Da qualche anno si è diffuso il termine “guerra ibrida” che vuole significare la compresenza, in un confronto ostile, di condotte di guerra “classica” con altre accomunate dall’assenza di violenza: sanzioni economiche, propaganda, attacchi informatici. Qualcuno vorrebbe identificarla come il modo di guerra del XXI secolo.
Senonché a (parziale) rettifica della “modernità” di tale tipo di guerra, alcuni di tali elementi non violenti sono praticati da secoli.
Le sanzioni economiche soprattutto (che possono essere particolarmente efficaci): è opinione diffusa che se Roosevelt non avesse fatto seriamente rispettare le sanzioni contro il Giappone (come ad un certo momento fece) il Giappone avrebbe dovuto ritirarsi dalla Cina (al più tardi) nel 1943.
Altri che invece sono del tutto nuovi (ad esempio gli attacchi informatici) ma solo perché non c’erano i computer, così come la guerra aerea è nata solo con gli aeroplani (e il loro impiego militare).
Se si rimane fermi al concetto tradizionale di guerra cioè di confronto violento tra sintesi politiche con formazioni organizzate militarmente e provviste di strumenti idonei alla distruzione fisica del nemico, che si fonda sugli aspetti più appariscenti del fenomeno bellico, indubbiamente l’uso del termine guerra, per gli attacchi ibridi, appare una forzatura.
Ma se, come spesso mi capita di scrivere, ci si rifà al concetto che ne avevano pensatori come Clausewitz e Gentile, ossia che la guerra è un mezzo per costringere il nemico a fare la nostra volontà, quella forzatura non è tale o comunque appare secondaria.
Già negli anni 30 del secolo passato Carl Schmitt scriveva che “il concetto di guerra si è nel frattempo molto modificato. Intanto esso non si esaurisce più nella lotta militarmente armata, ma vi è anche una attività extra-militare nelle ostilità, poiché la guerra diventa guerra economica, guerra di propaganda”, e riteneva che aveva ragione Chamberlain a dichiarare, nella primavera del 1939, che non si era né in guerra, né in pace, malgrado la guerra sarebbe stata dichiarata parecchi mesi dopo.
La nota intervista dell’ammiraglio Cavo Dragone ha rinfocolato il dibattito sul tema, e la relativa confusione derivante dal termine “guerra”; corretto per quella ibrida solo se lo si usa nel senso di Clausewitz e Gentile ma che suscita allarmi se non inteso in tal senso.
Ciò stante a leggere sulla stampa le dichiarazioni dell’Ammiraglio di essere più aggressivi sulla cibersicurezza, siamo ancora nei limiti di una risposta proporzionata: un hacker, un hacker e mezzo avrebbe detto Napoleone se avesse avuto i computer. Quello che invece sarebbe assai imprudente è replicare con bombe e missili ad un attacco informatico.
Le prese di posizione di Tajani e della Kallas, questa che ha parlato di sanzioni “ibride” per “contrastare gli attacchi ibridi” (quindi una difesa omogenea all’attacco) e quello che ha richiamato alla “difesa da una guerra ibrida”, invocando alla prudenza hanno correttamente interpretato il senso dell’intervista dell’ammiraglio.
Resta comunque il fatto che, da secoli la guerra si fa non solo con le azioni e il confronto diretto, ma in varie forme e tipi, compreso quello per procura in cui dietro i belligeranti apparenti c’è una lotta di potenza tra quelli occulti, che sostengono, soprattutto sul piano economico, il proprio alleato. Richelieu finanziò la lotta antiasburgica dei protestanti per i primi diciassette anni della guerra dei trent’anni, prima d’intervenire direttamente, costretto dalla sconfitta disastrosa dei propri alleati a Nordlingen.
C’è da sperare quindi, dato questo (e altri) precedenti, che la Russia non vinca troppo. Soprattutto per non ringalluzzire i nostri guerrafondai.
Teodoro Klitsche de la Grange
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TASSONOMIA PRIMA DEGLI IDEALTIPI DELLE PRINCIPALI FORME DEL POTERE POLITICO IN CONFORMITÀ ALLA DIALETTICA DEL PARADIGMA REALISTICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO A PROPOSITO DE LE QUESTIONI RUSSE AL DI LÀ DELL’UCRAINA DI GEORGE FRIEDMAN
Di Massimo Morigi
Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato,
né di segreto che non sarà conosciuto.
Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre,
sarà udito in piena luce;
e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne,
Due i passaggi che maggiormente segnalano le criticità del documento in questione e per quanto riguarda la sua inconcludente analisi geopolitica è il seguente, che si cita come il successivo nell’originale in inglese, proprio in chiusura dell’articolo. Scrive quindi Friedman: «All this is to say that Russia’s obsession with its western border has come at the expense of its southern border, the countries along which are interested in reaching an accommodation with the United States. Russia has neither the ability nor the interest to act on two borders at once. Normally, this would lead a nation to moderate attention to the war it is not winning and try to reduce future threats on the other borders. So far, this is not what Russia is doing.» Ora, se è del tutto chiaro che se da una parte siamo di fronte ad un mondo rovesciato, perchè la Russia, contrariamente a quanto impavidamente sostiene Friedman, sta vincendo la guerra che la Nato conduce per procura contro di lei attraverso la vittima sacrificale dell’Ucraina, dall’altro lato siamo in presenza anche di una debole analisi geostrategica, perché se è vero come è vero e come si sostiene all’inizio dell’ articolo che la Russia è in difficoltà nella parte meridionale del Caucaso in ragione della pervasiva ed infiltrante azione degli Stati Uniti, non si capisce proprio perché la Russia dovrebbe lasciar perdere l’Ucraina, forse perché non sta vincendo la guerra?, ma a questo punto, come già rilevato, siamo in presenza di un “sogno bagnato” di George Friedman e di tutto il c.d. occidente che non si capisce perché venga ancora pubblicamente rappresentato, se solo perché non si riesce a cambiare registro propagandistico o anche perché, e sarebbe ancora più grave, gli stessi propagandisti sono caduti vittime della loro propaganda (probabilmente per tutti e due i motivi, anche se profilandosi sempre più una vittoria schiacciante della Russia è assai verosimile che questo mondo a rovescia venga ammanito alle masse più per cinismo che per una residua convinzione).
Veniamo quindi al secondo passaggio significativo del documento dove George Friedman afferma: «China’s willingness to stop companies from buying Russian oil should be seen as a gesture of goodwill ahead of hopefully better relations with Washington. This makes sense because the Chinese economy needs access to U.S. markets. China is undergoing significant economic problems, including potentially declining exports, a real estate crisis and high unemployment in certain population segments. Should China decide the obvious – that if tensions result in massive tariffs, it will need better relations with the U.S. – it will probably spurn Russia, especially if there is little economic fallout in doing so.» Anche qui si rileva un ottimo esempio di mondo al contrario quando si afferma che la Cina vuole interrompere l’importazione di petrolio russo, perché se è vero come è vero che alcune grosse compagnie petrolifere cinesi a conduzione statale hanno interrotto le importazioni, ciò non equivale ad una interruzione delle attività volte all’incremento delle importazioni energetiche dalla Russia ma, anzi, ad un potenziamento della c.d. flotta fantasma cinese che sin dagli inizi delle prime sanzioni ha garantito la vendita della Russia alla Cina delle sue risorse energetiche, e questo illusorio rifiuto della Cina di acquistare da adesso in poi, dopo il diciannovesimo pacchetto di sanzioni, petrolio russo molto difficilmente è compatibile col fatto che subito dopo le sanzioni Cina e Russia hanno stipulato un accordo per una sempre una più stretta collaborazione energetica per gli anni a venire. Si consulti a questo proposito la nota della “Tass” del 4 novembre 2025 Russia, China to continue boosting energy cooperation (all’URLhttps://tass.com/economy/2039035, copiaincolla del documento su file Word e successivo suo caricamento su Internet Archive generando l’URL https://archive.org/details/tass-russia-cina) e per quanto riguarda il rafforzamento della flotta fantasma, giusto perché non si dica che noi si è propensi ad affidarci alle menzioniere e traditrici fonti provenienti dal nemico, volentieri si rinvia ad “Intellinews” che in data 17 novembre 2025 pubblica l’articolo di Mark Buckton China’s LNG tanker shadow fleet – reality or fiction? (Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20251129213117/https://www.intellinews.com/china-s-lng-tanker-shadow-fleet-reality-or-fiction-411750/?source=russia%2F%3Flcp_pagelistcategorypostswidget-3=9#lcp_instance_listcategorypostswidget-3) dove, appunto, si ragiona intorno al ruolo chiave che nei tempi a venire ricoprirà la flotta fantasma per incrementare le esportazioni energetiche dalla Russia verso la Cina e, infine, siccome ben sappiamo che la disinformatia del nemico è sempre in agguato come il demonio che si rifugia anche nei luoghi più venerati e quindi ritenuti ingenuamente sicuri, si rinvia a “Bloomberg”, il Santa Sanctorum del turbocapitalismo finanziario e perciò luogo sicuramente bonificato dagli spiriti malvagi putiniani e russofili, che in data 12 novembre 2025 pubblica a firma di Stephen Stapczynski China Ratchets up Efforts to Import Blacklisted Russian LNG (Wayback Machine:https://web.archive.org/web/20251121071239/https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-11-12/china-ratchets-up-efforts-to-import-blacklisted-russian-lng), il cui argomento sono gli sforzi cinesi per rafforzare la sua flotta fantasma per aggirare le sanzioni energetiche contro Russia.
