, sicurezza alimentare, catene di approvvigionamento, migrazione, relazioni con la Cina , sistema dei pagamenti internazionali: la guerra ha lasciato intatte poche questioni.

Le istituzioni transatlantiche devono adattarsi di conseguenza. La NATO può gestire alcune, ma certamente non tutte, di queste questioni trasversali. È stata abbastanza abile nell’integrare la sicurezza informatica nella sua agenda e l’alleanza ha avviato una conversazione costruttiva sulle conseguenze geopolitiche dell’ascesa della Cina. In particolare, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud partecipano al Vertice di Madrid in qualità di osservatori. Ma per quanto riguarda la sicurezza energetica, le sanzioni economiche, la governance digitale, le linee di approvvigionamento tecnologico, il clima e una miriade di altre questioni, l’ UE è l’interlocutore più appropriato. Il Regno Unito, tuttavia, non ha più un posto al tavolo dell’UE a Bruxelles, complicando ulteriormente il compito di creare istituzioni transatlantiche adatte all’interdipendenza globale.

I legami più profondi tra la NATO e l’UE offrono una via per una migliore integrazione geopolitica e geoeconomica. Un’altra opzione sarebbe quella di istituire un nuovo consiglio transatlantico incaricato di affrontare le questioni politiche in un modo che trascenda e abbatta le barriere istituzionali e burocratiche. Questo organismo potrebbe includere rappresentanti della NATO e dell’UE, nonché Stati membri selezionati, fornendo la supervisione di un’agenda transatlantica dinamica e diversificata. Il Consiglio per il commercio e la tecnologia USA-UE, istituito di recente, fornisce un buon esempio di innovazione istituzionale volta a consentire alle politiche di stare al passo con il cambiamento tecnologico. Le ricadute della guerra rendono ampiamente chiaro quanto profondamente la globalizzazione e l’interdipendenza stiano creando la necessità di nuove forme di governance e cooperazione transatlantica. Di pari importanza, ogni nuovo organismo di controllo deve monitorare da vicino le connessioni sempre più intime tra politica estera e politica interna. Se i leader di una delle due sponde dell’Atlantico trascurano tali collegamenti, lo fanno a proprio rischio e pericolo e quello della solidarietà transatlantica.

La NATO rimane un pilastro essenziale di una comunità transatlantica duratura di interessi e valori condivisi. Ha ampiamente dimostrato la sua rilevanza, efficacia e unità nell’organizzare una risposta risoluta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. È giunto il momento che la NATO inizi a muoversi verso un cessate il fuoco e un finale diplomatico in Ucraina, in gran parte per mantenere la solidarietà transatlantica e difendersi dalle minacce interne alla democrazia liberale che potrebbero rappresentare una minaccia ancora maggiore per la comunità atlantica di Putin. Questo perno deve essere parte di uno sforzo più ampio per costruire un’architettura transatlantica adatta allo scopo nell’interdipendenza del ventunesimo secolo.

https://www.foreignaffairs.com/articles/ukraine/2022-06-29/natos-hard-road-ahead?utm_medium=newsletters&utm_source=fatoday&utm_campaign=NATO%E2%80%99s%20Hard%20Road%20Ahead&utm_content=20220629&utm_term=FA%20Today%20-%20112017