Fuori dagli scherzi e non dilungandoci quindi in ulteriori facili facezie facenti leva sul timore che anche “Bloomberg” sia infiltrato da pericolosi comunisti e assatanati putiniani (ma semmai rilevando che la cecità di Friedman sulla flotta fantasma è praticamente condivisa da tutti i principali mass media occidentali, per comparire l’argomento, come s’è visto, soprattutto su organi specialistici e non riservati alla massa, e quindi, da questo punto di vista, Friedman avrebbe potuto dare “qualcosina” di più…), è preferibile porre sotto attento scrutinio, proprio perché la sua ingenuità è per noi foriera di interessanti e nuove integrazioni di teoria politica e/o geopolitica, il passo appena citato da “Geopolical Futures”dove si manifesta in pieno la speranza di Friedman che la Cina, per il suo passato di rapporti tumultuosi verso la Russia ed anche in ragione di motivazioni economiche, deciderà alla fine di rinunciare alla sua attuale alleanza militare ed economica con la Russia per volgersi, quindi, con rinnovato interesse verso gli Stati Uniti. Ma, a parte il fatto che in politica e a maggior ragione nelle scienze sociali e, soprattutto, in geopolitica ricorrere solo ai precedenti storici ma non calati nella concreta ed attuale situazione costantemente in dialettica evoluzione è sempre uno scarso viatico per rappresentare (o nel caso di Friedman, per sperare) futuri possibili scenari (more solito, richiamiamo il famoso motto di Lenin, pietra angolare dell’impostazione filosofico-procedurale del realismo politico ‘analisi concreta della situazione concreta’), quello che qui rileva è che Friedman non tiene conto di due cose, e la prima riguarda la sua cecità (e di tutti i think tank occidentalisti) verso la sempre più tumultuosa multipolarizzazione dello scenario internazionale che fa sì che le potenze emergenti siano strutturalmente orientate a concepire le proprie alleanze proprio in funzione di questa frammentazione antiegemonica e quindi rifiutando di allacciare stretti legami con la potenza unipolarmente egemone della globalizzazione post ’89, o detto ancor più semplicemente, la Cina, per poter continuare a crescere economicamente e geostrategicamente, deve contendere e strappare ogni centimetro di terreno agli Stati Uniti e deve, altresì, stringere alleanze con coloro che dopo il secondo conflitto mondiale agli Stati Uniti si sono palesemente opposti, e fra questi in primis la Russia (l’unico momento di un reale e profondo appeasement con gli Stati Uniti è stato sotto Gorbaciov e poi Eltsin, non a caso il periodo di peggiore involuzione politico-sociale della Russia e, a questo proposito, tornano alla mente le parole di Kissinger ‘To be an enemy of the US is dangerous, but to be a friend is fatal’), una Russia che con l’odierna vittoriosa guerra contro la Nato si presenta quindi come la prima potenza militare del globo e perciò anche per questo come partner appetibile per la Cina, al contrario degli Stati Uniti, che oltre al sempre più evidente declino socio-economico, connotati dalla sempre più scemante capacità nel dispiegamento diretto della violenza sullo scenario internazionale (la Russia afferma di essere la seconda potenza militare preceduta dagli Stati Uniti, una falsa modestia se teniamo conto che a livello degli armamenti nucleari è la prima al mondo, esibita solo per non dare ulteriore legna per il fuoco della propaganda occidentalista).
Il secondo elemento di cui non tiene conto Friedman e che denunciando non tanto una precisa volontà di diffondere false rappresentazioni e/o di autoilludersi ma proprio una debolezza dell’odierna teoria politologica mainstream (e quindi di riflesso della geopolitica) nell’elaborare le “categorie del politico” e per questo di grandissimo interesse, è la sua illusione che gli Stati Uniti possano essere ritenuti proprio per la loro intrinseca natura “democratica” partner affidabili o, comunque, “migliori” per stringere alleanze (anche se non espressamente formulato, è questo il pregiudizio che non solo informa l’articolo ma anche tutta la sua precedente produzione), derivante invece questa inaffidabilità proprio dalla natura del potere politico di questo paese. Come prima detto, negli ultimi interventi sull’ “Italia e il Mondo” è già stata fornita una definizione alternativa e più realistica di tutte quelle forme di espressione del potere politico che nel c.d. occidente vengono sbrigativamente ed illusoriamente accomunate col termine di ‘democrazia’, non essendo la c.d. democrazia rappresentativa un forma di esercizio del potere espressione della volontà popolare ma, molto più realisticamente, una ‘polioligarchia competitiva’, cioè una lotta fra oligarchie confliggenti per l’occupazione del potere ricorrendo a votazioni libere e segrete che coinvolgono il popolo ma nel quale il popolo cessa di aver alcun ruolo significativo nel godere i frutti della sua scelta una volta cessata la consultazione elettorale.
Ora è chiaro che il paradigma della ‘polioligarchia competitiva’ è una sorta di tipo ideale molto generico e che è quindi necessario designare al suo interno altri subtipi ideali che rappresentino ancora più concretamente le varie realtà raccolte sopra la generale, per quanto del tutto realistica nella sua impostazione teorica, definizione di ‘polioligarchia competitiva’. E tradotto tutto ciò per quanto riguarda la “democrazia” degli Stati uniti, oltre ad affermare, tanto per sfatare i miti sulla democrazia in quel paese e sulla democrazia in generale, che essa è una ‘polioligarchia competitiva’, possiamo ulteriormente precisare che essa è una ‘polioligarchia stasistico-competitiva’, in cui il primo lemma dell’aggettivo composto della nuova definizione testè introdotta deriva dalla traslitterazione del sostantivo στάσις da cui stasis, significando στάσις in greco antico guerra civile, e con questa definizione della “democrazia” americana si designa quindi una polioligarchia in cui alle “democratiche” elezioni (e comunque sistematicamente macchiate da brogli, sovente decisivi nel determinarne l’esito) vengono affiancati nella gestione e/o produzione del potere non solo piccole vere e proprie guerre civili armate all’interno della società ma anche l’assassinio politico che non è un elemento occasionale ma, come i brogli, anch’esso sistemico.
Dal mainstream propagandistico occidentale la “democrazia” russa è stata definita ridicolmente come una ‘democratura’ volendo con ciò significare che sotto la parvenza di un sistema democratico con elezioni formalmente libere, segrete e competitive fra partiti concorrenti, la sua realtà è quella di una dittatura al cui vertice c’è Putin (altra ridicolaggine che non merità nemmeno un approfondimento teorico è quando la propaganda occidentalista straparla e vaneggia sui potentati economici russi definendoli oligarchi, con ciò volendo sottolineare un ulteriore elemento di non democraticità della Russia: quando si dice che il bue dà del cornuto all’asino…). Ora abbandonando come si è fatto con la definizione iniziale di ‘polioligarchia competitiva’ la mitologia democratica e passando poi secondo questa più realistica terminologia alla definizione della “democrazia” americana come ‘polioligarchia stasistico-competitiva’, si può ben dire sulla natura del potere politico russo che essa si manifesta come una ‘polioligarchia pseudocompetitiva’, con ciò volendo affermare che Putin non è un dittatore ma il rappresentante più alto in grado di una fortemente strutturata ed unitaria oligarchia politica verso la quale è responsabile e deve rendere conto ma anche segnalando che un potere così fortemente strutturato come quello russo contempla sì elezioni realmente libere, segrete e competitive fra diversi partiti ma che queste elezioni, proprio per la natura fortemente strutturata dell’oligarchia politica russa e, ultimo ma non meno importante, anche per il fatto che questa oligarchia viene percepita dalla stragrande maggioranza del popolo russo non come una classe sovraordinata ad esso ma come effettivamente preoccupata del bene comune, sono praticamente un proforma e del tutto superflue per la scelta da parte del corpo elettorale dei governanti. E seguendo sempre la linea classificatoria che si dipana dalla ridefinizione di ‘democrazia’ come ‘polioligarchia competitiva’ (e facendo notare che questa nuova classificazione è ad un tempo diretta conseguenza del paradigma del Repubblicanesimo Geopolitico per il quale unico elemento per comprendere una società è seguire le reali dinamiche del potere con la conseguenza che dal punto di vista di questa analisi integralmente realista non esiste un potere politico contrapposto alla libertà individuale ma esiste un potere politico che non solo si dirama dai vertici istituzionali di questa società ma che informa anche le espressioni individuali degli uomini che sono situati in questa società e che quindi la libertà altro non è che il frutto della dialettica del potere proveniente dall’alto con quello che risale dal basso – sul ‘Repubblicanesimo Geopolitico’ e, in particolare, su questa dialettica del potere dall’alto verso il basso e viceversa che dal punto vista teorico disconosce radicalmente la contrapposizione semantico-assiologica fra potere e libertà, sempre valido il rinvio alle sue due prime espressioni aurorali apparse sul “Corriere della Collera” del compianto grande studioso di geopolitica e mazzininano Antonio De Martini l’11 novembre 2013 e il 26 novembre 2013, Massimo Morigi, Alla ricerca della identità italiana e Id., Repubblicanesimo Geopolitico. Alcune delucidazioni preliminari, entrambi i documenti consultabili attraverso la Wayback Machine all’URL http://web.archive.org/web/20240416010147/https://corrieredellacollera.com/2013/11/23/alla-ricerca-dellidentita-italiana-di-massimo-morigi/– e facendo sempre notare, ultimo ma non meno importante, che con questa ridefinizione del Repubblicanesimo Geopolitico del paradigma del potere e della libertà si rende quasi del tutto insignificante la distinzione classica della politologia e della dottrina costituzionalista fra forme di Stato e forme di governo, essendo questa una distinzione puramente epifenomenica e storicamente accidentale, sovrastrutturale si sarebbe detto un tempo, delle reali dinamiche del potere la cui dialettica investe contemporaneamente l’oligarchia e il popolo nel loro reciproco rapporto, e per ultimo sottolineando anche che questo nuovo paradigma interpretativo delle forme del potere rende del tutto superfluo il concetto di ‘Stato profondo’, almeno nella sua accezione più mitologica che lo vede come una sorta di metastasi che all’interno dello Stato si opporrebbe alle decisioni del popolo formulate attraverso il “libero” processo elettorale contemplato nelle c.d. democrazie rappresentative), possiamo anche definire la forma del potere politico della Cina come una ‘polioligarchia autoritario-non competitiva’, e con questo volendo quindi segnalare che le elezioni che si svolgono in Cina danno vita ad una serie successiva di elezioni dove ad ogni passaggio si eleggono assemblee che eleggono altre più ristrette assemblee, selezionando così nelle varie prove elettorali i membri ritenuti più meritevoli e provenienti quasi esclusivamente dalle file del Partito comunista cinese o ad esso graditi ed esplicitamente reputati non oppositori ma anzi collaboratori dello stesso (questa forma di potere viene definito in Cina sistema di “cooperazione multipartitica e consultazione politica”, nel quale possono esistere ed esistono anche altri partiti oltre al Partito comunista ma questi devono collaborare lealmente col PCC) ma che, come nel caso russo – in cui, invece, siamo in presenza di un reale multipartisimo anche, se, de facto, non rappresentano queste varie forze la proposta di una reale oligarchia politico-sociale alternativa a quella al potere –, il Presidente della Repubblica Popolare Cinese che scaturisce dopo questi vari passaggi elettorali è tutto fuorchè un dittatore alla Stalin, Mussolini od Hitler molto semplicemente perché egli è espressione organica maturata attraverso vari passaggi, anche se sapientemente guidati dall’alto ma anche con un minimo grado di autonomia da parte di queste assemblee via via nominate, dell’oligarchia che guida il paese e che quindi semplici atti d’imperio anarchici ed irresponsabili come nel caso dei dittatori appena noninati non sono nemmeno concepibili e soggiungendo, infine, che, proprio perché in Cina la dialettica fra oligarchia e popolo è improntata alla fiducia del basso verso chi comanda, il termine ‘autoritario’, nel caso in specie, non sta a designare un subire passivamente del popolo le imposizioni che provengono dall’alto ma, molto più semplicemente che, in accordo con la filosofia confuciana che informa tutta la società cinese, il popolo cinese si riconosce e conferisce autorevolezza in ragione del fatto che essi sono ritenuti capaci, onesti e preoccupati del bene comune, così come impone la filosofia confuciana condivisa da tutta la società. (E per quanto riguarda le forme del potere politico al cui vertice possiamo porre dittatori come i sunnominati Stalin, Hitler o Mussolini, pur nella a volte radicale differenza di narrazione ideologica che le hanno ispirate, possiamo facilmente parlare di ‘polioligarchia monocratico-anticompetitiva’, una forma politica, cioè, con al vertice un dittatore non solo fieramente avverso ad una dialettica reale fra l’oligarchia che lo sostiene e il basso della società ma anche e soprattutto ad una qualsivoglia verifica elettorale del suo potere personale. Non parleremo diffusamente in questa comunicazione della ‘polioligarchia monocratico-anticompetitiva’ in riferimento al problema del totalitarismo – ma come si evince dalla definizione stessa, per quanto qui si parli di un partito unico, rimane il primo termine della definizione, ‘polioligarchia’ perché, nonostante quanto sostenga l’ideologia ufficiale, all’interno dell’unica oligarchia politica permessa dimorano e confliggono varie sottooligarchie fra loro in lotta, mentre nel secondo elemento della definizione, con ‘anticompetitiva’ si indica espressamente un rifiuto assoluto della consultazione elettorale attraverso la quale la base non oligarchica possa contribuire a costituire l’oligarchie e/o le sue sottooligarchie, cosa che non accade nella ‘polioligarchia autoritario-non competitiva’ cinese che, come si è visto, prevede forme, anche se molte attenuate e con vari passaggi intermedi, di elettorato attivo da parte dei non appartenti alle oligarchie apicali al potere per la scelta dei membri della oligarchia prevalente o di quelle con le prime collaboranti –. Ma ritornando allo specifico della problematica del totalitarismo o meno all’interno del paradigma della ‘polioligarchia monocratico-anticompetitiva’, questo non connota, per esempio, le dittature latinoamericane, la Spagna clericofascista e reazionaria di Francisco Franco o il Portogallo dell’Estado Novo di António de Oliveira Salazar, tutti regimi a bassa mobilitazione popolare e quindi, per definizione, non totalitari. Su questo aspetto antimobilitatore di alcune ‘polioligarchie monocratico-anticompetitive’ e con le analogie che possono essere fatte con le attuali c.d. democrazie rappresentative, cioè con le ‘polioligarchie competitive’, anch’esse connotate da una forte pulsione antimobilitatoria, classico esempio le sempre più basse percentuali di partecipanti alle elezioni e, ancor più eclatante, l’espressamente voluta ed imposta, da parte delle polioligarchie al potere – o delle oligarchie ad esse apparentemente all’opposione ma in realtà collaboranti nel sostenere il sistema e nel rifiutare qualsiasi dialettica reale con chi di queste oligarchie politiche non fa parte –, smobilitazione e atomizzazione di ogni forma di aggregazione politico-sociale durante il periodo del Covid e sul problema del totalitarismo, si tornerà, però, più diffusamente in prossime comunicazioni.)
Alla luce quindi di questa nuova tassonomia del potere delle tre attuali superpotenze, è facile concludere che l’elemento decisivo che impedisce alleanze o della Russia o della Cina con la declinante superpotenza statunitense deriva ineluttabilmente direttamente dal fatto che le forme politiche della Russia e della Cina avendo un alto grado di stabilità proiettato in un lunghissimo periodo di tempo non potranno mai stringere alleanze strategiche con la superpotenza americana che in ragione della sua natura ‘polioligarchica stasistico-competitiva’ che comporta nei fatti una diuturna ancorchè mai esplicitamente riconusciuta guerra civile accompagnata da episodi di terribile e plateale violenza politica e quindi, in conclusione, per l’ intrinseca instabilità e rissosità che tende a sfociare addirittura nel delitto politico e nella sedizione per azione diretta delle sue classi dirigenti oligarchiche, non è assolutamente in grado di proporre col minimo di credibilità ad alcuno di pari od analogo grado di potenza politico-militare ma di immensamente superiore livello di stabilità politico-sociale alcun accordo di lungo respiro. (Non si potrebbe produrre un esempio più illuminante della guerra civile che sotto la cenere cova negli Stati Uniti per divampare da un momento all’altro del seguente video postato sull’account X della Senatrice Elissa Slotkin in data 18 nov 2025, dove 6 ex membri delle forze armate e della CIA e ora politici del Partito democratico esortano coloro che sono attualmente membri attivi delle forze armate e dei servizi segreti a non obbedire agli ordini del Presidente Donald Trump qualora questi siano contro la Costituzione o contro la la legge. La descrizione alla pagina del video molto eloquentemente recita:«We want to speak directly to members of the Military and the Intelligence Community. The American people need you to stand up for our laws and our Constitution. Don’t give up the ship.» Durante il video le esortazioni a voce ad eventualmente disobbedire sono accompagnate, per rendere ancora più martellante ed incisivo il messaggio, da didascalie che ripetono parola per parola quanto viene detto. Questo video su X, della durata di 1 minuto e 30 secondi, ha ricevuto al 28 novembre 2025 più di 18 milioni di visualizzazioni, è visionabile all’URL di X https://x.com/SenatorSlotkin/status/1990774492356902948?s=20e, vista la sua importanza storica, è stato scaricato e poi caricato su Internet Archive generando gli URL https://archive.org/details/ex-oprj-z-96p-bkr-9l-behttps://ia601209.us.archive.org/0/items/ex-oprj-z-96p-bkr-9l-b/ExOprjZ96pBKr9lB.mp4. Sempre in data 18 novembre 2025 il New York Post ha postato una versione più lunga del video su YouTube di 2 mimuti e 51 secondi che al suo esordio ha ricevuto più di 75 mila visualizzazioni e la dicitura di presentazione del video recita: «Democrats to Troops: Don’t Follow Unlawful Orders.» Il documento è visionabile all’URL https://www.youtube.com/watch?v=5Iux161DZAAe, sempre per i motivi di cui sopra, download del documento e ricaricamento del file su Internet Archive generando gli URLhttps://archive.org/details/clipto-ai-video-downloader-democrats-to-troops-dont-follow-unlawful-orders e https://ia902306.us.archive.org/10/items/clipto-ai-video-downloader-democrats-to-troops-dont-follow-unlawful-orders/Clipto%20AI%20video%20downloader_Democrats%20to%20Troops%20%20Don%E2%80%99t%20Follow%20Unlawful%20Orders.mp4.)