cose strane accadono in guerra, di Pierluigi Fagan

“WEIRD SHIT HAPPENS IN A WAR”? Ricorderete un recente post riferito alle dimissioni di Boris Johnson, in cui davo evidenza ad un tweet dell’ex Chief advisor del Primo Ministro britannico, D. Cummings. Sosteneva il tipo di non credere più di tanto alle dimissioni di BJ che però rimaneva in carica fino a sostituzione: “cose strane accadono in guerra”, a dire che la guerra in Ucraina avrebbe sempre potuto prender una svolta inaspettata ed improvvisa che poteva portare a ripensare la situazione.
Non so dirvi se quella di Cummings fosse una semplice freccetta avvelenata verso il suo ex-capo che poi lo licenziò in maniera un po’ brutale o se Cummings si riferiva a voci che giravano in certi ambienti londinesi.
Scorrendo le notizie, si presenta però una catena inferenziale di cui forse è bene esser consapevoli.
Oggi 17 luglio: lancio 16.40, Dimitry Medvedev afferma che “in caso di attacco alla Crimea, l’Ucraina dovrà affrontare il giorno del giudizio” (fonte Ria Novosti).
Giorni scorsi: fonti ucraine avanzano l’idea che con i nuovi sistemi missilistici forniti dagli USA, potrebbero arrivare a colpire la Crimea o addirittura il ponte strategico che la collega alla Russia. Fonti russe hanno variamente reagito segnalando che il ponte, secondo loro, non correrebbe pericoli poiché ben difeso da sistemi antimissile e minacciando ritorsioni “fine dei giochi”. Un ufficiale russo, riportato sempre da fonti russe, affermava di esser certo al 250% del fatto che i nuovi sistemi HIMARS MLRS erano gestiti da ufficiali anglo-britannici e non ucraini. Gli ucraini si limiterebbero a proteggere l’area.
14 luglio: l’Ambasciata americana in Ucraina, lanciava un allarme livello 4 (il più alto), dando indicazioni di lasciare immediatamente il paese: “La situazione della sicurezza in tutta l’Ucraina è altamente instabile e le condizioni potrebbero deteriorarsi senza preavviso”.
A pensar male si fa peccato ma… . Indubbiamente la piena estate è da sempre il momento migliore per imprimere svolte volute a processi complessi. Nixon si inventò il dollaro “causa sui” un 15 agosto.
Di fatto gli ucraini non sembrano in grado di resistere a lungo o contrattaccare sul campo.
Altrettanto di fatto, abbiamo una UK distratta dalla successione dei Conservatori, Francia con Presidente senza maggioranza parlamentare, Germania in grave ripensamento causa inflazione e disastro economico, Italia sappiamo. La combattiva Iryna Vereshchuk, ha detto proprio oggi che: “Il futuro dipenderà da come l’Italia, gli italiani, il governo italiano riusciranno a risolvere questo terribile conflitto” cioè senza Draghi gli ucraini perdono? Pensa te…
Gli ucraini hanno portato a 9 i miliardi necessari a tenere in vita la macchina del loro stato mensilmente (fonte Ft, gli ucraini parlano di “copertura di disavanzo mensile”), erano 5 due mesi fa, sarà per via dell’inflazione… . Da notare che una parte del disavanzo è dato dalla necessità di corrispondere un vasto “reddito di cittadinanza” secondo il responsabile economico Oleg Ustenko.
Per non parlare del flusso di armamenti da far distruggere ai russi o consegnar loro al mercato nero o rivenderli sempre a mercato nero a mezzo mondo o armare la fantomatica armata del milione di giovanotti e giovanotte da lanciare nella tenzone.
Insomma, la domanda cresce, l’offerta o ristagna o potrebbe addirittura contrarsi, il tempo passa, i territori si continuano a perdere. C’è bisogno di un aiutino?
Mi sono domandato se scrivere questo post. Non è mia abitudine speculare sulla paura o far cassa di risonanza per la propaganda che c’è e ce n’è tanta, da una parte e dall’altra. Vi offro solo la sequenza delle ultime notizie che continuo a seguire giornalmente anche se non scrivo più tanto sull’argomento.
Il movente per provocare una escalation ci sarebbe anzi ce ne sarebbe più d’uno, il momento della “grande distrazione estiva” è favorevole, in tempi recenti sulla stampa specializzata si è fatto un gran parlare della guerra nucleare a bassa intensità (ordigni tattici), l’avviso dell’Ambasciata americana di quattro giorni fa, senza apparente ed immediato riscontro con ciò che lì succede ormai da mesi, non è stato forse notato con la dovuta attenzione.
Medvedev ne dice una al giorno e tutte abbastanza peperine. Può darsi sia solo “fog of war”. La sequenza però è strana e come diceva il Cummings “cose strane accadono in guerra”. A volte.