Ma la ‘polioligarchica stasistico-competitiva’ statunitense certamente è in grado di imporre il suo giogo alla polioligarchia competitiva italiana totalmente asservita ai diktat atlantici, che proprio in ragione di questa sua dipendenza dalle istruzioni che provengono da oltreoceano può ancor meglio essere definita come una ‘polioligarchia eterodiretto-competitiva’, con ciò volendo significare da un lato che la scelta delpopolo sulle oligarchie che lo dovranno governare è sì libera e reale ma che, qualsiasi sia l’oligarchia scelta che lo dovrà governare, questa non risponde più agli interessi di chi la ha scelta ma a quelli dei gruppi strategici esteri, in primis a quelli statunitensi, ai quali questa oligarchia, di destra o sinistra non importa, ha da sempre consegnato la sovranità nazionale (ciò lo si vede bene nel caso dell’attuale guerra Russia-Nato, dove la destra al governo profonde sempre più risorse, anche quelle che non ha, all’Ucraina e dove la sinistra all’opposizione dice, in pratica, che si potrebbe fare di più e con più entusiasmo democratico, che poi questi sforzi comportino la rovina dei conti pubblici e l’impoverimento del popolo chissene… tanto l’importante èla difesa dell’occidente e della democrazia, evviva!, e di coloro che sulla guerra lucrano dal punto di vista economico e politico – burocrati e politici europei in primis, allegramente uniti al coro della compagnia cantante degli oligarchici politici italiani e delle italiche ed europee industrie degli armamenti). E volendo risalire indietro nel tempo ed anche affinare il paradigma della ‘polioligarchia competitiva’ adeguandolo non solo allo sviluppo storico del caso italiano ma anche alle altre realtà politiche “democratiche” ma sotto pesante vincolo neocoloniale (cioè i paesi dell’Unione europea, de facto sotto dominio coloniale statunitense), c’è per ultimo da aggiungere che la nostra ‘polioligarchia eterodiretta competitiva’ non è che l’ultima evoluzione/degenerazione della originaria ‘polioligarchia democompetitiva’, dove da un lato la mitologia democratica riusciva a fare da contraltare alla natura fortemente parassitaria ed autoritaria, detto il termine ‘autoritario’ questa volta in senso unicamente derogatorio, della oligarchia che veniva eletta ed anche che, comunuque fortemente parassitaria l’oligarchia che veniva eletta, essa manteneva un certo grado di autonomia e di dignità alle direttive che provenivano d’oltreoceano (vedi, come esempio di questo residuo di dignità nazionale, la politica estera propugnata dai vari Fanfani, La Pira, Moro, la tragica fine del Presidente dell’ENI Enrico Mattei che volendo dare autonomia energetica all’Italia e realizzare questo proposito pestando i calli ai grandi cartelli petroliferi statunitensi e britannici e favorendo i movimenti di decolonizzazione i cui paesi erano sfruttati dalle grandi compagnie petrolifere, venne eliminato il 27 ottobre 1962 nell’attentato mentre volava col jet dell’ENI sul cielo di Bascapè; si rifletta anche su Bettino Craxi, il Presidente del Consiglio che osò schierare a Sigonella i carabinieri contro i Marines e che, in questo quadro della sua dichiarata politica filopalestinese – e nel quadro più generale che dopo la caduta del Muro di Berlino, i grandi agenti strategici atlantici non ritenevano più utile servirsi delle vecchie classi dirigenti italiane anticomuniste –, si spiega la sua eliminazione attraverso Mani Pulite, solo politicamente e non anche fisicamente ma, come si dice, quello che conta è il risultato…, e, infine, su Aldo Moro e sul suo assassinio attraverso la bassa manovalanza delle Brigate Rosse, dove vale la pena ricordare che le ricerche del rapito che non condussero alla sua liberazione furono condotte in maniera molto singolare e che presenta molti e mai chiariti lati oscuri. Ancora lontani da Mani Pulite e dal cambio di paradigma USA verso la più grande forza di sinistra, certamente per il grande fratello d’oltreoceano il compromesso storico non s’aveva da fare in quel lontano 1978…).
Si conclude con una domanda (retorica ma non troppo), dando assolutamente per assodato (o almeno, dando assolutamente per scontato secondo il punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico, visti i miei precedenti interventi al riguardo) che Giuseppe Mazzini non fu quella sorta di santino liberaldemocratico che ci vogliono ammanire coloro che improvvidamente, seppur sinceramente, si dichiarano i loro attuali eredi politici ma semmai il critico più feroce dell’attuale impostazione liberaldemocratica basata sull’idolatria dei diritti individuali, sul misconoscimento, de facto, dei diritti sociali e sul dichiarato progetto del progressivo annientamento non solo del concetto di ‘popolo’ ma, soprattutto, della sua vitalità aggregativa, compiendo, insomma, la sua vera e propria uccisione politico-sociale in piena conformità con l’individualismo metodologico delle odierne c.d. democrazie rappresentative, individualismo metodologico la cui filosofia, retorica e pratica social-culturale è la totalitaria sovrastruttura politico-filosofica delle attuali ‘polioligarchie competitive’ e, nello specifico, dell’attuale italica ‘polioligarchia eterodiretto-competitiva’, come giudicherebbe oggi egli e quale forma politica preferirebbe – escludendo, ovviamente, la nostra attuale italica ‘polioligarchia eterodiretto-competitiva’ per assoluta incompatibilità con tutti principi per i quali si battè tutta la vita e radicale negazione e tradimento dell’obiettivo più importante per il quale Mazzini sacrificò tutta la sua esistenza, l’indipendenza nazionale – Giuseppe Mazzini fra quelle che odiernamente si presentano come protagoniste sullo scenario politico internazionale, la ‘polioligarchia stasistico-competitiva’ americana, la ‘polioligarchia pseudocompetitiva’ russa e la ‘polioligarchia autoritario-non competitiva’ della Cina? Certamente non è corretto divinare su chi ci ha preceduto e ha vissuto in situazioni tanto diverse dalle nostre cosa direbbe a noi oggi, perché nella nostra situazione concreta siamo noi che dobbiamo fornire un’analisi concreta che ci guidi nel nostro operare, diversamente, ci si avventurerebbe in una pratica teorica che non avrebbe nulla né della realistica filosofia della prassi di Antonio Gramsci, cui il Repubblicanesimo Geopolitico ben volentieri riconosce euristiche fondamentali precursioni dialettiche, né dell’altrettanta dialettica e, a sua volta, sua romantica precorritrice esortazione ‘pensiero e azione’ di mazziniana memoria, diversamente il nostro non sarebbe più uno sforzo dialettico ispirato al realismo politico ma una sorta di invocazione spiritica, cosa che fanno oggi egregiamente coloro che pretendono di sposare Mazzini con l’individualismo metodologico che è il telos delle nostre tristi attuali ‘polioligarchie competitive’ occidentali.
Ma una cosa si può sicuramente affermare: la visione del mondo di Giuseppe Mazzini è al nadir di quella di George Friedman, e così dicendo non mi riferisco solo al suo antiliberalismo ma anche al suo realismo politico, un realismo politico, quello di Mazzini, che ebbe sempre come stella polare un cosmopolitismo di libere nazioni repubblicane affratellate all’insegna dell’assiologica diade ‘Dio e popolo’ e mosse armoniosamente nel loro sviluppo interno e nello stringere sempre più stretti legami reciproci all’insegna dell’intrisicamente realistico e dialettico paradigma politico-sociale ‘pensiero e azione’, mentre il realismo di George Friedman è un realismo unicamente ispirato a quello che questo pur valente studioso ritiene essere l’interesse degli Stati Uniti, sempre più difficile da focalizzare come si è visto, acclarata la sempre più marcata natura polioligarchico stasistico-competitiva di questo paese. I veri realisti politici sono, insomma, coloro che nelle contraddizioni del proprio momento storico sanno intravvedere soluzioni valide non solo per il proprio tempo ma, soprattutto, quelle che possono illuminare un futuro che ancora non c’è ma che trae le sue ragioni più profonde e feconde proprio dall’Aufhebung delle contraddizioni del proprio presente storico. E sotto questo punto di vista, George Friedman non c’è ma Giuseppe Mazzini c’è. Ora e sempre.
Massimo Morigi, dicembre 2025, nel tempo del Solstizio d’inverno vel Dies Natalis Solis Invicti
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Se i piani degli Stati Uniti andassero a buon fine, la Russia non solo perderebbe decine di miliardi di dollari di entrate annuali, ma le tensioni con la Turchia potrebbero diventare ingestibili se venisse meno la complessa interdipendenza energetica che finora ha tenuto unite le due nazioni, con il rischio di destabilizzare il Caucaso meridionale e l’Asia centrale.
Zelensky ha annunciato il mese scorso che l’Ucraina importerà GNL americano dalla Grecia attraverso il gasdotto “Vertical Gas Corridor“. Questo progetto integra i piani congiunti della Polonia e degli Stati Uniti in materia di GNL e, in misura minore, quelli della Croazia, al fine di gettare le basi affinché il GNL americano sostituisca completamente il gas russo nell’Europa centrale e orientale (CEE). Sebbene sia molto più costoso, i responsabili politici del continente stanno assecondando questa scelta con il pretesto della sicurezza energetica, ma la pressione esercitata dagli Stati Uniti su di loro ha probabilmente giocato un ruolo importante nella loro decisione.
L’ultima mossa strategica degli Stati Uniti in materia di energia potrebbe anche porre fine ai piani della Russia relativi al hub del gas turco. Questi erano stati annunciati alla fine del 2022 dopo i colloqui tra Putin ed Erdogan, ma Bloomberg ha riferito lo scorso giugno che erano stati accantonati a causa di difficoltà tecniche nell’approvvigionamento dell’Europa centro-orientale dalla Turchia e di disaccordi tra quest’ultima e la Russia. Nessuna delle due parti ha confermato la notizia, ma ora che gli Stati Uniti hanno conquistato una quota maggiore del mercato CEE attraverso il gasdotto “Vertical Gas Corridor”, le probabilità che questo hub venga costruito sono diminuite.
Alex Christoforou di The Duran ha scritto un post approfondito su X a questo proposito, sottolineando in particolare che “il Mediterraneo orientale (Israele e Cipro) sta osservando con attenzione l’avvio di questo corridoio verticale, poiché potrà essere utilizzato per vendere il gas EastMed in Europa in futuro”. Il termine “EastMed” si riferisce al progetto di gasdotto sottomarino omonimo per l’esportazione delle enormi riserve di gas offshore di Israele verso l’UE. Il suo completamento, combinato con il GNL statunitense, eliminerebbe probabilmente per sempre la necessità di gas russo nell’Europa centro-orientale.
A rendere la situazione ancora più preoccupante per la Russia, Reuters ha riportato il mese scorso che “Il cambiamento nella politica energetica della Turchia minaccia l’ultimo grande mercato europeo della Russia e dell’Iran“, sottolineando come l’aumento della produzione interna e delle importazioni di GNL potrebbe ridurre notevolmente il futuro fabbisogno di gas russo della Turchia attraverso il TurkStream. Le minacce di sanzioni di Trump nei confronti di tutti coloro che continuano a importare energia russa senza dimostrare di essersi affrancati da essa, che potrebbero assumere la forma di dazi fino al 500%, potrebbero accelerare questa tendenza.
La Russia non solo perderebbe decine di miliardi di dollari di entrate annuali se tutti i piani americani sopra citati avessero successo, ma le tensioni con la Turchia potrebbero diventare ingestibili se venisse meno la complessa interdipendenza energetica che finora ha tenuto unite le due nazioni. Si prevede già che la Turchia inietterà l’influenza occidentale nell’Asia centrale attraverso il nuovo corridoio TRIPP, ponendo così sfide lungo l’intera periferia meridionale della Russia, il che complicherà ulteriormente i rapporti tra Turchia e Russia.
Se la loro complessa interdipendenza energetica dovesse indebolirsi entro quella data, ad esempio se i loro piani relativi al gas hub rimanessero sostanzialmente congelati o venissero ufficialmente cancellati e la Turchia iniziasse a importare meno gas russo dal TurkStream, allora la Turchia potrebbe sentirsi incoraggiata a sfidare la Russia in modo più aggressivo su questo fronte. Dopo tutto, lo scenario in cui la Russia interrompe le esportazioni di gas per costringere la Turchia a fare concessioni durante una crisi sarebbe meno efficace, il che potrebbe portare a posizioni turche più intransigenti che aumentano il rischio di guerra.
La Russia dovrebbe quindi cercare di rilanciare i propri piani relativi al gas hub e raggiungere un accordo con gli Stati Uniti, magari nell’ambito del grande accordo che stanno cercando di negoziare in questo momento, per assicurarsi la quota di mercato del gas russo in Turchia e possibilmente ripristinarne una parte nell’Europa centro-orientale. Ciò richiederebbe quasi certamente che la Russia scendesse a compromessi su alcuni dei suoi obiettivi massimalisti in Ucraina, e la parola degli Stati Uniti non può essere data per scontata, poiché i futuri presidenti potrebbero invalidare qualsiasi accordo, ma la Russia dovrebbe comunque considerare questa possibilità invece di escluderla.
Il loro scopo è far capire al Pakistan che l’India è e sarà sempre il principale partner della Russia nell’Asia meridionale, quindi nessuno lì o altrove dovrebbe pensare che il miglioramento delle relazioni russo-pakistane sia in qualche modo rivolto contro l’India o che assumerà mai tali forme.
Putin ha rilasciato una lunga intervista ai canali televisivi Aaj Tak e India Today alla vigilia della sua visita in India . L’intervista ha toccato un’ampia gamma di argomenti e, pur non rivolgendosi direttamente al Pakistan, ha comunque inviato alcuni messaggi velati. Il primo è stato quando ha dichiarato che “l’India è un importante attore globale, non una colonia britannica, e tutti devono accettare questa realtà”. Tra i difficili rapporti indo-americani e il rapido riavvicinamento tra Pakistan e Stati Uniti , il messaggio è che l’India non si lascerà costringere o contenere.
Questo punto è stato rafforzato aggiungendo che “il Primo Ministro Modi non è uno che soccombe facilmente alle pressioni… La sua posizione è ferma e diretta, senza essere conflittuale. Il nostro obiettivo non è provocare conflitti; piuttosto, miriamo a proteggere i nostri diritti legittimi. L’India fa lo stesso”. Ricordiamo che il Pakistan ha accusato l’India di aggressione per aver reagito in modo convenzionale dopo l’ attacco terroristico di Pahalgam , attribuendo la colpa a Islamabad, eppure Putin ha semplicemente lasciato intendere che ciò fosse in realtà giustificato e legale.
L’India ha fatto molto affidamento sulle attrezzature russe durante la guerra che ne è seguita , ma sarebbe sbagliato supporre che la loro attuale cooperazione tecnico-militare sia rivolta contro il Pakistan, come sostengono alcuni esperti filo-occidentali legati alla sua giunta militare di fatto allineata all’Occidente. Putin ha chiarito che “né io né il Primo Ministro Modi, nonostante alcune pressioni esterne che subiamo, abbiamo mai – e voglio sottolinearlo, voglio che lo sentiate – avvicinato la nostra collaborazione per lavorare contro qualcuno”.
A Putin è stato poi chiesto dell’approccio della Russia nei confronti delle “questioni fondamentali irrisolte tra gli stati membri chiave” della SCO, al che ha risposto che “condividiamo la comune comprensione di avere valori comuni radicati nelle nostre credenze tradizionali, che sostengono le nostre civiltà, come quella indiana, già da centinaia, se non migliaia, di anni”. Il messaggio qui è che l’India è un’antica civiltà-stato , non una nuova e artificiale creazione postcoloniale come sostengono alcuni revisionisti pakistani.
Gli è stato anche chiesto come la Russia si bilancia tra India e Cina, a cui ha risposto esprimendo ottimismo sulla risoluzione delle divergenze. Ha iniziato, in modo significativo, affermando: “Non credo che abbiamo il diritto di interferire nelle vostre relazioni bilaterali” e ha concluso ribadendo che “la Russia non si sente autorizzata a intervenire, perché questi sono affari bilaterali”. Ciò contraddice educatamente la recente proposta politicamente fuorviante del suo ambasciatore in Pakistan di mediare tra India e Pakistan.
L’ultimo messaggio velato di Putin al Pakistan è stato quando ha affermato: “Per raggiungere la libertà (per coloro che credono che sia stata loro negata), dobbiamo usare solo mezzi legali. Qualsiasi azione che implichi metodi criminali o che danneggi le persone non può essere sostenuta… In queste questioni, l’India è nostra piena alleata e sosteniamo pienamente la lotta dell’India contro il terrorismo”. Di conseguenza, è contrario al ricorso alla criminalità e al terrorismo da parte di alcuni separatisti del Kashmir , ergo al pieno sostegno della Russia alla risposta dell’India all’attacco terroristico di Pahalgam.