Le teorie poco plausibili della vittoria dell’Ucraina, di Barry R. Posen

Nell’amministrazione Biden si discute; ma solo di quale sia il limite da non oltrepassare per vincere nella guerra condotta da terzi. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Mentre le forze russe guadagnano terreno in Ucraina, il presidente e gli alleati di quel paese sembrano essere tutti d’accordo: l’Ucraina deve lottare per la vittoria e ripristinare lo status quo prebellico. La Russia rigetterebbe i guadagni territoriali che ha ottenuto da febbraio. L’Ucraina non riconoscerebbe né l’annessione della Crimea né gli staterelli secessionisti nel Donbas e proseguirebbe sulla strada dell’adesione all’UE e alla NATO.

Per la Russia, un simile risultato rappresenterebbe una netta sconfitta. Dati gli ingenti costi che ha già pagato, insieme alla probabilità che le sanzioni economiche occidentali contro di essa non vengano revocate presto, Mosca guadagnerebbe meno di nulla da questa guerra. In effetti, sarebbe diretto verso un indebolimento permanente o, nelle parole del Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin, “indebolito al punto da non poter fare il tipo di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina”.

I sostenitori dell’Ucraina hanno proposto due strade per la vittoria. Il primo passa attraverso l’Ucraina. Con l’aiuto dell’Occidente, si sostiene, l’Ucraina può sconfiggere la Russia sul campo di battaglia, esaurendo le sue forze attraverso l’attrito o superandola astutamente. Il secondo percorso attraversa Mosca. Con una combinazione di guadagni sul campo di battaglia e pressione economica, l’Occidente può convincere il presidente russo Vladimir Putin a porre fine alla guerra o convincere qualcuno nella sua cerchia a sostituirlo con la forza.

Ma entrambe le teorie della vittoria poggiano su basi instabili. In Ucraina, l’esercito russo è probabilmente abbastanza forte da difendere la maggior parte delle sue conquiste. In Russia, l’economia è sufficientemente autonoma e la presa di Putin abbastanza forte da impedire al presidente di essere costretto a rinunciare a quei guadagni. Il risultato più probabile dell’attuale strategia, quindi, non è un trionfo ucraino, ma una guerra lunga, sanguinosa e alla fine indecisa. Un conflitto prolungato sarebbe costoso non solo in termini di perdita di vite umane e danni economici, ma anche in termini di escalation, compreso il potenziale uso di armi nucleari.

I leader e i sostenitori dell’Ucraina parlano come se la vittoria fosse dietro l’angolo. Ma quella visione sembra sempre più essere una fantasia. L’Ucraina e l’Occidente dovrebbero quindi riconsiderare le loro ambizioni e passare da una strategia per vincere la guerra verso un approccio più realistico: trovare un compromesso diplomatico che metta fine ai combattimenti.

VITTORIA SUL CAMPO DI BATTAGLIA?

Molti in Occidente sostengono che la guerra può essere vinta sul campo. In questo scenario, l’Ucraina distruggerebbe la potenza di combattimento dell’esercito russo, causando la ritirata o il collasso delle forze russe. All’inizio della guerra, i sostenitori dell’Ucraina sostenevano che la Russia poteva essere sconfitta per logoramento. La semplice matematica sembrava raccontare la storia di un esercito russo sull’orlo del collasso. Ad aprile, il ministero della Difesa britannico ha stimato che 15.000 soldati russi erano morti in Ucraina. Supponendo che il numero di feriti fosse tre volte più alto, che era l’esperienza media durante la seconda guerra mondiale, ciò implicherebbe che circa 60.000 russi erano stati messi fuori servizio. Le prime stime occidentali stimano la dimensione della forza russa in prima linea in Ucraina a 120 gruppi tattici di battaglione, che ammonterebbero al massimo a 120.000 persone. Se queste stime delle vittime fossero corrette, la forza della maggior parte delle unità da combattimento russe sarebbe scesa al di sotto del 50 percento, una cifra che gli esperti suggeriscono rende un’unità da combattimento almeno temporaneamente inefficace