Nel complesso, questi messaggi mirano a trasmettere al Pakistan che l’India è e sarà sempre il principale partner della Russia nell’Asia meridionale, quindi nessuno, né lì né altrove, dovrebbe pensare che il miglioramento delle relazioni russo-pakistane sia in alcun modo rivolto contro l’India o che possa mai assumere tali forme. Anche la fazione politica pro-BRI del suo Paese, responsabile di aver inviato segnali contrastanti sulle relazioni russo-indiane, come spiegato nelle sette analisi qui elencate , dovrebbe prendere nota di quanto affermato.
Gli inglesi potrebbero istigare questa iniziativa a provocare una crisi per rovinare la rinascimentale “Nuova distensione” tra Russia e Stati Uniti, ma anche se fallisse, l’Europa continentale sarebbe comunque indebolita se gli Stati Uniti si facessero da parte quando la Russia reagisse, e questo potrebbe favorire anche i loro interessi.
A ottobre si è valutato che ” la triplice risposta della NATO all’ultimo allarme russo aumenta il rischio di una guerra più ampia “. A quel punto, il blocco stava prendendo in considerazione l’armamento di droni di sorveglianza, la semplificazione delle regole di ingaggio per i piloti di caccia e lo svolgimento di esercitazioni NATO proprio al confine con la Russia. Tutte e tre le opzioni sono ancora in programma, ma recenti resoconti di Politico e del Financial Times suggeriscono che ora si stia discutendo di una politica finora impensabile, che potrebbe essere molto più pericolosa.
Il primo riportava che “gli alleati, dalla Danimarca alla Repubblica Ceca, consentono già operazioni informatiche offensive” contro la Russia da parte dei loro servizi di sicurezza nazionale, il che costituisce il contesto in cui il Ministro degli Esteri lettone e, cosa interessante, il Ministro della Difesa italiano stanno sollecitando una maggiore “proattività”. Il secondo citava poi il Presidente del Comitato Militare della NATO, Giuseppe Cavo Dragone, il quale sosteneva che ipotetici “attacchi informatici preventivi” potrebbero essere considerati un'”azione difensiva” da parte del blocco.
Dragone ha tuttavia chiarito che “è più lontano dal nostro normale modo di pensare e di comportarci”. Ciononostante, l’importanza di questi recenti rapporti sta nel fatto che suggeriscono che alcuni membri della NATO potrebbero lanciare unilateralmente tali “attacchi preventivi” contro la Russia o farlo in una nuova “coalizione dei volenterosi”, entrambe le opzioni aumenterebbero il rischio di ritorsioni russe, che potrebbero catalizzare un nuovo ciclo di escalation potenzialmente incontrollabile. È quindi meglio per loro non farlo affatto.
Non è chiaro quanto seriamente se ne stia discutendo all’interno della NATO, ed è possibile che i rapporti citati facciano parte di un’operazione psicologica a scopo di deterrenza, dato il timore patologico del blocco che la Russia stia pianificando operazioni informatiche su larga scala contro di loro, ma è preoccupante che se ne parli. Ci sono tre ragioni per cui ciò accade, la prima delle quali è che la NATO è ancora ufficialmente un'”alleanza difensiva”, ma qualsiasi osservatore onesto sa già che di fatto è un’alleanza offensiva dalla fine della Vecchia Guerra Fredda.
La seconda è che queste deliberazioni contraddicono direttamente la politica di coesistenza pacifica con la Russia che Trump spera di promulgare alla fine del conflitto ucraino, che ora sta finalmente cercando di porre fine con entusiasmo attraverso la sua tanto attesacostringere Zelensky a fare qualche concessione a Putin. Se questo dovesse avere successo e gli Stati Uniti coesistessero pacificamente con la Russia, gli “attacchi informatici preventivi” dei membri europei della NATO contro la Russia potrebbero costringere gli Stati Uniti a lasciarli a bocca asciutta in caso di rappresaglia.
Lo scenario sopra descritto si collega all’ultima ragione per cui queste deliberazioni politiche sono così preoccupanti, ovvero che qualcuno sembra manovrare i fili dietro le quinte per provocare una crisi con questi mezzi. Dato che dietro le fughe di notizie russo-americane di Bloomberg, volte a far deragliare i colloqui sul quadro di 28 punti dell’accordo di pace russo-ucraino degli Stati Uniti , ogni sospetto dovrebbe essere nuovamente rivolto a loro, in quanto maestri storici di complotti divide et impera e provocazioni sotto falsa bandiera.
Considerando tutto ciò, si può quindi concludere che il flirt della NATO con “attacchi informatici preventivi” contro la Russia sia probabilmente fomentato dagli inglesi, che vogliono completare i preparativi in modo che possano essere eseguiti su suo ordine in futuro. Lo scopo sarebbe quello di provocare una crisi per rovinare la rinascente ” Nuova Distensione ” russo – americana , ma anche se questo fallisse, l’Europa continentale sarebbe comunque indebolita se gli Stati Uniti si facessero da parte in caso di rappresaglia russa, e questo potrebbe favorire anche gli interessi britannici.
Ciò rafforzerà i loro atti di bilanciamento complementari per evitare una dipendenza sproporzionata dalle superpotenze americana e cinese nel contesto della transizione sistemica globale verso una multipolarità complessa.
Putin è alla sua prima visita di Stato in India in quattro anni, dopo aver visitato quello che la Russia considera il suo partner strategico speciale e privilegiato nel dicembre 2021. All’epoca si era valutato che cercassero di guidare un nuovo Movimento dei Paesi Non Allineati (Neo-NAM), la cui essenza è stata introdotta dall’India attraverso la sua piattaforma ” Voce del Sud del Mondo ” all’inizio del 2023. Lo scopo è quello di contrastare le tendenze alla bi-multipolarità sino-americana , promuovendo la tripla – polarità come trampolino di lancio verso la multipolarità complessa ( multiplexità ).
In parole povere, questo significa che Russia e India aiutano congiuntamente i paesi relativamente più piccoli a trovare un equilibrio tra le superpotenze americana e cinese, ma la Russia è stata subito costretta ad avviare la sua specialeoperazione che ha portato a una guerra per procura con la NATO. Nel corso del conflitto ucraino , la Russia si è avvicinata così tanto alla Cina che ora si può dire che i due abbiano formato ufficiosamente un’Intesa, ma l’India ha aiutato preventivamente la Russia a evitare una dipendenza sproporzionata da essa.
Ciò è stato ottenuto attraverso l’acquisto su larga scala di petrolio russo a prezzo scontato e la ridefinizione delle priorità del corridoio di trasporto nord-sud attraverso l’Iran per ampliare il loro commercio nel settore reale. Nonostante le divergenze Nonostante le notizie circa il rispetto delle recenti sanzioni statunitensi per limitare gli acquisti di cui sopra, l’India resta impegnata a evitare la dipendenza sproporzionata della Russia dalla Cina per timore che ciò possa portare la Cina a costringere la Russia a limitare le esportazioni di armi all’India per risolvere la controversia sui confini a suo favore.
L’inaspettata pressione degli Stati Uniti sull’India sotto Trump 2.0 è intesa come punizione per non essersi sottomessa al ruolo di maggiore vassallo degli Stati Uniti di sempre, ma ha avuto l’effetto indesiderato di ricordare ai politici indiani come la Russia non abbia mai fatto pressione sul loro Paese, dando così nuovo impulso all’espansione dei loro legami. È in questo contesto che Putin visita l’India, che avviene anche nel contesto della rinascente ” Nuova Distensione ” russo – americana messa in atto dall’accordo di pace in 28 punti di Trump con l’Ucraina .
La pressione degli Stati Uniti sull’India potrebbe presto attenuarsi se i politici iniziassero a comprendere il suo ruolo cruciale nel bilanciamento tra Russia e Cina. Questo accordo è nell’interesse del Paese, scongiurando lo scenario in cui la Russia diventi l’appendice cinese delle materie prime per accelerare la sua traiettoria di superpotenza e, di conseguenza, un rivale più temibile nella definizione dell’ordine mondiale emergente. Facilitare passivamente la visione condivisa di tripla-multipolarità tra Russia e India potrebbe quindi essere considerato vantaggioso dagli Stati Uniti.
Il viaggio di Putin in India giunge quindi in un momento reciprocamente opportuno, poiché rafforzerà i loro complementari equilibri per evitare rispettivamente una dipendenza sproporzionata dalle superpotenze cinese e americana. Ciò aiuterà entrambe le parti a raggiungere accordi migliori con le due superpotenze, migliorando la propria posizione negoziale e promuovendo al contempo la transizione sistemica globale verso la multiplessità, che contestualizza ciò che Fëdor Lukyanov di Valdai intendeva quando descriveva i loro legami come “un modello per un mondo post-occidentale”.
Ciò potrebbe rendere più facile per l’Arabia Saudita normalizzare le relazioni con Israele anche in assenza dell’indipendenza palestinese e quindi ripristinare la fattibilità politica di questo megaprogetto geoeconomico.
L’annuncio che gli Stati Uniti venderanno gli F-35 all’Arabia Saudita è uno sviluppo monumentale. Israele è l’unico paese dell’Asia occidentale a schierare questi caccia all’avanguardia, quindi il suo “vantaggio militare qualitativo” potrebbe essere eroso di conseguenza, ergo il motivo per cui l’IDF si è ufficialmente opposta . Axios ha riferito che Israele vuole che la vendita sia subordinata alla normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita, idealmente attraverso gli Accordi di Abramo, o almeno alla garanzia da parte degli Stati Uniti che gli F-35 non saranno schierati nelle regioni occidentali dell’Arabia Saudita vicine a Israele.
Non è ancora chiaro se gli Stati Uniti accolgano queste richieste, ma ciò che è molto più chiaro è che l’Arabia Saudita avrà un ruolo più importante nella strategia regionale degli Stati Uniti, il che riporta il Regno nell’orbita statunitense dopo aver diversificato le sue partnership negli ultimi anni, ampliando i legami con Russia e Cina. L’Arabia Saudita si stava già muovendo verso un riavvicinamento con gli Stati Uniti dopo gli ultimi quattro anni di relazioni difficili sotto Biden, come dimostrato dalla sua riluttanza ad aderire formalmente ai BRICS dopo essere stata invitata nel 2023.
L’ultima guerra di Gaza scoppiata poco dopo, che si è evoluta nella prima guerra dell’Asia occidentale tra Israele e l’Asse della Resistenza guidato dall’Iran e si è conclusa con la sconfitta di quest’ultimo , ha ostacolato i progressi sul ” Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa ” ( IMEC ) dal G20 di quell’anno. La portata geoeconomica dell’IMEC richiede in modo importante la normalizzazione dei rapporti israelo-sauditi per facilitare questo processo, che gli Stati Uniti potrebbero ora cercare di mediare dopo aver posto fine alla guerra di Gaza che ha interrotto questo processo precedentemente in rapida evoluzione.
L’impegno dell’Arabia Saudita a investire quasi mille miliardi di dollari nell’economia statunitense, in aumento rispetto ai 600 miliardi di dollari concordati durante la visita di Trump a maggio, può essere interpretato come una tangente per ottenere le migliori condizioni possibili. Trump potrebbe quindi cercare di costringere Bibi a fare almeno delle concessioni superficiali sulla sovranità palestinese in Cisgiordania, in modo che il principe ereditario Mohammad Bin Salman (MBS) non “perda la faccia” accettando la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi senza che la Palestina diventi prima indipendente.
Allo stesso tempo, la vendita di F-35 all’Arabia Saudita e il conferimento dello status di “Maggiore alleato non NATO” potrebbero essere sufficienti per convincere MBS ad abbandonare anche la minima domanda implicita di cui sopra, soprattutto perché l’IMEC è indispensabile per il futuro post-petrolifero del suo Regno e per il relativo programma di sviluppo ” Vision 2030 “. Se gli Stati Uniti mediassero un accordo israelo-saudita che porti a rapidi progressi nell’implementazione dell’IMEC, potrebbero promuovere l’IMEC come sostituto del Corridoio di Trasporto Nord-Sud (NSTC) dell’India con Iran e Russia.
Gli Stati Uniti hanno già revocato la deroga alle sanzioni Chabahar per l’India prima di reintrodurla , prima come forma di pressione durante i colloqui commerciali e poi come gesto di buona volontà man mano che si facevano progressi, ma si può sostenere che questa deroga miri a reindirizzare l’India dall’NSTC all’IMEC come mezzo per contenere la Russia. Dopotutto, l’NSTC consente all’India di aiutare la Russia a controbilanciare l’ espansione dell’influenza turca in Asia centrale tramite il TRIPP , quindi una deroga a tempo indeterminato è estremamente improbabile anche in caso di un accordo commerciale indo-americano.
Sarebbe più facile per l’India accettare questa concessione geoeconomica, che potrebbe essere ricambiata da concessioni tariffarie da parte degli Stati Uniti, se l’IMEC tornasse a essere vitale e potesse quindi sostituire l’NSTC. Affinché ciò accada, gli Stati Uniti devono prima mediare la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, a cui potrebbero ora dare priorità dopo aver mediato la fine della guerra di Gaza e raggiunto la loro ultima serie di accordi con il Regno. L’accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita sugli F-35 potrebbe quindi far parte del piano finale di Trump per rilanciare l’IMEC.
Una corretta alfabetizzazione mediatica può aiutare le persone a distinguere con maggiore sicurezza la varietà di prodotti informativi a cui sono esposte e quindi a ridurre le probabilità di cadere nella trappola delle fake news.
A fine novembre, il quotidiano britannico Daily Express ha affermato che l’Azerbaigian sta segretamente inviando cacciabombardieri Su-22 in Ucraina attraverso una rotta tortuosa che attraversa Turchia, Sudan e Germania. È la stessa rotta attraverso la quale un oscuro sito di notizie online ruandese ha affermato a fine settembre che l’Azerbaigian sta segretamente armando l’Ucraina con armi leggere e droni. La notizia è diventata virale all’epoca dopo essere stata ripresa da organi di stampa russi come Sputnik , nel mezzo delle tensioni russo-azere allora in corso .
Le stesse tensioni si sono presto placate dopo che Putin ha incontrato il suo omologo Ilham Aliyev per un colloquio a Dushanbe a margine del vertice dei leader della CSI, dopo il quale il suddetto rapporto è stato raramente menzionato da molti di coloro che fino a quel momento avevano contribuito a diffonderne la massima informazione. La sua sostanza è sempre stata sospetta a causa dei costi aggiuntivi e dei tempi di spedizione connessi a un percorso così tortuoso rispetto all’impiego di percorsi più diretti via terra o ferrovia attraverso Turchia, Bulgaria e Romania.
Ciononostante, il blog militare russo Rybar – che funge anche da sorta di think tank – ha dato credito a tale notizia in uno dei suoi post su Telegram dell’epoca, ma poi ha curiosamente contestato l’ultima affermazione secondo cui i Su-22 sarebbero stati spediti tramite questa rotta. Secondo loro, i Su-22 sono molto vecchi, l’Ucraina non ne ha nemmeno bisogno (nemmeno per i pezzi di ricambio) e il Daily Express è una pubblicazione sensazionalistica il cui paese trae vantaggio dalla creazione di nuove tensioni nei rapporti con la Russia.
A dire il vero, i rapporti russo-azeri non sono ancora buoni, nonostante il loro incipiente riavvicinamento, con la percezione di una minaccia non convenzionale da parte della Russia nei confronti dell’Azerbaigian che rimane elevata a causa del suo ruolo nel facilitare l’iniezione di influenza occidentale guidata dalla Turchia lungo l’intera periferia meridionale della Russia . Questo processo viene portato avanti attraverso la ” Trump Route for International Peace and Prosperity ” (TRIPP), che faciliterà la logistica militare della NATO in Asia centrale e quindi il possibile adeguamento delle sue forze armate ai suoi standard.
Secondo Aliyev , l’Azerbaigian ha già raggiunto questo obiettivo all’inizio di novembre , e avendo appena aderito all’annuale Incontro Consultivo dei Capi di Stato delle Repubbliche dell’Asia Centrale, poi ribattezzato ” Comunità dell’Asia Centrale “, potrebbe aiutare Paesi come il Kazakistan a seguirne l’esempio. In parole povere, l’Azerbaigian rappresenta effettivamente una minaccia latente non convenzionale per gli interessi strategici della Russia in Asia Centrale, ma ciò non significa automaticamente che ogni notizia sulle sue politiche anti-russe sia vera.
Di conseguenza, è discutibile se l’Azerbaigian stia segretamente inviando Su-22 in Ucraina, soprattutto attraverso la complicata rotta tricontinentale che un tabloid britannico ha affermato essere utilizzata a questo scopo. In assenza di prove, infatti, questo rapporto potrebbe benissimo essere un’operazione di intelligence britannica volta ad esacerbare la sfiducia tra Russia e Azerbaigian allo scopo di provocare una “reazione eccessiva” da parte della Russia che catalizzi un ciclo autoalimentato di escalation reciproche. Gli osservatori dovrebbero quindi essere molto scettici.
In fin dei conti, resoconti provenienti da fonti sospette come questo di un tabloid britannico e persino quello precedente di quell’oscuro notiziario online ruandese potrebbero sembrare credibili a prima vista, poiché corrispondono alle aspettative di alcuni lettori, ma questo è un motivo in più per dubitare delle loro affermazioni. Una corretta alfabetizzazione mediatica può aiutare le persone a distinguere con maggiore sicurezza la varietà di prodotti informativi a cui sono esposte e quindi a ridurre le probabilità di cadere in errore e cadere vittima di fake news.