Queste prime stime ora sembrano eccessivamente ottimistiche. Se fossero stati esatti, l’esercito russo avrebbe dovuto ormai essere crollato. Invece, ha ottenuto guadagni lenti ma costanti nel Donbas. Sebbene sia possibile che la teoria dell’attrito un giorno possa rivelarsi corretta, ciò sembra improbabile. Sembra che i russi abbiano subito meno perdite di quanto molti pensassero o abbiano comunque trovato un modo per mantenere molte delle loro unità in grado di combattere. In un modo o nell’altro, stanno trovando riserve, nonostante la loro dichiarata riluttanza a inviare al fronte recenti coscritti o riservisti mobilitati. E se arrivasse la spinta, potrebbero abbandonare quella riluttanza.

Se la teoria del collasso per attrito sembra aver già fallito la prova della battaglia, c’è un’altra opzione: gli ucraini potrebbero superare in astuzia i russi. Le forze ucraine potrebbero battere il nemico in una guerra meccanizzata, con carri armati, fanteria e artiglieria al seguito, proprio come Israele ha battuto i suoi nemici arabi nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 e nella Guerra dello Yom Kippur del 1973. Né la Russia né l’Ucraina hanno sufficienti unità di combattimento meccanizzate per difendere densamente i loro vasti fronti, il che significa in linea di principio che entrambe le parti dovrebbero essere vulnerabili ad attacchi meccanizzati rapidi e violenti. Finora, tuttavia, nessuna delle due parti sembra aver fatto ricorso a tali tattiche. La Russia potrebbe scoprire di non poter concentrare le forze per tali attacchi senza essere osservata dall’intelligence occidentale e l’Ucraina potrebbe subire un controllo simile da parte dell’intelligence russa. Detto ciò, un difensore cauto come l’Ucraina potrebbe indurre il suo nemico a estendersi eccessivamente. Le forze russe potrebbero trovare i loro fianchi e le linee di rifornimento vulnerabili ai contrattacchi, come sembra essere accaduto su piccola scala intorno a Kiev nelle prime battaglie della guerra.

Ma proprio come è improbabile che l’esercito russo crolli a causa dell’attrito, è anche improbabile che perda essendo sopraffatto. I russi ora sembrano saggi per le mosse che l’Ucraina ha provato all’inizio. E sebbene i dettagli siano scarsi, i recenti contrattacchi dell’Ucraina nella regione di Kherson non sembrano comportare molte sorprese o manovre. Piuttosto, sembrano assomigliare al tipo di offensive lente e stridenti che gli stessi russi hanno organizzato nel Donbas. È improbabile che questo modello cambierà molto. Sebbene gli ucraini, poiché stanno difendendo la loro patria, siano più motivati ​​dei russi, non c’è motivo di credere che siano intrinsecamente superiori nella guerra meccanizzata. L’eccellenza in questo richiede una grande quantità di pianificazione e formazione. Sì, gli ucraini hanno tratto profitto dalla consulenza occidentale, ma l’Occidente stesso potrebbe essere fuori pratica con tali operazioni, non avendo condotto guerre meccanizzate dal 2003, quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. E dal 2014, gli ucraini hanno concentrato i loro sforzi sulla preparazione delle forze per la difesa delle linee fortificate nel Donbas, non per la guerra mobile.

Ancora più importante, la capacità di un paese di condurre una guerra meccanizzata è correlata al suo sviluppo socioeconomico. Sono necessarie competenze sia tecniche che manageriali per mantenere in funzione migliaia di macchine e dispositivi elettronici e per coordinare in tempo reale unità di combattimento lontane e veloci. L’Ucraina e la Russia hanno popolazioni altrettanto qualificate da cui attingere i loro soldati, quindi è improbabile che la prima goda di un vantaggio nella guerra meccanizzata.