Questo nuovo gruppo potrebbe promuovere un più forte senso di identità regionale condivisa tra i suoi membri, persino etnica in senso pan-turco (il Tagikistan è l’eccezione), rispetto a quello che condividono con la Russia attraverso il loro passato imperiale e sovietico, con tutto ciò che ciò comporta per l’elaborazione delle politiche future.
Le Repubbliche dell’Asia Centrale (RCA) rientrano nella “sfera di influenza” russa per ragioni storiche, economiche e di sicurezza. La prima deriva dalla loro storia comune sotto l’Impero russo e l’URSS, la seconda dall’Unione Economica Eurasiatica (UEE) a guida russa, a cui partecipano Kazakistan e Kirghizistan, mentre la terza è legata all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) a guida russa, che include le Repubbliche e il Tagikistan. L’influenza della Russia, tuttavia, è diminuita negli ultimi anni.
La sua comprensibile priorità allo specialeL’operazione ha creato l’opportunità per la Turchia di espandere la propria influenza attraverso l'”Organizzazione degli Stati Turchi” (OTS), a cui partecipano Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, con il Turkmenistan in qualità di osservatore. L’OTS è nata come gruppo di integrazione socio-culturale che ora promuove anche la cooperazione economica e persino in materia di sicurezza, sfidando così l’UEE e la CSTO. Anche gli Stati Uniti hanno compiuto importanti passi avanti negli scambi commerciali all’inizio di questo mese, durante l’ultimo vertice C5+1.
Questi sviluppi sono stati notevolmente facilitati dalla normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian, mediata dagli Stati Uniti, e dal conseguente “Trump Route for International Peace & Prosperity” ( TRIPP ), presentato durante il vertice dei tre leader alla Casa Bianca all’inizio di agosto. Ciò porterà essenzialmente la Turchia a iniettare influenza occidentale lungo l’intera periferia meridionale della Russia, soprattutto attraverso il previsto aumento delle esportazioni militari, che minaccia di porre serie sfide latenti alla Russia .
L’ ultima mossa su questo fronte è stata quella delle RCA di invitare l’Azerbaigian a partecipare alla loro riunione consultiva annuale dei capi di Stato e di rinominarla “Comunità dell’Asia Centrale” (CCA), casualmente subito dopo l’incontro con Trump. L’integrazione regionale è sempre positiva, ma in questo caso potrebbe anche ridurre l’influenza regionale della Russia. Questo perché tutti e sei potrebbero trattare con la Russia come gruppo anziché individualmente. Ciò potrebbe portare a posizioni negoziali più dure se incoraggiati dalla Turchia e dagli Stati Uniti.
L’inclusione dell’Azerbaigian suggerisce che condividerà la sua esperienza nella gestione delle tensioni di quest’estate con la Russia e fungerà da supervisore dell’alleato turco all’interno del CCA per allinearlo il più possibile all’OTS (ricordando che il Tagikistan, paese non turco, non ne è membro). Questo probabile ruolo, unito alla tempistica dell’annuncio del CCA subito dopo il C5+1 e tre mesi dopo la presentazione del TRIPP, suggerisce che il paese voglia riequilibrare i rapporti con la Russia e potrebbe fare affidamento sulla guida dell’Azerbaigian se ciò dovesse causare tensioni.
La Russia svolge ancora un ruolo economico enorme nelle cinque RCA e garantisce la sicurezza di tre dei sei membri della CCA attraverso la loro adesione alla CSTO. Putin ha inoltre ospitato i leader delle RCA all’inizio di ottobre, durante il Secondo Vertice Russia-Asia Centrale, dove si è impegnato ad aumentare gli investimenti. Esistono quindi limiti concreti in termini di portata e rapidità con cui la CCA potrebbe riequilibrare i rapporti con la Russia, quindi non ci si aspetta nulla di drammatico a breve, ma una certa riduzione dell’influenza russa potrebbe essere inevitabile.
Questo perché il CCA potrebbe promuovere un più forte senso di identità regionale, persino etnica in senso pan-turco (il Tagikistan è l’eccezione), rispetto a quello che condividono con la Russia attraverso il loro passato imperiale e sovietico, con tutto ciò che ciò comporta per la futura definizione delle politiche. Ciò è in linea con gli interessi della Turchia, che prevede di diventare una Grande Potenza eurasiatica attraverso la sua nuova influenza in Asia centrale tramite il TRIPP e l’OTS, e che a sua volta promuove il grande obiettivo strategico degli Stati Uniti di contenere la Russia.
Se non fosse stato abbattuto sopra la città di confine bielorussa di Grodno e fosse invece passato in Polonia diretto al Centro congiunto di analisi, addestramento e istruzione NATO-Ucraina, come hanno rivelato i dati di volo recuperati, avrebbe potuto scatenare una crisi che avrebbe rovinato i rinati colloqui di pace.
L’inviato speciale di Trump per la Russia, Steve Witkoff, e suo genero Jared Kushner, entrambi protagonisti di un ruolo importante nei negoziati per l’ accordo di pace di Gaza , hanno incontrato Putin al Cremlino per cinque ore martedì. Il loro viaggio avrebbe potuto essere ostacolato, tuttavia, se una provocazione lituana avesse avuto successo. Un drone spia occidentale all’avanguardia è stato abbattuto domenica sulla città di Grodno, al confine con la Bielorussia occidentale, ma i dati di volo recuperati indicavano che avrebbe dovuto raggiungere la Polonia occidentale.
Il percorso lo avrebbe portato a Bydgoszcz, che ospita il Centro congiunto di analisi, addestramento e istruzione NATO-Ucraina , per poi tornare indietro per lo stesso percorso. Questo avrebbe potuto a sua volta scatenare una crisi, poiché i guerrafondai occidentali avrebbero certamente riportato l’incidente in modo errato, forse utilizzando dati di volo e radar manipolati, per affermare che la Russia avesse lanciato il drone dalla Bielorussia. Potrebbero persino aver mentito sul fatto che si trattasse di un drone armato, al fine di drammatizzare al massimo l’incidente e far deragliare i colloqui allora imminenti.
Diversi presunti droni russi sono entrati in Polonia circa due mesi e mezzo fa in un incidente che è stato presumibilmente attribuito al disturbo della NATO in vista delle esercitazioni Zapad 2025 , ma che è stato sfruttato dallo “stato profondo” polacco in un fallito tentativo di manipolare il presidente per spingerlo a dichiarare guerra alla Russia. Da allora, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko e il suo capo del KGB Ivan Tertel hanno confermato che il loro Paese desidera un “grande accordo” con gli Stati Uniti, che includerebbe naturalmente un accordo di de-escalation con la Polonia.
Gli accordi sopra menzionati potrebbero potenzialmente essere parte di un grande compromesso russo-statunitense per porre fine al conflitto ucraino, ma se l’accordo polacco-bielorusso in esso contenuto dovesse essere improvvisamente sabotato, allora potrebbe essere più difficile raggiungere qualcosa di più significativo. Qui sta tutta l’importanza dell’ultima provocazione lituana con i droni, che non è stata la prima da quando Tertel ha affermato nell’aprile 2024 che la Bielorussia ha sventato un attacco con droni contro Minsk da lì, ovvero per rovinare l’intera sequenza diplomatica.
Dopotutto, lo scenario di un presunto drone russo (forse “armato”) lanciato dalla Bielorussia e abbattuto durante il tragitto verso il Centro congiunto di analisi, addestramento e istruzione NATO-Ucraina praticamente alla vigilia del viaggio di Witkoff e Kushner a Mosca sarebbe sensazionale. Non solo, ma il presidente del Comitato militare della NATO, Giuseppe Cavo Dragone, ha appena rivelato che il blocco sta prendendo in considerazione ” attacchi (cyber) preventivi ” contro la Russia come “risposta” alla sua “guerra ibrida”, che avrebbe potuto seguire.
In un simile contesto, le crescenti tensioni tra Russia e Occidente avrebbero reso impossibile il viaggio di Witkoff e Kushner a Mosca, infliggendo così un colpo potenzialmente letale all’ultima – e forse ultima – spinta di Trump per la pace in Ucraina. Ricordando come gli inglesi siano stati probabilmente i responsabili delle recenti fughe di notizie russo-americane di Bloomberg, come sostenuto qui , volte a sabotare i loro colloqui, è possibile che dietro questa provocazione ci fossero anche questi storici maestri del divide et impera e delle provocazioni sotto falsa bandiera.
Se Trump è seriamente intenzionato a raggiungere un accordo con Putin, allora dovrebbe dichiarare pubblicamente che gli Stati Uniti non saranno trascinati in una guerra con la Russia se i membri della NATO lanciassero una sorta di “attacco preventivo” contro di essa in risposta a incidenti sospetti come presunte incursioni di droni. Non farlo rischia di incoraggiare gli orchestratori (britannici?) di quest’ultima provocazione a riprovarci più e più volte, finché non riusciranno finalmente a innescare una crisi che rovinerebbe tutto ciò che sta cercando di ottenere e porterebbe il mondo sull’orlo di una guerra totale.
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