Una possibile controargomentazione è che l’Occidente potrebbe fornire all’Ucraina una tecnologia così superiore da poter battere i russi, aiutando Kiev a sconfiggere il suo nemico attraverso l’attrito o la guerra mobile. Ma anche questa teoria è fantasiosa. La Russia gode di un vantaggio di tre a uno in termini di popolazione e produzione economica, un divario che anche gli strumenti più tecnologici difficilmente riuscirebbero a colmare. Armi occidentali avanzate, come i missili guidati anticarro Javelin e NLAW, hanno probabilmente aiutato l’Ucraina a esigere un prezzo elevato dai russi. Ma finora, questa tecnologia è stata ampiamente utilizzata per sfruttare i vantaggi tattici di cui godono già i difensori: copertura, occultamento e capacità di incanalare le forze nemiche attraverso ostacoli naturali e artificiali. È molto più difficile sfruttare la tecnologia avanzata per andare in attacco contro un avversario che possiede un vantaggio quantitativo significativo, perché farlo richiede il superamento sia dei numeri superiori che dei vantaggi tattici della difesa. Nel caso dell’Ucraina, non è ovvio quale tecnologia speciale possieda l’Occidente che avvantaggia così tanto l’esercito ucraino da poter rompere le difese russe.

Per comprendere le difficoltà che l’Ucraina deve affrontare, si consideri il fallimento della Germania nazista nella sua ultima grande offensiva della seconda guerra mondiale, la battaglia delle Ardenne. Nel dicembre 1944, i tedeschi sorpresero gli alleati nella foresta delle Ardenne con una concentrazione di divisioni meccanizzate e di fanteria contro un tratto di fronte di 50 miglia scarsamente difeso. Speravano di frantumare le difese alleate in Belgio, dividere gli eserciti statunitense e britannico, prendere il porto critico di Anversa e fermare lo sforzo bellico alleato. La Wehrmacht scommise che la sua abilità nella guerra corazzata, la sua superiorità numerica locale laboriosamente assemblata e la sua tecnologia avanzata per i veicoli corazzati avrebbero superato i vantaggi combinati di cui godevano le forze armate statunitensi e britanniche in termini di manodopera, artiglieria e potenza aerea. Sebbene i tedeschi riuscissero a sorprendere e godessero di alcuni giorni di successo, l’operazione fallì presto. I comandanti occidentali capirono rapidamente cosa stava succedendo e usarono in modo efficiente la loro superiorità materiale per respingere l’avanzata. Oggi, alcuni sembrano suggerire che gli ucraini provino una strategia simile a quella tedesca per superare vincoli simili. Ma non c’è alcuna ragione convincente per credere che gli ucraini se la caverebbero meglio.

VINCERE A MOSCA?

Se Kiev non può vincere sul campo di battaglia in Ucraina, forse può ottenere una vittoria a Mosca. Questa, l’altra teoria principale della vittoria, immagina che una combinazione di logoramento sul campo di battaglia e pressione economica potrebbe suscitare una decisione da parte della Russia di porre fine alla guerra e rinunciare ai suoi guadagni.

In questa teoria, l’attrito sul campo di battaglia mobilita i familiari dei soldati russi uccisi, feriti e sofferenti contro Putin, mentre la pressione economica rende la vita dei russi medi sempre più triste. Putin vede la sua popolarità diminuire e inizia a temere che la sua carriera politica possa presto finire se non ferma la guerra. In alternativa, Putin non vede quanto velocemente l’attrito sul campo di battaglia e la privazione economica stiano minando il suo sostegno, ma altri nella sua cerchia lo fanno, e nel loro nudo interesse personale, lo depongono e forse addirittura lo giustiziano. Una volta al potere, chiedono la pace. In ogni caso, la Russia ammette la sconfitta.

Ma anche questo percorso verso la vittoria ucraina è disseminato di ostacoli. Per prima cosa, Putin è un veterano professionista dell’intelligence che presumibilmente sa molto sulle cospirazioni, incluso come difendersi da esse. Questo da solo rende sospetta una strategia di cambio di regime, anche se c’erano alcuni a Mosca che erano disposti a rischiare la vita per provarlo. Per un’altra cosa, è improbabile che la compressione dell’economia russa produca privazioni sufficienti per creare una pressione politica significativa contro Putin. L’Occidente può rendere la vita dei russi un po’ più cupa e può privare i produttori di armi russi di sofisticati sottocomponenti elettronici importati. Ma sembra improbabile che questi risultati scuotano Putin o il suo governo. La Russia è un paese vasto e popoloso, con ampi seminativi, abbondanti forniture di energia, molte altre risorse naturali e un grande, se datato, base industriale. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tentato senza successo di strangolare l’Iran, un paese molto più piccolo e meno sviluppato ma ugualmente indipendente dal punto di vista energetico. È difficile vedere come la stessa strategia funzionerà contro la Russia.

L’effetto delle vittime sui calcoli di Putin sui propri interessi è più difficile da valutare. Ancora una volta, tuttavia, c’è motivo di essere scettici sul fatto che questo fattore lo convincerà a ritirarsi. Le grandi potenze spesso subiscono gravi perdite di guerra per anni, anche per ragioni fragili. Gli Stati Uniti lo hanno fatto in Vietnam, Afghanistan e Iraq; l’Unione Sovietica lo fece in Afghanistan. Prima dell’invasione russa a febbraio, molti in Occidente insistevano affinché gli ucraini si organizzassero per una guerriglia contro la Russia. La speranza era che questa prospettiva avrebbe scoraggiato in primo luogo un attacco russo o, in mancanza, esigesse un prezzo così alto dalle forze russe che presto sarebbero andate via. Un problema con questa strategia è che gli stessi ribelli devono soffrire molto per il privilegio di imporre un prezzo elevato ai loro occupanti. Gli ucraini potrebbero essere disposti a subire perdite dolorose in una guerra di logoramento convenzionale contro la Russia, ma non è chiaro se possano infliggere abbastanza dolore per ottenere la vittoria che desiderano.

Né è chiaro che possano sostenere tali perdite a lungo. Anche i soldati più patriottici possono perdere la pazienza se i combattimenti sembrano inutili. Se le crescenti vittime richiedessero all’Ucraina di lanciare truppe sempre meno preparate in una battaglia senza speranza, il sostegno a una guerra di logoramento a tempo indeterminato si indebolirebbe ulteriormente. Allo stesso tempo, è probabile che i russi abbiano un’elevata tolleranza al dolore. Putin ha così controllato la narrativa interna sulla sua guerra che molti cittadini russi vedono la lotta allo stesso modo in cui la vede lui, come una battaglia cruciale per la sicurezza nazionale. E la Russia ha più persone dell’Ucraina.

AL TAVOLO DELLA NEGOZIAZIONE

Nessuno può dire con certezza che l’esercito russo non possa essere colpito abbastanza duramente o abbastanza abilmente da provocarne il collasso o che la Russia non possa essere ferita abbastanza da indurre Putin alla resa. Ma questi risultati sono altamente improbabili. Al momento, il risultato più plausibile dopo mesi o anni di combattimenti è uno stallo vicino alle attuali linee di battaglia. L’Ucraina dovrebbe essere in grado di fermare l’avanzata russa, grazie alla sua forza altamente motivata, alle infusioni di supporto occidentale e ai vantaggi tattici della difesa. Eppure la Russia gode di un numero di truppe superiore e questo, oltre ai vantaggi tattici della difesa, dovrebbe consentirle di contrastare i contrattacchi ucraini progettati per invertire i suoi guadagni. In Russia, le sanzioni occidentali daranno fastidio alla popolazione e ostacoleranno lo sviluppo economico, ma l’autosufficienza dell’approvvigionamento energetico e delle materie prime del Paese dovrebbe impedire alle misure di ottenere qualcosa di più. In Occidente, intanto, le popolazioni infastidite dai danni collaterali delle sanzioni potrebbero a loro volta perdere la pazienza con la guerra. Il sostegno occidentale all’Ucraina potrebbe diventare meno generoso. Presi insieme, questi fattori indicano un risultato: un pareggio sul campo di battaglia.

Con il passare dei mesi e degli anni, Russia e Ucraina avranno entrambe sofferto molto per ottenere non molto di più di ciò che ciascuna ha già ottenuto: guadagni territoriali limitati e di Pirro per la Russia e un governo forte, indipendente e sovrano con il controllo la maggior parte del suo territorio prebellico per l’Ucraina. Ad un certo punto, quindi, i due paesi troveranno probabilmente opportuno negoziare. Entrambe le parti dovranno riconoscere che questi devono essere veri negoziati, in cui ciascuno deve rinunciare a qualcosa di valore.

Se questo è il risultato finale più probabile, allora non ha molto senso per i paesi occidentali incanalare ancora più armi e denaro in una guerra che si traduce in più morte e distruzione ogni settimana che passa. Gli alleati dell’Ucraina dovrebbero continuare a fornire le risorse di cui il paese ha bisogno per difendersi da ulteriori attacchi russi, ma non dovrebbero incoraggiarlo a spendere risorse per controffensive che probabilmente si riveleranno inutili. Piuttosto, l’Occidente dovrebbe ora avvicinarsi al tavolo dei negoziati.

Certo, la diplomazia sarebbe un esperimento dai risultati incerti. Ma lo è anche il continuo combattimento necessario per testare le teorie della vittoria ucraine e occidentali. La differenza tra i due esperimenti è che la diplomazia è a buon mercato. Oltre a tempo, biglietto aereo e caffè, i suoi unici costi sono politici. Ad esempio, i partecipanti possono trapelare dettagli dei negoziati allo scopo di screditare un campo o un altro, distruggere una particolare proposta e generare discredito politico. Tuttavia, tali costi politici impallidiscono in confronto ai costi della guerra continuata.

E quei costi potrebbero facilmente aumentare. La guerra in Ucraina potrebbe intensificarsi per includere attacchi ancora più distruttivi da entrambe le parti. Le unità russe e della NATO operano in prossimità del mare e dell’aria e sono possibili incidenti. Altri stati, come la Bielorussia e la Moldova, potrebbero essere coinvolti nella guerra, con rischi a catena per i paesi vicini della NATO. Ancora più spaventoso, la Russia possiede forze nucleari potenti e diversificate e l’imminente crollo dei suoi sforzi in Ucraina potrebbe indurre Putin a usarle.

Una soluzione negoziata alla guerra sarebbe senza dubbio difficile da raggiungere, ma i contorni di un accordo sono già visibili. Ciascuna parte dovrebbe fare dolorose concessioni. L’Ucraina dovrebbe cedere un territorio considerevole e farlo per iscritto. La Russia dovrebbe rinunciare ad alcune delle sue conquiste sul campo di battaglia e rinunciare a future rivendicazioni territoriali. Per prevenire un futuro attacco russo, l’Ucraina avrebbe sicuramente bisogno di forti assicurazioni del supporto militare statunitense ed europeo, nonché di un aiuto militare continuo (ma costituito principalmente da armi difensive, non offensive). La Russia dovrebbe riconoscere la legittimità di tali accordi. L’Occidente dovrebbe accettare di allentare molte delle sanzioni economiche che ha imposto alla Russia. La NATO e la Russia dovrebbero avviare una nuova serie di negoziati per limitare l’intensità degli schieramenti e delle interazioni militari lungo le rispettive frontiere. La leadership degli Stati Uniti sarebbe essenziale per una soluzione diplomatica. Poiché gli Stati Uniti sono il principale sostenitore dell’Ucraina e gli organizzatori della campagna di pressione economica dell’Occidente contro la Russia, possiedono la maggiore influenza sulle due parti.

È più facile enunciare questi principi che inserirli nelle disposizioni attuabili di un accordo. Ma è proprio per questo che i negoziati dovrebbero iniziare prima piuttosto che dopo. Le teorie della vittoria ucraine e occidentali sono state costruite su ragionamenti deboli. Nella migliore delle ipotesi, sono una strada costosa verso un doloroso stallo che lascia gran parte del territorio ucraino nelle mani dei russi. Se questo è il meglio che si può sperare dopo altri mesi o anni di combattimenti, allora c’è solo una cosa responsabile da fare: cercare una fine diplomatica alla guerra ora.

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